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L ma come avete fatto? IMMAGINARIO Periodico bimestrale dell’Associazione L’ALBA Anno VIII N° 5-6 2012/1-2-3 2013 Pubblicazione bimestrale registrata presso il Tribunale di Pisa al n. 9/06 del 24 Maggio 2006 Offerta libera

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ma come avetefatto?

IMMAGINARIOPeriodico bimestrale dell’Associazione L’ALBAAnno VIII N° 5-6 2012/1-2-3 2013Pubblicazione bimestrale registrata presso ilTribunale di Pisa al n. 9/06 del 24 Maggio 2006Offerta libera

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2L’IMMAGINARIOPeriodico bimestrale dell’Associazione L’ALBAAnno VIII n° 5-6 2012/1-2-3 2013Pubblicazione bimestrale registrata presso il Tribunaledi Pisa al n. 9/06 del 24 Maggio 2006La riproduzione, anche parziale, è soggetta ad autorizzazioneTiratura prevista: 2000 copie

Edizioni: L’Alba2013

Direttore responsabileMaurizio Bandecchi

RedazioneMaria Velia LorenziEva CampioniAldo Bellani

Realizzazione editorialeProgetto grafico e impaginazione: Ferdinando RomeoFotografie: Ferdinando Romeo, Riccardo Romeo, Diana Gallo, Eva Campioni, Fabio Uscidda

StampaFlyeralarm S.r.l.Viale Druso n.265 39100 Bolzano (BZ)

Associazione L’ALBA - Circolo ARCIvia delle Belle Torri n. 8 | 56127 Pisa (PI) Italyphone +39 050 544211 fax +39 050 3192895mail [email protected] www.lalbassociazione.com

Comitato di gestione Associazione L’ALBADiana Gallo Presidente Valeriana Ammannati Vice-PresidenteRoberto Pardini Segretario Ferdinando Romeo Amministratore

Cover photo Riccardo Romeo

Sommario

Si ringrazia la famiglia di Stefano Meucci per il gentile gesto verso l’Associazione in memoria dell’ amata nonna materna, di seguito il messaggio inviatoci.All’Associazione L’ Alba Circolo Arci.In memoria della morte di Moisè Armida vedova Meacci, nonna materna di Stefano Meucci da tempo inse-rito presso il vostro centro per un recupero comportamentale e sociale, i figli unitamente a Stefano hanno deciso di devolvere la cifra di 500 € donataci in sua memoria da familiari e amici.Certi che la cifra possa essere utile alle vostre necessità vi salutiamo con cordialità.Carla Meacci e famiglia.

L’incredibile storia del Big Fishdi Diana Gallo pag. 3

Il sorriso del maledi Maria Velia Lorenzi pag. 6

Storia di un’affiliazionedi Francesca Raimondi pag. 8

Esprmersi con la scrittura pag. 12

Laboratorio di scrittura e lettura pag. 21

Civiz pag. 25

In principio fu lo “Sgnurf”di Fabiana Pacini pag. 27

Premessa a Metamorfosidi Gabriella Puglisi pag. 29

Nuovi Spazi di Vita pag. 30

Consultare le stelledi Maria Velia Lorenzi pag. 32

Fine servizio civile pag. 34

Emozioni a scatto pag. 35

Il laboratorio di psicodrammadi Valeria Martorano pag. 36

29 marzo 2013 pag. 40

I gruppi di auto aiuto: la ricercadi Romina Valentina Barone pag. 45

Abitare la vita: la vita pag. 49

Le letture de L’Alba pag. 52

Lettere a L’Alba pag. 57

I sapori pop di Valeriana I sapori etno di Marco pag. 59

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L’incredibile storia del

Big Fishma come avete fatto?

di Diana Gallo

Ma come avete fatto? Questa la domanda più frequente che gli avventori curiosi o i soci a conoscenza del viaggio ci hanno fatto il 1 Giugno 2013, giorno che avevamo fissato e rispettato per l’ inaugurazione dello stabilimento balneare BIG FISH, in via Litornaea n. 68. Nel litorale sociale tra i bagni della Croce Rossa e della UISP sorgono le bandiere de L’Alba e di Le Mat a cui siamo affiliati per la gestione di servizi turistici di accoglienza sociale. Lo stabilimento balneare ci è stato assegnato in gara pubblica dal Comune a fine di-

cembre, prima di accedere e avere le chiavi sono passati circa due mesi, un mese per entrare in spiaggia per i vincoli necessari, i lavori di manutenzione obbligatori da bando si sono concentrati in circa due mesi, Aprile e Maggio. Con una media di 13-14 ore al giorno abbiamo lavorato con caparbietà, determinazione e tenacia, pensando che il bagno sarebbe rinato e che il 1 Giugno avremmo aperto, nonostante tutti intor-no erano scettici consapevoli della difficoltà dell’impegno e i più credevano che non saremmo riusciti ad aprire.Certo l’impresa era assai ardua, dovevamo togliere tutte le coperture in cemento-amianto di tutte le cabine e rimetterle in sesto con ripristino di intonaci e nuova tinteggiatura. Rimettere in sesto gli impianti elettrici e idraulici. Abbiamo sostituito e rimesso, con ditta specializzata, le coperture in legno abete tinteggiandole

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4con impregnante castagno, ogni cabina si presenta con un faretto dedicato ed una presa, un tavolo e due panche per poter mangiare davanti alla propria cabina. Le cabine sono 45, di cui due le abbiamo tenute per i soci volontari che vengono a rilassarsi e a fare il bagno poichè danno una mano nella gestio-ne. La storia ci ha confermato che quelle cabine, le uniche in legno, erano state costruite da un gruppo di ragazzi che avevano passato in questo bagno la loro infanzia e giovinezza, qualcuno addirittura c’era nato. Tutto questo l’abbiamo scoperto dai soci del Circolo Arci Dipendenti Comunali che passavano per curiosità per vedere come procedevano i lavori e che ci raccontavano i loro vissuti,la storia della vecchia gestione,i ricordi, le avventure, le foto delle mareggiate degli anni ’50. Nedo ci ha traghettato indicandoci i pozzetti presenti o gli impianti, nono-stante l’ambivalenza di gestire il dolore del passag-gio, ma la felicità di veder rinascere un bagno che per ormai due anni era in totale abbandono.L’atmosfera che ci ha accolto inizialmente era vera-mente fatiscente, ma si sentiva un’ anima del posto, il sole ci ha accarezzato in qualche giornata di Apri-le e poi un Maggio tremendo ci ha messo in serie difficoltà costringendoci a lavorare anche in condi-zioni atmosferiche difficili. Così anche il Libeccio e il Maestrale si sono fatti sentire in tutto il loro splen-

dore. La sabbia era altissima, il ristorante quasi se-polto. Un verdino pisello dominava i muri con crepe di ogni genere, alcuni bambini passando ci hanno detto che per loro era “il bagno fantasma”. In abbandono da 4 anni siamo riusciti a farci asse-gnare anche il ristorante nonostante in prima battu-ta non fosse stato assegnato e ad oggi è un posto splendido, con un grande cuoco Marco che ha già conquistato il cuore dell’arenile e un bello staff di soci volontari, in percorsi di riabilitazione condivisi che lavorano al servizio bar e in cucina in un ingra-naggio di bellezza umana che ha del sublime.“Avete fatto un miracolo” ci hanno detto in molti.Il 1 Giugno la direzione- reception non era anco-ra pronta e prima era una sala giochi. Un cartello affisso recitava: “Questo è quello che rimane della precedente gestione.”Da dicembre il laboratorio di ceramica ha messo in produzione degli splendidi pesci colorati che sono stati attaccati alle cabine come elementi caratteriz-zanti il BIG FISH e il laboratorio di pittura ha lavo-rato alla realizzazione di alcuni lavori in pannelli di legno che sono stati attaccati sul viale di ingresso davanti a cui si realizza un angolo di seduta.Si mangia in serenità in splendide serate all’esterno con il rumore del mare che ondeggia.Le persone parlano leggere, i bambini giocano, c’è la loro area giochi, ma ovunque sono accolti, tut-ti sono accolti, grandi e piccini, senza barriere per handicap e per diversità culturali, reliogiose, di ge-

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5nere, di età: l’atmosfera che si respira è bella.È quella de L’Alba ed è quella del mare, che fa la sua grossa parte.La spiaggia è attrezzata per i portatori di handicap con le job per fare il bagno e le cabine adatte e le pas-sarelle fino al mare.I lavori sono stati portati avanti da molti soci volontari guidati da qualche socio volontario professionista esperto del settore edilizio: il lavoro era molto, qualcuno si scoraggiava, ma il BIG FISH stava nascendo e chi si scoraggiava sentiva la forza di chi andava avanti in un lavoro di squadra di grande insegnamento umano.Un vero e proprio atto terapeutico. Curando l’ambiente abbiamo curato le persone e sviluppato senso di appartenenza e di partecipazione in chi ha portato avanti i lavori al bagno.La cura e la rinascita del luogo, il partecipare al lavoro di ricostruzione in prima persona ha reso le persone consapevoli che cambiare si può, che dalla distruzione si può ripartire, che loro stessi possono essere i protagonisti di un processo di rivitalizzazione e questo è un concreto e potente atto terapeutico, che lavora allo scheletro e sul sistema nervoso di tutti quelli che hanno partecipato a questa esperienza e che respira chiunque entra al BIG FISH godendo l’atmosfera del posto.

Big Fish è simbolo di eternità, di trasformazione, di amore, di presenza e e di impermanenza, venite a trovarci, vi aspettiamo!

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Per Rosario era giunto ancora il giusto riposo della sera. Sera leggermente piovosa e uggiosa, anche se mite rispetto agli altri giorni. Del resto era ormai marzo, il mese del suo compleanno. Compleanno da solo anche questa volta: non avrebbe invitato nessuno dei suoi amici a festeggiare con salsicce alla piastra o pizza come l’anno prima. Questa volta no, il suo dolore per la fine di quello che aveva creduto finalmente un amore lo aveva reso aspro in cuore. Si sentiva preso in giro, ingannato. Come sempre nella sua vita dove ormai la giovinezza si preparava a uscire.Quel giorno di bambini a giocare ce n’erano stati pochi, era stato un pomeriggio mutevole, proprio come lo è il mese, ma l’incasso da ritirare era corposo, dato che lo aveva lasciato lì da diversi giorni. Ormai si fidava, in sette anni non era mai successo niente. Aprì la cassetta di sicurezza e come sempre gli acca-deva, la vista di quei soldi da contare, tanti in piccoli pezzi, lo fece sentire quasi potente. Di quel denaro non era sua che una piccola parte, ma non importava. Stava vivendo una fase sì della sua faticosa vita: aveva un lavoro, un posto dove stare, una pur fissa dimora, un ruolo. Aveva creduto anche di poter amare riamato.....Nella roulotte in fondo al parco giochi, che ormai preferiva a una vera casa, nel silenzio della notte aspettando il sonno, insieme alla sua gatta Briciola, ripensava sempre alla sua vita passata, alla sua quasi fuga da casa, al suo venire al nord, al suo accettare qualsiasi duro e scomodo lavoro per vive-re, al suo dover dormire anche per strada. Sempre col coraggio e l’ironia di chi ama comunque la libertà dell’anima. Non sempre aveva un pasto, non sempre un posto dove lavarsi, aveva sempre gli sguardi sprezzanti o compassionevoli che erano lo specchio nel quale doveva per forza guardarsi e vedere la sua barba incolta, i suoi vestiti sporchi, il suo essere come un clochard. Ma non doveva niente a nessuno e, almeno, non era deriso da quelli che aveva creduto con ostinazione amici, che erano cresciuti con lui. Era stata dura lasciare che la sua gioventù restasse imbrattata dalla povertà che nega anche un vestito pulito e dall’abbandono degli affetti. Ma da tempo questo era ricordo, aveva un bel giorno trovato lavoro al parco giochi dove era ormai il custode, il responsabile della gestione e degli incassi. Certo, l’odore e il colore del suo mare gli rimanevano dentro con la bellezza dolente di un amore lontano e impossibile. In quel mare era rimasto il credere ingenuo dell’età non ancora adulta.Aveva finito di contare quelli di cui il pezzo più grosso era da dieci: duemila euro. Si avviò alla roulotte tranquillo, tutti lo conoscevano, nessuno lo disturbava. Era da poco entrato chiudendo la porta, quando una voce che non si aspettava lo fece sobbalzare: “Vieni fuori e dacci quel sacchetto”. La frase gli arrivò come in un’allucinazione acustica e gli attraversò il cervello come una lama. Subito dei colpi secchi di pala sulla porta la scardinarono, e in tre entrarono incappucciati.

Il sorriso del

maledi Maria Velia Lorenzi

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7L’istinto lo fece gridare e resistere, ma si sentì afferrare da mani dure come morse e sollevare come un fuscello. La paura lo attanagliava, ma le sue dita non si staccavano dai soldi.“Falla finita, pidocchio” Insieme all’insulto, un dolore sordo arrivò in mezzo al viso, un lampo gli attraversò gli occhi, il corpo vuoto sembrava non rispondere. “Ora mi ammazzano” pensò. Ma quelli se ne andarono. Al dolore prevaleva la rabbia, l’umiliazione, la ribellione insopportabile del sopruso, la delusione del dover-si guardare dai suoi simili. Per un attimo ritrovò la voce. “Fermi, non è giusto, delinquenti è il mio lavoro. Sono stato disgraziato anch’io, ma non ho mai rubato, non ci ho nemmeno pensato. Rubate a chi ce li ha, non a un poveraccio come voi...”. Nella foga non si rese nemmeno conto del dolore tremendo che gli procurava il parlare. E perse i sensi. Quando li riprese, si toccò il petto dolorante e sentì il maglione bagnato. Vide che era sangue. Gli avevano preso anche il cellulare, ma lui coi primi soldi guadagnati, si era permesso un altro telefonino che portava attivo in una tasca dei pantaloni. Con un telefono appeso al collo e un altro in tasca si sentiva, come dire, più spalleggiato da un piccolo lusso, dal primo giocattolo che aveva potuto finalmente permettersi. E fu un bene, perché altrimenti chiedere soccorso sarebbe stato difficile in quel parco dove ormai nessuno passava più.“ Aiuto, mi hanno aggredito....”Quando arrivò l’ambulanza, lo trovarono ancora a terra e in un lago di sangue. Era dal naso, ma lui non aveva la forza di tamponarlo. Mentre lo trasportavano al pronto soccorso, nell’abitacolo illuminato, con i soccorritori che lo medicavano e confortavano, riuscì a farfugliare con la bocca dolorante: “Mi hanno ruba-to duemila euro. E domani è il mio compleanno”.Gli fecero gli auguri, lo rincuorarono. Di alcuni simili possiamo fidarci. In cuore piangeva come un bambino che la madre ha respinto e che un’altra donna madre stringe fra le sue braccia. Il primo pensiero fu che non sarebbe più tornato nella sua decennale dimora. Che Briciola era rimasta sola.Nel parco giochi, il cancello era rimasto aperto,la roulotte vicino al muro di cinta era abbandonata e buia e, se qualche improbabile passante avesse transitato da lì, avrebbe forse udito insieme al leggero frusciare degli alberi, un impercettibile suono da brividi, lungo e soddisfatto, aleggiare tra i pini e le giostre addor-mentate. Il male che bussa ed è accolto, parte da lontano, ammalia chi lo ascolta e ne fa un alleato che accetta di spingere la prima mattonella del suo gioco. Così, l’ effetto inarrestabile del domino arriva anche a chi, ignaro e distratto dall’impegno della vita, se ne sta accanto all’ultimo tassello credendo che sia una parete. E quel quell’ammaliatore invisibile, avuta ancora una vittoria, stava ridendo sommesso.

