«Ilcapitalismoeleviegiuste persostenereideeeprogetti»€¦ · dell'Eni. In precedenza, dal 2002...

1
Integrazione più facile se l’istruzione è elevata «Il capitalismo e le vie giuste per sostenere idee e progetti» Paolo Scaroni, nato a Vicenza nel 1946, dopo una lunga carriera manageriale che lo ha visto muovere i primi passi in McKinsey, è da due anni alla guida dell'Eni. In precedenza, dal 2002 al 2005, è stato amministrato- re delegato dell'Enel. Immigrati e strategie Tito Boeri illustra una tendenza presente in molti Paesi comunitari. Ma non in Italia P aolo Scaroni è alla guida di Eni. Il «Ca- ne a sei zampe», in tempi di mercati glo- balizzati, non è semplicemente il grup- po italiano che, grazie alla sua attività nel petrolio e nel gas naturale, l’anno scorso ha fatturato oltre 27 miliardi di euro conse- guendo un utile netto record di 9,2 miliardi. E non è neppure soltanto la società che capitalizza di più a Piazza Affari. Per l’intero Sistema-Italia è anche una piattaforma con propaggini produtti- ve e commerciali ovunque che, stringendo alle- anze, investendo in tecnologia ed espandendo la sua capacità produttiva, di fatto realizza un conti- nuo processo di internazionalizzazione che non resta confinato all’interno delle mere strutture aziendali. La rielaborazione di elementi nuovi, at- traverso gli uomini che vi lavorano e le decisioni del quartier generale italiano, viene poi riversata su tutto il Paese. E questo processo virtuoso è tan- to più possibile quando i mercati sono aperti e ben integrati. L’amministratore delegato del- l’Eni, quindi, in virtù della sua esperienza «globa- le» è l’interlocutore giusto per capire dove sta an- dando il capitalismo internazionale. E quali carat- teristiche di governance e efficienza debbono avere le singole imprese che, partendo da uno specifico Paese, si muovono come player globali in mercati sempre più aperti e concorrenziali. Dottor Scaroni, esiste un capitalismo indu- striale e uno finanziario? «Mi pare una distinzione artificiosa e poco at- tuale rispetto al contesto economico che caratte- rizza la nostra epoca. Si tratta di una distinzione legata a modelli di sviluppo datati, che si riferisco- no a realtà economiche arretrate e protette». Perché? «Perché se consideriamo il concetto di capitali- smo in un’accezione moderna, questa distinzio- ne decade. Non c´è capitalismo finanziario e ca- pitalismo industriale, ma capitalismo e basta. In- tendo dire una vasta articolazione di soggetti che investono capitali di rischio oppure finanziano con prestiti le imprese che competono tra di loro per attrarli. Ed è bene tener presente, come qua- dro di riferimento, che i soggetti sono perlopiù istituzionali e non hanno più a che vedere con i «padroni delle ferriere» a cui spesso ancora ci si riferisce. Penso piuttosto al capitalismo come si- stema per finanziare idee e progetti. Un sistema di questo tipo consente diversi vantaggi. Per esempio la possibilità che il finanziamento così ottenuto consenta di superare qualsiasi vincolo fisico e patrimoniale dell’impresa che lo ricerca. Questa flessibilità è un’opportunità straordinaria per la crescita e lo sviluppo di un’azienda, un’op- portunità impensabile in un sistema chiuso. An- che noi in Eni abbiamo esperienze dirette». Ci faccia qualche esempio. «Ne faccio uno legato ai fatti di questo ultimo periodo. Nell’aprile di quest’anno, in due giorni è stato possibile ottenere una linea di credito di 7,5 miliardi di dollari necessari per la partecipa- zione di Eni all’asta per la cessione di alcuni as- set della società Yukos. Tutto questo mi pare ci dica che vedere una contrapposizione tra finan- za e industria ha poco senso. Al contrario, la pos- sibilità di crescita industriale di un’azienda è pro- fondamente legata alla sua capacità di attrarre ca- pitali finanziari». Lei crede che essere inseriti in un mercato finanziario possa funzionare per un’azienda anche come termometro della bontà delle sue strategie? «Ne sono convinto. Il finanziamento dell’im- presa in un sistema di mercato si determina in un processo fortemente competitivo. Per questo occorre che un’azienda sia in grado di esporre una visione convincente del futuro, di dove, co- me, sulla base di quali punti di forza l’azienda si collocherà in quel futuro e del perché quella col- locazione sarà in grado di generare ricchezza per gli investitori». Creare una visione è probabilmente una con- dizione necessaria ma non sufficiente. Quali sono le leve per sviluppare valore? «La visione, ma anche la capacità di comuni- carla, devono essere sostenute da strumenti che consentano di realizzarle. Per questo sono indi- spensabili una serie di asset all’interno dell’azien- da: risorse umane, tecnologie, competenze e ca- pacità realizzative, reputazione per essere credi- bile nella realizzazione degli obiettivi e responsa- bilizzazione, cioè un meccanismo che misuri e rappresenti al mondo esterno, in modo traspa- rente, la coerenza tra gli obiettivi comunicati e i risultati conseguiti. L’azienda che può vantare