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«Illuminazioni» (ISSN: 2037-609X), n. 42, ottobre-dicembre 2017 207 Pietro Meloni TATTICHE E STRATEGIE NELLA SPESA DOMESTICA. NOTE DI ETNOGRAFIA SULLO SHOPPING E LA CULTURA MATERIALE ABSTRACT. In questo articolo prendo in considerazione la spesa familiare al supermercato come campo di ricerca etnografica per l’antropologia. La mia attenzione è focalizzata sulle pratiche e le tattiche dei consumatori, contrapposte alle strategie dei luoghi di consumo e dei produttori di merci. L’obiettivo è di comprendere come i consumatori sviluppino delle tecniche per sfuggire al regime di governamentalità dei luoghi di consumo, costituendo così lo shopping come una pratica di resistenza. ABSTRACT. In this article I consider the everyday shopping in the supermarket as an ethnographic fieldwork. My attention focuses on consumers’ practices and tactics, considered as opposite to the strategies of consumption places and to the producers of commodities. The aim of the article is to explain how the consumers develop techniques of the self to escape to the governamentality of the places of consumption, turning the shopping in a practice of resistance. Key Words: consumo, cultura materiale, etnografia, antropologia

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«Illuminazioni» (ISSN: 2037-609X), n. 42, ottobre-dicembre 2017

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Pietro Meloni

TATTICHE E STRATEGIE NELLA SPESA DOMESTICA.

NOTE DI ETNOGRAFIA SULLO SHOPPING E LA CULTURA

MATERIALE

ABSTRACT. In questo articolo prendo in considerazione la spesa familiare al

supermercato come campo di ricerca etnografica per l’antropologia. La mia

attenzione è focalizzata sulle pratiche e le tattiche dei consumatori, contrapposte alle

strategie dei luoghi di consumo e dei produttori di merci. L’obiettivo è di

comprendere come i consumatori sviluppino delle tecniche per sfuggire al regime di

governamentalità dei luoghi di consumo, costituendo così lo shopping come una

pratica di resistenza.

ABSTRACT. In this article I consider the everyday shopping in the supermarket as

an ethnographic fieldwork. My attention focuses on consumers’ practices and tactics,

considered as opposite to the strategies of consumption places and to the producers of

commodities. The aim of the article is to explain how the consumers develop

techniques of the self to escape to the governamentality of the places of consumption,

turning the shopping in a practice of resistance.

Key Words: consumo, cultura materiale, etnografia, antropologia

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L’amore al supermercato?

Nell’introdurre il rapporto tra cultura materiale, processi di incorporazione e

tecniche del corpo Jean-Pierre Warnier (1999) porta come esempio il rapporto tra

automobile e individuo. Per saper guidare un’automobile, ci dice, è necessario

incorporare determinate capacità che ci permettano di costruire un rapporto con il

mezzo tecnico tale da farci operare senza doverci riflettere sopra. Un principiante,

scrive Warnier, non sa farlo:

Dopo trenta minuti di guida il principiante è spossato. Il conducente esperto non riflette

più, “egli va”, non conduce qualcosa. Lo fa senza fatica, in economia. Fa corpo con la

vettura. Quando cambia auto gli serve un periodo di adattamento, per modificare i suoi

algoritmi motori in funzione del cambio di oggetto (pag.14).

Proviamo a pensare questo rapporto di incorporazione in un contesto differente,

senza la relazione – apparente – di un oggetto tecnico, fornendo un esempio che

certamente molti di noi conoscono bene: la spesa familiare al supermercato.

È sabato mattina e dobbiamo fare la spesa per la settimana che verrà, così, pieni di

buoni propositi – o con grande spirito di rassegnazione a seconda dei casi –

prendiamo la nostra macchina e ci infiliamo nel traffico che da casa nostra porta al

“nostro” supermercato. Fatichiamo, come tutte le persone che condividono questa

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“avventura”, a trovare parcheggio ma alla fine, con qualche manovra perché lo spazio

è stretto, riusciamo a parcheggiare la macchina nel posteggio del centro commerciale

e ci avviamo alla ricerca di un carrello per fare la spesa. Per prenderlo è necessaria

una moneta da due euro ma noi abbiamo soltanto alcune monete da un euro e vari

spiccioli, così dobbiamo scendere al piano inferiore per farci cambiare le monete

dalla cassiera e poi ritornare al piano superiore a prendere il nostro carrello. Capita

spesso di incontrare qualche consumatore solidale che ci lascia il suo carrello in

cambio delle nostre due monete da un euro, così da evitare di dover scendere per farci

cambiare le monete.