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storia di un’affiliazione

Le Matdi Francesca Raimondi

9-10/11/2012L’esperienza le Mat inizia con un viaggio al femminile, il viola della foderina del quaderno e l’imbrunire dopo il tramonto sono i colori che ci fanno da sfondo…Sette donne iniziano l’avventura, valigie piene, ore 18:00, si parte da Pisa…Cannara stiamo arrivando!Eravamo curiose di conoscere luoghi nuovi, persone nuove, esperienze nuove, perché ciò che accomuna la nostra esperienza di associazionismo e l’esperienza dell’imprenditoria sociale di Le Mat è il piacere per la conoscenza dell’Altro, l’amore per la diversità.Dopo tre ore di autostrada iniziamo a vedere i primi scorci di Assisi, dalla cupola di Santa Maria degli An-geli arriviamo alla “Tana Liberi Tutti”, ad accoglierci Antonio, Federico, Sonia e una vecchia Japonica, un meraviglioso salice di 160 anni (piantata in occasione dell’inaugurazione della banda musicale di Canna-ra) che abbellisce il cortile interno di un ex Convento di Clarisse; si avverte la presenza di figure femminili e la spiritualità tra le mura secolari, ci sentiamo subito a casa! È un posto meraviglioso e da subito entriamo in contatto con i colori, lo stile e il mondo “Le Mat”. Avevamo una fame da lupi e il Ristorante “In bocca al lupo” ci soddisfa immediatamente, grazie anche alla gentilezza e alla cortesia del servizio di Sonia. E dopo cena, ci attendono camere spaziose e riscaldate, che ritemprano i nostri corpi stanchi.Il sole di Perugia ci sveglia alle 8, e dopo un abbondante e ottima colazione, si comincia con la formazione!Conosciamo Renate, una donnina italo-tedesca molto energica, che vive nella Capitale e “approfitta” della perfetta posizione geografica per girare l’Italia e l’Europa.Due meravigliose storie si incrociano, quella dell’Associazione l’Alba e quella dell’Hotel Tritone e della Cooperativa “Il posto delle Fragole”...due storie diverse ma che hanno come filo conduttore il mestiere dell’accoglienza, il superamento delle barriere fisiche, psichiche e culturali! Una mission comune…la lotta allo stigma e il superamento del pregiudizio!Conosciamo così il mondo di Le Mat e il sistema di affiliazione tra imprenditori sociali, e da subito ci ri-conosciamo con le parole della locandina: ospitalità, accompagnamento, inclusione sociale di maggiore qualità.Si incrociano così due mondi che hanno in comune una coraggiosa vocazione: dare un valore a chi nella vita ha vissuto esperienze di disagio sociale, trasformare la propria sofferenza in una risorsa e mandare un messaggio positivo e di speranza a chi si sente escluso e solo. Le Mat ci invita a partecipare e noi partecipiamo!

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9Ci raccontiamo…i nostri curriculum e le nostre storie ed esperienze personali si incrociano con quelli di Renate, Antonio e Sonia!Un albero con le radici che affondano decise sulla terra, un computer con i suoi numeri e il percorso te-merario di Ferdinando incrocia quello di Diana, signora delle arti, della musica, del teatro, della danza che abbraccia e tiene unita la differenza senza omologarla; la strada dell’Associazione L’Alba incrocia sulla via l’albero pieno di fiori e frutti colorati di Chiara con tutta la voglia di donarsi all’Altro; una storia che parte da Mantova, per arrivare a Palermo e poi a Pisa per amore e s’incrocia con la freccia dentro il disegno del fiore colorato e tatuato di Francesca, sempre in movimento…e poi il sole, il mare e l’allegria di Sylvie, Nicoletta e Alessia e infine Sonia, con la sua dolcezza e la sua calma che rilascia spore firmate Le Mat.

1-3-4/12/2013Antonio, Francesco e Federico arrivano a Pisa. Purtroppo piove, ma noi continuiamo a lavorare!Antonio ci fa riflettere su quali siano le cose in cui ci sentiamo più fragili a lavoro; ci aiuta a pensare che la fragilità può essere qualcosa su cui è importante lavorare, ma soprattutto che può essere trasformata in risorsa…mettiamo così bianco su nero le nostra debolezze, creiamo una mappa di fragilità che possiamo trasformare! Un viaggiatore, infatti, deve sempre avere con se una mappa se vuole conoscere i luoghi più caratteristici di una città. E noi stampiamo, così, la mappa della città di Pisa e individuiamo le relazioni che l’Associazione L’Alba ha con altri soggetti, legami sia di natura commerciale, istituzionale, ma soprattutto di natura emotiva…le relazioni che ci hanno fatto crescere. Il viaggio viene fatto attraverso una rete di re-lazioni e se vogliamo iniziarlo al meglio è importante che ci sia una mappa che ci indichi la strada!E rimanendo sul tema della costruzione del viaggio, ognuno ha raccontato il “viaggio” dal punto di vista del viaggiatore sia dal punto di vista di chi offre un viaggio…facendo riferimento ai racconti che si trovano sul VideoBlog sul sito di Le Mat, e così veniamo a conoscenza della realtà degli amici di Ravenna nell’ostello di Bagnacavallo, ma anche di tutti gli altri amici conosciuti e video documentati da Teresa, viaggiatrice Le Mat.Le foto e i video sono così utili per raccontarsi…Così Antonio si racconta e parla di Le Mat alla cittadinanza pisana all’interno del Mese della Salute Men-tale al Circolo.E Federico ci fa viaggiare attraverso i sensi; con la degustazione proviamo a riconoscere tutte le carat-teristiche del vino, il viaggio continua nella descrizione della produzione del vino e il riconoscimento dei profumi. Nasce così la preparazione di un nuovo cocktail di “Benvenuto al Circolo L’Alba” a base di finocchi e arancia!

14-15/12/2012E anche Renate e Saverio arrivano a Pisa, purtroppo con la pioggia!Ci fanno riflettere sui difetti che ha il nostro Circolo: la cucina piccola, la difficoltà nel passaggio dei ca-merieri dalla cucina alla sala, la scarsa illuminazione, il soffitto troppo alto, gli odori…ma soprattutto: i RUMORI!E grazie alla loro creatività e all’energia che ci trasmettono, si insinuano nelle nostre menti due nuove idee: come insonorizzare il Circolo dai rumori e dalle chiacchiere delle persone?Saverio, l’architetto siciliano, accende la lampadina! disegna alla lavagna un progetto un po bizzarro…e

noi dentro le cose bizzarre ci stiamo bene! Nasce così l’idea di creare un vero e proprio palcoscenico, un teatro con una scenografia tutta in movimento, con le nuvole che fanno da sfondo e una storia da raccontare, tutta da costruire…in realtà a costruirla sarà lui attraverso un plastico, ma noi sappiamo già che ci piacerà tanto.....e poi, l’appartamento Silvano Arieti, protagonista di questa avventura si costruisce un ruolo dentro la scena…diventa luogo di approdo per viaggiatori di passaggio a Pisa. Nasce l’idea di far diventare l’appartamento delle ragazze una nuova foresteria, dove le ragazze avranno la possibilità di ricevere visitatori e mettersi in gioco nel ruolo di receptioni-st, prenota camere, cameriere e esperte nella pre-

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10parazione della colazione. La sala comune diventerà la stanza da affittare, con letti e arredamento tutto “Le Mat”!

9/1/2013Ore 8:30, in partenza per Follonica. Ad attenderci davanti la sede della Cooperativa Sociale Il Nodo sarà Monica che ci farà visitare la struttura la “Baciocca” dentro il fantastico Parco Montioni e ci racconterà di tutte le attività che svolge la Cooperativa. E facendo una passeggiata tra i boschi ci fa viaggiare tra il tetro tema dei servizi cimiteriali (dietro i quali sembra ci sia un mono a noi sconosciuto) fino a farci respirare aria d’estate. Infatti, dopo un pranzetto nella grande struttura “La Baciocca”, gestita da loro solo da pochi mesi, ci racconta della loro assodata esperienza nella gestione di un bagno sul lungomare di Follonica! Un bagno firmato Le Mat, che abbatte le barriere architettoniche e da accesso a tutta la cittadinanza, con uno sguardo speciale alle persone con disabilità fisica. Tutti hanno il diritto di farsi un bagno al mare e godere del caldo estivo…tranne i cani, che a quanto pare non sono i benvenuti tra i bagnanti follonichesi!E così, dopo aver visto come nel Parco Montione i cinghiali siano addomesticati, andiamo a far visita alla struttura, godendo del mare d’inverno e caldeggiando l’idea dell’estate!Incrociamo anche le dita perché c’è la possibilità che l’Associazione L’Alba gestisca un bagno nel lungo-mare pisano!

16/1/2013Renate e Saverio continuano a farci sognare con “la testa fra le nuvole” nel nostro Circolo e con la creazio-ne del nostro B&B…si pensa ai letti, alle lenzuola, e a tutto l’occorrente che ci servirà per il nostro piccolo alberghetto!

1-2-4/2/2013Renate, Saverio e il plastico arrivano a Pisa…Renete è molto arrabbiata, perché dopo aver superato le mura della città di Pisa, inizia a piovere!Plastico bagnato, plastico fortunato?

15-16/2/2013Arriva Sonia Sorci a Pisa con la sua bella e numerosa famigliola, pieni di energia per trasmetterci elementi Comunicazione e Marketing. Dopo aver raggiunto l’ Ufficio del turismoo, ci siamo fatti spiegare le varie modalità di comunicazione turistiche, abbiamo raccolto tutto il materiale pubblicitario e promozionale degli Uffici addetti. Insieme abbiamo fatto il percorso che farebbe un ipotetico “turista Le Mat” dalla Stazione Ferroviaria all’appartamento Silvano Arieti, per andare poi nei vari uffici turistici ad organizzare al meglio il suo viaggio. Si è anche lavorato tanto sulla progettazione della futura foresteria, ponendoci alcune do-mande pratiche di come sarà il futuro lavoro. Chi se ne occuperà? Perchè pensiamo che questo lavoro potrebbe essere avviato e perchè vogliamo farlo? Cosa possiamo offrire e con con quale livello di qualità? Come faremo? Chi farà cosa e con quali mansioni e responsabilità? Prendiamo in considerazione anche l’aspetto economico dei vari servizi...un pò di confusione e non pochi punti interrogativi per una futura at-tività che ha ancora un po di incognite. Sonia ci insegna che è necessario avere chiari gli obiettivi e avere tanto motivazione se si vogliono vedere i primi risultati...Salutiamo mamma chioccia e i suoi cuccioli che tornano a casa!

9-19/3/2013Antonio, Federico e Arianna ci spiegano le differenze tra un’Associazione, un’azienda e una Cooperativa; partendo dalla legge 381/91 ci raccontano delle Cooperativa di Tipo A e una di tipo B e chi sono i soci lavoratori i soci volontari, i soci sostenitori.Nel pomeriggio si lavora sulla Comunicazione Sociale e iniziamo a costruire e stendere una prima boz-za della storia della nostra Associazione, partendo dal titolo, dai personaggi, dalle caratteristiche, dalle espressioni e dai gesti...È importante comunicare l’Associazione ai clienti del ristorante e ciò può avvenire attraverso video, la descrizione riassuntiva nei menu o nelle tovagliette oppure attraverso un murales, attraverso il racconto verbale, l’esposizione dei lavori prodotti e la carta di qualità (a fumetti?!).Ognuno scrive la sua storia, ognuno di noi immagina, ricostruisce, crea lo sfondo e la scenografia del nostro Circolo; la storia della nostra Associazione incontrerà e si fonderà con le storie personali di ogni viaggiatore...

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1122-23/3/2013In viaggio Le Mat volge alla conclusione...Renate e Saverio finalmente trovano il sole a Pisa e ne approfittiamo per fargli vedere il nostro nuovo stabilimento balneare a Marina di Pisa; il nostro “Big Fish” in via Litoranea, 68 sorge al mare e Le Mat è la nostra garanzia! Sarà attrezzato per per garantire la piena accessibilità a tutti con servizi e cabine predi-sposte per persone con disabilità.Renate e Saverio ci aiuteranno a progettare spazi, ruoli e mansioni e a colorare tutto in un perfetto stile “Le Mat”!Ci aiutano a riflettere sul “Settore dell’Accoglienza Turistica” e su come la relazione con l’Altro cambia se lo incontriamo al ristorante, a casa o al bagno...Siamo pronti a partire per questa nuova avventura, anche questa sarà un’occasione preziosa di socializ-zazione e di integrazione sociale.

Grazie Le Mat.Abbiamo fatto un bel viaggio insieme!

“Il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono. E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione.

Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: “Non c’è altro da vedere”, sapeva che non era vero.

Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si è visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva,

vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l’ombra che non c’era. Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini.

Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre.

Il viaggiatore ritorna subito”.

Josè Saramago

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Esprimersicon la

scritturaa cura del laboratorio dell’Associazione l’Alba

condotto da Maria Velia Lorenzi

Folto velo di un’immagine armonicasintonia di musicasentiero su cui galoppaun’onda di un sogno di pacerondini in volo sfumanoin sensitiva dolcezza.

Giovanna Roventini

Armonia

Mentre rifletto con fatica perché la mia mente è stanca, un’immagine affiora intorno a me: è un’ala di gabbiano che mi sfiora ed io riposo in questa immagine.Da molto tempo le lancette della mia vita sono impazzite e vivere in armonia mi è quasi negato.Una lunga convalescenza trasforma i miei giorni in problemi che mi fanno anelare quel che un tempo vivevo in armonia.Armonia del giorno quando un’alba serena salutava il mio risveglio e il mio micio vicino a me fa-ceva le fusa, carezzavo le piante sul terrazzo e sentivo gli aromi che diffondevano.Non chiedeva la vita grandi cose, ma di essere per me come un docile agnello.Chi è il lupo che è venuto a immergere i suoi denti nella carne? Avverto i battiti del cuore zoppi-care nel cercare di nuovo dei passi ordinati.Come uscire da questo tunnel, se ad ogni passo un tremito mi assale, come ritrovare la voglia di ricucire sentimenti ed immagini in mattino radioso?

Giovanna Roventini

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13Quando c’è armonia tutto sembra poesia, almeno per me è così.Armonia è anche una sensibile sinfonia, una pittura, la natura, l’universo, il creato.Tutto questo si immette in me e riesce a trasmettermi una sensa-zione di piacere. Anche quando non mi sento bene, nei periodi di crisi, credo profondamente nella vita e amo le sue sfaccettature. Si perché un’impronta d’armonia c’è sempre guardandoci intorno. La forma dà corpo e magia che si sprigiona in una sublime emo-zione. Ti prende l’anima e ti porta in una dimensione dove l’unione tra cielo e terra esiste davvero. L’armonia si fonde in una carezza, il volto diventa radioso.

