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Osservatorio Provinciale delle Politiche Sociali IL VOLTO FEMMINILE DELL’IMMIGRAZIONE Un ponte fra due rive Rapporto di ricerca - intervento nella provincia di Piacenza Anno 2009 PROVINCIA DI PIACENZA Ufficio Sistema Sociale e Socio-sanitario

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Osservatorio Provinciale delle Politiche Sociali

IL VOLTO FEMMINILE DELL’IMMIGRAZIONE

Un ponte fra due rive

Rapporto di ricerca - intervento nella provincia di Piacenza

Anno 2009

PROVINCIA DI PIACENZA Ufficio Sistema Sociale e Socio-sanitario

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Il presente rapporto rientra nell’ambito delle attività previste dal “Piano

territoriale provinciale per azioni di integrazione sociale a favore dei

cittadini stranieri immigrati”, finanziato con fondi regionali ai sensi della

deliberazione della Assemblea Legislativa n.144/2007.

Hanno contribuito alla realizzazione del rapporto:

- PROVINCIA DI PIACENZA:

Stefania Tagliaferri, referente per l'area immigrazione

Marcella Bonvini, referente dell’Ufficio Statistica

Jean-Paul Loriaux, collaboratore presso l’Osservatorio Provinciale

delle Politiche Sociali

- CEDOMIS:

Massimo Magnaschi, direttore, curatore del volume

Ilaria Dioli, coordinatrice del progetto, curatrice del volume

Giorgia Veneziani, collaboratrice

Adriana Lorenzi, conduttrice del laboratorio di scrittura

- Comitato tecnico-scientifico:

Massimo Magnaschi, Ilaria Dioli, Giorgia Veneziani, Malika

Elidrissi, Laurita Ferreira, Minata Fofana, Hanene Madfai, Beatriz

Paifer, Edvin Shehu.

Illustrazione di copertina: Fuad Aziz, Studio per scultura, dipinto tempera su carta

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Negli ultimi anni l’immigrazione a Piacenza ha assunto nuove connotazioni e peculiarità. Fra queste si inserisce un costante aumento della componente femminile migrante, aspetto che rappresenta uno dei più importanti fattori di mutamento sociale della nostra comunità che, come tale, merita di essere indagato e compreso sempre più. Il Progetto “Il volto femminile dell’immigrazione” inserito nel “Programma provinciale per l'integrazione sociale dei cittadini stranieri anno 2008” nasce da questa considerazione e si pone come obiettivo finale la conoscenza dei percorsi biografici, dei meccanismi e delle caratteristiche d’inclusione e di esclusione delle donne immigrate nella realtà piacentina. Per la nostra provincia questo intervento può essere definito un progetto pilota che permette di ragionare sul fenomeno migratorio senza scissioni, intrecciando i percorsi migratori, i vissuti, le nostalgie, le condizioni sociali, familiari e lavorative, i progetti e le aspirazioni di donne che incontriamo e con le quali quotidianamente ci relazioniamo. Nelle pagine che seguono il lettore potrà, infatti, trovare testimonianza di come la donna straniera sia simbolo della capacità di intrecciare legami, di tessere relazioni e di talento. La ricerca fa emergere inoltre la complessità di vita delle donne che delinea una vita a più dimensioni, più ricca per loro e anche per gli uomini. Donne straniere che sono state protagoniste attive di questo intervento, che hanno saputo creare nuovi collegamenti tra loro e altre donne migranti, tra loro e le Istituzioni e che, pertanto, devono essere considerate un esempio concreto di come il percorso della migrazione può divenire un’opportunità e una risorsa per la comunità di accoglienza. Una ricerca che al contempo si rivela uno strumento completo, aggiornato e utile per quanti operano nell’ambito delle politiche per l’integrazione e per chi desidera conoscere più da vicino lo specifico e la bellezza dell’universo femminile. Un ringraziamento sentito a chi ha dedicato il proprio tempo e il proprio impegno alla realizzazione di questa indagine, alla compilazione dei questionari e alla raccolta delle informazioni, a chi ha coordinato le attività e a tutti coloro che vorranno scoprire i contenuti di queste pagine. Pier Paolo Gallini

Assessore provinciale alle Politiche sociali

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INDICE Introduzione di Massimo Magnaschi e Ilaria Dioli pag. 7 Capitolo I Donne in viaggio: la migrazione al femminile come fattore di cambiamento sociale di Ilaria Dioli pag. 25 Capitolo II Donne allo specchio: i risultati dell’indagine sul territorio piacentino di Giorgia Veneziani e Massimo Magnaschi pag. 45 Capitolo III Diario di bordo: gli approfondimenti di Ilaria Dioli e Massimo Magnaschi pag. 63 Capitolo IV Le donne straniere: motore dell’integrazione di Adriana Lorenzi pag. 89 Capitolo V Al cuore delle nostre storie di vita: testi prodotti durante il laboratorio di scrittura a cura di Adriana Lorenzi pag.111 Sezione monografica: aspetti demografici della provincia di Piacenza di Marcella Bonvini pag. 133 Appendice: questionario di rilevazione pag. 159 Bibliografia pag. 169 Gli autori pag. 173

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Introduzione

Introduzione

di Massimo Magnaschi e Ilaria Dioli

“ Ciò che mi rende come sono e non diverso è la mia esistenza fra due paesi,

fra due o tre lingue, fra parecchie tradizioni culturali.

È proprio questo che definisce la mia identità. Sarei più autentico se mi privassi di una parte di me stesso?”

A. Maalouf

La percezione di vivere in un mondo globalizzato è sempre più

diffusa, percezione alimentata anche dai flussi migratori provenienti

dai più lontani angoli del mondo. Le motivazioni alla base della scelta

di un migrante di partire muovono quasi sempre dal tentativo di

trovare altrove migliori condizioni di vita, lasciandosi alle spalle

mancanza di lavoro, difficoltà economiche, guerre, carestie, siccità,

disastri naturali, ecc. Per la stragrande maggioranza la scelta di

emigrare rappresenta comunque un fatto obbligato dettato dalla

sopravvivenza. Ed a rinforzo troviamo nei paesi di destinazione

migliori opportunità di lavoro, salute, casa, istruzione su standard

neppure soltanto lontanamente immaginabili nei paesi di partenza.

Un mix di fattori attrattivi ed espulsivi che rende particolarmente

attraenti alcune aree geografiche del mondo, tra queste l’Europa che

oggi rappresenta uno dei grandi poli di immigrazione. All’interno dello

scenario europeo l’Italia riveste una posizione di rilievo e di crocevia

nel bacino del Mediterraneo. La presenza immigrata straniera regolare

in Italia è stimata al 01/01/2008 in circa 4 milioni di persone1.

L’incidenza % sul totale della popolazione residente è circa del 6%2,

1 Secondo le stime contenute nel Dossier Immigrazione 2008 curato da Caritas Italiana, Caritas di Roma, Fondazione Migrantes 2 Secondo stime contenute nel Dossier Immigrazione 2007 curato da Caritas Italiana, Caritas di Roma, Fondazione Migrantes, se il trend degli ultimi anni

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tuttavia con una distribuzione territoriale disomogenea che vede le

isole ed il sud con valori decisamente più contenuti, il centro e

soprattutto le regioni del Nord Italia con un’incidenza percentuale

media ben superiore. Il quadro che oggi sembra emergere è di una

progressiva pressione migratoria dall’area dell’Europa centro-

orientale, guidata nella graduatoria dalla Romania. Non vanno

comunque sottovalutati, soprattutto in una visione di lungo periodo, i

vicini paesi del Nord Africa ed i paesi geograficamente lontani sia

dell'America Latina che dell'Asia (Cina, Filippine e Subcontinente

Indiano), paesi nei quali accanto alla forte pressione migratoria gioca

un ruolo decisivo l'effetto di richiamo dei gruppi già insediati in Italia

legato alle esigenze del nostro mercato occupazionale. Per tutti questi

paesi il Mediterraneo sembra rappresentare un punto di passaggio

decisivo.

Così come avvenuto a livello italiano, anche l’immigrazione a

Piacenza, inizialmente legata a un flusso per ricerca di lavoro

(prevalentemente uomini soli) e poi successivamente accompagnata

dai ricongiungimenti familiari, ha prodotto una notevole presenza di

donne provenienti da altre parti del mondo e quindi da altre culture,

identità, modi di vivere e abitudini. In base ai dati acquisiti dalle

Anagrafi comunali, al 31/12/2008 gli stranieri residenti in provincia di

Piacenza erano 33.134, con una consistenza pari all’11,6% del totale

dei residenti. Negli ultimi anni si è verificato un aumento costante

dell’incidenza di residenti stranieri immigrati sul totale dei residenti,

passando dal 2,5% del 1999 al 10% di fine 2007 ed all’attuale 11,6%.

Relativamente al genere, nonostante prevalgano ancora gli uomini,

pari al 51,2% degli stranieri residenti, la composizione per sesso della

popolazione straniera è negli anni sempre meno sbilanciata (la

componente femminile della popolazione straniera complessiva è

rimarrà costante, nel 2015 si arriverà a 6 milioni di immigrati regolari con un livello di incidenza percentuale sul totale della popolazione residente ben superiore al 10%

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Introduzione

passata dal 39,8% del 1997 al 48,8% del 2008). Il fenomeno

migratorio sta assumendo, negli ultimi anni, connotati diversi: se, da

una parte, si va facendo più considerevole dal punto di vista

quantitativo, dall'altra rivela nuove dinamiche e nuove tipologie. In

particolare per l’immigrazione al femminile si tratta di un fenomeno

composito ed eterogeneo sia per la varietà di provenienze che per i

percorsi che ne segnano lo sviluppo. In questo senso le testimonianze

ed i racconti delle donne straniere pongono, chiaramente, la

questione della diversità culturale espressa sia all’interno di percorsi

caratteristici dell'emigrazione “al femminile” ma anche in tipologie e

modelli familiari differenti per modalità costitutive e composizione del

nucleo. Questo nuovo scenario dell'immigrazione femminile vede

pertanto protagoniste non solo donne che seguono il marito, ma

anche donne portatrici di un progetto migratorio autonomo, spinte

dalla necessità e dalla possibilità di affermarsi qui. Le donne

immigrate sembrano allora assumere nuove posizioni rispetto ai

percorsi migratori, alle scelte di espatrio, alle modalità di inserimento

nella società di arrivo e, soprattutto, rispetto alla collocazione tra la

propria cultura e quella in trasformazione nei paesi ospiti. Addirittura,

in alcuni casi, la donna costituisce l'anello primario della catena

migratoria o, comunque, è parte attiva nel mercato del lavoro e nel

processo decisionale del progetto stesso. Per la maggior parte di loro

l’impatto con la nostra cultura è un punto nodale rispetto alla loro

identità in continua mutazione, fatto da un lato di disagi ma anche di

un diverso modo di porsi rispetto a sé stesse, alle proprie famiglie,

alle donne della loro comunità e alle nuove conoscenze ed ai nuovi

rapporti che vengono ad instaurarsi nella città che le ospita. In questo

senso va sottolineato che le variabili nei fenomeni migratori, siano

esse economiche, sociali o culturali, segnano i limiti o le potenzialità

degli scambi fra culture e naturalmente risentono anche dei significati

simbolici e dei ruoli ascritti dall'appartenenza di genere degli attori

coinvolti.

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Tracciare possibili percorsi dell'esperienza migratoria delle donne

straniere significa, pertanto, introdursi in un mondo complesso ed

articolato tentando, nel breve tempo concesso da una ricerca, di

cogliere la cornice, culturale, relazionale, religiosa, di riferimento della

donna in emigrazione, la memoria del futuro immaginato, il bagaglio

umano posseduto, l'attribuzione di significati al lavoro, alla famiglia, al

desiderio di riqualificazione o formazione professionale, alla ricerca di

relazioni sociali significative, alla conciliazione dei tempi. Al centro ci

sono le donne immigrate nella realtà piacentina, i loro percorsi

migratori, il loro lavoro, le loro condizioni sociali e familiari, i loro

progetti e le loro aspirazioni.

Nell’indagare la figura femminile in migrazione – tema specifico della

ricerca – sono inevitabilmente emersi argomenti generali attinenti alla

condizione della donna, di tutte le donne, siano esse italiane o

straniere. Circoscrivere l’indagine sulle donne immigrate all’unico

aspetto della emigrazione, quasi fosse il solo tema da focalizzare,

significherebbe ridurre impropriamente l’ottica della ricerca ed

eliminare tutta un’altra serie di aspetti concernenti la donna che

travalicano gli abituali temi di riflessione come la conciliazione dei

tempi da destinare ai diversi compiti, il rapporto con la vita domestica

in relazione al tempo libero, ai figli, alla famiglia, alla realizzazione ed

all’espressione personale. In questo senso si è ritenuto necessario

partire, da un punto di vista metodologico, da una vera inclusione e

partecipazione delle donne immigrate alla ricerca, dove il confronto e

la riflessione non fossero limitate al tema dell’immigrazione ma che

tenessero conto, sulla base di un’ampia letteratura e varietà di

contributi, della condizione odierna della donna nella molteplicità dei

suoi aspetti.

Sempre da un punto di vista metodologico, l’aspetto più importante

consiste nell’aver organizzato il lavoro in senso orizzontale, “dal

basso”. Tale modalità si contrappone a una gestione di tipo verticale,

“dall’alto”, gerarchica, dove chi possiede gli strumenti scientifici di

indagine si pone come osservatore del fenomeno e considera le

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Introduzione

persone come oggetto di studio. Questa ricerca ha inteso invece

creare il più possibile le condizioni per un percorso in condivisione,

formando gruppi di lavoro e considerando la donna immigrata non

come oggetto di analisi ma come soggetto attivo e propulsivo, la vera

protagonista del fenomeno declinato in rosa. Il profilo della donna che

emerge ai vari livelli è quello di un agente di cambiamento in grado di

coniugare aspetti distanti tra loro e apparentemente inconciliabili.

Ciò che, sin dall’inizio, per struttura e organizzazione del progetto, si è

venuta a creare è una serie di dualismi, sia a livello teorico che

pratico.

A livello teorico sono emerse numerose polarità legate direttamente e

indirettamente alla figura della donna in emigrazione. I concetti che

forse meglio descrivono la complessa condizione della migrazione al

femminile sono quelli espressi dalle parole house e home, la cui

differenza di significato è difficilmente traducibile in italiano. Il termine

house rimanda all’idea di casa in senso fisico e materiale, alla

struttura dove una persona vive, mangia, dorme, al tetto che ha sopra

la testa e al luogo dove trova riparo. La parola home invece possiede

un potere evocativo ben diverso, caratterizzandosi sul piano emotivo e

su quello affettivo. Basta ricordare per esempio alcuni detti inglesi

come “Home sweet home” (casa dolce casa) e “A house doesn’t make

a home” (un luogo dove vivere non fa una casa), “There is no place

like home” (nessun luogo è come casa). Applicando metaforicamente i

due concetti alla donna in migrazione, si può considerare house il

paese di arrivo a conclusione del percorso migratorio e home il luogo

natio che si è lasciato, la madre patria a cui fare, forse, ritorno un

giorno. La valenza simbolica attribuibile alla parola home, e quindi al

luogo di origine, riflette i significati ascrivibili alla dimensione

dell’intimità, familiarità, confidenza e benessere che vanno a

contrapporsi o che comunque non trovano corrispondenza in house, il

paese di accoglienza, dove i rimandi sono meno emozionali e più

pratici.

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Questo gioco di parole introduce altri binomi che si addicono alla

figura della femme-relais – la donna che fa da ponte fra paesi, culture,

persone, il cui profilo verrà più precisamente delineato nel corso della

ricerca – come quello fra identità ed alterità.

Secondo le Scienze Sociali, con identità si intende il modo in cui

l’individuo considera e costruisce se stesso prima nella sua unicità3

poi rispetto a un gruppo di riferimento. Il concetto riguarda soprattutto

il collocarsi nella società e il relazionarsi con gli altri dentro e fuori dal

gruppo di appartenenza. La formazione dell'identità avviene tramite un

processo di identificazione o di individuazione, sviluppando in

entrambi i casi un forte senso di appartenenza (il noi) e di

distinguibilità rispetto ad altri che non appartengono al gruppo (gli

altri)4. Il riconoscimento identitario è un processo estremamente

rassicurante e attenua la sensazione di solitudine, insicurezza e

smarrimento, sensazioni spesso vissute dalle persone immigrate che

ricercano nei legami sociali della propria comunità un approdo sicuro5. Il termine filosofico di alterità (dal latino alter: “diverso”), che risale ai

Dialoghi di Platone, indica il contrario di identità. Ripreso da Hegel

3 “ La mia identità è ciò che fa sì che io non sia identico a nessun’altra persona. (…) non si trova mai la stessa combinazione in due persone diverse, ed è proprio ciò che fa sì che ogni essere sia unico e potenzialmente insostituibile.” Maalouf A., L’identità, Bompiani, Milano, 1999, pp. 16-17 4 “ L’identità è in primo luogo una questione di simboli, e anche di appartenenze. Quando, in seno ad un’assemblea, vedo persone che portano un nome dagli stessi suoni del mio, che hanno lo stesso colore della pelle, o le stesse affinità, addirittura le stesse debolezze, posso sentirmi rappresentato da una simile assemblea cui mi lega un ‘ filo di appartenenza ’ che può essere sottile o grosso, ma che viene individuato in fretta da coloro la cui identità è a fior di pelle. Ciò che è vero per un’assemblea, è altrettanto vero per un gruppo sociale, per una comunità nazionale, come pure la comunità globale.” Ivi., pp. 132-133 5 “Il bisogno di trovare un senso, ossia di costruire una cornice di senso in cui collocare i propri pensieri e le proprie azioni; il bisogno di riconoscimento: l’essere riconosciuto in quanto individuo dotato di una propria singolarità; il bisogno di ‘rammemorazione’: riconciliarsi con il passato per prospettarsi un futuro; il bisogno di inserirsi nella società: inserirsi nel contesto sociale acquisendo uno status definito.” Annoni E. in Favaro G., Napoli M., Ragazze e ragazzi nella migrazione. Adolescenti stranieri: identità, racconti, progetti, Guerini, Milano, 2004, p. 102

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Introduzione

nella sua definizione dell'essere in relazione con l'altro da sé, venne

usato dai filosofi moderni e dagli antropologi con significati diversi,

spesso su un terreno contiguo a quello della psicoanalisi. Oggi si

parla di alterità rispetto alla convivenza interetnica, alle differenze

culturali tra i popoli e alle relative situazioni che si sviluppano con

l'impatto tra culture diverse. Questa “diversità” è spesso vista in

chiave negativa, come “minaccia” della propria identità e per questo la

presenza dei “diversi” può generare sentimenti di paura, ansia,

sospetto. Se si riuscisse invece a percepire la “differenza” non come

un limite alla comunicazione, ma come un valore, una risorsa, un

diritto, l'incontro con l'altro potrebbe essere in certi casi anche scontro,

ma non sarebbe fonte di discriminazione o pregiudizio. Creare i

presupposti di una cultura dell'accoglienza significa impedire

l'omogeneizzazione culturale. Vale la pena ricordare a questo

proposito le parole di Albert Jacquard: “La nostra ricchezza collettiva è

data dalla nostra diversità.” La separazione, l’esclusione, la distinzione

di un “altro” è esercitata e subìta attraverso simboli, pratiche e

attribuzioni di ruoli reali ed immaginari. Il corpo (sesso, colore della

pelle, tratti somatici) è la prima differenza visibile. Solo in un secondo

tempo emergono gli altri tratti distintivi che caratterizzano una persona

rendendola diversa dagli altri. La differenza, l’essere “altro”, è

condizione irriducibile dell’identità6. Combinare identità ed alterità

dovrebbe essere la naturale dialettica sintetica dell’era globale7. Come

spesso accade con le relazioni di potere, la cultura dominante dalla

6 “Ogni persona, senza eccezioni, è dotata di una identità composita; basterebbe che si ponesse alcune domande per scovare fratture dimenticate, ramificazioni insospettate, e per scoprirsi complessa, unica, insostituibile. (…) Non è che tutti gli esseri umani sono simili, ma che ciascuno è diverso.” Maalouf A., op. cit., pp. 27-28 7 “L’esperienza della diaspora non è definita dall’essenza e dalla purezza ma dalla consapevolezza di una necessaria eterogeneità e diversità: da una concezione dell’“identità” che vive non in opposizione alla differenza ma con essa e attraverso essa; è definita dall’ibridità”. Stuart Hall, 1989, p. 809, cit. da Matilde Callari Galli, I nomadismi della contemporaneità, in AA.VV., Nomadismi contemporanei. Rapporti tra comunità locali, stati-nazione e flussi culturali globali”, Guaraldi, Rimini, 2004, p. 31.

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forte caratterizzazione identitaria si permette di togliere valore alle

cosiddette culture “altre”.

L’identità non è qualcosa di dato, bensì si determina in relazione

all’altro, al differire da sé, è cioè un prodotto dell’interazione sociale.

Le relazioni sociali sono fondamentali per la costruzione di una

propria identità attraverso il riconoscimento della diversità e del valore

altrui8. Attraverso l’incontro talvolta si produce un superamento delle

differenze e si ottiene una sintesi di identità ed alterità e la donna

rappresenta l’anello forte di questo processo9. La creazione identitaria

è un processo sociale che non può prescindere dall’esistenza di un

“altro” e che è costituita da tre fasi precise. La prima, chiamata human

identity, è quella attraverso cui l’individuo si definisce come essere

umano attraverso il confronto con i suoi simili appartenenti alla specie.

Il secondo passaggio riguarda il riconoscimento dell’individuo come

membro di un gruppo (social identity). Infine, grazie a un confronto

interpersonale, l’individuo si scopre e si definisce come unico rispetto

agli altri individui (personal identity).

Etimologicamente l’ “altro” è legato ad un altrove che si contrappone,

come dice l’antropologo francese Marc Augé, al “chez soi, ‘a casa

propria’, il luogo dell’identità condivisa, il luogo comune a coloro i

quali, abitandolo insieme, sono identificati come tali da chi non lo

abita.”10 Anche a livello spaziale, quindi, esiste questa polarità identità

8 “ La relazione è al cuore dell’identità. L’alterità e l’identità non sono concepibili l’una senza l’altra, non soltanto nei sistemi sociali (…) ma anche nella definizione istituzionale degli individui che corrisponde loro.” Augé M., Tra i confini, Mondadori, Milano, 2007, p. 50 9 “ In questo meccanismo continuo di influenze reciproche, la mobilità tra una terra e l’altra, tra un codice culturale e l’altro, non si traduce tanto in sradicamento o confusione, ma diventa col tempo una vera e propria risorsa sociale. Le donne, confrontate molto presto con la gestione dell’alterità, si muovono in questo spazio di attiva ricomposizione meglio di chiunque altro.” Saint-Blancat C., L’immigrazione femminile maghrebina: nuove identità di genere e mediazione tra culture, in Basso P., Perocco F. (a cura di), Immigrazione e trasformazione della società, Franco Angeli, Milano, 2000, p. 197 10 Augé M., op. cit., p. 42

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Introduzione

- alterità11, che corrisponde a un qui - là. Spesso è proprio sui luoghi -

e sul supermanto dei confini - che si attivano quelle associazioni

mentali e quei pregiudizi che sono alla base dei problemi di

integrazione e accettazione.

Per questi motivi, alcuni già chiari in fase di stesura del progetto ed

altri emersi nel corso del lavoro, al fine di maggiore completezza

possibile, sono stati creati due gruppi di donne con compiti e ruoli

diversi: uno di natura più tecnica e quantitativa, l’altro di taglio

biografico e quindi prettamente qualitativo. Come sul piano teorico si

sono venuti a delineare dei dualismi concettuali, sul piano pratico si è

pensato di sviluppare la ricerca seguendo due binari diversi che

tuttavia si sono talvolta incontrati, convergendo in alcuni momenti

topici della ricerca.

Il principale criterio utilizzato per iniziare il lavoro e formare il primo

gruppo è stato quello di individuare figure femminili sul territorio

piacentino che fossero esponenti o comunque membri di una realtà

associativa o cooperativa. Questa scelta è motivata dall’importanza

della vita associativa e delle reti che questa è in grado di tessere

rispetto alle più limitate relazioni poste in essere da un singolo

individuo. Si è data la precedenza a persone appartenenti ad

associazioni mono e plurietniche di sole donne, quindi si sono presi in

considerazione soggetti appartenenti ad associazioni miste (uomini e

donne), riservando l’ultima scelta per donne attive sul territorio, anche

se non appartenenti ad associazioni o cooperative. Naturalmente

11 “ La tradizione antropologica ha collegato la questione dell’alterità (o dell’identità) a quella dello spazio, perché i processi di simbolizzazione attuati dai gruppi sociali dovevano comprendere e dominare lo spazio per comprendere e organizzare se stessi. (…) necessità di sistemare spazi interni e di predisporre aperture sull’esterno, di simbolizzare il focolare e la soglia, ma contemporaneamente anche la necessità di pensare l’identità e la relazione, il medesimo e l’altro. Il centro, la soglia e la frontiera sono nozioni spaziali che si applicano alla scala dello spazio domestico.” Ivi, p.47

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questo parametro è stato scelto per la sua funzionalità a una più

ampia diffusione del questionario.

In secondo luogo, si è cercato di coprire un’area geografica quanto

più vasta per poter mappare, a livello locale, la presenza straniera

dalla variegata provenienza. Dopo aver illustrato il progetto ai

soggetti individuati e, tramite colloqui individuali, aver riscontrato la

disponibilità e l’interesse a partecipare, si è proceduto con la

definizione dei gruppi di lavoro.

Questo primo gruppo, di carattere più operativo, è stato costituito da

sei donne di diversa provenienza, al fine di ottenere un’utile

eterogeneità di punti di vista. I paesi di provenienza sono: Argentina,

Tunisia, Marocco, Albania, Brasile e Costa d’Avorio. A questo tavolo

tecnico è stato affidato il compito di condividere la costruzione di un

questionario, somministrarlo e ragionare insieme sui risultati

attraverso dei focus group.

Partecipare alla definizione del questionario ha significato ragionare

su ogni singola domanda posta, valutare l’appropriatezza e la

comprensibilità del linguaggio utilizzato, possibile ostacolo per la

corretta compilazione. Al termine di questo lungo e laborioso

processo, il questionario è risultato costituito da un totale di 56

domande suddivise in cinque macro aree. La prima è stata chiamata

“carta d’identità: i dati socio-anagrafici”, la seconda attiene al “progetto

migratorio”, la terza è inerente al tema “lavoro e conciliazione dei

tempi”, la quarta è formata da una batteria di domande concernenti la

“vita sociale” e la quinta, l’ultima, si riferisce nello specifico al “rapporto

con la città e il territorio di Piacenza”, secondo una logica di confronto

nel tempo (giudizi sulla base dei ricordi all’arrivo e opinioni sul

presente rispetto ai servizi sul territorio conosciuti e utilizzati). Il

questionario, grazie ad un capillare lavoro delle operatrici della ricerca

e alle reti di appartenenza di ognuna, oltre al contributo dei CTP (di

Piacenza, Castel San Giovanni, Fiorenzuola), è stato somministrato a

280 donne straniere, privilegiando quindi la possibilità di un contatto

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Introduzione

diretto rispetto all’impersonale spedizione postale. Si è colta così

l’occasione per ribadire le finalità dell’indagine e per fornire una

minima descrizione del complesso questionario. Per cercare di

vincere la diffidenza e la paura nel parlare di sé e della propria

condizione, si è insistito soprattutto sul carattere anonimo

dell’indagine per rassicurare i soggetti del fatto che non ci fossero

secondi fini nella ricerca. Questa parte della ricerca, di taglio

quantitativo, ha permesso di raggiungere un campione significativo e,

sulla base dei rispettivi risultati emersi, si sono fatte considerazioni in

merito e si sono commentati i dati emersi.

Al questionario, strumento empirico utilizzato dal gruppo tecnico per

“rilevare”, attraverso le domande, dati e informazioni oggettive, è stato

affiancato un mezzo qualitativo impiegato dal gruppo di scrittura: la

narrazione, dispositivo, in questo caso, di “rivelazione”.

Il percorso migratorio è sempre ricco di storie e di importanti eventi

che segnano l’esistenza. Uno strumento di indagine ad ampio spettro,

quale è il questionario, non permette di restituire le sfumature di

queste storie che possono essere scoperte soltanto grazie a lunghi e

approfonditi contatti. Per questo motivo si è scelto di indagare il

fenomeno anche attraverso un approccio più qualitativo, ossia con

l’organizzazione di un laboratorio di scrittura (il secondo gruppo di

lavoro), creato secondo lo stesso criterio principale utilizzato per il

primo gruppo: quello di eterogeneità di nazionalità di appartenenza.

Le sei donne rappresentavano rispettivamente i paesi dell’Ecuador,

Albania, Tunisia, Guinea e Costa d’Avorio (per quest’ultimo due

partecipanti).

Perché un laboratorio di scrittura? Il narrare richiama un’arte

prettamente femminile, un’attività che ha il potere di ricondurre

ciascuno alla propria identità e di combattere l'oblio, un esercizio

arcaico. La narrazione di storie è centrale nella vita di ogni individuo. Il

racconto della realtà, infatti, genera la scrittura di una biografia

personale che, intrecciandosi con le storie di altre vite, conferisce

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senso alle esperienze umane. Questo processo di scrittura nasce da

una peculiare modalità di pensiero che contraddistingue tutti gli esseri

umani: il pensiero narrativo. Il metodo definibile come narrativo -

biografico, spesso conosciuto in ambiti più ristretti di applicazione

come terapia della ri-scrittura o terapia narrativa, rappresenta uno

strumento per la relazione d'aiuto e per il benessere psicologico; esso

considera centrale nella vita mentale l'interpretazione della realtà,

descritta attraverso le narrazioni intrapersonali e intersoggettive delle

esperienze vissute. In quest'ottica questo approccio può essere

considerato un vero e proprio metodo di intervento sociale, in grado di

aprire nuove e insolite prospettive su di sé e sugli altri, portando

concreti risultati in termini di recupero, cambiamento e nuova

progettualità. In altre parole, questo tipo di narrazione può essere

considerata un metodo educativo per la sua capacità di esaminare e

ordinare il vissuto individuale e sociale del “narratore”, tramite

processi che sollecitano e confermano l'identità dell'individuo, e lo

confermano nel suo essere identità plurima e costitutivamente

relazionale. Quanto detto evidenzia, in sintesi, come tale metodo

consente un processo di autoformazione. Ciò dà vita ad

un’esperienza euristica ed ermeneutica: l’individuo riscopre ed

interpreta la propria esperienza, assumendo una valenza di strumento

formativo ed auto-formativo12. La dimensione interpersonale, la

promozione di un ruolo attivo, il benessere derivato dal prendersi cura

di sé promuovono l’acquisizione di quelle abilità sociali e personali

perseguite dalla stessa metodologia riabilitativa. Questo lavoro ha il

potere di curare per mezzo di una presa in carico dell’inevitabile fatica

di vivere che ogni scrittura di sé testimonia, liberando al contempo

12 “ Prodotto quasi per se stesso e avendo quasi il proprio fine in se stesso, e non come risposta a una situazione d’indagine, il vero discorso che può essere fatto su di sé è anche, e necessariamente, un discorso con cui si comunica con se stessi, un discorso con cui ci si racconta a se stessi come (e forse anche più) un discorso con cui si comunica con altri e ci si racconta ad altri.” Sayad A., La doppia assenza, Cortina Editore, Milano, 2002, p. 218

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Introduzione

dall’ansia del poter dimenticare attraverso l’uso del ricordo che

interroga, pone domande, cerca confronti e paragoni con il presente.

Il laboratorio di scrittura, condotto dalla professoressa Adriana

Lorenzi, docente a contratto per Tecniche di Scrittura presso la

Facoltà di Scienze della Formazione a Bergamo e Bologna, formatrice

e responsabile di numerosi laboratori di scrittura autobiografica e

memoriale, non ha mai avuto intenti psico-analitici. E’ tuttavia

innegabile che nel momento in cui si scava nella propria vita e si

selezionano alcuni momenti topici necessariamente si attiva un

percorso di introspezione e riflessione profonda su sé13. La scrittura è

stata da sempre uno strumento di “cura” e di sfogo, dal consolidato e

riconosciuto valore del genere della letteratura biografica ai diari delle

adolescenti14. Non bisogna dimenticare che esiste uno straordinario

genere letterario che è quello della letteratura femminile, alle cui

esponenti si devono delle pagine che sono state delle vere e proprie

rivoluzioni del pensiero e del modo di leggere il mondo, spesso

superando non solo gli ostacoli esterni che la società poneva loro

davanti, ma anche i condizionamenti interni della reticenza, dei pudori,

dell’ossequio al patriarcato. In questo modo Emilie Dickinson, Virginia

Woolf, Jane Austen, le sorelle Brontë, George Eliot, Katherine

Mansfield, Karen Blixen, solo per citare alcune esponenti, sono

diventate personaggi indimenticabili quasi quanto le loro opere, veri

manifesti dell’indipendenza intellettuale e dell’affrancamento da

principi maschilisti e tradizionalisti per escludere la condanna a una

situazione di inferiorità e di debolezza. Tutte audaci sperimentatrici,

13 “ Si tratta di articolare un tipo particolare di memoria, basandosi sulle rovine e sui resti, per prendere l’accaduto non come un carico, ma come una memoria fluida, che non è ostacolo al pensiero allorché si fa esperienza di ciò che si vive.” Vendrell Ferran I., Contemplazione delle rovine, in Verri L. (a cura di), Sguardi sulla memoria, Arcipelago Vol. 4, Fara Editore, Santarcangelo di Romagna, 1999, p. 115 14 “Ciò che differenzia tra loro i generi letterari è la necessità della vita che li ha originati. Non si scrive certamente per esigenze letterarie, ma per l’esigenza che ha la vita di esprimersi.” Zambrano M., La confessione come genere letterario, Mondadori, Milano, 1997, p. 40

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inventrici di stili liberatori come il flusso di coscienza attraverso il

linguaggio non come semplice sperimentalismo e rigetto della

tradizione, ma piuttosto come ricerca di uno strumento espressivo più

libero e rivelatore dei meccanismi percettivi della realtà interiore ed

esteriore. Per queste autrici la narrazione ha assunto il valore della

perla contenuta nell’ostrica: dolore reso prezioso. Ricorrere alla

letteratura aiuta la scrittura individuale, grazie al fattore identificazione.

Le partecipanti del laboratorio di scrittura hanno provato l’emozione di

specchiarsi nella pagina bianca, di osservarsi nella sua profondità e

raccontarsi, prima nella scrittura poi nel racconto orale, intrecciando i

fili della memoria e della loro storia personale, vincendo anche la

reticenza e il pudore e istaurando un buon livello di fiducia e di agio

nell’esporre e liberare i propri vissuti spesso dolorosi15. L’attività

laboratoriale può rappresentare un’occasione per acquisire

consapevolezza ed innescare un meccanismo di trasformazione

profonda. Alla geografia dei luoghi di provenienza ne è corrisposta

una delle emozioni individuali: l’esplorazione degli spazi interiori è

avvenuta grazie alla disponibilità di compiere un “viaggio a ritroso”.

Attraverso l’interrogazione del ricordo, nella loro differenza e unicità, le

storie evocate sono diventate universali. Ciò che è affiorato in quasi

tutte le testimonianze una profonda nostalgia16 per la propria terra, per

15 “…le parole più dolorose, quelle ‘trattenute’, sono state pronunciate (…) ‘come un velo che si è sollevato’. (…) una confessione più che una confidenza – appare come una conquista di libertà, come una liberazione, come un pezzo strappato all’ ‘inesistenza’, dunque una nuova briciola di esistenza: un piccolo spazio, un piccolo incontro, un piccolo scambio, una relazione intermittente, una chiacchierata di alcuni istanti in cui e grazie ai quali si può esistere, certo parzialmente, ma di un’esistenza socialmente attestata.” Sayad A., op. cit, p. 218 16 “ Alla fenomenologia sentimentale del ‘nostalgico’ corrispondono diverse voci ed espressioni delle lingue europee e non solo – nostalgia, mal du pays o regret per il francese, homesickness per l’inglese, añoranza per lo spagnolo, Sensucht per il tedesco, dor per il rumeno, arela per il galego, gürbet per il turco -; tra di esse spicca, per plusvalore semantico-poetico, la ‘portoghesissima’ saudade, caratterizzata, per ragioni storiche e linguistiche, da una singolare e complessa polisemia. La nostalgia e la saudade, prospettiva diacronica, appartengono a due storie parallele, a contesti

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Introduzione

le proprie radici, per i propri parenti se non addirittura per i figli lasciati

alla cura e alla rete di famigliari. L’evocazione del passato di infanzia e

adolescenza è raccontata a momenti con tristezza, talvolta come se

quel passato facesse parte di una storia ormai conclusa, seppur con

ripercussioni evidenti sul presente17. Al viaggio esterno, quello dello

spostamento fisico verso un nuovo paese, ne corrisponde

inevitabilmente uno interiore, introspettivo, di mente e di cuore18, verso

la ricerca e la ri-definizione di sé. Allo stesso modo, allo scavo nel

passato è corrisposta una tensione verso il futuro, attraverso quel

motore che ha indotto al cambiamento, alla partenza: la speranza19. Il

geografico-culturali differenti, all’interno comunque di uno stesso gruppo concettuale, quello del nostalgico.” Russo V., Le memoria “strana” del nostalgico, in Verri L. (a cura di), op.cit., p. 37 17 “Pensando alla memoria, ci si riferisce a un tempo passato, ad un’esperienza già compiuta che si rievoca nel presente. In realtà, la memoria è in stretto collegamento con il presente ed è attraverso di essa che costruiamo la nostra esistenza e i nostri comportamenti quotidiani. Ciò che noi siamo, la nostra identità, è frutto di una serie infinita di interiorizzazioni di vissuti relazionali ed emotivi, che vengano immagazzinate in memoria e recuperate ogni qualvolta l’esperienza presente riecheggia quella passata (rievocazione).” Golfarini G., La memoria delle relazioni, in Verri L. (a cura di), op.cit., p. 37 18 “ Ogni viaggio di ritorno a sé stessi, cioè, compiuto ora dal cuore (ed è memoria cordiale) ora dalla mente (ed è memoria intellettuale) ora da entrambi, conduce ad un connubio di tensioni antitetiche, da cui scaturisce una memoria intricata, composita e complessa, carica di citazioni che sottintendono presenze sentimentali forti. Se la memoria cordiale si caratterizza per essere lo scarto dall’indifferenza, attraverso cui è possibile recuperare e riplasmare il proprio demandabile vissuto, la memoria intellettuale invece, spersonalizza in qualche modo, disindividualizzandolo, l’oggetto del proprio io, caricandolo di una generalità ed indeterminatezza universali, che si fanno vie di fuga dal personale ed interrogativo sull’esistenza, enigma di un passato anonimo perché comune.” Tacconi T., Un labirinto di specchi possibili, in Verri L. (a cura di), op.cit., p. 35 19 “ Così attraverso la nostalgia l’uomo scopre un sentire originario del tempo, che si localizzala di là della coscienza. Un sentire che inoltre viviamo in un’altra forma: la speranza. Quest’ultima e la nostalgia, viste dalla linearità cronologica della coscienza, appaiono come due direzioni di tempo, dirette verso il futuro e verso il passato. (…) Si giunge allora ad un altro livello, in cui tutto assume una forma labirintica, e i distinti stadi del tempo si sovrappongono l’un latro. A questo punto la speranza gioca un ruolo cruciale, perché essa si incarica di unire la riva del passato con quella del futuro.”

