ILNOSTRO PAZIENTE AAL CENTRO DI TUTTO · logico, pneumologico, nefrologico e infettivo e, una volta...

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Periodico di informazione Riservato ai medici e agli operatori sanitari Ottobre 2012, Anno 9 - N 26 In questo numero: L’importante servizio del pre-ricovero chirurgico 2 Il Day Hospital oncologico di Monza a misura di paziente 4 Aneurismi dell’aorta Toraco-addominale: analisi degli approcci chirurgici open e ibrido 6 La chirurgia laparoscopica nelle neoplasie renali 9 Il trattamento chirurgico delle recessioni gengivali 13 I L NOSTRO PAZIENTE AL CENTRO DI TUTTO A febbraio è partita in via sperimentale al Policlinico di Monza ed entro ottobre verrà estesa a tutte le strutture del Gruppo sanitario Policlinico di Mon- za. Stiamo parlando della nuova attivi- tà di pre-ricovero operatorio volta ad una sempre maggior sicurezza e serenità del paziente che sarà al centro di indagini accurate e personalizzate al fine di valutare il suo generale stato di salute e di rischio pri- ma dell’intervento chirurgico. Si tratteranno poi altri importanti temi come l’avvio del Day Hospital onco- logico all’interno dell’Istituto di Oncologia del Poli- clinico di Monza volto ad un sempre maggiore servi- zio e sostegno per i pazienti che combattono contro patologie difficile e invalidanti come i tumori, per passare all’argomento sul trattamento degli aneurismi toraco-addominali in un’attenta disamina che metterà a confronto l’approccio delle tecniche Open e Ibrida. Spazio poi alle nuove tecniche urologiche di approc- cio chirurgico in laparoscopia della Clinica La Vialar- da di Biella e all’intervista al nuovo Direttore Sanita- rio della San Gaudenzio di Novara. A chiudere que- sto numero ci pensano due articoli dedicati al tratta- mento delle recessioni gengivali all’interno dell’Isituto Clinico Universitario di Verano Brianza e la testimo- nianza dell’esperienza di volontariato in Uganda di un’equipe di coraggiosi operatori sanitari del Gruppo. Buona lettura. Il Presidente Dott. M. De Salvo

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Periodico di informazioneRiservato ai medici e agli operatori sanitari

Ottobre 2012, Anno 9 - N 26

In questo numero:L’importante servizio delpre-ricovero chirurgico 2Il Day Hospital oncologico di Monzaa misura di paziente 4

Aneurismi dell’aortaToraco-addominale:analisi degli approcci chirurgiciopen e ibrido 6

La chirurgia laparoscopicanelle neoplasie renali 9Il trattamento chirurgicodelle recessionigengivali 13

IL NOSTROPAZIENTEALCENTRODITUTTO

Afebbraio è partita in via sperimentale alPoliclinico di Monza ed entro ottobreverrà estesa a tutte le strutture delGruppo sanitario Policlinico di Mon-za. Stiamo parlando della nuova attivi-

tà di pre-ricovero operatorio volta ad una sempremaggior sicurezza e serenità del paziente che sarà alcentro di indagini accurate e personalizzate al fine divalutare il suo generale stato di salute e di rischio pri-ma dell’intervento chirurgico. Si tratteranno poi altriimportanti temi come l’avvio del Day Hospital onco-logico all’interno dell’Istituto di Oncologia del Poli-clinico di Monza volto ad un sempre maggiore servi-zio e sostegno per i pazienti che combattono contropatologie difficile e invalidanti come i tumori, perpassare all’argomento sul trattamento degli aneurismitoraco-addominali in un’attenta disamina che metteràa confronto l’approccio delle tecniche Open e Ibrida.Spazio poi alle nuove tecniche urologiche di approc-cio chirurgico in laparoscopia della Clinica La Vialar-da di Biella e all’intervista al nuovo Direttore Sanita-rio della San Gaudenzio di Novara. A chiudere que-sto numero ci pensano due articoli dedicati al tratta-mento delle recessioni gengivali all’interno dell’IsitutoClinico Universitario di Verano Brianza e la testimo-nianza dell’esperienza di volontariato in Uganda diun’equipe di coraggiosi operatori sanitari del Gruppo.Buona lettura.

Il Presidente Dott. M. De Salvo

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Spitalul Monza

Centru Cardiova

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L’ATTIVITÀ DI INDAGINEDEL PRE-RICOVERO CHIRURGICO

Affrontare un intervento chirurgico, anche ilpiù semplice, è sempre fonte di ansia e stressper il paziente. Il timore dell’anestesia, dieventuali complicazioni o l’insorgenza diproblemi improvvisi durante la fase operato-ria spesso non rendono serena la persona chedeve sottoporsi all’operazione.Con il sistema del pre-ricovero il pazienteche deve affrontare un intervento chirurgicodi qualsiasi natura ed anche in day surgery,viene sottoposto ad accertamenti accurati eapprofonditi per valutare il suo generale statodi salute. Questa fase preliminare gli permet-te di sentirsi più sicuro, più seguito e di dimi-nuire notevolmente il suo stato di stress pre-operatorio. Accanto alle implicaziondici con-fort del paziente poi, vi sono anche vantaggidal punto di vista clinico ed organizzativadell’ospedale.Ne parliamo con il Dott. Clemente Ponzetti,coordinatore sanitario del Gruppo Policlinicodi Monza ed estensore della nuova proceduradi pre-ricovero dell’intero Gruppo.

Come è nata la nuova procedura del pre-ri-covero chirurgico?“Partendo da modelli esistenti sviluppati dacardiologi e pneumologi – spiega il dott. Pon-zetti - sono state pensate e create delle schedeche aiutano il medico del pre-ricovero a defi-nire e certificare in maniera omogenea lo statodi rischio del paziente che deve sottoporsi adintervento. Le schede permettono al medicodel pre-ricovero di avere tutti gli strumenti perdecidere, alla fine della rilevazione, come agirea seconda del livello di rischio riscontrato.

Questa pratica è attiva al Policlinico di Monzada febbraio, a marzo ha raggiunto anche lestrutture di Ivrea e Aosta ed entro la fine diottobre verrà attivata anche nelle restanti cli-niche di Novara, Biella, Vercelli e Alessandria.Questa attività è altresì attiva allo SpitalulMonza, struttura clinica del Gruppo recente-mente inaugurata a Bucarest”.

Quante sono le schede di valutazione del ri-schio?“Sono quattro e monitorano il rischio cardio-logico, pneumologico, nefrologico e infettivoe, una volta compilate, entrano a fare partedella cartella clinica del paziente”Come viene informato il paziente della pro-cedura del pre-ricovero?“Al paziente che deve sottoporsi ad interven-to chirurgico – continua il dott. Ponzetti –viene consegnata una lettera in cui viene spie-gata in maniera dettagliata la pratica del pre-ricovero e dove vengono illustrati tutti gli stepdiagnostici che dovrà affrontare. L’informa-zione corretta e trasparente del paziente e lavalutazione del potenziale rischio clinicopresente all’atto del pre-ricovero, sono uni-versalmente considerate attività capaci di mi-gliorare i percorsi assistenziali garantiti nelricovero presso la struttura sanitaria, mi-gliorando la sicurezza, standardizzando larisposta clinica ai problemi di salute del pa-ziente e garantendo così la tracciabilità degliatti assistenziali messi in atto”.

Perché si effettua il pre-ricovero?“Il pre-ricovero è un momento di grande rilie-vo, regolamentato da indicazioni del SistemaSanitario Nazionale, che consente di effettua-re in un’unica soluzione e preliminarmente alricovero ospedaliero, gli accertamenti clinici estrumentali che sono necessari per la defini-zione dello stato di salute del paziente in rap-porto all’intervento chirurgico prospettato”.

Come si svolge il pre-ricovero?“E’ necessario che siano effettuati gli appro-fondimenti necessari per certificare in modoaccurato la presenza delle condizioni che per-

UN MOMENTO FONDAMENTALE PER LA SICUREZZA DEL PAZIENTE

IL PAZIENTE CHE DEVE AFFRONTAREUN INTERVENTO CHIRURGICO DI QUALSIASINATURA, VIENE SOTTOPOSTO AD ACCERTAMENTIACCURATI E APPROFONDITI PER VALUTAREIL SUO GENERALE STATO DI SALUTE. QUESTA FASE PRELIMINARE GLI PERMETTEDI SENTIRSI PIÙ SICURO

IL DOTT. CLEMENTE PONZETTI,COORDINATORE SANITARIODEL GRUPPO POLICLINICODI MONZA, CHE HA SVILUPPATOIN PRIMA PERSONA IL SISTEMADI VALUTAZIONE DEL RISCHIONEL PRE-RICOVERO

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Operativa di Medicina Generale oltre che aiconsulenti delle altre Specialità coinvolte nelprocesso di pre-ricovero , limitatamente allafunzione suddetta. Il caposala degli ambula-tori è invece quella figura di coordinamentodi tutte le attività infermieristiche e ammini-strative di supporto ai medici operanti nelservizio. Infine la referente Amministrativa-Responsabile del Servizio di pre-ricovero è lapersona che si interfaccia con la responsabiledelle prenotazioni dei ricoveri alla qualecompetono incarichi di raccolta e custodiadei documenti sino al termine della giornatain cui il paziente effettua il suo percorso dia-gnostico prima dell’intervento”.

