Il Volto di Cristo: Verità, Via, Vita - Cassanoalloionio.info · 2008. 9. 21. · NEL VOLTO DI...

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DIOCESI CASSANO ALL’IONIO Il Volto di Cristo: Verità, Via, Vita Instrumentum Laboris ANNO PASTORALE 2008 - 2009

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  • DIOCESI CASSANO ALL’IONIO

    Il Volto di Cristo: Verità, Via, Vita

    Instrumentum Laboris

    ANNO PASTORALE 2008 - 2009

  • PREGHIERA

    NEL VOLTO DI CRISTO… LA VIA, LA VERITA’ E LA VITA

    O Cristo,

    volto luminoso del Padre, dispensatore di misericordia,

    divino viandante, compagno di ogni uomo.

    Tu sei la Via che guida i nostri passi:

    tendici la mano quando vacilliamo; aiutaci a calcare le tue orme,

    anche quando non ne abbiamo la forza e tutto ci sembra difficile.

    Cammina accanto a noi, come hai fatto con i discepoli di Emmaus,

    e fa ardere il nostro cuore al.’ascolto della tua Parola e nello spezzare il pane per noi e con noi.

    Tu sei la Verità:

    rendici cercatori instancabili di Te; insegnaci a vedere e volere il bene ovunque si trovi;

    ispira in noi l’entusiasmo per proteggerlo, la pazienza per sostenerlo,

    la forza per difenderlo. Preservaci dalla menzogna che distrugge il nostro mondo,

    dacci il coraggio di vivere nella verità.

    Tu sei la Vita: fa’ rinascere ogni giorno la nostra Chiesa di Cassano

    alla mensa del Tuo Corpo e della Tua Parola di vita, per divinizzare la nostra esistenza.

    Suscita in tutte le famiglie Il desiderio di Te e della Tua Parola,

    perché alimenti l speranza di un mondo nuovo, frutto della vera vita nello Spirito.

    Fa’ risplendere la luce del tuo volto, Signore,

    sull’amata diocesi di Cassano all’Ionio, perché possa sempre camminare verso Te,

    illuminata dalla luce del Tuo Volto e accompagnata dalla tua rassicurante presenza.

    Amen!

    Vincenzo Bertolone

    Cassano all’Ionio, 31 maggio 2008 Visitazione della Beata Vergine Maria.

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    “Tutte le cose convergono in un punto, in una Persona: Cristo.

    Unica fonte inesauribile della nostra speranza, terrena ed escatologica.

    L’unico, struggente mistero, lo so, ma è l’unico per cui valga la pena di lottare e

    vivere. Un mistero avvincente, che non ti respinge

    come un muro di gomma, ma ti attrae, ti affascina,

    dà senso alla vita e alla storia dell’uomo e lo invita a guardare e contemplare il Suo Volto,

    spiegazione di tutti i perché”

    Vincenzo Bertolone

    CHI E’ COSTUI?

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    INTRODUZIONE Il perché del Convegno Nella mia prima Lettera Pastorale indirizzata alla diocesi a conclusione del Convegno “Sulla tua parola”, indicavo la Parola come “il faro, che ha illuminato e confortato gli animi, e la forza necessaria per riprendere il cammino con fiducia e speranza. Gesù è la parola vivente di Dio, Parola fatta carne”. E’ trascorso poco più di un anno dall’inizio del mio ministero in diocesi. “La Via, la Verità e la Vita” ci ha sostenuto nell’azione pastorale. Siamo stati rafforzati ed arricchiti dalla grazia dei sacramenti, dalla preghiera, dall’offerta del nostro servizio sacerdotale. Vogliamo continuare sulla scia del Signore della vita, del Risorto, lasciandoci illuminare dal suo Volto, quel volto che attrae, avvince, trasforma. Il Convegno sulla figura del Cristo non è un fatto accademico, ma un’altra occasione che il Signore offre alla comunità diocesana per riprendere a camminare all’inizio di un nuovo anno e per rafforzare la speranza della fede, in Lui. C’è in noi la convinzione che senza di Lui nulla possiamo fare. “Cristo è il mio tutto”, diceva S. Teresa di Lisieux, descrivendo magnificamente la sua esperienza religiosa. Ma perché Cristo sia “il nostro tutto” occorre lasciarsi conquistare da Lui, ricentrare la vita sulla sua persona e sull’accoglienza del suo regno. Urge sempre, particolare nell’ora presente. Gesù chiede la nostra adorazione, il nostro amore incondizionato. Quanto più lo conosciamo, tanto più potremo amarlo ed essere veri suoi discepoli. Attraverso la conoscenza biblica e l’approfondimento delle tematiche cristologiche, avremo modo di