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laboratorio ha sperimentato anche il passaggio dalla scrittura all’oralità

per riuscire a trasmettere anche ciò che era incomunicabile (sguardi e

gesti eloquenti) attraverso quel linguaggio definito non verbale e para

verbale. La registrazione dei momenti più significativi, contenuti nel

DVD allegato alla presente ricerca, rende fedelmente quanto e come

è stato comunicato dalle partecipanti anche per non limitare le

interpretazioni dei loro contenuti.

La sede di tutti gli incontri è stato il Cedomis dove le suore

scalabriniane hanno dimostrato il loro innato senso di accoglienza e di

calore umano: è stata una casa dove lavorare e confrontarsi.

La combinazione congiunta della ricerca quantitativa e di quella

qualitativa ha dato luogo ad una proficua interrelazione fra le due

dimensioni: quella della spiegazione scientifica, esposta al rischio di

un’eccessiva generalizzazione e di una carenza di profondità, e quella

della comprensione empatica, a sua volta soggetta al pericolo di una

coinvolgente immersione nella particolarità dei singoli casi concreti a

scapito dei caratteri del fenomeno considerato nel suo complesso. La

duplicità della metodologia impiegata ha consentito un reciproco e

sostanziale arricchimento delle rispettive risultanze empiriche, in

modo tale da trarre alcune generalizzazioni che andassero oltre le

singole “storie di vita”: la dimensione macro del fenomeno ha trovato

quindi conferma in quella micro del singolo e viceversa, così come le

dimensioni temporali del passato (ricordato), del presente (vissuto) e

del futuro (sperato) si sono inevitabilmente intrecciate20. Il “dialogo”

Vendrell Ferran I., Contemplazione delle rovine, in Verri L. (a cura di), op.cit., p. 119 20 “Ma erroneo e deprimente è vivere l’autobiografia come farmaco per liberarsi dal proprio passato prendendone le distanze. La vera cura di sé, il vero prendersi in carico facendo pace con le proprie memorie inizia probabilmente quanto non più il passato bensì il presente, che scorre giorno dopo giorno aggiungendo altre esperienze, entra in scena. E diventa luogo fertile per inventare o svelare altri modi di sentire, osservare, scrutare e registrare il mondo dentro e fuori di noi. […] non è soltanto un tornare a vivere: è un tornare a crescere per se stessi e per gli altri, è un incoraggiamento a continuare a rubare giorni al futuro che ci resta, e a vivere

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Introduzione

con il questionario ha indotto a una riflessione su di sé, così come gli

spunti tematici proposti durante il laboratorio di scrittura hanno reso

possibile la raccolta di storie esemplari del fenomeno migratorio al

femminile. I risultati, in entrambi i casi, travalicano il soggettivismo e il

particolarismo, rappresentando condizioni universali e condivise21.

La presente riflessione è costituita da uno sfondo teorico che mette in

luce i problemi e le questioni che animano il dibattito in corso (Cap. 1),

tenendo conto dei risultati emersi durante la ricerca empirica (Cap. 2),

attraverso l’approfondimento di alcuni temi rilevanti (Cap. 3) e dalle

testimonianze raccolte durante il laboratorio di scrittura (Cap. 4 e 5).

A questa indagine non è interessato solo l’esito finale ma i

meccanismi e i passaggi che hanno permesso un riconoscimento, uno

scambio e una comunicazione a più livelli (fra i due gruppi, all’interno

di ogni singolo gruppo, fra i gruppi e la committenza, fra i gruppi e le

donne a cui è stato somministrato il questionario). Il percorso lungo e

tribolato dell’integrazione passa attraverso una partecipazione non

fine a se stessa o funzionale solo allo svolgimento di una ricerca come

questa ma attraverso il coinvolgimento e la condivisione che abbiano

come risultato anche un arricchimento reciproco e un apprendimento

collettivo (il cosiddetto learning by doing). Attraverso i rapporti e le reti

già esistenti scopo della ricerca-intervento è stato anche quello di

irrobustirle e crearne di nuove, predisponendo un terreno fertile per

l’attuazione di azioni future: il lavoro è infatti risultato particolarmente

articolato e la quantità di notizie che sono state raccolte ci si auspica

possa costituire una fonte anche per ulteriori approfondimenti. più profondamente quelle esperienze che non potevano essere vissute con la stessa intensità. […] è un viaggio formativo e non un chiudere i conti. Non decreta, a posteriori, quali sono stati i nostri debiti (onorati o meno) e quali i nostri crediti.” Demetrio D., Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sé, Raffaello Cortina, Milano, 1996, pp. 15-16 21 “ Gli uomini come individui fanno la storia, ma la storia non appartiene agli individui, travalica la sfera privata individuale, anche se non ne può prescindere. Costituisce la trama extra-soggettiva di cui i soggetti hanno bisogno per riconoscersi e auto-identificarsi nel rapporto dialettico fra i vari livelli del tempo storico e il piano del tempo esistenziale.” Ferrarotti F., Il ricordo e la temporalità, Laterza, Roma, 1987, p.81

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Capitolo I

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Capitolo I

Donne in viaggio: migrazione al femminile come fattore di cambiamento sociale

di Ilaria Dioli

“Ogni giorno è un viaggio e il viaggio è dimora”

M. Bashō

L’immigrazione è una realtà che oggi si declina anche al femminile.

Adottare una prospettiva di genere significa prendere atto che negli

ultimi anni il quadro delle migrazioni è profondamente cambiato e che

il fenomeno si è modificato per caratteristiche e genere. La

femminilizzazione dei flussi è indice di una trasformazione dei

significati e delle dinamiche che caratterizzano il progetto migratorio.

La maggior parte delle situazioni fino ad ora ha visto l’uomo che si

separava dalla famiglia per cercare fortuna all’estero, spinto

principalmente da motivazioni economiche. Una volta stabilizzato,

normalmente dava avvio alle pratiche di ricongiungimento familiare

per moglie e prole. Ancora oggi il ricongiungimento familiare

rappresenta la principale tipologia di ingresso legale in Italia e il

percorso più tradizionale per molte donne straniere (soprattutto per le

provenienti dall’area del Maghreb). Generalmente lo sviluppo dei

ricongiungimenti familiari indica la tendenza verso la stabilizzazione o

comunque la permanenza di medio/lungo periodo ed è destinato a

trasformare le caratteristiche della società di accoglienza, sia sul

piano demografico che su quello socio-economico e culturale, così

come è avvenuto in altri paesi europei (Francia, Inghilterra). La pratica

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del ricongiungimento prova inoltre il grado della qualità della vita e

delle condizioni di lavoro di un posto e comporta inevitabilmente, nel

tempo, una crescita della domanda di servizi sociali, educativi, sanitari

e la necessità di una particolare e sempre maggiore attenzione per le

politiche per l'integrazione e l'inserimento, così come oggi si rileva

nelle principali aree urbane interessate dal fenomeno.

In questo caso, l’arrivo della donna viene a rappresentare quindi la

stabilità raggiunta dall’uomo, il progetto divenuto a lungo temine e non

più una permanenza temporanea22. La figura femminile in un certo

senso sancisce la fine di un periodo di distacco e di provvisorietà,

attraverso la ri-costruzione del nucleo familiare che si era infranto a

causa del progetto migratorio. Il momento della riunificazione della

famiglia comporta una fase di ri-aggiustamento, una suddivisone dei

ruoli talvolta diversa rispetto a quella definita nel paese d’origine23 : la

ricomposizione del nucleo familiare mette a confronto i diversi percorsi

di acculturazione e di inserimento della coppia e modifica i ruoli

coniugali, creando spesso conflitti. Anche per le donne arrivate

22 “ Accanto alla sostanziale tenuta dei permessi per lavoro dei regolarizzati si può osservare che l’aumento dei permessi per la famiglia, che come si è osservato è responsabile dell’aumento della presenza regolare nel periodo 2003-2007, è particolarmente intenso proprio per quelle comunità che hanno maggiormente usufruito della regolarizzazione, in particolare Moldavia, Ucraina, Ecuador e Romania, a testimonianza dell’effetto di ‘trascinamento’ o, se si vuole, della ‘stabilizzazione nella regolarità’ che tutte le regolarizzazioni, quale più quale meno, hanno avuto.” Caritas Italiana - Fondazione Migrantes - Caritas diocesana di Roma, Immigrazione Dossier statistico 2008 – XVIII Rapporto, Edizioni Idos, Roma, 2008, p. 85 23 “ Ricominciare a vivere insieme dopo la parentesi migratoria significa anche fare i conti con il senso di estraneità e di diffidenza che può essere sedimentato durante il periodo del distacco, ricostruire un equilibrio familiare in un contesto profondamente mutato; adattarsi alle aspettative del coniuge e, al tempo stesso, adattarsi al nuovo ambiente. La migrazione e il periodo del distacco quasi sempre producono mutamenti nei ruoli tra i coniugi e tra genitori e figli. (…) L’incontro in terra straniera comporta allora la necessità di fare i conti con la nuova realtà e con le reciproche immagini mutate. Richiede lo sforzo di ritrovare punti di incontro e nuove modalità comunicative e l’obbligo di condividere uno spazio, divenuto per tutti ristretto e vincolante. ” Favaro G., Avere un figlio altrove, in Vicarelli G. (a cura di), Le mani invisibili, Ediesse, Roma, 1994, p. 144-145

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Capitolo I

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attraverso un progetto migratorio di ricongiungimento familiare subìto

e non agito in prima persona, lentamente, con il perdurare della

permanenza nel paese di immigrazione, gli equilibri e i modelli

familiari possono subire dei cambiamenti ed i ruoli e le regole

sottoporsi ad una negoziazione. Alcune donne, per esempio, vogliono

imparare la lingua e cercare un lavoro, modificando così la loro

condizione di casalinga e, di conseguenza, irreversibilmente, il loro

stile di vita24, e diventando breadwinner, ossia coloro le quali

procurano le risorse economiche per provvedere alle necessità della

propria famiglia.

La riunione del nucleo nel paese straniero non è l’unico motivo di

migrazione femminile: la donna diventa anche soggetto attivo che

programma e progetta ed è protagonista in prima persona del viaggio.

Normalmente le indagini sui fenomeni migratori si occupano delle

donne e dei minori in termini di fasce deboli della popolazione

migrante: perché economicamente dipendenti dagli uomini, perché

normalmente subiscono la migrazione decisa da altri (padre o marito),

perché arrivate nel Paese di immigrazione hanno minori occasioni

sociali e più facilmente sperimentano la marginalità sociale e culturale.

Le donne, invece, sono anche protagoniste: l’immigrazione non è più

appannaggio della popolazione maschile ed è d’obbligo l’attenzione a

questo genere di popolazione migrante. Spesso le donne che arrivano

in Occidente si trovano ad essere discriminate perché vengono ad

24 “…le donne, quando hanno acquisito un’istruzione elementare, trovano l’alfabetizzazione preziosa e persino gradevole, e si reputano soddisfatte della loro nuova condizione, al punto da considerare da considerare l trasformazione della loro vita iniziata con l’alfabetizzazione tra quelle che non vorrebbero cancellare. Lo stesso vale evidentemente per l’assistenza sanitaria e la nettezza urbana, per aver imparato a ribellarsi contro la violenza domestica, e per l’acquisizione delle libertà politiche e delle capacità: le persone che imparano a conoscere e a vivere queste capacità non vogliono tornare indietro, né si può costringerle alla reversibilità.” Naussbaum M., Diventare persone. Donne e universalità dei diritti, Il Mulino, Bologna, 2001, p. 184

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esse attribuiti stereotipi svilenti25. Il diritto alla libertà di movimento per

le donne immigrate diventa anche diritto all’emancipazione, di natura

sia lavorativa che psico-affettiva. Per tutte l’immigrazione rappresenta

un’opportunità, la naturale conseguenza di una decisione maturata e

una scelta avvenuta nel Paese d’origine, mettendo così in discussione

lo stereotipo della donna che delega all’uomo la gestione del progetto

migratorio. Il processo di individualizzazione, che ha interessato

l’universo femminile a partire dagli anni ’60 - ’70 e che costituisce un

elemento tipico dell’era moderna occidentale, ha fatto sì che la

realizzazione personale e l’affermazione professionale si

trasformassero in autentici propulsori per la donna26. Con l’avvento

della modernità - definita “in polvere” da Apadurai (2001) e “liquida” da

Bauman (2002) - cambia, infatti, il rapporto che lega il singolo alla

società, trasformando le aspirazioni in possibilità.

Sempre più numerose sono le donne che migrano da sole, per un

desiderio di emancipazione, diventando il primo anello della catena

migratoria al cui seguito vengono, eventualmente nel corso degli anni,

altri membri della famiglia di origine. Questo carattere di autonomia

della migrazione femminile non è solo di oggi ma era relativo anche ai

primi arrivi di donne in Europa. Sole erano infatti le donne che

arrivavano negli anni Sessanta: giovani e nubili provenienti dalle

Filippine e da Capo Verde spesso sulla base di un rapporto di lavoro

25 “ In molte parti del mondo le donne sono svantaggiate per il fatto stesso di essere donne. Le loro possibilità di scelta e di socializzazione sono frequentemente ostacolate dalle società in cui sono costrette a vivere come appendici o presenze ancillari funzionali ai fini altrui, in cui la loro socievolezza è deformata dalla paura o dalla gerarchia; esse restano però portatrici di capacità umane, di possibilità di scelta fondamentali che esigono moralmente di avere opportunità di realizzazione e di sviluppo.” Ivi, p. 359 26 “Il movimento di emancipazione delle donne (che rivendicano di essere considerate anche individui liberi in grado di scegliere la propria vita e disporre del proprio corpo) […], la riduzione della propensione a sottomettersi all’autorità e lo sviluppo delle possibilità di realizzazione di sé […] sono altrettante espressioni della rivoluzione individualista che sostituisce l’indipendenza privata alle appartenenze obbligate.” Laurent A. Storia dell’individualismo, Il Mulino, Bologna, 2000, pp. 118-120

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Capitolo I

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già individuato, magari attraverso la mediazione di strutture religiose,

trovando occupazione come collaboratrici domestiche a tempo pieno

presso famiglie italiane. In Italia, a partire da quegli anni, si è verificato

un capovolgimento del tradizionale processo migratorio che vedeva

l’uomo ad emigrare per primo ed a creare le condizioni per il

ricongiungimento della moglie. Si sono costituiti infatti flussi di donne

sole, prevalentemente dai paesi asiatici e latino-americani, di religione

cattolica, che hanno assunto in prima persona la decisione di

emigrare per motivi di lavoro. La collocazione delle donne immigrate

prevalentemente nel settore domestico rispondeva già da allora alla

richiesta del mercato italiano. La costruzione di uno scenario relativo

al fenomeno migratorio tanto dice anche della società del paese

d’accoglienza e dei suoi cambiamenti in atto. L’invecchiamento della

popolazione per esempio ha comportato una crescente richiesta di

assistenza e di servizi socio-sanitari. Anche la progressiva scomparsa

della famiglia allargata e la tendenza a formare nuclei familiari sempre

più piccoli ha contribuito a ridurre le possibilità per i sistemi familiari di

provvedere alla cura dei propri vecchi. Tuttavia la cura degli anziani

non è l’unico fattore che determina la domanda di assistenza familiare

privata. Il fenomeno è collegato anche ad altri fattori di natura sociale

ed economica come quello della crescente emancipazione femminile

anche e soprattutto nei paesi occidentali: il ruolo della donna in Italia è

profondamente mutato negli ultimi decenni e ha visto un costante

allontanarsi delle donne dal tradizionale ruolo di casalinga per optare

per lavori fuori casa più gratificanti che hanno determinato anche un

aumento di disponibilità finanziaria delle famiglie che hanno quindi la

possibilità di ricorrere a forme di assistenza esterna, spesso di natura

privata, piuttosto che assumersi la funzione di cura dei propri membri

non autosufficienti. Con l’ingresso delle donne italiane nel mercato del

lavoro, rivestendo anche ruoli d’importanza, il lavoro invisibile, da loro

precedentemente svolto all’interno delle mura domestiche e

considerato gravoso e scarsamente qualificato, è stato passato alle

donne straniere. Oltre a questi fattori demografici e socio economici

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(invecchiamento della popolazione, comparsa della famiglia allargata,

ingresso delle donne nel mondo del lavoro e relativa maggiore

disponibilità economica, offerta di manodopera a basso costi,

economia dei servizi) è anche chiaro come le famiglie italiane

ricorrano a questo tipo di figure per sopperire ad una debolezza di

offerta dei servizi del welfare – che assume così una connotazione

privata, invisibile, conveniente – sia in termini di quantità e possibilità

di accesso, sia in termini di flessibilità (ubicazione, orari etc.): là dove

è più carente il servizio di assistenza domiciliare integrata è più forte

la richiesta di badanti27. Ancora oggi, seppur con cambiamenti rispetto

alle mansioni e alle condizioni di lavoro, il settore del lavoro domestico

e dell’assistenza alla persona rappresenta il maggior sbocco

lavorativo per le donne straniere in Italia. Questo lavoro risulta spesso

screditato, dimenticando che invece implica competenze professionali

e umane indispensabili28. Riconoscere il valore al lavoro di cura e di

gestione di una casa significa attribuire dignità anche a coloro, come

le badanti e le colf29, che svolgono il lavoro familiare come fosse un

27 “ La concentrazione delle donne straniere nel lavoro domestico e di cura è peraltro estesa all’intero territorio nazionale ma particolarmente elevata nelle regioni meridionali , dove l’offerta di servizi di welfare è più ridotta.” Caritas Italiana - Fondazione Migrantes - Caritas diocesana di Roma, Immigrazione Dossier statistico 2008 – XVIII Rapporto, Edizioni Idos, Roma, 2008, p. 243 28 “ Questo tipo di impieghi (…) tendono a porre le donne in una situazione paradossale, se non in una vera e propria situazione di doppio vincolo, da punto di vista dell’emotion work. Da esse si esige infatti contemporaneamente ‘professionismo’ e ‘relazione umana’ di tipo non solo lavorativo ma anche partecipativo. Le forti componenti emotive coinvolte, la condizione di pressione costante in cui queste lavoratrici si ritrovano, rendono il lavoro e la relazione con il lavoro assolutamente non convenzionale e difficilmente oggettivabile.” Mubi Brighenti A., Territori migranti, Ombre corte, Verona, p. 36 29 “… la colf è tratteggiata come figura professionale nella quale sono presenti elementi caratteristici di tre figure: - una casalinga: di fatto è una casalinga, poiché ne svolge, in tutto in parte, le mansioni, anche se generalmente rimane esclusa da possibilità decisionali in merito ad alcuni problemi (…); - lavoratrice salariata extra domestica: lavora infatti fuori dalla propria casa, anche se pur sempre in una casa, e quindi ha i problemi delle lavoratrici salariate (…); - lavoratrice precaria: poiché il suo lavoro avviene in una situazione di isolamento, è spesso mal retribuito, privo di una scurezza

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Capitolo I

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qualsiasi altro lavoro. Ciò aiuterebbe a dare a queste donne una

maggiore consapevolezza e identità professionale. Bisogna inoltre

ricordare che il lavoro domestico e soprattutto quello di cura, nella

maggior parte dei casi, prevede la coabitazione con il datore di lavoro.

Questo aspetto, se da un lato rappresenta il privilegio di non dover far

fronte alle difficoltà iniziali di dover trovare un alloggio e l’opportunità

di avere una situazione regolarizzata, dall’altro si rivela presto un

vincolo e una condizione restrittiva. Il cosiddetto “lavoro giorno e

notte” implica una limitazione dei movimenti che ostacola l’inserimento

della società locale e la frequentazione di altre persone, rendendo

impossibile una vita sociale e privata al di fuori della casa dove si

lavora. Questo tipo di occupazione esaspera quelle forme di invisibilità

e vulnerabilità che già caratterizzano l’esperienza migratoria

femminile, privando dei sostegni materiali e immateriali di cui una

persona ha bisogno per essere emotivamente serena. Rinunciare ad

avere una vita privata e sociale e magari aspettare ad avere un figlio

costituiscono il prezzo che deve pagare la donna immigrata che

apparentemente sembra invece più protetta (ha un lavoro,

un’abitazione, è tutelata, può risparmiare il proprio stipendio quasi per

intero). Alcune donne infatti sono costrette a sacrificare la maternità al

progetto migratorio, anche attraverso interruzioni volontarie di

gravidanza per paura di perdere il posto di lavoro. Alla lunga, però,

questa condizione viene ad essere insopportabile e alienante, può

diventare fonte di stress ed avere effetti negativi sull’equilibrio

psicologico delle lavoratrici. In termini di prospettiva volta al

miglioramento non va, per esempio, sottovalutato il significato del

passaggio dall'occupazione a tempo pieno presso una sola famiglia al

lavoro domestico ad ore in più abitazioni. Questo mutamento, dal

punto di vista della singola immigrata, rappresenta una vera

conquista, aprendo spazi di autonomia impensabili rispetto alla

precedente situazione. o di orari definiti.” Turrini O., Le casalinghe di riserva, Coines, Roma, 1977, p. 23

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In Centro e Sud America e nell’Europa dell’Est spesso accade che la

famiglia d’origine organizzi la partenza della donna “prescelta” perché

realizzi i progetti di sviluppo dell’intero gruppo familiare (l’acquisto di

una casa, la scolarizzazione dei fratelli minori, l’inizio di un’attività

autonoma). In questo caso l’emigrazione femminile è legittimata se le

donne inviano rimesse al nucleo familiare rimasto nel paese d’origine

permettendo così che i famigliari lontani possano beneficiare in

qualche modo della sua assenza, innalzando il proprio benessere

economico, nonostante l’abbassamento di status della donna nei

paesi d’immigrazione.

Esiste anche un ricongiungimento familiare “anomalo” dove, cioè, è la

donna a partire per prima e l’uomo, o comunque il resto della famiglia,

la raggiunge solo in un secondo momento. In genere, le donne

preparano con più attenzione di quanto non facciano gli uomini l'arrivo

dei familiari: prendono contatti con i servizi dell'infanzia, progettando

modalità di inserimento dei bambini, spesso aiutate e consigliate dai

datori di lavoro e conoscenti in loco. Questo tipo di migrazione, che

vede in un certo senso una rivoluzione della propria identità di genere

rispetto ai ruoli più prettamente maschili o femminili, può causare

sentimenti di frustrazione da parte dei mariti che sentono di perdere il

loro ruolo di autorevolezza e prestigio all’interno della famiglia. Ciò

che risulta essere messa in pericolo è quella identità di genere

“costruita su presupposti di maschilismo tradizionale, nutrito di idee

come quelle della responsabilità primaria del marito nel lavoro

extradomestico e nel mantenimento economico dei propri congiunti,

del primato della sua autorità quando si tratta di assumere decisioni e

di orientare la vita della famiglia, di prerogative di maggiore

conoscenza e dimestichezza con le istituzioni pubbliche e con la

società esterna alla casa, di una netta divisione dei ruoli che vede la

donna come custode della sfera domestica, devota e subalterna al

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Capitolo I

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marito.”30 Spesso il ricongiungimento fa emergere una serie di criticità

legate alla necessità di ridefinire i ruoli familiari e le relazioni all’interno

del nuovo spazio sociale, di scoprire un paese differente rispetto a

quello che si era immaginati prima dell’arrivo in Italia, di ricreare quindi

spazi relazionali non solo all’interno della famiglia ma anche nella

cerchia delle nuove amicizie. Questo tipo di figura femminile si trova

ad avere un ruolo attivo sin dall’inizio del percorso, quando agisce da

apripista, sia nelle fasi successive: è lei infatti a procurare le risorse

economiche per il sostentamento della famiglia rimasta nel paese

d’origine, a promuovere il ricongiungimento decidendone tempi e

modalità nel paese d’arrivo, e quindi a fare da guida nell’inserimento

nella nuova società, disponendo di una maggiore padronanza della

lingua e di una certa facilità di movimento e socializzazione.

In ogni caso, sia seguendo un percorso “tradizionale” che uno

“anomalo” (cioè dove è la donna a partire per prima), la

ricomposizione della famiglia “spezzata” avviene non senza

conseguenze. I problemi della coppia dopo il ricongiungimento

familiare (sia la donna o l’uomo a raggiungere l’altro componente della

coppia) riguardano i nuovi equilibri interni che si devono stabilire.

L’esperienza migratoria, scandita dai ritmi di rottura e riequilibrio è

segnata da una condizione di cambiamento continuo e precarietà.

Oltre ai motivi legati al ricongiungimento e al rispondere alle esigenze

di mercato, talvolta le donne emigrano anche per ragioni di

affrancamento “psico-affettivo”, per sfuggire, cioè, ad una condizione

subalterna legata alla cultura e alle tradizioni del paese d’origine, a

causa di un evento scatenante (morte di un genitore, perdita del

lavoro) o in seguito alla rottura di alcuni legami familiari (divorzi,

separazioni) al fine di liberarsi e rifarsi una vita (realizzazione

personale, desiderio di cambiamento e di progresso).

30 Ambrosini, M. & Boccagni, P., Il cuore in patria. Madri migranti ed affetti lontani: le famiglie transnazionali in Trentino, Giunta della Provincia Autonoma di Trento, 2007

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L’immigrazione femminile non è sentita come minaccia31 e non desta

inquietudine quanto quella maschile, se si esclude però il fenomeno

della prostituzione. Alcune donne, meno avvedute e accorte seguono

ingenuamente un desiderio di fuga che è stato rinforzato e alimentato

da informazioni non corrispondenti alla realtà, che dipingono l'Europa

e l'Italia a tinte rosee: possibilità di studiare, di lavorare, guadagnare

facilmente e riscattarsi. Spesso è ai mass media che viene attribuito

un ruolo importante nel prendere la decisione di partire. Fra visibilità e

invisibilità sociale è necessario ricordare anche un percorso del tutto

diverso che riguarda le ragazze sfruttate da organizzazioni criminali

che le costringono alla prostituzione32. Sembrerebbe inoltre che lo

spostamento di queste donne tra i vari paesi europei sia elevato,

senza perciò trovare mai fine al vagabondare. Il miraggio della

sistemazione lavorativa in Europa, con guadagni in breve tempo per

risollevare le condizioni della famiglia nel Paese d'origine o la

possibilità di avviare attività commerciali in proprio, è uno degli

elementi fondamentali che contribuiscono ad alimentare la tratta.

Donne giovanissime vengono così avviate alla prostituzione con

l'inganno e la violenza, sottoposte a vincoli e debiti da cui diviene

sempre più difficile liberarsi e da un forte isolamento sociale,

linguistico e culturale. La vulnerabilità di queste donne risiede nella

loro condizione di dipendenza dagli organizzatori del viaggio, prima, e

dai datori di lavoro, poi. La prostituzione diventa lo strumento

31 “ Numerose ricerche hanno dimostrato che in Italia, come in tutti i paesi del mondo, le donne violano le norme penali molto meno spesso degli uomini e che le differenze fra le une e gli altri sono tanto maggiori quanto è più grave il reato. Così, per fare degli esempi, la quota delle donne sul totale delle persone denunciate o condannate è sempre molto bassa, ma lo è ancora di più per le rapine e gli omicidi che per i furti.” Barbagli M., Immigrazione e sicurezza in Italia, Il Mulino, Bologna, 2008, p. 69 32 “ L’ingresso del crimine organizzato nel commercio del sesso, la formazione di reti etniche transfrontaliere e la transnazionalizzazione di numerosi aspetti del turismo fa presagire un probabile ulteriore sviluppo dell’industria globale del sesso.” Sassen S., Una sociologia della globalizzazione, Einaudi, Torino, 2008, p. 158

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Capitolo I

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attraverso cui estinguere debiti contratti ed evitare ritorsioni su se

stesse e sui famigliari in patria. Paradossalmente, invece di

affrancarsi, esse trovano una peggiore prigionia in terra straniera.

L’immagine del luogo verso il quale si sta andando viene spesso

idealizzata, quasi a compensare il dolore del distacco e una

situazione nel proprio paese sentita come disastrosa e senza vie di

uscita. È questo miraggio di un futuro in cui si potrà vivere con un

maggior benessere economico e sociale, per sé e per i propri figli, ciò

che sorregge queste donne nei momenti difficili del processo

migratorio. Questa prospettiva seducente, che si sposta sempre più

avanti nel tempo in quanto le effettive opportunità di raggiungerlo

sono limitate, è ciò che permette di sopportare le umiliazioni, il duro

lavoro, la perdita di status, la lontananza dai figli e dai luoghi cari, la

precarietà del lavoro. Mandare il più possibile soldi a casa e cercare di

creare le condizioni per far venire i figli in Italia, diventano altrettanti

modi di riparare al torto di averli lasciati e mantenere la stima di sé, di

riempire il senso di mancanza.

Vi è anche il caso di donne giunte in Italia per motivi umanitari e

politici, provenienti da zone di guerra (Somalia e ex Yugoslavia), per

significativi cambiamenti storici in seguito a conflitti armati o forti crisi

economiche nazionali (Argentina e Ecuador). La caduta dei regimi

comunisti con la relativa penetrazione del sistema capitalistico nei

paesi dell’ex blocco sovietico e la (parziale) apertura delle frontiere,

per esempio, ha rappresentato un momento cruciale nella storia

dell’emigrazione dall’Europa orientale all’Unione Europea. Si è così

aperta la possibilità di accesso ai mercati internazionali e la

migrazione (più o meno temporanea) per lavoro è presto diventata

un’opportunità − per molti l’unica − di miglioramento delle proprie

condizioni economiche. La Polonia e la Romania hanno per prime

sperimentato forme di migrazioni pendolari che spesso hanno

rappresentato il primo passo di una migrazione diretta verso paesi più

lontani e poi una maggiore stabilità. Per la popolazione dell’Est, i

paesi dell’Europa meridionale, come l’Italia e la Spagna, si

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distinguono per una spiccata domanda di mano d’opera femminile

dettata soprattutto dalle esigenze di un mercato del lavoro riservato

specificamente alla cura della persona (bambini e anziani) e della

casa. Diverso è invece il caso del Portogallo, della Francia e della

Germania dove si è assistito ad una maggiore richiesta maschile

dovuta ad una forte necessità nel settore dell’edilizia. Il pull factor,

rappresentato dalla domanda di mano d’opera nel paese di

destinazione, agisce in maniera selettiva su base etnica e di genere.

Un ruolo fondamentale nella organizzazione del percorso migratorio è

giocato anche dalla percezione che si ha del paese di destinazione.

Nel caso specifico dell’Italia, la possibilità per le donne di trovare

facilmente un lavoro, ma anche l’idea che per lingua, tradizioni e

cultura, l’adattamento sarebbe più facile, assumono un ruolo

importante per chi decide di partire. Ovviamente anche i diversi

sistemi di ammissione dei diversi paesi europei hanno un notevole

impatto e sulla decisione di migrare in un determinato momento e

verso una meta specifica.

Oltre all’arrivo simultaneo dei due coniugi stranieri che condividono il

progetto migratorio prima della partenza dal paese di origine – caso in

cui il paese di origine ha in comune con il paese di arrivo religione se

non addirittura lingua come avviene per i paesi del Sud America con

la Spagna o fra Brasile e Portogallo per esempio – può anche

accadere che l’arrivo della donna (soprattutto dall’Est Europa)

avvenga in seguito ad un matrimonio misto ed alla conseguente

costituzione di un nuovo nucleo familiare33. In Italia il numero dei

33 “ Che il fenomeno sia cresciuto in termini significativi nell’arco di questi ultimi lustri è confermato dal confronto dei dati riguardanti la rilevazione sui matrimoni forniti dall’Istat. Dal loro esame si osserva come nel decennio 1996-2006 il numero dei matrimoni celebrati fra sposi italiani e spose straniere ( e viceversa) sia cresciuto di circa il 143%, passando dai 9.875 matrimoni misti del 1996 ai 24.020 celebrati dieci anni dopo, pari al 9,8% del totale dei matrimoni celebrati nel corso del 2006: come dire che 1 matrimonio ogni 10 celebrati in quell’anno ha visto coinvolta una coppia mista.” Caritas Italiana - Fondazione Migrantes - Caritas diocesana di Roma,

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Capitolo I

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matrimoni tra un coniuge italiano ed una donna straniera è in continuo

aumento, contribuendo a creare uno scenario sempre più

multiculturale e multietnico34. Nei confronti delle coppie miste e di

matrimoni interetnici, i giudizi delle donne immigrate cambiano a

seconda della cultura di provenienza: c'è chi vede nel matrimonio con

un italiano una reale possibilità di promozione (ad esempio, per le

donne dell’Est) e chi giudica in maniera fortemente negativa queste

unioni (come le asiatiche)35.

L’attenzione per la dimensione femminile del fenomeno è legata tra

l’altro all’insorgere di nuovi bisogni e scenari sociali. La presenza delle

donne nel mercato del lavoro vede oggi una notevole crescita e si

espande gradualmente in diversi settori, oltre a tradursi, negli

ultimissimi anni, anche nell’imprenditoria femminile con l’apertura di

piccolo esercizi commerciali. Le donne immigrate non trovano impiego

solo nel lavoro domestico e di cura ma anche come impiegate nel

settore dei servizi, operaie in piccole aziende, nelle imprese e nelle

cooperative di pulizie36. Considerando i sacrifici e l’investimento di

Immigrazione Dossier statistico 2008 – XVIII Rapporto, Edizioni Idos, Roma, 2008, p. 165 34 “ Disaggregando i dati per genere emerge chiaramente come fra gli italiani siano per lo più i maschi ad unirsi in matrimonio con le donne provenienti dall’estero (nel 70%-80% dei casi). Nel 2006, per esempio, oltre 19 mila maschi italiani hanno sposato delle straniere. La tipologia sposo italiano/sposa straniera riguarda nel complesso 7,7 matrimoni su 100 a livello medio nazionale: un dato che sale a 10 matrimoni su 100 nel Centro-Nord.” Istat, Rapporto annuale. La situazione del Paese nel 2007, Roma, 2008, p. 271 35 “ Se si osservano i dati raccolti in occasione del censimento del 2001 emerge con chiarezza come al vertice della graduatoria degli individui coniugati a cittadinanza omogama si collochino le persone provenienti da Bangladesh (ben il 97,1% si sposa infatti fra di loro). A seguire, in ordine decrescente: Sri Lanca (96,3%), Cina (95,6%), Pakistan (95,3%)…” Ministero dell’Interno, 1° Rapporto sugli immigrati in Italia, dicembre 2007, p. 146 36 “ se consideriamo l’andamento delle assunzioni negli ultimi anni (2004-2006) le lavoratrici straniere hanno rappresentato costantemente circa il 41% delle assunzioni nette totali, ben lontane dalla quasi parità si registra in altri Paesi destinatari di grandi flussi migratori. Considerata questa tendenza storica per il nostro Paese , il 43,3% di assunzioni di donne raggiunto nel

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energia che l’atto di migrare comporta, si può osservare come le

migranti accettino lavori che non corrispondono né alle professionalità

di cui sono portatrici, né ai titoli di studio di cui sono in possesso:

donne spinte da una forte motivazione sia verso una crescita

personale sia al soddisfacimento di bisogni che ritengono essenziali

alle loro famiglie rimaste nella patria d’origine. Non di rado sono

laureate o comunque con un livello di istruzione e scolarizzazione

medio - alto, munite di una professionalità specifica, pronte ad

affrontare difficoltà lavorative, legislative, retributive e previdenziali pur

di darsi una nuova possibilità che nella propria Terra non avrebbero

mai37.

La donna, migrando, può andare incontro a un processo non solo di

emancipazione ma, nei migliori dei casi, anche di empowerment38,

ossia di consapevolezza delle sue capacità e di ri-costruzione

identitaria.

Per altre, il progetto migratorio è invece temporaneo e funzionale al

rientro in patria in condizioni economiche migliorate e meno precarie

2007 rappresenta una novità interessante.” Caritas Italiana - Fondazione Migrantes - Caritas diocesana di Roma, Immigrazione Dossier statistico 2008 – XVIII Rapporto, Edizioni Idos, Roma, 2008, p. 260 37 “ La razionalità dell’emigrazione è assai più complessa delle spiegazioni in termini di spinta e di attrazione. Da una parte intervengono motivazioni soggettive. E’ un aspetto fondamentale che molte persone si siano mostrate disposte ad accettare lavori scadenti, magari inferiori al loro livello di istruzione e al loro stato sociale in patria, e a vivere in situazioni di grande disagio che non avrebbero accettato nel loro paese d’origine. (…) D’altra parte, gli effetti ponte delle globalizzazione generano sia condizioni materiali sia nuovi tipi d’immaginario, che trasformano l’emigrazione in una scelta possibile mentre prima non la era.” Sassen S., op.cit., p. 132 38 “ Infine, un’importante intervento può consistere nell’empowerment dell’immigrato stesso, nello stimolare e rafforzare la consapevolezza del suo possibile ruolo di agente di sviluppo, in funzione del suo potenziale capitale: il capitale umano costituito dalle competenze professionali acquisite in patria o nel paese di accoglienza; il capitale finanziario, che può essere trasferito alla comunità d’origine sotto forma di rimesse,; il capitale sociale rappresentato dalle relazioni sociali e lavorative dei migranti e della loro rete associativa.” Caritas Italiana - Fondazione Migrantes - Caritas diocesana di Roma, Immigrazione Dossier statistico 2008 – XVIII Rapporto, Edizioni Idos, Roma, 2008, p. 306

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Capitolo I

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di quelle che hanno motivato l’emigrazione. Il miglioramento delle vie

di comunicazione degli ultimi cinquanta anni ha reso gli spostamenti

agevoli e veloci, con costi economicamente più sostenibili. Proprio

recentemente, a questo riguardo, si sta registrando un nuovo tipo di

migrazione femminile che vede alcune donne lasciare il proprio paese

ed arrivare in Italia con un visto turistico, lavorare per tre mesi e poi

rientrare, per tornare di nuovo e così via; lo scopo è quello di ridurre il

tempo di allontanamento dalla propria famiglia e gestirne più

facilmente il distacco. Stanno emergendo anche nuove figure di madri,

cosiddette “transnazionali”, che mentre curano i figli di altre donne

cercano di mantenere dei legami a distanza con i propri, rimasti nel

Paese di origine. Questo paradosso che le vede impegnate, per

lavoro, con i figli e i genitori altrui, genera spesso il senso di colpa al

pensiero dei i propri cari invece privati di dovute cure e doverose

attenzioni. Le famiglie transnazionali si presentano come il volto, forse

tra i più complessi e drammatici, della globalizzazione, dove le donne

sono caratterizzate da una maternità vissuta a distanza per necessità

economica. Questi nuovi modelli famigliari sono detti a “patchwork” in

quanto alcuni membri della famiglia (madre con figli più piccoli o più

grandi a seconda delle situazioni) vivono in situazione di

“pendolarismo” fra il Paese di accoglienza e quello di origine dove

sono rimasti altri membri (marito con altri figli, altri famigliari). Tramite

una ricerca sulle famiglie transnazionali nel Trentino, condotta nel

2007, Ambrosini e Boccagni39 individuano, tramite una classificazione,

le diverse forme che la famiglia transnazionale può assumere: a)

famiglie transnazionali circolanti, caratterizzate da frequente mobilità

bi-direzionale e scarsa propensione al ricongiungimento; b) famiglie

transnazionali intergenerazionali, in cui le migranti sono in età

avanzata, con figli spesso in età adulta e che hanno un progetto

migratorio orientato verso la massimizzazione del guadagno e quindi

39 Ambrosini, M. & Boccagni, P., op.cit.

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verso il rientro in patria; c) famiglie transnazionali puero-centriche,

divise da grandi distanze ed in cui le madri, spesso con figli ancora

molto giovani, sono maggiormente orientate al ricongiungimento in

Italia oppure all’investimento negli studi dei figli in patria ed alla

mobilità internazionale. L’esperienza delle “madri a distanza”, divise

da grandi distanze che si traducono in lunghi periodi di separazione

tra i vari membri della famiglia rappresenta una realtà diffusa tra le

lavoratrici impiegate nel settore domestico in Italia. Tra queste sono

soprattutto le donne provenienti dall’Europa Orientale ad avere più

spesso i figli ancora in patria dove risulta necessaria una

riorganizzazione della famiglia in seguito alla loro partenza, soprattutto

mobilitando altri membri della rete parentale in modo da compensarne

la mancanza temporanea. In questo processo decisionale riguardante

la strategia migratoria, la presenza di una rete familiare capace di

assicurare, anche durante la propria assenza, la cura dei figli, gioca

un ruolo fondamentale. I cosiddetti children left-behind si ritrovano ad

essere in uno stato di mancanza dell’affetto materno e della

sorveglianza adeguata, carenze che spesso si traducono in disagio

psicologico, basso rendimento ed assenteismo scolastico. Al

contrario, può anche accadere che, a seconda dell’età, il bambino

avverta il sacrificio dei genitori: questa consapevolezza fa sì che

l’impegno scolastico sia addirittura maggiore. Questa transnational

motherhood che comporta cure, presenza e attenzioni discontinue,

non implica però necessariamente la disgregazione familiare visto che

il progetto migratorio è volto al ritorno in patria sulla media distanza

spazio-temporale.