Cosa succede se al termine degli accerta-menti pre-operatori il paziente presenta unrischio sopra la media?“Se a completamento della visita di pre-ri-covero comparisse la presenza di un poten-ziale rischio clinico emerso dalla compilazio-ne delle apposite schede che danno come ri-sultato un punteggio medio/alto capace sia dideterminare un approfondimento del per-corso diagnostico e sia di condizionare il rico-vero nel suo complesso, la caposala apporràsulla cartella clinica la lettera “R” e avvertiràl’anestesista che a sua volta dovrà organizzareuna riunione collegiale per valutare la situa-zione nella sua completezza. L’approccio in-tegrato dei diversi specialisti medici garanti-sce al paziente di poter beneficiare di un’ana-lisi multidisciplinare della propria patologia edel relativo rischio clinico in una visione disanità moderna e dipartimentale.”Quali sono i vantaggi di questa nuova pro-cedura del pre-ricovero?“Avendo a disposizione un’anamnesi comple-ta del paziente nel momento del ricovero-conclude il dott. Ponzetti - questo comportail grande vantaggio di diminuire i tempi di ri-covero e quindi ridurre i tempi di degenza delpaziente, con tutti i benefici per quest’ultimoche farà ritorno al proprio ambiente famiglia-re in un periodo più breve rispetto a quantoavveniva in precedenza. Non ultimo, special-mente in un periodo economico delicato co-me quello che il nostro paese sta attraversan-do, il grande vantaggio dell’ottimizzazionedei costi sociali per i ricoveri ospedalieri. Delresto più il ricovero è breve e soprattutto pri-vo di complicanze, minore è il costo socialeche il Sistema Sanitario Nazionale deve sop-portare”.

mettano la prosecuzione dell’iter chirurgicoipotizzato. Al pre-ricovero il paziente vienesottoposto innanzitutto ad un prelievo delsangue per le analisi ematologiche previste,dopodiché è la volta dell’esame elettrocardio-grafico che potrà, nel caso, essere intergratoda un approfondimento cardiologico. A que-ste attività potranno seguire, se previste dalprotocollo, eventuali radiografie. Segue quin-di la visita medica generale e infine la visitaanestesiologica al termine della quale lo spe-cialista conferma, o meno, la possibilità per ilpaziente di sottoporsi ad anestesia”.

Quanto dura il pre-ricovero?“Il paziente è impegnato dalle ore 8.00 delmattino sino al primo pomeriggio. In base allivello di rischio con cui il paziente viene in-quadrato nelle quattro diverse schede di valu-tazione, si applicano i criteri decisionali pro-pri della fascia di rischio d’appartenenza chepossono prevedere anche visite specialistichedi approfondimento. È fondamentale che ilpaziente collabori attivamente affinchè il me-dico del pre-ricovero venga a conoscenza ditutte le informazioni circa il suo stato di salu-te. La conoscenza di problemi anche appa-rentemente non importanti, può risultare digrande aiuto sia per scegliere durante il rico-vero il metodo di intervento e di assistenzapiù sicuri, sia per porre in essere i comporta-menti più adatti alle sue condizioni di salute”.

Chi si occupa della procedura del pre-rico-vero?“Il Coordinatore medico del servizio di pre-ricovero è il Responsabile dell’Unità Operati-va di Medicina, mentre la corretta regolaritàdel servizio è assicurata dai medici dell’unità

UNA PAZIENTE A COLLOQUIOCON IL MEDICOIN FASE DI PRE-RICOVERO

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IL PROF. EMILIO BAJETTA PRESENTAIL DAYHOSPITAL ONCOLOGICO

È attivo da settembre 2012 il Day HospitalOncologico del Policlinico di Monza. Al Pa-diglione Villa i pazienti oncologici bisognosidi cure e trattamenti possono trovare un am-biente accogliente dove sottoporsi alle pro-prie terapie in totale tranquillità e con i com-fort di una vera e propria camera di degenza.“Quando il trattamento terapeutico supera le3-4 ore – spiega il Prof. Emilio Bajetta, Diret-tore dell’IDO (Istituto di Oncologia del Poli-clinico di Monza) – al paziente viene fornitoun servizio di Day Hospital. Ciò significa cheavrà a disposizione una camera confortevolecon un letto per potersi sdraiare, una televisio-ne per distrarsi e passare il tempo più veloce-mente e un bagno privato. Gli ambienti, cosìcome i colori delle pareti, sono stati studiatiper regalare al paziente un ambiente rassere-nante dove può essere assistito per tutto il pe-riodo della terapia giornaliera dai propri pa-renti. A tutto questo si aggiunge una costantee scrupolosa vigilanza infermieristica ed unservizio di terapia psicologica di sostegno”.Il paziente oncologico accede al Day Hospi-tal quando la patologia è di entità tale da ri-chiedere qualificate prestazioni plurispecia-listiche/multi professionali e nel caso in cuinon necessiti di sorveglianza o terapia pa-renterale notturna. Il ricovero in Day Ho-spital può essere effettuato anche a fini dia-gnostici, ad esempio per seguire gli stadidella malattia o per eseguire accertamentidiagnostici complessi ed invasivi (quali labiopsia osteo-articolare) che per le loro ca-ratteristiche richiedono alcune ore di per-manenza nella struttura.

Al Day Hospital Oncologico del Policlinicodi Monza confluiscono tipologie di pazientimolto diversificate. Una parte transita attra-verso questo servizio per problemi clinici chesi risolvono nell’arco di alcuni mesi (terapieadiuvanti e neoadiuvanti), mentre altri sonoin carico al Day Hospital per tutto l’arco dellastoria naturale della malattia.I vantaggi del Day Hospital sono innanzitut-to a favore del paziente e della sua qualità divita. In questo modo infatti vengono evitatilunghi periodi di ricovero. Il rapporto con lastruttura è più sereno perché accanto alla cer-tezza di un intervento medico ed infermieri-stico qualificato, vi è la prospettiva, partico-larmente importante per il malato neoplasti-co, del ritorno giornaliero alla propria casa.“Qui il paziente non si sente un numero ouna patologia - continua il Prof. Bajetta - ilPoliclinico di Monza è una struttura umaniz-zata dove il malato trova accudimento, unsorriso, personale specializzato e apposita-mente formato che si occupa di lui e che loassiste in ogni fase della malattia”.Un altro servizio di estrema utilità che offre ilDay Hospital è il supporto psicologico, in ca-po alla Dott.ssa Carmen Rusca, offerto ai pa-zienti e alle loro famiglie. “I pazienti vengono informati dal personalecirca la possibilità di poter usufruire di collo-qui psicologici tre volte a settimana - spiega laDott.ssa Rusca - a sostegno del momento de-licato che stanno vivendo. Anche se sono ipazienti stessi a usufruirne prevalentemente,il servizio è a disposizione anche delle fami-glie che spesso si trovano in difficoltà nel nonsapere come gestire le emozioni del momentoo di come poter stare accanto al proprio caroin maniera efficace. Nella maggior parte deicasi i pazienti che ascolto manifestano confu-sione, sono spaesati perché non sanno comeaffrontare il domani. Il mio compito è quellodi aiutarli a pensare al presente, un giorno do-po l’altro. Molti poi temono che richiedereaiuto allo psicologo significhi soffrire di unamalattia mentale. La mia figura invece è solodi aiuto per affrontare un momento difficiledella vita. Ci sono poi pazienti che temono io

UN SERVIZIO PER OFFRIRE SOSTEGNO E COMFORT AL PAZIENTE

IL PAZIENTE ONCOLOGICO ACCEDEAL DAY HOSPITAL QUANDO LA PATOLOGIAÈ DI ENTITÀ TALE DA RICHIEDERE QUALIFICATEPRESTAZIONI PLURISPECIALISTICHE/MULTIPROFESSIONALI E NEL CASO IN CUI NON NECESSITIDI SORVEGLIANZA O TERAPIA PARENTERALENOTTURNA