tutti questi requisiti è premiata naturalmente an- che in termini di valore e può beneficiare di mul- tipli superiori ai concorrenti che sono determi- nanti in operazioni in cui la differenza dei multi- pli gioca un ruolo essenziale». Che tipo di operazioni? «Mi riferisco alle acquisizioni, operazioni in cui la differenza di multiplo tra cacciatore e pre- da ha un ruolo essenziale nelle strategie di offer- ta. D’altra parte, multipli bassi per un’azienda in- dicano che il mercato non riconosce in modo adeguato il valore intrinseco di quell’impresa o che ritiene incapace di estrarre tutto il valore del- l’azienda. O, infine, che l’impresa in sé — per suoi punti di debolezza strutturali — non è in gra- do di stare alla pari con i suoi concorrenti». E come si comporta in questo caso il manage- ment? «In tutti i casi, il management di un’impresa ri- ceve segnali forti da un sistema di mercato per correggere la rotta: spiegando meglio agli investi- tori l’effettivo valore di cui l´impresa dispone — perché talvolta i mercati possono sbagliare mettendo in discussione le proprie strategie, in- tervenendo sui punti di debolezza che pregiudi- cano il futuro dell'azienda». Quali sono i rischi per un´azienda che non ricorre a questi correttivi? «Il pericolo che vedo è l´autoreferenzialità. Una cosa che può funzionare solo per quelle im- prese che operano nei sistemi a economia pianifi- cata dove i costi dell’autoreferenzialità finiscono per gravare interamente sulla collettività». Ma il capitalismo è un sistema perfetto? «Certo che no. Come tutti i sistemi umani non è perfetto, ed anzi, spesso, ci mostra aspetti inac- cettabili. Ma fino a oggi è risultato il sistema più efficiente per allocare ottimamente le risorse e ge- nerare sviluppo». Paolo Scaroni CHI È DI SCENA L’ integrazione dei mercati finan- ziari e delle merci è ormai co- sa fatta. Nella globalizzazione l’anello mancante è costituito dalla mo- bilità del lavoro. In una società che spe- rimenta la pressione degli stranieri alle frontiere e, allo stesso tempo, ha biso- gno di loro per alimentare il proprio mercato del lavoro, le politiche che re- golano l’immigrazione diventano cen- trali. «Nei Paesi dell’Unione europea — dice Tito Boeri, docente di Economia del lavoro alla Bocconi e direttore della Fondazione Rodolfo Debenedetti — vi sono tre tendenze». Prima di tutto, c’è un irrigidimento delle norme e delle procedure nei confronti degli immigra- ti con bassi livelli di istruzione. Quindi, si registra il tentativo di attrarre lavora- tori molto qualificati. Infine, si investo- no risorse mirate sperimentando, come nel caso francese, i «contratti d’acco- glienza e di integrazione». La regola co- munitaria è quella del diverso tratta- mento di chi viene dall’estero, a secon- da del suo livello culturale. Questo non si spiega soltanto con le esigenze del mercato del lavoro: manca infatti mano- dopera anche per le mansioni più umili e sottopagate. Piuttosto, la ragione è che i lavoratori più istruiti sono poi più facilmente assimilabili nel tessuto socia- le. Tutto ciò segue trend sperimentati già altrove, come in Canada e in Austra- lia, dove un quarto degli immigrati ha un livello di istruzione elevato. In Italia, invece, le quote sono allocate in base al- la data di presentazione delle doman- de. «Da noi — osserva Boeri — non vie- ne tenuto minimamente in conto il livel- lo culturale e la precedente esperienza lavorativa degli immigrati». Nella difficile evoluzione verso una società e una economia aperte, in cui la promozione sociale è possibile indipen- dentemente dall’origine dei singoli, l’Italia non ha poi ancora sciolto altri nodi essenziali. Prima di tutto, la certez- za e la semplificazione del quadro rego- latorio. E, al di là delle scelte di fondo che connotano questa o quella legisla- zione, la rapidità e l’efficienza degli stru- menti attuativi. Ci sono voluti quattro anni per avere il regolamento della Bos- si-Fini e anche lo sportello unico per l’immigrazione non è ancora del tutto operativo. In un contesto tanto com- plesso, c’è il problema dei diritti politi- ci. L’Italia non ha fatto molto sulla stra- da dell’integrazione attraverso un per- corso finalizzato all’acquisizione della cittadinanza e del diritto di voto. «Vota- no persone che da due o tre generazio- ni sono in America Latina — commen- ta Boeri — e non figli di immigrati che da anni lavorano e pagano le tasse nel nostro Paese». P. B. Tito Boeri organizza l’incontro su «Immigrazione e integrazione» il 9 maggio alla Casa della Carità (16.30) In uno scenario competitivo, serve che l’azienda dia ai finanziatori una visione convincente del suo futuro «Le nostre quote ignorano il livello culturale del lavoratore straniero» La possibilità di crescita industriale di un’impresa è legata alla sua capacità di attrarre capitali ‘‘ DI PAOLO BRICCO L’AMMINISTRATORE DELEGATO DI ENI Domenico Starnone Francesco Giavazzi Sergio Romano ‘‘ José Manuel Barroso Letizia Moratti Mario Monti 5 Eventi Forum Martedì 8 Maggio 2007 Corriere della Sera