Emergono così varie tipologie di donne immigrate che riflettono come

la popolazione femminile straniera sia diversificata, tanto nella

composizione, quanto nelle modalità di adattamento e di inserimento

in Italia. Le donne svolgono un ruolo importante, sia come

responsabili della gestione dei legami familiari, sia come componente

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Capitolo I

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economica che agisce nella prospettiva degli altri componenti della

famiglia40.

La presenza immigrata non è un fenomeno accessorio e regolabile

solo sulla base delle esigenze lavorative della comunità di

accoglienza, bensì un fattore strutturale della società odierna. Alla

luce di queste considerazioni, l’immigrazione femminile si rivela

caratterizzata da una complessità, pluralità41 e molteplicità di

situazioni e strategie che richiedono la sensibilizzazione e sostegno

nei confronti delle sue protagoniste nonché l’approfondimento tramite

analisi e riflessioni anche riguardo agli effetti sull’intera società di

accoglienza. E’ innegabile che si debba tenere conto della forza del

fenomeno migratorio come fattore di cambiamento della società.

Considerarlo un fattore di cambiamento sociale significa accettare che

è assolutamente anacronistico e irrealistico pensare a una società

monocultura nel XXI secolo, nell’era della globalizzazione42. L’Italia

multietnica è una realtà, una necessità, una benedizione. Se le nuove

arrivate se ne andassero domani, si fermerebbero ospedali, fabbriche,

negozi, ristoranti e servizi. Molte famiglie sarebbero in gravi difficoltà:

diverse donne italiane dovrebbero rinunciare al lavoro per accudire i

figli piccoli o i genitori anziani. Tuttavia questa trasformazione

40 “ Le donne sono fonte di affetto e di cure. In quasi tutte le culture il ruolo tradizionale delle donne comporta l’allevamento dei figli e la cura della casa, del marito e della famiglia, ruolo che è stato associato con qualità morali importanti. L’altruismo, l’attenzione ai bisogni degli altri e la disponibilità a sacrificare il proprio interesse a favore di quello altrui. Esse sono state collegate a qualità morali distinte , come l’abilità di percepire la particolarità delle situazioni, il bisogno degli altri, e la capacità di ragionare in modo costruttivo per venire incontro a quei bisogni.” Naussbaum M., op.cit., p. 294 41 “ E’ plurale perché ciò a cui l donne aspirano contiene una pluralità di componenti irriducibilmente distinti.” Ivi., p. 364 42 “ La migrazione non è un epifenomeno dell’età contemporanea, ma il luogo dove le più importanti tensioni della modernità si delineano e possono essere osservate in piena luce. Così, il migrante non è uno sfortunato effetto collaterale della modernità, una figura marginale della storia, ma al contrario gioca in essa un ruolo centrale, che può essere letto come sintomatico e rivelatore dei caratteri della transizione storica contemporanea.” Mubi Brighenti A., op.cit., p. 110

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irreversibile deve essere governata, spiegata, condivisa e compresa43.

Non a caso ultimamente Regioni e Province di tutta Italia stanno

mettendo in campo, a scopo di conoscenza, prima, e di intervento,

poi, numerose ricerche empiriche condotte soprattutto in ambito

locale. Al contempo, gli approfondimenti teorici e i contributi scientifici

portano avanti un dibattito internazionale che sta sempre più

crescendo in maniera direttamente proporzionale ad un’ evidente

rilevanza sociale ed un’ innegabile risonanza pubblica del tema in

questione. Le migrazioni stanno trasformando la società, tra

polemiche, paure, speranze e utopie. Il percorso delle donne migranti

non è un’esperienza solo individuale bensì si tratta di un’impresa

collettiva. Ognuna di esse scopre e sente che è parte di una

collettività, un elemento della storia, e diventa così capace di

percepire se stessa come un soggetto “condizionato da” ma anche

“capace di condizionare” la società. Le sfide che si trovano a

intraprendere le donne hanno a che fare con spazi, luoghi, relazioni

dove poter sviluppare coscienza e stima di sé:

“ La migrazione è infatti l’aspirazione a migliorare la propria esistenza nel sempre rinnovato desiderio di conoscenza, e quindi di esplorazione. La maturazione della migrazione nasce appunto quando un essere umano non è più soddisfatto della propria condizione, di se stesso, di ciò che il mondo nel quale vive gli offre o di ciò cui può concretamente aspirare a conquistare in esso. E’ insomma quel atto che appare necessario o persino assolutamente e imperiosamente urgente sia quando non farlo può condurre a rischi che appaiono ancor più gravi di quelli che si corrono migrando, sia perché la sola frustrazione generata dal non farlo può essere percepita, consapevolmente o inconsapevolmente, come negazione dell’essere stesso. (…) Ed è questa aspirazione all’emancipazione che dà alle migrazioni – oggi più che

43 “ …ogni individuo ha bisogno di riconciliarsi con un mondo in cui è arrivato, con la nascita, come straniero e in cui, in virtù della sua irriducibile unicità, rimarrà sempre uno straniero. La comprensione ha inizio con la nascita e si conclude con la morte.” F. Mernissi, L’harem e l’occidente, Giunti, Firenze, 2000, p. 7

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Capitolo I

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mai – quel carattere ‘sovversivo sia rispetto all’assetto della società di origine, sia rispetto a quello della società di arrivo e anche rispetto all’assetto di un ordine europeo e mondiale che pretende di imporre la totale libertà di azione per gli attori forti e la totale negazione di spazi di emancipazione per gli altri.” 44

Per tutti questi motivi queste donne portano alla luce i valori tipici

femminili: solidarietà, resistenza e coraggio.

44 Palidda S., Introduzione all’edizione italiana di Sayad A., La doppia assenza, Cortina Editore, Milano, 2002, p. XIII

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Capitolo II

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Capitolo II

Donne allo specchio: i risultati dell’indagine sul territorio piacentino

di Giorgia Veneziani e Massimo Magnaschi

Come talvolta accade nelle indagini sul campo, il ricercatore, pur

preparato ed attento al fenomeno oggetto dell’analisi, ne risulta

tuttavia estraneo quanto agli aspetti più profondi con il rischio

conseguente di produrre riflessioni non sufficientemente accurate e

sintonizzate con la realtà indagata. Tale rischio viene abitualmente

ovviato attraverso gruppi focus con attori coinvolti sul tema per

calibrare temi e strumenti e per sviluppare la successiva riflessione a

partire dai dati emersi. L’aspetto decisamene innovativo di questa

indagine riguarda il coinvolgimento diretto delle donne migranti come

protagoniste del gruppo tecnico di ricerca. La scelta dei temi e

l’elaborazione dello strumento di indagine, il questionario, così come

la sua somministrazione, pertanto non sono estranee alla realtà delle

persone intervistate.

Concretamente il progetto di ricerca si è basato sulla

somministrazione di 280 questionari a donne migranti residenti sul

territorio provinciale, diverse per età, nazionalità e percorso di vita.

Il questionario ha indagato diversi aspetti riguardanti il percorso di vita

delle donne migranti; naturalmente anonimi, i questionari hanno

previsto alcune domande in iz ia l i re lat ive ai dat i socio-

anagraf ic i (nazionalità, area di insediamento, età, titolo di studio e

condizione professionale), per proseguire con la messa in luce degli

aspetti relativi al percorso migratorio, cercando di coglierne le ansie e

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le aspettative oltre ad informazioni più mirate riguardanti i tempi, le

destinazioni, le informazioni sul contesto d’approdo ed i contatti con il

paese d’origine. In una sezione successiva si è passati ad analizzare

il lavoro e la conciliazione dei tempi e tutto ciò che concerne la vita

sociale: oltre a prendere in considerazione gli aspetti più legati all’

attività lavorativa si è cercato di cogliere la capacità delle donne di

conciliare la vita lavorativa con la vita personale, il tempo che riescono

a ritagliarsi per se stesse, per la propria famiglia, per il proprio tempo

libero e per il mondo associativo. Da ultimo si è preso in

considerazione il rapporto che si è creato con il territorio ponendo in

risalto le differenze tra l’impatto all’arrivo e la situazione attuale.

Procediamo ora alla presentazione dei dati emersi dall’elaborazione

dei materiali raccolti.

Innanzitutto è bene sottolineare che il 63% delle donne intervistate

sono residenti a Piacenza mentre i 37% in provincia. Area di insediamento

Alla richiesta di specificare esattamente in quale comune della

provincia, si evince che la maggior parte di esse risultano residenti

nell’Area della Val Tidone (San Nicolò, Castel San Giovanni e

Borgonovo), mentre un’altra parte, molto consistente, risiede a

Fiorenzuola e nei comuni limitrofi.

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Capitolo II

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Per quanto riguarda l’età delle donne intervistate a fronte di un’età

media pari a 34 anni, suddividendo per fasce d’età, il quadro risulta

così composto: il 36% rientra nella fascia d’età che va dai 30 ai 39

anni, il 26% tra i 40 e i 49, il 24% tra i 20 e i 29 anni. Vi è poi un 7%

nella fascia che comprende le donne tra i 50 e i 59 anni ed un altro

7% di donne che hanno meno di 19 anni; non risulta, tra le donne

intervistate, nessuna persona che abbia un’età superiore ai 60 anni. Classi di età

Passando ad analizzare la provenienza, i Paesi d’origine che

ricorrono più spesso risultano essere: il Marocco (sicuramente il

Paese più rappresentato), l’Ecuador, l’Albania, la Costa d’Avorio ed a

seguire, con meno presenze ma sempre consistenti, il Brasile, la

Romania e l’Ucraina.

Di queste donne, il 63% risulta essere coniugata, il 24% nubile, l’11%

separata o divorziata e il 2% vedova. I figli risultano essere

mediamente due per famiglia.

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Stato civile

Prendendo in considerazione il dato relativo al titolo di studio che le

donne posseggono, si può chiaramente vedere come il livello di

istruzione delle donne è decisamente alto: vi è un 17% che dichiara di

aver concluso l’università, un 29% di aver terminato la scuola

superiore e un altro 29% la scuola media. Il 10% afferma di aver

frequentato la scuola elementare, l’8% una scuola di avviamento alla

professione mentre un 7% dichiara di non possedere alcun titolo.

Titolo di studio

Nonostante il dato molto positivo relativo al titolo di studio, non

altrettanto si può dire della situazione riguardante la condizione

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Capitolo II

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occupazionale: molte donne lamentano la difficoltà di reperire un

lavoro e coloro che ne possiedono uno sono per lo più occupate in

profili poco qualificati come donne delle pulizie, collaboratrici

domestiche e operaie. Certamente per molte donne, nonostante le

inevitabili difficoltà incontrate durante il percorso migratorio, l'arrivo in

Italia rappresenta comunque un miglioramento della propria

condizione di vita materiale, anche se molte di loro finiscono per

trovarsi nei punti meno qualificati del sistema produttivo locale e per

dedicare gran parte del loro tempo al lavoro.

Un aspetto particolarmente rilevante che ha suscitato molto interesse

durante la fase di analisi dei risultati, è stato la parte riguardante il

progetto migratorio.

Da quanti anni vive in Italia

Dall’analisi dei dati risulta che la maggior parte delle donne intervistate

vive in Italia ormai da parecchio tempo: ben il 37% risulta residente in

Italia dai 5 ai 10 anni, il 23% dai 2 ai 5 anni, il 18% da più di 10 anni, il

4% da più di 20 anni, solo il 10% da meno di 1 anno e l’8% da 1 a 2

anni. Quanto alla loro regolare presenza sul territorio si evidenzia un

dato molto positivo, infatti solo il 7% dichiara di essere in attesa o in

fase di regolarizzazione, il 52% è in possesso di un permesso di

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soggiorno, il 31% della carta di soggiorno e ben il 10% (1 donna

intervistata su 10) è in possesso della cittadinanza italiana.

Attualmente è in possesso di

Alle donne che hanno dichiarato di essere in possesso di un

permesso di soggiorno è stato inoltre chiesto di specificare il motivo di

tale permesso.

Se in possesso di permesso di soggiorno, per quale motivo

Ben più della metà delle donne (57%) risulta essere in Italia per

ricongiungimento familiare, il 36% per lavoro mentre un 3% per studio

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Capitolo II

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e un altro 3% per motivi non precisati. Solo l’1% possiede un

permesso di soggiorno per turismo.

Inoltre, per comprendere le modalità del contatto con la realtà italiana,

è stato chiesto loro di indicare chi avesse fornito le informazioni

sull’Italia prima della partenza: a questa domanda la maggior parte di

esse ha risposto di essere stata informata da parenti e amici già in

loco, solo una piccola parte ha ottenuto le informazioni attraverso i

mezzi di comunicazione e un numero ancora più esiguo di donne ha

dichiarato di essere partita senza alcuna notizia in merito al Paese

che le avrebbe accolte. La decisione di partire nasce per molte di loro

- quasi la metà delle donne intervistate - dal desiderio di

ricongiungersi con la propria famiglia, altre donne sono partite con la

speranza di costruirsi un futuro migliore, e altre ancora con la volontà

di dare un avvenire migliore alla propria famiglia rimasta nel paese

d’origine.

Si è cercato di approfondire anche come si è strutturato il rapporto con

i parenti e gli amici rimasti nel proprio Paese, ponendo domande in

merito alla quantità e alla qualità dei contatti: emerge come ben il 94%

delle donne ha mantenuto contatti con il Paese d’origine a fronte di

solo un 6% che risulta non aver più alcun tipo di relazione con il

passato. Sebbene il passare del tempo riduca progressivamente la

provvisorietà dell’emigrante rendendo i legami con il paese di

residenza sempre più stabili e coinvolgenti e per quanto l’inserimento

nel tessuto locale per la maggior parte delle donne risulti abbastanza

buono, i rapporti con il paese d’origine rimangono comunque molto

stretti e costanti.

Il grafico relativo alla frequenza dei contatti conferma come il legame

con il paese di origine risulti molto stretto.

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Con quale frequenza ha contatti con il paese d’origine

Quasi la metà delle donne intervistate (48%) mantiene il rapporto con i

propri familiari e amici ad intervalli settimanali, il 17% giornalieri, un

11% ad intervalli quindicennali e un altro 11% mensili, il 6% ha contatti

annuali, vi è poi un 5% che ha contatti semestrali e solo l’1%

trimestrali.

In merito ai mezzi di comunicazione usati è interessante vedere come

le donne appartenenti alle fasce di età più giovani affidino la propria

comunicazione quasi esclusivamente ad internet, mentre solo

raramente viene menzionato il telefono; per le donne più mature, al

contrario, rimane invece come primissima scelta l’uso del telefono.

Relativamente alle aspettativa future, il dato che emerge è che più

della metà delle donne (ben il 52%) desidera tornare al proprio Paese

d’origine, il 37% vuole rimanere a Piacenza e solo una piccola

percentuale (il 6%) vuole trasferirsi in un altro Paese estero mentre

una percentuale ancora più esigua (il 5%) desidera trasferirsi in

un’altra città italiana. Rispetto al futuro pensa di

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Capitolo II

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Alle donne che pensano di tornare al paese di origine è stato

ulteriormente chiesto di specificare quando, nelle loro intenzioni,

questo dovrebbe realizzarsi.

Tra quanto tempo pensa di tornare al paese d’origine

Il dato che emerge molto chiaramente è che molte donne (il 52% di

quelle che hanno intenzione di tornare al paese di origine) non sa

quando questo potrà realizzarsi, il 26% dichiara tra più di 5 anni, il

14% in un periodo di tempo che va dai 3 ai 5 anni, il 6% tra meno di 1

anno e il 3% da 1 a 3 anni.

In una successiva sezione, il questionario entra poi nel profondo della

situazione lavorativa e della gestione del tempo, cercando di cogliere

gli aspetti più rilevanti in merito alla conciliazione dei tempi. Si è

indagato sulla quantità e la qualità del tempo dedicato alla famiglia, a

se stesse e al mondo associativo, a fronte di un impegno riversato

nell’attività lavorativa particolarmente consistente per la maggior parte

delle donne intervistate.

La ricognizione su tali aspetti ha preso avvio dalla comprensione della

situazione abitativa/affettiva.

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Con chi vive

E’ emerso come 8 donne su 10 vivono con la propria famiglia (80%),

l’8% dichiara di vivere con altre persone ed alla richiesta di specificare

con chi, la maggior parte ha indicato il compagno o il marito. Il 6%

delle donne vive da sola, un 3% con amici e un altro 3% con i propri

parenti. Tra le donne che vivono con la propria famiglia è stato

ulteriormente chiesto di indicare da quanto tempo si è realizzato il

ricongiungimento familiare.

Se vive in famiglia, da quanto tempo si è realizzato il ricongiungimento familiare

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Capitolo II

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Il 34% vive con la propria famiglia da 1 a 5 anni, il 28% da sempre, un

19% da meno di un anno e un altro 19% da più di 5 anni. Restando

nel merito della vita familiare si è voluto approfondire il modello di

gestione assunto all’interno della famiglia relativamente alla cura dei

propri figli, chiedendo alle donne, chi, in particolare all’interno della

famiglia, si facesse carico dell’inserimento dei figli e chi mantenesse i

rapporti con la scuola; a questa domanda il risultato è stato univoco:

sono le donne che si fanno carico di questo aspetto della vita dei

propri figli, solo pochissime hanno indicato il marito e, quasi sempre,

come seconda risposta.

Diversa è stata la risposta relativa agli aspetti legati alla tradizione ed

a chi nella famiglia si occupa di tramandarla: entrambi i genitori si

occupano di questo aspetto della vita dei figli e molto spesso accanto

a loro è indicata anche la figura dei nonni.

Ancora, entrando nel merito della qualità della vita, alle donne

intervistate è stato chiesto quanto tempo dedicassero all’attività

lavorativa.

Tempo dedicato al lavoro

Il dato che emerge mostra come per un consistente numero di donne

il lavoro risulta impegnativo in termini di tempo; entrando nel dettaglio

emerge che il 35% delle intervistate dedica molto tempo al lavoro, il

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30% abbastanza, il 10% poco, e il 25% per nulla. Alle donne che

hanno dichiarato di lavorare è stato inoltre chiesto di indicare quanto

tempo nell’arco della giornata fossero coinvolte nell’attività lavorativa.

In termini di tempo, quanto la coinvolge l’attività lavorativa

Il 40% delle donne occupate ha dichiarato di lavorare 8 ore al giorno,

il 37% meno di 8 al giorno, il 20% più di 10 ore al giorno ed un 3% 24

ore al giorno (presumibilmente donne impegnate nel lavoro di cura

presso le famiglie).

Partendo dall’analisi dei dati relativi all’attività lavorativa, si è poi

passati a considerare gli aspetti più personali come il tempo dedicato

alla famiglia, il tempo dedicato a se stesse e il tempo che le donne

riescono a dedicare alla vita associativa.

Procediamo con ordine.

Tempo dedicato alla famiglia

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Capitolo II

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In merito al tempo dedicato alla famiglia è emerso che il 42% vi dedica

molto tempo, il 39% abbastanza, il 15% poco, mentre un 4% per

nulla; questi dati con tutta evidenza confermano e completano, in

modo coerente, le risposte fornite alla domanda sul tempo dedicato al

lavoro.

Quanto al tempo che le donne dedicano a se stesse ed alla propria

cura, emerge che ben il 47% dedica poco tempo alla cura di sé, il 36%

abbastanza, il 9% molto, e l’8% per nulla. Tempo dedicato a se stessa

Ancor più negativo è il quadro che emerge dalla risposta alla

domanda sul tempo dedicato alla vita sociale ed al mondo

associativo. Tempo dedicato alla vita sociale ed alle associazioni

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Quasi la metà delle donne intervistate (47%) non riesce a trovare

tempo da dedicarvi, il 34% trova solo poco tempo, il 16% abbastanza

e solo il 3% vi dedica molto tempo.

In particolare riguardo alla vita sociale, alcune domande contenute nel

questionario hanno cercato di indagare le relazioni intrattenute con

parenti e amici, i luoghi di ritrovo, le difficoltà incontrate durante il

periodo di inserimento, gli shock culturali, il livello di soddisfazione di

alcuni aspetti della vita quotidiana e il complesso rapporto con la

religione.

Proprio quest’ultimo aspetto, la religione, sembra aver svolto un ruolo

decisamente importante nell’affrontare il percorso migratorio per molte

delle donne intervistate.

Ruolo della religione nel percorso migratorio

Il 42% delle donne si posiziona sua una risposta intermedia, per il

16% ha avuto un’importanza piuttosto alta e per il 14% molto alta, vi è

poi un 14% per cui l’esperienza religiosa ha avuto un importanza

piuttosto bassa e per un altro 14% molto bassa. Emerge inoltre che il

31% frequenta abitualmente luoghi di culto a fronte di un 69% che

dichiara di non frequentare. Tra coloro che frequentano abitualmente

il 57% partecipa prevalentemente a celebrazioni dedicate in modo

particolare agli immigrati. Inoltre alla domanda relativa alle eventuali

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Capitolo II

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difficoltà incontrate nell’inserirsi nella comunità religiosa a livello

locale, la maggior parte di esse ha restituito un quadro positivo:

emerge infatti che solo 17% ha avuto difficoltà (in particolar modo

legate alla mancanza di luoghi di culto adeguati per professare la

propria religione).

Un aspetto fondamentale della vita sociale è inoltre legato alle

relazioni che si instaurano nel territorio, così si è proceduto chiedendo

alle intervistate una valutazione della qualità dei legami con le

persone con cui hanno rapporti. Iniziando dai legami più stretti, si è

chiesto di esprimersi in merito ai propri parenti: il dato che emerge è

molto positivo e indica come più della metà delle intervistate ha un

rapporto più che buono con i propri familiari; da segnalare tuttavia

come un 21% dichiari di non avere parenti qui in Italia. Anche il

rapporto con gli amici connazionali è decisamente positivo, solo il 7%

lo valuta insufficiente; leggermente meno positivi ma comunque

sufficienti sono inoltre da considerare i rapporti con gli amici immigrati

di altre nazionalità e gli amici italiani: in entrambi i casi il giudizio tende

verso valori intermedi.

Quanto ai luoghi ed alle occasioni di incontro, si è chiesto dove, nel

tempo libero, incontrano le persone con cui hanno relazioni importanti:

la risposta più ricorrente è risultata presso la propria abitazione,

seguita dal luogo di lavoro e in luoghi pubblici; molte donne

individuano come luogo di ritrovo anche la strada e la scuola dove

portano i propri bambini. L’82% delle donne intervistate ritiene questi

luoghi adeguati alle proprie esigenze a fronte di un 18% che sente il

bisogno di luoghi diversi indicando luoghi appositamente dedicati alle

donne dove poter parlare, confrontarsi e scambiarsi consigli, opinioni

e saperi.

Entrando maggiormente in dettaglio, si è chiesto alle donne

intervistate un giudizio in merito alla soddisfazione di diversi aspetti

della loro vita.

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Soddisfazione dei rapporti interpersonali

Sulla qualità dei rapporti interpersonali emerge che per il 33% delle

donne intervistate il livello di soddisfazione è piuttosto alto, per il 13%

molto alto, per il 41% è medio, per il 10% piuttosto basso mentre solo

il 3% ritiene che sia molto basso.

Un altro aspetto della vita delle donne intervistate che ottiene giudizi

più che positivi riguarda la qualità dei rapporti familiari. Soddisfazione dei rapporti familiari

Al contrario giudizi di taglio più negativo hanno ottenuto gli aspetti più

strettamente connessi al reddito ed al lavoro.

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Capitolo II

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Soddisfazione rispetto al reddito

Il 17% delle donne intervistate esprime una soddisfazione molto

bassa in merito al proprio reddito, il 28% piuttosto basso, solo il 3%

molto alto e il 10% piuttosto alto, il 42% delle donne si attesta

comunque su una posizione intermedia.

Soddisfazione rispetto al lavoro

Riguardo alla soddisfazione del lavoro, circa quattro donne su dieci

(40%) esprimono una soddisfazione molto o piuttosto bassa, il 38% ha

un livello di soddisfazione medio mentre il 23% dichiara una

soddisfazione piuttosto o molto alta.

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In conclusione, la comprensione della condizione della donna in

migrazione richiede diversi livelli di indagine. Si è cercato, attraverso il

questionario, di mettere a fuoco gli aspetti che, più o meno

direttamente, permettono di leggere in filigrana il progetto di vita che

sottende la quotidianità al femminile. Sebbene dalla lettura dei dati si

delinei un profilo relativamente unitario della donna in emigrazione, è

significativo analizzare le eventuali differenze rispetto ad una diversa

appartenenza etnica o culturale. Infatti, per quanto alcune tematiche

siano universalmente attinenti all’universo femminile, si è ritenuto

opportuno soffermarsi e riflettere su alcuni temi attraverso l’incrocio fra

delle domande opportunamente scelte e la nazionalità delle donne.

Il prossimo capitolo sarà pertanto dedicato all’approfondimento di

argomenti discussi anche durante i focus group: la conciliazione dei

tempi, il ruolo della mediatrice, l’associazionismo.

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Capitolo III

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Capitolo III

Diario di bordo: gli approfondimenti

di Ilaria Dioli e Massimo Magnaschi

“Le persone non fanno i viaggi; sono i viaggi che fanno le persone.”

J. Steinbeck

Questo capitolo, il cui titolo rimanda al viaggio intrapreso con e nel

mondo della migrazione femminile - dove cioè le donne immigrate

sono state sia fisicamente che simbolicamente le protagoniste e le

compagne di questo viaggio - si pone in continuità con quello

precedente, il 2°, relativo ai dati emersi dall’indagine quantitativa, e al

contempo ha la funzione di approfondire alcune delle istanze emerse

con maggiore incisività nel corso della ricerca.

Questo ideale “diario di bordo” intende restituire in particolare alcuni

temi le cui diverse tracce, sfumature ed interpretazioni risultano utili

per avere ulteriori chiavi di lettura di ciò che è venuto alla luce. Le

annotazioni effettuate durante l’intera durata del progetto – da ottobre

2008 a settembre 2009 – rimandano alla situazione della donna in

emigrazione nel contesto piacentino (città e provincia) sulla base dei

dati raccolti e dei significativi contributi delle donne migranti coinvolte

nel gruppo scientifico a questa ricerca. Costoro hanno, insieme allo

staff di ricerca, costruito, condiviso e somministrato il questionario che

è stato lo strumento di rilevazione dei dati di cui hanno inoltre

condiviso l’analisi. A questo proposito è opportuno richiamare di

nuovo l’attenzione sull’impianto metodologico basato sulla

partecipazione attiva, sul confronto e sullo scambio effettivo, al fine di

avere una visione complessiva che combinasse aspetti “scientifici” ad

altri legati ai vissuti ed alle esperienze delle protagoniste dell’indagine.

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Una prima considerazione generale porta in evidenza il fatto che i due

gruppi (quello tecnico e quello di scrittura) costituiti all’inizio del

“viaggio” hanno raggiunto un “meta-obiettivo”, ossia quello di “fare

gruppo” e di potenziare il concetto di “rete al femminile”. E’ da

sottolineare anche che gli incontri per la costruzione, prima, e per la

restituzione dei questionari, poi, sono stati l’occasione per analizzare

alcune questioni da discutere insieme. L’aspetto di condivisione che è

stato alla base della costruzione dell’intero lavoro ha reso possibile la

raccolta del numero dei questionari desiderato in modo da avere un

campione significativo, e quindi rappresentativo, sul quale poter fare

valutazioni e considerazioni realistiche e ragionevoli. Il fissare

appuntamenti secondo una precisa cadenza temporale (mensile

durante tutta la durata del progetto per il gruppo tecnico e settimanale

per i quattro mesi di durata del laboratorio di scrittura) ha garantito

l’assidua presenza e la frequentazione di queste “protagoniste” che

sono sempre state chiamate a esprimere liberamente il loro giudizio in

merito ai risultati e i loro commenti relativi alle questioni più “sentite”. Il

costante interesse verso gli obiettivi della ricerca da parte delle donne

coinvolte è andato a vantaggio della riuscita complessiva

dell’indagine. L’alta collaborazione, per esempio, ha reso possibile sia

la capillare somministrazione del questionario avvalendosi delle

personali conoscenze e reti associative sia il superamento della

diffidenza e della paura verso lo strumento di rilevazione. Il clima

partecipativo che si è venuto a creare durante il percorso ha favorito

un lavoro caratterizzato da serietà, professionalità e attenzione.

All’interno di questo disegno di ricerca si sono messi a fuoco gli

elementi più significativi emersi dall’elaborazione descrittiva dei dati e

dalle preziose considerazioni fatte dalle donne del gruppo tecnico

durante i focus group. La tecnica del focus group si è rivelata

particolarmente efficace per impostare una discussione utile e

proficua, grazie soprattutto alle capacità relazionali (empatia,

disponibilità, entusiasmo) di ciascuna delle partecipanti. Se nelle

pagine del 1° Capitolo si sono presi in considerazione gli aspetti

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Capitolo III

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macroscopici e generali che delineano il profilo delle donna in

migrazione e nel 2° si sono visti i dati relativi alla rilevazione effettuata

su un campione di 280 donne residenti a Piacenza e provincia, in

questo capitolo si è ritenuto opportuno soffermarsi su alcuni temi

specifici, anche se si è consapevoli che ogni tentativo di

schematizzazione o di puntualizzazione non dà conto dei complessi e

spesso dolorosi percorsi individuali che le donne immigrate devono

affrontare. I dati quantitativi derivanti dai questionari sono stati

dapprima codificati e successivamente, per alcuni casi di particolare

interesse, incrociati fra loro, al fine di estrapolarne chiavi di lettura e

riflessioni utili alla comprensione delle problematiche indagate. Si è

visto nel primo capitolo che la donna emigra per motivi differenti,

alcuni comuni a quelli dell’uomo (motivazioni di natura economica,

politica o culturale) ed altri più “femminili” (ricongiungimento,

matrimonio e costituzione di un nuovo nucleo familiare; rottura di

legami in patria; desiderio di emancipazione). Ripercorrendo le storie

di alcune donne migranti e la loro modalità di arrivo si possono

individuare alcuni percorsi e caratteristiche dell’ “esodo femminile” e

ritrovare tipologie diverse soprattutto secondo l’età e l’etnia. Sulla

base di questi due principali indicatori, infatti, si connotano alcune

risposte al questionario su dei temi particolarmente rilevanti. Un

approccio di questo tipo consente di operare riflessioni più precise e

capaci di fare emergere le peculiarità delle varie comunità di

appartenenza e dei differenti contesti di provenienza. Le aree di

interesse su cui ci si soffermerà in queste pagine riguardano i temi

della sfera lavorativa - conciliazione dei tempi e molteplicità dei ruoli

che la donna riveste -, dell’ambito sociale - vita associativa - e del

vivere quotidiano.

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La conciliazione dei tempi: la molteplicità dei ruoli

Trattandosi di un’antica questione relativa alla condizione sociale della

donna, dei suoi diritti come cittadina, lavoratrice, moglie e madre, il

tema della conciliazione riguarda universalmente tutte le donne,

immigrate e autoctone. Nel caso delle donne immigrate, la questione

risulta più complessa.

Il lavoro domestico delle immigrate è un esempio emblematico della

mancanza di disponibilità nella manodopera locale che corrisponde a

precisi bisogni della nostra società, dove è sempre più difficile

conciliare i tempi della vita lavorativa con quelli della vita familiare. Si

tratta in un certo senso di un fenomeno prodotto dalla globalizzazione

capitalistica: l’attuale società tende ad offrire soprattutto posti di lavoro

a bassa retribuzione e ad alto tasso di precarietà45. Appare evidente

come lo stigma si trasformi in risorsa quando è la società a trarre

beneficio economico. Per la maggior parte delle cosiddette

“domestiche della globalizzazione” l’esperienza migratoria appare

connotata da un miglioramento economico ma, per contro, anche

dalla difficoltà di acquistare prestigio e riconoscimento dal potere

economico acquisito. A un nuovo e maggiore uso del denaro, viene

attribuito, a livello sociale, una perdita di valori46. Ad

45 “Oggi l'immigrazione delle donne non è più, come una volta, portato dalla parentela. Esistono condizioni oggettive che creano una domanda di manodopera femminile, data la tipizzazione delle mansioni a secondo del sesso e minori livelli retributivi delle donne. La transizione all'economia dei servizi e la dequalificazione di molte mansioni indotta dalla tecnica hanno determinato l'espansione di tipologie di lavoro “associate” alla manodopera femminile. Usando il termine liberamente, si potrebbe dire che si è verificata non soltanto una crescente partecipazione femminile alla forza lavoro, ma anche una "femminilizzazione" dei posti di lavoro offerti. Quest’ultimo fenomeno, sommandosi alla crescente politicizzazione delle donne autoctone, può aver ben ampliato la domanda di lavoratrici immigrate.” Sassen S., Globalizzati e scontenti: il destino delle minoranze nel nuovo ordine mondiale, Il Saggiatore, Milano, 2002, p. 136 46 “ Le domestiche (…) della globalizzazione vivono un processo di mobilità di ceto e di status ambivalente: il benessere economico nel paese di origine,

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Capitolo III

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un’emancipazione femminile italiana corrisponde, in maniera

inversamente proporzionale, una mancata emancipazione femminile

straniera. È grazie alle immigrate che molte donne italiane riescono a

realizzare la loro emancipazione in campo lavorativo. Il fenomeno del

lavoro domestico delle immigrate è spiegabile in relazione ai

meccanismi del mercato del lavoro italiano e, più in generale, della

società piuttosto che a fattori vocazionali di genere o legati alle culture

di origine, come solitamente si pensa. E’ stato a lungo consueto, per

esempio, collegare l’immagine della domestica alla nazionalità

filippina, senza che questa associazione avesse davvero un

fondamento se non per il fatto queste donne siano state tra le prime

ad emigrare e a trovare questa occupazione.

All’inizio degli anni ‘90 comincia ad essere introdotto nei documenti

ufficiali della Unione Europea il termine “conciliazione”, intendendo

con questa parola la volontà di predisporre direttive, informative,

raccomandazioni, suggerimenti ai diversi Paesi affinché adottino

misure in grado di salvaguardare la possibilità di conciliare la vita

famigliare con quella lavorativa. La conciliazione rappresenta una

grande opportunità per iniziare a riprogettare un modello di vita che

sia più compatibile ed equilibrato, anche rispetto all'uso delle risorse

personali, il tempo in primo luogo. La variabile “tempo”, e la sua

gestione, è infatti ciò che fa la differenza.

Se la conciliazione tra tempi di lavoro e tempi di cura risulta una meta

difficile da raggiungere per le donne italiane, lo è ancora di più per le

donne immigrate. Il sociologo algerino Abdelmalek Sayad definiva la

condizione del migrante con l’espressione di “doppia assenza”

(assenza dal paese d’origine e assenza nel paese d’approdo oppure,

secondo una lettura ancora più negativa, viene vista sempre in difetto

nella società di emigrazione e sempre in eccesso nella società di

per effetto delle rimesse, è raggiunto attraverso un abbassamento di status rispetto a una condizione pre - migratoria.” Parreñas Salazar R., Servants of Gloablization. Women, Migration and Domestic Work, Stanford University Press, Stanford - California, 2001, p. 328

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ricezione): in questo contesto invece si può parlare di “doppia

presenza” per definire la situazione che le donne vivono nel lavorare

fuori casa e nel gestire il carico del lavoro familiare. Spesso queste

donne, esattamente come molte donne italiane in condizioni sociali

simili, si trovano ad avere difficoltà a gestire la vita familiare se

decidono di lavorare – lavoro spesso necessario per il sostegno

economico dell’intero gruppo familiare – poiché le condizioni di lavoro

presentano degli orari incompatibili con la vita familiare. Le donne

“multiruolo”, secondo la definizione dell’Istat, sono quelle che

sommano le ore di lavoro per la famiglia a quello extradomestico, non

riuscendo mai a trovare momenti ricreativi ed espressivi destinati a

coltivare le proprie facoltà immaginative e cognitive. Questa

mancanza di tempo dedicato a sé è un fattore che incide

negativamente sul benessere emotivo personale. Considerare la

questione della conciliazione in termini solo materiali rischia di fare

perdere di vista l'importanza della dimensione immateriale, ossia

quella psicologica. Alcune donne immigrate (le africane, in particolare

quelle provenienti dal Maghreb, e le asiatiche) incontrano anche

notevoli difficoltà d'inserimento, spesso causa d’isolamento47, sia sul

piano sociale che su quello lavorativo per maggiori difficoltà

linguistiche.

Tenuto conto dell’estrema importanza dell’ indicatore, il dato relativo

alla provenienza, è stato incrociato con altre variabili di interesse per

l’indagine. Da tale operazione sono scaturite interessanti informazioni

che hanno permesso di analizzare il fenomeno della conciliazione vita

lavorativa - vita domestica - vita privata - vita sociale, da angolature

pertinenti al tema in questione, che hanno fornito ulteriori elementi di

approfondimento e riflessione.

47 “ Questa invisibilità impedisce loro di emergere (…) d’altro canto l’accesso a salari e stipendi (ancorché bassi), la crescente femminilizzazione dell’offerta di lavoro e delle opportunità economiche determinate dall’informalizzazione alterano le gerarchie di genere in cui si collocano le donne. Ciò è particolarmente evidente nel caso delle immigrate.” Sassen S., op.cit., p. 115

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Capitolo III

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E’ stata a tal proposito posta nel questionario una domanda diretta

relativa a quanto tempo viene dedicato al lavoro, alla famiglia, alla vita

sociale (intesa come associazionismo e vita di comunità) e a se

stessa, ossia alla dimensione privata:

“Tempo dedicato al lavoro” per nazionalità

Il lavoro occupa gran parte della giornata, soprattutto per alcune etnie

che si desume essere quelle che esercitano la professione di badante

(per esempio le ucraine) o di operaie nel settore dei servizi (Guinea).

Le sud americane (Brasile, Ecuador), impiegate soprattutto come

operaie, lavorano tutte di media “abbastanza”, mentre le donne

provenienti dall’area del Maghreb ( Tunisia, Marocco) e dai Balcani

(Albania e Macedonia) che hanno risposto “per nulla” riflettono aspetti

della loro cultura che le vede spesso impegate come casalinghe.