Preso il carrello si può entrare nel supermercato, affollato di persone intente come

noi in questo rituale di massa.

Abbiamo una lista sommaria, sappiamo cioè in linea di massima cosa ci serve

(frutta, verdura, salumi, pasta, pane, acqua, zucchero, uova ecc.) ma, ovviamente, li

dobbiamo cercare e non siamo sicuri di quali prodotti esattamente abbiamo bisogno.

Cominciamo con il comprare frutta e verdura ma accedere ai banconi, in più con

l’ingombrante carrello al seguito, non è cosa facile, così proviamo a dirigerci verso i

banchi meno affollati e prendiamo dei frutti e della verdura. Li mettiamo nel

sacchetto e andiamo a pesarli, ma abbiamo dimenticato di leggere il numero

corrispondente per poter stampare il prezzo del nostro acquisto, così torniamo al

banco per leggere il codice, intanto davanti alla bilancia c’è già una fila di persone

che deve pesare i prodotti. Dopo questo acquisto, con fatica, decidiamo di andare al

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banco dei salumi, prendiamo il biglietto per essere serviti e ci accorgiamo che prima

di noi ci sono trenta persone. L’attesa può variare a seconda delle richieste del cliente

e del numero delle commesse che servono al banco e, nella speranza che qualche

consumatore abbia rinunciato a fare la fila, aspettiamo il nostro turno. Terminato

andiamo a cercare la carne e la pasta, leggiamo dei cartelloni che segnalano che ci

sono delle merci con forti sconti, così pensiamo di comprare quelle per risparmiare

ma non riusciamo a capire quale sia il prodotto in sconto, perché dove viene

segnalato, ad esempio, del carpaccio di vitello, troviamo invece del pollo che, tutto

sommato, potrebbe andar bene, solo che non sappiamo quanto costa. Proviamo a

chiedere aiuto a una commessa che, puntualmente, ci dice di non essere l’addetta a

quel reparto e che dobbiamo rivolgerci a qualcun altro, così alla fine prendiamo della

carne “qualunque” e proseguiamo la nostra spesa. Ci ricordiamo di non aver

comprato il pane, che si trova all’inizio del supermercato, così dobbiamo ritornare

indietro, mentre eravamo quasi arrivati alle casse. Preso il pane, ci fermiamo di fronte

al reparto dei prodotti di enogastronomia locale, pensando di farci un regalo1

comprando qualcosa di particolare e scegliamo un formaggio che, verosimilmente,

costa tre volte in più rispetto a un omologo anonimo che non porta nessun marchio di

garanzia locale.

Quando arriviamo al reparto delle acque vediamo che su nessuno scaffale è

indicato il prezzo e non è possibile sapere quanto viene a costare, stanchi prendiamo

1 Daniel Miller (1998) ci ricorda come alla fine della spesa, le persone tendano spesso a concedersi una gratificazione per aver portato a termine un’attività vista come un vero e proprio lavoro.

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un’acqua che conosciamo e ci avviamo verso la cassa. Ci mettiamo in fila, stupendoci

del fatto che nel nostro settore ci siano poche persone, mentre le altre casse sono tutte

affollate; il motivo è semplice, abbiamo scelto una fila riservata ai soli soci, o per chi

ha delle urgenze, o per chi ha comprato un numero minimo di prodotti. Così

dobbiamo cambiare fila e rimetterci in coda, in un’attesa che ci pare interminabile.