Transcript of «Ilcapitalismoeleviegiuste persostenereideeeprogetti»€¦ · dell'Eni. In precedenza, dal 2002...

Page 1: «Ilcapitalismoeleviegiuste persostenereideeeprogetti»€¦ · dell'Eni. In precedenza, dal 2002 al 2005, è stato ... no persone che da due o tre generazio- ... «Le nostre quote

Integrazione più facile se l’istruzione è elevata

«Il capitalismo e le vie giusteper sostenere idee e progetti»

PaoloScaroni,nato a Vicenzanel 1946,dopo unalunga carrieramanagerialeche lo ha vistomuovere iprimi passi inMcKinsey, èda due annialla guidadell'Eni. Inprecedenza,dal 2002 al2005, è statoamministrato-re delegatodell'Enel.Immigrati e strategie Tito Boeri illustra una tendenza presente in molti Paesi comunitari. Ma non in Italia

Paolo Scaroni è alla guida di Eni. Il «Ca-ne a sei zampe», in tempi di mercati glo-balizzati, non è semplicemente il grup-po italiano che, grazie alla sua attivitànel petrolio e nel gas naturale, l’anno

scorso ha fatturato oltre 27 miliardi di euro conse-guendo un utile netto record di 9,2 miliardi. Enon è neppure soltanto la società che capitalizzadi più a Piazza Affari. Per l’intero Sistema-Italia èanche una piattaforma con propaggini produtti-ve e commerciali ovunque che, stringendo alle-anze, investendo in tecnologia ed espandendo lasua capacità produttiva, di fatto realizza un conti-nuo processo di internazionalizzazione che nonresta confinato all’interno delle mere struttureaziendali. La rielaborazione di elementi nuovi, at-traverso gli uomini che vi lavorano e le decisionidel quartier generale italiano, viene poi riversatasu tutto il Paese. E questo processo virtuoso è tan-to più possibile quando i mercati sono aperti eben integrati. L’amministratore delegato del-l’Eni, quindi, in virtù della sua esperienza «globa-le» è l’interlocutore giusto per capire dove sta an-dando il capitalismo internazionale. E quali carat-teristiche di governance e efficienza debbonoavere le singole imprese che, partendo da unospecifico Paese, si muovono come player globaliin mercati sempre più aperti e concorrenziali.

Dottor Scaroni, esiste un capitalismo indu-striale e uno finanziario?