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“Tempo dedicato alla famiglia” per nazionalità

Il tempo dedicato alla famiglia risulta essere una priorità per tutte le

donne: il prendersi cura del marito, dei figli e della casa è una

caratteristica prettamente femminile al di là delle differenze etniche e

culturali. La donna, universalmente intesa, dedica quanto più tempo

possibile alla dimensione affettiva della vita domestica, essendone il

fulcro intorno al quale ruotano tutti gli altri componenti.

“Tempo dedicato alla vita sociale e associativa” per nazionalità

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Capitolo III

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Per quanto riguarda la vita associativa per alcune etnie non significa

necessariamente volontà di visibilità bensì senso della comunità.

Infatti, se alcune associazioni nascono per rivolgersi all’esterno, altre

si orientano al loro interno, ossia alla comunità di riferimento. Queste

trovano nei connazionali quel senso di sicurezza e quel punto di

riferimento necessario per farcela lontani dal proprio paese. Inoltre la

tendenza a costituire dei nuclei associativi non si pone soltanto come

la modalità più semplice per rimarcare la propria identità culturale, ma

serve anche per dare risposta a domande, bisogni ed aspetti che

possono favorire il radicamento sul territorio.

“Tempo dedicato a se stessa” per nazionalità

Il tempo dedicato alla propria persona risulta fra l’“abbastanza” e il

“poco” in quanto, a parte il lavoro, spesso il tempo per sé coincide con

quello comunque passato con la famiglia.

Ci sono inoltre situazioni che rendono ulteriormente difficile un

tentativo di conciliazione tra tempo di lavoro e tempi di vita.

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Uno di questi è l’assenza di reti parentali. La maggioranza delle donne

immigrate non può contare sul supporto della propria famiglia (rimasta

nel paese d’origine) e non riesce a far coincidere gli orari dell'attività

lavorativa con gli orari degli asili nido o delle scuole materne. L’età dei

figli incide fortemente sulla possibilità di combinare l'attività lavorativa

con la vita familiare. Nel caso in cui invece i figli sono in età scolastica,

il problema è legato alla difficoltà di conciliare gli orari di ingresso e di

uscita dalla scuola con quelli lavorativi. Inoltre, la presenza di minori in

età scolare pone la madre straniera dinnanzi a rilevanti problemi di

carattere linguistico, sociale e relazionale, il cui superamento, talvolta,

comporta la rinuncia ai propri modelli, costringendo la donna a

ridefinire continuamente il proprio ruolo48. A tutto ciò si aggiunge

l’insufficienza o la totale assenza di un aiuto per il disbrigo delle

pratiche domestiche e la gestione dei figli da parte del marito. Questo

per motivi culturali o per il forte impegno lavorativo del marito stesso.

Sul primo versante ciò di cui lamenta la moglie è lo scarso

atteggiamento collaborativo del marito, secondo una ripartizione dei

ruoli che vede sempre e comunque la donna come unica responsabile

del “focolare domestico” come vorrebbe il classico modello patriarcale

entrato però in conflitto con la nuova posizione femminile49.

Talvolta anche le questioni logistiche non sono di aiuto. La distanza

tra la scuola o l'asilo dei figli, l'abitazione ed il luogo di lavoro spesso

costituisce un serio problema di conciliazione dei tempi. Per molte

donne che non hanno la patente o un mezzo proprio di locomozione

diventa difficile raggiungere la sede lavorativa, dovendo dipendere

solo dai mezzi pubblici.

48 “… la famiglia favorisce le capacità umane e insieme le ostacola.” Nussbaum M., op.cit. 49 “ Le donne vedono crescere la loro autonomia e indipendenza, mentre gli uomini perdono terreno; acquisiscono un maggiore potere decisionale sul bilancio domestico e su altre questioni familiari e legittimano le loro richieste di aiuto agli uomini nelle faccende domestiche. Inoltre l’accesso ai servizi pubblici e ad altre risorse collettive offre loro un’occasione di inserimento sociale: spesso sono proprio le donne a mediare in questo processo.” Sassen S., op.cit., p.116

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Capitolo III

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La conoscenza della lingua italiana viene considerato un fattore

strategico per l’inserimento sociale e lavorativo delle donne immigrate.

Spesso però l’orario dei corsi, rispetto ai turni lavorativi e al sapere

dove poter lasciare i figli, non permette una facile partecipazione.

Esistono poi fattori culturali e religiosi (per esempio la non

accettazione del velo da parte di alcuni datori di lavoro o

l’atteggiamento di timore e di scarsa fiducia dovuto a percezioni

negative radicate e stereotipate legate soprattutto ad alcune etnie)

che possono risultare di ostacolo all’inserimento nella società di

accoglienza e ad una serena organizzazione del tempo.

Ne risulta un quadro complessivo che vede la donna immigrata

fortemente penalizzata, spesso impegnata in un difficile equilibrio tra

l’essere breadwinner, custode del focolare domestico e

dell’educazione dei figli, agente e motore dell’integrazione dell’intero

nucleo familiare nella società di accoglienza. Una situazione rischiosa

da un punto di vista psicologico per il forte carico di responsabilità

assunto, pesante da un punto di vista fisico per l’elevato numero di

ore giornaliero dedicato agli altri. Da questo punto di vista non può

sfuggire come la risposta data alla domanda riguardante il tempo

dedicato a sé sia risultata schiacciata verso il basso tra l’abbastanza

ed il poco, segnale di una scelta di sacrificio in cui la propria persona

viene messa in secondo piano rispetto alle esigenze del nucleo

familiare.

L’importanza delle politiche per le pari opportunità che si occupano

della problematica della conciliazione dei tempi consiste nella volontà

di garantire dignità, autonomia, eguaglianza e giustizia sociale

affinché la donna immigrata sia in grado di riprogettare la propria

condizione di vita, rimuovere gli ostacoli e cercare soluzioni ottimali

per conciliare il rapporto tra lavoro, famiglia, spazi personali. Non

dobbiamo inoltre mai dimenticare che la donna immigrata deve fare i

conti con alcuni condizionamenti che il filosofo francese Pierre

Bourdieu chiamava habitus, ossia quelle “disposizioni socio-culturali

interiorizzate”, strutturate nella personalità e apprese nella società di

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origine, che determinano la mentalità ed i comportamenti di una

persona. Oltre alla fatica del conciliare lavoro, famiglia e vita

personale va pertanto aggiunta la continua rinegoziazione dei propri

modelli culturali di riferimento. Il timore e l'ansia di doversi adeguare

ad un nuovo modello (quello della società di accoglienza),

difficilmente accettabile per alcune di loro, gravano sulla persona.

Tutto ciò condiziona pesantemente la capacità della donna di

elaborare strategie efficaci per conciliare tempi di lavoro e impegni

familiari e personali. La tensione che vive la donna si pone fra

l'aspirazione e la paura del cambiamento, fra il mantenimento dei

valori tradizionali e l’assimilazione di nuovi. Per far fronte a questo

disagio, le politiche di accoglienza (orientamento, sostegno,

accompagnamento) possono favorire le scelte della donna e la sua

capacità di trovare soluzioni per la conciliazione della vita familiare

con il lavoro e possono fornire gli strumenti necessari per

riorganizzarsi mentalmente, affettivamente e quindi per riuscire a

ridefinirsi in un contesto nuovo.

Conciliazione significa anche armonizzazione e complementarità tra

universo maschile e femminile, nella famiglia e nel mondo del lavoro.

Le donne immigrate si trovano a vivere e ad affrontare numerose

difficoltà nella vita quotidiana: il lavoro, la vita familiare, i problemi

legati all'accesso ai servizi. La capacità di allacciare e tenere diversi

tipi di rapporti (dal legame parentale al gruppo amicale, dalle relazioni

di vicinato al mondo della scuola con cui interfacciarsi per i figli, dai

contatti sul lavoro a quelli del tempo libero) attiene da sempre alla

natura della donna, ed è anche per questo motivo che essa riveste

così tanti ruoli (moglie, mamma, lavoratrice, amica, ecc.) al contempo

diversi e complementari. Ed un tale spettro di capacità ed attitudini è

sicuramente un valore da custodire e da promuovere attraverso

politiche sempre più attente alla tutela della figura femminile.

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Capitolo III

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Dalla femme relais alla mediatrice: un ponte fra culture Sebbene sia (stata) spesso svilita rispetto alla figura maschile, la

donna è da sempre il vero perno attorno a cui ruota tutta la società e

la vita familiare.

Le donne immigrate rivestono un ruolo centrale sia nel contesto

privato sia in quello esterno, grazie alla loro duplice funzione. Da un

lato, queste cosiddette “custodi delle origini” svolgono naturalmente il

ruolo di mediatrici nella conservazione dei codici culturali d’origine e

nella loro trasmissione ai figli. Anche gli uomini fanno molto

affidamento sulle donne per il mantenimento della tradizione

(veicolata, ad esempio, anche dal cibo). Dall’altro lato, esse ricoprono

anche funzioni importanti sia nella gestione dei rapporti sociali che

nella produzione di reddito50. Le donne straniere sono tramiti

importanti per avvicinare le culture e si trasformano spesso in attrici e

testimoni privilegiate dei cambiamenti: esse incidono sul tessuto

sociale, inducendo trasformazioni che investono vari settori ed ambiti.

Una delle esperienze più significative è quella della femme relais,

figura strategica nata in Francia verso la fine degli anni Ottanta nel

contesto delle banlieues parigine. Iniziato come fenomeno di auto-

aiuto, soprattutto nelle scuole e nei consultori, queste donne si sono

poi guadagnate un posto sempre più formale anche in strutture

preposte all’inserimento delle comunità immigrate nel tessuto abitativo

come i comitati di quartiere e le associazioni. La mediatrice non è una

semplice traduttrice-interprete a servizio dell’utente immigrato, bensì

riveste un ruolo molto complesso e delicato, il cui ambito di azione è

50 “ Il modello familiare tradizionale considera il salario come una prerogativa maschile. (…) Il lavoro femminile rimette in causa la struttura del legame sociale con cui la donna è sottomessa all’autorità maschile familiare. (…) Il lavoro è valorizzato per la sua dimensione economica, come contributo ai bisogni della famiglia, certamente anche come agente di socializzazione esterna e di crescita personale, ma non è ancora fonte di realizzazione e di gratificazione quanto il fatto di dedicarsi alla cura e all’educazione dei figli.” Basso P., Perocco F. (a cura di), op.cit., p. 196

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infatti passato da attività di solidarietà a professione approvata

istituzionalmente negli ospedali, nei comuni e nei servizi sociali. Il

riconoscimento di questa professione si è delineato gradualmente nel

tempo come presa di coscienza da parte delle istituzioni della

necessità di avere un tramite con competenze in grado di rispondere

alle esigenze di una società contemporanea sempre più complessa. Il

passaggio a vere e proprie operatrici sociali ha sancito la loro

importanza per la mediazione di questioni particolarmente delicate e

cruciali come quella relativa all’accesso al sistema socio-sanitario e

alla ricerca di soluzioni abitative da parte delle famiglie appena

arrivate. La funzione di queste figure femminili, sempre più radicata

nel tessuto delle comunità immigrate e sempre più riconosciuta sul

piano pubblico, è poi addirittura finita per occuparsi di questioni di

diritti di genere, specializzandosi in problemi particolari legati al

mondo della donna e dell’immigrazione in generale, oltre ad altri di

carattere relazionale, lavorando, per esempio, con l’intero nucleo

familiare in merito a conflitti interni (fra moglie e marito) e

intergenerazionali (fra genitori e figli). In seguito ad una personale

esperienza migratoria e ad una profonda conoscenza del Paese di

accoglienza, la cosiddetta “donna-ponte” possiede il carattere, le

capacità ed i requisiti che questa attività necessita e richiede. Al di là

delle competenze linguistiche, culturali e di una buona conoscenza di

nozioni riguardanti aspetti giuridico - amministrativi, questa figura,

grazie soprattutto a particolari doti relazionali (predisposizione

all’ascolto, disponibilità, pazienza, sensibilità ed empatia), riesce a

colmare le distanze, attuando nuove strategie di composizione dei

conflitti e delle tensioni, rapportandosi pragmaticamente alle situazioni

per trovare soluzioni. Ascoltare, accogliere, accompagnare sono tra le

prime azioni che la femme relais è chiamata a compiere: l’operato

consiste prima di tutto nel cercare di stabilire un dialogo per instaurare

un rapporto di fiducia. Questo prezioso “agente di avvicinamento” vive

dall’interno i disagi delle persone con cui ha a che fare e stringe un

legame fra esse e le istituzioni sul territorio, al fine di evitare situazioni

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di isolamento ed esclusione, anzi favorendo consapevoli forme di

socializzazione. Con accompagnamento si intende il sostegno e

l’aiuto per una corretta comprensione della nuova società. Si tratta di

un lavoro volto a facilitare l’inserimento dell’immigrato nel tessuto

sociale, minimizzando possibili conflitti di valori, oggettive difficoltà,

resistenze e forme di incomunicabilità. Questa attività significa non

solo continuare ad esperire in prima persona la condizione della

migrazione attraverso gli altri con cui si viene a contatto ma anche

occuparsi senza sosta di risanare i traumi che tale esperienza genera

nei vissuti di altre persone. Vuol dire, cioè, fare i conti con la propria

memoria personale, dovendo tutte le volte confrontarsi con il peso di

ricordi dolorosi che riemergono in tutta la loro attualità attraverso gli

utenti del servizio.

Ciò che per le femmes relais è un lavoro a tutti gli effetti, è anche un

compito che viene svolto da ogni donna immigrata all’interno della

propria famiglia51. Essendo la persona naturalmente preposta a

gestire le strategie educative, si ritrova ad essere una figura

determinante per l'inserimento dei figli nella società d’arrivo.

Dall’osservazione di alcuni risposte fornite al questionario emerge che

l’81% delle donne si occupa dell’integrazione dei figli, al secondo

posto ci sono i padri a rivestire questo ruolo e la terzo altri membri

della famiglia. Difficilmente questo compito, se non in casi molto

particolari, viene affidato all’esterno ad amici o conoscenti.

Lo stesso avviene per ciò che concerne l’atto di tramandare la

tradizione dove le percentuali sono ancora maggiori per quanto

riguarda la madre come soggetto attivo e propulsivo (86%), di seguito

ancora il padre e i parenti.

51 “ Esse desiderano condividere con i loro mariti la responsabilità dell’educazione dei figli, ma non sono pronte a rinunciare al loro ruolo nel processo di trasmissione e di riproduzione, di identificazione e differenziazione. Per tutte, la maternità rimane un passaggio obbligato e non negoziabile nel loro percorso di identificazione e affermazione personale da un lato, e nel loro contributo alla comunità dall’altro.” Basso P., Perocco F. (a cura di), op. cit., p. 195

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L’esperienza migratoria, scandita da ritmi di cambiamento, rottura e

riequilibro, costringe le donne a ridefinire i sistemi culturali di

riferimento oltre che alla loro stessa identità femminile e nazionale52.

Il momento dell’inserimento scolastico dei figli ne rappresenta un

esempio significativo. La necessità per le madri immigrate di avere

piena comprensione dell’istituzione a cui affidare i propri figli e di

decifrarne i criteri di valutazione impone loro un notevole sforzo di

mediazione tra codici e di disponibilità ad aprirsi a nuove forme

dell’apprendimento. Ciò significa cimentarsi, a fianco dei figli, nel

miglioramento del proprio italiano. Tuttavia, alcune madri sono

costrette a ricorrere alla mediazione linguistica dei figli durante i

colloqui con i maestri e professori, ritrovandosi paradossalmente in

una situazione di doppia subalternità (verso gli insegnanti e verso i

figli). E’ forse anche per questo che queste mamme cercano di

recuperare velocemente il gap linguistico e culturale: non a caso i

corsi di Italiano L2 vedono una consistente partecipazione delle madri

mentre risultano meno frequentati dai padri. Acquisire le competenze

linguistiche dei loro stessi figli significa poter essere finalmente in

grado di riassumere il ruolo educatrici a pieno titolo e di continuare il

processo di integrazione53.

52 “ Nella ricostruzione del modello originario, la nuova identità femminile non si discosta da quella originaria, come elemento regolatore del processo di integrazione del gruppo. Non solo tale modello si ricostruisce ma sembra arricchirsi di un nuovo compito, quello di gestire il processo di adattamento dei familiari alla società di accoglienza, e questo avviene soprattutto quando le donne hanno i figli con sé. E’ svolgendo questo compito che esse sono più sensibili all’interazione con le culture e i processi della società locale.” Giannini M., Donne del sud, in Vicarelli G. (a cura di), op. cit., p. 79 53 “ …l’intera condizione dell’immigrato e tutta la sua esistenza diventano sede di un intenso lavoro di integrazione. E’ un lavoro totalmente anonimo, sotterraneo, quasi invisibile, un vero lavoro di modellamento o di seconda socializzazione. E’ fatto di piccole cose che però non cessano di accumularsi quotidianamente, al punto di suscitare profondi cambiamenti, come se non fossero solo piccole cose. I cambiamenti avvengono senza che se ne abbia coscienza e soprattutto senza apparente soluzione di continuità. D’altra parte sono i cambiamenti più duraturi.” Sayad A., op.cit., p. 295

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Capitolo III

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La trasmissione dei valori tradizionali resta il compito fondamentale

della madre. Attuare il passaggio di saperi (lingua, religione, regole di

comportamento, usanze, ecc.) ai figli significa dare continuità ai valori

della famiglia e della cultura d’origine anche al di fuori della propria

patria, pur dovendo comunque ricorrere a negoziazioni e

contestualizzazioni particolari. A tal proposito la sociologa Graziella

Favaro scrive: “Sono le donne infatti che, per tradizione, educazione e

saperi sanno riallacciare, o mantenere, le fila della relazione affettiva,

restituendo significato e valore a gesti e riti, reinterpretando le norme

e le pratiche culturali nella vita quotidiana. Ruoli questi che

assicurano, da un lato, il legame con il passato e con la storia

collettiva e, dall’altro, integrano valori e comportamenti del presente,

del qui e ora”54. Tutto ciò si può attuare anche attraverso modalità e

canali diversi grazie alle spiccate capacità creative ed intuitive che la

donna possiede (per esempio attraverso la musica, i canti tradizionali,

il cibo, il modo di festeggiare alcune ricorrenze). La donna diventa

così al contempo un “agente di contaminazione” per il contesto

societario e un elemento di stabilizzazione all’interno della propria

famiglia, affrontando così una dura prova a livello psicologico55.

54 Favaro G., cit. in Ambrosini M., Sociologia delle migrazioni, Il Mulino, Bologna, 2005, p. 148 55 “ La mediazione culturale non è un processo scontato e indolore. Nel ‘decostruire’ il contratto di adesione acritico alla propria realtà culturale, si fa anche conoscenza con amarezza della solitudine, del conflitto e dell’incomprensione. Per passare da un sistema culturale all’altro, dalla distanza al ritorno alla propria tradizione, bisogna accettare di essere ‘alterate’. (…) La mediazione sottintende una de-territorializzazione della cultura che diventa mobile confine e luogo di rielaborazione. (…) Nel caso delle donne, le strategie di mediazione si sovrappongono con il processo di conquista del proprio destino. (…) Nel tentativo di esercitare un giudizio critico sulla propria cultura e su quella altrui, le donne assumono ‘silenziosamente’ un ruolo chiave di impulso al cambiamento tramite una riflessione trasversale ai sistemi culturali. La loro concezione dei rapporti genitori-figli e la loro visione del proprio ruolo educativo appare in questo senso esemplare.” Saint-Blancat C., L’immigrazione femminile maghrebina: nuove identità di genere e mediazione tra culture, in Basso P., Perocco F. (a cura di), op.cit., pp. 198-199

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Dal reticolo informale all’associazionismo: esperienze plurali di solidarietà ed empowerment

Negli anni dei primi arrivi in Italia si sono creati spontaneamente dei

reticoli informali di sostegno all’immigrazione femminile: le donne già

presenti sul territorio, parenti o conoscenti, preparavano ed

organizzavano la prima accoglienza per le nuove arrivate. Questi

reticoli informali possono in un certo senso essere assimilati ad una

prima forma di associazionismo spontaneo. Da sempre le reti

transnazionali permettono a connazionali di emigrare e di integrarsi

superando le difficoltà iniziali (logistiche, psicologiche, economiche)56:

per questo motivo le prime forme aggregative, sia informali che

organizzate, sono su base etnica. Con il passare del tempo, tuttavia,

l’associazione su base etnica tende a lasciare il posto a forme

associative più aperte sia rispetto a migranti di nazionalità diverse che

rispetto agli autoctoni. Gli stessi scopi associativi cambiano

significativamente. Ad esempio, in risposta ai bisogni linguistici -

culturali presenti sul territorio nascono forme associative e realtà

cooperative di carattere misto quanto a provenienza etnica e spesso

con una partecipazione esclusivamente femminile. E questa

rappresenta una peculiarità dell’universo femminile: a un certo punto

le donne più emancipate avvertono l’esigenza di fare parte di una

“nuova comunità” non necessariamente vincolata ad una stessa

appartenenza etnica bensì basata sulla condivisione di principi ed

obbiettivi comuni.

Non per tutte esiste una catena migratoria mediante la quale è stato

organizzato il viaggio e con cui si mantengono i legami col paese

d'origine. Quando non esistono conoscenze già presenti sul territorio,

56 “ Grazie soprattutto alle reti di relazioni interpersonali in cui sono inseriti, che ne indirizzano, accompagnano e facilitano gli spostamenti, i potenziali migranti si trasformano in immigrati che si insediano in un determinato territorio e vi cercano le opportunità per guadagnarsi da vivere.” Ambrosini M., La fatica di integrarsi. Immigrati e lavoro in Italia, Il Mulino, Bologna, 2001, p. 191

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Capitolo III

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per fare tacere la solitudine e per cercare conforto, nascono relazioni

che danno risposta ai bisogni quotidiani e assumono rilevanza in

particolari momenti come, ad esempio, durante la gravidanza. Le

donne che si trovano ad affrontare una gravidanza appena arrivate

vivono in solitudine un'esperienza che, in alcuni paesi (come ad

esempio il Maghreb ed il Sud America) è condivisa con la famiglia

allargata. L'isolamento prodotto dalla migrazione in questo caso

rappresenta un problema molto serio e può essere aggravato da stati

di depressione e tristezza causati dalla mancanza della famiglia, del

proprio mondo affettivo (sostegno della figura materna, rapporti

quotidiani con sorelle e amiche). Con il graduale stabilizzarsi sul

territorio compaiono anche in loro la motivazione ad apprendere la

lingua straniera, l’interesse ad approfondire la conoscenza della

nuova cultura e la volontà di socializzare sia con persone della propria

nazionalità che con quelle del posto. Anche in questo caso, quando

cioè diventa più sicura di sé, la donna inizia ad associarsi agli altri. Le

donne, da un lato, hanno la consapevolezza di inserirsi pienamente

nel contesto culturale del paese che le accoglie, ma dall’altro

mantengono comunque un forte attaccamento alle tradizioni del

paese di origine, anche attraverso varie forme di aggregazione. Le

associazioni rispondono a esigenze profonde: cercano di prevenire e

ridurre il disagio psicologico connesso all’esperienza migratoria

attraverso la creazione di occasioni di incontro comunitario che

favoriscano l’integrazione culturale e l’accesso alle informazioni. Le

associazioni costituiscono degli spazi di comunicazione, incontro e

scambio, un luogo dove poter parlare e trovare insieme ad altre

persone risposte e possibili soluzioni a questioni e bisogni comuni57.

57 “Tra i bisogni fondamentali di ciascuno di noi vi è il bisogno di certezza a proposito della realtà che ci circonda e del ruolo che giochiamo all’interno di essa. Un certo gradi di certezza soggettiva appare essenziale perché possiamo crearci delle aspettative, fare delle previsioni e pianificare il nostro comportamento nella vita quotidiana. Il bisogno di certezza è strettamente correlato a un altro bisogno fondamentale, quelli di appartenenza a uno o più gruppi o categorie sociali. (…) Come reagiscono le persone che si trovano in

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Le reti sociali sono un chiaro esempio di forma di “resistenza” sia

collettiva che individuale. Accade che attraverso l’associazionismo

alcune migranti riescano a mitigare lo svilente processo di brain

wasting: grazie ad altre attività (come la pratica associativa)

recuperano elementi di conferma e di gratificazione personale che

non trovano nel lavoro sotto qualificato58. In tal modo massimizzano –

in una logica di resilienza – i benefici che anche una situazione di

fragilità sociale genera.

L’associazionismo funziona su tre livelli: quello personale e interiore,

quello sociale e esteriore, quello politico della rappresentanza.

L’associazione è una modalità organizzativa che esprime bisogni del

singolo e del gruppo, di espressione e riconoscimento (interno ed

esterno) di identità e di facilitazione di scambi fra i suoi membri e la

società degli autoctoni. Questa pratica educa a coltivare l’empatia e

l’attenzione per l’altro: il valore del gruppo che opera, per esempio, nel

volontariato o che si connota per genere o etnia dà inizio a un

processo di costruzione di una coscienza critica attraverso la

partecipazione, l’organizzazione di momenti comuni, l’analisi del

contesto d’insediamento. Alla base di ogni forma di associazionismo vi

è la scelta volontaria di attrarre l’adesione di una cerchia sempre più

ampia di soggetti; la presenza di forme associative è dunque anche condizioni di incertezza? Possono cercare di ridurre l’incertezza ‘ancorandosi’ a un unico gruppo o categoria sociale che appaia loro come caratterizzato da confini il più possibile chiari e ben definiti. La percezione di appartenere a una categoria di questo tipo offre infatti un modello di riferimento ‘sicuro’ a proposito di come pensare, sentire o comportarsi. Conformarsi a questo modello aiuta a ridurre l’incertezza percepita, a ritrovare una collocazione stabile in una realtà altrimenti sentita come troppo incerta e imprevedibile.” Catellani P., Un’agenda psicologica per una società multiculturale. Ridurre l’incertezza e aprirsi alla diversità, in Galli C., (a cura di) Multiculturalismo. Ideologie e sfide, Il Mulino, Bologna, 2006, pp. 139-140 58 “ Le ricerche sulla mobilità lavorativa dei migranti (…) convergono nel mostrare una forte mobilità orizzontale e un ridotto accesso alla mobilità verticale. Ciò significa che i lavoratori migranti possono avere un ritmo molto rapido nel cambiamento del lavoro, ma non ottengono grandi miglioramenti nel tipo di lavoro.” Mubi Brighenti A., op.cit., p. 74

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Capitolo III

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un segnale di radicamento sul territorio e disponibilità di leader capaci

e desiderosi di prendersi cura di interessi e beni condivisi. Le

associazioni più diffuse svolgono prevalentemente attività di

animazione culturale attraverso l’organizzazione di feste e incontri

tematici: mettendo in campo elementi identitari come il cibo, la

musica, la danza, tentano forme di dialogo e di conoscenza reciproca

sia all’interno della propria comunità sia all’esterno, con gli italiani. Le

donne che si associano non sono solo delle straordinarie creatrici di

occasioni culturali, ma si dimostrano capaci di intrecci fra culture

diverse e abili nella mixité. Spesso andarsene da alcuni paesi non

significa solo sottrarsi ad una situazione politico-economica critica

(come è accaduto nei paesi dell’ex blocco sovietico e nel Sud

America), ma anche inseguire l’opportunità di poter partecipare

attivamente ad una vita sociale. Associazionismo significa spesso

avere la possibilità di passare da una condizione di silenzio ad una di

presa di parola. In seconda battuta, ciò risponde ad un bisogno di

essere riconosciuti, implica la tendenza a difendere e rivendicare i

propri diritti ed a maturare la consapevolezza dell’importanza

dell’attivismo, della visibilità e della vitalità sociale. Inoltre,

confrontandosi con il processo di dequalificazione insito in ogni

percorso migratorio e con una spersonalizzante generalizzazione,

l’essere riconosciute per le proprie capacità e per i meriti personali

diventa un bisogno che quasi tutte le migranti avvertono. L’istanza

distintiva passa necessariamente dall’ipotesi del riconoscimento che

traduce il desiderio di essere riconosciute nel segno della differenza e

quindi di essere percepiti come soggetti che si pongono in netta critica

rispetto al tentativo omologante delle società ospitanti. La strada

verso l’empowerment non implica soltanto il rafforzamento della

singola donna migrante o dello specifico gruppo di donne migranti. Un

approccio più sistematico e propositivo implica anche lo sviluppo di

modalità di migrazione che prendano in considerazione i problemi

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legati alle donne migranti (al di là di ogni particolarismo) e la

protezione dei loro diritti59. Spesso, è nel percorso di acquisizione di

conoscenze e di strumenti di decodifica del contesto che la donna

migrante prende coscienza delle sue potenzialità trasformatrici,

individuando soluzioni e risposte alla sua invisibilità60. L’esistenza

sociale di un individuo o di una collettività è resa possibile, o

comunque risulta rinforzata, attraverso il riconoscimento più o meno

ufficiale61. Il processo di riconoscimento toglie dall’invisibilità. Ci si

“riunisce formalmente” per uscire dall’anonimato: in quanto attori

sociali le donne suscitano l’interesse di studiosi e ricercatori che si

sono da sempre occupati di migrazione in generale. La coscienza e la

partecipazione attiva della donna nel contesto sociale pongono una

nuova visione in contrapposizione a quella che è da sempre la

dicotomia di genere fra ‘polis-maschile’ e ‘oikos-femminile’62.

59 “ Nell’immigrazione le donne non sono molto presenti sul palcoscenico politico; alla visibilità sociale preferiscono l’approccio strumentale e la gestione pragmatica dell’interazione sociale. Sono quindi le interlocutrici privilegiate di tutte le reti sociali parallele ed informali alla base del processo continuo di riformulazione della cittadinanza. Sentendosi fortemente responsabili dell’equilibrio familiare e comunitario, esse sono in prima linea sui fronti dell’educazione, della tutela dei minori o della salute.” Saint-Blancat C., L’immigrazione femminile maghrebina: nuove identità di genere e mediazione tra culture, in Basso P., Perocco F. (a cura di), op. cit., p. 198 60 “ In aggiunta alla crescita di potere delle donne nella famiglia, associata all’occupazione salariata, vi è un secondo importante esito: l’accresciuta partecipazione alla vita pubblica e la possibile affermazione in questa sfera. Vi sono due campi in cui le donne immigrate sono attive: le istituzioni preposte all’assistenza pubblica e privata e la comunità di immigrati e/o etnica. (…) Questa maggiore partecipazione delle donne può farle emergere come attori più vigorosi e più visibili, così come può rendere più visibili i loro ruoli nel mercato del lavoro.” Sassen S., op. cit., p. 116 61 “ … esiste una soglia minima di visibilità che è necessaria per il riconoscimento da parte degli altri e l’ottenimento di un certo status in riferimento a una istituzione o a un territorio.” Mubi Brighenti, A., op.cit., p. 57 62 “ Escluse dalla pólis, dalla vita pubblica, che è prerogativa assoluta degli uomini liberi, e confinate nell’ambito privato dell’oîkos, della famiglia, le donne svolgono un ruolo tutto interno alla sfera della necessità, una funzione silenziosa e separata di riproduzione della vita e di gestione dei legami parentali che non dà loro alcun diritto di cittadinanza”. Pulcini E., Il potere

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Capitolo III

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Osservare l’aumento della partecipazione femminile ai flussi migratori,

il crescente ingresso nel mondo del lavoro e l’attivismo sociale ha

portato inevitabilmente a declinare in rosa il fenomeno, rendendolo

oggetto di studio di genere63.

La narrazione come strumento di approfondimento

L’universo femminile, mutato rispetto al passato e sottoposto a

continuo cambiamento, obbliga a leggere i fenomeni di un’epoca

segnata parimenti da complessità e frammentazione. Mettersi sulle

tracce delle donne migranti implica, perciò, lasciarsi guidare alla

scoperta di una pluralità di contraddizioni che sono specchio della

realtà di oggi. L’emigrazione è un fenomeno di trasformazione a due

livelli: sul piano sociale in quanto la società, con l’arrivo di “nuove”

persone, modifica inevitabilmente la sua struttura ed il suo assetto64; e

di unire. Femminile, desiderio, cura, Bollati Boringhieri ,Torino, 2003, pp.76-77 63 “ Le divisioni di genere attraversano le altre relazioni sociali nella società e contribuiscono ulteriormente ad una situazione altamente eterogenea e caratterizzata gerarchicamente come quella del mondo migratorio. (…) Per capire la specifica situazione delle donne immigrate, le relazioni di genere – articolate con quelle di classe – vanno comprese nei sistemi socio-culturali ed economici sia nel paese di emigrazione che in quello di arrivo e, in quest’ultimo, all’interno di ogni gruppo etnico, i cui modelli e valori culturali conoscono un cambiamento nel processo migratorio. Ma, al tempo stesso, vanno comprese anche le risorse di cui le donne dispongono – culturali, economiche, in termine di potere e di status – risorse che possono essere utilizzate durante l’esperienza migratoria e che si modificano e si acquisiscono attraverso l’esperienza migratoria stessa.” Campani G., Amiche e sorelle, in Vicarelli G. (a cura di), op. cit. 64 “Le migrazioni non avvengono a caso: sono l’esito di una tendenza sistemica entro una dinamica complessiva di cambiamento. La trasformazione interna della categoria è connessa in modo analogo a processi generali di cambiamento sociale (…) basilari trasformazioni economiche dell’economia mondiale che si concretizzano in determinate località.” Sassen S., op. cit., p. 130

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sul piano individuale in quanto il cambiamento investe la totalità del

singolo, in ogni aspetto della sua vita65.

Il disegno binario di questa ricerca, ottenuto attraverso i due gruppi di

lavoro, ha restituito una ricchezza di informazioni e riflessioni. I dati

sono spesso numeri aridi, tuttavia sono stati analizzati senza

dimenticare che dietro ogni cifra ci sono persone ed il vissuto

quotidiano di donne coraggiose che hanno deciso di migrare in cerca

di un futuro migliore per sé e per la loro famiglia. La capacità di

ripensare al proprio vissuto, sviscerando le contraddizioni che si

celano nel gioco migratorio, rende la donna migrante un soggetto

capace di prendere in mano le fila della propria storia e della propria

vita. Nell’era moderna la figura della donna in migrazione assume

spesso un ruolo di rottura e discontinuità con il passato e sovverte

alcune regole della tradizione. Il processo migratorio è un progetto

che inizia ben prima dello spostamento fisico dal paese di origine ed è

accompagnato da importanti cambiamenti psicologici ed esistenziali.

Considerare anche le fasi precedenti alla partenza e i meccanismi

decisionali che hanno sotteso la scelta di andarsene significa

abbracciare la complessità del fenomeno.

Per tutti questi motivi sono stati utilizzati anche strumenti qualitativi

che lasciano spazio alla narrazione della storia di vita della migrante,

attraverso la grammatica del cuore: il mutamento nasce da anche

un’esplorazione del sé, che si traduce anche nel “prendere parola”. La

dinamica narrativa si esprime nell’ascolto attivo e diventa strumento di

cura, così come l’atto creativo diventa risorsa per la sopravvivenza

personale e collettiva in un’epoca di mutamento fisico e simbolico.

Nello specifico, il racconto di vita si rivela come la strategia più

efficace per valorizzare e per poter adeguatamente mettere in luce

alcuni dei nodi tematici che sono stati trattati a livello teorico e 65 “Questi aspetti fanno delle migrazioni un fatto sociale totale, cioè un fatto in cui sono coinvolte tutte le sfere dell’essere umano e delle sue interazioni con l’universo economico, sociale, politico, culturale e religioso in cui vive, e quindi anche le sue rappresentazioni del mondo.” Palidda S., Introduzione all’edizione italiana di Sayad A., op. cit., p. XIII

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Capitolo III

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generale nel corso dell’indagine, a livello orizzontale e verticale,

individuale e universale66: ci si definisce, infatti, anche attraverso il

racconto e lo sguardo altrui che, come in uno specchio frantumato,

riesce a dare unità all’io frammentato. Il confronto, talvolta, rende

possibile la scoperta di un nuovo sé che si è ri-costruito nel corso

degli anni e in virtù degli eventi. L’esperienza di ognuno – in questo

caso di ciascuna donna partecipante al gruppo di scrittura – diventa

l’epicentro attorno al quale ruota la dinamica del gruppo: mettere a

nudo sentimenti, vicende personali e condizioni esistenziali diventa

estremamente importante per ricomporre le singole storie in modo

organico. Inoltre, raccontare il proprio vissuto significa anche cercare

di non perderlo e di renderlo memoria da consegnare a chi verrà

dopo, innescando, a livello sociale, eventuali meccanismi emulativi e

pedagogici nella misura in cui le storie offrono spunti di riuscita e di

successo ad altri migranti e recuperando, a livello personale, il senso

di un’esistenza.

Alla luce di queste considerazioni, il prossimo capitolo è dedicato a

questo aspetto narrativo che dà voce alle protagoniste del “viaggio”.

Ad un viaggio esteriore, di spostamento fisico nello spazio, ne

corrisponde uno interiore, attraverso il tempo, rivissuto con il ricordo.

La vicenda migratoria al femminile vede il partire un po’ come il

partorire: entrambe le azioni sono accomunate dalla sofferenza e

dalla fatica ma anche dall’attesa e dalla speranza di una nuova vi

66 “Ogni narrazione autobiografica racconta, secondo un taglio orizzontale o verticale, una prassi umana. […] Una vita è una prassi che si appropria, dei rapporti sociali (le strutture sociali), le interiorizza e le ritrasforma in strutture psicologiche per la sua attività di destrutturazione - ristrutturazione. Ogni vita umana si rivela fin nei suoi aspetti meno generalizzabili come sintesi verticale di una storia sociale. Ogni comportamento o atto individuale appare nelle sue forme più uniche sintesi orizzontale di una struttura sociale. […] il nostro sistema sociale è tutto intero in ciascuno dei nostri atti, in ciascuno dei nostri sogni, deliri, opere, comportamento e la storia di questo sistema è tutta intera nella storia della nostra vita individuale.” Ferrarotti F., Storia e storie di vita, Laterza, Roma-Bari, 1997, p. 41

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Capitolo IV

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Capitolo. IV

Le donne straniere: motore dell’integrazione

di Adriana Lorenzi Premessa

Da anni invito scrivere chi ha voglia di ricordare in laboratori di

scrittura di esperienze dove provo a fermare il tempo frenetico del

presente per ripescare il passato.

Ogni laboratorio è una sorta di pausa dentro la quotidianità fitta di

costrizioni, nella quale si cerca insieme, all’interno di un gruppo che

condivide la stessa necessità espressiva e comunicativa, le parole più

calzanti, quelle più adatte per riannodare i fili pendenti della propria

vita e farne un ricamo capace di dare consistenza e decoro al tanto

trascorso e nel contempo conoscenza di sé a chi ha vissuto.

Si tratta di scrivere per ricordare, recuperare gli anelli della catena che

ci hanno fatto essere quello che siamo, riconoscendoli quali vincoli e

trasformandoli, per quanto e per come possibile, in risorse.

La scrittura a partire da frammenti, episodi della propria vita, non

vuole essere una confessione intima, neppure un esercizio

propedeutico al mestiere di scrittore o scrittrice, piuttosto una cassetta

di attrezzi utile a lavorare sulla propria vita e distillarne il sapere per la

soluzione dei problemi dell’oggi.

Sono soprattutto le donne ad aderire con maggiore entusiasmo alle

mie proposte di scrittura, forse per il piacere di narrare di sé, per

l’assunzione di responsabilità rispetto alla trasmissione di un’eredità

che viene da lontano e vuole continuare nel futuro. Le leggende

familiari sembrano passare di madre in figlia, per via matrilineare.

