Ilya Prigogine e Isabelle Stengers, -...

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Ilya Prigogine e Isabelle Stengers,La nuova alleanza - recensione di I.Calvino (1980)

Il caso e la necessità, il libro di Jacques Monod (1970),era teso in un’affermazione fiera e disincantata della so-litudine dell’uomo, straniero all’universo. Nessuna leggedella natura avrebbe potuto prevedere l’origine della vi-ta nè la catena degli avvenimenti evolutivi estremamente“improbabili” che hanno portato fino all’uomo; ma le vieaperte dal caso - indifferente ad ogni finalità - scorro-no tra le ferree pareti della necessità fisica e biologica,anch’essa indifferente a chi ne profitta e a chi ne ricevedanno. Da ciò l’atteggiamento di tragica dignità neces-sario ad affrontare la caduta da un antropocentrismo chenon era che illusione all’assoluta marginalità che è il no-stro posto tra le cose. Scriveva Monod “L’antica alleanzaè rotta: l’uomo sa finalmente d’essere solo nell’immensitàindifferente dell’universo nel quale è emerso per caso”.

Esattamente dieci anni dopo, un altro libro di filoso-fia e storia della scienza esce in Francia e si annunciacome un avvenimento della portata di quello di Monoda cui risponde: ne è autore un premio Nobel di chimi-ca (russo di nascita, belga d’adozione) insieme ad unasua collaboratrice: essi dicono che Monod ha tratto conperfetta lucidità e rigore le conseguenze filosofiche dellascienza classica, intesa a stabilire leggi universali d’unanatura vista come meccanismo semplice e reversibile; mala prospettiva della scienza d’oggi è cambiata, e concentrala propria attenzione su processi irreversibili che, sempregenerati dal caso e dalla necessità, mettono in gioco lenozioni di struttura, di funzione, di storia.

La visione di Monod non viene corretta nei suoi pre-supposti ma nelle sue prospettive: “l’irreversibilità è fon-te d’ordine, creatrice d’organizzazione”; dunque il mondomacroscopico e umano non va visto come una eccezionemarginale nell’universo dell’immensamente grande e del-l’immensamente piccolo. In questo senso si può stabilirequella che gli autori chiamano, fin dal titolo del libro, “lanuova alleanza”.

La termodinamica (da cui fino a ieri ci venivano gliannunci dell’ineluttabile morte dell’universo, del trionfodell’entropia, della degradazione d’ogni energia in caloresenza ritorno) oggi, attraverso “la scoperta dei processid’organizzazione spontanea e delle strutture dissipative”

si dichiara in grado di spiegarci come le organizzazioni piùcomplesse, cioè le forme del mondo vivente, non sono unaccidente della natura ma si situano sulla sua via maestra,sul tracciato del suo sviluppo più logico.

La Nuova Alleanza è un libro di storia della scienza einsieme di scienza nel suo farsi (particolarmente i capitolisulla termodinamica e sull’«ordine per fluttuazioni», cheaffrontano pure studi tuttora in corso) ma è anche unamediazione appassionata sull’uomo e l’universo, che rifiu-tando la separazione tra le “due culture” intesse fittamen-te in uno stesso discorso le vie aperte dagli scienziati e ledomande dei filosofi; non solo, ma non considera estraneeo lontane le vie battute dalla poesia.

Ora, devo dire che la mia prima reazione quando vedole enuciazioni d’uno scienziato inclinare verso il “poetico”è un moto di diffidenza; uno dei primi punti fermi dellanostra (o almeno della mia) educazione intellettuale vuo-le infatti che la scienza ci si presenti col suo volto piùburbero e disadorno; se dai risultati del suo impassibileprocedere salta fuori quella che sarà da me consideratauna suggestione poetica, la saluto come benvenuta, madevo essere io a scoprirla; se è la scienza stessa a dirmi:“hai visto come sono poetica!” io non ci sto, anzi ho unareazione di rifiuto. Qui con Prigogine che in margine alledimostrazioni più serrate fa scorrere un’evocazione com-mossa d’orizzonti vertiginosi dovrei mettermi in guardia,mobilitare tutte le mie diffidenze e allergie: invece no,mi pare di riconoscere il suono di qualcosa di solido chesorregge il discorso, qualsiasi sia il suo involucro retori-co. Senza pretendere di entrare nel merito d’una materiatroppo lontana dalle mie competenze, come lettore nonprevenuto e disponibile devo dire che La Nuova Allenza èun libro di storia della scienza appassionante e che spiegachiaramente connessioni e distinsioni e svolte che si ten-dono a sottovalutare, e come libro di filosofia non si puòleggere senza che lasci una traccia.