Daniela Cellai

Giochi pericolosiIncontri casuali, tu che ti diverti in un gioco pericoloso dal quale non pos-so che uscirne passivamente. Lei ci sta, è una mia amica, ma tu senza fartene né qua né là ci corteggi tutte e 2: ieri mi hai dato un morsetto sul collo, poi mi hai avvicinato per un ballo erotico e mi hai detto “non ti avvicinare gioia” È sempre così:tutte le volte che vorrei far l’amore sen-za coinvolgimenti con qualcuno non posso, c’è sempre un motivo; chi è troppo coinvolto sentimentalmente, chi è mio amico da troppo tempo, e sarebbe come rovinar qualcosa di bello che esiste ormai da anni. Io che penso a tutto questo, il tempo scorre in discoteca tra gli altri te me e lei, in scherzi al limite dell’eros, a me che resisto e di tanto in tanto mi concedo un abbraccio al tuo corpo palestrato e statuario, da quanto ti avvicini per indietreggiare casco sul divano, e penso che in fondo la vita è fatta anche di questo, di gioie, paure, trepidazione del cuore che batte, di pianti, urli cose mai dette, stavolta avanzi, ed io che vuoi che faccia, retrocedo e mi stendi al muro, io ti respingo con il braccio, ma sì, lascia-mo che sia così, nel tempo che scorre tra noi 3, nella voglia che freme, nella tua semplicità, nello scendere della notte, nella tua dolcezza, nelle mie riflessioni che echeggiano in questa stanza piena di musica e di noi nello splendere della vita

Monica Sodini

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ScuolaRicordi di scuola: di quando tutti si chiamavano tra loro per nome e te, unica scema, chiamavano per cognome una distanza che ti facevano sentire così senza chiederlo…. Le cose che non di-menticherai più: passando strusciavi su un tuo compagno di classe e lui che diceva “che schifo mi hai strusciato, ora devo pulirmi con lo spirito”… quel dito della professoressa che andava su e giù tra i cognomi del registro decidendo chi interrogare tra il silenzio di tomba… ciò che non hai mai digerito:quel farti sentire diversa all’età di 14 anni perché tutte son diventate donne e tu no e tua madre preoccupata e tu che tuttora non sai spiegarti il perché, ma che avevi la sensazione che fosse colpa tua e ti sentivi diversa proprio come tutti ti vedevano…. Gli altri che ti vedevano la più brutta della scuola e non si facevano problemi a fartelo capire e tu che tutto sommato guardan-doti allo specchio pensavi dolorosamente che avevano ragione. Cose perdute e per fortuna mai ritrovate, tipo i tuoi compagni di scuola che erano a disagio o addirittura disperati perché la prof. ti aveva messo vicino a loro, e te la facevano scontare, perché in fin dei conti era solo colpa tua,…Tu che passavi in bicicletta e i tuoi compagni tutti insieme ti sputavano addosso…Il tempo che passa ed io qui che scrivendo rimembro perfettamente tutto come se non fosse passato un solo giorno, la rabbia repressa, i miei perché, la sensazione che quei professori mi avessero passata ogni volta solo perché gli facevo pena,loro che hanno sempre assistito a tutto senza mai far nulla, impassibili, anzi pensando addirittura che ero limitata e che per me non c’era niente da fare; ma perché cosa mi mancava?!!! La tristezza del mio coinvolgimento con il tutto, un minestrone di amarezza, l’orrore di quel periodo, l’aver sempre taciuto, quel tenersi tutto dentro, gli occhi gonfi dalle lacrime, le richieste d’aiuto mai fatte, l’orgoglio che era più forte di tutto, io che dovevo esse-re forte o perlomeno fingere di esserlo perché a casa non doveva soffrire nessuno pensavo tran-ne che me, i problemi che erano già troppi per aggiungerne altri, quel salvare la vita alle persone che ami… Ma tutto poi passa sembrava impossibile eppure un giorno è arrivato il sole, gli amori, la passione, i fiori di primavera, così all’improvviso, e tutto finisce, tutto riparte, il ruscello scorre. Solo a pensarci il tempo sembra fermarsi, così senza né come né dove, sono un’acqua che passa e che porta via tutto il dolore, le pasticche, il cielo azzurro, un’acqua cheta che spacca i ponti così come ho spaccato la sofferenza da sola senza dir niente a nessuno, un’acqua che trascorre sui fiori dove si posano le api che volano nel blu.

Monica Sodini

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Libertàcome un respiro a pieni polmonicome librarsi nell’aria limpidalasciarsi accarezzare dal ventodal piacere di un momento felicedalla dolcezza di uno sguardodal suono dell’acqua che scorrecarpire un attimo fuggente di pacesfiorare i petali e le foglie e l’erbauscire dal labirinto di pensieri e concedersi un respiro morbido e lieveascoltare la musica di una voce amicaraccontare la bellezza di un sognoraccattare tutta la forza disponibile per cambiare e prendere a calciil mare di bugie che ci raccontiamoosservare panorami dove lo spazio sembra non finire maie lasciare che quello spazio entri in noie che le lacrime scorrano dal cuore alla terrasenza ostacoli, senza paura

Mg

Libertà condizionamento, di essere modesti e sentirsi felici e contenti oppure essere ingordi e menefreghisti di ciò che pensano gli altri dopo aver rubato i loro averi. Davide Meconi

Io so che ti voglio bene, ieri ho pianto per te, stai sempre al mio fianco, insegnami a vivere tu che credi di non saper vivere.Il mondo è ingiusto, ma forse questa non è una verità assoluta esiste il bene come esiste il male, guardare col cuore dice una canzone, tu sei nel mio cuore e la verità forse che tu non intravedi, la saggezza che non incontrerai mai è la verità più duro per te, ma che sei sulla giusta è altrettanto vero. Ma una stella ti accompagna è la stella dell’importanza che occupi sul cuore di questa terra. Pochi sono nel giusto più di te, i tuoi occhi sono appannati dal sentimento di essere il più ingiusto, ma una cosa non esclude l’altra e se pur tu non la vedi, quella stella ti accompagnerà per sempre.

Dana

Verità

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Vacante come i miei desideri a volte vacante come una cometa a volte spenta da troppi ostacoli, la mia anima inquieta. Tanti ostacoli sulla mia strada e un appiglio poco sicuro vacante come le re-lazioni che immagino, dolci. I tuoi occhi intelligenti e le delusioni che mi si impongono da persone amate, un labirinto di sentimenti in cui non sai più dove girarti per non calpestare fiori o scontrarti contro muri insormontabili a volte inquietante il mio riposo sono sul filo d’erba che mi culla o è la tela di un ragno ciò che mi avvolge.

Dana

Vacanza

VeritàPer verità possiamo intendere ciò che ci porta a capire un ragionamento ben definito. Quante volte i nostri genitori ci hanno detto: “Ma sarà la verità tutto ciò?”. Questo termine lo usavo di più nella mia giovinezza perché, ora come ora, che abito da ben almeno vent’anni da solo, non me la porgo più perché non ho un colloquio con nessuno, tranne che con amici e colleghi di lavoro. E in quel caso è molto raro che accada. L’unica volta che mi chiedo la verità è quando vado in monta-gna e parlo con i miei abeti, i miei monti che abbracciano tutte le baite disperse tra i prati. Questa è una delle esperienze più felici della mia vita, perché lì c’è immortalata tutta la mia giovinezza.

Marco Attanasio

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Parola Le parole di una persona adulta sono più ragionate di quelle di una più giovane. Però a volte non si cresce mai e si rimane eterni bambini parlando solo di amore e amicizia come da piccoli. Le persone adulte hanno più ampio il vocabolario, anche se non hanno studiato, perché hanno l’e-sperienza. A me piace parlare, forse fin troppo, però mi rendo conto che non sono di cultura, cioè sono ancora immatura rispetto a chi sa parlare e sa quello che dice. A me capita spesso di dire tutto quello che mi passa per la testa senza riflettere su quello che devo dire. Così rischio anche di offendere una persona o fare brutte figure. Però quel che dico ha un senso logico, non sono proprio matta. Allora penso che quando non so cosa dire è meglio che stia zitta. Comunque, con la parola posso sempre rimediare i miei sbagli. Il mio dottore mi ha detto di parlare il più possibile, forse perché parlando il male va scemando. E io, non avendo nessuno che mi sopporta, parlo da sola.Io vi voglio bene e mi piace stare con voi e se avete qualcosa da dirmi ditelo subito con la parola perché non rimangano rancori. Perché io voglio stare con voi. L’amicizia e l’amore sono due cose importanti che vanno coltivate e che allo stesso tempo vengono spontanee. Mi auguro che il Si-gnore, che è il “Verbo” ci protegga.

Rossella Pifferi

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Uno specchio per specchiarsi e capire. Uno specchio per confrontare la realtà e la non realtà. Capire la tua immagine e la vita esterna. Io chi sono? Una persona come tante che si confronta con la vita.

Carmine Trillicoso

Visibile

ScuolaNostalgia dei miei ricordi, della mia infanzia quando andavo a scuola, zaini nuovi, astucci, penne e gom-me, nostalgia di quando i parenti venivano a prendere i figlioli alle elementari nei giorni di pioggia, con ombrelli trasparenti.Tanta nostalgia dei miei compagni di scuola che ora non ci sono più.

Carmine Trillicoso

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19Nell’infinito, dal nulla dal nientenasce una galassia bianca come il latte i colori delle esplosionida cui nasce la vita un miracolo della materia essendo, implodendo, frantumando, collassandoinizia la vita in minuscoli granelli unione tra granelli di polvereunione tra grani di rocce sempre più immensi nascono pianeti e stelle, dando la vita al miracolo della vitanel caos primo nasce la vita nell’ oceanofluttua, si aggrega si trasforma l’unione tra abbozzi di cellule animaliunendosi, sfaldandosi tra loro, nascono pesci, anfibi,escono alla luce del sole respirando aria adattandosida loro nascono nelle generazioni futuretramite unione, rettili che dominano il mondo ma nella nascita dell’ universo pieno di collassi e scontri per il pianeta azzurro turchese come gli occhi di una ragazza

arrivando al destino ed il tempo dei mammiferida cui nascono i primati, il genere intelligente da cui, con unione, con amore nasce il genere uomocon la sua intelligenza entra in evoluzione di milioni di annisocializzando aggregandosi avendo sentimenti forti che nascono dal profondo dell’ animadell’ io dell’ essere con amore,il sentimento che domina nelle generazioni future e per sempreanche se c’è anche la parte negativa la cattiveria, l’invidia, la gelosia che oscura in varie parti l’ umanitàspecchio dell’ animainfiniti mondi nello spazio dentro noi stessile visioni ci affollano l’intelletto formato da immagini che vengono dall’ esterno, che si riflettono entro noi stessi è formato da milioni, miliardi di cellule nell’ evoluzione del nostro pianeta,dentro ognuno di noi ce ne sono miliardi, piccoli universi riprodotti in noie si può immaginare che la terra rappresenti l’ universo intero, mettendo tutti i popoli insieme.

Massimiliano Biagini

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Una stella sorge all’ orizzonte, questa stella è la più bella del firmamento che si vede sempre. Fa luce risplende nel buio del sentimento, ti fa rinascere , star bene con te stesso, la senti più vicino che mai. Ma a volte però la senti lontana ed allora il buio ti pervade dentro e non sai dove cercare la luce. Questo è brutto, perche ti assale come non mai il nulla. Allora ti senti perso non sai dove cercare la luce della stella che risplende vicino a te, sentivi il calore che la stella ti dava, era la vita che rinasceva da dentro di te da questa stella, ma una forza misteriosa la fa allontanare. Ed ecco che ritorna il buio, l’ angoscia, la ricerca di questa stella favolosa che ti faceva stare bene. Questa stella sei tu che brilli più che mai nell’ infinito. Dal nulla dal nientenasce una galassia bianca come il latte.

Massimiliano Biagini

1M

RiflettereIl mio più bel passato è ora, proprio in questo momento, per aver conosciuto mia sorella Valentina. E ora la più bella gioia è avere lei che quando ho bisogno ho vicino. Sono molto felice ed è sem-pre nei miei pensieri e nel mio cuore, e aiuta il mio passato, quello che avevo prima.

Claudia Sargentini

ArmoniaL’armonia è una cosa bellissima, perché senza armonia si sta proprio male. Mi piace tanto que-sta parola. Per me è anche scherzare con gli amici e accettare la verità. È anche aiutare le per-sone in difficoltà e dare la nostra armonia a chi non ce l’ha.

Claudia Sargentini

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“Che cosa è stato l’amore per me in passato? Solo un sassolino gettato nello stagno.Ho vagato alla ricerca di questo sentimento per tanto tempo.Mi sentivo solo, non avevo amore nella mia vita, solo “palle infuocate”Qui l’amore dimostrato, in un bene materiale, non una carezza, mai un abbraccio, solo il peso tra me e mia madre, il suo peso.Ma cosa è la vita senza amore?”

anonimo

Madre di Katia Buffoni

“Mi hai dato alla luce in un giorno di primavera.La mia vita è iniziata con il nostro distacco; io in un ospedale e tu in un altro.sembrava già che il destino mi provasse di quelle coccole, di quelle carezze che solo una madre sa dare.Oggi riguardo il mio cammino e sento che la tua guida è stata importante per l’intercedere dei miei passi.Ti ho ritrovata, mamma, ti ho pensato con l’affetto di una figlia che ha ritrovato il suo bene asso-luto.Ogni giorno accanto a te lo vivo con gioia, nella speranza di un domani pieno d’amore.”

Amore

Laboratoriodi scrittura e

letturacondotto da Catia Buffoni

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Mi manca lo scoppiettio del fuoco che arde nel camino, l’energia che si sprigiona dalle vivide fiamme, il colore che riscalda il corpo e il cuore. Mi manca starmene davanti al fuoco guardando in silenzio con i pensieri che vagano quieti cullati dallo scoppiettio della legna che arde. È un ruolo importante quello che ha avuto il camino nella mia famiglia: intorno alui si sono scaldate mani in-freddolite, hanno gioito amici in visita, si sono entusiasmati bambini stupiti davanti a questa mera-viglia della natura, piccoli uomini primitivi davanti al dono degli dei…Mi manca… ma non è perso: è lì dove è sempre stato e posso sempre attingervi quando ho bisogno di riscaldarmi… l’anima.

Elisa Ricci

Scintilla

PaludeQuando arrivai in cima alla montagna dimenticherai la fatica fatta lungo il cammino. Riposerai all’ombra di alberi secolari e berrai a sorgenti di acqua fresca. La palude che ha rallentato i tuoi passi sarà solo un ricordo. La tua anima, ripulita dal dango che l’opprimeva rendendola pesante, brillerà sotto il sole estivo candida come neve. E allora, sarà gioia vera.

Elisa Ricci

Per raccontare e scrivere la storia della mia vita, ci vorrebbe tanto tempo e ci vorrebbe un bel libro. Leggendo libri di storia ci aumenta la conoscenza e quindi la cultura. Comunque, la storia di ognuno di noi è una cosa preziosa.

Josè Rossi

Si accompagnano giornate di fatica, anche se tu , verde montagna ogni dì mi sveli con un rovente soleil quale sembra provare piacere sulle persone toste…Cerco l’acqua sorgente di vita, ma soprattutto che desisti le persone da falsità da molto tempo infangate….

Marina Villani

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ScintillaScintilla la solitudine che cresce dentro di me con tutto me stess col il pensiero dell’amore della mia metà amore affascintate stima di desiderio del nostro cuore che batte uno contro l’altro creando scintille di amor solitario e desideroso di unirti felicemente a lui il tuo lui che poi sono io e non vedo lora che tu che mi hai dato alla luce il mio figlio Diego venga con noi per fare un’ottima famiglia di piccole stelle che scrintillano tra loro composte di amori ardenti.

David Meconi

Una rima infiammata d’amore, corre dublime nei cieli, affascinante passa come un fulmine caricando l’aria di energia e ogni volta che amicizia trova la stima e con uno scoppiettio accende un fuoco nel cuore do-nando calore al mondo.

Antonella Riu

La storia è una parola grossa per me perché è difficile mettere a posto la mia cultura certo la storia è apparsa, l’amore, per la vita e non solo, c’è anche la fantasia che mi ha aperto le porte del mondo fantastico, è fantasioso come quando cuoci una castagna che scoppia dal caldo, ora invece sto pensando al passato che ho passato a testimonaire la mia via che è stata tremenda e burrascosa per chiamare aiuto, ogni volta che cascavo dai trampoli, e per rialzarmi ci voleva una persona che mi amava in quel momento, così non mi davo per confitto, ora sono rinato per combattere il demone che è nascosto nel buio, non ho paura perché ora sono con l’anima pura e pulita dai peccati.

Saverio

Il soffio del vento che scompiglia i capelli, le onde che si scontrano contro gli scogli, le spiagge infinite che raccontano la propria storia. Il sole che risplende nel cielo infinito. La pineta che pro-fuma degli alberi in fiore. Sì, è arrivata l’estate e il mare profonfo e pulito dove la gente troverà il meritato riposo dalla ardente città.