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Forse per questo ho accettato con piacere l’incarico che mi è stato

offerto dal Cedomis di Piacenza di far scrivere un gruppo di donne

straniere sul tema della loro emigrazione. Alla ricerca di tipo

quantitativo, condotta tramite questionari sulla popolazione immigrata

femminile a Piacenza, mi è stato chiesto di affiancarne un’altra di tipo

qualitativo, adottando un registro narrativo.

La scommessa consisteva nell’invitare alcune donne a scrivere

dell’abbandono del paese d’origine, dell’approdo in Italia, delle fatiche,

ma anche delle soddisfazioni, connesse al loro inserimento nella

comunità piacentina. Un modo per dare voce alle donne immigrate

non soltanto attraverso numeri e risposte a crocetta sui questionari -

necessari per radiografare una realtà e un fenomeno e riuscire a

parlarne aldilà di pregiudizi e stereotipi -, ma attraverso le loro storie

cariche di aneddoti, caratterizzate da enfasi o pacatezza, imparando

ad ascoltarle.

Queste donne – Aissata, Beatriz, Danielle, Edith, Edvin, Fanny,

Faouzia, Minata, Violeta - hanno vissuto una lacerazione, eppure

sono riuscite a curarla: segna la pelle come una ferita ormai

cicatrizzata che non brucia più, ma non smette di fare male al solo

sfiorarla. Eppure sono sopravvissute, allo spaesamento per

l’abbandono di una terra e l’approdo in un’altra, all’apprendimento di

una nuova lingua, al senso di colpa per essere divise tra il qui e il là,

alla nascita dei figli che si sentono italiani, anche se la legge li decreta

stranieri. Eppure sono passate attraverso tutto questo. ‘Eppure’

contiene in sé quella forma di resistenza che hanno deciso di

raccontare per continuare a farsi forza: prima di tutto per loro stesse,

che non hanno smesso di vacillare, poi per i loro figli sempre in bilico

tra due culture di pari dignità e, infine, per i nativi, affinché capiscano

chi sono e da dove vengono.

In uno dei nostri incontri, Aissata ha chiesto: “Cosa dobbiamo fare che

siamo ospiti?”, ammiccando con il sorriso negli occhi, sapendo bene

che proprio ospiti non sono. L’ospite – da definizione di dizionario

Devoto-Oli – è chi accoglie qualcuno nella sua casa, oppure, più

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Capitolo IV

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comunemente, chi è invitato in casa altrui: poco calzante sia l’una che

l’altra definizione a designare le loro vite. Risiedono da anni a

Piacenza con le loro famiglie, lavorano e alcune hanno dato vita a

diverse associazioni che riuniscono gli immigrati dal loro paese e delle

quali, come Beatriz e Aissata, sono presidentesse. Alcune hanno

partorito in Italia i loro figli per i quali organizzano feste di compleanno

con amici e compagni di scuola. Hanno deciso di sostare, senza

mimetizzarsi, senza benedire o maledire questa ‘muta’ della loro

esistenza, inventando forme di buon radicamento. Una di queste

forme è il racconto della loro immigrazione in Italia per avviare

processi di auto-riflessione di cui avvertono il bisogno e di riflessione

per chi le circonda.

Il racconto è un modo tangibile per prendersi cura del tempo che ci è

toccato in sorte, per farlo brillare come argento non più ossidato. Il

racconto della strada percorsa porta con sé meraviglia e irradia di

nuova energia utile a cambiare percorso, o magari a continuarlo con

rinnovato slancio. Nel contempo possono essere di grande conforto le

storie altrui, quando gettano una luce diversa, magari obliqua sulla

nostra esistenza, rivelando alcune sorprese.

Così, come quando leggiamo libri, ci appassioniamo alle avventure

dei personaggi di carta e le seguiamo con entusiasmo non soltanto

per arrivare alla fine, ma per considerare le loro implicazioni con la

nostra storia, allo stesso modo abbiamo bisogno delle vicende di

sangue e carne di chi ci sta attorno per scoprire qualcosa della nostra.

Ernst Bloch67 racconta l’aneddoto di un viaggiatore di passaggio in

una città che arriva una sera tardi in un hotel accompagnato da alcuni

amici. Non ci sono stanze sufficienti e all’uomo viene proposto di

condividere il letto con un ospite sconosciuto, un africano dalla pelle

scura. L’uomo beve un po’ troppo quella sera insieme agli amici, che

lo riportano in camera privo di sensi e, per scherzo, gli spalmano sulla

faccia della fuliggine. Il mattino successivo viene svegliato dal

67 Bloch E., Tracce, Garzanti, Milano, 2006

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cameriere per prendere il primo treno e si ritrova a correre alla

stazione in tutta fretta, ancora stordito dalla baldoria trascorsa.

Raggiunta la toilette del treno, si lava la faccia e si guarda allo

specchio, esclamando, in uno di quei cortocircuiti di pensiero che

accompagnano le rivelazioni: “Accidenti, quel cretino di cameriere ha

svegliato l’africano!”.

Questo è ciò che ci accade quando, troppo concentrati su noi stessi,

sull’istante che stiamo vivendo nel qui e ora, non sappiamo più

ritrovarci, riconoscere la nostra stessa immagine allo specchio. La

fuliggine è l’emblema dell’oscurità che ci avvolge in alcuni momenti,

dell’opacità che ottunde, a volte, i nostri sensi.

Contro questa opacità si delinea la prospettiva narrativa

autobiografica e memoriale che consente al singolo di percepirsi nella

sua unicità dentro il mondo e in legame con lo stesso, nella sua

similitudine e differenza con tutti gli altri.

Christiana de Caldas Brito - di origine brasiliana che abita da anni a

Roma e ha iniziato la sua carriera di scrittrice scegliendo la lingua

italiana -, afferma che la scrittura fa da ponte tra il suo passato e il suo

presente, unendo il qui e il là, e, per chi è emigrato, funge anche da

patria.

Sono infiniti gli esempi a conferma della dimensione salvifica della

scrittura a fronte di un’identità spezzata o magari soltanto logorata dal

vivere. La scrittura uncina il foglio bianco, si fa roccia alla quale ci si

lega con un elastico per provare a perlustrare il territorio con la

sicurezza di poter tornare al punto di partenza, qualora il viaggio

deluda.

Mentre la parola parlata facilita un’interazione con gli altri, caricandosi

di gestualità e di inflessioni e, nel contempo, scivolando via come

sabbia tra le dita, la parola scritta, nonostante la sua minore duttilità,

rimane a raccontare il percorso compiuto dalla mente e dalla penna

per non perdere gli attimi.

Le storie scritte dalle figure immigrate si fanno occasioni per riflettere

sul tema spinoso dell’immigrazione in Italia che alcuni chiamano

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Capitolo IV

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‘integrazione’ e altri ‘inserimento’. Christiana de Caldas Brito parla di

interazione culturale come uno scambio di occhi, citando Jacob

Moreno - creatore dello psicodramma. Questi, infatti, afferma: “quando

sarai vicino ti strapperò gli occhi e li metterò al posto dei miei, e tu

strapperai i miei occhi e li metterai al posto dei tuoi, e poi io ti

guarderò con i tuoi occhi e tu mi guarderai con i miei”68.

Soltanto con gli occhi altrui possiamo capire la realtà di oggi con una

visione allargata, superando la zona d’ombra, fatta di idee preconcette

e radicate abitudini. Vale per i migranti e per chi li riceve.

L’immigrazione è una sorta di specchio che ci costringe a fare i conti

con la nostra identità culturale e la necessità di precisarla,

rammemorarla e trasmetterla.

In gioco non c’è altro che il racconto, la memoria e l’identità: un’eredità

da raccogliere e da intestare in forma narrativa e poetica. La scrittura

si pone quale mezzo di espressione, di comunicazione: un

meccanismo trasformativo dei vissuti in sapere ed esperienza.

Nel racconto La casa69 della scrittrice italo-indiana, Gabriella Kuruvilla,

si legge di una donna che racconta della morte del padre indiano in

Italia e della necessità, dopo la morte di lui, di costruire una casa di

carta nella quale lui avrebbe desiderato tornare per invecchiarvi e

morirvi. Il padre è morto a Busto Arsizio, tra ciliegi e peschi, nel

giardino della sua vecchiaia, mentre immaginava di passare i suoi

ultimi giorni tra manghi e papaye, nel giardino della sua infanzia. Lui

non le ha insegnato il dialetto malayalam, non le ha mai raccontato

della sua infanzia e ora lei avverte un disperato bisogno di sapere:

“quale era la tua storia e riempire di significati la mia… Voglio la

tradizione che non mi è mai stata trasmessa, neanche con la musica o

con la cucina…. Voglio il tuo passato, quello che hai cancellato per

ancorarmi al presente in cui non ci sei. Voglio poter dire “Sono mezza

indiana” sentendo che un eco di verità risuona nelle mie parole”.

68 Camilotti S. (a cura di), Lingue e letterature in movimento, Bonomia University Press, Bologna, 2008 69 Kuruvillla G., E’ la vita dolcezza, Baldini Castoldi & Dalai, Milano, 2008

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Raccontare significa ricostruire una tradizione, aggiungere significati

alla propria storia e anche a quella altrui.

Il laboratorio di scrittura Con questi presupposti mi sono ritrovata a Piacenza a condurre un

laboratorio di scrittura che permettesse alle partecipanti di far

sedimentare e raccogliere in scritti frammenti della loro storia di

emigrazione per ricordare il passato ed esplorare il presente.

Il luogo dell’appuntamento era la stanza accogliente del Cedomis

dove il sorriso di suor Federica dava a tutte noi il benvenuto,

smorzando almeno un po’ il freddo e la neve invernali che hanno

caratterizzato l’intero percorso. Dentro una stanza piena di libri, di

oggetti e quadri dai paesi più distanti ho lavorato, una volta per

settimana tra ottobre 2008 e febbraio 2009, con le donne di origine

straniera: Aissata (Guinea), Beatriz (Argentina), Danielle, Edith e

Minata (Costa D’Avorio), Edvin e Violeta (Albania), Fanny (Ecuador),

Faouzia (Marocco). La preziosa presenza di Ilaria Dioli ha consentito

di tenere le fila dell’intero gruppo, accettando di mettersi in gioco,

scrivendo a sua volta com’era corretto che accadesse dentro una

modalità lavorativa di tipo partecipativo.

Ogni incontro laboratoriale si compone di alcuni momenti capaci di

garantire la costruzione di un’atmosfera di fiducia e di complicità

indispensabile alla produzione di racconti autentici e nel contempo

densi:

1. introduzione all’argomento in questione con la lettura di brani

letterari oppure il racconto di alcune storie capaci di attivare un

confronto sulle proprie esperienze: gli affetti, l’attività professionale, i

momenti cruciali, i luoghi più cari... La letteratura offre spunti efficaci

per facilitare in chi legge, o ascolta, collegamenti preziosi tra la

vicenda narrata e quella personale;

2. invito alla scrittura a partire da una consegna. Il tempo della

scrittura non supera i venti minuti al fine di evitare le ansie da

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Capitolo IV

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prestazione e la tentazione di redigere la brutta e la bella copia.

L’intento non è vero una buona scrittura sul piano formale, ma una

rielaborazione sul piano personale ed etico: scrivere con il maggiore

piacere possibile e in sintonia con gli episodi vissuti, patiti o gioiti

indirizzando lo scritto alla condivisione con il resto del gruppo;

3. lettura ad alta voce del testo prodotto che implica l’esposizione in

pubblico della propria storia e, nel contempo, l’ascolto di quella altrui

per una conoscenza reciproca. Se le parole che vengono cercate e

scritte, sono rivelatrici di parti di sé e del mondo, lo sono anche le

parole delle altre donne che arrivano là dove non si è pensato - o non

si è state in grado - di arrivare. Si è spesso chiusi dentro l’orizzonte

della propria narrazione e confrontarla con quelli altrui, significa

cambiare scenario per scoprire, magari, nuovi e insospettabili dettagli.

Credo che la magia, come qualcuno l’ha chiamata, del laboratorio di

scrittura autobiografica e memoriale dipenda da questo: dalla ricerca

delle parole più rispondenti e aderenti al tanto vissuto e dallo scambio

imprevisto e imprevedibile con i racconti delle altre partecipanti allo

stesso tavolo di lavoro.

Fin dal primo incontro si è creato un clima di grande complicità tanto

che l’appuntamento è stato difeso nonostante gli impegni e i turni

lavorativi di ciascuna, a dispetto dell’inclemenza dell’inverno, della

salute personale e dei familiari.

Il laboratorio di scrittura si ispira agli atélier francesi che fanno della

scrittura un mezzo di crescita e di sviluppo personale, bandendo la

correzione dei testi, la stesura di brutte e belle copie al fine di facilitare

un rapporto con la scrittura improntato più sulla fiducia che sulla

paura, più sul gioco che sulla prestazione. Risulta quindi altro dai corsi

di scrittura creativa di matrice anglosassone, impostati

sull’apprendimento e sull’applicazione di regole formali di stesura del

testo da parte degli studenti e sulla relativa correzione dello stesso da

parte dei docenti.

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Nonostante l’impostazione didattica formativa, il rapporto con la

scrittura continua per ciascuna ad essere contrassegnato da una

sorta di resistenza e di timore, come non avviene invece con la parola

parlata alla quale si ricorre con immediatezza e semplicità. Risulta

spontaneo associare il testo scritto alla valutazione e alla dote

originaria: si è più o meno bravi in base ai voti ricevuti e si è più o

meno dotati di capacità scrittorie dalla nascita. Nulla o quasi pare

possa essere affidato all’apprendimento e all’addestramento.

Queste resistenze si intensificano ulteriormente quando a scrivere

sono donne chiamate a raccontare la loro storia di emigrazione,

utilizzando la lingua del paese d’adozione e non quella materna.

Alcune di loro avevano posizioni di rilievo nel loro paese per via degli

studi come Aissata o per via della loro professione come Violeta, e si

sentono a disagio quando, con la penna in mano, sono costrette a

semplificare o approssimare quello che hanno vissuto e sentito per

riuscire a metterlo nero su bianco in italiano. Avvertono lo scarto che

c’è tra quello che si delinea sul foglio e quello che avrebbero scritto se

avessero potuto usare la loro lingua. Potrebbero certamente adottare

la lingua materna e poi tradurre il pezzo, ma sanno troppo bene che

scrivere direttamente in italiano si fa occasione per affinare

l’appropriazione di questa lingua: questa la mira più ambita.

Come ha scritto Edith: “Di fronte a un foglio bianco mi sento un po’ a

disagio perché mi mancano le parole, poi quando mi viene un’idea, mi

metto a scrivere senza più smettere, cercando di migliorare il mio

vocabolario, prendendo un dizionario, pensando e riflettendo. Però

quando si tratta di un messaggio: divento una poetessa!”.

Aissata ha spiegato efficacemente che è la lingua italiana a venire in

aiuto, quando si tratta di “combattere perché ci accettino… ci facilita

perché quando bussiamo a una porta, siamo noi che dobbiamo

parlare a chi ci apre e quindi abbiamo bisogno di parlare la sua stessa

lingua.

Mi sembra che Aissata abbia messo bene a fuoco un elemento

basilare nell’incontro/scontro tra due diverse culture, due diversi

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Capitolo IV

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soggetti (nativi e immigrati): la necessità di impegnarsi nella

comprensione dell’incomprensione - e della resistenza - dei nativi.

Andrea Canevaro ci insegna che, crescendo, noi entriamo nella

dimensione e nella dinamica della reciprocità grazie all’aiuto di chi ci

accudisce. Questa reciprocità viene meno se da immigrati entriamo in

una realtà che non conosciamo e non ci riconosce e diventa allora

importante ricostruire nuove intese per il proprio bene e per quello

altrui, perché la vicinanza sia meno difficoltosa. Insegniamo, perché ci

venga insegnato qualcosa.

Questo è il segreto, come scrive Andrea Canevaro “dell’insegnamento

e anche quello dell’apprendimento, ma deve essere un implicito che

non si esplicita perché tradirebbe l’immagine sociale”70

Fin dal primo incontro e dal primo esercizio, la scrittura si è mostrata

un pretesto utile per fare silenzio e avviare una riflessione individuale

sul tema prescelto e una sorta di canovaccio dal quale partire per

allargare il racconto durante, oppure dopo, la lettura ad alta voce,

quando diventava importante farsi capire dalle altre. La scrittura si

faceva sasso lanciato sulla superficie dell’acqua per romperla in

innumerevoli cerchi concentrici.

Scrivendo, ciascuna pareva prendere appunti che si arricchivano al

momento della restituzione ad alta voce, che si gonfiavano come

impasto di pane lasciato a lievitare sulla spianatora.

Gli incontri si stratificavano di chiacchiere, si arricchivano di scambi di

parole per gettare nuova luce sulle situazioni più complicate e così,

alla fine, ho chiesto loro il permesso di registrarle, perché il tanto che

si addensava nella nostra stanza non andasse perduto, ma venisse in

qualche modo fermato dalla video-registrazione, dallo scatto

fotografico.

Con le registrazioni e le fotografie ho montato un video71 per lasciare

traccia dell’intero percorso compiuto, aldilà della raccolta dei testi. Ho

70 Canevaro A., Pietre che affiorano, Erickson, Trento, 2008, p. 10

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unito parole ed immagini per mostrare la condivisione costruita dentro

i nuovi legami amicali.

La fatica di scrivere, come loro stesse l’hanno definita, veniva

ammortizzata dalla necessità di perseguirla, di andare fino in fondo

non soltanto per loro stesse, ma per i loro figli: un modo per non

perdere la memoria delle radici e la parola, per rispondere al futuro

che sempre di più necessita di loro.

Ci siamo abituate all’esistenza della figliolanza di tutte, e abbiamo

imparato a ‘riconoscere’ i tre figli di Aissata e i tre di Faouzia, il figlio di

Fanny e anche la bimba nel suo grembo ormai gonfio, la figlia adulta

di Violeta, la ragazzina di Beatriz. Ce li siamo prefigurati nella nostra

immaginazione, finché non è arrivata una mattina, in carne ed ossa,

Amira, la principessa di Danielle. Era così raffreddata che lei non

aveva potuto mandarla al nido e, nel contempo, non voleva rinunciare

al nostro ultimo incontro e così l’ha portata con sé. Si è materializzata

in mezzo a noi quella figlia per la quale ciascuna scriveva, dando

concretezza all’impegno intrapreso da tutte.

La sua presenza alimentava di nuova linfa la ricerca di parole per dire

il significato dell’essere madri a Piacenza con una storia che affonda

le proprie radici nell’altrove e nell’allora e si allunga nel qui e

nell’adesso: il paese rispecchiato sul proprio corpo e i figli a fare da

specchio. Ci sono momenti pregnanti di significato che si riverberano

nei nostri giorni, cambiandoli almeno un po’, come quella mattina con

Danielle e Amira.

71 Il video che accompagna questo mio scritto ha cercato di intrappolare le immagini di queste donne, spezzoni di gesti che non volevo andassero perduti, aldilà delle parole scritte. Le immagini rispondono ad alcune funzioni: Funzione emotiva: l’immagine è un surrogato della realtà, produce le stesse emozioni che si proverebbero davanti alla cosa riprodotta. Questo significa che di fronte alle immagini del video, chi ha frequentato il laboratorio lo potrà rivivere, chi non c’era, potrà forse viverlo come se ci fosse stato. Funzione conoscitiva: le immagini documentano e danno informazioni su come abbiamo lavorato, con chi e dove. Propongono una sintesi di quanto emerso durante gli appuntamenti. Funzione estetica: le immagini vogliono essere suggestive ed evocative.

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Capitolo IV

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La fatica ha trovato la sua giustificazione e ne ha impegnata altra per

fare della scrittura la ricerca di un sapere, distillato da alcuni

frammenti di vita e trasferibile nelle pratiche quotidiane. Ricordare ed

esplorare serve a migliorare se stessi dentro il mondo.

E Faouzia, che decorava il suo foglio, ha scritto: “Amo molto il foglio

bianco in cui mi trovo a disegnare un mondo tutto mio, ma a scrivere

mi trovo sempre bloccata perché non posso scrivere i miei dolori,

forse con questo corso mi imparo a scrivere in modo con cui posso

dire tutto senza blocchi, spezzando le mie catene. Nel mio cuore ci

sono tanti pensieri bagnati delle lacrime che voglio tanto scriverli

anche se solo a pensarli, mi fanno piangere e mi fanno male, ma

spero che un giorno ci riesco ad usare le mie lacrime come inchiostro

per la mia penna per scrivere i miei pensieri”.

Ingy Mubiayi, d’origine egiziana da anni trasferitasi in Italia, afferma

che scrivere è un attestato di esistenza: “Abbiamo bisogno di un

documento che attesti, certifichi la nostra esistenza in questo mondo

ed eventualmente la nostra morte. Se provassimo ad estraniarci

guardandoci dall’alto di un altro pianeta, noteremmo che non basta la

nostra presenza in vita (o la nostra assenza), non bastano nemmeno il

nostro corpo, la nostra voce o il nostro cervello a permetterci di fare

parte della società o quantomeno a farci considerare esseri umani.

Abbiamo piuttosto bisogno di attestati. Ciò diventa ancora più marcato

nella condizione di immigrato”72.

Tutte avevano bisogno di un certificato di esistenza per il quale

serviva: un foglio e una penna, una storia da raccontare, un pubblico

pronto ad ascoltare.

Abbiamo cominciato con la storia del nome che da sempre segna il

nostro inizio, il nostro ingresso nel mondo che ci fa continuamente

esistere al cospetto degli altri, rivelando diverse appartenenze:

72 Lingue e letterature in movimento, op. cit

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- familiare per cui i nomi sono decisi dai parenti e legati ad alcune

figure care: il nonno ha scelto quello di Faouzia e la mamma ha dato a

Edith il nome di un fratello ucciso. Aissata ha scelto per i suoi tre figli il

nome del suocero, quello della suocera e della mamma, per ricordare

e far ricordare;

- religiosa, Aissata ha sottolineato immediatamente che il suo era un

nome musulmano;

geografica: alla mamma di Violeta non piacevano i nomi musulmani in

voga in Albania e così ha scelto un nome tutto italiano dall’opera di

Verdi;

- etimologica: Edith ha in aggiunta il nome Wai che vuol dire “pietà”,

Danielle Dablemon che significa: “dove mi ha supportato”.

Il nome è così importante che nessuna sopporta che venga storpiato

nella pronuncia - Faouzia in Fouzia –; o nella grafia - Edith si è

rifiutata di accettare una tessera con il suo nome scritto in maniera

scorretta, perché lei non era quella, ma un’altra.

Siamo quindi passate ad elencare i ricordi, quelli più lontani nel tempo

e più vicini che sanno indicare i momenti che restano incorniciati nella

nostra memoria: i luoghi del cuore, le figure parentali e amicali, gli

incidenti oppure le soddisfazioni, gli odori e i sapori.

I ricordi disegnano sul foglio chi siamo e da dove veniamo anche in

semplici elenchi che non vogliono scandagliare, quanto piuttosto

mostrare il tanto accatastato nell’archivio della memoria: un lutto per

Faouzia, i giochi infantili per Edith, il rifiuto di andare a scuola per

Danielle.

Per Aissata, invece, una scena di razzismo di quando aveva quattro

anni e abitava con la sua famiglia in Germania, dove il padre era

Console Generale della Guinea. Mentre facevano la spesa in un

supermercato, un tedesco disse al figlio, indicandoli, di provare a

vedere se il colore nero della loro pelle rimaneva sulle sue mani. Il

padre di Aissata allontanò i figli e li condusse in un parco dove

qualcuno cercò di fotografarli e allora lui afferrò la macchina

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Capitolo IV

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fotografica per buttarla indignato. Contro di lui, che conosceva bene i

suoi diritti, nulla poté l’intervento di un poliziotto.

I ricordi che tornano a tracciare la mappa della nostra esistenza,

assomigliano ai sassolini – o alle briciole di pane – gettate dall’Hansel

della fiaba sul terreno per trovare la via di casa. I ricordi condivisi si

fanno rete di sostegno quando si tratta di fare salti sempre più

azzardati, capriole sempre più pericolose nel cielo memoriale, come

quello dell’emigrazione/immigrazione.

Con delicatezza, abbiamo cercato di delineare le ragioni della

partenza per l’Italia, strettamente legate al bisogno di dare un futuro a

se stesse e/o ai figli quando, nel proprio paese, le porte sembravano

chiudersi invece di aprirsi.

Qualcuna è partita da sola, come Edith dalla Costa D’Avorio che ha

sperimentato il Libano e la Francia prima di approdare in Italia; altre al

seguito del marito, come Beatriz che ha lasciato l’Argentina perché lui

aveva un contratto come giocatore di rugby; altre per

ricongiungimento familiare come Minata e Aissata.

Per tutte l’Europa, e l’Italia in particolare, rappresentava ‘il primo

mondo’ da scoprire, già tanto fantasticato e per Beatriz, in aggiunta,

anche la terra dei nonni.

Per Edvin, emigrata con la figlia, le ragioni erano più di tipo politico.

Con la caduta del muro di Berlino, in Albania “le aziende sono state

distrutte anche come costruzioni, non si sapeva cosa fare, come

mangiare. Non funzionavano le leggi, lo Stato. Era un caos. E in

questo momento il confine viene aperto, cioè tutti potevano andare via

senza visto. In più nei porti c’erano le navi che portavano la gente in

Italia”. Non era pronta Edvin per partire come lo erano invece i suoi

fratelli che, una volta sistemati in Italia, l’hanno chiamata e lei li ha

raggiunti con la figlia e un Visto per Turismo. La sua decisione di

rimanere è dipesa dalla consapevolezza, maturata nel confronto, che

per la sua bambina l’Albania si poneva quale “possibilità mancata”

mentre, l’Italia come possibilità da realizzare. La scelta di Edvin di

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lasciare il male noto - per quello, forse, ignoto - è stata una

scommessa sulla felicità della figlia oltre che sulla sua.

Fanny, invece, è partita dall’Ecuador per raggiungere la sorella che

raccontava di stare benissimo in Italia. Arrivando, ha scoperto una

realtà molto diversa: la poca considerazione di un lavoro come baby-

sitter e, per sua sorella, come badante di una signora anziana. Nel

loro tempo libero si consolavano vicendevolmente: “riflettevamo e ci

chiedevamo per quale motivo siamo venute. Allora io incolpavo lei,

perché era lei che aveva deciso per prima di venire qua e aveva

convinto mia mamma per fare venire me o un’altra sorella a farle

compagnia pensando però che si trattava solo per un po’ di tempo.

Lei diceva solo che si sentiva sola, ma che tutto era bellissimo che

sembrava un sogno e ci mandava le cartoline bellissime. Lei invece si

difendeva dicendomi: ‘Dovevo mentire, perché altrimenti non venivi ed

io mi sentivo tanto sola e adesso che ci sei tu e non abbiamo un posto

tutto nostro, ci diamo coraggio l’una con l’altra’”.

Il sogno di tornare nel proprio paese resta tangibile per alcune e

Minata non smette di ripetere che: “Insieme al marito, guadagniamo

qualcosa e ritorniamo”, sottintendendo in Costa D’Avorio.

In realtà l’obiettivo condiviso di tutte è quello di integrarsi: “piano piano

che non è facile però penso di arrivare almeno coi figli” come ha

scritto Aissata. Forse si può accettare di non aderire totalmente

all’Italia, mentre si aspetta il riscatto da parte dei figli per i quali

l’italiano è la prima lingua.

Tutte hanno raccontato gli incidenti che sono loro accorsi in quanto

immigrate: il poliziotto che ha fermato Danielle alla guida della sua

automobile, trattenendola, sospettoso e arrogante, aldilà del tempo

utile per il controllo di routine; l’impiegata comunale che voleva

scrivere sulla carta d’identità di Aissata come stato di nascita: Nuova

Guinea anziché Guinea, convinta di sapere di più sul suo paese

d’origine e si è arresa all’evidenza soltanto dopo che Aissata le ha

mostrato sul mappamondo la Guinea nel continente africano e la

Nuova Guinea in Oceania. È stata ancora Aissata a raccontare di un

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Capitolo IV

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incidente accaduto una mattina, proprio durante la nostra attività

formativa: mentre sedeva nella sala d’attesa per la prenotazione di

una visita in ospedale, un’operatrice pronuncia ad alta voce un nome

straniero e nessuno risponde. L’operatrice, innervosita, chiede ad

Aissata di mostrarle la sua impegnativa medica per verificare il suo

nome, costringendola a ribattere che quello chiamato non è il suo

nome che, fino a prova contraria, è ancora in grado di riconoscere.

Interrogata dalla responsabile della Casa di riposo presso la quale

lavora come Infermiera Professionale, sulla scomparsa di un anello di

un’ospite, Edith ha subito pensato di venire considerata colpevole del

furto. La responsabile le chiedeva, invece, semplicemente aiuto.

Ci sono mulinelli di pensieri nei quali scivoliamo quasi senza

accorgerci che rivelano la fragilità della nostra posizione, la nostra

vulnerabilità e i nostri timori ramificati e resistenti come edera.

Ogni soggetto che racconta si situa non solo all’interno di una realtà

familiare, epocale, professionale, ma anche, prima di tutto, in un corpo

maschile o femminile. Il gruppo, formato da sole donne, impegnate a

delineare la propria storia di emigrazione e immigrazione, mostrava di

fatto la connotazione del genere, a partire, per esempio, dalle

motivazioni della partenza legate, come già sottolineato, al

ricongiungimento familiare o alla volontà degli uomini.

Pur venendo da mondi distanti tra loro e da un’educazione comunque

tradizionale che distingue nettamente tra maschi e femmine, tutte

queste donne si sono ritrovate a ingaggiare una grande rivoluzione di

costumi dentro le loro case italiane.

Edith ha raccontato di come, nella sua infanzia suo fratello – unico

maschio prima di due femmine – non mangiasse insieme a lei e a sua

sorella perché la mamma lo collocava, in segno di rispetto, in una

posizione privilegiata con la scusa che sarebbe stato lui a farsi carico

della sua vecchiaia. Per Edith questa non è che un’ingiustizia nei

confronti delle donne, come quella di avere, come suo nonno che

abita in campagna, più mogli.

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Beatriz ha confessato di essere stata gelosa del fratello – come Edith

del resto – che aveva benefici a lei negati: per lui sport e per lei lavori

domestici, all’uno la carriera universitaria e all’altra quella

matrimoniale. In realtà grazie alla rivoluzione femminista e alla

mentalità aperta del padre, Beatriz riesce a continuare gli studi e a

laurearsi. La discriminazione esistente tra maschi e femmine rivela un

atteggiamento razzista che si precisa nel momento in cui,

allontanatasi dall’Argentina, guarda il suo mondo da una diversa

prospettiva, quella italiana e non accetta più come dato naturale, ma

culturale, qualcosa che aveva visto e vissuto in casa sua. Il nonno

aveva una famiglia legittima e un’altra illegittima, nel primo caso la

moglie era una bianca e nel secondo una nera. “È l’ignoranza che

costruisce il pregiudizio”, ci ha detto sconsolata, scuotendo il suo

caschetto di capelli biondi, e da quando è in Italia non ha smesso di

ingaggiare la sua lotta contro ogni forma di ignoranza e pregiudizio.

Anche Fanny ha raccontato di questa suddivisione precisa di ruoli

maschili e femminili nel mondo professionale e familiare in Ecuador

che, in Italia, si è stemperata perché in famiglia i mariti e le mogli

lavorano e sono costretti a collaborare, ad aiutarsi nella conduzione

domestica. Per quanto, ha spiegato ridendo, l’educazione dei figli

spetti comunque alla donna, come del resto certi mestieri in casa

come, per esempio, la pulizia del bagno!

In Marocco, ci ha raccontato Faouzia, le donne e le bambine non

escono a fare le spese che spettano ai soli maschi: “Mia madre non

ha mai fatto un giorno in un mercato. Io non dico a mio padre che qui

sono io a fare la spesa, ad andare in posta e in banca per le bollette

perché mio marito lavora e non possiamo fare diversamente”.

Mentre raccontavano, sorseggiando il tè o il caffè che ci veniva

offerto, scoprivamo che la chiave di volta del cambiamento, del

processo di inserimento e interazione con il territorio era la

partecipazione. Sono state costrette dai figli a partecipare alla vita

scolastica, di condominio e di quartiere, per non rimanere isolate, ma

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Capitolo IV

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soprattutto, per non emarginare i figli, marchiati comunque nei tratti

somatici e nelle relazioni familiari da profonde differenze.

Il rischio di chi emigra, ci ha spiegato Aissata è, da una parte, quello di

rimanere chiusi nel proprio mondo per conservare intatte le proprie

radici senza lasciarsi contaminare dalla realtà circostante e, dall’altra,

quella di rinnegare le proprie radici per assimilarsi meglio al “nuovo”

che piano piano diventa casa.

Fanny ha raccontato di come all’inizio non avesse cercato di stringere

amicizia con le mamme dei compagni di asilo del figlio per

timidezza… timore… disagio…, mentre da quando lui è andato alla

scuola elementare, ha scelto di cambiare atteggiamento proprio per

evitare esclusioni al figlio.

Aissata ha raccontato che alla prima festa di compleanno per il figlio

hanno risposto all’invito soltanto due compagni, poi, anno dopo anno,

sono aumentate le adesioni. Più i bambini facevano amicizia, più le

mamme accettavano questo legame e si avvicinavano a lei: ormai il

figlio è invitato a tutte le feste e tutti si presentano alla sua. È stata la

stessa Aissata a domandarsi come faccia chi non ha figli a

raggiungere questo grado d’interazione che non cessa, certo, di

essere spigoloso.

Per Aissata, qui a Piacenza – forse in tutta Italia - si dicono pochi “No”

ai figli che si abituano a non assumersi alcuna responsabilità:

domandano un piatto di pasta e, una volta pronto, cambiano idea e

preferirebbero una frittata. Secondo lei, qui si danno pochi “sculacci”

ai figli e, per Minata, ci si rimette poco ai consigli dei genitori: “io e mio

marito facciamo una famiglia, ma sento che sono sotto i miei genitori”.

La tradizione e la modernità, il vecchio e il nuovo si scontrano ed è

ancora più faticoso quando lo scontro è vissuto con i figli che

incarnano il vecchio nei loro genitori e nel loro mondo poco o mai visto

e il nuovo negli amici e nella realtà piacentina, affascinante e

luccicante come un centro commerciale.

Maia, figlia di Beatriz, rifiutava lo spagnolo quasi fosse una vergogna,

mentre la scuola le ha insegnato ad amarlo di più, quando il

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professore di spagnolo le ha riconosciuto un sapere superiore a quello

dei compagni di classe, chiacchierando con lei in spagnolo. Beatriz,

fiera dei progessi della figlia, ha citato le parole di un autore africano:

“Imparare un’altra lingua è avere un’altra anima”. Nessuna di loro può

permettere ai propri figli di non parlare la lingua del paese dal quale

provengono, poiché sarebbe come tagliare i ponti alla relazione con i

nonni, gli zii, i cugini: una colpa imperdonabile, senza espiazione.

I figli, d’altronde, sentono di non essere stranieri: “Sono nato qui”

sostiene il figlio di Faouzia e si tratta di un’ammissione non facile né

per l’una né per l’altro.

Incontro dopo incontro abbiamo imparato a conoscerci, passando

attraverso racconti molto toccanti e densi relativi, come nel caso di

Danielle, alla diversa appartenenza religiosa tra lei (cristiana) e il suo

compagno (musulmano), o alla sua stessa infanzia vissuta lontano dal

padre; la morte della madre per Aissata lo scorso autunno, quella

delle sorelle per Violeta.

Attorno allo stesso tavolo testimone di tanti incontri, qualcuna ha

pianto di commozione e nostalgia, tutte abbiamo riso, e siamo arrivate

a discutere sul ruolo delle donne e sulla loro capacità di stare tra i figli

e i mariti, tra i figli e i compagni, tra la famiglia e le diverse istituzioni,

tra le regole del vivere di un paese lasciato altrove e le leggi politiche

e sociali del paese abitato qui.

Sono le donne a non permettere di recidere il filo che lega la famiglia

a un’origine lontana e quello che allaccia a una crescita all’italiana:

Aissata ha imparato ad usare gli abiti caldi dell’Occidente per l’inverno

umido e nebbioso della bassa emiliana, ma in estate torna alla

praticità dei suoi tessuti guineani. Un mélange anche nel cibo, poiché

non mancano alla sua tavola i piatti della sua tradizione e quelli

italiani, più adatti ai ritmi scolastici dei figli.

Sono le donne a traghettare il passato dentro il presente, gli

insegnamenti dei loro vecchi dentro il nuovo mondo che abitano. Sono

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Capitolo IV

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loro a vegliare sui figli, affinché comprendano il sacrificio dei padri e

rispettino le loro fatiche.

E Beatriz è arrivata a concludere che: “le donne sono il motore

dell’integrazione…. Sono il motore di tutto”, ha aggiunto con un

sorriso… Il solo ambito nel quale la donna non è penetrata, ha

precisato Aissata, è la moschea e la chiesa: nessuna donna può

diventare imam e neppure papa.

Tutte queste donne dalla pelle scura e chiara, dagli accenti più diversi,

dai foulard e dalle parrucche più tradizionali e dai lunghi capelli sciolti

lungo la schiena, possono essere considerate come l’emblema di una

sopravvivenza possibile. Provenienti da una comunità specifica

organizzata in vincoli – come ogni comunità –, incontrandone un’altra

con i suoi vincoli, hanno cercato di comprenderla e progettare nuovi

legami, improntati sul rispetto della propria identità e di quella altrui.

Philippe Forest, colpito dalla morte della figlia di quattro anni per un

tumore osseo, ha scritto di avere capito solo questo: “sopravvivere è

la prova e l’enigma… Possibile e impossibile, è accaduto di

sopravvivere. È questa la prova e l’enigma… eppure eccoci di nuovo

qui, perduti da qualche parte in pieno sole, senza capire

assolutamente perché, in piedi nella luce di un sogno, imperdonabili

eppure innocenti, noi che siamo vivi”73.

Osservando queste donne scrivere, ascoltandole parlare,

registrandole e fotografandole, mi pareva quasi sentirle sussurrare:

eppure… noi resistiamo… viviamo… e vi raccontiamo di noi che

siamo arrivate qui, dove abitiamo insieme ai nostri mariti e ai nostri

figli…

Donne che vogliono capire e farsi capire e anche appartenere.

Come scrive Sergio Neri: “Umanizzare vuole dire imparare ad

appartenere, ma anche a trasgredire. Il principio di individuazione

comporta la scoperta di ciascuno di noi come individuo singolo e la

valorizzazione della sua unicità. Tale principio è importante perché 73 Forest P., Sarinagara. Tre volte un’unica storia, Alet Edizioni, Padova, 2008

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rende ogni persona responsabile, in quanto singolo, delle proprie

azioni. Ciascuno vale per quello che è nella società, non per il sistema

parentale o amicale a cui appartiene. Umanizzare vuole dire cogliere

questi due momenti: appartenenza e individuazione74.

Partecipando al laboratorio di scrittura per andare al cuore delle loro

storie di vita, queste donne hanno dimostrato di voler valorizzare la

loro unicità e il loro bisogno di appartenenza. Le loro sono microstorie

nate dalle parole che hanno scelto di pronunciare e di scrivere e che

ci aiutano a riflettere su di loro e su di noi: “E la parola è mettere in

relazione. Con la parola, una storia comincia: è l’inizio del dialogo”75.