IL PROFESSOR EMILIOBAJETTA, DIRETTOREDELL’IDO

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sia solamente un altro medico che prescriveràloro dei farmaci, nulla di tutto questo, il com-pito dello psicologo è curare con le parole.Una volta che hanno ben chiari tutti questiaspetti, allora si tranquillizzano”.L’accettazione in Day Hospital per le struttu-re accreditate, come il Policlinico di Monza,segue le stesse modalità del ricovero ospeda-liero ordinario ed è subordinata alla richiestadei sanitari del reparto in cui il paziente ha ef-fettuato il ricovero. All’interno dell’Istituto di Oncologia, per ri-spondere all’esigenza di un approccio multi-disciplinare alla patologia, è nato CE.RI.CA(Centro ad alta specializzazione per lo studioe la cura dei carcinoidi e dei tumori neuroen-docrini di Monza). Il Centro di ricerca si av-vale della collaborazione di numerosi profes-sionisti, noti in Italia e all’estero, per la com-petenza clinico-scientifica sviluppata nel-l’ambito dei NETs (tumori neuroendocrini).I tumori endocrini e i carcinoidi rappresenta-no un gruppo di neoplasie vasto ed eteroge-neo, con intrinseche difficoltà in termini dia-gnostici e terapeutici, che necessita quindi di

un approccio integrato alla patologia di tipopolispecialistico, nonché un impulso forte allaricerca clinica dedicata.L’Istituto di Oncologia del Policlinico diMonza, può anche avvalersi della preziosacollaborazione del Gruppo di ricerca ITMO(Italian trials in medical oncology) la cui sedesi trova nel distaccamento di via Modiglianidello stesso Policlinico e che vede nella perso-na del Prof. Emilio Bajetta il suo Presidente.Nato il 26 settembre 1991 e finalizzato allaricerca multicentrica, ITMO ha le seguentifinalità:• Promuovere la ricerca clinica conducendo,con la collaborazione degli oncologi mediciinteressati, studi multicentrici che consenta-no ai pazienti di avere una qualificata assi-stenza all’interno di strutture a loro geogra-ficamente accessibili. I risultati ottenutivengono pubblicati su riviste scientifiche, ri-portando tra gli autori i nomi di tutti coloroi quali hanno collaborato.• Contribuire all’aggiornamento dei soci me-dici che partecipano alle iniziative dell’IT-MO, attraverso la realizzazione di un pro-gramma educazionale accreditato nell’am-bito del progetto di “Educazione continuain medicina” e pertanto i congressi ITMOverranno presentati per l’ottenimento deicrediti formativi.• Operare un’attività di agenzia di coordina-mento a disposizione di altri gruppi di ricer-ca clinica che richiedano un supporto tecni-co-scientifico per la realizzazione dei loroprogrammi.• Patrocinare/partecipare a iniziative scienti-fiche/culturali che riguardano direttamenteo indirettamente l’oncologia medica.

ITMO e le linee scientifiche di interesse pre-valente:• Oncologia del tratto gastroenterico• Oncologia polmonare• Tumori neuroendocrini• Carcinoma mammario: terapia medica• Carcinoma prostatico: terapia medica• Oncologia geriatrica• Studio con biofarmaci

ITMO e l’attività globale finora svolta:• 32 protocolli di studio completati• 7 protocolli di studio in corso• 35 pubblicazioni scientifiche• 39 incontri clinico-scientifici per attivitàeducazionale

L’ISTITUTO DI ONCOLOGIA DEL POLICLINICODI MONZA, PUÒ ANCHE AVVALERSIDELLA PREZIOSA COLLABORAZIONE DEL GRUPPODI RICERCA ITMO (ITALIAN TRIALS IN MEDICALONCOLOGY) LA CUI SEDE SI TROVANEL DISTACCAMENTO DI VIA MODIGLIANIDELLO STESSO POLICLINICO

UNA DELLE SALE PERLA TERAPIA ONCOLOGICA

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IL TRATTAMENTO DEGLI ANEURISMIDELLA AORTA TORACO-ADDOMINALE

La chirurgia “open” degli aneurismi dellaAorta Toraco-Addominale (TAA) rimane ainostri giorni una delle sfide chirurgiche piùimpegnative e complesse. Infatti, nonostante negli ultimi 10-15 annisi sia assistito ad enormi miglioramenti intermini di diagnosi, tecniche chirurgiche edassistenza al Paziente in terapia intensiva, lepercentuali di mortalità (4%-30%) e di mor-bilità (Paraplegia/Paraparesi 4%-20%, In-sufficienza renale acuta 5-15%) rimangonoancora rilevanti, come si desume dalle casi-stiche più accreditate (Foto n°1).Inoltre la Chirurgia “open” degli TAA haprogressivamente selezionato una popola-zione di pazienti che per età, condizioni ge-nerali ed assenza di co-morbilità sono rite-nuti idonei a tale chirurgia; ma inevitabil-

mente ha negato una chance chirurgica aduna popolazione di pazienti definiti ad altorischio (Foto n° 2).Per tale classe di pazienti, numericamentenon trascurabile, negli ultimi anni è statamessa a punto una metodica definita “ibri-da” che consiste nel trattamento dei TAA indue tempi, riducendo in maniera sostanzialelo stress chirurgico rispetto alle forme“open” (Foto n°3).Il primo tempo consiste nel bypassare, soloper via addominale ed avvalendosi di protesisintetiche, i vasi viscerali e renali trasfor-mando l’aorta toraco-addominale in un tuboinerte.Nella seconda fase la sacca aneurismatica de-funzionalizzata viene esclusa mediante unaendoprotesi. Tale procedura sta guadagnan-do consensi e sopratutto si vanno chiarendole corrette indicazioni nella sua applicazione.Il confronto tra queste due metodiche vieneda noi proposto alla luce degli 849 casi diTAA trattati dal 1994 al 2012, di cui 829 conprocedura “open” e 20 con procedura “ibri-da”. Attualmente la metodica “open” rimaneper noi la procedura di scelta, ma tale meto-dica è rivolta solo a soggetti con meno di 70anni, ASA (rischio anestesiologico) classe I°o II°, funzionalità respiratoria conservata(FV1 uguale o maggiore a 65-70%), assenzadi insufficienza renale cronica (creatininauguale o minore a 3 mg/dl), assenza di gravediabete o di gravi patologie carotidee.La metodica “open”è inoltre per noi una pri-ma scelta in pazienti con TAA sintomatici,con rotture coperte ed ancor più in presenzadi rotture franche con instabilità emodina-mica. Ovviamente tale chirurgia viene pro-posta a pazienti portatori di tutti i tipi diTAA secondo la classificazione di Craw-ford, specie se si tratta di un primo interven-to o se il paziente è portatore di una Sindro-me di Marfan.Ricordiamo inoltre che la tecnica chirurgicaprevede una toraco-freno-laparatomia sini-stra con sezione circonferenziale del diafram-ma, una eparinizzazione sistemica (1mg/Kg)ed una ipotermia moderata a 34-35°.

LE DIFFERENZE TRA LA CHIRURGIA “OPEN” E QUELLA “IBRIDA”

IL CONFRONTO TRA QUESTE DUE METODICHEVIENE DA NOI PROPOSTO ALLA LUCE DEGLI 849CASI DI TAA TRATTATI DAL 1994 AL 2012, DI CUI 829 CON PROCEDURA “OPEN” E 20 CON PROCEDURA “IBRIDA”. ATTUALMENTE LA METODICA “OPEN” RIMANE PER NOI LA PROCEDURA DI SCELTA

IL PROF. PIER PAOLO ZANETTIDIRETTORE DIPARTIMENTOCHIRURGIA TORACO-VASCOLAREPOLICLINICO DI MONZA

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Nei TAA tipo I°- II°- III° viene sistematica-mente fatto uso del drenaggio del liquidocefalo-rachidiano, avendo però come con-troindicazioni assolute all’uso la rottura acu-ta dell’aneurisma con associato uno stato diipotensione, uno stato di sepsi, una emorra-gia intracranica e da ultimo pregressi inter-venti sulla colonna che ne hanno reso im-possibile l’esecuzione tecnica.L’uso della bio-pump è previsto per gli TAATipo I° - II° - III° ed è attivo nelle fasi ri-guardanti la sutura prossimale ed il reim-pianto delle arterie intercostali, mentre ilreimpianto dei vasi viscerali e renali vieneeffettuato perfondendo le arterie renali conRinger lattato ed occludendo con Fogarty iltronco celiaco e l’arteria mesenterica supe-riore, onde evitare una sindrome da furto.Circa la tecnica del reimpianto siamo moltoattenti a lasciare quanta meno parete aorticapossibile, confezionando pastiglie il più pos-sibile ridotte, al fine di evitare, a distanza,l’insorgenza di aneurismi della pastigliastessa.