Antonio Dragone

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MaturitàLe prime lacrime, sento il mio volto bagnarsi…Com’è difficile staccare quel cordone ombelicale …..Eppure la voglia di libertà ti prende già nell’adolescenza…L’adolescenza una parola lenta , turbolenta, lo scontro con i genitori…. Per la voglia di evadere di stare con gli amici fino a notte fonda, di tirare tardi per poi dormire la mattina fino a tardi…Ma mi chiedo e mi sono chiesta cos’è la LIBERTA’?Una crescita interiore ….Quel rafforzare e rassicurare quella bambina così fragile e impaurita che ero un tempo…..Lentamente la bambina ha lasciato spazio alla ragazzina ribelle per far affiorare una donna che mostra la sua crescita giorno dopo giorno….È difficile diventare adulti se ti mancano le basi su cui fondare la tua identità….La domanda :”IO CHI SONO?” risuona nella tua testa ogni giorno e più ti guardi allo specchio interno dell’anima più scopri pari di te che non conoscevi…. Parti alcune piacevoli altre no...Gli angoli da smussare sono tanti e allora lì nasce la lotta interiore…cedere ai vecchi impulsi op-pure rinnovarsi cercando nuove forme di vita dentro di sé…Tutto questo è consapevolezza, ma quale strada percorrere?Lasciarsi andare ….Farsi cullare dalle note dell’amore che leggi negli occhi della gente tutti i giorni e cercare di evol-vere ogni giorno di più…Verso il “bene”, verso una chiara trasparenza del proprio IOSempre più limpido e solare , sempre più aperto alla parola AMORE….

Se la parola “AMORE” corrisponde ad apertura nei confronti di se stesso e nei confronti degli altri ben venga e se la parola “LIBERTA’” significa sentirsi liberi di esprimere se stessi in qualsiasi momento , Ben Venga.

Maturità , ben arrivata…

Catia Buffoni

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TempoIl tempo scorre inesorabile, scandito dal cambiamento dello spazio e dell’essere.Quale dimensione influenza la vita al punto che ciò che in passato era, in futuro sarà?!Un attimo ti sembra un secondo, mentre un altro un’ eternità.

Non puoi domare il tempo.

giovedì 16 Febbraio 2012

RicchezzaNon si tratta di essere buoni, ma di essere bravi.Ma non ho alcun interesse per il mondo circostante.Il vero benessere è saper vivere con ottimismo anche le difficoltà.La ricchezza è una mente aperta in cui tutto entra, si confronta e si realizza.

giovedì 23 Febbraio 2012

CiviZ

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ArdoreL’aria di primavera toglie ogni forza e voglia di fare.Ogni ardore si spegne.Solo il dolce sonno attende.

giovedì 15 Marzo 2012

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photo Riccardo Romeo

In principio fu lo “sgnurf!”Sgnurf era l’unico modo in cui si esprimevano tutti, ma proprio tutti, gli uomini delle caverne.Sgnurf stava ad indicare che la cena era pronta, sgnurf per avvertire il compagno caccia che una feroce tigre dai denti a sciabola gli aveva appena azzannato il popò, sgnurf per dichiarare una forte attrazione sessuale nei confronti di qualcuna o qualcuno, e si usava sgnurf, nel caso l’in-ciucio fosse andato a buon fine, per invitare tale persona ad accoppiarsi dietro il primo cespuglio incontrato, così tanto per conoscersi meglio.Immaginatevi il casino di fraintendimenti che poteva uscirne fuori!Nella peggiore delle ipotesi, il povero uomo delle caverne poteva trovarsi ad amoreggiare con una tigre dai denti a sciabola, davanti ad uno spiedino di mammut e per giunta carbonizzato.Si sa che le tigri dai denti a sciabola non sono passate di certo alla storia per essere stata una razza sensibile ai richiami del romanticismo.Perciò per sopravvivere il povero uomo primitivo cercò di integrare all’espressione sgnurf altri suoni, e così nacquero lo sgnarf, lo sgnerf, lo sgnirf ed addirittura lo sgnorf; certo che pur avendo introdotte nuove espressioni gergali, la conversazione rimaneva alquanto limitata, anzi il dialogo somigliava più ad un concerto di rumori corporali che ad un discorso articolato.Ma un dì, Turk della tribù di Merduk, un tipetto mingherlino, dalle gambe storte, ed il naso grosso, insomma un cesso, cambiò il corso della storia.Come tutti gli eroi sfigati che si rispettino, Turk era perseguitato da Gluk, il bullo della tribù, che lo prendeva per il culo a causa del suo aspetto tutt’altro che seducente; ebbene sì, pure nell’età della pietra la mamma dell’imbecille figliava a più non posso e Gluk era veramente un campione nella categoria teste di fallo.Messo alle strette dagli offensivi sgnurf di Gluk, Turk scappò via.

In principio fu lo“Sgnurf”

di Fabiana Pacini

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28Poteva sembrare l’ennesima sconfitta la sua, invece si arrampicò sopra un alto albero, dove il peso di Gluk non poteva arrivare, e da lì gli gridò:-Tua mamma è così brutta, ma così brutta che non se la tromberebbe nemmeno un mammut in calore!Non è risaputo, vista la complessità della frase ed il piccolo cervello di Gluk, se quest’ultimo recepì l’offesa fino in fondo, ma fu certo che il bullo spaccone scappò a gambe levate urlando istericamente:-No, mamma mia no!Queste furono le ultime parole che Gluk riuscì a pronunciare; infatti il dolore per l’offesa appena fatta fu per lui così forte che cieco, sopratutto cieco, non si accorse di non avere più la terra sotto i piedi, e difatti di lì a poco si schiantò sul fondo di un crepaccio abitato da incazzatissime tigri dai denti a sciabola.Da qui nacque probabilmente l’origine del noto detto “ne uccide più la lingua che la spada”.Dall’epoca di Turk ad oggi ne è stata fatta di strada, le parole sono aumentate, mutate, evolute in una marea di infinite lingue e dialetti. Alcune lingue sono morte con le civiltà che le ha originate, altre sono figlie del progresso.Il progresso che ha portato benessere, allungato la vita, e fatto scoprire che le bibite gassate sono più buone dell’acqua corrente, sta facendo però regredire il linguaggio; qualcuno dà colpa di questa decadenza ai telefonini cellulari ed il loro linguaggio da sms, altri all’introduzione esaspe-rata di parole straniere prese paro paro da Internet, addirittura c’è chi sospetta che dietro ci sia lo zampino dei moderni social network, che tanto tempo fanno perdere a persone di ogni età con i loro giochini malefici e status accattivanti, ma più semplicemente è l’ignoranza, o meglio detta asineria, della massa che stanno impoverendo il linguaggio e le parole.Così oggi giorno si comunica in una sorta di linguaggio che molto somiglia a quello di Turk e Gluk “TTVB”, “ke”, “grz”, “qk” ed altri simili orrori sono i primi sintomi dell’epidemia che rischia di dila-gare se non vengono posti rimedi al più presto.Nel caso peggiore avremo non un’apocalisse zombie, bensì un’apocalisse linguistica, che farà ripiombare l’umanità allo sgnurf primordiale, ed all’inevitabile incasinamento connesso; così ve-dremo ragazzotti e ragazzotte allupati amoreggiare con una pantegana seduti al tavolo di un fast food.

Non ho coscienza di dove mi trovi ora e l’odore della notte a svegliarmitutto poi rivela la luce della lunatanta voglia di correre estasiati dalla luce delle stelle.

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Il titolo che ho scelto per questa raccolta di poesie è tratto da un percorso di vita che ho fatto lon-tano dalla mia vecchia casa natia, mentre ero sicura di esserci ancora, ero presente. Ho vissuto nuove emozioni ed è da ciò che mi sono calata in una dimensione di cambiamento. In questa dimensione ho pensato e penso tuttora che fra passato, presente e futuro esiste un ponte che collega i pensieri del cammino della vita, che sono poi quelli che ognuno di noi percorre, anche se diversi. E da ciò ho tratto che è importante andare avanti ed esserci. Essere vivi nel senso me-tafisico e metaforico della parola. Significa per me essere consapevoli e determinati nel sapersi distinguere nelle situazioni quotidiane, per poter far fronte alla realtà. L’alba di un nuovo sole fa ta-cere la negatività. Il cambiamento è un passaggio che fa emergere emozioni, piccole o grandi che siano, che mutano gli schemi abituali che una persona si prepone facendo parte di una società. Per vivere bene ho capito che bisogna basarsi su se stessi senza mai isolarsi, investire energie in piccole azioni quotidiane per far sì che poi diventino grandi, nutrire il proprio terreno creando ponti, non barriere in ciò che la gente comune divide per stereotipi o perché deve fare numero in società. In ciò che premetto vorrei esprimere che la vita è ricca se fatta di piccole cose che rendono felici, come per esempio divenire puro sguardo. L’osservazione di un quadro può essere bella a vista d’occhio, ma lo ancora di più se la osservo con attenzione. Ogni elemento ha infatti la sua natura per ciò che vuol significare. Nel percorso Joga che ho fatto, oltre all’osservazione, ho imparato a visualizzare le polarità, come il bianco e il nero, il nord e il sud, il pieno e il vuoto che producono calore e vivacità. Quello che ho scoperto è che la serenità,la vivacità e l’allegria sono cose se-parate, ma possono incrociarsi trovandole nei propri modi di essere. Ecco che sono emerse le virtù allo stato nascente. E queste, insite nell’uomo, per me, non devono essere intaccate dall’i-dea stessa di averle, ma liberate e ascoltate facendo scivolare ogni cosa che possa intaccarle, ritrovando così la pace della quotidianità e la leggerezza del rinnovamento che purifica, edifica rendendo vitale ed emozionante la vita.

Premessa a

Metamorfosidi Gabriella Puglisi

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Nuovi Spazi di

VitaMentre in’idea si affacciava in uno sguardoun pensiero correva via.Provarono con un’ipotesiMa pioveva troppo tempoE serviva il solePer le ombre.Qualcuno proposeQualcuno condiviseQualcuno ascoltòQualcuno fece.Sembrava un “nulla”E tutto cominciò a cambiare

G.G.

BugsNel giorno 21 dicembre 2012 ci sia-mo trovati al Teatro di Sant’Andrea per fare uno spettacolo chiamato Bugs. Abbiamo cenato alle ore 19 all’Associazione L’Alba e alle ore 20 ci siamo diretti verso il Sant’Andrea. Presentazione della presidentessa Diana Gallo del Circolo L’Alba e poi lo spettacolo con una serie di labo-ratori: La compagnia dell’amore del terzo millennio, teatro, danza natu-rale, psicomotricità, canto, perfor-

laboratorio di arti grafiche condotto da Giorgio Fornaca

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31mance di Manrico e Eugenio, Il treno dei doni, passi di tango e canzoni da Valentina Guidi (Ca-ruso) e Alessandro Romagnani (Perdere l’amore). Matteo Luschi ha ballato con gli altri alla rock house, e poi la compagnia di Viareggio. A noi è piaciuto molto.

Matteo Luschi, Alessandro Romagnani, Carlo Buffoni

Io scrivo veramente quello che è nella mia mente,Ho tante di quelle idee anch’io!Ho tanti belli, buoni pensieri anch’io.Mica quelli negativi dai.Ho anche quelle emozioni buone, belle, positive, normali.Ho anche quelle negative, è normale.Emozioni scattanti con gli scatti a scatto.Ognuno ha le sue emozioni.E va bene così. Si.

Marco Colella

Peter PanParlando tra amici fuori dal Circolo L’Alba, è venuta l’idea a Valentina Guidi di fare un laboratorio chiamato “La Compagnia dell’amore del terzo millennio”. Quando hanno attivato il laboratorio, abbiamo avuto l’idea di fare una fiaba in teatro e noi tutti abbiamo scelto Peter Pan. Tutti i mesi, una volta a settimana, di giovedì, ci incontriamo alla stazione Leopolda Per le prove di questo spettacolo e dobbiamo dire che il lavoro con le scene sta venendo un ot-timo lavoro e che i personaggi scelti dai ragazzi piacciono loro molto. Speriamo che a settembre faremo lo spettacolo al Sant’Andrea e di fare al laboratorio qualcos’altro.

Matteo Luschi, Velentina Guidi, Carlo Buffoni

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Consultare le

stelledi Maria Velia Lorenzi

Il piacere del desiderio. Un argomento che lì per lì lascia perplessi perché, al primo impatto, le due parole che lo definiscono hanno il suono dell’ argomento più battuto del nostro tempo: erotismo, sessualità e dintorni. Ma, subito dopo, ti accorgi della ricchezza del tema celato da questi due termini intriganti: quello che propongono potrebbe anche dirsi la gioia dell’aspettativa, l’esaltazione di un progetto da realizzare, l’estasi fuggevole del creare, l’aspettativa piacevole del primo sorso nella sete, e così via. C’è da dire che la parola desiderio è interessante: desiderare viene dal latino e significa cessare di contemplare gli astri a scopo augurale (de-siderare), cioè non sperare in qualcosa augurandosi che accada, ma mettersi a volerlo con forza guardandoci attorno per capire come fare ad ottenerlo. Se si desidera qualcosa, quella cosa, per il momento lontana, è per noi bellissima e il piacere sta nell’aspettativa. Ma solo se l’aspettativa c’è. Aspettare vuol dire sapere, magari anche illudendoci e sperando, che qualcuno o qualcosa arriverà. Desiderare qualcosa che sappiamo impossibile ingigantisce,si, la bellezza della cosa ma, inversamente proporzionale nell’intensità, genera sofferenza. Da piccola desideravo tantissimo un paio di scarpette a tennis (così si chiamavano allora le calzature da sport che oggi stanno ai piedi di tutti i bambini, ragazzi e non, solo che allora erano più semplici, fatte di stoffa e suola di gomma molto semplicemente). Le de-sideravo moltissimo perché i miei me le negavano non per i soldi che costavano, ma perché le dicevano insalutari: la suola di gomma non fa traspirare il piede. E avevano ragione, magari. Ma le mie amiche le avevano e il loro aspetto morbido e leggero mi affascinava. Poi, un giorno, di sicuro perché mi trovavo in monte per una vacanza di settembre con la zia e in montagna col cuoio si può scivolare facilmente, mio padre annunciò che sarebbe arrivato con le “scarpe a tennis” per me. Ed ecco il piacere del desi-derio. Aspettavo che arrivasse guardando il viottolo fra i castagni che lui avrebbe percorso per arrivare alla casa, tendevo gli orecchi perché sapevo che avrebbe “dato la voce” per annunciarsi. Le voci dal

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33monte, la teleferica per le provviste, la radio a gale-na, il lume a petrolio e ad acetilene. Di tutto ciò che c’è oggi non c’era nulla, eppure non era un secolo fa. “Apriti sesamo” era da favole, ora basta entra-re al supermercato e la porta si aprirà fiutandoti. E questo non dà piacere, come non lo dà il raggiunto telefono in ogni dove, lo spettacolo della televisio-ne e tutto il resto. Semmai non ne possiamo fare a meno, ne siamo dipendenti magari. Dava piacere pensarli possibili e desiderarli come cose magiche quando non c’erano. Mio padre finalmente arrivò: non ci crederete, ma lo vedo ancora nel verde già sfumato di giallo dei castagni a settembre, percor-rere l’ultimo tratto sotto la teleferica chiamandomi. Vedere lui, sapere che portava le scarpette tanto desiderate, riceverle, vederle, toccarle, prenderle per infilarle subito ( anche questa una novità ai miei tempi: le cose nuove erano per le occasioni, oppu-re sembrava dovessero stare un po’ lì a decantare, ad esser desiderate).......E il desiderio esaudito si trasformò in delusione: erano di una misura più pic-cole. Ebbi la promessa che me le avrebbero cam-biate e riportate subito, ma....Il desiderio di averle si fiaccò, non ci fu più quell’entusiasmo nell’attesa,

era come se le scarpe che avevo desiderato e non potevo indossare fossero diventate una parte di me che se ne andava. I bambini sono dei naturali poeti che afferrano la magia delle cose e spesso anche la loro verità. Le scarpe poi arrivarono, ma non ricor-do un particolare entusiasmo nell’averle. A volte, il desiderio di qualcosa è come il miraggio: una fonte d’acqua se hai sete, un’oasi per riposare e respira-re nel deserto infuocato: lo vedi, lo vuoi, pregusti il sollievo e il piacere, ti affanni per arrivarci e quando giungi lui si sposta più in là o sparisce, e tu non trovi che sabbia e sole. Altre volte quando lo hai esaudi-to il piacere sfuma e si appiattisce nella normalità delle cose, perché se non hai più sete non vedi più l’acqua con gli stessi occhi di quando ti mancava. E questo è un nostro limite. Se poi un desiderio rima-ne inappagato, spesso col tempo si rafforza, si tra-sforma e diventa sogno. Un luogo quasi reale dove rifugiarsi quando ci sentiamo soli, un luogo dove trovare il piacere della pace interiore. Perché solo lì la fisicità che ingabbia e limita il nostro spirito non potrà mai arrivare. Ed è così che, alla fine, torniamo a desiderare di consultare le stelle.