Christiana de Caldas Brito sostiene che ogni emigrante abbandona tre

madri: la madre biologica che rappresenta il mondo degli affetti; la

madre patria, che incarna le tradizioni, le usanze, il clima e, infine, la

madre lingua, intesa non solo come mezzo di comunicazione, ma

come forma mentis76.

Ogni immigrato è il risultato di un conflitto tra la persona che non è più

e quella che non è ancora. Le donne con le quali ho lavorato non

hanno negato il conflitto, lo hanno attraversato, lo stanno ancora

attraversando, assumendosene la responsabilità. Hanno perduto le

illusioni connesse alla loro emigrazione e stanno tessendo la tela della

dedizione alla loro integrazione e interazione culturale. Sono

sopravvissute, vive, imperdonabili e innocenti e decise a raccontare la

loro storia e ad offrirla a chiunque abbia voglia di ascoltarla.

Abbiamo bisogno delle loro storie perché, come intitola un suo libro

Elena Stancanelli, A immaginare una vita ce ne vuole un’altra77. Per

immaginare la nostra vita ci vuole anche la loro.

Per questo sono grata ad ognuna di loro che rimane stampata nella

mia mente con la sua parola e i suoi modi: la dolcezza di Faouzia, la

grinta di Aissata, l’inquietudine di Danielle, la forza di Beatriz, 74 Canevaro A., op. cit, pag. 33 75 Canevaro A., op. cit, pag. 19 76 Lingue e letterature in movimento, op. cit 77 Stancanelli E., A immaginare una vita ce ne vuole un’altra, Minimum Fax, Roma, 2008

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Capitolo IV

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l’originalità di Violeta, la discrezione di Edvin, la disponibilità di Minata,

la delicatezza di Fanny.

Nell’ultimo incontro tutte si sono mostrate soddisfatte del tanto lavoro

realizzato insieme, proponendosi per nuove iniziative di ricerca. Come

ha detto Aissata: “Speriamo di non essere interpellate solo

sull’emigrazione”.

La preziosità del loro punto di vita non può davvero fermarsi alla

comprensione della condizione delle donne immigrate a Piacenza,

adesso che è stato aperto un dialogo profondo e autentico, adesso

che si è appresa la necessità di pronunciare parole utili non solo a

migliorare la convivenza con i piacentini, ma, più ambiziosamente, a

rendere migliore il mondo. Il nostro e quello che verrà per i nostri figli e

i loro in questo emisfero e anche nell’altro.

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Capitolo.V

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Capitolo V

Al cuore delle nostre storie di vita Testi prodotti durante il laboratorio di scrittura

a cura di Adriana Lorenzi LA STORIA DEL NOME

Aissata

Mi chiamo Aissata. E’ un nome musulmano, è il nome della moglie del

profeta Mohamed. Da noi i nomi sono scelti dai genitori. Come il mio è

stato scelto da mia nonna (la zia di mio papà) e mi ha dato quello

della mamma di suo marito. La scelta di dare questo nome è perché

questa zia non avendo fatto figli ci teneva a darmi il nome di sua

suocera. La decisione delle scelta dei nomi è sempre basato sul

ricordo di una persona cara (padre, madre, un’amica, o amico…).

Per i miei figli abbiamo dato al primo il nome di mio suocero

(Ousmane); alla seconda il nome di mia mamma (Namfadima) e alla

terza il nome di mia suocera (Awa), così in famiglia abbiamo dei

ricordi.

Danielle

Il mio nome è stato voluto da mia madre che ha aggiunto Dablemon

che significa: dove mi ha supportato.

Edith

Ho un nome che si pronuncia wai. La mamma mi raccontava che

quando era incinta aveva un fratello che aveva quel nome. Questo

fratello fu ucciso e mia mamma lo ammirava molto. Quando è morto,

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era incinta di me e allora ha deciso di darmi questo nome wai che vuol

dire pietà.

Faouzia

Faouzia è il mio nome, mi ricorda il nonno, il più potente della famiglia,

comandava tutti: moglie, figli, nipoti e ha scelto per me il nome di

Faouzia e i miei genitori l’hanno accettato senza discussione, perché

era un bel nome. Deriva dalla parola Victoria e mi piace molto ma non

mi piace molto quando qualcuno lo pronuncia in modo diverso: Fuzia.

Violeta

Mi chiamo Violeta, sono albanese, ma il mio nome è italiano.

In albanese si traduce Vjollca o Manushaqe. Nel mio paese all’epoca

della mia nascita i nomi erano di più musulmani e alla mia mamma

non piacevano. Erano stati portati dai Turchi che per cinque secoli

hanno invaso l’Albania, influenzando la cultura, i nomi e la lingua

etc…

Dopo la seconda guerra mondiale, in Albania sono venuti al potere i

comunisti e loro hanno deciso di non lasciare più i nomi difficili venuti

dalla Turchia, hanno fatto una lista lunga con i nomi dei nostri antenati

Illiri che erano davvero belli e la gente li metteva volentieri.

La mia mamma ha preso il mio nome dall’opera di Verdi La Traviata,

sperando per me un futuro migliore che quello della Violeta della

Traviata!

“Mi sa che ho preso solo il nome” ho pensato, che a lei piaceva tanto.

MI PIACE – NON MI PIACE

Aissata

Mi piace la pizza

Mi piace ballare

Mi piace la musica

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Capitolo.V

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Non mi piace la guerra

Non mi piace i prepotenti

Mi piace la neve

Non mi piace le nebbia

Mi piace cucinare

Mi piace aiutare

Mi piace pulire

Non mi piace la pioggia

Non mi piace i petegolese

Non mi piace la pioggia

Non mi piace uscire con i figli

Mi piace…..

Danielle

Mi piace ballare

Mi piace ascoltare altri

Mi piace cucinare

Non mi piace parlare di altri

Non mi piace la tristezza

Non mi piace litigare

Mi piace la gioia

Mi piace il viaggio

Non mi piace mangiare troppo

Edith

Mi piace ballare

Mi piace viaggiare

Mi piace leggere

Mi piace essere allegra

Mi piace ascoltare

Mi piace aiutare

Mi piace i bambini

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Non mi piace la falsità

Non mi piace la cattiveria

Non mi piace disobbedire

Faouzia

Mi piace disegnare

Mi piace l’acqua

Mi piacciono i colori

Mi piace la tranquillità

Non mi piace litigare

Non mi piace stirare

Neanche strofinare

Mi piace cucinare

Mi piace mangiare

Non mi piacciono i fagioli

Mi piace il mare

Mi piace la sabbia

Mi piace viaggiare

Violeta

Mi piace ballare

Mi piace scrivere

Mi piace viaggiare

Non mi piace litigare

Mi piace fare poesie

Mi piace la natura

Mi piace andare al mare

Mi piace sciare

Non mi piacciono gli intrighi e le ipocrisie

Mi piace aiutare

Mi piace ascoltare

Mi piace vivere bene

Mangio per vivere e non vivo per mangiare

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Capitolo.V

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DI FRONTE A UN FOGLIO BIANCO

Aissata

Sono una che racconta raramente le storie, allora davanti a un foglio,

posso scrivere le cose che mi capitano ai miei genitori. Adesso scrivo

raramente, perché parliamo spesso al telefono.

Prima raccontavo a loro i miei dolori, gioia, le incertezze, la voglia di

fare, di non fare.

Danielle

Di fronte a un foglio bianco mi sento a disagio.

Mi sento strana.

Ma si devo scrivere a mia madre, mi sento felice perché le parole

vengono dal cuore.

Edith

Di fronte a un foglio bianco mi sento un po’ a disagio perché mi

mancano le parole, poi quando mi viene un’idea, mi metto a scrivere

senza più smettere, cercando di migliorare il mio vocabolario,

prendendo un dizionario, pensando e riflettendo. Però quando si tratta

di un messaggio: divento una poetessa!

Faouzia

Amo molto il foglio bianco in cui mi trovo a disegnare un mondo tutto

mio, ma a scrivere mi trovo sempre bloccata perché non posso

scrivere i miei dolori, forse con questo corso mi imparo a scrivere in

modo con cui posso dire tutto senza blocchi, spezzando le mie

catene. Nel mio cuore ci sono tanti pensieri bagnati delle lacrime che

voglio tanto scriverli anche se solo a pensarli, mi fanno piangere e mi

fanno male, ma spero che un giorno ci riesco ad usare le mie lacrime

come inchiostro per la mia penna per scrivere i miei pensieri.

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VEDO – SENTO

Aissata

Sono le 7 del mattino, nella camera dei bambini, suona la sveglia e

vedo tutti alzati per il bagno e dopo in cucina per la prima colazione.

Ce n’è una pronta e l’altra cerca ancora le calze, un altro i guanti. Ci

sono gli amici che cominciano a suonare al citofono. La piccola va con

me a scuola e andando, vediamo delle macchine tutti in fretta perché

sono le 7,55, vedo il cancello che si apre e siamo di corsa. Ci sono i

bambini che corrono, sento i clacson delle macchine, delle biciclette;

dopo il cancello si chiude e tutti prendiamo i mezzi per tornare a casa

o andare al lavoro.

Danielle

In Africa. Seduta fuori dalla terrazza.

Sento la musica

Vedo la gente che passa

C’è uno che balla

Sono contenta di vedere parlare, ridere, gioia

Vedo la gente che va e viene

Sento un bambino che piange

C’è una signora che fa da mangiare

Vedo il cane che passa

Vedo la gente sono sempre di fretta

Edith

Il posto dove vado a lavorare è grande e carino: c’è il mio reparto –

Primo piano – ci sono gli ospiti, le colleghe, la responsabile. Alle 14,00

quando tutto è tranquillo per il riposo pomeridiano, faccio tutti i miei

lavori e poi alle 14,30 arriva la collega e iniziamo a lavorare. Vedo dei

gabbiani fatti a mano da un ex-ospite molto belli; dei quadri dipinti a

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Capitolo.V

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mano dai nostri ospiti, dei tavoli, per il pranzo e la cena. La nostra

pausa è la cosa più bella dove si fa il caffè e chiacchieriamo per 5

minuti: si parla di tutto e di niente.

Faouzia

Nel mio paese di nascita ci sono delle colline, basta che ci troviamo su

di una per vedere tutte le altre. Ci sono rocce belle grosse che quando

piove sembrano pezzi di cristallo. C’era con me la zia che aveva la

mia età su una delle colline, guardando da lontano il prato di orzo che

sembrava un mare di colore verde e ci siamo messe a correre per

arrivare all’altra collina. C’erano alcuni papaveri, ci siamo messe ad

arrotolarci per spezzare le spighe, per creare la nostra casa, abbiamo

costruito il corridoio e le due camere da letto. Quando mi trovo nella

mia camera, la posso vedere, sdraiata sulle spighe, e vedo il

meraviglioso cielo blu con le nuvole che sembrano pezzi di colore che

camminano lentamente che mi fanno ricordare il cammino delle spose

con il loro splendido vestito bianco, sentendo la musica leggera

provocata da un venticello.

MI RICORDO

Aissata

Mi ricordo della nascita del mio primo figlio, un giorno di Ramadan,

tutti in famiglia contenti perché era il primo figlio.

Mi ricordo quando ho finito l’Università, tutti i regali che ho avuto e

soprattutto il viaggio per assistere al Festival Mondiale della gioventù.

Mi ricordo della mancanza di mio fratello “bimbo” morto per una

malattia sconosciuta.

Mi ricordo del giorno del mio matrimonio e quello di mia sorella

maggiore fatti insieme.

Mi ricordo dei momenti allegri dalla scuola primaria all’Università.

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Mi ricordo dei momenti difficili per l’integrazione in Russia per i cinque

anni di studi.

Mi ricordo il giorno in cui è stata la discussione della mia tesina di

Dottorato. Gli apprezzamenti del “Jury”.

Mi ricordo del giorno di ritorno di mia mamma dalla Mecca, e una

donna ci ha fatto credere che mia mamma non è tornata.

Mi ricordo del giorno 9.10.2008 che è stata una giornata nera per la

mancanza di mia mamma.

Danielle

Mi ricordo che da piccola mi piacevo troppo.

Mi ricordo la nascita di mia figlia che mia madre ballava

Mi ricordo dove mia madre mi diceva cose come Ti voglio bene

Mi ricordo il primo compleanno di mia figlia avuto con il nonno

Mi ricordo la morte assurda di mio zio.

Edith

Mi ricordo la morte di mio nipote che mi ha colpito molto, fino ad

ammalarmi.

Mi ricordo l’estate scorsa si è sposata mia sorella, l’ultima della

famiglia.

Mi ricordo il mio viaggio fatto in Italia per la prima volta.

Mi ricordo del litigio che c’è stato tra me e mio fratello dove ho pianto

tanto.

Mi ricordo la telefonata fatta a mia mamma dove mi sono commossa.

Mi ricordo la conversazione fatta tra me e un’anziana dove mi ha

raccontato tante belle cose emozionanti.

Mi ricordo del giorno del mio compleanno tra qualche settimana…

saprò che sto invecchiando.

Fanny

Mi ricordo quando mia mamma e mio papà si alzavano presto per

mungere le mucche nella fattoria.

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Capitolo.V

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Mi ricordo della mia maestra di prima elementare quando ha dovuto

andarsene a metà anno. Abbiamo pianto tutta la classe.

Mi ricordo quando è nato mio figlio, la sofferenza del parto e poco

dopo la gioia di poter abbracciarlo e allattarlo.

Mi ricordo il giorno quando sono partita la prima volta dall’Ecuador per

l’Italia. Il non sapere cosa mi aspettava e cosa dovevo fare.

Mi ricordo di una mia amica del liceo molto divertente e molto carina.

Mi ricordo della mia nonna (adesso non c’è più) che mi preparava il

caffellatte con il pane ogni volta che la andavo a trovare.

Mi ricordo del mio professore dell’Università di matematica. Buon

insegnante e molto carino e brizzolato.

Faouzia

Mi ricordo del vestito indossato dalla mia cognata che apparteneva

alla zia.

Mi ricordo quando la seconda moglie mi ha strappato il bicchiere di

latte dalle mie mani.

Mi ricordo della “Gsiat” e delle sue rocce.

Mi ricordo del campo arato.

Mi ricordo del momento in mezzo al campo che fa paura.

Mi ricordo della cima delle colline che si chiama “Ejema”.

Mi ricordo dell’aria fresca sotto gli alberi durante l’estate.

Mi ricordo della cassetta piccolina che era veramente piccola.

Mi ricordo la scuola e che non possiamo farcela a tornare a casa per il

pranzo e mi ricordo che mangiavamo sotto il muretto di pietra, quello

vicino alla scuola.

Mi ricordo del pozzo e mi ricordo quando hanno tirato fuori il serpente.

Mi ricordo quando mio fratello minore si è fatto male mentre giocava

con l’altro fratello e mi ricordo del sangue che copriva metà della sua

faccia. E mi ricordo che il nonno lo cercava per picchiarlo e la mamma

lo ha nascosto.

Mi ricordo quando si è ammalato mio fratello.

Mi ricordo la mia compagna di scuola.

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Mi ricordo la strada verso scuola.

Mi ricordo il negozietto dove prendiamo il “kascrout”, un tipo di panino

con il tonno all’olio d’oliva e succo piccante.

Violeta

Mi ricordo quando ero piccola e andavo dai miei in montagna

Mi ricordo dei boschi di castagne dove andavo a raccogliere le fragole

Mi ricordo il rumore della fontana e il profumo dei fiori. Mi ricordo che

cantavo e facevo concerti per la natura

Mi ricordo delle favole che mi raccontava la mamma

Mi ricordo i primi impatti direttamente alla vita e i problemi

Mi ricordo di un’amica che mi ha tradito

Mi ricordo dei dolori del palcoscenico quando facevo i concerti

Mi ricordo le feste tutti insieme a casa

Mi ricordo le persone che non possono essere più… due delle mie

sorelle sono morte…

Mi ricordo ogni giorno che sono lontana da tutti

Mi ricordo che quello che vorrei fare non lo faccio più

Mi ricordo…

RICORDI LONTANI

Aissata

Avevo quattro anni in Germania una scena di razzismo tra noi e i

tedeschi. Mio papà era Segretario generale dell’Europa Occidentale in

diplomazia e Console generale della Guinea in Germania.

Un giorno in famiglia eravamo a fare la spesa in un supermercato, un

tedesco disse a suo figlio: “Vai a guardare se il colore della loro pelle

rimane sulle tue mani”.

Mio papà ci disse di non salutare nessuno perché non era il giorno.

Dopo siamo stati in un parco dove qualcuno ha provato a farci delle

foto e ho visto mio papà prendere la macchina fotografica e buttarla. Il

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Capitolo.V

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signore ha cercato un poliziotto per poter intimidire il papà, però lui

sapeva i suoi diritti e dopo un momento di discussione, siamo tornati a

casa.

Danielle

Mi ricordo da piccola, il giorno di scuola mi mettevo sotto il letto di mia

madre. Mi cercava per ore e alla fine diceva “Oggi non vai a scuola,

magari domani”. E mio zio ha scoperto il mio trucco.

Edith

Mi ricordo della mia infanzia nel quartiere dove abitavano i miei cugini

e cugine. Eravamo tutti dei bambini. Alcuni erano più grandi di noi,

però giocavano tutti insieme per rimanere uniti.

Ricordo mia zia incinta del suo primo figlio che era mio cugino.

Lei desiderava una femmina, poi è nato mio cugino, tutti i suoi capi

erano per una bambina. Questo bambino è cresciuto e mi ricordo che

giocava sempre con le femmine alla corda e ha pure partecipato

all’elezione della Miss del quartiere. Cucinava con i fornelli, faceva la

spesa insieme a noi, si comportava come una femmina e per me è un

bel ricordo della mia infanzia che mi è rimasta. Questo ragazzo oggi è

cambiato. Va all’Università per diventare dottore.

Quando ci incontriamo, ci prendiamo in giro e ci raccontiamo i nostri

souvenir.

Fanny

Mi ricordo: era il settembre del 1997. Ho lasciato il lavoro da baby-

sitter, perché la mamma della mia datrice di lavoro era molto

insopportabile e dopo 4 mesi di lavoro decisi di smettere anche se

non avevo dove andare ad abitare.

Avevo una sorella che anche lei lavorava come assistente di

un’anziana con vitto e alloggio e mi poteva tenere a dormire anche di

nascosto ma alle 8,30 del mattino dovevo uscire per far sì che la

signora anziana non mi vedesse a casa sua e dopo tanto girare

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sempre per gli stessi posti, mi ritrovavo seduta su una panchina di un

parco senza sapere dove andare e cosa fare. Non avevo tanti soldi e

allora me ne stavo lì seduta ad aspettare che arrivassero le due del

pomeriggio e che mia sorella uscisse le due ore di permesso al

giorno. Lei arrivava e mi portava da mangiare e stavamo un po’

assieme a chiacchierare, lei seduta e io un po’ sdraiata con la testa

sulle sue gambe a ricordare quando eravamo bambine, i nostri fratelli,

i nostri genitori, la vita in generale. E riflettevamo e ci chiedevamo per

quale motivo siamo venute. Allora io incolpavo lei, perché era lei che

aveva deciso per prima di venire qua e aveva convinto mia mamma

per fare venire me o un’altra sorella a farle compagnia pensando però

che si trattava solo per un po’ di tempo.

Lei diceva solo che si sentiva sola, ma che tutto era bellissimo che

sembrava un sogno e ci mandava le cartoline bellissime.

Lei invece si difendeva dicendomi: “Dovevo mentire, perché altrimenti

non venivi ed io mi sentivo tanto sola e adesso che ci sei tu e non

abbiamo un posto tutto nostro, ci diamo coraggio l’una con l’altra”.

Faouzia

Mi ricordo quando è morto il cugino di mio padre. Mentre gli toglievano

il lenzuolo, ho visto la sua faccia. I suoi capelli erano neri, come

sempre, ma la sua faccia era più bianca, pallida, diversa dal solito.

Con l’arrivo del buio ho avuto paura, vedevo la sua faccia dappertutto.

Durante la cena non ho potuto mangiare perché l’ho visto anche “lì”.

Ho pensato che forse se dormivo mi passava… e non mi passava… lo

vedevo sul muro, nel cuscino, nella coperta, lo vedevo anche ad occhi

chiusi.

Faouzia

Dove c’è la casa sulla collina, c’erano diversi tipi di fiori, alcuni sono di

colore viola e hanno il profumo del cioccolato. C’erano anche i cani

che giocavano e alcuni sono pericolosi e non possiamo neanche

avvicinarci, basta non uscire di casa 2 o 3 giorni che quasi quasi ti

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Capitolo.V

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mangiano vivo. La più pericolosa era una di colore tra il rosso e

l’arancione, pelosa, naso nero e gli occhi neri, non era grossa, era

media.

Una volta non ero uscita di casa per tre giorni perché non stavo bene

e quando mi era passata, ero contenta di uscire fuori con la bambola.

Ho camminato verso la cisterna d’acqua salata che serve per dare da

bere alle mucche e per lavare il pavimento e all’improvviso ho visto la

cagna che mi guardava con i denti fuori e in suono minaccioso e ho

capito che non c’era un’altra scelta da fare oltre che scappare. Ci è

mancato poco per essere morsa.

Ma non odio i cani, ho avuto una grande amicizia con due cani, Philip

e Lassi. Quando tornavo da scuola insieme ai miei fratelli, cugini e zie,

Philip ci veniva a salutare. Quando ci vedeva dalla cima della collina,

correva e saltava dalla gioia. Ci dava la zampetta. Ma Lassi era

speciale, facevo insieme a lui le corse verso la casa del nonno. Si

metteva davanti per impedirmi di superarlo, ma io lo imbrogliavo e

mentre lui correva, io mi fermavo. Quando si accorgeva che non c’ero,

si fermava e tornava. Io facevo finta di correre ma lui mi teneva

d’occhio e quindi non faceva più di un passo finché mi arrendevo e mi

mettevo a correre quasi sempre dietro di lui.

Violeta

A me piace tanto fare le vacanze in Grecia, proprio in un’isola che si

chiama Zante. E’ un’isola meravigliosa nel mare Ionio, più vicina

all’Africa che alla Grecia.

Un’isola dolce dove puoi trovare tutti i tipi di spiaggia e i mari del

mondo. Spiagge bianche e nere. Spiagge rocciose e rumorose, che ti

meravigliano quanto gli scogli. Spiagge affollate da turisti inglesi,

tedeschi, e adesso sono lì anche gli italiani.

Io ci sono andata spesso con mia figlia e abbiamo esplorato l’isola da

tutte le parti, soprattutto andando in montagna sulla cima dell’isola a

vedere tutto il mare e le spiagge nello stesso tempo dall’alto. L’isola di

Zante è una delle più belle che ci siano in Grecia.

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Una volta, insieme a mia figlia, ci sentivamo stanche e abbiamo

deciso di andare in una spiaggia vicino alla città, per non fare tardi.

Siamo andate sulle rocce appena fuori e da lì si vedevano i traghetti

che venivano e andavano portando i turisti. Abbiamo scelto una roccia

dentro al mare per sentire di più la freschezza dell’acqua. Abbiamo

messo le nostre cose, le borse e i cellulari, le ciabatte da una parte e

si siamo sdraiate sui nostri asciugamani tranquille a prendere il sole.

Intanto parlavamo della bellezza dell’isola e gli albanesi che erano lì,

un po’ lontano da noi, parlavano in greco. Quando ci siamo sentite

perse dentro all’acqua e tutte le nostre cose galleggiavano. Che

cos’era? Un’onda più grande del solito è venuta improvvisamente e

ha sommerso tutto, noi e le nostre cose. Siamo rimaste stupite. Da

dove era venuta? Il mare era tranquillo, ma un grande traghetto che

era passato mezz’ora prima poteva avere fatto quell’onda. Tutte le

nostre cose erano andate male, il cellulare di mia figlia non funzionava

più. Poi quando ci siamo tranquillizzate, abbiamo cambiato posto e ci

siamo messe a discutere degli tsunami, pensando come è terribile e

allo stesso tempo meraviglioso il mare.

AUTOBIOGRAFIA IN FOGLIETTI

Aissata

Alcuni momenti della mia vita 1. 1964-1968. Germania. Papà in servizio all’Ambasciata con noi

2. 1970-1976. Momenti della mia squadra di pallavolo

3. 1985 Premiazione. La fine dell’Università in Guinea

4. 1986 consegna della Laureat (Diplome)

5. 9.04.93 Consegna del diploma di PhD in Russia

6. giugno ’93 Matrimonio

7. febbraio ’95 Nascita di mio figlio Ousmane

8. maggio ’97 Nascita di mia figlia Namfadima

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Capitolo.V

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9. settembre 1998 Arrivo in Italia per ricongiungimento familiare

10. gennaio 1998 Nascita della terza figlia Awa

11. gennaio 2005 La morte di una mia cara amica d’infanzia

12. 9.10.2008 Un giorno nero. Mancanza di mia mamma

Faouzia

Un pezzo del mio cuore 1. La morte di mio nonno che era come un padre per me, era

grande e importante. D’estate il nonno si era sentito male. Era la

prima volta che passava la notte fuori casa.

2. La zia che era come una sorella, era una compagna di

infanzia

3. I miei cugini che hanno lasciato la scuola

4. Professore di lingua araba, arrabbiato

5. Il giorno dell’attacco a Bagdad

6. 12.08.1993, giorno del matrimonio

7. 05.04.1995 arrivo in Italia, il treno Roma-Napoli, a Napoli la

Pasqua

8. 25.05.1995 la nascita di Katri, mi sono dimenticata del mondo

intero

9. 1.02.1997 in ospedale San Paolo per mia figlia

10. 24.02.1997 la nascita dei gemelli

Violeta

Pezzi di vita 1. 10.02.64 La morte di mio papà

Ero a scuola. Nella mia classe, c’era un silenzio strano e tutti volevano

me. In un momento è entrato un uomo e qualcosa ha parlato con la

maestra poi lui mi ha preso con sé e mi ha portato dai miei. Gli ho

chiesto perché non mi porti a casa? Lui non mi ha dato nessuna

risposta. Ma dopo ho saputo che mio papà aveva avuto un incidente

con la macchina ed era morto. La casa era piena di gente.

2. 30.02.80 La morte di mia sorella

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E’ stato un giorno di sofferenza, l’ultima volta che l’ho vista e il suo

ricordo mi accompagna per tutta la vita. Era più bella che mai.

3. 11.02.88 La morte dell’altra mia sorella

Era quasi paralizzata e non poteva neanche parlare. Erano gli ultimi

momenti con lei, quando mi è venuto uno starnuto. Lei si è svegliata e

mi ha detto “Salute”. Dopo un po’ è morta. Ce l’ho nelle orecchie la

sua voce.

4. Il mio primo stipendio

Avevo 15 anni, facevo concerti con il mio gruppo di ballo. Eravamo in

tournée e quando siamo tornati io avevo risparmiato i soldi ed era la

prima volta che portavo i soldi per aiutare mia mamma. Ed ero felice

di quello che ho potuto fare. Mi ricordo come correvo per la strada

stringendo i soldi che avevo in tasca e che felicità quando li ho dati

alla mia mamma.

Il concorso di mia figlia per andare nella scuola di musica

5. Il primo debutto di mia figlia sul palcoscenico come cantante

6. Quando ho visto mia figlia sul palcoscenico della Scala, come

avevo sognato

7. Il mio primo Tg in TV

8. La delusione quando mi hanno rubato il progetto

9. Il mio primo racconto e la pubblicazione, successo e

delusione

10. La mia vecchia casa

11. Quando vedo la mia mamma

LA PARTENZA PER L’ITALIA

Aissata

Alla fine del mio percorso formativo, mi sono sposata e mio marito

viveva già in Italia. Sono venuta in Italia nel 1994 con un Visto

d’Ingresso e dopo sono tornata a casa perché avevo più sostegno e

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Capitolo.V

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poi anche il lavoro mi aspettava in Università. Così si faceva avanti e

indietro fino al 2000. Dopodiché abbiamo studiato la cosa e deciso

che io chiedessi l’aspettativa al posto di lavoro per motivi familiari e

l’ho ottenuto. Allora da quel momento mi sono trasferita in Italia con

tutti i figli e poi adesso sono qui e cerco di integrarmi piano piano. Che

non è facile però penso di arrivare almeno coi figli.

Beatriz

Non sono partita giovanissima, ma la possibilità di farlo era nell’aria da

tempo. A vent’anni il mio fidanzato aveva fatto un giro in diversi paesi

d’Europa con una squadra di rugby. È rimasto affascinato dal primo

mondo e d’allora ha continuato a cercare il modo di realizzare questo

sogno. Io lo lasciavo fare, pensando che sarebbe stato difficile trovare

la via di emigrare.

La via è stato il rugby e il fatto che tutti e due avevamo nonni italiani e

quindi la possibilità di acquisire la cittadinanza italiana come oriundi.

Avevamo trentacinque anni e una vita organizzata, ma le prospettive

erano buone, in Argentina potevamo chiedere l’aspettativa nei nostri

lavori e in Italia ci aspettavano con un contratto per giocare e

l’appartamento. Non avevamo figli e ci entusiasmava l’idea di

conoscere l’Europa.

Non rischiavamo niente, almeno era questo quello che pensavamo

allora. Alla mia famiglia è dispiaciuta molto la nostra decisione di

partire: “Non ve ne andate, l’Argentina avrà un futuro migliore”, ci

dicevano, “ma se è proprio quello che volete, andate, noi saremo

sempre qui, se avrete bisogno”. E così siamo partiti per l’Italia. Il resto

è un’altra storia.

Edith

Primo viaggio effettuato in Libano, nel ’93 e lì ho vissuto 6 anni.

Tornata in Costa d’Avorio nel 2001, 8 mesi dopo sono partita per la

Francia, perché sognavo di vederla e conoscerla come mi avevano

parlato. E avevo in mente tanti sogni. Poi arrivata in Francia i primi

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mesi tutto andava bene, poi dopo ho iniziato ad avere problemi di

documenti. Ho incontrato una ragazza a casa di amiche che mi ha

invitato in Italia. Dentro i miei sogni c’era anche l’Italia, senza aver mai

pensato di venirci perché mi piaceva di più la Francia.

Decido di venirci nel 2002 e l’inizio non è stato facile. Poi nel 2003

ottengo il mio primo permesso, subito rispetto a quello francese.

Subito mi metto a studiare, poi lavorare e decido di integrarmi. Mi sto

integrando, facendo tante belle cose.

Edvin

Penso che la caduta del muro di Berlino ha segnato l’inizio di

un’epoca che in un certo modo ha stabilito il destino di migliaia di

persone. Anche nella piccola Albania, la situazione è cambiata

drasticamente. Per capirci meglio: in un breve tempo, noi che

avevamo un lavoro sicuro, il minimo di mangiare e di vivere ci siamo

trovati senza. In Albania non c’era la proprietà privata e tutto era dello

Stato (anche noi!). Dall’oggi al domani tutto questo è cambiato: le

aziende sono state distrutte anche come costruzioni, non si sapeva

cosa fare, come mangiare. Non funzionavano le leggi, lo Stato. Era un

caos. E in questo momento il confine viene aperto, cioè tutti potevano

andare via senza visto. In più nei porti c’erano le navi che portavano

la gente in Italia. Io non sono scappata, non ero pronta. I miei fratelli

invece sono partiti e, una volta sistemati, mi hanno invitato ad andare

da loro. Non ero convinta. Tutti mi dicevano: “Vai! Non vedi che qui la

situazione peggiora sempre di più?!”. Così ho deciso. Sono arrivata in

Italia con un Visto di Turismo. I primi tempi mi sono serviti per

conoscere questo paese, gli abitanti, come funzionavano la vita e le

regole. La prima cosa che ho capito erano “le possibilità mancate”

nella mia Albania. E questo mi ha fatto male. Intanto la situazione

andava verso la guerra civile che, per fortuna, non c’è stata.

Pensando a mia figlia, a cosa l’aspettava in Albania, ho deciso di

stare in Italia.

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Capitolo.V

- 129 -

Minata

Sono venuta in Italia per ricongiungimento familiare, per mio marito.

Lui in Costa d’Avorio non aveva un buon lavoro allora ha pensato di

emigrare in Italia per lavorare meglio, per portare avanti la famiglia.

Adesso sono qui e mi trovo bene perché lavoro e abbiamo portato qui

anche i nostri figli.

L’EDUCAZIONE DEI FIGLI

Aissata

L’educazione dei figli è molto importante perché è l’inizio del loro

cammino. E appartiene alle donne e alla scuola. Alle donne perché

passano più tempo con i figli, a scuola perché non si va soltanto a

imparare, ma a dare e a ricevere. La figura del papà è quasi assente.

Però è sempre al corrente e chiede anche rispetto al percorso

educativo dei figli o va informato dalla mamma.

La casa è gestita quasi interamente dalla donna per il fatto del suo

compito di casalinga.

Le scelte professionali dipendono dalle esperienze delle persone. Si

cerca di parlarne in famiglia a consultare le persone che hanno la

visione più ampia su certe specialità.

Il denaro è usato dalla donna perché fanno il mercato e hanno più

tempo per il pagamento delle bollette, per vestire i figli.

Beatriz

Quando ero piccola la mamma era a casa e il papà a lavorare nella

sua falegnameria. Eravamo quattro fratelli, 2 maschi e 2 femmine. Io

ero la secondogenita ed ero molto gelosa di mio fratello maggiore

perché aveva dei privilegi che io non avevo. Lui poteva andare al club

sportivo e a fare sport e nuotare con mio papà e io no perché le

donne stanno a casa ad aiutare nelle faccende domestiche. In genere

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- 130 -

lui aveva più libertà di me e poi quando i miei genitori parlavano del

nostro futuro: lui lo vedevano laureato e me sposata con figli, una

brava mamma. Per fortuna sono nata a cavallo della rivoluzione

femminile e mio papà aveva una mentalità aperta alle novità. Mentre

crescevo erano sempre più le donne che seguivano gli studi superiori

e che lavoravano, così quando è arrivato il momento di andare

all’Università, mi hanno permesso di farlo.

Oggi i maschi e le femmine vengono cresciuti sostanzialmente allo

stesso modo. Ci sono ancora gli sport prevalentemente maschili come

le professioni o i mestieri tradizionalmente svolti dagli uomini.

Le donne della mia generazione hanno conquistato il diritto di lavorare

fuori di casa, ma i lavori domestici e l’educazione dei figli sono rimasti

comunque compito delle donne.

Oggi gli uomini collaborano di più nell’educazione dei figli, ma poco o

niente nei lavori di casa.

Fanny

L’educazione dei figli è più che altro compito della mamma, anche se

lavora, ma è quella che si occupa dei figli. Siamo noi ad occuparci di

loro sin da piccoli, ad alzarci la notte quando piangono, a dare loro le

prime pappe.

Siamo noi a fargli fare i compiti e a farli studiare, ad andare alle

riunioni, a far loro capire quello che è giusto e quello che non lo è. Il

marito si occupa di lavorare e ogni tanto aiuta in casa. Lui c’è quando

c’è da andare al parco e anche quando i bambini fanno i capricci e c’è

da rimproverarli un po’ duramente.

La gestione della casa è della donna. E a casa mia l’uso del denaro lo

faccio sempre io per riuscire a far quadrare i soldi, per la spesa, le

bollette, le medicine e per tutto in generale.

Anche nel mio paese la gestione della casa è della donna, è lei quella

che pulisce, mette in ordine, vede cosa c’è da fare in casa, che cosa

c’è da comprare, tutte le commissioni da fare perché la donna non

lavora.

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Capitolo.V

- 131 -

Qui invece ho imparato che le cose sono un po’ diverse: tante coppie

per potere andare avanti devono lavorare tutti e due a tempo pieno e

quindi i mariti hanno cominciato ad aiutare in casa, soprattutto a fare

da mangiare, a mettere in ordine ed ad occuparsi dei bambini.

Faouzia

Quando sono nata il nonno e il mio papà erano contenti del mio arrivo.

Non mi sono mai accorta delle differenze tra maschio e femmina.

Anche noi femmine non potevamo uscire di casa quando gli operai

stavano lavorando fuori.

La stanza per gli ospiti maschi.

Le femmine o i maschi che si fanno bocciare a scuola, sono

condannati ad abbandonare la scuola.

La spesa è compito solo dei maschi.

Mia madre non ha mai fatto un giorno in un mercato.

Io non dico a mio padre che qui sono io a fare la spesa, ad andare in

Posta e in banca per le bollette perché mio marito lavora e non

possiamo fare diversamente.

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Sezionemonografica

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Sezione monografica: aspetti demografici della provincia di Piacenza

Gli stranieri residenti nella provincia di Piacenza

di Marcella Bonvini Gli stranieri iscritti alle anagrafi dei comuni della provincia di Piacenza al 31/12/2008 sono risultati 33.13478, consistenza pari all’11,6% del totale dei residenti. La crescita della popolazione straniera residente sul territorio prosegue a ritmi molto sostenuti: dal 2002, anno di inizio della rilevazione regionale della popolazione straniera, l’incremento medio annuo è stato in media del 20% pari ad oltre 3.600 residenti stranieri in più all’anno. Anche nel 2008 la crescita é stata rilevante: 4.715 residenti pari al +16,6% rispetto alla numerosità di fine 2007. Sicuramente sull’entità dei flussi in ingresso dell’ultimo biennio ha influito l’allargamento dell’Unione Europea a Romania e Bulgaria del 2007, ma la crescita non è riconducibile unicamente a questo. Provincia di Piacenza: popolazione residente straniera per genere, valori assoluti e percentuali

VALORI ASSOLUTI % PER GENERE % SU TOTALE RESIDENTI ANNO MASCHI FEMMINE TOTALE MASCHI FEMMINE MASCHI FEMMINE TOTALE 2002 6.330 5.022 11.352 55,8 44,2 4,9 3,6 4,2 2003 8.320 7.131 15.451 53,8 46,2 6,3 5,1 5,7 2004 9.969 8.767 18.736 53,2 46,8 7,5 6,2 6,8 2005 11.320 10.268 21.588 52,4 47,6 8,4 7,2 7,8 2006 12.614 11.794 24.408 51,7 48,3 9,3 8,3 8,8 2007 14.614 13.805 28.419 51,4 48,6 10,7 9,6 10,1 2008 16.953 16.181 33.134 51,2 48,8 12,2 11,0 11,6

Fonte: Provincia di Piacenza – Ufficio Statistica

78 Sono qui analizzati i dati della Rilevazione regionale della popolazione residente con riferimento ai soli residenti stranieri. La Rilevazione è realizzata con cadenza annuale in collaborazione con le Province. I dati sono trasmessi dai comuni e riferiscono pertanto solo sugli stranieri regolarmente residenti ed iscritti alle anagrafi comunali. E’ doveroso premettere che questi dati sono in una certa misura sovrastimati, in quanto parte dei migranti quando si sposta verso altri Stati non provvede a realizzare la cancellazione dall’anagrafe; tuttavia valutando che sicuramente sul territorio è presente anche una quota di stranieri irregolari, i valori non dovrebbero allontanarsi troppo dalla realtà.