Per i portatori di Sindrome di Marfan, al fi-ne di eliminare completamente la pareteaortica ammalata, usiamo il singolo reim-pianto degli osti vasali viscerali e renali uti-lizzando la protesi con branche di Coselli.Il reimpianto delle arterie intercostali preve-de una particolare attenzione al segmentocompreso tra T9 e T12, sede di emergenzadell’arteria radicolare magna, il reimpiantoassoluto di arterie intercostali di grosso cali-bro e con scarso run-off ed infine, laddovepossibile, il reimpianto di arterie lombaricon particolare riguardo all’arteria sacralemedia.Infine, una particolare attenzione è rivolta alcontrollo della pressione arteriosa durante iltempo del reimpianto infatti, una ipotensioneuguale o minore a 60 mmHg per 20-30 mi-nuti può portare alla paraplegia/paraparesi,qualunque metodica protettiva venga attuata.La metodica ibrida nel trattamento deiTAA prevede, come detto, un primo tempocon accesso solo addominale e con la confe-zione di by-pass protesici a partenza dallearterie iliache (più frequente a sinistra) odalla aorta sotto renale, rivolti al tronco ce-liaco, all’arteria mesenterica superiore ed allearterie renali. Tali by-pass, con rigorosachiusura dei vasi viscerali e renali all’emer-genza, trasformano la aorta toraco-addomi-nale in un tubo inerte tale da consentire,nella seconda fase, l’esclusione della saccaaneurismatica con l’uso di una endoprotesi.Alcune scuole eseguono i due tempi dellametodica ibrida nella stessa seduta, noi pre-feriamo lasciare un intervallo di tempo chevaria da alcuni giorni ad alcune settimane, alfine di valutare il buon esito della prima faseed il buon funzionamento del debranchingviscerale e renale.La metodica ibrida risulta sicuramente me-no stressante della forma “open” e, pertanto,sta guadagnando consensi potendo riarruo-lare quella popolazione di pazienti ad altorischio, precedentemente esclusi dalla chi-rurgia aperta per la presenza di tassi di mor-talità e morbilità proibitivi.Proponiamo quindi la forma ibrida a porta-tori di TAA con età superiore ai 70 anni, conASA III° o IV°, FEV1 uguale o minore a60%, e con una CRF ( Creatinina uguale omaggiore 2,5-3 mg/dl).Ulteriori indicazioni sono, nella nostra espe-rienza, i re-interventi in operati alla aortatoracica, toraci “congelati” per aderenze in-

LA METODICA IBRIDA RISULTA SICURAMENTE MENOSTRESSANTE DELLA FORMA “OPEN” E, PERTANTO,STA GUADAGNANDO CONSENSI POTENDORIARRUOLARE QUELLA POPOLAZIONE DI PAZIENTIAD ALTO RISCHIO, PRECEDENTEMENTE ESCLUSIDALLA CHIRURGIA APERTA PER LA PRESENZADI TASSI DI MORTALITÀ PROIBITIVI

FOTO N. 1CLASSIFICAZIONEDEGLI ANEURISMITORACO-ADDOMINALISEC. CRAWFORD

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vincibili, addomi “ostili” in pazienti pluri-operati, anche per patologie diverse ed anco-ra, in presenza di pseudo aneurismi riguar-danti il reimpianto delle arterie intercostali,viscerali e renali. Da ultimo in presenza diaorte calcifiche per cui è ritenuto impossibi-le o azzardato il clampaggio.La metodica ibrida presenta degli indubbivantaggi che esamineremo, pur non potendotacere che questi vanno confrontati con ine-vitabili e chiari svantaggi.Il primo vantaggio consiste nel poter evitareuna toracotomia, come anche un clampag-gio aortico ed inoltre consente una maggiorestabilità emodinamica del paziente ed unaminore perdita di sangue. Sono sempre a vantaggio di tale metodica lariduzione delle percentuali paraplegia/para-paresi (0-4%) e della ARF, insufficienza re-spiratoria post operatoria (0-3%) e dellePORC (4-8%).Gli svantaggi riguardano i by-pass in alcunicasi lunghi, ma sopratutto una rivascolariz-zazione retrograda, per cui rimane scono-

sciuta la reale durata della pervietà di taliprotesi. A ciò si aggiunge la necessità dellalegatura dei vasi all’emergenza, onde evitareleak. Tale procedura, specie per il tronco ce-liaco e l’arteria mesenterica superiore, nonsempre risulta agevole.Nella seconda fase riguardante l’esclusionedella sacca, le complicanze possono nascerenell’ introduzione della endoprotesi a causadi vasi femorali o iliaci piccoli o stenotici,per cui si deve ricorrere o all’impianto di ul-teriori segmenti protesici o accedere diretta-mente dalla aorta addominale sottorenale.La non idoneità della zona di atterraggiodella endoprotesi espone alla comparsa dileak tipo I°; mentre leak tipo II° e III° sonoprevisti per le pervietà di arterie intercostali elombari o per la rottura di segmenti della en-doprotesi che alimentano l’aneurisma conpossibile crescita del calibro fino alla rottura.Infine la preoccupazione durante il rilasciodella endoprotesi, specie nel segmento me-dio-inferiore della aorta toracica discenden-te, è quella della occlusione acuta delle arte-rie intercostali, come anche eventuali episo-di embolici di materiale ateromasico, smos-so nelle manovre, possano causare episodi diparaplegia/paraparesi. Non potendo infatticon questa metodica avvalerci del reimpian-to delle arterie intercostali, dobbiamo ripor-re una fiducia assoluta, nella validità del cir-colo collaterale. A tale proposito, nella no-stra esperienza ci avvaliamo, in questa faseper la prevenzione della paraplegia/parapa-resi, del drenaggio del liquido cefalo-rachi-diano e di una pressione arteriosa mantenu-ta ad un livello non inferiore a 130-140mmHg per le prime 24-48 ore.In conclusione le terapie “open” ed “ibrida”nel trattamento dei TAA, non vanno vistecome metodiche antitetiche, ma anzi com-plementari, in grado di offrire di fatto unachance chirurgica a gruppi di pazienti che,fino a pochi anni fa, ne erano completamen-te esclusi. Nella nostra esperienza la metodica ibrida èper ora confinata a pazienti ad alto rischio oa situazioni chirurgiche complesse per cuinon è proponibile un trattamento “open”.Casistiche più nutrite e soprattutto endo-protesi più idonee, ci consentiranno di indi-viduare indicazioni più precise per il correttoimpiego della forma ibrida che già oggi rap-presenta una novità ricca di aspettative e dicrescente consenso.

FOTO N. 2SOSTITUZIONE CON METODICA“OPEN” DI ANEURISMATORACO-ADDOMINALETIPO II SEC. CRAWFORD

FOTO N. 3- I° TEMPO DEBRANCHINGDELLE ARTERIE RENALI,MESENTERICA SUPERIOREE TRONCO CELIACOCON PROTESI A PARTENZADALL’ARTERIA ILIACACOMUNE DESTRA- II° TEMPO: INTRODUZIONEDI ENDOPROTESI IN AORTATORACO-ADDOMINALEDEFUNZIONALIZZATA

LE TERAPIE “OPEN” ED “IBRIDA” NEL TRATTAMENTODEI TAA, NON VANNO VISTE COME METODICHEANTITETICHE, MA ANZI COMPLEMENTARI, IN GRADO DI OFFRIRE DI FATTO UNA CHANCECHIRURGICA A GRUPPI DI PAZIENTI CHE, FINO A POCHI ANNI FA, NE ERANOCOMPLETAMENTE ESCLUSI

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UROLOGIA: ALLAVIALARDADIBIELLANUOVETECNICHE ALL’AVANGUARDIALe neoplasie renali rappresentano il 5,2% deitumori totali nell’uomo e il 2,9% dei tumorinelle donne. Nel mondo ogni anno vengonodiagnosticati 275.000 nuovi casi di neoplasiarenale che, come frequenza, sono al 15° postotra i tumori degli uomini e al 18° posto nelledonne.Tralasciando un particolare tipo di melano-ma, riscontrabile unicamente nell’infanzia,negli adulti la maggior parte dei tumori pren-de origine dal parenchima renale (circal’88%), il 9% dalla via escretrice (neoplasieuroteliali del bacinetto e dei calici renali)mentre i rimanenti sono metastasi o tumoriematopoietici (linfomi).L’incidenza dei tumori renali è molto variabi-le non solo tra i diversi continenti, ma anchetra aree geografiche vicine o relativamente vi-cine. L’incidenza maggiore si ha comunquenei paesi europei e nel Nord America dove siarriva a circa 15 casi all’anno ogni 100.000abitanti (media ponderata tra Europa e Ame-rica settentrionale).Il trend di incidenza ha dimostrato negli ulti-mi anni un lieve incremento, mentre la mor-talità nella maggior parte dei paesi nord eu-ropei ed americani (Stati Uniti e Canada) èdiminuita in maniera significativa. La dimi-nuzione della mortalità è verosimilmente le-gata alla diagnosi precoce e al riscontro inci-dentale dovuto ad esami ecografici o radiolo-gici eseguiti per altri motivi.Per quanto riguarda l’Italia, l’incidenza mediatotale tra i due sessi è stata di circa il 3,3% ditutti i tumori e la mortalità è stata di 2,3 de-cessi ogni 100 morti per tumore. Tra i fattori

di rischio per lo sviluppo di un tumore del re-ne è stato certamente evidenziato il fumo ditabacco. Tale rischio è ulteriormente aggrava-to dall’età in cui ci si è iniziato a fumare, dalladurata di esposizione al fumo, così come ènota una diminuzione dello stesso rischio ne-gli ex fumatori.Altri fattori predisponenti sono l’obesità e lascarsa attività fisica, oltre a diete ricche digrassi di origine animale e al consumo elevatodi bevande alcoliche. È noto un aumento delrischio di sviluppare una neoplasia renale neisoggetti ipertesi anche se in terapia con unmeccanismo che ancora oggi non è chiaro,inoltre la familiarità per il tumore del rene èstata accertata e confermata da numerosi stu-di clinici.