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“C’era una volta una ragazza di nome Chiara.Fece richiesta di poter partecipare al progetto di Servizio Civile inerente la salute mentale.Con sua iniziale sorpresa venne accettata e si ritrovò così catapultata in un nuovo mondo.Un mondo fatto di persone, di sfaccettature, di emozioni, di modi diversi di vedere le cose, di sorrisi e di speranze.All’inizio fu difficile e la cosa strana fu che non era questo mondo nuovo con i suoi abitanti a non accettare la ragazza, ma lei che era da una parte affascinata, dall’altra spaventata.Troppe emozioni tutte insieme a volte fanno paura.È stata la voglia di mettersi in gioco e i sorrisi a non farle avere paura di ciò che conosceva solo in teoria, ma anzi a spingerla sempre di più dentro questo mondo dove uno sguardo vale realmente più di mille parole.Ho iniziato con “ c’era una volta” invece direi: C’era una volta e c’è sempre una ragazza di nome Chiara che è riuscita in un anno a cre-scere e migliorarsi; imparando che bisogna aspettare e rispettare e che se uno si impegna e crede in ciò che fa in un modo o nell’altro ver-rà ricompensato.

FineServizioCivile

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La presenza di buo-ni livelli di consape-volezza emotiva si traduce in un buon dialogo prima di tut-to con se stessi e poi anche con gli altri; ciò rappresenta il primo passo verso l’autono-mia, per rispettare le proprie esigenze ed i propri bisogni quando si compiono le scelte quotidiane.A partire da queste considerazioni, si è pensato di realizzare un laboratorio innova-tivo che permettesse, da un lato, di acquisire ed affinare la consa-pevolezza emotiva e, dall’altro, di rafforza-re le associazioni tra emozioni ed immagini, oltre che tra emozioni e musica. Allo scopo di favorire un’evoluzione preci-sa delle competenze emotive dei parteci-panti, sono stati uti-lizzati i materiali più disparati e le diverse modalità sensoriali; in

particolare, si è fatto ricorso ad un diario emotivo giornaliero, che cia-scuno era tenuto a compilare, all’uso dei colori assegnati alle diverse emozioni, al disegno per rappresentare gli stati d’animo, all’espressione facciale ed al riconoscimento negli altri delle varie emozioni, alla produ-zione ed all’ascolto musicale associati alle emozioni ed alle immagini fotografate perché legate a particolari emozioni.Tutto questo, unito alla voglia dei partecipanti di apprendere insieme e collaborare, ha permesso di raggiungere degli ottimi risultati, rilevan-ti soprattutto per l’adattamento e l’integrazione sociale di persone con disabilità, nonché per la loro autonomia personale. Ciò è stato possibi-le valutarlo grazie alla somministrazione di un’intervista, dalla quale è emerso un più elevato livello di consapevolezza emotiva nel gruppo di persone considerato rispetto al livello di base iniziale.Al di là degli obiettivi raggiunti e dei metodi utilizzati per realizzarli, di certo una componente fondamentale per la buona riuscita del laborato-rio è stata la comprensione reciproca tra i membri del gruppo (conduttrici comprese), l’empatia ed il rispetto delle potenzialità di ciascuno. L’arric-chimento personale ed esperienziale, derivato da questo percorso fatto insieme, entrerà di certo a far parte di quel prezioso “bagaglio emotivo” che ognuno si porta dietro.

Emozionia scatto

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photo Riccardo Romeo

“Vorrei essere come l’acqua che si lascia an-dare, che scivola su tutto, che si fa assorbire, che supera ogni ostacolo finchÈ non raggiun-ge il mare e lì si ferma a meditare per scegliere se esser ghiaccio o vapore, se fermarsi o se ricominciare...”

Così recita una canzone di Eugenio Finardi, così voglio iniziare a raccontare la mia prima esperienza al laboratorio di Psicodramma. Ap-puntamento alle 8:30 al circolo, pulmino pronto, ragazzi in trepida attesa. All’arrivo di Francesca si parte. Non so cosa aspettarmi, non so cosa pensare, non ho mai fatto esperienze di psi-codramma, figuriamoci in acqua. Nonostante qualche resistenza iniziale la voglia di speri-mentare, di apprendere, di stare con i ragaz-zi è più forte di ogni altra cosa, così decido di partecipare. Sul pulmino l’atmosfera è serena; Andrea, Luciano, Antonio, Carmine, Matteo e Marco ogni giovedì mattina partecipano al la-boratorio, sanno di cosa si tratta e viste le loro facce sorridenti la cosa deve piacere loro mol-to. Arrivati a Quercianella (Livorno), nella splen-dida cornice del Lido e Spa Cala bianca, ad at-tenderci c’è Chiara, la psicologa che condurrà il gruppo in quest’esperienza. Dopo i saluti inizia-li, i ragazzi si cambiano, si mettono in costume e aspettano l’incontro con l’acqua riscaldati da un bellissimo sole di Giugno. Entrati in acqua,

Chiara invita tutti a lasciare i propri pensieri a casa e iniziare a rilassar-si; ci fa sdraiare sulle scalette della piscina, ci invita a chiudere gli occhi e perderci cullati dall’acqua. Appe-na siamo in una condizione di totale relax, Chiara invita tutti ad iniziare a camminare in piscina. L’obiettivo di questa consegna è ritrovare la propria ombra, perdersi nell’altro e nell’ombra dell’altro, saltare nell’om-bra altrui, ridere, essere un tutt’uno, guardarsi negli occhi e non avere paura, non temere l’altro, essere come l’acqua che penetra dovun-que, che abbraccia ogni cosa. Così il gruppo inizia a formarsi e mostrar-si nella sua bellezza. “Un incontro di due: occhi negli occhi ,volto nel volto. E quando tu sarai vicino io co-glierò i tuoi occhi e li metterò al po-sto dei miei e tu coglierai i miei occhi e li metterai al posto dei tuoi, allora

Il laboratorio dipsicodramma

di Valeria Martorano

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37io ti guarderò coi tuoi occhi e tu mi guarderai con i miei” (Moreno 1914). La sessione prosegue entrando mano per la mano in quella che Chiara in modo metaforico chiama pancia della balena, il lato della piscina coperto; pancia della balena un luogo sicuro, intimo, protetto. Che meraviglia vedere tanta gente condividere senza problemi. Che meraviglia vedere gli occhi di questi ragazzi riempirsi di vita, andare oltre i loro problemi, oltre la loro sofferenza psichica. Nella pancia della balena Chiara ci invita a creare un cerchio: abbracciarci, stringerci le mani. All’interno di questo cerchio i ragazzi sono al sicuro, uno ad uno sperimentano il trovarsi in mezzo agli altri; Chiara invita a comunicare le proprie emozioni, i propri stati d’animo, le sensazioni. Il primo è Carmine, non riesce a spiegare cosa prova,non sa cosa dire, chiude gli occhi e si rilassa completamente, senza avere paura, fiducioso negli altri si butta tra le loro braccia, galleggia in mezzo al cerchio con le mani degli altri ragazzi che lo sostengono, lo cullano, lo accarezzano, per poi risvegliarsi, aprire gli occhi e sentirsi rinato, dice di provare una sensazione di grande tranquillità, di pace. Proprio come l’acqua nella sua limpidezza e nella sua purezza, all’interno del gruppo nonostante la vicinanza anche di noi donne, nonostante il calore umano, le carezze, gli sguardi, prevale il lato affettivo sul lato più fisico e sessuale dello stare insieme a contatto così ravvicinato gli uni con gli altri. Questo momento finisce con la mano di ciascuno sul proprio cuore, perché è lì che si sentono i battiti, la vita, le emozioni, e noi di emozioni ne stiamo percependo davvero tante. Anche Matteo vuole provare a stare dentro il cerchio, chiude gli occhi, e inizia a sognare sempre protetto e amato dal calore del gruppo; appena riapre gli occhi, Chiara gli chiede di cosa si tratta, che immagine ha visto, e lui si riferisce al rapporto con i suoi nonni defunti “È come se avessi visto mia nonna!” esclama con gli occhi lucidi. Chiara incalza chiedendogli se rivede qualcuno dei suoi cari tra gli altri ragazzi e lui rivolgendosi verso Marco dice “Mia nonna” e lo abbraccia forte forte; siamo tutti lì che osserviamo quello che succede, questo abbraccio cosi vivo, Marco che sorride, Matteo che rivive il rapporto con la nonna e comunica a tutti attraverso i suoi occhioni quanto le manca, quanto è stata importante per lui. Nasce un momento di condivisione: chi lo sente con-divide le proprie mancanze, le storie delle persone che ha perso. Così dentro l’acqua fuoriesce il vissuto di ognuno, i limiti, le potenzialità, l’inconscio. Attraverso “l’inversione di ruolo” i ragazzi sono stimolati ad un incontro autentico e reciproco con l’altro, dove ognuno riesce a immaginarsi e sentirsi nei panni dell’altro.Dentro l’acqua i ragazzi non hanno paura, si divertono e al tempo stesso creano un gruppo. Il gruppo guida, aiuta, stimola. È il turno di Andrea, quest’ultimo guarda gli altri negli occhi e poi esclama ”Voglia di vivere” ecco cosa provo. Cosa c’è di più bello, di più vero e di più commovente nel sentir dire queste parole? È un’immagine tenera, è un’immagine che sa di vita. Anche Marco è felice, senza il suo bastone, senza nessuno che debba orientarlo. Anche se non vede, percepisce la bellezza della situazione, la tranquillità dei suoi amici. È felice nell’acqua, un’esperienza per lui di libertà completa, con quel suo gran bel sorriso dice che le sue emozioni sono tutte positive, che sta bene e che vorrebbe rimanere fino a sera così. Luciano e Antonio partecipano insieme agli altri, si sentono parte del gruppo, sono sereni. Dopo questo vortice di emozioni e sensazioni positive si esce, sempre mano per la mano, dalla pancia della balena, quel luogo che ha visto ognuno di noi accogliere l’altro in sé stesso. Contatto, fiducia, serenità, pace, spensieratezza, amore, gioia, libertà, queste le parole chiave di questa mattinata, queste le emozioni che sono emerse. Mi auguro che diverse persone possano conoscere questa metodologia, venire a contat-to con sé stessi e gli altri senza timore, in uno spazio, quello dell’acqua, che permette di perdersi e ritrovarsi nella totale libertà; partecipare non solo come singolo ma anche come gruppo, dove il sé di ciascuno riceve nutrimento e protezione, dove il gruppo ha una funzione ausiliaria di ogni singolo suo membro. Un ringraziamento particolare và a Chiara che con la sua grande umanità ha creato le condizioni per far accadere tutto questo, e alla mia tutor Francesca che con la sua generosità condivide con me la bellezza di queste esperienze.

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38“Ti abbraccerei anche se tu fossi un porcospino e io una bolla di sapone”

La mia esperienza continua. Secondo appuntamento con lo psicodramma in acqua. Ad accom-pagnare me e i ragazzi stavolta c’è Elisa. Pulmino al completo, pronti, partenza, via. Dopo le consuete abitudini, (saluti, costume, etc) tutti in acqua. Parola d’ordine: Relax. Il sole è diventato più forte, i ragazzi un tantino più agitati ma Chiara richiama tutti a stenderci sulle scalette della piscina e iniziare a goderci questa mattinata. C’è anche una nuova presenza con noi, Simona, una psichiatra, ma i ragazzi non sembrano infastiditi, anzi sono molto incuriositi e iniziano a farle qualche domanda, vogliono conoscerla un po’ di più. Simona si dimostra gentile e disponibile e loro apprezzano molto la cosa, anche lei è emozionata nel condividere quest’esperienza.Segue la consegna di Chiara: ”Quando vi sentite pronti iniziate a camminare in piscina. Sentitevi leggeri come “Bolle di sapone”. Leggeri e senza pensieri. Fluttuanti nell’aria. Saltellate di qua e di là e fatevi trascinare solo dalle vostre sensazioni. Inoltre quando vi sentite pronti andate incontro alle altre bolle di sapone e giocateci.C’è una bolla che si lascia trasportare dal vento, quella che gira intorno alle altre, quella un po’ bitorzoluta, quella che sceglie subito il suolo, Spiritose, vivaci, leggere, in questo momento siamo come bollicine che volano incontrando il sole. E da bolle di sapone, senza pensieri, il mondo è più bello. Nasce una bolla di sapone gigante, una di quelle che fanno vedere i maghi in televisio-ne, una di quelle che riflette tutti i colori dell’arcobaleno. Siamo noi quella bolla e via mano per la mano verso il nostro luogo sicuro: la pancia della balena.

Dentro la pancia della balena il silenzio ci avvolge, la musica dell’acqua ci culla. “La nostra ipotesi è che ciò di cui un paziente ha bisogno più di ogni altra cosa è di entrare in contatto con persone che evidentemente hanno un affetto profondo e caldo per lui, quanto più il contatto è caldo , intimo e genuino, tanto più grandi saranno i vantaggi che il paziente potrà trarre dalla scena psicodrammatica” (Moreno)Ecco di nuovo il gruppo, ecco braccia intrecciate ad altre braccia, occhi negli occhi. Formato il nostro cerchio, Chiara chiede chi vuole sperimentare la sensazione di sentirsi una pallina e come in un flipper farsi lanciare dalle mani degli altri all’interno del cerchio. Ci prova Matteo, poi Andrea, poi Antonio e alla fine si lanciano tutti a provare quest’esperienza, noi operatrici comprese. Marco ride a crepapelle, è un momento di divertimento per tutti. Successivamente Chiara ci invita a for-mare delle coppie. L’intento è farsi trascinare dall’altro in giro per la piscina, un gesto intimo, un gesto di estrema fiducia. Il calore umano che pervade è difficile descriverlo a parole. Sei lì, non puoi avere paura, socchiudi gli occhi, l’altro si prende cura di te. Bisogna rilassarsi, bisogna non pensare. Non è il momento dei pensieri, è il momento dell’altro che ci accoglie in sé, che si prende cura di noi. La sensazione condivisa è di profondo benessere. Purtroppo Simona deve lasciarci prima per motivi di lavoro, i ragazzi la ringraziano e la salutano calorosamente.Riformato il nostro cerchio è il momento dell’Io attraverso l’inversione di ruolo, la tecnica princi-pale dello psicodramma, quella che esprime con maggiore evidenza l’importanza dell’ Incontro autentico con l’altro. L’inversione di ruolo consente un duplice processo: entrare nei panni dell’al-tro per conoscere meglio ciò che egli prova, e al tempo stesso cercare di vedere sé stessi con gli occhi dell’altro, attuando un percorso contestuale di auto ed eteropercezione. “Io sono te e tu sei me, voglio sapere come ti senti, voglio sapere quello che senti. Voglio sapere cosa pensi di me. Dimmi un aggettivo che mi rappresenta”. L’invertire il ruolo può servire a vivere parti dell’altro che non si erano riconosciute in sé stessi; parti introiettate, parti riconoscibili più facilmente nell’altro che in sé. È bello vedersi con gli occhi degli altri, è bello scoprire parti del sé nascoste, intime, che aspettavano solo di vedere la luce. Il gruppo permette di percepire sé stessi, il nostro io, e questa diventa un’esperienza emozionante. E così entrando l’uno nell’altro mano per la mano usciamo dal nostro luogo sicuro e dopo questa magia torniamo alla realtà. Anche oggi i ragazzi hanno dato il meglio: Matteo sempre sveglio, percepisce ogni singola sfumatura; “la mia ombra”, lo chiama

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39Chiara. Carmine, nonostante a volte si estraniasse un po’ per godersi il bel sole della piscina, è riuscito fino alla fine a mantenersi parte del gruppo, si nota il suo grande bisogno d’affetto che emerge in tutte le sue sfaccettature, Antonio è molto attento, si preoccupa di richiamare all’ordine tutti quando sono distratti con quei suoi occhioni blu e con il suo sorriso bello e piacevole. Ha la faccia della serenità e trasmette tantissimo pur dicendo poche parole. Luciano è la tenerezza fatta uomo, aspetta di partecipare, aspetta di sentirsi parte di qualcosa e quando siamo in cerchio si nota il suo sentirsi al sicuro, la sua casa, il suo luogo protetto. Marco ride sempre, è contento e ripete “gioia, felicità, serenità” in continuazione. Che meraviglia sentirgli dire queste parole! An-drea guarda tutti con affetto, si rilassa, si gode ogni singolo momento. Anche Elisa è rilassata, ha lasciato i suoi pensieri fuori dalla piscina, il carico emotivo di questo lavoro a volte è troppo forte per poterlo gestire da sole e in questo caso il gruppo e quest’esperienza aiuta a ridurre lo stress e percepire la bellezza di quello che facciamo, di come lo facciamo. E poi ci sono io. Io torno a casa ricca, ricca della bellezza che queste mattinate portano. Ho un sorriso stampato in faccia che non riesco a togliere. Si torna alla quotidianità con qualcosa in più.