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Declinando i dati sugli stranieri residenti per genere, la distribuzione a fine 2008 risulta: 51,2% uomini e 48,8% donne. Anche nel 2008 si conferma la tendenza all’aumento del peso della componente femminile tra i residenti stranieri: le straniere iscritte alle anagrafi comunali della provincia registrano dal 2002 tassi di crescita superiori a quelli della componente maschile (+22% medio annuo rispetto al +18%) che ormai numericamente quasi eguagliano, mentre la distanza in termini di incidenza sulla popolazione totale si è progressivamente ridotta, giungendo a poco più di un punto percentuale (12,2% gli uomini e 11% le donne). Nel 2008 la popolazione straniera femminile è aumentata del 17,2% annuo, quella maschile del 16%, +2.339 unità gli uomini e +2.376 le donne. Andamento della popolazione straniera residente per genere, anni 2002- 2008

Fonte: Provincia di Piacenza – Ufficio Statistica La distribuzione territoriale della popolazione straniera

La distribuzione sul territorio degli stranieri non è uniforme e presenta una concentrazione maggiore rispetto al totale dei residenti nei comuni di pianura, nel capoluogo e nei centri di maggiore dimensione. Nei comuni di pianura risiede infatti il 71% degli stranieri, contro il 66% del totale dei residenti; il capoluogo da solo concentra il 43% degli stranieri (36% totale residenti) ed i quattro comuni con oltre 10.000 abitanti il 60% (la percentuale è pari al 50% per il totale dei residenti). Se l’incidenza a livello provinciale dei cittadini stranieri sul totale dei residenti è dell’11,6%, in pianura è pari al 12,5%, e nel capoluogo al 14%; viceversa è inferiore alla media provinciale sia in collina (10,7%) che in montagna (5,5%).

V A LOR I A SSOLU T I

0

5.000

10.000

15.000

20.000

25.000

30.000

35.000

2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

MASCHI FEMMINE

INDI CI BAS E 2002 = 100

100,0

150,0

200,0

250,0

300,0

350,0

2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

MASCHI FEMMINE TOTALE

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Sezionemonografica

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Analogamente considerando i Distretti socio sanitari, sia in quello di Ponente che di Levante l’incidenza della popolazione straniera è inferiore alla media provinciale (valore su cui incide fortemente il dato del capoluogo) con significative differenze: se nel Distretto di Ponente gli stranieri rappresentano l’11,4% dei residenti, a causa della significativa concentrazione in Val Tidone, a Levante non superano ancora la soglia del 10%. A livello di singoli comuni, sono Castel San Giovanni e Borgonovo che registrano la maggiore incidenza di stranieri, rispettivamente pari al 18% e 16% del totale dei residenti; una quota di stranieri sul totale della popolazione maggiore rispetto al dato medio provinciale si rileva anche, oltre che nel capoluogo, ad Agazzano, Sarmato, Villanova, Cortemaggiore, Fiorenzuola, Pianello e Ziano. Provincia di Piacenza: incidenza percentuale della popolazione residente straniera sul totale dei residenti al 31/12/2008

Fonte: Provincia di Piacenza - Ufficio Statistica

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La concentrazione territoriale dei residenti stranieri è risultata per altro accentuata dalla dinamica del 2008, anno in cui l’incremento dei residenti stranieri ha riguardato prevalentemente i residenti in pianura ed in particolare nel capoluogo. La crescita del 16,6% rispetto al 2007 sintetizza aumenti del 17,8% in pianura (18% nel capoluogo), del 14,2% in collina e del 9,6% in montagna; in valore assoluto, l’aumento dei cittadini stranieri residenti nei comuni di pianura, pari a +3.534, rappresenta il 75% della variazione totale annua registrata nel territorio provinciale (quella del capoluogo pari a +2.189 unità, il 43% della variazione provinciale). La distribuzione per genere dei residenti stranieri nel complesso della provincia si presenta sostanzialmente equilibrata: il 51% sono uomini ed il 49% donne; nella zona montana, tuttavia, si ha una netta prevalenza del genere femminile che qui raggiunge il 61% dei residenti stranieri, ad indicare una probabile diffusione del fenomeno delle badanti per la popolazione anziana di tale territorio. Oltre ai comuni montani la prevalenza femminile, sebbene meno accentuata, si rileva anche a Gazzola, Gossolengo, Lugagnano, Travo, Vernasca e Vigolzone. Alcune differenze sussistono anche nella distribuzione per genere tra i Distretti socio-sanitari, in particolare leggermente più spostata verso il genere maschile la popolazione straniera del Distretto di Piacenza, rispetto agli altri due, dove invece si ha una sostanziale equidistribuzione. Da osservare che nel capoluogo, a differenza degli altri due Distretti, mentre tra la popolazione straniera prevale la componente maschile, viceversa con riferimento al totale dei residenti è più incidente la popolazione femminile (52,3% contro il 50,6% medio degli altri due distretti). Analogamente nei comuni montani dove tra gli stranieri prevalgono le donne, si ha una prevalenza maschile tra il totale dei residenti. Ovvero si osserva una sorta di compensazione attuata dai residenti stranieri il cui insediamento è funzionale alle esigenze delineatesi sul territorio a seguito di dinamiche demografiche ed economiche.

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Sezionemonografica

- 137 -

Provincia di Piacenza: distribuzione della popolazione straniera residente al 31/12/2008 per genere ed area territoriale

0% 20% 40% 60% 80% 100%

MONTAGNA

COLLINA

PIANURA

PIACENZA

PONENTE

LEVANTE

MASCHI FEMMINE

Fonte: Provincia di Piacenza – Ufficio Statistica Provincia di Piacenza: popolazione straniera residente al 31/12/2008 per genere ed area territoriale

0

2.000

4.000

6.000

8.000

10.000

12.000

14.000

MO

NTA

GN

A

CO

LLIN

A

PIA

NU

RA

PIA

CE

NZA

PO

NE

NTE

LEV

AN

TE

M A S C H I FE M M IN E

Fonte: Provincia di Piacenza – Ufficio Statistica

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Provincia di Piacenza: popolazione straniera residente al 31/12/2008, valori assoluti, distribuzione % per comune ed incidenza % sul totale residenti

STRANIERI 2008 INCIDENZA % SULLA POPOLAZIONE % SUL TOTALE PROVINCIALE COMUNI MASCHI FEMMINE TOTALE MASCHI FEMMINE TOTALE MASCHI FEMMINE TOTALEAGAZZANO 139 150 289 13,6 14,5 14,1 0,8 0,9 0,9ALSENO 273 227 500 11,2 9,3 10,2 1,6 1,4 1,5BESENZONE 54 40 94 10,8 8,1 9,5 0,3 0,2 0,3BETTOLA 90 118 208 5,8 7,7 6,8 0,5 0,7 0,6BOBBIO 138 198 336 7,7 10,3 9,0 0,8 1,2 1,0BORGONOVO 611 565 1.176 16,5 14,9 15,7 3,6 3,5 3,5CADEO 347 336 683 11,5 11,0 11,3 2,0 2,1 2,1CALENDASCO 121 105 226 9,8 8,6 9,2 0,7 0,6 0,7CAMINATA 7 10 17 4,8 6,6 5,7 0,0 0,1 0,1CAORSO 293 271 564 12,1 10,8 11,4 1,7 1,7 1,7CARPANETO 355 308 663 9,4 8,2 8,8 2,1 1,9 2,0CASTELL'ARQUATO 173 179 352 7,5 7,5 7,5 1,0 1,1 1,1CASTEL SAN GIOVANNI 1.303 1.135 2.438 19,3 16,4 17,8 7,7 7,0 7,4CASTELVETRO 210 205 415 7,9 7,2 7,6 1,2 1,3 1,3CERIGNALE 2 2 4 2,0 2,8 2,4 0,0 0,0 0,0COLI 9 30 39 1,8 6,0 3,9 0,1 0,2 0,1CORTEBRUGNATELLA 5 18 23 1,5 4,8 3,2 0,0 0,1 0,1CORTEMAGGIORE 345 258 603 15,2 11,5 13,4 2,0 1,6 1,8FARINI 12 22 34 1,6 2,8 2,2 0,1 0,1 0,1FERRIERE 11 25 36 1,4 3,1 2,2 0,1 0,2 0,1FIORENZUOLA 1.011 943 1.954 14,2 12,3 13,2 6,0 5,8 5,9GAZZOLA 51 61 112 5,0 6,3 5,6 0,3 0,4 0,3GOSSOLENGO 92 128 220 3,7 5,0 4,4 0,5 0,8 0,7GRAGNANO 241 255 496 11,5 11,5 11,5 1,4 1,6 1,5GROPPARELLO 122 108 230 10,1 9,0 9,6 0,7 0,7 0,7LUGAGNANO 164 192 356 7,8 8,7 8,2 1,0 1,2 1,1MONTICELLI 251 256 507 9,3 9,1 9,2 1,5 1,6 1,5MORFASSO 14 27 41 2,3 4,5 3,4 0,1 0,2 0,1NIBBIANO 112 100 212 9,3 8,8 9,0 0,7 0,6 0,6OTTONE 17 28 45 5,2 9,6 7,2 0,1 0,2 0,1PECORARA 18 23 41 4,1 6,0 4,9 0,1 0,1 0,1PIACENZA 7.425 6.926 14.351 15,3 13,0 14,1 43,8 42,8 43,3PIANELLO 136 141 277 12,0 12,3 12,1 0,8 0,9 0,8PIOZZANO 21 18 39 5,8 5,9 5,9 0,1 0,1 0,1PODENZANO 287 316 603 6,5 7,2 6,8 1,7 2,0 1,8PONTEDELL'OLIO 205 183 388 8,5 7,1 7,8 1,2 1,1 1,2PONTENURE 342 337 679 11,6 10,8 11,2 2,0 2,1 2,0RIVERGARO 262 262 524 8,0 7,7 7,8 1,5 1,6 1,6ROTTOFRENO 633 602 1.235 11,5 10,6 11,0 3,7 3,7 3,7SAN GIORGIO PIACENTINO 201 211 412 6,9 7,2 7,1 1,2 1,3 1,2SAN PIETRO IN CERRO 41 40 81 8,3 8,4 8,3 0,2 0,2 0,2SARMATO 220 195 415 15,4 13,7 14,6 1,3 1,2 1,3TRAVO 47 59 106 4,6 5,7 5,2 0,3 0,4 0,3VERNASCA 46 76 122 3,9 6,4 5,2 0,3 0,5 0,4VIGOLZONE 172 199 371 8,4 9,1 8,8 1,0 1,2 1,1VILLANOVA 154 119 273 16,0 12,2 14,1 0,9 0,7 0,8ZERBA 1 0 1 1,8 0,0 1,0 0,0 0,0 0,0ZIANO 169 174 343 12,7 12,6 12,6 1,0 1,1 1,0PROVINCIA 16.953 16.181 33.134 12,2 11,0 11,6 100,0 100,0 100,0

(segue)

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Sezionemonografica

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(segue) Provincia di Piacenza: popolazione straniera residente al 31/12/2008, valori assoluti, distribuzione % per comune ed incidenza % sul totale residenti

STRANIERI 2008

INCIDENZA % SULLA POPOLAZIONE TOTALE

% SUL TOTALE PROVINCIALE

MASCHI FEMMINE TOTALE MASCHI FEMMINE TOTALE MASCHI FEMMINE TOTALECOMUNITA' MONTANE VALLI NURE ED ARDA 459 568 1.027 5,6 6,8 6,22 2,7 3,5 3,1DELL'APPENNINO PIACENTINO 240 353 593 5,3 7,8 6,55 1,4 2,2 1,8VALLE DEL TIDONE 273 274 547 9,3 9,7 9,50 1,6 1,7 1,7ZONE ALTIMETRICHE MONTAGNA 317 491 808 4,3 6,7 5,53 1,9 3,0 2,4COLLINA 4.569 4.358 8.927 11,0 10,3 10,68 27,0 26,9 26,9PIANURA 12.067 11.332 23.399 13,3 11,7 12,46 71,2 70,0 70,6DISTRETTI SOCIO-SANITARI CITTA’ DI PIACENZA 7.425 6.926 14.351 15,3 13,0 14,10 43,8 42,8 43,3PONENTE 4.355 4.259 8.614 11,7 11,2 11,44 25,7 26,3 26,0LEVANTE 5.173 4.996 10.169 9,6 9,0 9,34 30,5 30,9 30,7

Fonte: Provincia di Piacenza – Ufficio Statistica La struttura per età degli stranieri residenti Come noto, la popolazione straniera residente è una popolazione giovane, l’età media è di 30 anni (29,8 gli uomini e 30,7 le donne) ed il 72% ha meno di 40 anni. Se l’incidenza degli stranieri sul totale dei residenti è nel complesso pari all’11,6%, tra la popolazione con meno di 40 anni sale al 20% mentre è solo il 6% tra gli ultra-quarantenni. Del tutto simili le distribuzioni per grandi classi di età della popolazione straniera maschile e femminile: solo leggere differenze nei pesi della popolazione più anziana, leggermente maggiore tra le donne (2,6% contro l’1,8% degli uomini) e di quella più giovane, viceversa maggiore per gli uomini. Modeste sono anche le differenze a livello territoriale nella struttura per età della popolazione straniera. Solo nell’area montana anche la popolazione straniera è un po’ più anziana rispetto al resto della provincia: l’età media è di 34 anni e la distribuzione per grandi classi di età è spostata rispetto alle altre zone, verso la classe 40-64 anni, ed il maggiore peso di tale classe è determinato dalla componente femminile. Per quanto riguarda le zone di collina e pianura, si registra una quota un po’ più elevata di minori di 15 anni in collina e di 15-39enni in pianura, ed analoghe differenze si riscontrano tra i due Distretti socio sanitari, di cui quello di Levante ha una popolazione straniera leggermente più giovane. La pianura è attualmente l’unica area, oltre al capoluogo, in cui la popolazione straniera di età inferiore ai 40 anni supera il 20% del totale dei residenti, con un massimo di incidenza pari al 22% per la fascia 15-39 anni.

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Dall’analisi di medio periodo si rileva tuttavia un leggero e progressivo invecchiamento anche della popolazione straniera, con un innalzamento della quota di popolazione di età compresa tra i 40 ed i 64 anni, ad indicare la stabilità di questa popolazione sul territorio. In alcuni comuni quali Agazzano, Borgonovo, Castel San Giovanni, Piacenza, Sarmato e Ziano la popolazione straniera supera ormai il 10% della popolazione totale anche nella fascia 40-64 anni. Provincia di Piacenza: piramide per età della popolazione straniera residente al 31/12/2008

-8 -7 -6 -5 -4 -3 -2 -1 0 1 2 3 4 5 6 7 8

0 - 4 5 - 9

10 - 1415 - 1920 - 2425 - 2930 - 3435 - 3940 - 4445 - 4950 - 5455 - 5960 - 6465 - 6970 - 7475 - 7980 - 8485 - 8990 - 94

MASCHIFEMMINE

Fonte: Provincia di Piacenza – Ufficio Statistica Provincia di Piacenza: distribuzione per classi di età della popolazione residente al 31/12/2008: stranieri e totale

0,00

20,00

40,00

60,00

80,00

100,00

STRANIERI TOTALE RESIDENTI

> 64 ANNI DA 40 A 64DA 15 A 39< 15 ANNI

Fonte: Provincia di Piacenza – Ufficio Statistica

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Sezionemonografica

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Provincia di Piacenza: distribuzione della popolazione straniera residente al 31/12/2008 per grandi classi di età e genere

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DONNE UOMINI TOTALE COMUNI < 15 15 - 39 40 - 64 > 64 < 15 15 - 39 40 - 64 > 64 < 15 15 - 39 40 - 64 > 64 AGAZZANO 23,3 42,7 25,3 8,7 25,2 44,6 25,9 4,3 24,2 43,6 25,6 6,6 ALSENO 22,0 49,3 27,3 1,3 21,2 55,3 20,1 3,3 21,6 52,6 23,4 2,4 BESENZONE 27,5 52,5 20,0 0,0 16,7 70,4 13,0 0,0 21,3 62,8 16,0 0,0 BETTOLA 17,8 54,2 23,7 4,2 25,6 37,8 31,1 5,6 21,2 47,1 26,9 4,8 BOBBIO 18,2 45,5 35,4 1,0 26,8 45,7 26,1 1,4 21,7 45,5 31,5 1,2 BORGONOVO 22,5 48,3 26,0 3,2 22,1 46,3 29,8 1,8 22,3 47,3 28,0 2,5 CADEO 25,3 47,3 24,1 3,3 23,3 51,0 24,5 1,2 24,3 49,2 24,3 2,2 CALENDASCO 27,6 52,4 19,0 1,0 18,2 54,5 24,8 2,5 22,6 53,5 22,1 1,8 CAMINATA 10,0 40,0 50,0 0,0 14,3 42,9 42,9 0,0 11,8 41,2 47,1 0,0 CAORSO 21,4 54,6 21,8 2,2 18,1 56,7 24,2 1,0 19,7 55,7 23,0 1,6 CARPANETO 22,1 56,2 20,5 1,3 32,1 45,4 21,4 1,1 27,5 50,4 21,0 1,2 CASTELL'ARQUATO 21,8 45,3 30,7 2,2 25,4 45,7 26,6 2,3 23,6 45,5 28,7 2,3 CASTEL SAN GIOVANNI 23,0 52,8 20,8 3,4 23,8 50,7 23,9 1,6 23,4 51,7 22,4 2,5 CASTELVETRO 20,0 57,1 19,5 3,4 25,2 54,8 19,5 0,5 22,7 55,9 19,5 1,9 CERIGNALE 0,0 50,0 50,0 0,0 0,0 50,0 0,0 50,0 0,0 50,0 25,0 25,0 COLI 0,0 40,0 56,7 3,3 22,2 55,6 22,2 0,0 5,1 43,6 48,7 2,6 CORTEBRUGNATELLA 16,7 16,7 61,1 5,6 60,0 20,0 20,0 0,0 26,1 17,4 52,2 4,3 CORTEMAGGIORE 25,2 49,2 23,3 2,3 20,3 54,8 22,9 2,0 22,4 52,4 23,1 2,2 FARINI 4,5 40,9 40,9 13,6 8,3 16,7 58,3 16,7 5,9 32,4 47,1 14,7 FERRIERE 8,0 40,0 36,0 16,0 9,1 54,5 27,3 9,1 8,3 44,4 33,3 13,9 FIORENZUOLA 23,1 50,4 23,6 2,9 23,0 50,0 24,6 2,4 23,1 50,2 24,2 2,6 GAZZOLA 19,7 42,6 29,5 8,2 19,6 49,0 27,5 3,9 19,6 45,5 28,6 6,3 GOSSOLENGO 21,9 50,8 25,8 1,6 21,7 47,8 26,1 4,3 21,8 49,5 25,9 2,7 GRAGNANO 23,1 54,5 20,0 2,4 24,9 53,9 18,7 2,5 24,0 54,2 19,4 2,4 GROPPARELLO 18,5 52,8 25,0 3,7 14,8 55,7 25,4 4,1 16,5 54,3 25,2 3,9 LUGAGNANO 21,9 43,8 32,3 2,1 26,2 40,9 30,5 2,4 23,9 42,4 31,5 2,2 MONTICELLI 24,6 50,0 23,4 2,0 28,7 47,4 22,7 1,2 26,6 48,7 23,1 1,6 MORFASSO 0,0 29,6 70,4 0,0 7,1 42,9 28,6 21,4 2,4 34,1 56,1 7,3 NIBBIANO 11,0 56,0 31,0 2,0 21,4 38,4 39,3 0,9 16,5 46,7 35,4 1,4 OTTONE 14,3 39,3 39,3 7,1 17,6 58,8 23,5 0,0 15,6 46,7 33,3 4,4 PECORARA 17,4 39,1 39,1 4,3 11,1 44,4 44,4 0,0 14,6 41,5 41,5 2,4 PIACENZA 18,5 52,0 27,3 2,2 19,1 53,2 26,2 1,4 18,8 52,6 26,7 1,8 PIANELLO 21,3 48,2 25,5 5,0 22,8 50,7 24,3 2,2 22,0 49,5 24,9 3,6 PIOZZANO 5,6 66,7 27,8 0,0 4,8 57,1 38,1 0,0 5,1 61,5 33,3 0,0 PODENZANO 21,8 50,0 25,9 2,2 23,7 50,2 25,1 1,0 22,7 50,1 25,5 1,7 PONTEDELL'OLIO 20,2 50,3 26,2 3,3 19,5 51,7 28,3 0,5 19,8 51,0 27,3 1,8 PONTENURE 25,2 48,7 22,8 3,3 25,1 47,1 25,7 2,0 25,2 47,9 24,3 2,7 RIVERGARO 17,6 47,3 32,1 3,1 27,5 48,1 21,0 3,4 22,5 47,7 26,5 3,2 ROTTOFRENO 23,4 50,7 23,6 2,3 21,5 49,9 26,7 1,9 22,4 50,3 25,2 2,1 SANGIORGIO 24,2 52,1 19,9 3,8 24,9 48,8 24,9 1,5 24,5 50,5 22,3 2,7 SAN PIETRO IN CERRO 37,5 37,5 25,0 0,0 24,4 43,9 29,3 2,4 30,9 40,7 27,2 1,2 SARMATO 26,2 48,2 22,1 3,6 21,8 49,5 25,5 3,2 23,9 48,9 23,9 3,4 TRAVO 13,6 42,4 40,7 3,4 19,1 42,6 36,2 2,1 16,0 42,5 38,7 2,8 VERNASCA 17,1 39,5 40,8 2,6 17,4 50,0 28,3 4,3 17,2 43,4 36,1 3,3 VIGOLZONE 19,1 48,7 29,6 2,5 22,7 52,9 21,5 2,9 20,8 50,7 25,9 2,7 VILLANOVA 30,3 54,6 14,3 0,8 29,9 51,9 16,9 1,3 30,0 53,1 15,8 1,1 ZERBA - - - - 0,0 0,0 0,0 100,0 0,0 0,0 0,0 100,0 ZIANO 20,1 51,1 25,9 2,9 16,0 54,4 28,4 1,2 18,1 52,8 27,1 2,0 TOTALE 20,6 50,9 25,9 2,6 21,4 51,3 25,5 1,8 21,0 51,1 25,7 2,2

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(segue) Provincia di Piacenza: distribuzione della popolazione straniera residente al 31/12/2008 per grandi classi di età e genere

DONNE UOMINI TOTALE AREE < 15 15 - 39 40 - 64 > 64 < 15 15 - 39 40 - 64 > 64 < 15 15 - 39 40 - 64 > 64 COMUNITA' MONTANE VALLI NURE ED ARDA 17,4 46,1 32,6 3,9 20,7 44,9 29,6 4,8 18,9 45,6 31,3 4,3 APPENNINO PIACENTINO 14,7 43,6 39,4 2,3 22,9 46,7 28,3 2,1 18,0 44,9 34,9 2,2 VALLE DEL TIDONE 16,8 50,0 29,6 3,6 21,2 45,1 32,2 1,5 19,0 47,5 30,9 2,6 ZONE ALTIMETRICHE MONTAGNA 14,5 44,2 37,5 3,9 23,0 42,9 29,3 4,7 17,8 43,7 34,3 4,2 COLLINA 21,2 49,9 25,7 3,2 23,4 49,0 25,5 2,0 22,3 49,5 25,6 2,6 PIANURA 20,6 51,5 25,5 2,3 20,6 52,4 25,3 1,6 20,6 52,0 25,4 2,0 DISTRETTI SOCIO-SANITARI CITTA’ DI PIACENZA 18,5 52,0 27,3 2,2 19,1 53,2 26,2 1,4 18,8 52,6 26,7 1,8 PONENTE 21,6 49,9 25,3 3,2 22,7 49,3 25,9 2,1 22,2 49,6 25,6 2,6 LEVANTE 22,6 50,1 24,6 2,7 23,6 50,3 24,1 2,0 23,1 50,2 24,3 2,3

Fonte: Provincia di Piacenza Provincia di Piacenza: distribuzione per classi di età e genere della popolazione residente straniera al 31/12/2008

STRANIERI

0,0

10,0

20,0

30,0

40,0

50,0

60,0

< 15 15 - 39 40 - 64 > 64

UOMINIDONNE

Fonte: Provincia di Piacenza – Ufficio Statistica La dimensione dei fenomeni migratori verso il territorio piacentino é inoltre ben visibile anche dalla quote importanti che la popolazione straniera rappresenta sul totale della popolazione di età inferiore ai 40 anni in alcuni comuni: a Castel San Giovanni e Villanova siamo ormai al 30% e 28% rispettivamente, ad Agazzano, Borgonovo, Cortemaggiore e Piacenza al 25% del totale. Scendendo nel dettaglio delle classi quinquennali di età si segnala una anomalia demografica che si riscontra nella distribuzione per genere per le classi 20–24 anni e 25-29 anni in cui si ha una prevalenza di donne, più accentuata nella classe 24-29 (52% donne) che è anche la classe in cui è massima l’incidenza della popolazione straniera rispetto al totale dei residenti: 25%.

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Sezionemonografica

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Provincia di Piacenza: incidenza % della popolazione straniera residente al 31/12/2008 per grandi classi di età e genere

DONNE UOMINI TOTALE COMUNI/AREE < 15 15 - 39 40 - 64 > 64 < 15 15 - 39 40 - 64 > 64 < 15 15 - 39 40 - 64 > 64

AGAZZANO 27,8 26,2 11,4 4,0 25,0 23,8 10,3 2,2 26,3 25,0 10,8 3,2 ALSENO 16,2 16,3 7,2 0,5 20,4 18,9 6,1 2,0 18,2 17,7 6,7 1,1 BESENZONE 16,9 13,6 5,6 0,0 17,3 25,7 3,8 0,0 17,1 19,5 4,6 0,0 BETTOLA 15,1 18,7 5,5 0,9 14,7 8,6 4,9 1,2 14,9 13,3 5,2 1,0 BOBBIO 21,7 21,2 11,2 0,3 20,3 14,5 5,9 0,4 21,0 17,8 8,5 0,3 BORGONOVO 28,6 25,6 11,6 1,8 27,7 25,8 13,0 1,5 28,1 25,7 12,3 1,7 CADEO 20,6 17,3 7,7 1,7 18,9 17,7 7,9 0,8 19,7 17,5 7,8 1,3 CALENDASCO 19,5 15,9 4,7 0,3 13,8 17,8 6,2 1,3 16,5 16,9 5,5 0,8 CAMINATA 7,1 17,4 9,3 0,0 12,5 8,3 6,8 0,0 9,1 11,9 8,2 0,0 CAORSO 18,0 20,5 7,1 0,9 17,2 22,1 7,8 0,6 17,6 21,3 7,5 0,8 CARPANETO 13,3 15,6 5,1 0,5 18,2 14,5 5,9 0,5 16,0 15,0 5,5 0,5 CASTELL'ARQUATO 15,9 13,6 6,8 0,6 14,6 11,9 5,6 0,8 15,2 12,7 6,2 0,6 CASTEL SAN GIOVANNI 31,4 28,8 10,4 2,2 33,5 29,1 13,2 1,7 32,5 29,0 11,8 2,0 CASTELVETRO 13,0 13,9 4,2 1,0 14,2 13,8 4,2 0,2 13,6 13,8 4,2 0,7 CERIGNALE 0,0 8,3 5,3 0,0 0,0 11,1 0,0 1,9 0,0 9,5 1,9 1,1 COLI 0,0 13,2 11,6 0,4 7,4 5,1 1,1 0,0 3,6 8,9 5,9 0,2 CORTEBRUGNATELLA 9,4 4,1 10,0 0,6 15,0 1,5 0,9 0,0 11,5 2,9 5,4 0,3 CORTEMAGGIORE 27,9 21,0 7,9 0,9 23,2 27,2 9,7 1,5 25,2 24,3 8,9 1,2 FARINI 2,2 7,1 3,9 0,8 2,9 1,6 2,3 0,7 2,5 4,4 3,0 0,7 FERRIERE 4,8 8,5 4,2 0,9 2,9 4,1 1,1 0,3 3,9 6,0 2,5 0,6 FIORENZUOLA 23,6 22,4 8,7 1,3 24,2 22,5 9,8 1,7 23,9 22,5 9,3 1,5 GAZZOLA 9,6 10,4 5,1 2,1 7,1 9,3 3,6 0,9 8,3 9,8 4,3 1,5 GOSSOLENGO 7,2 7,9 3,7 0,4 4,8 5,8 2,6 1,1 5,9 6,9 3,2 0,7 GRAGNANO 18,0 19,8 7,3 1,2 19,2 19,6 5,8 1,7 18,6 19,7 6,5 1,4 GROPPARELLO 16,9 18,8 6,9 1,0 14,9 19,7 7,2 1,6 15,9 19,3 7,0 1,3 LUGAGNANO 15,8 14,5 8,3 0,6 16,3 10,6 6,3 1,0 16,0 12,5 7,3 0,8 MONTICELLI 20,2 17,1 6,4 0,6 21,8 15,9 5,6 0,5 21,0 16,5 6,0 0,6 MORFASSO 0,0 7,8 11,7 0,0 2,9 4,6 2,0 1,3 1,5 6,0 6,3 0,6 NIBBIANO 12,0 19,6 8,0 0,5 20,0 14,4 9,4 0,3 16,5 17,0 8,8 0,4 OTTONE 22,2 23,9 15,7 1,3 13,6 20,4 3,8 0,0 17,5 22,1 8,6 0,6 PECORARA 14,8 16,4 8,0 0,5 7,4 10,4 5,9 0,0 11,1 12,9 6,8 0,3 PIACENZA 21,9 25,4 10,3 1,0 22,9 26,0 11,2 1,1 22,4 25,7 10,7 1,1

PIANELLO 22,4 22,5 10,1 2,0 22,0 21,3 8,4 1,1 22,2 21,9 9,2 1,6 PIOZZANO 3,8 18,2 4,9 0,0 2,4 12,2 6,5 0,0 3,0 14,6 5,8 0,0 PODENZANO 11,8 12,2 5,2 0,7 10,6 10,1 4,5 0,4 11,2 11,1 4,8 0,6 PONTEDELL'OLIO 11,5 14,0 5,7 0,8 12,8 15,1 6,6 0,2 12,2 14,6 6,1 0,5 PONTENURE 20,1 18,7 7,5 1,4 18,8 18,0 8,2 1,3 19,4 18,3 7,9 1,4 RIVERGARO 10,5 12,8 7,0 1,0 15,0 13,3 4,5 1,4 12,8 13,1 5,8 1,2 ROTTOFRENO 16,8 16,9 7,4 1,3 16,2 17,5 8,5 1,4 16,5 17,2 8,0 1,3 SANGIORGIO 12,0 12,7 4,3 1,2 11,3 10,9 4,8 0,6 11,6 11,8 4,6 0,9 SAN PIETRO IN CERRO 25,4 12,5 6,0 0,0 15,2 14,0 5,9 1,0 20,0 13,3 5,9 0,4 SARMATO 29,1 21,2 8,9 2,1 24,7 23,3 10,9 2,8 26,8 22,3 10,0 2,4 TRAVO 8,9 10,4 7,1 0,6 9,4 8,0 4,4 0,3 9,1 9,2 5,7 0,5 VERNASCA 10,0 11,1 8,3 0,5 7,5 7,0 3,2 0,6 8,9 8,8 5,6 0,5 VIGOLZONE 14,0 14,2 8,3 0,9 14,4 14,4 5,0 1,3 14,2 14,3 6,6 1,1 VILLANOVA 30,5 25,9 5,3 0,3 37,1 25,7 7,8 1,0 33,9 25,8 6,6 0,6 ZERBA 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 2,9 0,0 0,0 0,0 1,5 ZIANO 22,2 26,0 10,4 1,1 15,5 26,8 10,0 0,6 18,7 26,4 10,2 0,9

TOTALE 19,5 20,6 8,5 1,1 19,9 20,6 8,6 1,1 19,7 20,6 8,6 1,1

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(segue) Provincia di Piacenza: incidenza % della popolazione straniera residente al 31/12/2008 per grandi classi di età e genere

DONNE UOMINI TOTALE

COMUNI/AREE < 15 15 - 39 40 - 64 > 64 < 15 15 - 39 40 - 64 > 64 < 15 15 - 39 40 - 64 > 64 COMUNITA' MONTANE VALLI NURE ED ARDA 12,8 14,2 7,0 0,7 12,7 9,8 4,5 0,9 12,7 11,9 5,7 0,8 APPENNINO 14,2 16,1 9,8 0,4 14,1 11,1 4,3 0,3 14,2 13,5 6,9 0,4 VALLE DEL TIDONE 17,2 20,6 8,9 1,0 19,6 16,7 8,5 0,5 18,5 18,6 8,7 0,8 ZONE ALTIMETRICHE MONTAGNA 13,2 15,5 8,3 0,6 13,5 8,9 3,6 0,6 13,4 12,0 5,8 0,6 COLLINA 18,2 18,7 7,9 1,2 19,5 18,2 7,8 1,1 18,9 18,5 7,9 1,2 PIANURA 20,3 21,6 8,8 1,0 20,4 22,3 9,3 1,1 20,4 22,0 9,0 1,1 DISTRETTI SOCIO- CITTA’ DI PIACENZA 21,9 25,4 10,3 1,0 22,9 26,0 11,2 1,1 22,4 25,7 10,7 1,1 PONENTE 19,9 19,9 8,5 1,4 19,9 19,5 8,4 1,2 19,9 19,7 8,4 1,3 LEVANTE 17,0 16,6 6,7 0,9 17,4 16,2 6,4 0,9 17,2 16,4 6,6 0,9

Fonte: Provincia di Piacenza Provincia di Piacenza: popolazione straniera residente al 31/12/2008 per classi di età, valori assoluti, distribuzione per genere ed incidenza su popolazione totale

STRANIERI AL 31/12/2008 % PER GENERE % STRANIERI SU POP. TOTALE CLASSI ETA' MASCHI FEMMINE TOTALE MASCHI FEMMINE MASCHI FEMMINE TOTALE 0 - 4 1.514 1.465 2.979 50,8 49,2 24,2 24,6 24,4 5 - 9 1.137 1.009 2.146 53,0 47,0 18,8 17,8 18,3 10 - 14 978 858 1.836 53,3 46,7 16,6 15,6 16,1 15 - 19 1.101 923 2.024 54,4 45,6 17,6 16,1 16,9 20 - 24 1.381 1.405 2.786 49,6 50,4 21,8 23,4 22,6 25 - 29 1.801 1.954 3.755 48,0 52,0 23,4 26,7 25,0 30 - 34 2.243 2.115 4.358 51,5 48,5 21,7 21,7 21,7 35 - 39 2.179 1.834 4.013 54,3 45,7 18,7 16,4 17,5 40 - 44 1.824 1.464 3.288 55,5 44,5 14,7 12,7 13,8 45 - 49 1.246 1.108 2.354 52,9 47,1 11,3 10,4 10,9 50 - 54 715 789 1.504 47,5 52,5 7,3 8,2 7,8 55 - 59 335 541 876 38,2 61,8 3,9 6,3 5,1 60 - 64 197 294 491 40,1 59,9 2,3 3,3 2,8 65 - 69 135 208 343 39,4 60,6 1,6 2,3 2,0 70 - 74 90 111 201 44,8 55,2 1,2 1,3 1,2 75 - 79 52 60 112 46,4 53,6 0,9 0,7 0,8 80 - 84 11 27 38 28,9 71,1 0,3 0,4 0,3 85 - 89 12 10 22 54,5 45,5 0,6 0,2 0,3 90 - 94 2 6 8 25,0 75,0 0,4 0,4 0,4 TOTALE 16.953 16.181 33.134 51,2 48,8 12,2 11,0 11,6

Fonte: Provincia di Piacenza

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Sezionemonografica

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Gli indicatori di struttura Sintetizzando le caratteristiche strutturali dei residenti stranieri attraverso i consueti indicatori, l’indice di vecchiaia è pari a 10,4, per quanto in aumento rispetto agli anni precedenti non ha paragoni con il valore di 194,8 calcolato sulla popolazione totale. Così come l’indice di struttura vale 199 per la popolazione straniera, dove la popolazione in età attiva di 15-39 anni è circa doppia rispetto a quella di 40-64 anni, e 83 per la popolazione complessiva dove il rapporto si rovescia. Anche con riferimento all’indice di struttura, tuttavia, il 2008 è il primo anno in cui scende sotto il valore 200. Analogamente l’indice di dipendenza, che misura il rapporto tra popolazione in età non attiva e quella in età attiva, pari a 30,2 nel 2008, risulta aumentato a causa di un modesto aumento della dipendenza senile. Indice di vecchiaia e di dipendenza senile sono più elevati nell’area collinare e nel Distretto di Ponente, dove influiscono i valori dei comuni della Val Tidone, località da più tempo coinvolte da flussi di immigrazione, mentre i valori dell’indice di dipendenza giovanile sono più alti nell’area collinare e nel Distretto di Levante. In relazione al genere è evidente che l’età relativamente più elevata della componente femminile della popolazione straniera determina indici di vecchiaia e dipendenza senile lievemente più elevati per le donne. Provincia di Piacenza: incidenza degli stranieri residenti sul totale della popolazione per aggregazione territoriale e classe di età, dati al 31/12/2008

0,0

5,0

10,0

15,0

20,0

25,0

30,0

PR

OV

INC

IA

MO

NTA

GN

A

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LLIN

A

PIA

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RA

PIA

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NZA

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LEV

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< 15 ANNI DA 15 A 39 DA 40 A 64 > 64 ANNI

Fonte: Provincia di Piacenza – Ufficio Statistica

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Provincia di Piacenza: principali indicatori di struttura della popolazione straniera residente al 31/12/2008