Dopo aver pagato, finalmente, ci dirigiamo alla nostra macchina, mettiamo le buste

nel portabagagli e ci accorgiamo di aver comprato circa la metà delle cose che ci

servivano – e magari ne abbiamo comprate altrettante di cui non avevamo bisogno.

Ci avviamo a riporre il carrello per recuperare le nostre due euro che, con notevole

sorpresa, si sono trasformate in una vecchia moneta da 500 lire, facendoci dubitare

circa la solidarietà tra consumatori. Alla fine di questo tragitto, il consumatore, non

meno del principiante che impara a guidare un’automobile di cui parla Warnier, è

spossato, allo stremo delle forze – e per di più deve ancora fare ritorno a casa, mettere

a posto la spesa e cucinare il pranzo.

Le tecniche del sé e il consumo

In questo esempio di etnografia2 fondata sul principio dello shadowing (Wolcott

1973; Czarniawska 2007; Sclavi 1995) e della partecipazione osservante (Gatt, Ingold

2013; Soulé 2007; Moeran 2009) gli attori non interagiscono direttamente con un

2 L’economia del testo non permette un approfondimento degli aspetti metodologici della ricerca. Per le pratiche dello shadowing e della partecipazione osservante si rimanda quindi agli autori citati.

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mezzo tecnico, come nel caso analizzato da Warnier ma agiscono su loro stessi

mettendo in atto quelle tecniche del corpo che ci permettono di comprendere gli

aspetti più minuti della cultura materiale. È stato per primo Marcel Mauss (1936) ad

affermare come nell’analisi della tecnologia culturale “abbiamo commesso, io stesso

ho commesso per molti anni, l’errore fondamentale di ritenere che esistano delle

tecniche solo quando ci sono strumenti” ricordandoci come il corpo sia “il primo e

più naturale strumento dell’uomo” (pag. 392). Un vero e proprio mezzo tecnico, che

ci permette di agire su noi stessi ed il mondo circostante. Arjun Appadurai (1996) ha

affermato che il consumo “in tutti i contesti sociali, ruota intorno a quelle che Marcel

Mauss ha chiamato le tecniche del corpo” (1996: pag. 94), suggerendo di affrontare

questo tema nella sua funzione di abitudine che tende alla ripetizione poiché, anche

nei contesti più raffinati e nelle azioni più naturali. L’abitudine, secondo Appadurai,

interviene per regolare e disciplinare delle pratiche che altrimenti verrebbero a

inserirsi all’interno di un regime anarchico e, di conseguenza, non potrebbero essere

riprodotte con facilità e “naturalezza”: come dice lo stesso Appadurai, “ci vuole

lavoro anche per mantenere una barba incolta” (pag. 95).

Abitudine, disciplina, ripetizione, nel campo del consumo possono essere

affiancate all’habitus (Bourdieu 1979), quella capacità di improvvisazione e

acquisizione di determinate pratiche che equivalgono alla capacità di orientamento e

di aggiornare e impiegare le tecniche del corpo in contesti differenti. Tale

atteggiamento si può leggere anche come il costante sforzo di soggettivazione

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all’interno di un regime di governamentalità (Foucault 2004) che si definisce

all’interno degli spazi di consumo. Come hanno teso a sottolineare alcuni studiosi

francesi, la governamentalità foucaultiana, intesa come tecnica di dominio sull’altro,

chiama in causa la soggettivazione come tecnica del sé che si struttura sul rapporto

tra cultura materiale, immaginario e le tecniche del corpo (Warnier 1999; Bayart

2004; Warnier – Bayart 2004).

Fare la spesa, infatti, è un’attività, per quanto quotidiana e ordinaria, meno banale

di quanto si possa pensare, poiché richiede l’acquisizione di una cultura materiale che

permetta agli attori sociali di svolgere nel modo migliore tale pratica, di farla quasi

senza pensarci sopra, imparando a padroneggiare gli spazi.

A differenza dell’automobilista di Warnier il consumatore non ha, almeno

apparentemente, delle tecniche già prestabilite da acquisire attraverso le quali possa

imparare il corretto funzionamento del mezzo tecnico che utilizza ma, al di là di

alcune coordinate di base, la soggettivazione si gioca tutta sulla capacità di

improvvisazione dell’attore sociale.