Il punto di partenza di Prigogine è la separazione cheavviene con Newton tra mondo umano e natura fisica, dauna parte “il mondo in cui vivamo, amiamo e moriamo”,il nostro habitat fatto di qualità e percezioni e intenzio-ni, e dall’altra il mondo della quantità e della geometria,delle leggi e matematizzabili, la natura vista come mac-china, la natura regolare e armoniosa ma irreparabilmente“stupida”. Tra i più bei capitoli del libro sono quelli sullarivoluzione newtoniana e la nascita della scienza modernaincontro di tecnica e teoria che sarebbe stato impensabile

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al tempo dei Greci, per i quali i termini stessi “macchina”e “meccanica” implicavano inganni tesi alla natura, e lascienza escludeva la manipolazione, cioè l’esperimento.

L’esperimento è “arte”, interrogatorio capzioso della na-tura, messa in scena (fino all’esperimento che avviene sol-tanto nel pensiero, come i treni e gli ascensori dei ragio-namenti i Einstein). Galileo, che esclude dai suoi interessii perché di Aristotele per concentrare la sua ricerca sulcome, vuole raggiungere la verità glibale della natura ,scritta in linguaggio matematico, unico per tutti i feno-meni e prova di una omogeneità del tutto. Nelle originidella scienza occidentale non sono da escludersi le riso-nanze teologiche: l’idea di un dio legislatore il cui verbo(matematico) s’incarna nella natura ed è razionalmen-te intellegibile per l’uomo. Un accordo diventa prestopossibile ta gli scienziati - in nome dell’universalità dellinguaggio matematico - e i teologi . in nome dell’onnipo-tenza della legge divina. Leibniz resta solo a sostenere lamolteplicità dei mondi e a tendere l’orecchio a mille “vocimatematiche” diverse.

L’atomismo lucreziano, scienza del caso e delle collisio-ni, cede a poco a poco il campo all’idea d’attrazione cheNewton aveva tratto dai suoi smentiti interessi alchimisti-ci. Nonostante le contestazioni di Diderot che reclamavaun sapere centrato sul vivente (“Vedete quest’uovo? Ba-sta questo per rovesciare tutte le scuole di teologia...”),l’edificio trionfante della scienza del Settecento si reggesulla dinamica di Newton, che sarà poi estesa da Laplacea sistema universale. Nel mondo di Laplace “semplice elimpido, senz’ombra nè spessore... l’uomo, in quanto abi-tante partecipe d’un divenire naturale, è inconcepibile...è il residuo d’un’opacità totale”. Un tale mondo, di cui ildemone che Laplace ipotizza sarebbe in grado di calcola-re avvenire e passato partendo dall’osservazione del suostato in un istante qualsiasi, “non è altro che un’immensatautologia, eterna e arbitraria, necessaria e assurda tantoin ciascun dettaglio quanto nella sua totalità”.

Kant capovolge la situazione solo apparentemente: èl’uomo in quanto soggetto trascendentale che impone lalegge alla natura attraverso la scienza, mentre a montedella scienza la filosofia riprende la sua antica meditazio-nesul destino umano; in realtà è proprio con Kant che,confermata la distinzione tra scienza e saggezza, scienzae verità, viene sancita la separazione tra le “due culture”.