LA DIAGNOSIGeneralmente la diagnosi di lesione renaleviene fatta con una ecotomografia dell’addo-me eseguita a seguito di episodi di ematuria,dolore in sede renale o masse palpabili all’esa-me obiettivo del paziente, ma come già dettomolto spesso avviene in maniera accidentale aseguito di una ecotomografia dell’addomeeseguita per altro motivo.Accertata o sospettata ecograficamente unamassa solida renale, si impongono altri ap-profondimenti di tipo diagnostico e stadiante.L’esame che maggiormente ci permette di va-lutare una massa renale è una TC con mezzodi contrasto di tutto l’addome. Tale indaginerende possibile distinguere con una buona ap-prossimazione le masse renali di natura beni-gna, da quelle di natura maligna e in tale casopermette di valutare l’estensione della lesione(infiltrazione della via escretrice renale, delgrasso perirenale o presenza di trombi neopla-stici della vena renale o della vena cava) e leeventuali lesioni secondarie ad altri organi.Meno precisa in tali valutazioni la RMN cono senza mezzo di contrasto (di tipo diverso daquello usato nella TC) e pertanto da eseguiresolo nei pazienti con controindicazioni allaesecuzione di una TC con mezzo di contrasto(insufficienza renale, allergie al mdc, iperti-roidismo).

L’APPROCCIO APPLICATO PER LE NEOPLASIE RENALI

LA DIAGNOSI DI LESIONE RENALE VIENE FATTACON UNA ECOTOMOGRAFIA DELL’ADDOMEESEGUITA A SEGUITO DI EPISODI DI EMATURIA,DOLORE IN SEDE RENALE O MASSE PALPABILIALL’ESAME OBIETTIVO DEL PAZIENTE, MA COME GIÀ DETTO MOLTO SPESSO AVVIENEIN MANIERA ACCIDENTALE

DOTT. PIER CARLO CHIOSO,DIRETTORE DELDIPARTIMENTO DI UROLOGIADELLA CLINICALA VIALARDA DI BIELLA

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Anche la PET –TC non è considerato unesame utile alla diagnosi e alla stadiazionedelle masse renali.

LA TERAPIA DEL TUMORE RENALE PRIMITIVOChirurgia conservativaPer lesioni renali con diametro maggiore di 7cm (asportazione della lesione con conserva-zione del parenchima renale sano). Chirurgia radicalePer lesioni maggiori di 7 cm di diametro ominori se in una posizione renale che nonpermette la chirurgia conservativa. ( asporta-zione completa del rene con la sua capsulaadiposa, eventuali trombi venosi e o linfonodidistrettuali).

Tecniche chirurgicheTutte le linee guida delle maggiori societàscientifiche di Urologia non raccomandanouna specifica tecnica chirurgica per la terapiaconservativa per lesioni maggiore di 4 cmdiametro . È molto importante che l’asporta-zione della lesione venga eseguita in un tem-po massimo di circa 25 minuti in ischemiacalda (cioè previo clampaggio dell’ arteria re-nale). Pertanto la scelta tra intervento laparo-scopico rispetto a quello tradizionale dipendedall’esperienza del chirurgo.Le lesioni comprese tra i 4 e 7 cm di diame-tro, in posizione adeguata per permettere una

terapia conservativa, devono essere eseguite acielo aperto. Nell’indicazione alla nefrecto-mia radicale per tumori confinati al rene, lelinee guida raccomandano l’intervento per vialaparoscopica per la sua accertata minoremorbilità rispetto alla terapia a cielo aperto.Per le lesioni in stadio più avanzato con inva-sione trombotica neoplastica della vena rena-le o cava, si raccomanda la tecnica chirurgicaa cielo aperto.Nell’Unità funzionale di Urologia della clini-ca La Vialarda di Biella, negli ultimi tre anniabbiamo effettuato 45 nefrectomie radicaliper tumore e 22 enucleoresezioni di piccoleneoformazioni renali con conservazione delrene.Negli ultimi dodici mesi la tecnica chirurgicaclassica a “cielo aperto”è stata implementatadalla tecnica laparoscopica. Questa, come ènoto, consiste nell’utilizzo di strumenti mi-niaturizzati (pinze, forbici, elettrobisturi,clips) inseriti nel corpo non attraverso unaclassica e ampia incisione chirurgica, ma tra-mite piccoli fori sulla parete addominale dis-tesa per mezzo di insufflazione di gas (anidri-de carbonica). Attraverso questi accessi è in-trodotta anche una telecamera ad alta defini-zione che trasmette ad un monitor immaginimagnificate del sito d’intervento. Il rene vie-ne poi estratto attraverso l’allargamento diuna delle incisioni fatte per introdurre glistrumenti laparoscopici.I vantaggi di questa tecnica sono la mini in-vasività, le minori perdite di sangue, la mino-re degenza ospedaliera, la più rapida ripresadelle comuni attività quotidiane, il minor do-lore post operatorio.Per la laparoscopia ci avvaliamo della colla-borazione del Dr. Lorenzo Repetto che peranni ha svolto la propria attività presso l’O-spedale Molinette di Torino dove, oltre che diinterventi laparoscopici per patologie urolo-giche, si è occupato dei delicati prelievi di re-ne in laparoscopia da donatore vivente.

SOPRA, INTERVENTOAL RENE IN LAPAROSCOPIA;A FIANCO, LA LOGGIA RENALESINISTRA VISTA DALLATELECAMERA DURANTELA LAPAROSCOPIA

DOTT. LORENZO REPETTO,SPECIALISTA IN UROLOGIAE COLLABORATOREDELL’ÉQUIPE DI BIELLA

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UNA DONNA A CAPO DEL PERSONALESANITARIODELLACLINICADINOVARA

Laureata in Medicina e Chirurgia all’Univer-sità degli Studi di Pavia, la dott.ssa OriettaOssola ha poi conseguito il diploma di Spe-cializzazione in Igiene e Medicina Preventivapresso l’Università degli Studi di Torino.

Qual è il suo personale bilancio di questi pri-mi mesi di attività come direttore sanitario diuna clinica così radicata sul territorio come laSan Gaudenzio di Novara?Non è facile rispondere in quanto quando hopreso servizio presso la Clinica iniziava ancheil periodo estivo e l’attività stava diminuendo.Sicuramente è stata un’opportunità per inte-grarmi con il personale presente e poco allavolta prendere visione dell’organizzazione edelle procedure in atto, anche se per il nostrosettore risulta non facile in quanto in conti-nua evoluzione per i cambiamenti, aggiorna-menti legislativi, scientifici e tecnologici.

Cosa comporta oggi essere Direttore sanita-rio di una struttura clinica?Essere direttore sanitario di una struttura cli-

nica è una responsabilità (oltre quella previstacome figura giuridica di responsabile del re-golare espletamento dell’attività sanitaria al-l’interno della struttura nel completo rispettodelle norme di legge), che comporta il mette-re in gioco le proprie competenze professio-nali, personali e relazionali per lavorare siner-gicamente con tutte le figure professionali co-involte nell’organizzazione. Si è interprete dei“linguaggi” presenti all’interno dei vari team egarante dell’applicazione operativa delle varielinee di indirizzo e decisioni prese a vari livellinell’ambito delle istituzioni, dell’organizza-zione e delle singole unità.

Quali sono le principali criticità del suo ruoloe quali sono i metodi migliori per risolverle?A un Direttore sanitario viene chiesto di sa-per indicare o essere promotore delle innova-zioni, saper proporre strade alternative, ren-dere facili e percorribili le soluzioni “tecniche”e prevedere o meglio prevenire le conseguen-ze delle decisioni prese.Analisi dei bisogni assistenziali, organizzativi,

IL NUOVO DIRETTORE SANITARIO DELLA SAN GAUDENZIO

LA DOTT.SSA ORIETTAOSSOLA, DIRETTORESANITARIO DELLA CLINICASAN GAUDENZIO DI NOVARA

Ha prestato servizio presso l’USL 13, sede di Borgoma-nero, nella posizione funzionale di Dirigente Medico ILivello Medicina del Lavoro, è stata Dirigente Medico ILivello Direzione Medica di Presidio Ospedaliero, non-ché Dirigente Medico I Livello Organizzazione ServiziSanitari di Base. Con Delibera n.477 del 11.12.2003 con-ferimento di incarico di Direzione Struttura SemplicePrevenzione Rischio Infettivo. Referente in Regione perl’ASL VCO nell’ambito del Programma Regionale disorveglianza e controllo delle infezioni da HIV e da altripatogeni a trasmissione ematica nelle strutture sanitarie:analisi delle occasioni di esposizione, sorveglianza delleinfezioni nosocomiali ed occupazionali, valutazione del-l’applicazione delle misure di prevenzione e degli effettidegli interventi. Referente in Regione per l’ASL VCOper le Prevenzione e Controllo delle infezioni ospedalie-re. Presidente dal 2003 della Commissione DispositiviMedici con Delibera n. 233 del 25.08.2003 e n. 99 del25.02.2011. Con Delibera n.60 del 09.02.2007 conferma

di incarico di responsabilità di Struttura Semplice Pre-venzione Rischio Infettivo in esito a procedura di valuta-zione. Componente del”Gruppo Aziendale Lesioni cuta-nee” con delibera D.G. n. 112 del 21.06.2006 e smi(n.247 del 08.04.2008, n. 492 del 30.06.2008 e n. 182 del22.03.2010. Componente dal 2005 della “Commissionedi Vigilanza Unica Aziendale sui presidi a rilevanza sani-taria” (DGR 30-11748 del 16.02.2004 e 58-11492 del29.12.2004 della Regione Piemonte) con delibera D.G.n. 465 del 23.08.2005 e conferma con delibera DG n.183 del 07.04.2011. Componente del “Gruppo LocaleEmergenze Infettive” (DGR 10-11769 del 20.07.2009Regione Piemonte) con delega permanente (nota del Di-rettore OUP n. 69633 del 02.09.2009). Referente in Re-gione per l’ASL VCO- componente Direzione Sanitarianell’ambito del Rete Sanitaria per accoglienza e presa incarico delle vittime di violenza sessuale e domestica(DGR 14-12159 del 21.09.2009) con nota Direzione ge-nerale n. 92305 del 18.11.2009