In altre parole, ognuno fa la spesa come crede, l’importante è imparare delle

tecniche capaci di farci svolgere tale attività nel modo più soddisfacente possibile:

senza farci stancare troppo, nel minor tempo possibile, senza farci dimenticare dei

prodotti importanti da comprare ecc.

Improvvisare, dunque, può voler dire mettere in atto dei rapidi calcoli per portare a

proprio favore il lavoro del fare la spesa. Da una parte una tattica di consumo che

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cerca di muoversi all’interno di uno spazio altrui, in particolare di uno spazio dove i

corpi in qualche modo sono incanalati in determinati comportamenti e regimi di

governamentalità; dall’altra l’incorporazione di coordinate spaziali attraverso le quali

mettere in atto movimenti, selezioni, gestualità ripetitive per svolgere l’attività di

consumo. Si tratta di una complessa negoziazione tra la volontà del consumatore e gli

spazi costruiti appositamente per influenzare le sue scelte.

Georges Ritzer (1999) ha descritto minuziosamente l’organizzazione ed il

funzionamento dei supermercati:

Il settore di vendita dei fiori (o del pane) è spesso il primo che ci si trova davanti,

destinato a stuzzicare i sensi del cliente, a dargli una immagine gradevole del negozio e a

fiaccarne le resistenze. Il posto migliore dove esibire la roba da mangiare è all’inizio o alla

fine di ciascuna corsia. Gli alimenti collocati in quei punti strategici possono

tranquillamente vendersi due o tre volte di più. Più in generale, si vendono di più gli articoli

posti al livello degli occhi o all’inizio di uno scaffale. Gli alimenti destinati ai più piccoli

sono posti in genere in basso sugli scaffali per consentire ai bambini non solo di vederli ma

anche di prenderli e implorare un genitore che li compri. I prodotti caseari stanno su un lato,

le verdure sull’altro, e in fondo la carne: per arrivare ad acquistare il necessario il cliente

deve percorrere gran parte del negozio e delle sue varie mercanzie. L’ammasso di scatolame

nei corridoi può rallentare l’andatura dei clienti e far sì che passino più tempo a guardare gli

scaffali; inoltre danno anche del negozio un’immagine che suggerisce l’idea dei prezzi in

svendita (pag. 60).

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Abbiamo, per dirla con Michel de Certeau (1980), da una parte delle strategie,

quelle dei produttori e dei venditori, dall’altra delle tattiche, quelle dei consumatori

che imparano a muoversi dentro questo universo di merci. Entrambe convergono

sulle tecniche del corpo, ossia al disciplinamento di sé per imparare a svolgere la

spesa in totale economia, con il minor dispendio di energie possibile3. In opposizione

tra loro, le strategie cercano di orientare il consumatore verso comportamenti

codificati e prevedibili, così che risponda alle intenzioni che si situano alla base dei

processi di produzione; le tattiche, al contrario, vanno alla ricerca degli interstizi

rimasti scoperti, fuori controllo, per spostare l’azione del consumo su un piano

creativo che ridefinisce le stesse tecniche del sé a favore del consumatore. Per

comprendere questa tensione tra tattiche e strategie, ossia tra chi dispone di un campo

proprio dove scrivere le regole e chi, invece, deve adattarsi al campo dell’altro

cercando di risemantizzarlo, ci è utile la citazione di Ritzer sulla struttura comune di

un supermercato.

Se possiamo facilmente sostenere che oggi la nostra sia principalmente una società

dei consumi e dell’opulenza (Baudrillard 1970) e noi stessi dei consumatori di massa,

allo stesso tempo è necessario constatare che non tutti sono capaci di acquistare le

merci nello stesso modo. Ci sono infatti consumatori che sono in grado di investire il

3 Va sottolineato che questa è soltanto una possibile interpretazione, partendo dall’idea di tecniche del corpo di Mauss e dalle successive interpretazioni di Warnier. Potremmo al tempo stesso, e con legittimità, sostenere che la spesa familiare sia un atto rituale dove il dispendio, lo spreco di denaro e di energie è alla base del consolidamento del nucleo familiare.