A questo punto, gran colpo di scena. 1811: nasceuna scienza matematicamente rigorosa ma completamen-

te estranea al newtonismo, la scienza del calore, contem-poranea e partecipe della rivoluzione industriale. Nel-la fisica, d’allora in poi, coesisteranno due universali, lagravitazione e il calore. Filosofi e scienziati, da AugusteComte a Helmholtz, cercheranno di superare la loro anti-nomia. Il principio di conservazione dell’energia sarà as-sunto come unificatore della sciena in modo da recuperareun’immagine equilibrata e tranquillizzante dell’universo.Ma “altri, come Nitzsche, percepivano l’eco smorzata d’u-na natura creatrice e distruttrice, di cui la scienza avevadovuto ben riconoscere la potenza per soffocarne il cupofragore”.

Lo spettacolo delle macchine termiche, della caldaiarosseggiante delle locomotive dove il carbone brucia sen-za ritorno perché si produca del movimento era già di perse stesso abbastana eloquente. “Messuna macchina ter-mica rstitutirà al mondo il carbone che ha divorato”. Lascienza del calorre introduce nell’armonico mondo new-toniano la freccia del tempo, lìirreversibilità, la perdita.“L’ossesione dell’esaurimento delle scorte e dell’arresto deimotori, l’idea d’un declino irreversibile traducono certoquesta angoscia prorpia del mondo moderno”.

Tra la tecnologia e la cosmologia non c’è che n passo,che sarà compiuto da Clausius nel 1865, col concetto dientropia. Proprio mentre le scienze biologiche e le scienzedella società e della cultura definivano un’evoluzione versola complessità crescente e l’amplificazione delle innovazio-ni, la termodinamica prometteva dissipazione dell’ener-gia, irrecuperabilità delle condizioni iniziali, evoluzioneverso il disordine.

Ho riassunto e parafrasato metà del libro di Prigoginee Stengers, fino al suo punto di suspence più drammatico.C’è una seconda metà in cui si risale dall’abisso informedella dissipazione del calore e si procede, se non verso unlieto fine, verso una logica in cui la organizzazione degliessere viventi, l’uomo e la sua storia non sono affatto ac-cidenti estranei. Meno facilmente riuscirei a riassumerequesti capitoli, data anche la complessità tecnica dell’ar-gomentazione. Ma il discorso di Prigogine passa conti-nuamente - talora nella stessa frase - dalla formula allariflessione del filosofo, magari quello che meno ci s’atten-de d’incontrare in quel contesto; di modo che anche illettore abituato a frequentare esclusivamente una delledue culture può ritrovare il filo ogni volta che gli sfugge.

Tra queste citazioni di filosofi, mi pare “faccia notizia”il fatto che un autore che da anni non si sentiva nomi-

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nare se non con sufficienza e ripulsa, Bergson, viene quiconsiderato con molta attenzione, come colui che ha con-statato il divorzio più completo tra scienza e spirito” maanche come colui che ha rivolto alla scienza una criticache ora la scienza sta facendo prorpia.

Più o meno inattesi affiorano ogni tanto nomi dell’at-tualità filosofico −letteraria francese. Tra questi, un po-sto di tutto rilievo, che testimonia un dialogo assiduo enon occasionale, viene dato a Michel Serres, l’autore diHermes ou la communication, l’interprete di Leibniz e diLucrezio. E non a caso è stato Michel Serres a salutaresu “Le Monde” la pubblicazione della Nuova Alleanza conuna prosa carica di untusiasmo lirico e densità di sape-re che potremmo definire lucreziana, e soprattutto d’unottimismo quale non si sentiva da tempo.

“Gli universalisti d’una volta avvertivano la legge mo-rale solo nelle notti di bel tempo: circostanza piuttostorara sulle rive del Baltico”, scrive Michel Serres. “Final-mente si fa giorno su cose che io non posso prevedere,come non posso prevedere me stesso. Solo una pietra,un astro, uno sciocco possono essere, talvolta, prevedibi-li. Finalmente si fa giorno su un mondo circostanziale,differenziato, rischioso, improbabile, altrettanto concre-to, variopinto, inatteso, e sì, bello, quanto quello che iovedo, sento, tocco, ammiro”.

No, non saremo soli, “la Repubblica”, 3 Maggio 1980.

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