UN ESTRATTO DEL CURRICULUM VITAE DELLA DOTT.SSA OSSOLA

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la valutazione dell’appropriatezza delle cure, lasicurezza degli operatori, la prevenzione delrischio clinico, sono solo alcuni degli aspetti otematiche dove il ruolo del direttore sanitarioè fondamentale per favorire l’approccio multi-disciplinare e facilitare il dialogo tra i diversiprofessionisti non solo dell’area sanitaria, maanche in quella amministrativa. Il Direttoresanitario ha il ruolo di “facilitatore” e devemettere in atto o organizzare le interrelazionitra i diversi specialisti, deve facilitare la comu-nicazione e la comprensione dei problemi.Cosa fondamentale deve gestire il “rischio” e il“conflitto”in modo propositivo e positivo, cer-cando di ribaltare a favore dell’organizzazionele varie situazioni che si vengono a creare nelloscenario del sistema sanitario.

Quali sono le esigenze e i bisogni dei pazientiche oggi si rivolgono ad un Istituto come laSan Gaudenzio?Siamo di fronte ad una società dove i cittadinihanno sempre nuove e crescenti esigenze edesprimono i loro bisogni nella consapevolez-za dei propri diritti alla tutela della loro salu-te. Necessitano di ottenere sempre più dia-gnosi e cure appropriate e di elevata qualitàspecialistica e chiedono e cercano centri di ri-ferimento e di eccellenza in grado di garanti-re un’elevata professionalità e competenzanon solo in termini di capacità tecnico-pro-fessionali, ma anche in termini di accoglien-za, di relazione e cura del rapporto umano edove viene sottolineata la “centralità del ma-lato e della sua dignità come persona”.

Come è cambiato il rapporto medico-pa-ziente e cosa cercano di più rispetto al passa-to le persone che si rivolgono al medico spe-cialista?I problemi assistenziali posti dai pazienti aimedici di riferimento, per le loro caratteristi-che che contraddistinguono anche il momen-to in cui viviamo, richiedono forme di assi-stenza per bisogni ed esigenze che non sonopiù di pertinenza esclusiva della singola pro-fessionalità, ma richiedono sempre più spessorisposte multidisciplinari e multiprofessionaliche ritengo siamo in grado di soddisfare e ga-rantire ampiamente nell’ambito di tutte lestrutture del Gruppo.

I PROBLEMI ASSISTENZIALI POSTI DAI PAZIENTIAI MEDICI DI RIFERIMENTO, PER LE LOROCARATTERISTICHE CHE CONTRADDISTINGUONOANCHE IL MOMENTO IN CUI VIVIAMO, RICHIEDONOFORME DI ASSISTENZA PER BISOGNI ED ESIGENZECHE NON SONO PIÙ DI PERTINENZA ESCLUSIVADELLA SINGOLA PROFESSIONALITÀ

UNO SCORCIO DELLA HALLE UNA SALA OPERATORIADELLA CLINICA SANGAUDENZIO DI NOVARA

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DI FRONTE A UNA RECESSIONE ASSOCIATAA PARODONTITE L’OBIETTIVO PRIMARIODEL DENTISTA È QUELLO DI RISOLVERE LAPATOLOGIA INFIAMMATORIA DI CUI LA RECESSIONEÈ UNO DEI SEGNI. ANZI, SPESSO LA CURADELLA PARODONTITE È ACCOMPAGNATADA UNA PROGRESSIONE DELLA RECESSIONE

RINNOVA IL TUO SORRISO: COMBATTI LE RECESSIONI GENGIVALI

La recessione gengivale è un difetto dei tessutiparodontali che consiste nella migrazione insenso apicale del margine dei tessuti molli as-sociato a perdita di attacco ed esposizione del-la superficie radicolare. Spesso i pazienti si ac-corgono di questo problema e riferiscono aldentista che le gengive “si sono ritirate” oppu-re che i denti appaiono “allungati”.In alcuni casi le recessioni gengivali sono asso-ciate alla malattia parodontale, una patologiamolto comune anche nei paesi sviluppati tan-to da interessare, nelle sue diverse forme, circail 30% della popolazione. La malattia paro-dontale, o parodontite, è una patologia a ezio-logia multifattoriale (famigliarità, scarsa igie-ne, fumo…etc.) che porta alla progressiva di-struzione dei tessuti che sostengono il dentefino alla perdita di quest’ultimo. Le recessioniassociate alla parodontite spesso interessano ildente circonferenzialmente e sono accompa-gnate da altri segni come gengive arrossate,sanguinamento allo spazzolamento, presenzadi placca e tartaro.Altre volte però si riscontrano recessioni inpazienti con un alto grado d’igiene orale, sitratta di lesioni tipicamente localizzate suiversanti vestibolari dei denti (quelli che guar-dano verso l’esterno). Nei difetti di questo ti-po la causa più frequente sta proprio nell’usodello spazzolino che, se manovrato in manieratroppo energica o se dotato di setole troppodure, è in grado di irritare le gengive e, soprat-tutto se queste sono sottili, di causarne la re-cessione.Oltre allo spazzolamento ci sono altri possibilifattori eziologici come la presenza di piercing

sulle labbra, abitudini viziate come lo sfrega-mento sulla gengiva di matite o altri oggetti,condizioni anatomiche come inserzioni mu-scolari o frenuli, ma anche fattori iatrogeni co-me la presenza di restauri incongrui (ricostru-zioni, corone) e i trattamenti ortodontici.Naturalmente questa suddivisione fra reces-sioni causate da diversi fattori eziologici non ènetta, è possibile infatti riscontrare recessionivestibolari associabili ad un uso scorretto dellospazzolino aggravate dalla presenza di paro-dontite, così come è facile che in un pazientecon un’attenta igiene orale ci siano depositi diplacca proprio in corrispondenza di recessioni(probabilmente associata all’assenza di tessutocheratinizzato).Le recessioni da spazzolamento traumaticonormalmente nascono come fessurazioni dellagengiva (fessure di Stillman), poi si evolvonoin recessioni triangolari fino a diventare difetticon profilo più ampio.Di fronte a una recessione associata a paro-dontite l’obiettivo primario del dentista èquello di risolvere la patologia infiammatoriadi cui la recessione è uno dei segni. Anzi, spes-so la cura della parodontite è accompagnatada una progressione della recessione, ma que-sto è un compromesso che paziente e clinicoaccettano volentieri per salvare il dente. La te-rapia della parodontite e delle recessioni adessa associate verrà trattata separatamente,l’oggetto di questo articolo è il trattamentodelle recessioni del secondo tipo.Nelle recessioni di origine traumatica si ha ache fare con una situazione completamentedifferente: i tessuti parodontali non sono af-fetti da una patologia, ma la loro architetturapresenta un’alterazione che il paziente puòpercepire come un deficit e proprio il miglio-ramento dell’estetica del sorriso è la principaleindicazione al trattamento delle recessionigengivali vestibolari. Di fronte a un pazienteparodontalmente sano con recessioni gengi-vali, che non consideri queste ultime come unproblema, non c’è indicazione al trattamento.Controindicazioni relative al trattamento dellarecessioni di origine traumatica sono il fumo,lo scarso spessore delle gengive e i frenuli, con-

NUOVI TRATTAMENTI ALL’ISTITUTO DI VERANO BRIANZA

IL DOTT. ANTONIO ARBISI,RESPONSABILE DEL SERVIZIODI ODONTOSTOMATOLOGIADELL’ISTITUTO CLINICOUNIVERSITARIO DI VERANOBRIANZA

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troindicazione assoluta è invece il perpetuarsidel trauma. Prima di intraprendere qualsiasimanovra chirurgica è quindi necessario istruiree motivare il paziente alle corrette procedured’igiene orale domiciliare e solo quando questosarà in grado di pulirsi i denti senza traumatiz-zare le proprie gengive, si potrà procedere conla terapia vera e propria.Le recessioni gengivali possono essere suddi-vise a seconda delle caratteristiche anatomi-che. In letteratura esistono diverse classifica-zioni, la più utilizzata è quella di Miller cheidentifica quattro classi: le recessioni apparte-nenti alla prima classe di Miller sono compre-se fra papille intatte e contornate da tessutocheratinizzato (la gengiva rosa e compatta chenormalmente circonda i denti); la secondaclasse è anch’essa compresa fra papille intattema l’apice della recessione è circondato nonpiù dal tessuto cheratinizzato ma dalla muco-sa, meno compatta e più delicata; nella terza

classe almeno una delle due papille si è abbas-sata, ma in misura minore rispetto alla reces-sione, nella quarta classe almeno una delle duepapille ha avuto una perdita di attacco ugualeo maggiore rispetto alla recessione vestibolare.La classificazione di Miller non ha una valen-za semplicemente anatomica, la ragione percui da venticinque anni è la più utilizzata daiclinici di tutto il mondo è il suo significatoprognostico: solo dal trattamento delle reces-sioni di prima e seconda classe si può ottenereuna ricopertura completa, dal trattamentodelle classi terza e quarta no.