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proprio tempo e le proprie risorse economiche in beni e merci di cui hanno bisogno –

o anche in surplus che decidono di concedersi – e, d’altra parte, ci sono pessimi

consumatori per i quali investire il proprio denaro in beni e merci che ritengono

spesso di prima necessità diventa un lavoro niente affatto semplice e finiscono irretiti

nelle maglie della produzione che orienta le loro scelte.

La spesa, inoltre, è un’attività che solitamente viene a inserirsi in tempi destinati ad

altro, che emerge come necessità, come bisogno di colmare un’assenza. Facciamo la

spesa nei ritagli di tempo, a volte riusciamo a dedicargli un giorno e un orario

prestabilito, ma non sempre riusciamo a mantenere un ritmo di abitudine, a

routinizzare il processo di acquisto come vorremmo.

Il motivo, a mio avviso, è legato alla capacità di sviluppare determinate tecniche

che, unitamente alla tattiche, consentono al consumatore di resistere, e dunque

sopravvivere, ai regimi strategici del consumo. Cercherò, nel prossimo paragrafo, di

fare degli esempi concreti.

Il consumo come azione tecnico-attica

Mauss (1936) ha parlato per primo di tecniche del corpo cercando di dare forma e

trovare una giusta collocazione a quella serie di “fatti vari” che solitamente finivano

con il rappresentare categorie eteroclite di elementi e fenomeni della vita umana

senza che si riuscisse a trovare il modo di collegarle tra loro o con fenomeni

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differenti. Per Mauss la tecnica è prima di tutto un’azione tradizionale efficace, che si

tramanda o che si apprende per imitazione e che si differenzia a seconda dei contesti

sociali e dei periodi storici. Gli esempi da lui portati sono svariati: esistono differenti

modi di nuotare, di marciare, di usare la zappa, di camminare, di dormire, di

mangiare, di partorire ecc. Queste differenziazioni dipendono dai contesti sociali: il

modo di camminare dei maori, di dormire dei mongoli, di partorire di alcune

popolazione africane rispetto ai francesi o agli europei in generale. O dal tempo: il

modo di nuotare di Mauss era differente rispetto a quello appreso dai suoi nipoti. E,

ancora, dal rapporto di cultura materiale tra oggetto e tecnica del corpo: il modo di

usare la zappa dei francesi contrapposto a quello degli inglesi. Tutti questi esempi

riportati da Mauss indicano che le tecniche del corpo sono prima di tutto un habitus,

una capacità che si apprende e che fa tutt’uno con il corpo dell’attore sociale che

agisce o che utilizza un determinato strumento tecnico. Non dovrebbe sorprendere, da

questo punto di vista, la predominanza della cultura nei gesti umani, che Mauss ha

rilevato con un’analisi puntuale e minuziosa di diverse attività presso popolazioni tra

loro assai differenti.

Ci si potrebbe chiedere che tipo di rapporto si può stabilire tra il consumo, l’atto

del fare la spesa, le tecniche del corpo e la cultura materiale. Credo che attraverso

un’analisi etnografica, la dipendenza del consumo dalle tecniche del corpo e dalla

cultura materiale sia, per certi versi, fondamentale, per quanto, essendo essa

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incorporata e agita spesso inconsapevolmente, non viene rilevata che nelle sue

componenti più esteriori.

Proviamo a fare altri esempi, sempre presi dall’esperienza etnografica nel campo

del consumo. L’abitudine consente ai consumatori di sviluppare delle tecniche che

permetteno loro di fare la spesa con il minor sforzo possibile, riuscendo al contempo

a comprare tutto quello di cui hanno necessità. Imparare le giuste tecniche è

fondamentale per non soccombere nella pletora di merci tra le quali devono

muoversi.