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29 marzo2013

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1 giugno2013

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In una realtà dove il sistema psichiatrico perde ufficialmente i suoi riferimenti nei macrocontesti manicomiali già dal 1984 con la legge Basaglia per porne dei nuovi sul territorio, sui microconte-sti della famiglia e sui servizi sanitari decentrati e, non in ultima analisi su una scienza chiamata “Riabilitazione”; in questo frangente di una nuova psichiatria trovano importanza non solo i ser-vizi sul territorio ma le associazioni come L’Alba, impegnate nel sociale non solo a garantire uno spirito vivo e attivo di quella che è davvero l’espressione della RIABILITAZIONE PSICHIATRICA, purtroppo molto predicata e non molto spesso praticata, ma indispensabili anche sul fronte della ricerca e della sensibilizzazione dell’opinione pubblica.Le associazioni sono infatti un elemento essenziale per la realizzazione di studi di ricerca che possano offrire un quadro più specifico e aggiornato di quello che è il sistema psichiatrico relati-vamente alle varie realtà italiane.Lo studio sull’efficacia dei gruppi di auto aiuto promosso dall’Università di Firenze e in collabora-zione con il Coordinamento Regionale dei gruppi di auto aiuto è stato realizzato infatti grazie al coinvolgimento di diverse associazioni sul territorio Regionale. I risultati sono assai positivi se consideriamo che ci troviamo di fronte ad uno studio preliminare.Come tesista mi sono occupata dell’area pisana, seguendo diversi gruppi per diverso tempo, conoscendo le vite delle persone che vi partecipavano, capendole, rendendomi utile e ricavando utilità dal vissuto degli altri… diventando io stessa un membro. Ecco quindi il requisito indispensabile per uno studio sui GAA:VIVERE I GRUPPI DI AUTO AIUTO.

Ma questa ricerca appare davvero rivoluzionaria, quindi diversa dalle comuni indagini di tipo scientifico a causa dello strumento utilizzato. Questo è infatti un questionario che prende in con-siderazione non più dati clinici ma il punto di vista dei membri per valutare l’utilità e l’efficacia percepita dai membri stessi del gruppo.Cercherò di dare di seguito una panoramica esaustiva di tutti i contenuti relativi allo studio.I gruppi di auto aiuto sono un insieme di pari , quindi di persone che non hanno tra loro alcuna

di Romina Valentina Barone

la ricercaI gruppi di auto aiuto

Da sempre l’Associazione L’Alba sostiene sia i giovani in formazione sia la ricerca, accogliendo i progetti validi e ben fatti che possano portare ad un miglioramento della conoscenza rispetto alla validità e l’effi-cacia dell’auto-aiuto, dell’associazionismo orientanto all’Empowerment degli utenti, della figura professio-nale del facilitatore sociale (Facilitatori sociali per la salute mentale: un’esperienza e una ricerca. A cura di Anna Emanuela Tangolo, Cristina Innocenti e Irene Massai. Ed. Felici.).Il seguente articolo descrive una ricerca sull’efficacia dei gruppi di auto aiuto promosso dall’Università di Firenze e in collaborazione con il Coordinamento Regionale dei gruppi di auto aiuto che ha coinvolto nu-merose associazioni regionali.Per la maggiorparte dei partecipanti ai gruppi compilare il questionario è stato un momento di riflessione e valutazione importante dell’impatto del gruppo sulla propria vita e una focalizzazione dei motivi per cui funziona per il proprio benessere personale. Inoltre è stato importante per tutti sapere che il questionario rappresenta una seppur piccola azione nella direzione di far conoscere e rafforzare l’auto-aiuto come me-todologia efficiente.

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46differenza gerarchica e dove anche il facilitatore non è visto come una figura di riferimento e nem-meno come depositario dell’autorità, ma come un membro che svolge un ruolo importantissimo di condurre le discussioni che si alternano in un GAA senza perdere di vista lo scopo di gruppo, gli obiettivi prefissi. In questo clima ognuno è helper e helped, cioè sia aiutante che aiutato e quindi può dare e rice-vere in una dimensione di reciprocità.Le prerogative in una relazione di aiuto è che si faccia leva sui punti di forza, quindi che si valo-rizzino le capacità dell’helped, i suoi talenti e perché no, anche i limiti e le divergenze rispetto agli altri. Un’altra prerogativa è l’esistenza di una causa comune, di un comun denominatore che riunisca i vari membri in termini di caratteristiche generali o di esigenze personali, affinché sia possibile una scopo di gruppo, elemento essenziale per il successo del gruppo stesso. Inoltre in un GAA la comunicazione deve essere libera e svincolata, ciò non significa che non debbano esserci limiti, infatti l’unico limite è il rispetto degli altri membri. Deve essere libera nel senso che ciascuno debba sentirsi a proprio agio nel condividere esperienze negative o successi.La dimensione di reciprocità in cui è inserita la relazione riguarda il fatto che il beneficio è tratto mediante il confronto con l’altro.Un gruppo di auto aiuto ha diverse funzioni :• permette l’instaurarsi di legami in quanto aumenta le possibilità di socializzazione e di con-

fronto favorendo lo scambio di competenze;• favorisce il senso di appartenenza , quindi è importantissimo in quanto si pone come LOTTA

ALL’EMARGINAZIONE SOCIALE.• promuove la capacità di usare intenzionalmente il proprio sé, quindi di fornire aiuto senza dare

consigli, togliendosi dalla posizione di superiorità ma utilizzando il proprio vissuto, le proprie esperienze al fine di offrire all’altro la possibilità di un altro punto di vista.

Il questionario di autovalutazione raccoglie: • notizie generali sul membro,• il rapporto di questi con il gruppo e con la figura di riferimento e con i servizi sanitari,• la valutazione del benessere soggettivo e gli obiettivi individuali,• l’azione del GAA sul raggiungimento degli obiettivi.Le scale di misurazione contenute nello strumento sono la scala di misurazione dell’Empower-ment della Dott.ssa Francescato dell’Università La Sapienza di Roma che si focalizza su tre fat-tori quali:1. La capacità di porsi e perseguire obiettivi, quindi la capacità di superare le situazioni difficili e

di raggiungere obiettivi prefissi.2. La mancanza di speranza e di fiducia: il livello di controllo dell’ambiente sull’ambiente esterno

e il livello di pessimismo/ ottimismo.3. L’interesse sociopolitico. Questo è un fattore importante in quanto è stato studiato e si può

riscontrare frequentemente in letteratura che il livello personale di empowerment si riflette anche in ambito comunitario e quindi persone con un alto livello di empowerment risultano essere impegnate anche in ambito sociopolitico.

La scala sul Supporto Sociale Percepito si focalizza su 6 fattori:1. Attaccamento agli altri.2. Integrazione sociale, quindi la capacità di inserirsi a livello sociale.3. Il valore di Rassicurazione, cioè il grado di rassicurazione che il soggetto sa darsi di fronte alle

difficoltà.4. La capacità di instaurare alleanze affidabili.5. Il bisogno di essere guidato relativamente alle decisioni difficili: GUIDA.6. L’opportunità di accudimentoLa scala sui fattori di efficacia si focalizza su 4 items:1. La responsabilizzazione in virtù di cui il soggetto si riappropria della capacità di prendersi cura

della propria salute e ciò avviene in particolar modo nella dimensione di un GAA dove si guar-da in faccia al problema e non lo si sfugge.

2. L’ identificazione. In questo caso identificarsi con i pari indica lo status di appartenenza di cia-

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47scuno e quest’aspetto aiuta a combattere anche lo stigma verso la malattia stessa.

3. Scambio di informazioni e di consigli4. Lo scambio amicale Il campione da noi esaminato comprende 62 soggetti, membri dei GAA psichiatrici dell’Associa-zione L’Alba di Pisa. L’età media è di 46 anni e il campione è di prevalenza maschile. Circa la metà ha un’occupazione ma la quasi totalità (75,8%) non è coniugato.Abbiamo chiesto ai soggetti di dare una definizione della propria malattia ed è emerso che quasi tutti sapevano definire il proprio problema.Le diagnosi autoriferite sono state raggruppate in 4 classi dove vi è una prevalenza disturbi bipo-lari. La maggior parte dei membri ha dichiarato di avere una durata di malattia alta o molto alta.La figura di riferimento per l’80,7% dei casi è lo psichiatra, il 12,9% si rivolge allo psicologo, mentre vi è una minima parte (3,2%) che è rappresentata dal medico di famiglia e un altro 3,2% che dichiara di non avere alcuna figura di riferimento. Il servizio di riferimento è per più del 50% rappresentato dal CSM.Questi dati riferiscono che il paziente sa come fronteggiare la malattia in quanto sa dove e a chi rivolgersi.Tramite il questionario, abbiamo chiesto ai pazienti quante volte si rivolgessero alla figura di rife-rimento prima e dopo l’inserimento al gruppo e abbiamo notato che pur non perdendo il contatto con la figura di riferimento, la richiesta di visite si è abbassata leggermente, probabilmente perché proprio la condivisione della malattia con gli altri, il parlarne con chi ha lo stesso problema o un problema molto simile viene percepito dai soggetti come una sicurezza maggiore.Calcolando una media delle volte dei ricoveri dei vari membri abbiamo visto che dopo l’inserimen-to questa cala di quasi 11 volte. La media relativa al numero di volte di ricovero prima del gruppo era di 3, 69 mentre dopo è di 0,34. Più del 60% risulta avere una frequenza regolare al gruppo, questo è sicuramente un dato impor-tante per valutarne l’utilità. Ma un dato fondamentale a riguardo è quello che abbiamo preso in considerazione per valutare il coinvolgimento di ciascuno, infatti è risultato che il 61% dei soggetti oltre a ricordare l’anno dell’inserimento ricorda anche il mese, ossia considera quella data come emblema di una svolta nella propria vita.Su una scala che va da 1 a 10 i pazienti hanno valutato il peso del disagio nella propria vita e questo peso risulta dalle medie essere notevolmente alto se si considera il peso del disagio in generale (8,32), mentre invece vediamo che il peso del disagio appena prima dell’inserimento al gruppo è di 7, 32, cioè lievemente calato, probabilmente perché il soggetto che ha una moti-vazione ad entrare in gruppo ha una speranza e a volte una volontà di migliorarsi e questo è da considerarsi comunque un passo avanti. Dopo l’inserimento invece la media è calata in maniera notevole, siamo scesi a 5,48.La percentuale dei pazienti che risultano migliorati dopo l’entrata nel gruppo è di 38 soggetti (61,29%), cioè più della metà; il 24,2% risultano stazionari e il 14,52% peggiorati.Dei 62 soggetti che costituiscono il campione 12 svolgono il ruolo di facilitatori. I facilitatori dei gruppi sono ex utenti che dopo un percorso personale di crescita e di formazione possono con-durre il gruppo. Dal test ANOVA, col quale abbiamo confrontato relativamente ai fattori i gruppi diagnostici, non emergono differenze significative data la scarsità del campione ed essendo que-sto uno studio preliminare.Le differenze significative emerse mediante test A NOVA e confronto di Bonferroni riguardano invece l’utilità del gruppo al raggiungimento degli obiettivi da parte dei membri che al momento dell’inserimento avevano obiettivi da perseguire, un lavoro su se stessi da fare (che poteva es-sere una necessità di socializzare, una voglia di guarire o più semplicemente una volontà di fare un’esperienza utile ad una crescita personale), questi tre gruppi sono stati confrontati con quei soggetti che al momento dell’inserimento non avevano obiettivi personali, ma hanno accettato di partecipare alla riunioni perché sollecitati esternamente dai servizi (questi sono soggetti ai quali è stato proposta più volte la possibilità di entrare a far parte di un gruppo di autoaiuto o di svol-gere altre attività dell’associazione per il semplice fatto che stare a casa avrebbe comportato dei rischi maggiori). I soggetti sollecitati non hanno raggiunto obbiettivi rispetto a coloro che avevano

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48prospettive al momento dell’inserimento. Qui entra in gioco il fattore importantissimo della volontà per cui in questo caso si parte sempre dal volere affrontare il proprio disagio per riuscirvi. Il gruppo di auto aiuto non può quindi essere utile a chi non ha motivazione.Altre differenze significative riguardano il confronto mediante test di Student relativamente ai fat-tori delle scale tra facilitatori e membri.Le differenze per la scala dell’efficacia riguardano la responsabilizzazione e l’amicalità. Per la scala sull’ empowerment le differenze significative riguardano il fattore «mancanza di fiducia in se stessi e nel futuro» che noi per convenienza abbiamo definito “SPERANZA”. Riguardo la scala del supporto sociale percepito la differenza significativa riguarda il totale dei valori sui fattori della scala e in particolare del fattore opportunità di accudimento.Riteniamo sia un successo che un facilitatore, ex utente mostri una crescita significativa relativa a questi ambiti in quanto ciò dimostra il successo del gruppo, l’efficacia di un gruppo che ha accom-pagnato il soggetto al pieno raggiungimento dei suoi obiettivi, aumentandone la capacità di rela-zione e di responsabilizzazione, quindi di conoscenza verso se stessi e di capacità di prendersi cura della propria salute; contribuendo alla sua visione positiva verso il futuro e quindi aiutandolo a crescere relativamente alla facoltà di poter offrire aiuto.Abbiamo potuto osservare grazie a questo studio l’efficacia percepita dai membri dei gruppi di auto aiuto. Il calo dei ricoveri dopo l’inserimento, un aumento dell’accettazione della malattia e la percezione di un minor peso del disagio offrono un quadro significativamente positivo riguardo l’efficacia per-cepita dai membri del gruppo di cui sono parte.Essendo uno studio preliminare manca un confronto post hoc.La scelta di uno strumento di autovalutazione è risultato essere la modalità più idonea a racco-gliere informazioni relative alla dimensione dell’auto aiuto che non prevede la presenza di alcun professionista, che non permette quindi “l’analisi” e “l’indagine” ma “l’esperienza condivisa”e “il confronto”.Questa scelta presenta però i suoi limiti: infatti i dati mancanti o anche diverse risposte relative al numero di ricoveri o alla diagnosi non sono dati clinicamente testati ma autoriferiti. Questo comunque non inficia con le aspettative dello studio che mira a valutare l’efficacia del gruppo dal punto di vista soggettivo del paziente, dato indice di successo di realtà a volte scono-sciute ai più come quella dell’auto mutuo aiuto che viene invece portata avanti dal 2006 dall’As-sociazione L’ALBA di Pisa.Questa indagine andrà avanti allo scopo non solo di offrire un quadro sempre più preciso di quella che è la percezione di efficacia dei gruppi da parte dei membri ma anche allo scopo di promuo-vere la realtà dell’auto mutuo aiuto, soluzione efficace contro l’isolamento e il fronteggiamento della malattia e utile soprattutto a migliorare l’accettazione della patologia e quindi ad offrirsi come ponte per ottimizzare sempre più i rapporti tra servizi e utenza.

Colgo l’occasione per ringraziare il mio carissimo Professore Alessandro Lenzi, un punto di riferi-mento importantissimo per la realizzazione di questo studio e non da ultimi la Presidente dell’As-sociazione Diana Gallo e tutti gli utenti psichiatrici.