«Mi pare una distinzione artificiosa e poco at-tuale rispetto al contesto economico che caratte-rizza la nostra epoca. Si tratta di una distinzionelegata a modelli di sviluppo datati, che si riferisco-no a realtà economiche arretrate e protette».

Perché?«Perché se consideriamo il concetto di capitali-

smo in un’accezione moderna, questa distinzio-ne decade. Non c´è capitalismo finanziario e ca-pitalismo industriale, ma capitalismo e basta. In-tendo dire una vasta articolazione di soggetti cheinvestono capitali di rischio oppure finanzianocon prestiti le imprese che competono tra di loroper attrarli. Ed è bene tener presente, come qua-dro di riferimento, che i soggetti sono perlopiùistituzionali e non hanno più a che vedere con i«padroni delle ferriere» a cui spesso ancora ci siriferisce. Penso piuttosto al capitalismo come si-stema per finanziare idee e progetti. Un sistemadi questo tipo consente diversi vantaggi. Peresempio la possibilità che il finanziamento cosìottenuto consenta di superare qualsiasi vincolofisico e patrimoniale dell’impresa che lo ricerca.Questa flessibilità è un’opportunità straordinariaper la crescita e lo sviluppo di un’azienda, un’op-portunità impensabile in un sistema chiuso. An-che noi in Eni abbiamo esperienze dirette».

Ci faccia qualche esempio.«Ne faccio uno legato ai fatti di questo ultimo

periodo. Nell’aprile di quest’anno, in due giorni

è stato possibile ottenere una linea di credito di7,5 miliardi di dollari necessari per la partecipa-zione di Eni all’asta per la cessione di alcuni as-set della società Yukos. Tutto questo mi pare cidica che vedere una contrapposizione tra finan-za e industria ha poco senso. Al contrario, la pos-sibilità di crescita industriale di un’azienda è pro-fondamente legata alla sua capacità di attrarre ca-pitali finanziari».

Lei crede che essere inseriti in un mercatofinanziario possa funzionare per un’aziendaanche come termometro della bontà delle suestrategie?

«Ne sono convinto. Il finanziamento dell’im-

presa in un sistema di mercato si determina inun processo fortemente competitivo. Per questooccorre che un’azienda sia in grado di esporreuna visione convincente del futuro, di dove, co-me, sulla base di quali punti di forza l’azienda sicollocherà in quel futuro e del perché quella col-locazione sarà in grado di generare ricchezza pergli investitori».

Creare una visione è probabilmente una con-dizione necessaria ma non sufficiente. Qualisono le leve per sviluppare valore?

«La visione, ma anche la capacità di comuni-carla, devono essere sostenute da strumenti checonsentano di realizzarle. Per questo sono indi-

spensabili una serie di asset all’interno dell’azien-da: risorse umane, tecnologie, competenze e ca-pacità realizzative, reputazione per essere credi-bile nella realizzazione degli obiettivi e responsa-bilizzazione, cioè un meccanismo che misuri erappresenti al mondo esterno, in modo traspa-rente, la coerenza tra gli obiettivi comunicati e irisultati conseguiti. L’azienda che può vantaretutti questi requisiti è premiata naturalmente an-che in termini di valore e può beneficiare di mul-tipli superiori ai concorrenti che sono determi-nanti in operazioni in cui la differenza dei multi-pli gioca un ruolo essenziale».

Che tipo di operazioni?«Mi riferisco alle acquisizioni, operazioni in

cui la differenza di multiplo tra cacciatore e pre-da ha un ruolo essenziale nelle strategie di offer-ta. D’altra parte, multipli bassi per un’azienda in-dicano che il mercato non riconosce in modoadeguato il valore intrinseco di quell’impresa oche ritiene incapace di estrarre tutto il valore del-l’azienda. O, infine, che l’impresa in sé — persuoi punti di debolezza strutturali — non è in gra-do di stare alla pari con i suoi concorrenti».

E come si comporta in questo caso il manage-ment?

«In tutti i casi, il management di un’impresa ri-ceve segnali forti da un sistema di mercato percorreggere la rotta: spiegando meglio agli investi-tori l’effettivo valore di cui l´impresa dispone —perché talvolta i mercati possono sbagliare —mettendo in discussione le proprie strategie, in-tervenendo sui punti di debolezza che pregiudi-cano il futuro dell'azienda».