QUINDI COME SI TRATTANO LERECESSIONI GENGIVALI?Bisogna premettere che la prima cura è l’eli-minazione della causa quindi, come già accen-nato, il paziente deve cambiare le proprie abi-tudini ed interrompere il trauma che agiscesulle sue gengive. Recentemente in letteraturascientifica sono stati descritti casi in cui lasemplice eliminazione del fattore eziologico,ha permesso in circa vent’anni la regressionecompleta di recessioni importanti; tuttaviaquesto approccio difficilmente può soddisfareun paziente che vive le recessioni dentali comeun problema.La terapia della recessione è chirurgica, essaconsiste nello spostare i tessuti verso il margi-ne incisale dei denti per “coprire” letteralmen-te la recessione e, quando necessario, aumen-tare lo spessore della gengiva per evitare reci-

LA TERAPIA DELLA RECESSIONE È CHIRURGICA,ESSA CONSISTE NELLO SPOSTARE I TESSUTI VERSOIL MARGINE INCISALE DEI DENTI PER “COPRIRE”LETTERALMENTE LA RECESSIONE E AUMENTARELO SPESSORE DELLA GENGIVA PER EVITARERECIDIVE. SI TRATTA DI UNA VERA CHIRURGIAPLASTICA GENGIVALE

L’ISTITUTO CLINICOUNIVERSITARIODI VERANO BRIANZA

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dive. Si tratta di una vera chirurgia plasticagengivale.L’intervento si svolge in ambito ambulatoria-le, in anestesia locale, richiede uno strumen-tario adatto alla microchirugia e ha una dura-ta compresa fra i 45 e i 90 minuti a secondadel numero di recessioni da trattare; dal pun-to di vista del paziente l’invasività è parago-nabile a quelle di un qualsiasi lembo d’acces-so, non è necessario alcun ricovero e a fine in-tervento si può lasciare la struttura. I fattoriche condizionano il clinico nelle scelta del ti-po d’intervento più opportuno sono: il nume-ro di recessioni, l’altezza del tessuto cherati-nizzato, lo spessore dei tessuti, la profonditàdel fornice, le dimensioni (altezza e larghez-za), la classe di Miller di appartenenza e lacondizione del palato.Le tecniche chirurgiche privilegiate sono ov-viamente quelle meno invasive e che quindiprevedono un solo intervento con un unico

accesso (lembo posizionato coronalmente olateralmente), seguono quelle con doppio ac-cesso (innesti) e quelle svolte in due interven-ti distinti (innesto prima e lembo posizionatocoronalmente poi).Sempre per diminuire l’invasività si applicanoprevalentemente le tecniche che non preveda-no incisioni di rilascio e, nel caso di innesti,quelle in cui il lembo primario non venga spo-stato (tecnica a tunnel). Ciò significa che, se lecondizioni anatomiche e cliniche lo permet-tono, più recessioni adiacenti l’una all’altrapossono essere trattate con successo in un uni-co intervento senza prelievi di tessuto dal pa-lato e senza incisioni di rilascio.Le tecniche con innesto sono necessariequando la gengiva residua è troppo sottile(inferiore al millimetro) o ha una banda che-ratinizzata troppo bassa (inferiore a 2 milli-metri). Queste due caratteristiche portano fa-cilmente alla formazione di recessioni recidi-ve. Per ovviare a ciò al lembo spostato sulla re-cessione si associa l’innesto di tessuto preleva-to dallo stesso paziente. Questi innesti posso-no essere costituiti da solo tessuto connettivoo da tessuto connettivo ed epiteliale. L’area diprelievo utilizzata più frequentemente è il pa-lato poiché esso è normalmente ricco di tessu-to connettivo e ricoperto da epitelio cherati-nizzato. Sedi alternative, quando presenti,possono essere le selle edentule e il tuber ma-scellare.Il regime post operatorio prevede l’astensioneassoluta dalle manovre d’igiene orale nellearee sottoposte all’intervento almeno fino allarimozione delle suture, in sostituzione a que-sto si deve effettuare la disinfezione delle feri-te con uno spray a base di clorexidina e rimuo-vere eventuali depositi di placca sui denti inte-ressati dall’intervento con bastoncini cotonati(o piccole garze) imbevuti della stessa soluzio-ne. Sono poi da evitare i cibi caldi. Il dolore che segue l’intervento viene tenutosotto controllo con l’assunzione di analgesi-ci/antinfiammatori (naprossene sodico incompressa da 550 mg ogni 12 ore a stomacopieno per 3 giorni). La terapia antibiotica ènecessaria solo in caso di necrosi dei tessuticon relativa superinfezione.L’applicazione topica del ghiaccio è consi-gliata per tutta la giornata fino al momentodi coricarsi. E’ molto importante inoltre cheil paziente venga istruito su come gestireeventuali sanguinamenti provenienti dallezona operate nei giorni che seguono l’inter-

A SINISTRA, RECESSIONEPRIMA DEL TRATTAMENTO.A DESTRA, RECESSIONEDOPO IL TRATTAMENTO

LE TECNICHE CON INNESTO SONO NECESSARIEQUANDO LA GENGIVA RESIDUA È TROPPO SOTTILE(INFERIORE AL MILLIMETRO) O HA UNA BANDACHERATINIZZATA TROPPO BASSA(INFERIORE A 2 MILLIMETRI). QUESTE DUECARATTERISTICHE PORTANO FACILMENTEALLA FORMAZIONE DI RECESSIONI RECIDIVE

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vento, tali emorragie non sono mai pericolo-se, ma il paziente impreparato potrebbe spa-ventarsi e proprio per questo bisogna aste-nersi dall’effettuare qualsiasi tipo di sciacquonelle 48 ore successive alla chirurgia per evi-tare di rimuovere il coagulo appena formatoe quindi di provocare un nuovo gemizio disangue. Nel caso questo dovesse accadere èsufficiente comprimere la parte sanguinantecon una garza umida per qualche minuto ot-tenendo un’immediata riduzione dell’emor-ragia.La rimozione delle suture avviene dopo unperiodo variabile che va dai 7 ai 14 giornidall’intervento, a seconda del tipo di filo uti-lizzato. Indipendentemente da ciò tale fasepuò essere accompagnata da un polishingdelle superfici dentarie con coppette da pro-filassi e gel di clorexidina. Durante la perma-nenza delle suture l’utilizzo dello spazzolinoè bandito, 2-3 giorni dopo la rimozione diqueste si potrà cominciare a pulire la zonatrattata con uno spazzolino dalla setole ultra-morbide. Questo strumento andrà utilizzatoper le successive tre settimane, dopodiché èpossibile tornare allo spazzolino normale con

la raccomandazione di non creare ulterioritraumi irritativi.I tessuti possono essere considerati stabili do-po almeno 60 giorni dal trattamento chirurgi-co, da questo momento è possibile il verificarsidel fenomeno chiamato “creeping attach-ment”, ovvero una crescita secondaria in sensocoronale del margine gengivale. A tal fine èmolto importante associare alla normale tera-pia di mantenimento del paziente proceduredi ablazione del tartaro sopragengivale e di lu-cidatura delle superfici dentarie per un perio-do di 6-12 mesi dalla terapia chirurgica.La complicanza più frequente è rappresentatadall’ematoma, esso può interessare il cavo oralema anche la cute esterna, si risolve spontanea-mente ma può essere in parte prevenuto conl’assunzione di farmaci come serrapeptasi incompresse da 5mg tre volte al dì e il cui riassor-bimento può essere accelerato attraverso l’ap-plicazione di gel revulsivi. Tale tumefazionepuò provocare tensione eccessiva delle suturefino alla lacerazione dei tessuti con conseguen-te comparsa di recessioni recidive.Un’altra complicanza, rara, è rappresentata daun eccessivo creeping attachment che potreb-be portare i tessuti gengivali oltre la giunzioneamelo cementizia, in questo caso si attende-ranno almeno quattro mesi dalla guarigioneprima di decidere se intervenire con una gen-givoplastica correttiva.Nell’eventualità di recidive parziali della re-cessione trattata è possibile procedere con unsecondo intervento, spesso si tratta di piccoliaggiustamenti ottenibili con lembi a busta po-co invasivi, in ogni modo prima di pianificareun rientro chirurgico è bene attendere la gua-rigione completa dei tessuti.