La spesa di un consumatore esperto comincia da casa, dallo stilare una lista delle

merci che intende comprare. La lista si agevola delle pubblicità che regolarmente

vengono recapitate a casa dei cittadini con le indicazioni sulle offerte riguardanti vari

prodotti di consumo. Il consumatore può organizzare la propria spesa anche in base

alle offerte e quindi mirare a un investimento economico contenuto. L’aspetto

fondamentale riguarda principalmente la progettazione, quell’attività di design non

specialistico (Appadurai 2013) e spesso inconsapevole, attraverso cui gli attori sociali

cercando di dare ordine al proprio mondo. Per alcuni consumatori la progettazione è

tutto, permette loro di ridurre gli spazi di consumo ad un testo leggibile e facilmente

controllabile. Ci sono infatti consumatori che vanno al supermercato con una lista

minuziosa in cui sono indicate tutte le cose di cui hanno bisogno; non si limitano a

delle indicazioni generali (tipo frutta e verdura, pasta e vino) ma specificano ogni

singolo prodotto: quale tipo di frutta e di verdura, quale marca di vino, che genere di

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pasta (a esempio se lunga o corta). Dispongono inoltre le merci acquistate nel proprio

carrello in modo che possano essere riposte nei sacchetti seguendo un ordine preciso

che risponde alla disposizione della spesa nella dispensa di casa: la frutta e la verdura

in un apposito sacchetto, così come i prodotti da frigorifero, i detersivi per la casa, in

modo da avvantaggiarsi per quando dovranno mettere a posto la spesa.

Questa tecnica prevede di non avere alcuna distrazione, si fonda sulla negoziazione

tra agency del consumatore e possibilità offerte dal luogo di consumo. Talvolta ha

bisogno di un riadeguamento delle condotte motorie quando, ciclicamente, il

supermercato sposta le merci in diversi settori ma si fonda su una profonda

razionalizzazione dei consumi. Questo genere di tecnica tende a economizzare sulle

azioni, sugli sguardi, sul rapporto tra corpo e spazio, in una disciplina che riduce il

consumo a una serie di attività motorie programmate e, col tempo, automatizzate.

Se però la osserviamo nella sua specificità funzionale, ossia quella di

economizzare sui tempi di permanenza all’interno del supermercato, questa tecnica

può mostrare dei limiti: ad esempio relativi alla qualità dei prodotti. La frutta che si

aveva in mente di comprare può non essere di ottima qualità, perché magari proviene

da luoghi lontani e ha viaggiato in celle frigorifere – la maggior parte delle volte

maturando all’interno di esse. Le pere possono essere così belle fuori ma marce

dentro, la verdura ammosciarsi dopo poco tempo, i prodotti da frigo quasi in

scadenza, il sacchetto del detersivo bucato e così via. Sono evidentemente necessarie

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altre tecniche che, non diversamente dalle tecniche del corpo di Mauss, possono

essere trasmesse o apprese per imitazione.

Si tratta di tattiche volte a spostare gli squilibri di potere tra luogo di vendita e

consumatore in favore di quest’ultimo. Alcuni esempi veloci. Quando si vuole

risparmiare i prezzi vanno comparati a seconda del peso e non, come solitamente si

tende a fare, confrontando tra loro, ad esempio, due scatolette diverse di tonno.

Un’accortezza di questo genere ci fa scoprire come nella maggior parte dei casi la

merce in offerta abbia un peso inferiore rispetto ad altri prodotti che solo

apparentemente sembrano costare di più.

Bisogna inoltre prestare attenzione ai cicli stagionali dei prodotti, comprare frutta e

verdura nel periodo dell’anno in cui maturano, così da evitare prodotti importati che

solitamente vengono conservati per lungo tempo in celle frigorifere con il risultato di

essere o ancora acerbe o fin troppo mature. A queste prime tecniche dello sguardo,

ossia di attenzione verso le etichette – comparare i prezzi, guardare sempre la

provenienza dei prodotti e la loro scadenza – se ne aggiungono altre più corporali e

incorporate, alcune della quali sembrano spesso manifestare un aspetto pressoché

magico – anche perché tendono spesso a divenire non solo routinizzate ma anche

ritualizzate.