Quali sono i rischi per un´azienda che nonricorre a questi correttivi?

«Il pericolo che vedo è l´autoreferenzialità.Una cosa che può funzionare solo per quelle im-prese che operano nei sistemi a economia pianifi-cata dove i costi dell’autoreferenzialità finisconoper gravare interamente sulla collettività».

Ma il capitalismo è un sistema perfetto?«Certo che no. Come tutti i sistemi umani non

è perfetto, ed anzi, spesso, ci mostra aspetti inac-cettabili. Ma fino a oggi è risultato il sistema piùefficiente per allocare ottimamente le risorse e ge-nerare sviluppo».

Paolo Scaroni

CHI È DI SCENA

L’ integrazione dei mercati finan-ziari e delle merci è ormai co-sa fatta. Nella globalizzazione

l’anello mancante è costituito dalla mo-bilità del lavoro. In una società che spe-rimenta la pressione degli stranieri allefrontiere e, allo stesso tempo, ha biso-gno di loro per alimentare il propriomercato del lavoro, le politiche che re-golano l’immigrazione diventano cen-trali. «Nei Paesi dell’Unione europea —dice Tito Boeri, docente di Economiadel lavoro alla Bocconi e direttore dellaFondazione Rodolfo Debenedetti — visono tre tendenze». Prima di tutto, c’èun irrigidimento delle norme e delleprocedure nei confronti degli immigra-ti con bassi livelli di istruzione. Quindi,si registra il tentativo di attrarre lavora-tori molto qualificati. Infine, si investo-

no risorse mirate sperimentando, comenel caso francese, i «contratti d’acco-glienza e di integrazione». La regola co-munitaria è quella del diverso tratta-mento di chi viene dall’estero, a secon-da del suo livello culturale. Questo nonsi spiega soltanto con le esigenze delmercato del lavoro: manca infatti mano-dopera anche per le mansioni più umilie sottopagate. Piuttosto, la ragione èche i lavoratori più istruiti sono poi piùfacilmente assimilabili nel tessuto socia-

le. Tutto ciò segue trend sperimentatigià altrove, come in Canada e in Austra-lia, dove un quarto degli immigrati haun livello di istruzione elevato. In Italia,invece, le quote sono allocate in base al-la data di presentazione delle doman-de. «Da noi — osserva Boeri — non vie-ne tenuto minimamente in conto il livel-lo culturale e la precedente esperienzalavorativa degli immigrati».

Nella difficile evoluzione verso unasocietà e una economia aperte, in cui lapromozione sociale è possibile indipen-dentemente dall’origine dei singoli,l’Italia non ha poi ancora sciolto altrinodi essenziali. Prima di tutto, la certez-za e la semplificazione del quadro rego-latorio. E, al di là delle scelte di fondoche connotano questa o quella legisla-zione, la rapidità e l’efficienza degli stru-

menti attuativi. Ci sono voluti quattroanni per avere il regolamento della Bos-si-Fini e anche lo sportello unico perl’immigrazione non è ancora del tuttooperativo. In un contesto tanto com-plesso, c’è il problema dei diritti politi-ci. L’Italia non ha fatto molto sulla stra-da dell’integrazione attraverso un per-corso finalizzato all’acquisizione dellacittadinanza e del diritto di voto. «Vota-no persone che da due o tre generazio-ni sono in America Latina — commen-ta Boeri — e non figli di immigrati cheda anni lavorano e pagano le tasse nelnostro Paese».

P. B.

Tito Boeri organizza l’incontrosu «Immigrazione e integrazione»

il 9 maggio alla Casadella Carità (16.30)

In uno scenario competitivo, serveche l’azienda dia ai finanziatori unavisione convincente del suo futuro

«Le nostre quote ignoranoil livello culturaledel lavoratore straniero»

La possibilità di crescita industrialedi un’impresa è legata allasua capacità di attrarre capitali

‘‘

DI PAOLO BRICCO

L ’ A M M I N I S T R A T O R E D E L E G A T O D I E N I

Domenico Starnone Francesco Giavazzi Sergio Romano

‘‘

José Manuel Barroso Letizia Moratti Mario Monti

5Eventi Forum Martedì 8 Maggio 2007 Corriere della Sera