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“L’essenza dei confini, l’assenza di confini: la Psichiatria tra vecchie e nuove frontiere” è stato il tema della VI edizione delle Giornate Pisane di Psichiatria e Psicofarmacologia Clinica 2013. Il meeting annuale, che ha riunito oltre 500 specialisti provenienti dalle Università, dalle aziende sanitarie, dalle strutture territoriali e dalla formazione, ha consacrato Pisa come capitale della Psichiatria italiana e internazionale. L’appuntamento medico scientifico è stato presieduto da Liliana Dell’Osso, professore ordinario di Psichiatria dell’Università di Pisa e direttore dell’Unità operativa di Psichiatria dell’Aoup, e da Giovanni Cioni, professore ordinario di Neuropsichiatria infantile dell’Università di Pisa. Tra gli ospiti L’Alba, con la ricerca “ABITARE LA VITA percorsi di autonomia sociale”. Riportando un’esperienza umana di reale emancipazione degli utenti e di costruzione e mantenimento di una salda rete collaborativa e funzionale tra servizi del territorio, istituzioni e associazioni, il poster scientifico de L’Alba è stato classificato secondo su quattro.Il problema più gravoso nella psichiatria non è la cura della malattia, per cui esistono farmaci relativamente efficaci, ma il “dopo”, quando il paziente deve riprendere in mano la sua vita. Il do-micilio assistito (supported/supportive housing) è una forma di supporto riabilitativo il cui impiego trova indicazione in svariate condizioni, da quelle sociali a quelle più propriamente cliniche. Al momento attuale l’abitare supportato è una modalità operativa innovativa che si stà diffondendo

Abitare la

la ricerca vita

di C. Di Vanni, E. Fazio Gelata, F. Raimondi, D. Gallo, V. Panova Associazione L’ALBAC. Rossi Azienda USL 5 Pisa, A. Lenzi Università degli Studi di Pisa

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C. Di Vanni, D. Gallo, E. Fazio Gelata, F. Raimondi, V. Panova Associazione L’ALBA C. Rossi Azienda USL 5 Pisa, A. Lenzi Università di Pisa

Il problema più gravoso nella psichiatria non è la cura della malattia, per cui esi-stono farmaci relativamente e�caci, ma il “dopo”, quando il paziente deve ripren-dere in mano la sua vita. Il domicilio assi-stito (supported/supportive housing) è una forma di supporto riabilitativo il cui impiego trova indicazione in svariate condizioni, da quelle sociali a quelle più propriamente cliniche. Al momento at-tuale l'abitare supportato è una modali-tà operativa innovativa che si stà di�on-dendo in Italia. Il progetto “abitare la vita” si propone, mediante l'o�erta di vita in gruppi appartamento, di miglio-rare l´inclusione sociale, l´autonomia, la qualità di vita di soggetti con disturbi psichiatrici, disabilità intellettiva e/o dif-�coltà sociali. Lo scopo della ricerca “abi-tare la vita” è quello di valutare i livelli di autonomia in persone con disturbi psi-chiatrici ed evidenziare di�erenze tra persone che vivono in appartamenti supportati (prima e dopo l'inserimento) e con persone che vivono in situazioni di assistenzialismo (con i familiari, in RSA, in casa famiglia o comunità terapeuti-che).Sul bisogno di evitare il rischio di istitu-zionalizzazione o re-istituzionalizzazio-ne degli utenti, “bisogna passare dalla responsabilità sanitaria a quella sociale, passando necessariamente per l’inserimento lavorativo e per i gruppi appartamento”

CONCLUSIONI

Nel confronto tra i due gruppi (appartamenti e controllo), si evidenzia un livello di autono-mia maggiore all'interno del gruppo apparta-menti; in particolar modo i fattori denaro, salute, regole risultano maggiori in maniera molto evidente rispetto al quadro complessi-vo del gruppo controllo.

Nel confronto tra prima T0 e dopo T1 l'inserimento in appartamento, la media del punteggio ai fattori è aumentata di 4 punti; in particolare i fattori denaro, igiene, regole risultano aumentati in maniera più evidente rispetto al quadro complessivo.

ABITARE LA VITApercorsi di autonomia sociale

BIBLIOGRAFIA

Maurizio Bacigalupi, fonte: Redattore SocialeAA.VV. (2013) Appartamenti verso l'autonomia, abitare la vita. Ass. L'ALBA, Pisa

sponsored byA S S O C I A Z I O N E

l ‘ a l b aG.

A.A.

Bias di questo studio: numero basso dei casi, stru-mento di valutazione in corso di validazione, unicità dell'esperienza, variabili legate all'organizzazione dell'associazione L'Alba che si avvale di volontari, psicologi, tecnici della riabilitazione e facilitatori so-ciali.

Tenendo conto dell'alto costo delle strutture resi-denziali, il vivere in appartamenti supportati, si è di-mostrato essere una modalità riabilitativa più e�-cace di altre a costi nettamente inferiori.

Questi dati dimostrano come i pazienti siano realmente in grado di vivere autonomamente, come la pratica stabilisca cambiamenti signi�cativi che migliorano anche la qualità della vita dei soggetti. La pratica e l'esperienza che soltanto in un percorso di vita autonoma l'utente ha l'opportunità di esperire. Prendersi cura del proprio aspetto, avere a cuore il proprio stato di salute, decidere di con-dividere e rispettare regole per il benessere comune e gestire in maniera autonoma le proprie risor-se economiche sono fattori positivi stimolati dalla convivenza e che aumentano esponenzialmente più di quanto non accada a persone che vivono in situazioni di assistenza

METODOLOGIA

Pazienti a�etti da disturbi psichiatrici sono stati inseriti (previo Progetto Indi-vidualizzato condiviso con l'utente e i Sevizi del territorio) all'interno di gruppi appartamento residenziali, con monitoraggio settimanale. Nel corso dell'inserimento e dopo un anno, sono state e�ettuate valutazioni mediante un Questionario per la Valutazione dell'Autonomia (QVA).

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51in Italia. Il progetto “abitare la vita” si propone, mediante l’offerta di vita in gruppi appartamento, di migliorare l´inclusione sociale, l´autonomia, la qualità di vita di soggetti con disturbi psichiatrici, disabilità intellettiva e/o difficoltà sociali. Lo scopo della ricerca “abitare la vita” è quello di valuta-re i livelli di autonomia in persone con disturbi psichiatrici ed evidenziare differenze tra persone che vivono in appartamenti supportati (prima e dopo l’inserimento) e con persone che vivono in situazioni di assistenzialismo (con i familiari, in RSA, in casa famiglia o comunità terapeutiche).Sul bisogno di evitare il rischio di istituzionalizzazione o re-istituzionalizzazione degli utenti, “bi-sogna passare dalla responsabilità sanitaria a quella sociale, passando necessariamente per l’inserimento lavorativo e per i gruppi appartamento”Pazienti affetti da disturbi psichiatrici sono stati inseriti (previo Progetto Individualizzato condiviso con l’utente e i Sevizi del territorio) all’interno di gruppi appartamento residenziali, con monito-raggio settimanale. Nel corso dell’inserimento e dopo un anno, sono state effettuate valutazioni mediante un Questionario per la Valutazione dell’Autonomia (QVA). Nel confronto tra i due gruppi (appartamenti e controllo), si evidenzia un livello di autonomia maggiore all’interno del gruppo appartamenti; in particolar modo i fattori denaro, salute, regole risultano maggiori in maniera molto evidente rispetto al quadro complessivo del gruppo controllo. Nel confronto tra prima T0 e dopo T1 l’inserimento in appartamento, la media del punteggio ai fattori è aumentata di 4 punti; in particolare i fattori denaro, igiene, regole risultano aumentati in maniera più evidente rispetto al quadro complessivo.Tenendo conto dell’alto costo delle strutture residenziali, il vivere in appartamenti supportati, si è dimostrato essere una modalità riabilitativa più efficace di altre a costi nettamente inferiori.

Questi dati dimostrano come i pazienti siano realmente in grado di vivere autonomamente, come la pratica stabilisca cambiamenti significativi che migliorano anche la qualità della vita dei sogget-ti. La pratica e l’esperienza che soltanto in un percorso di vita autonoma l’utente ha l’opportunità di esperire. Prendersi cura del proprio aspetto, avere a cuore il proprio stato di salute, decidere di condividere e rispettare regole per il benessere comune e gestire in maniera autonoma le proprie risorse economiche sono fattori positivi stimolati dalla convivenza e che aumentano esponenzial-mente più di quanto non accada a persone che vivono in situazioni di assistenza

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Un libro per

di Ilario Luperini

sorridere epensare

Un libro che affronta e sviluppa argomenti mol-to seri in modo molto divertente, grazie a una scrittura agile e penetrante, sostenuta da una incommensurabile dose di raffinatissima ironia. Un libro sugli usi e gli abusi delle parole che farebbe tremare i polsi a chiunque si volesse cimentare nell’agone di un puntuale, seppur breve commento. Poiché, però, la sua lettura mi ha affascinato e divertito pagina dopo pagi-na, mi avventuro nel farlo, chiedendo venia per l’ardimento.Già nell’impostazione Piero Paolicchi ci offre una scanzonata chiave di lettura: è un serrato confronto tra l’immaginario Autore del mano-scritto e il chiosatore, il dotto estensore delle note, di volta in volta chiarificatrici, esplicative, rafforzative. Un amorevole dialogo tra il fittizio estensore del testo (l’Autore con la A maiusco-la, s’intende) e il Dottor Aulete Farei, Accade-mico dei Siglologi Anagrammatici, Membro INVALIS e 1ACP, Specialista in IFT (I-Factor Theory). La garbata e acuta presa in giro delle paludate sigle dietro le quali tutto il sistema del-la comunicazione e dell’informazione ha preso l’abitudine di nascondersi per avvalorare qual-siasi presunta verità, ci dà conto delle modalità secondo le quali Paolicchi intende sviluppare i suoi ragionamenti. Ragionamenti, considera-zioni e riflessioni che è assai disagevole para-frasare, data la precisione, l’appropriatezza e la puntualità con cui sono condotte. Sarebbe suf-

ficiente e oltremodo efficace commentare il te-sto estrapolando, uno di seguito all’altro, i passi che appaiono più significativi; operazione, pe-raltro, altrettanto ardua considerata l’unitarietà e la compattezza dei vari capitoli e la indiscuti-bile consequenzialità delle argomentazioni.Un libro sugli usi e gli abusi delle parole che appare quanto mai opportuno in un contesto culturale come quello in cui ci muoviamo. In un testo di qualche anno fa, ma ancora attua-lissimo (La cultura degli italiani, 2004)), Tullio De Mauro ci avvertiva che “….cinque italiani su cento tra i 14 e i 65 anni non sanno distinguere una lettera dall’altra. Trentotto lo sanno fare, ma riescono solo a leggere con difficoltà una scritta e a decifrare qualche cifra: trentatrè superano questa condizione ma qui si fermano: un testo scritto che riguardi fatti collettivi, di rilievo anche nella vita quotidiana, è oltre la portata delle loro capacità di lettura e di scrittura, un grafico con qualche percentuale è un’icona incomprensibi-le”. Sono dati che mettono in forse il funziona-mento delle strutture democratiche. Sono molti anni che si discute sulla realtà sostanziale di una democrazia: basta dire che si svolgono li-

Le letture de L’Alba

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53bere elezioni per essere certi che questo sia un paese democratico? Ma come la mettiamo se questo sistema è esercitato in condizioni di analfabetismo diffuso, di diffusa incapacità di valutare i programmi?Lorella Zanardo (Senza chiedere il permesso, 2012) ne trae la conseguenza che per essere com-presi è necessario adeguare la nostra comunicazione. Ciò non significa depauperare il nostro linguaggio e rendere i messaggi semplicistici, bensì lavorare incessantemente con l’obiettivo di contribuire, ognuno nella sua dimensione e sul suo terreno, a innalzare il livello di consapevo-lezza e di cultura delle persone. Piero Paolicchi lo fa con precisione e competenza. Ecco uno dei numerosi, possibili esempi. Nel capitolo “Malesseri del linguaggio”, prendendo con ironia a prestito espressioni mediche, si chiede quale sia la causa di una recente epidemia a espansione rapidissima, quella del “piuttosto che” al posto di un semplice “o” con significato non avversativo, ma semplicemente elencativo. Dovrebbe sembrare strano – afferma – sentir dire che dovremmo mangiare cavoli piuttosto che insalata e piuttosto che carote se ci stanno consigliando di mangia-re verdure in genere. E ci avverte, un po’ preoccupato, che organizzare e gestire le comunicazioni diventa la forma più sottile, morbida, mite, di esercizio del potere, tanto più efficace quanto più le fonti di informazione sono monopolizzate da pochi, e il riscontro diretto della loro veridicità sempre più difficile, sia per la complessità dei problemi da affrontare, sia per la carenza o falsificazione delle informazioni.Un libro da leggere per sorridere e pensare, accostamento oggi purtroppo sempre più raro.

Piero Paolicchi, Detto Fatto. Sugli usi e gli abusi delle parole, Pisa, ETS 2012. Euro 10

Nobeldi Daniele Luti

Jorge Amado, Chimamanda Ngozi Adichie, Tiziano Terzani, Roberto Ridolfi, Vargas Losa, Enzo Biagi, Eamon De Valera, sir Roger Casement, Adonis, Katherine Mansfield, Tomas Transtromer, Leone Tolstoi sono solo alcuni degli scrittori e dei personaggi storici con i quali, o direttamente, o, per ovvi motivi anagrafici, spiritualmente, Nino Nardi parla, discute e riflette in questo suo lavoro che vibra di libridine, per usare un neologismo coniato dalla sofisticata Annalisa Bruni. Già, per-ché il dato saliente è che il testo in questione riflette un lungo amore e una lunga fedeltà per l’arte dello scrivere e per il sapere, per chi riesce a giustificare, attraverso il libro e la cultura, la missione dell’uomo sulla terra: lottare per uccidere senza pietà quella minorità che l’essere umano non può che imputare a se stesso. Il nostro giornalista - letterato entra nei dedali luminosi dei suoi interlocutori e chiarisce, appro-