Un esempio: la scelta del melone, dell’anguria o del cocco. Nel periodo estivo è

facile, all’interno dei supermercati, imbattersi in consumatori che scuotono noci di

cocco intenti a sentirne il contenuto, battono ripetutamente sulle angurie quasi si

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trattasse di strumenti a percussione o danno piccoli colpi ai meloni, cercando di

percepire con l’orecchio se il “toc” che viene restituito è quello giusto o no. Questi

atteggiamenti sono indirizzati a rilevare la qualità del prodotto attraverso

l’applicazione di una cultura materiale tra oggetto e soggetto. Scuotere la noce di

cocco serve a percepire la quantità di liquido (il latte di cocco) contenuto al suo

interno: l’assenza di liquido o la presenza di una quantità di liquido ridotta ci

suggerisce che la noce di cocco è vecchia e probabilmente non più buona da

mangiare. L’indagine circa la qualità del melone o dell’anguria, rinvia a un presunto

sapere popolare, dove il contadino, prima di staccare il melone dalle piante, utilizza

un sapere materiale per verificare se sia maturo o no, in modo da evitare di cogliere

un frutto ancora acerbo.

A parte la verifica del cocco, tecnica piuttosto semplice per qualunque

consumatore, quella del riconoscimento del melone maturo mantiene degli aspetti

magici, diversificandosi in maniera marcata a seconda dei consumatori. Il melone può

essere analizzato dall’odore, dal rumore che restituisce al colpo della mano, dalla

intensità della rete della buccia, dalla secchezza del picciolo. Jojada Verrips (1993)

ha ben mostrato come nel contemporaneo rapporto con le merci, riemerga una sorta

di animismo e magismo che modifica il modo in cui interpretiamo le cose.

Vi sono aspetti ancora più automatizzati e incorporati che molti consumatori

mettono in atto praticamente senza averne una consapevolezza immediata. Ne indico

alcuni ma la lista potrebbe essere molto più lunga: scegliere la frutta che si trova nella

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parte più alta del bancone; agitare le scatole di fragole per vedere se all’interno vi è

del liquido; scartare sistematicamente la verdura bagnata, verificando l’umidità con la

mano che non porta il guanto di plastica obbligatorio per la selezione di frutta e

verdura; spogliare l’insalata prima di metterla nel sacchetto; prendere la verdura dalle

cassette di riserva che spesso si trovano sotto i banconi; spostare i prodotti nei banchi

frigo e prendere quelli che si trovano sul fondo ecc.

Ognuno di questi aspetti è, al contempo, un pensare con il corpo e una tattica che si

apprende solitamente per imitazione, come anche un calcolo razionalizzato attraverso

l’analisi delle dinamiche di organizzazione del sistema del consumo all’interno di

ogni singolo supermercato. Ci vuole familiarità e abitudine, così da sapere che i

commessi tendono a riempire i banchi della frutta partendo dall’alto ed è in cima che

la frutta tende a essere sempre fresca; o che le confezioni di fragole che contengono

liquido al loro interno marciranno in fretta; o che nei banchi frigo i commessi

tendono a mettere esternamente i prodotti più vicini alla scadenza; o ancora che

l’insalata spogliata delle prime foglie dura di più perché più asciutta - e al tempo

stesso si riduce il peso e quindi la spesa.

Il consumatore sa queste cose e le incorpora in una serie di tecniche del sé

attraverso le quali è in grado di metterle in pratica senza doverci riflettere sopra: non

ci mettiamo a pensare “adesso devo annusare il pane e schiacciarlo tra le mani per

vedere se è fresco”, lo facciamo in modo completamente automatizzato, come,

appunto, una tecnica del corpo.