I TESSUTI POSSONO ESSERE CONSIDERATI STABILIDOPO ALMENO 60 GIORNI DAL TRATTAMENTOCHIRURGICO, DA QUESTO MOMENTO È POSSIBILEIL VERIFICARSI DEL FENOMENO CHIAMATO“CREEPING ATTACHMENT”, OVVERO UNA CRESCITASECONDARIA IN SENSO CORONALE DEL MARGINEGENGIVALE

SOPRA, LA MALATTIAPARODONTALE; A FIANCO, ESEMPIODI PARODONTO SANO

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ABBIAMO CONOSCIUTO PADRE JOHN SCALABRINIAD UNA CENA NEL MAGGIO 2011 QUANDOCI HA AFFASCINATO RACCONTANDOCI FRAMMENTIDELLA SUA VITA IN AFRICA. IN UGANDA DAL 1964,DAPPRIMA SACERDOTE COMBONIANOED ATTUALMENTE MEMBRO DELLA DIOCESIDI KAMPALA

IN UGANDA UNA ÉQUIPE DELGRUPPO POLICLINICO DI MONZA

È tutto nato un po’ per caso: abbiamo cono-sciuto padre John Scalabrini ad una cena nelmaggio 2011 quando ci ha affascinato rac-contandoci frammenti della sua vita in Afri-ca. In Uganda dal 1964, dapprima sacerdotecomboniano ed attualmente membro delladiocesi di Kampala, ha conosciuto e vissuto inprima persona la storia di dittatura e di rina-scita dell’Uganda negli ultimi 50 anni.Fermamente convinto che la rinascita dei po-poli africani debba passare innanzitutto dal-

l’istruzione, ha operato dapprima come vica-rio della diocesi nel nord del paese, a Gulu,realizzando scuole professionali dove ha ac-colto ragazzi e ragazze spesso orfani di en-trambi i genitori, falcidiati dalla guerra e dallemalattie. È proprio per questa sua convinzio-ne della necessita di istruzione dei giovaniche è stato dapprima incarcerato dal dittatoreAmin con l’accusa di inculcare idee rivoluzio-narie nella popolazione e, successivamente,espulso dal paese. Rientrato dopo un esilio dicirca due anni, più che mai intenzionato aperseguire il suo scopo di istruire i giovani, haricevuto dal Cardinale di Kampala la possibi-lità di lavorare a Luzira, sobborgo poverissi-mo di Kampala, ricco di acquitrini, sprovvistodi chiesa e di qualsiasi costruzione degna ditale nome. È proprio qui che, rimboccatesi lemaniche, padre John dopo aver bussato a tan-te porte per ottenere aiuti economici e grazieall’utilizzo dei soldi ricevuti dalla sua fami-glia, nell’arco di qualche anno ha cominciatoa costruire le scuole: prima elementare, poi

VIAGGIO DI SOLIDARIETÀ PER AIUTARE L’OSPEDALE DI LUZIRA

NELLA FOTO ANTISTANTEL’INGRESSO DELL’OSPEDALEBMC DI LUZIRA INSIEMEAI COLLEGHI DEL POSTO: IL DR. FRANCESCO COGGIOLA,LA DR.SSA BIANCA CIFIELLO,LA DR.SSA DANIELAGRASSINO, LA CAPOSALATIZIANA GIOIRA, L’OSTETRICAE STRUMENTISTA ELISA BAROE IL DR. GIANNI ROSSO

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superiore, professionale, di falegnameria, per-ché istruzione e lavoro sono le priorità per isuoi ragazzi, per lo più mantenuti a scuola at-traverso i contributi economici avuti con leadozioni a distanza. Accanto alle scuole e’ na-ta anche la chiesa, l’oratorio, il campo di cal-cio e la scuola di musica, con una comunitàche ormai comprende quasi 5000 giovani.

È per soddisfare i bisogni sanitari della suacomunità che è nata dapprima una piccolainfermeria e successivamente, grazie ad unacospicua donazione, un piccolo ospedale conl’ambizioso obiettivo di poter soddisfare leesigenze sanitarie della scuola, ma anche delvillaggio del tutto privo di strutture sanitariedegne di questo nome. In particolare, per espresso desiderio dei fi-nanziatori, l’attività dell’ospedale è rivolta so-prattutto alle patologie ostetrico/ginecologi-che: in un paese dove il 50% della popolazio-ne ha meno di 15 anni e dove l’aspettativa divita è di circa 45 anni, se da un lato si registraun alto tasso di crescita annua (3,5% annua),dall’altro esiste anche un alta morbilità emortalità materno/infantile, spesso conse-guenza delle precarie condizioni igieniche.Per fornire una maggior sicurezza e dignitàalle nascite ed assistenza all’infanzia, padreJohn ha accolto con entusiasmo l’avventuradell’ospedale per il suo popolo. La costruzio-ne dell’edificio è quindi recente: l’ospedale èterminato nel 2009 e da allora è iniziata l’atti-vità con piccoli passi ed enormi ostacoli: ladifficoltà a reperire il materiale necessario e lacarenza di personale sanitario qualificato.È stato in questo contesto che è nata l’idea diuna collaborazione tra il Policlinico di Monzae l’Ospedale materno/infantile Maria Beatri-ce di Luzira.Grazie alle generosità del Gruppo sanitariosono stati messi a disposizione un letto ope-ratorio e altri presidi sanitari che, uniti a quel-li ricevuti da altre piccole donazioni, rendeva-no possibile la partenza dell’avventura chirur-gica nel piccolo ospedale.Altri amici hanno offerto la loro disponibilitàfornendo un piccolo, ma concreto aiuto conquelle cose che spesso ingombrano i nostricassetti senza avere più un uso (sfigmomano-metri, bende e fasce elastiche, farmaci nonpiù utilizzati).Il 28 luglio 2012, dopo aver aderito entusia-sticamente in maniera volontaria, sacrifican-do il proprio periodo di riposo estivo, ungruppo di operatori sanitari è partito alla vol-ta dell’ospedale di Luzira, portando la pro-pria professionalità, ma anche l’umiltà dimettersi a disposizione della popolazione.L’équipe, che poteva definirsi completa a tut-ti gli effetti era composta da otto elementi: 2medici ostetrici/ ginecologici, 1 chirurgo ge-nerale, 1 chirurgo vascolare, 1 anestesista, 1caposala di area chirurgica, 1 strumentista

SOPRA, EQUIPE DURANTEUN CESAREO ALL’OSPEDALEDI LUZIRA.SOTTO, I BAMBINIDEL VILLAGGIO DI LUZIRA

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se e a preparare il necessario, è partita con unbriciolo di incoscienza e di senso di avventu-ra, l’attività chirurgica con interventi ostetri-ci/ginecologici e qualche intervento di chi-rurgia generale. È nato inoltre, grazie alla do-nazione di un colposcopio, un ambulatorioginecologico per la prevenzione dei tumoridell’apparato genitale femminile e sono statieseguiti i primi pap test nell’ambito di unacampagna di prevenzione che dovrebbe poiproseguire con il personale locale. È stato da-to incremento anche all’attività di laboratoriocon un progetto per lo studio della coagula-zione e per la microbiologia.Il tutto è stato accolto con entusiasmo dallapopolazione, che ha affollato gli ambulatoridel piccolo ospedale dimostrando un affettoed una riconoscenza che ci ha ampiamentericompensati dei disagi affrontati.È proprio guardando quei volti sereni e pienidi gioia, dove ogni persona ha un drammapersonale alle spalle fatto di sofferenza e divoglia di risorgere, che le nostre giornate sonovolate.A conferma della valenza sociale e del con-senso generale che abbiamo raccolto, proprionell’ultimo giorno della nostra permanenza,siamo stati convocati assieme all’ambasciato-re italiano in Uganda, Dr. Alberto Dejak, perun incontro con la First Lady Mrs. Meseve-ni, che ha voluto complimentarsi personal-mente e ringraziarci a nome del popolougandese per il lavoro svolto invitandoci adare continuità al nostro operato. La stessastampa ugandese ha dato risalto al nostrooperato pubblicando la foto della nostraéquipe con la First Lady e confermando ilfatto che l’Uganda è un paese riconoscente aquelle comunità in grado di offrire loro unaiuto che non sia solo economico, ma anchedi umanità e sacrificio.Non esistono parole per descrivere l’intensitàdelle emozioni provate e alla fine del nostrosoggiorno possiamo sicuramente affermare diaver cercato di dare qualcosa, ma che è statapoca cosa rispetto a ciò che abbiamo ricevutoin cambio. L’unica cosa certa è il desiderio che questanostra esperienza non rimanga un fatto iso-lato, ma sia l’inizio di una collaborazionecostante attraverso la presenza diretta anchedi altri operatori sanitari disposti a condivi-dere questa nostra esperienza e la propriaprofessionalità con il meraviglioso popolougandese.

con anche diploma di ostetrica, 1 biologa peril laboratorio.Dopo qualche giorno trascorso a controllareil materiale esistente, a razionalizzare le risor-

SOPRA, IL GRUPPODELLA SALA OPERATORIA.SOTTO, I LETTI DI DEGENZADELL’OSPEDALE DI LUZIRA

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