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54fondisce i punti caratterizzanti la loro idea dello scrivere e del rapportarsi al mondo, producen-do però una sua propria idea della scrittura e del messaggio culturale. Che poi è quello che ci si aspetta da chi si rifiuta di essere lettore passivo per diventare comunicatore critico e per conferire all’opera affrontata quell’arricchi-mento a cui è destinata nel suo muoversi nel mondo. Diceva un grande esegeta d’arte che il tondo Doni non è solo quello che vediamo, ma anche l’insieme delle emozioni che ha pro-dotto su chi l’ha potuto contemplare. Nino sa viaggiare negli spazi sempre “roccafortali” della letteratura guidato dalla sua curiosità intelligen-te e dal suo delicato senso dell’agire critico, evi-tando, proprio come gli dice Terzani durante un loro incontro , “la superficialità, la ricerca dell’ef-fetto, la menzogna”. Fra l’altro, la capacità di raccontare i suoi personaggi non è affidata solo alla riflessione sulle loro biografie e sulle cose che hanno scritto, ma anche a quelle pennella-te vigorose che mettono in risalto la loro fisicità e il loro vitalismo: in alcuni casi,Nino si affida alle posture, al corpo, alla mimica espressiva (gli “occhi incantatori, liquidi” di Terzani; Amado “signore corpulento”; la “voce stentorea” di Lui-gi Russo; il “tono amaro” di Enzo Biagi), in altri, anche alla costruzione linguistica che emerge durante le sue interviste o il raccontare (le di-vagazioni, i”palinfraschi” di Roberto Ridolfi; il “meticciato linguistico” di Jorge Amado). Ma in-teressante è anche la scelta che Nino ha fatto per rendere omogeneo il suo lavoro, per giusti-ficare la galleria dei suoi artisti, così diversi tra loro, per impegno ideale, per scelte estetiche, per collocazione nel tempo storico e nella di-mensione geografica, per l’alternarsi di scelte assolute quali la linearità o la metaletteratura: sono tutti legati a quella dialettica, che implica nostalgia e curiosità, il vivere nella propria me-moria i luoghi ancestrali e l’altrove. Il trait d’union che lega personaggi così diversi per stile, per immaginario, per senso della co-scienza storica, è, infatti, la capacità di coniu-gare due elementi fra di loro opposti, di dare vita a quella coabitazione creativa che si può chiamare sineciosi, termine coniato da Fran-co Fortini per definire la scrittura di Pier Pao-lo Pasolini: il senso profondo delle radici, per il paese, per la propria lingua e l’azzardo del

viaggio, il desiderio di conoscere altri mondi e altre vite. Quelli che vivono nel libro di Nardi sono spesso uomini dai molti viaggi, dalle tan-te fughe, dalle mille avventure, ma tutti con il pensiero del nostos, del ritorno: Amado, esiliato dal suo pese, cacciato dalla Francia, rifugiatosi in Cecoslovacchia,riposa nella sua Bahia, nel giardino della sua casa; Terzani, dopo una vita raminga, dagli USA alla Germania, alla Cina, al Vietnam alla Cambogia all’India, muore a Or-signa, sull’Appennino tosco-emiliano, e le sue ceneri sono parte di quei boschi e di quei prati, sono parte della natura; Biagi è tornato nella sua Pianaccio, e potrei continuare. In fin dei conti, tutto questo è dentro il sistema letterario fin dall’inizio, fin da quando qualcuno si è mes-so a raccontare l’uomo, la vita, il nostro “vagar breve”Nobel, quasi Nobel, non Nobel che, oltre tutto, è scritto in maniera strepitosa (linearità, geo-metria sintattica sobria, capacità di passare in modo disinvolto dalla riflessione critica all’a-neddoto, dal paesaggio al dialogo, dalle con-siderazioni personali alle citazioni) è un testo fondamentale anche per la capacità dell’autore di raccontare il dietro le quinte di molti eventi culturali e della sensibilità degli scrittori, degli intellettuali presi in esame. Penso che possa essere utile soprattutto per i giovani perché, leggendo quello che Giovanni Nardi ha scritto, potrebbero capire meglio le ragioni che stanno dietro a ogni impegno culturale e comprende-re che non si scrive perché è carino, perché è un modo per dare vita alla propria fantasia o per esprimere il proprio narcisismo, ma perché quella del raccontare è una delle attività che fanno parte della nostra diversità rispetto alle altre creature della Terra, è un modo per onora-re il nostro esser qui dentro un mondo comples-so e possibilmente da capire. Ecco tutto que-sto, e Nardi ce lo fa intuire molto bene, implica la fatica e molto spesso qualche rischio.

Giovanni Nardi, Nobel, quasi Nobel, non Nobel. Incontri di un cronista delle lettere, Pisa, Felici Editore, 2012

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55dui sensibili quale Sara è. Oltre alla continua perplessità, almeno negli anni della giovinezza poco più che adolescenziale, di fronte alle sem-pre tormentose scelte della vita che corre verso la maturità e la “casalinghitudine” sentita come serenità a volte molesta e come rovesciatasi sul tedio. Insomma, tutte qualità positive ne-cessarie a tutte le scritture che tendano alla perfezione dell’arte letteraria. E non mancano momenti di grande efficacia emotiva ma anche lievemente visionaria, oppure capacità di veri strappi di collera tutt’altro che superficiale. Per fare degli esempi: Sara passeggia nel giardino del condominio e osserva i cespugli mai acca-rezzati da mano umana ma solo dalle «ceso-ie del giardiniere», con una sorta di pietà per il mondo vegetale; Nick, paralizzato, vorrebbe capire se qualcun altro ha preso il suo posto nel cuore di Sara, ma lei aveva imparato a ca-pire: «Come capire altre domande poste nelle domande, i significati dei silenzi…» e ancora: «Allora fu presa da quella sorta di voluttà, esal-tante malvagità generata dal dispetto e rispo-se: “Sì, va tutto bene” godendo il sapore acre della bugia». La mesta e tragica altalena degli stati d’animo in questa storia di un impossibile amore è accompagnata da una naturale e velo-ce abilità stilistica impegnata allo spasimo sulla descrizione dell’oscillare e trasformarsi dei toni di voci e di espressione dei volti. Ma, nell’ani-mo di Sara, ormai adulta e madre di famiglia accanto ad un marito sempre a lei vicino in un rapporto di saldo e reciproco amore, c’è anche un bisogno insopprimibile di libertà, ma libertà d’azione in favore degli altri. Una sorta di vo-cazione missionaria che appartiene all’autrice, ispirata tuttavia ad un laicismo operante, che non tradisce l’altra forte vocazione alla scrittu-ra. Che le riesce di solito alla perfezione, solo a volte facendo sentire un certo impaccio, o meglio uno sforzo spontaneo ma non sempre riuscito di trovare, insieme alla estrema cor-rettezza del linguaggio, un’asciuttezza da non confondere con la “grinta” pur necessaria in certi momenti dell’intera vicenda, che non sono quelli della normalità urbana, ma quegli altri di una non facile resa poetica dei rapporti fra personaggi “minori” forse non sufficientemente caratterizzati: in questi rari casi di insufficien-za espressiva per la ripetizione di frasi fatte del

Franuvolecon ipiedi per

terra

di Luca Canali

Con questa sua seconda prova narrativa Maria Velia Lorenzi Bellani si avvia a diventare una delle scrittrici più interessanti dell’attuale pano-rama letterario italiano. Ha qualità notevoli di fondo: una evidente capacità di penetrazione psicologica (asse portante di questo breve ro-manzo, con la sua vicenda centrale dell’amore naturalmente contrastato di Sara, la protagoni-sta, per Nicola, un giovane con la metà inferiore del corpo paralizzato da un incidente di moto-cicletta), un forte impegno morale che molto di rado scade nel facile moralismo dei sentimenti altruisti, la delicatezza e precisione stilistica nel descrivere le cose d’amore e persino del sesso, la capacità di cogliere nei più semplici fenome-ni naturali (il mormorio della sottile pioggia o il rombo dei tuoni) che spesso determinano ma anche modificano gli stati d’animo degli indivi-

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Il Progetto Silvano Arieti è stato premiato all’interno del Concorso letterario Comunità di Salu-te Mentale “Storie di ordinario vicinato” promosso dalla Società Cooperativa Sociale ASAD e dall’Associazione Editori Umbri. La premiazione si è tenuta presso la sala Cerp all’interno della Rocca Paolina nel Centro Storico di Perugia, le ragazze protagoniste attive del progetto, con grande soddisfazione, hanno ritirato la pergamena, attualmente incorniciata all’interno del ristorante dell’Associazione L’Alba.È stato, inoltre, pubblicato un volume all'interno del quale, il nostro progetto Nuovi Spazi di Vita: Silvano Arieti, compare nella sezione divulgazione scientifica.Anche in questo caso, l'umanità, la concretezza, l'audacia e i sorprendenti risultati sulla qualità della vita, correlati alla progettualità de L'Alba, si sono messi in evidenza all'interno di eventi che abbracciano e raccolgono esperienze diverse. Tutto questo conduce, come sempre, ad attivare valide relazioni in rete con l'associazione per cui, qualche giorno fa, gli organizzatori dell'evento perugino e rappresentati dell'associazione Editori Umbri, sono stati insieme a noi a Pisa, per ve-dere e conoscere dal vivo l'associazione L'Alba e lo stabilimento balneare Big Fish.

discorrere quotidiano, l’Autrice rischia, ma subito autocorrettasi, di apparire banale. E riprende subito il volo narrando fatti che nascono dalla personale esperienza in un laboratorio di scrittura che tiene da tempo all’interno de L’ALBA, una Associazione per persone mentalmente segnate che usufruiscono, da parte dei soci fondatori, fra i quali Maria Velia Lorenzi Bellani, di incontri di auto-aiuto e laboratori di arte-terapia. Questi ultimi consistenti nel chiamare e guidare nel campo dell’arte in genere e, nel caso dell’autrice di questo libro, nella pratica della scrittura creativa at-traverso la conoscenza e il potere della parola.

Maria Velia Lorenzi Bellani, Nuvole, Titivillus ed., Corazzano, 2012, pp. 111, € 13,00.

Storiedi ordinario

vicinatodi Francesca Raimondi e Chiara Di Vanni

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Io sono Agostini Domenico, dipendente di Mamma Piaggio dal lontano 10 aprile 1995, cosa di cui sono tuttora orgoglioso. Mi dovete scusare ma è sempre stato il mio sogno lavorare alla Piaggio.L’Associazione L’Alba mi ha aiutato a ripartire dopo una vita vissuta in un modo sbagliatissimo, di eccessi di ogni tipo, eccetto la droga e il gioco d’azzardo.Sono stato sposato per 12 anni, ho due figli stupendi di 20 e 15 anni e mezzo, di cui vado molto fiero e a cui voglio immensamente bene.Sarebbe troppo lunga da raccontare la storia di tutti gli eccessi che ho compiuto, fondamental-mente per l’abuso di alcool e per un disturbo bipolare con tendenza ad esaltarsi quando le cose andavano bene e a deprimersi malamente quando le cose andavano male. Dopo mille traversie di questa vita sregolata mi sono trovato un giorno a perdere veramente tutto, compresi gli affetti più cari, che sono fondamentali per l’esistenza di un essere umano.Durante il periodo di sregolatezza ho avuto ogni sorta di bene materiale, con l’indole rivolta a sperperare ogni sorta di bene per appagare ogni mio desiderio di piacere, con il risultato, alla fine, di finire anche in carcere perché, avendo fatto abuso di alcool, non sono riuscito a controllare le mie reazioni, facendo venire fuori il lato peggiore di un essere umano: l’aggressività. In parole povere c’è stata una lite familiare per motivi di soldi, di cui scusatemi ma non mi va di parlare oltre.Avendo fatto due anni, otto mesi e quindici giorni di carcere al Don Bosco di Pisa ho capito che avevo toccato veramente il fondo, che era il bivio della mia vita, che era più facile andare ancora più a fondo, perché non c’è mai fine al peggio.Mi sono fatto forza e ho resettato me stesso, sono voluto ripartire con direttive veramente giuste, indipendentemente dal risultato che avrei avuto, perché dovevo dimostrare ai miei figli che il loro padre voleva cambiare e lottava per questo. Non dovevano avere un ricordo di un padre abba-stanza negativo, perché quando ero sposato non sono stato una nullità come padre. Ma quando l’alcool aveva il sopravvento su di me dimenticavo di essere un marito e un padre di famiglia.Dopo questi due anni, otto mesi e quindici giorni e un percorso di rieducazione veramente otti-mo, di cui devo ringraziare in prima istanza me stesso e tutta l’organizzazione educativa del Don Bosco, L’Alba per me è stata veramente una nuova alba di rinascita. Sembra un gioco di parole ma è la verità.Miracolosamente sono riuscito a rimanere dipendente Piaggio, la cosa che più mi stava a cuore, e da questa importantissima vittoria ho gettato le basi per essere una persona migliore, per met-

Letterea L’Alba

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58tere in atto il fatto di avere imparato dagli sbagli del passato. Ho capito qual è la cosa più importante e lo dico a tutti voi: è l’affetto, veramente sincero e disin-teressato, che una o più persone possono avere verso di voi. Bisogna capire fondamentalmente che per vivere una vita veramente piena e sana bisogna es-sere equilibrati. Equilibrati vuol dire non esaltarsi quando tutto va bene e non deprimersi troppo quando tutto va male.Ora io vi sto parlando da lavoratore: bisogna cercare sempre, per creare un mondo migliore, bello e buono, di fare la produzione del buonsenso dalla mattina fino alla sera quando ci si addormenta. Tante volte, in certe situazioni, verrebbe voglia di comportarsi in modo istintivo. È molto difficile ma fondamentale non farsi prendere dall’ira per essere persone che veramente hanno il controllo della loro vita e dimostrare di aver imparato dagli sbagli. Ricadere negli stessi errori vuol dire che non abbiamo capito niente dai nostri sbagli. I nostri sbagli, i nostri errori sono una scuola per imparare a essere migliori.E, ringraziando Dio, ho conosciuto una donna veramente bravissima, buona, comprensiva ma anche autoritaria, per potermi aiutare e capirmi.Io dico: cercate di imparare dai vostri sbagli, non usate mai violenza gratuita, ma cercate di ca-pire che vivere una vita piena vuol dire prima di tutto essere in sintonia con sé stessi, sennò non possiamo essere in sintonia con gli altri.Vi dovete stimare per quello che di buono avete fatto, per porvi dei traguardi importanti. Poi, se non li raggiungete, non vi dovete deprimere, perché avete fatto il massimo per arrivarci.Vi avreste dovuto deprimere se aveste avuto il rammarico di non averci provato con tutte le vostre forze e di non sapere mai se ce l’avreste fatta o no.Con questo io saluto in particolar modo la dottoressa Diana Gallo, veramente una persona spe-ciale, carismatica, comprensiva, e dico a tutti voi: usate sempre la diplomazia, in ogni istante della vostra vita, e fate della vostra vita un percorso in cui prevalga sempre su di voi il ragionamento e mai l’istinto.

Domenico Agostini

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I sapori popdi Valeriana

di Valeriana Ammannati

PENNE SALSICCIA E MELANZANEricetta per 4 persone400g di pomodoro1 melanzana1 peperone rosso (grigliato in formo e poi tenuto in un sacchetto di carta per poterlo utilizzare spellato)150g salsicciapeperoncino1 bicchiere di vino bianco1 cipolla1 spicchio di aglio senza bucciafar imbiondire la cipolla poi unire la salsiccia sbricio-lata e rosolaresfumare il vino e aggiungere le melenzane a dadini, il peperoncino e il peperone scottati spellati e tagliati a listarelli.Mescolaere,fare insapo-rire 5 minuti,aggiungerei pomodori l'origano sale pepe far bollire 20 minuti coperto.Prima di spengere aggiungere aglio e prezzemolo.

PETTO DI POLLO CON RUCOLA EBESCIAMELLARicetta per 4 personePetto di pollo per 4800g tagliato a fettine sottili,aglio tre spicchi,rosmarino,un pacchetto di besciamella ( meglio se fatta in casa )Un mazzetto di rucola,olio,sale.pepe.Far scaldare l’olio con aglio e rosmarino,far rosolare le fettine di polloda entrambe le parti,aggiungere sale,pepe,la besciamella,la rucola,all’occorenzaun pochino di brodo,tappare e far cuocere circa 8 /10 minuti.

I sapori etnodi Marco

di Marco TelescaPAPPARDELLA SCAMPI CARCIOFI ALPROFUMO DI GORGONZOLAricetta per 1 persona

due matassine di pappardelle3 scampi1 carciofo crudo tagliato filangè3 pomodorini pachino10 gr di gorgonzola1 cucchiaino di aglio tritato 1 cucchiaino di burro 1 cucchiaino di basilico1 bicchiere di brandy

Soffriggere aglio basilico e pomodorini nel bur-ro, dopo aggiungere carciofi e scampi. Sfiam-mare il tutto con il brandy facendolo così con-sumare, aggiungere un bicchiere di acqua e il gorgonzola fino al crearsi di una crema. Cuo-cere le pappardelle e unire una volta cotte alla salsa creata passandole in padella.

SPAGHETTO AL BATTI BATTIricetta per 1 persona

1 batti batti da 300 gr circa100 gr di spaghetti1 noce di burro5 pomodori pachino1 cucchiaino di aglio tritato 1 cucchiaino di basilico tritato 1 bicchiere di brandy

Soffriggiamo l’aglio il basilico e i pomodorini nel burro.Prediamo il batti batti e lo tagliamo dalla testa verso la coda, lo mettiamo nella padella del sof-fritto con la carne a contatto con la padella e il guscio in alto. Far rosolare tutto per un paio di minuti e aggiungere il brandy creando la fiam-ma. Una volta esaurita aggiungere il bicchiere di acqua e continuare a far cuocere un paio di minuti.Far cuocere gli spaghetti e aggiungere il sugo.

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A S S O C I A Z I O N El ’ a l b aG.

A.A.

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