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La messa in atto di tecniche nella scelta e selezione delle merci è riscontrabile in

diversi aspetti del consumo, in modo più probabile lì dove l’attività di consumo

diviene routine e pratica ordinaria, così da essere sempre più automatizzata. Non

credo si possa tracciare una linea comune nella rappresentazione delle tecniche del

corpo, in quanto sono comunque soggette all’agency degli individui, a diversi sistemi

di imitazione, alla trasmissione di saperi e accortezze che possono variare da soggetto

a soggetto e che possono avere origini familiari o essere socializzate attraverso i

media – cosa che accade spesso nei programmi dedicati ai consumatori. È però

ipotizzabile che esistano delle tecniche diffuse e socialmente condivise, che

penetrano nelle pratiche ordinarie dei consumatori attraverso immaginari o ricorrenze

nella soggettivazione degli spazi di consumo. In altre parole, i modi di utilizzare le

tecniche possono variare, così come le tattiche e le strategie di consumo (variano in

relazione al tempo, alla solvibilità del consumatore, alle attenzioni per il sé,

all’investimento simbolico, all’importanza che si dà a certi prodotti e così via) non

sono mai del tutto uguali da consumatore a consumatore ma le tecniche del corpo

esistono, e sono spesso di una importanza predominante all’interno delle pratiche di

consumo.

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Conclusioni

Per quanto il tema del consumo possa apparire assai distante dagli esempi di

Mauss, credo si possa convenire che non meno di quanto il dormire e il mangiare – le

quali, a mio avviso, sono altrettante pratiche di consumo –, anche il comprare e il

consumare sono pratiche che, pur rispondendo spesso a un ordine di necessità

naturale – o supposto tale – si organizzano attraverso dei modi culturali che, a loro

volta, tendono a tradursi in tecniche del corpo.

L’aspetto della cultura materiale e delle tecniche del corpo nel campo del consumo

evidenzia alcuni aspetti interessanti: i modi di uso e di scelte che si caratterizzano per

una estetica del toccare, annusare, auscultare, osservare, volta a stabilire un rapporto

di verifica con l’oggetto per saggiarne la convenienza dell’acquisto; una costruzione

di spazi domesticati attraverso i quali imparare a muoversi, che possono essere

riconosciuti nel tempo e che ci permettono di orientarci e muoverci in piena

autonomia; infine, una sviluppata accortezza che assume anche i toni di una

sistematica mancanza di fiducia che porta il consumatore ad armarsi di una serie di

tecniche non soltanto per governarsi, ma anche per poter controllare lo spazio delle

merci senza rimanervi imbrigliato.

Se ci mettessimo ad osservare con attenzione le gestualità e le traiettorie dei

consumatori si potrebbero forse tracciare differenti profili sulle modalità di consumo

all’interno degli spazi delle merci per ricostruire una estetica delle pratiche quotidiane

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di consumo: il consumatore risoluto e sicuro di sé che si muove con disinvoltura

all’interno dei labirinti dei supermercati; quello accorto e scrupoloso che ispeziona

ogni prodotto, che tasta ogni singolo frutto, che controlla le date di scadenza su ogni

prodotto; quello frettoloso che non scolla gli occhi dalla propria lista e si ferma solo

nei banchi necessari e così via.

Su questi aspetti l’habitus e l’abitudine sono fondamentali, sia per quanto riguarda

la scelta delle merci sia, come passo successivo, nel modo in cui tali prodotti vengono

consumati. La scelta di un prodotto alimentare rivela una serie di tecniche del corpo

che segnalano la presenza di accortezze e di atteggiamenti incorporati ma non meno

di questi, lo stesso consumo del prodotto richiede la messa in atto di tecniche e di

atteggiamenti incorporati che formano una cultura materiale spesso inconsapevole,

acquisita attraverso la pratica e l’abitudine, livellata su una serie di azioni non

sistematiche – spesso nemmeno sistematizzabili con agilità.

Tali tecniche sono poi generatrici di esperienza: l’acquisto di un frutto marcio ci

insegna a sviluppare delle attenzioni particolari per i prossimi acquisti. Su queste

attenzioni si fondano tutta una serie di tecniche di consumo che gli attori sociali

costantemente mettono in atto nelle loro peregrinazioni in negozi, mercati, centri

commerciali e che sviluppano capacità di orientarsi nel mondo dei consumi.

La scelta delle merci, la loro ricerca, alcune strategie, sono parte di un orizzonte che

appartiene tanto alla cultura materiale, quanto ai modi di uso delle merci.

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