INDICI DI DIPENDENZA ETA' MEDIA COMUNI TASSO DI VECCHIAIA

INDICE DI VECCHIAIA TOTALE GIOVANILE SENILE

INDICE DI STRUTTURA MASCHI FEMMINE TOTALE

AGAZZANO 6,57 27,14 44,50 35,00 9,50 170,27 30,09 33,48 31,85 ALSENO 2,40 11,11 31,58 28,42 3,16 224,79 29,59 30,17 29,86 BESENZONE 0,00 0,00 27,03 27,03 0,00 393,33 27,74 27,25 27,53 BETTOLA 4,81 22,73 35,06 28,57 6,49 175,00 31,17 31,03 31,09 BOBBIO 1,19 5,48 29,73 28,19 1,54 144,34 29,70 33,72 32,07 BORGONOVO VAL TIDONE 2,47 11,07 32,88 29,60 3,28 169,00 30,56 30,65 30,61 CADEO 2,20 9,04 36,06 33,07 2,99 202,41 28,70 29,15 28,92 CALENDASCO 1,77 7,84 32,16 29,82 2,34 242,00 30,52 27,05 28,91 CAMINATA 0,00 0,00 13,33 13,33 0,00 87,50 32,21 38,70 36,03 CAORSO 1,60 8,11 27,03 25,00 2,03 241,54 29,59 29,27 29,44 CARPANETO PIACENTINO 1,21 4,40 40,17 38,48 1,69 240,29 26,98 28,73 27,79 CASTELL'ARQUATO 2,27 9,64 34,87 31,80 3,07 158,42 29,03 31,80 30,44 CASTEL SAN GIOVANNI 2,46 10,51 34,92 31,60 3,32 230,35 28,63 29,19 28,89 CASTELVETRO PIACENTINO 1,93 8,51 32,59 30,03 2,56 286,42 27,64 29,88 28,74 CERIGNALE 25,00 - 33,33 0,00 33,33 200,00 47,50 46,00 46,75 COLI 2,56 50,00 8,33 5,56 2,78 89,47 27,06 43,53 39,73 CORTE BRUGNATELLA 4,35 16,67 43,75 37,50 6,25 33,33 21,70 40,56 36,46 CORTEMAGGIORE 2,16 9,63 32,53 29,67 2,86 227,34 29,58 29,09 29,37 FARINI 14,71 250,00 25,93 7,41 18,52 68,75 45,00 43,68 44,15 FERRIERE 13,89 166,67 28,57 10,71 17,86 133,33 36,77 43,94 41,75 FIORENZUOLA D'ARDA 2,61 11,31 34,57 31,06 3,51 207,63 29,55 29,49 29,52 GAZZOLA 6,25 31,82 34,94 26,51 8,43 159,38 32,13 34,19 33,25 GOSSOLENGO 2,73 12,50 32,53 28,92 3,61 191,23 31,91 31,17 31,48 GRAGNANO TREBBIENSE 2,42 10,08 35,89 32,60 3,29 280,21 27,94 28,57 28,26 GROPPARELLO 3,91 23,68 25,68 20,77 4,92 215,52 32,99 32,22 32,63 LUGAGNANO VAL D'ARDA 2,25 9,41 35,36 32,32 3,04 134,82 29,85 30,98 30,46 MONTICELLI D'ONGINA 1,58 5,93 39,29 37,09 2,20 211,11 27,19 29,04 28,13 MORFASSO 7,32 - 10,81 2,70 8,11 60,87 46,57 44,65 45,30 NIBBIANO 1,42 8,57 21,84 20,11 1,72 132,00 31,88 33,80 32,78 OTTONE 4,44 28,57 25,00 19,44 5,56 140,00 29,74 37,71 34,70 PECORARA 2,44 16,67 20,59 17,65 2,94 100,00 35,56 36,46 36,06 PIACENZA 1,81 9,62 26,01 23,72 2,28 197,05 30,39 31,28 30,82 PIANELLO VAL TIDONE 3,61 16,39 34,47 29,61 4,85 198,55 29,57 32,51 31,07 PIOZZANO 0,00 0,00 5,41 5,41 0,00 184,62 36,69 31,67 34,37 PODENZANO 1,66 7,30 32,24 30,04 2,19 196,10 29,24 30,28 29,78 PONTE DELL'OLIO 1,80 9,09 27,63 25,33 2,30 186,79 30,77 31,28 31,01 PONTENURE 2,65 10,53 38,57 34,90 3,67 196,97 29,72 28,93 29,33 RIVERGARO 3,24 14,41 34,70 30,33 4,37 179,86 27,95 32,97 30,46 ROTTOFRENO 2,11 9,39 32,51 29,72 2,79 199,68 29,95 29,71 29,83 SAN GIORGIO PIACENTINO 2,67 10,89 37,33 33,67 3,67 226,09 27,71 29,23 28,49 SAN PIETRO IN CERRO 1,23 4,00 47,27 45,45 1,82 150,00 31,04 24,80 27,96 SARMATO 3,37 14,14 37,42 32,78 4,64 205,05 30,04 29,35 29,71 TRAVO 2,83 17,65 23,26 19,77 3,49 109,76 32,01 36,38 34,44 VERNASCA 3,28 19,05 25,77 21,65 4,12 120,45 34,30 34,86 34,65 VIGOLZONE 2,70 12,99 30,63 27,11 3,52 195,83 29,83 31,29 30,61 VILLANOVA SULL'ARDA 1,10 3,66 45,21 43,62 1,60 337,21 26,92 25,21 26,17 ZERBA 100,00 - - - - - 71,50 - 71,50 ZIANO PIACENTINO 2,04 11,29 25,18 22,63 2,55 194,62 30,90 30,05 30,47 PROVINCIA 2,19 10,40 30,20 27,35 2,84 198,94 29,86 30,72 30,28

(segue)

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Sezionemonografica

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(segue) Provincia di Piacenza: principali indicatori di struttura della popolazione straniera residente al 31/12/2008

INDICI DI DIPENDENZA ETA’ MEDIA AREE

TASSO DI VECCHIAIA

INDICE DI VECCHIAIA TOTALE GIOVANILE SENILE

INDICE DI STRUTTURA MASCHI FEMMINE TOTALE

COMUNITA' MONTANE VALLI NURE ED ARDA 4,28 22,68 30,16 24,59 5,58 145,79 32,46 33,46 33,01 APPENNINO PIACENTINO 2,19 12,15 25,37 22,62 2,75 128,50 30,83 35,63 33,68 VALLE DEL TIDONE 2,56 13,46 27,51 24,24 3,26 153,85 30,98 33,54 32,26 ZONE ALTIMETRICHE MONTAGNA 4,21 23,61 28,25 22,86 5,40 127,44 32,06 35,90 34,39 COLLINA 2,60 11,63 33,22 29,76 3,46 193,26 29,46 30,77 30,10 PIANURA 1,96 9,50 29,15 26,62 2,53 204,45 29,95 30,48 30,20 DISTRETTI SOCIO-SANITARI CITTA’ DI PIACENZA 1,81 9,62 26,01 23,72 2,28 197,05 30,39 31,28 30,82 PONENTE 2,65 11,94 33,01 29,49 3,52 193,96 29,65 30,74 30,19 LEVANTE 2,32 10,05 34,08 30,97 3,11 206,30 29,27 29,93 29,59

Fonte: Provincia di Piacenza – Ufficio Statistica Le aree di provenienza e le nazionalità I dati degli stranieri residenti suddivisi per nazionalità, pur essendo rilevati contestualmente a quelli per anno di nascita, non coincidono perfettamente con questi. Ciò in quanto mentre i residenti per anno di nascita sono quelli del registro anagrafe, i residenti per nazionalità derivano dal registro di stato civile; tra i due può esservi uno sfasamento temporale determinato dal tempo necessario per espletare la pratica di stato civile. Le aree di provenienza La crescita dei residenti stranieri nel 2008, pari al 16,6% ed ad oltre 4.700 unità, è in parte ancora imputabile all’allargamento del 2007 dell’Unione Europea a Romania e Bulgaria, ma non solo. Se la crescita dei residenti provenienti dai paesi dell’Unione Europea è stata infatti ancora la più elevata soprattutto in percentuale, +22% e 1.003 residenti, anche tutti gli altri grandi gruppi etnici hanno registrato incrementi annui percentuali prossimi al dato medio provinciale, compresi tra il 15% ed il 17%. In valore assoluto l’aumento maggiore è stato quello degli stranieri provenienti dai paesi europei Non UE, +1.637 residenti, seguito dai cittadini africani (+1.177), mentre è stato dell’ordine delle 400 unità l’aumento di americani ed asiatici. Dopo il riassetto del 2007 nella distribuzione dei residenti stranieri per grandi aree, determinato dalla variazione territoriale della UE, nel 2008 le quote si ristabilizzano e risultano del tutto simili all’anno precedente con solo un lieve spostamento tra i due grandi gruppi europei: il 17% degli stranieri residenti nella provincia proviene da paesi della UE, il 38% dagli altri paesi europei, il 26% dall’Africa, il

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10% dal continente americano, e l’8,5% dall’Asia. Nel medio periodo sono europei ed americani i gruppi che mostrano la maggiore dinamicità di crescita, con tassi medi annui nel periodo 2002-2008 del 30% circa, mentre africani ed asiatici evidenziano un ritmo in rallentamento con tassi che nella media sono inferiori al 20% annuo, sebbene nel 2008 vi sia stata una certa ripresa anche dei flussi da queste aree. Complessivamente dal 2000 si registra un aumento di 21.709 residenti stranieri di cui 12.668 proveniente dall’Europa. Provincia di Piacenza: distribuzione percentuale degli stranieri residenti al 31/12/2008 per aree di provenienza

Fonte: Provincia di Piacenza – Ufficio Statistica Provincia di Piacenza: stranieri residenti per aree di provenienza e genere, anni 2002 – 2008 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

TOTALE UNIONE EUROPEA 424 430 685 755 867 4.653 5.656ALTRI PAESI EUROPEI 5.293 7.358 8.856 10.446 11.959 11.092 12.729AFRICA 3.931 4.723 5.505 6.073 6.758 7.406 8.583AMERICA 670 1.561 2.029 2.342 2.631 2.856 3.325ASIA 1.105 1.319 1.610 1.898 2.125 2.418 2.830OCEANIA 4 3 3 3 5 6 7APOLIDI 0 5 3 8 7 4 6TOTALE 11.427 15.399 18.691 21.525 24.352 28.435 33.136

(segue)

UNIONE EUROPEA

17%

ALTRI PAESI EUROPEI

38%

AFRICA26%

ASIA9%

OCEANIA0%

AMERICA10%

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Sezionemonografica

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(segue) Provincia di Piacenza: stranieri residenti per aree di provenienza e genere, anni 2002 – 2008

2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008DONNE

UNIONE EUROPEA 358 405 449 496 559 2.449 2.928ALTRI PAESI EUROPEI 2195 3174 4047 4935 5819 5.480 6.347AFRICA 1501 1812 2129 2421 2739 3.020 3.576AMERICA 470 1132 1410 1557 1706 1.792 2.059ASIA 507 581 711 831 937 1.070 1.269OCEANIA 1 0 1 1 2 2 2APOLIDI 2 2 3 3 3 4TOTALE 5.032 7.106 8.749 10.244 11.765 13.816 16.185

UOMINI UNIONE EUROPEA 199 222 236 259 308 2.204 2.728ALTRI PAESI EUROPEI 2965 3987 4809 5511 6140 5.612 6.382AFRICA 2430 2911 3376 3644 4019 4.386 5.007AMERICA 200 429 619 795 925 1.065 1.266ASIA 598 738 899 1065 1188 1.348 1.561OCEANIA 3 3 2 2 3 4 5APOLIDI 0 3 1 5 4 1 2TOTALE 6.395 8.293 9.942 11.281 12.587 14.620 16.951

Fonte: Provincia di Piacenza – Ufficio Statistica Provincia di Piacenza: andamento degli stranieri residenti per aree di provenienza, 2002 – 2008 Numeri indice 2002 = 100 Provincia di Piacenza: andamento degli stranieri residenti per aree di provenienza, 2002 – 2008, valori assoluti

Fonte: Provincia di Piacenza – Ufficio Statistica

100,0150,0200,0250,0300,0350,0400,0450,0500,0

2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

TOTALE

EUROPA

AMERICA

ASIA

AFRICA

0

5.000

10.000

15.000

20.000

25.000

30.000

35.000

2002200320042005200620072008

PAESI ERUOPEI AFRICAAMERICA ASIAALTRO

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Provincia di Piacenza: andamento degli stranieri residenti per aree di provenienza e genere, 2002 – 2008 Numeri indice 2002 = 100 Fonte: Provincia di Piacenza – Ufficio Statistica Differenze sensibili si rilevano nelle distribuzioni per genere e nazionalità: l’equilibrio complessivamente osservato per l’intero territorio (51% genere maschile e 49% femminile), è nella realtà proprio solo del gruppo prevalente, quello degli stranieri provenienti dagli altri paesi europei, le donne rappresentano, invece, la maggioranza tra gli stranieri provenienti dai paesi dell’Unione Europea (52% donne), e dal continente americano (62% donne), mentre tra africani ed asiatici prevalgono gli uomini. Inoltre la componente femminile mostra tassi di crescita nel medio periodo superiori rispetto a quella maschile per le aree di provenienza di Altri paesi europei ed Africa. Provincia di Piacenza: distribuzione dei residenti stranieri per aree di provenienza e genere al 31/12/2008 Fonte: Provincia di Piacenza - Ufficio Statistica

0,0 20,0 40,0 60,0 80,0 100,0

UNIONE EUROPEA

ALTRI EUROPEI

AFRICA

AMERICA

ASIA

TOTALE

DONNE

UOM INI

0,0

10,0

20,0

30,0

40,0

UNIONE

EUROPEA

ALT RI

PAESI

EUROPEI

AFRICA AM ERICA ASIA

DONNE

UOM INI

Uomini

100,0

200,0

300,0

400,0

500,0

600,0

700,0

2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

TOTALE

AMERICA

EUROPA

ASIAAFRICA

Donne

100,0

150,0

200,0

250,0

300,0

350,0

400,0

450,0

2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

TOTALE

AMERICA

EUROPAASIA

AFRICA

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Sezionemonografica

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Le nazionalità Le tre nazionalità prevalenti tra i residenti nella provincia di Piacenza sono albanese (18,2% del totale degli stranieri iscritti in anagrafe), marocchina (12,7%) e romena (12,5%). I cittadini albanesi sono risultati 6.031 nel 2008, i marocchini 4.215 ed i romeni 4.152, ovvero complessivamente il 43% degli stranieri residenti. L’altro gruppo rilevante è quello dei cittadini provenienti dalla ex-Jugoslavia, ovvero Macedonia, Serbia, Montenegro, Croazia, che complessivamente sono il 15% degli stranieri residenti nella provincia. Nel 2008 non si sono verificate significative variazioni nelle graduatorie delle nazionalità più rappresentate sul territorio, tuttavia, la crescita dei cittadini romeni è stata, così come nel 2007, ben più sostenuta rispetto a quella degli altri gruppi. L’incremento dei cittadini romeni nel 2008 è risultato ancora pari a 829 unità, +24,9% rispetto al 2007, a fronte di tassi ben inferiori al 20% per le altre cittadinanze maggiormente rappresentate e valori che per albanesi e marocchini sono stati di circa 600 unità. Provincia di Piacenza: stranieri residenti al 31/12/2008 per principali paesi di provenienza e genere

0 1.000 2.000 3.000 4.000 5.000 6.000

Tunisia

Bosnia-Erzegovina

Ucraina

India

Ecuador

Macedonia (ex Rep. Jugos.)

Romania

Marocco

Albania

FEMMINE

MASCHI

Fonte: Provincia di Piacenza – Ufficio Stattistica Nette differenziazioni per genere si rilevano non solo a livello di grandi aree ma anche all’interno delle aree tra paese o sub-area di provenienza: se tra gli africani gli uomini sono il 58% del totale dei residenti, tra i residenti nigeriani e ghanesi prevalgono le donne (59% e 53% rispettivamente), analogamente nell’ambito dei cittadini provenienti da paesi europei, il genere femminile è nettamente maggioritario tra i provenienti da Ucraina, Moldova, Polonia e Russia, quello maschile tra bosniaci e bulgari; tra gli asiatici le donne sono la maggioranze dei residenti provenienti da Cina e Filippine. Più marcata e diffusa tra i paesi dell’area, la maggioranza di genere femminile per i residenti di origine sud americana (le donne prevalgono tra i residenti di origine ecuadoregna, cubana, brasiliana e peruviana).

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Provincia di Piacenza: stranieri residenti al 31/12/2008 per paesi di provenienza e genere PERCENTUALI PAESE / AREE MASCHI FEMMINE TOTALE MASCHI FEMMINE % SUL TOTALE Albania 3.321 2.710 6.031 55,1 44,9 18,2Marocco 2.367 1.848 4.215 56,2 43,8 12,7Romania 2.055 2.097 4.152 49,5 50,5 12,5Macedonia (ex Rep. Jugos.) 1.367 1.170 2.537 53,9 46,1 7,7Ecuador 836 1.336 2.172 38,5 61,5 6,6India 924 650 1.574 58,7 41,3 4,8Ucraina 229 1.013 1.242 18,4 81,6 3,7Bosnia-Erzegovina 688 468 1.156 59,5 40,5 3,5Tunisia 637 363 1.000 63,7 36,3 3,0Moldova 201 413 614 32,7 67,3 1,9Egitto 380 216 596 63,8 36,2 1,8Serbia, Repubblica di 321 260 581 55,2 44,8 1,8Burkina Faso (Alto Volta) 307 192 499 61,5 38,5 1,5Cinese, Rep. Popolare 240 252 492 48,8 51,2 1,5Nigeria 192 281 473 40,6 59,4 1,4Senegal 351 122 473 74,2 25,8 1,4Polonia 112 272 384 29,2 70,8 1,2Bulgaria 264 114 378 69,8 30,2 1,1Costa d’Avorio 175 147 322 54,3 45,7 1,0Croazia 153 142 295 51,9 48,1 0,9Brasile 110 185 295 37,3 62,7 0,9Algeria 232 48 280 82,9 17,1 0,8Perù 83 134 217 38,2 61,8 0,7Sri Lanka (Ceylon) 124 92 216 57,4 42,6 0,7Filippine 98 103 201 48,8 51,2 0,6Mauritius 89 111 200 44,5 55,5 0,6Francia 68 101 169 40,2 59,8 0,5Ghana 58 100 158 36,7 63,3 0,5Regno Unito 74 84 158 46,8 53,2 0,5Dominicana, Rep. 69 66 135 51,1 48,9 0,4Russa, Federazione 27 102 129 20,9 79,1 0,4Corea, Rep. (Corea del Sud) 62 61 123 50,4 49,6 0,4Cuba 27 73 100 27,0 73,0 0,3 TOTALE 16.951 16.185 33.136 51,2 48,8 100,0

Fonte: Provincia di Piacenza – Ufficio Statistica La distribuzione sul territorio per aree di provenienza Infine attraverso l’incrocio tra l’area di provenienza dei residenti stranieri ed il comune di residenza si evidenziano le concentrazioni territoriali dei diversi gruppi etnici. Considerando dapprima le aggregazioni territoriali, suddividendo il territorio nelle tre zone altimetriche, gli europei prevalgono nettamente nella zona montana, dove il 50% dei residenti stranieri è cittadino di un paese europeo extra-UE ed il 30% di un paese della UE; anche nell’area collinare la presenza di stranieri provenienti dall’area europea è relativamente maggiore rispetto alla media provinciale, mentre è minore l’incidenza

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Sezionemonografica

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di stranieri provenienti dal continente americano; la pianura infine si caratterizza per una presenza maggiore di africani ed americani. Considerando i Distretti socio sanitari emergono le seguenti caratterizzazioni: africani ed asiatici sono presenti in misura relativamente maggiore rispetto al resto del territorio nel Distretto di Levante, in quello di Ponente, invece, la distribuzione degli stranieri per area di provenienza è sbilanciata verso l’area europea (sia UE che extra-UE); il comune di Piacenza infine si caratterizza per una maggiore concentrazione di europei dei paesi extra-UE e di stranieri provenienti dal continente americano: nel capoluogo risiede il 43% del totale degli stranieri residenti nella provincia, ma la percentuale sale al 48% tra gli stranieri provenienti dai paesi europei extra-UE ed al 66% tra coloro che provengono dal continente americano. Differenziando per genere, la prevalenza delle donne tra le etnie europea e americana si riscontra in pressoché tutte le zone del territorio: più accentuata la presenza di straniere di origine europea nell’area montana e minore nell’area collinare, di sud americane nei comuni di Levante della Bassa ed alta Val d’Arda. Scendendo a livello di analisi dei singoli comuni si precisano meglio le aree del territorio in cui vi sono concentrazioni relative di gruppi etnici: gli asiatici mostrano una concentrazione relativa nei comuni della Bassa Val d’Arda di Cortemaggiore, Besenzone, San Pietro in Cerro e Villanova, in cui rappresentano la maggioranza relativa degli stranieri residenti. Per gli africani si rileva un insediamento relativamente concentrato nei comuni di pianura e prima collina della Val Tidone e della Val d’Arda, sono infatti la maggioranza relativa degli stranieri iscritti in anagrafe nei comuni di: Calendasco, Borgonovo, Sarmato, Cadeo, Fiorenzuola, Alseno, Caorso, Monticelli, nonché a San Giorgio Piacentino, Gazzola e Gossolengo. I cittadini dell’Unione Europea, infine, sono la maggioranza tra i residenti stranieri nei comuni montani o alto collinari di Caminata, Coli, Farini, Ferriere, Morfasso, Nibbiano, Ottone, Ponte dell’Olio, Travo, Ottone e Zerba, ed a Castelvetro. Rispetto ai valori del 2007 le variazioni di stranieri provenienti dall’UE sono state superiori al tasso di crescita totale dei residenti stranieri in tutte le aree territoriali, ed in misura più accentuata in montagna e pianura, mentre nell’area collinare l’incremento percentuale maggiore si è avuto per gli asiatici (+22%), così come nel Distretto di Ponente (+25%). In termini di valori assoluti tuttavia, in pianura, nel capoluogo e nel Distretto di Levante le variazioni più significative attengono alle aree Altri paesi europei e Africa, mentre nelle altre zonizzazioni territoriali sono i gruppi etnici europei che hanno concorso in misura maggiore al risultato.

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Provincia di Piacenza: stranieri residenti al 31/12/2008 per comune ed area geografica di provenienza AREA DI PROVENIENZA

COMUNI UNIONE

EUROPEA ALTRI PAESI

EUROPEIAFRICA AMERICA ASIA ALTRO TOTALE

AGAZZANO 29 165 53 7 37 0 291ALSENO 75 101 192 55 77 0 500BESENZONE 18 6 17 2 51 0 94BETTOLA 36 136 20 22 1 0 215BOBBIO 78 200 24 20 14 0 336BORGONOVO VAL TIDONE 196 335 415 75 150 0 1.171CADEO 84 236 286 26 51 0 683CALENDASCO 33 57 84 39 13 0 226CAMINATA 7 3 0 6 1 0 17CAORSO 97 139 237 46 45 0 564CARPANETO PIACENTINO 129 239 180 39 76 0 663CASTELL'ARQUATO 92 155 60 14 31 0 352CASTEL SAN GIOVANNI 659 913 520 123 222 1 2.438CASTELVETRO PIACENTINO 185 71 75 14 69 0 414CERIGNALE 1 2 0 1 0 0 4COLI 18 12 7 2 0 0 39CORTE BRUGNATELLA 4 9 0 6 4 0 23CORTEMAGGIORE 55 119 138 30 265 0 607FARINI 18 14 1 3 0 0 36FERRIERE 29 3 3 1 0 0 36FIORENZUOLA D'ARDA 306 565 689 84 310 0 1.954GAZZOLA 28 27 32 13 10 0 110GOSSOLENGO 38 68 73 39 2 0 220GRAGNANO TREBBIENSE 66 176 131 34 90 0 497GROPPARELLO 57 60 75 29 9 0 230LUGAGNANO VAL D'ARDA 73 141 108 21 13 0 356MONTICELLI D'ONGINA 111 93 228 8 66 0 506MORFASSO 22 7 6 5 0 1 41NIBBIANO 89 62 41 13 7 0 212OTTONE 29 7 3 6 0 45PECORARA 12 20 6 2 1 0 41PIACENZA 1.916 6.134 3.321 2.189 785 6 14.351PIANELLO VAL TIDONE 83 108 74 8 4 0 277PIOZZANO 17 14 1 3 4 0 39PODENZANO 93 329 111 38 32 0 603PONTE DELL'OLIO 161 100 95 24 6 2 388PONTENURE 51 321 248 41 18 0 679RIVERGARO 93 302 56 51 22 0 524ROTTOFRENO 121 599 361 94 60 0 1.235SAN GIORGIO PIACENTINO 49 129 170 18 45 1 412SAN PIETRO IN CERRO 3 12 29 4 33 0 81SARMATO 61 144 175 19 15 1 415TRAVO 44 30 19 11 2 0 106VERNASCA 32 61 13 6 4 1 117VIGOLZONE 78 123 120 24 26 0 371VILLANOVA SULL'ARDA 26 42 72 0 133 0 273ZERBA 1 0 0 0 0 0 1ZIANO PIACENTINO 153 140 17 13 20 0 343PROVINCIA 5.656 12.729 8.583 3.325 2.830 13 33.136

(segue)

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Sezionemonografica

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(segue) Provincia di Piacenza: stranieri residenti al 31/12/2008 per comune ed area geografica di provenienza

AREA DI PROVENIENZA

UNIONE

EUROPEAALTRI PAESI

EUROPEIAFRICA AMERICA ASIA ALTRO TOTALE

PRINCIPALI AGGREGAZIONI TERRITORIALI COMUNITA' MONTANE VALLI NURE ED ARDA 267 422 226 87 27 2 1.031APPENNINO PIACENTINO 192 274 51 46 30 0 593VALLE DEL TIDONE 191 193 121 29 13 0 547ZONE ALTIMETRICHE MONTAGNA 248 410 67 65 26 1 817COLLINA 2.144 3.208 2.241 553 766 5 8.917PIANURA 3.264 9.111 6.275 2.707 2.038 7 23.402DISTRETTI SOCIO-SANITARI CITTA’ DI PIACENZA 1.916 6.134 3.321 2.189 785 6 14.351PONENTE 1.860 3.393 2.089 582 684 2 8.610LEVANTE 1.880 3.202 3.173 554 1.361 5 10.175

Fonte: Provincia di Piacenza – Ufficio Statistica Provincia di Piacenza: distribuzione percentuale degli stranieri residenti al 31/12/2008 per area geografica di provenienza

0,05,0

10,015,020,025,030,035,040,045,050,0

PR

OV

INC

IA

MO

NTA

GN

A

CO

LLIN

A

PIA

NU

RA

CIT

TA' D

IP

IAC

EN

ZA

PO

NE

NTE

LEVA

NTE

UNIONE EUROPEAALTRI PAESI EUROPEIAFRICAAMERICAASIA

Fonte: Provincia di Piacenza – Ufficio di Piacenza

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Provincia di Piacenza: distribuzione degli stranieri residenti al 31/12/2008 per comune, area geografica di provenienza e genere

DONNE UOMINI

COMUNI UE ALTRI

EUROPA AFRICA AMERICA ASIA UE ALTRI

EUROPA AFRICA AMERICA ASIA AGAZZANO 11,9 55,6 17,2 2,6 12,6 7,9 57,9 19,3 2,1 12,9 ALSENO 14,1 22,9 33,0 15,0 15,0 15,8 17,9 42,9 7,7 15,8 BESENZONE 17,5 10,0 15,0 5,0 52,5 20,4 3,7 20,4 0,0 55,6 BETTOLA 17,7 61,3 7,3 12,9 0,8 15,4 65,9 12,1 6,6 0,0 BOBBIO 27,8 55,6 7,1 6,6 3,0 16,7 65,2 7,2 5,1 5,8 BORGONOVO 16,3 29,0 34,9 8,3 11,5 17,2 28,2 36,0 4,6 14,0 CADEO 13,7 37,2 36,9 4,8 7,4 11,0 32,0 46,7 2,9 7,5 CALENDASCO 13,3 26,7 30,5 21,9 7,6 15,7 24,0 43,0 13,2 4,1 CAMINATA 30,0 30,0 0,0 40,0 0,0 57,1 0,0 0,0 28,6 14,3 CAORSO 17,3 27,3 38,4 10,7 6,3 17,1 22,2 45,4 5,8 9,6 CARPANETO 22,4 38,6 23,4 6,2 9,4 16,9 33,8 30,4 5,6 13,2 CASTELL'ARQUATO 26,3 44,7 13,4 5,0 10,6 26,0 43,4 20,8 2,9 6,9 CASTEL SAN GIOVANNI 26,8 39,3 19,5 6,3 8,2 27,2 35,8 22,9 4,0 9,9 CASTELVETRO 46,6 16,7 17,6 4,9 14,2 42,9 17,6 18,6 1,9 19,0 CERIGNALE 0,0 100,0 0,0 0,0 0,0 50,0 0,0 0,0 50,0 0,0 COLI 43,3 36,7 13,3 6,7 0,0 55,6 11,1 33,3 0,0 0,0 CORTEBRUGNATELLA 22,2 44,4 0,0 27,8 5,6 0,0 20,0 0,0 20,0 60,0 CORTEMAGGIORE 10,1 22,6 21,4 5,4 40,5 8,3 17,4 23,7 4,6 46,0 FARINI 45,8 37,5 4,2 12,5 0,0 58,3 41,7 0,0 0,0 0,0 FERRIERE 84,0 12,0 4,0 0,0 0,0 72,7 0,0 18,2 9,1 0,0 FIORENZUOLA 18,6 31,1 32,3 5,2 12,8 13,0 26,9 38,0 3,5 18,7 GAZZOLA 27,9 26,2 26,2 13,1 6,6 22,4 22,4 32,7 10,2 12,2 GOSSOLENGO 15,6 31,3 31,3 21,1 0,8 19,6 30,4 35,9 13,0 1,1 GRAGNANO 12,9 37,3 22,7 11,0 16,1 13,6 33,5 30,2 2,5 20,2 GROPPARELLO 27,8 28,7 24,1 18,5 0,9 22,1 23,8 40,2 7,4 6,6 LUGAGNANO 24,0 38,0 25,5 8,9 3,6 16,5 41,5 36,0 2,4 3,7 MONTICELLI 27,1 21,6 38,4 2,7 10,2 16,7 15,1 51,8 0,4 15,9 MORFASSO 48,1 22,2 11,1 18,5 0,0 64,3 7,1 21,4 0,0 0,0 NIBBIANO 42,0 35,0 13,0 8,0 2,0 42,0 24,1 25,0 4,5 4,5 OTTONE 64,3 17,9 0,0 3,6 14,3 64,7 11,8 0,0 11,8 11,8 PECORARA 39,1 47,8 8,7 4,3 0,0 16,7 50,0 22,2 5,6 5,6 PIACENZA 13,8 43,1 18,2 19,2 5,7 13,0 42,4 27,7 11,6 5,3 PIANELLO 29,1 39,7 25,5 5,0 0,7 30,9 38,2 27,9 0,7 2,2 PIOZZANO 50,0 22,2 0,0 16,7 11,1 38,1 47,6 4,8 0,0 9,5 PODENZANO 18,7 50,9 15,5 8,9 6,0 11,8 58,5 21,6 3,5 4,5 PONTEDELL'OLIO 39,5 26,5 25,4 6,5 1,6 43,3 25,1 23,6 5,9 1,5 PONTENURE 7,7 47,2 33,8 8,9 2,4 7,3 47,4 39,2 3,2 2,9 RIVERGARO 21,0 52,7 10,7 12,6 3,1 14,5 62,6 10,7 6,9 5,3 ROTTOFRENO 11,3 49,2 25,4 9,8 4,3 8,4 47,9 32,9 5,5 5,4 SANGIORGIO 13,7 29,9 38,4 5,7 11,8 10,0 32,8 44,3 3,0 10,0 SAN PIETRO IN CERRO 7,5 10,0 37,5 7,5 37,5 0,0 19,5 34,1 2,4 43,9 SARMATO 14,4 35,9 40,0 5,6 4,1 15,0 33,6 44,1 3,6 3,2 TRAVO 44,1 33,9 8,5 11,9 1,7 38,3 21,3 29,8 8,5 2,1 VERNASCA 27,8 51,4 9,7 5,6 4,2 26,7 53,3 13,3 4,4 2,2 VIGOLZONE 26,1 30,2 26,6 9,5 7,5 15,1 36,6 39,0 2,9 6,4 VILLANOVA 9,2 15,1 27,7 0,0 47,9 9,7 15,6 25,3 0,0 49,4 ZERBA - - - - - 100, 0,0 0,0 0,0 0,0 ZIANO 43,7 43,1 2,9 5,7 4,6 45,6 38,5 7,1 1,8 7,1 TOTALE 18,1 39,2 22,1 12,7 7,8 16,1 37,6 29,5 7,5 9,2

(segue)

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Sezionemonografica

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DONNE UOMINI

UE ALTRI

EUROPA AFRICA AMERICA ASIA UE ALTRI

EUROPA AFRICA AMERICA ASIA COMUNITA' MONTANE VALLI NURE ED ARDA 28,5 41,1 16,8 11,4 2,1 22,7 40,7 28,3 4,8 3,3 APPENNINO PIACENTINO 35,4 45,3 6,5 8,8 4,0 27,9 47,5 11,7 6,3 6,7 VALLE DEL TIDONE 34,7 38,3 18,6 7,3 1,1 35,2 32,2 25,6 3,3 3,7 ZONE ALTIMETRICHE MONTAGNA 33,3 48,3 6,8 9,2 2,4 25,8 53,1 10,4 6,0 4,4 COLLINA 24,8 36,8 22,5 8,0 7,8 23,3 35,2 27,6 4,5 9,4 PIANURA 14,8 39,7 22,6 14,7 8,1 13,1 38,2 30,8 8,6 9,3 DISTRETTI SOCIO-SANITARI CITTA’ DI PIACENZA 13,8 43,1 18,2 19,2 5,7 13,0 42,4 27,7 11,6 5,3 PONENTE 22,2 40,3 21,8 8,7 7,0 21,0 38,5 26,7 4,8 8,9 LEVANTE 20,6 32,9 27,7 7,2 11,6 16,4 30,1 34,5 3,8 15,1

Fonte: Provincia di Piacenza I movimenti demografici ed i tassi di crescita I dati dei movimenti della popolazione straniera non sono oggetto della rilevazione regionale della popolazione residente e pertanto presentano un grado diverso di aggiornamento. I dati esposti sono quelli rilevati dall’Istat presso le anagrafi comunali ed aggiornati al 2007. I dati sono esaminati solo a livello di aggregato provinciale ciò in quanto la popolazione straniera è ancora un aggregato soggetto a forti oscillazioni annuali che si amplificano scendendo nel dettaglio territoriale rischiando di compromettere una lettura corretta della dinamica dei fenomeni. I flussi migratori che interessano il territorio piacentino sono ancora lungi dall’esaurirsi e la popolazione straniera residente cresce fondamentalmente per la dinamica migratoria influenzata da una molteplicità di fattori. Anche la dinamica naturale della popolazione straniera è positiva, a differenza della componente autoctona di popolazione della provincia, ma movimenti naturale e migratorio hanno una incidenza ben diversa: il saldo naturale è al 2007 dell’ordine delle 500 unità determinante un tasso di crescita naturale del 20 per mille circa, il saldo migratorio è di 4.000 unità cui corrisponde un tasso di crescita per migratorietà superiore al 150 per mille. Il saldo migratorio si differenzia in saldo migratorio interno ed estero in relazione ai movimenti tra i comuni italiani o da e verso l’estero. Sempre considerando il 2007, ultimo anno disponibile, il saldo migratorio estero è stato per gli stranieri di quasi 3.700 unità quello interno di 350.

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Le dinamiche migratorie presentano per altro alcune differenze di genere: la popolazione straniera femminile, come visto all’inizio, cresce a ritmi più sostenuti rispetto a quella maschile, ed il saldo migratorio è infatti nel periodo 2002-2007 sempre un poco superiore rispetto a quello della componente maschile della popolazione straniera. Per la componente femminile è maggiore inoltre la migratorietà estera rispetto a quella rilevata per gli uomini che presentano invece una più elevata migratorietà interna. La minore mobilità territoriale della componente femminile della popolazione straniera non stupisce ed è da riconnettersi sia alla tipologia di lavoro svolto sia al fatto che parte dei movimenti dall’estero sono per ricongiungimenti familiari e quindi sanciscono una situazione già stabilizzata territorialmente. Provincia di Piacenza: movimenti demografici della popolazione straniera residente per genere, anni 2002 – 2007

SALDO MIGRATORIO TASSI CRESCITA ANNO

SALDO NATURALE INTERNO ESTERO TOTALE

SALDO TOTALE NATURALE MIGR.i. MIGR.e TOTALE

TOTALE RESIDENTI STRANIERI 2002 279 261 1.118 1.911 2.190 27,8 26,0 111,2 190,1 2003 262 237 3.696 4.375 4.637 19,9 18,0 280,1 331,6 2004 423 355 2.760 3.308 3.731 24,8 20,8 162,0 194,2 2005 470 328 2.326 2.841 3.311 23,4 16,3 115,7 141,3 2006 522 348 2.297 2.826 3.348 22,8 15,2 100,1 123,2 2007 533 349 3.672 4.078 4.611 20,2 13,2 139,1 154,5 DONNE 2002 118 10 489 622 740 25,8 2,2 106,9 136,0 2003 125 98 1.984 2.220 2.345 20,9 16,3 330,9 370,3 2004 223 149 1.387 1.642 1.865 28,1 18,8 175,0 207,2 2005 223 116 1.290 1.499 1.722 23,5 12,2 135,8 157,8 2006 267 108 1.313 1.522 1.789 24,3 9,8 119,3 138,3 2007 269 120 1.952 2.047 2.316 21,0 9,4 152,6 160,0 UOMINI 2002 279 261 1.118 1.911 2.190 27,8 26,0 111,2 190,1 2003 262 237 3.696 4.375 4.637 19,9 18,0 280,1 331,6 2004 423 355 2.760 3.308 3.731 24,8 20,8 162,0 194,2 2005 470 328 2.326 2.841 3.311 23,4 16,3 115,7 141,3 2006 522 348 2.297 2.826 3.348 22,8 15,2 100,1 123,2 2007 533 349 3.672 4.078 4.611 20,2 13,2 139,1 154,5

Fonte: Provincia di Piacenza – Ufficio Statistica

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Gli autori

Gli autori Massimo Magnaschi, sociologo, responsabile dell'Osservatorio delle Povertà e delle Risorse della Fondazione Autonoma Caritas Diocesana di Piacenza-Bobbio e direttore del Centro Studi e Documentazione sulle migrazioni Scalabrini Cedomis, ha recentemente curato i volumi La città che cambia (Provincia di Piacenza, 2006), La città vulnerabile (Provincia di Piacenza, 2007), Génération involontarie (SVEP Piacenza, 2009). Ilaria Dioli dottoranda in Luoghi e Tempi della Città e del Territorio al Politecnico di Milano – sede di Piacenza, ricercatrice per il Laboratorio di Economia Locale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza sulle tematiche dell’identità territoriale e dei paesaggi culturali. E’ co-autrice dei Quaderni LEL: Ri-conoscere la montagna (2008), Il quartiere Roma fra insicurezza e rilancio (2009), L’impatto della liuteria sul turismo e sull’immagine di Cremona (2009), e dell’articolo Strategic planning and place marketing: the Italian case pubblicato sul Journal of Town and City Management n.2. Si interessa ai temi della migrazione. Giorgia Veneziani laureata in Antropologia del mondo contemporaneo presso l'Università degli studi di Modena e Reggio Emilia con tesi di laurea dal titolo: Il lavoro di cura delle donne migranti. Adriana Lorenzi docente a contratto per Tecniche di Scrittura presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bergamo e Bologna. Formatrice, conduce laboratori di scrittura autobiografica e memoriale in diverse Associazioni Culturali a Bergamo, Ferrara, Cesena, nella Casa Circondariale di Bergamo e in quella di Reclusione di Padova. Tra le sue pubblicazioni di saggistica: Voci da dentro (2004), Amo i ricordi (2007), Ciao, nani (2007). Tra quelle di narrativa: Parole ammalate di vita (1999), Tazze vuote, tazze utili (2004), Non restate in silenzio (2008). Critica letteraria per la rivista Leggere Donna; fa parte della Società Italiana delle Letterate (SIL) e della Società di Pedagogia e Didattica della Scrittura (Graphein). Marcella Bonvini referente per l’attività statistica della Provincia di Piacenza. Realizza analisi socio-economico-demografiche del territorio provinciale, cura la sezione statistica del sito web della Provincia di Piacenza (www.provincia.pc.it), è coredattrice della rivista di analisi congiunturale della Provincia di Piacenza, Piacenz@ Economia, Lavoro e Società. Ha curato le analisi demografiche dei

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volumi La città che cambia (Provincia di Piacenza, 2006) e Profilo di comunità, analisi di criticità, risorse e bisogni del territorio piacentino (Provincia di Piacenza, 2008). Altra pubblicazione: Il patrimonio abitativo in provincia di Piacenza e l’evoluzione del mercato immobiliare sulla rivista Città in controluce n°15-16, Casa Editrice Vicolo del Pavone, Piacenza, 2009.

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Provincia di Piacenza Ufficio Sistema Sociale e Socio-sanitario

Osservatorio delle Politiche Sociali Piazzale Marconi – Borgo Faxhall – Piacenza

tel. **39.0523/795511- 795534 fax **39.0523/795517

E-mail: [email protected]

CEDOMIS

Centro Studi e Documentazione sulle Migrazioni “Scalabrini”

delle Suore Scalabriniane Via Roma, 162

29100 – Piacenza Italia Telefono: **39.0523/ 325267 fax **39.0523/338175

E-mail: [email protected] www.cedomis-scalabriniane.org

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Finito di stampare nel mese di novembre 2009

Tipografia La Grafica

Piacenza