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    sperimentare un arricchimento non solo intellettuale, ma anche spirituale. Ci muove la consapevolezza, ricordando don Giovanni Berlingieri, biblista della nostra diocesi, ritornato alla casa del Padre nove anni or sono, che “alle Sacre Scritture ci si accosta non come ad un oggetto di studio, ma come al fondamento della nostra fede”. Vogliamo prepararci a vivere questo nuovo appuntamento come sacerdoti, religiosi, laici impegnati, ma soprattutto come comunità cristiana. Questo Istrumentum laboris è una prima traccia di riflessione, un assaggio anticipato, un invito ad entrare in quelle tematiche che studiosi più esperti ed innamorati del testo sacro con più perizia e competenza ci proporranno. L’appello che rivolgiamo alla comunità diocesana sulla figura di Cristo è un invito forte a seguire il cammino, che Benedetto XVI, nel suo Discorso di apertura al Convegno della diocesi di Roma “Gesù è il Signore. Educare alla fede, alla sequela, alla testimonianza” (11 giugno2007), chiamava “pastorale dell’intelligenza”. E’ un fatto di cuore e d’intelligenza. L’intelligenza degli umili e dei semplici, dei piccoli si apre all’insondabile Mistero, “nel quale trova il senso e la direzione dell’esistenza, superando limiti e condizionamenti di una razionalità che si fida soltanto di ciò che può essere oggetto di esperimento e di calcolo”. L’obiettivo del Convegno va al di là delle nozioni e dei concetti scolastici o della riproposta di elucubrazioni accademiche per addetti ai lavori: focalizzare l’attenzione sulla figura di Cristo è cercare autentici percorsi di conoscenza e di avvicinamento che ci aiutino a contemplare il suo Volto. Lo studio rigoroso, secondo i corretti canoni della metodologia scientifica, è uno stimolo ad evitare il rischio sempre attuale di ridurre il Cristo ad un compiacente personaggio umanitario, un Gesù buonista che nulla esige, che mai biasima, che in ogni cosa approva, una specie di fantasma che nulla ha a

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    che fare con la realtà, un Cristo secondo le mode del tempo. Una domanda che c’interpella ancora Riandare all’essenza della fede e dell’esperienza cristiana è il principio della nostra azione pastorale. “Chi sono io per te?” è la domanda che Gesù pose ai suoi discepoli e che continua a porre a ciascuno di noi. L’interrogativo ripropone una domanda inesauribile, una domanda antica ma sempre attuale. Come possiamo continuare a dirci cristiani se ci sfugge l’importanza di questa domanda? Tante sono state le risposta nel corso della storia. Uomini e donne hanno risposto, lasciando tutto per seguire il Maestro, offrendo come Lui la propria vita. Pare quasi che la forza e la vitalità di questo dilemma stia nel non lasciarsi esaurire dalle risposte. Gesù continua ad interpellare l’uomo, anzitutto come domanda. “Ecco, sto alla porta e busso”. Una domanda di senso che tocca sia chi già crede e dalla risposta ad essa cerca nuovi stimoli e riferimenti importanti sia chi non crede, ma s’interroga sulla propria vita e sugli orizzonti ultimi. Il Gesù di Nazareth traccia una via nuova ed imprevedibile nell’intelligenza del volto di Dio. Ciò che può essere conosciuto e predicato di Dio è ciò che è stato vissuto e predicato da Gesù. La posta in gioco è alta, provoca le scelte fondamentali, decide il destino dell’uomo. Nessuno può realizzare pienamente se stesso senza accogliere, anche solo in modo inconscio, la sua persona. Lo sottolineava San Paolo: “Ciascuno stia attento a come costruisce. Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova che è Gesù Cristo” (1Cor 3,10-11). E’ Lui la Parola che tutto spiega, che crea, che salva, che si fa presenza. Come si legge nella Lettera agli Ebrei: “Cristo è lo stesso ieri, oggi

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    e sempre” (13,8). Questa Parola svela il mistero di Dio: è la “Parola nata dal silenzio del Padre” (S. Ignazio d’Antiochia). Incendio che brucia il cuore, lava ardente che penetra nelle ossa, “spada a doppio taglio”, penetra nei meandri più profondi dell’essere. Cristo, “Via, Verità e Vita” (Gv 14,6), guida il credente e lo nutre, lo illumina e sostiene, lo rialza e gli dà forza nel cammino della vita. All’uomo di oggi, il Signore ridona speranza, lo invita: “Alzati e cammina!”, supera la tua inerzia spirituale, colma i tuoi vuoti, riempi il tuo cuore di attese vere, di desideri infiniti, ricomincia a camminare sulla retta via. Cristo è la via, che fa superare gli angusti spazi di una vita emarginante, la solitudine fonte di ansia ed angoscia. E’ Lui che fa sentire la bellezza dell’invito: “Venite a me voi tutti che siete affaticati ed oppressi ed io vi ristorerò; il mio giogo infatti è dolce, il mio carico leggero” (Mt 11, 28.30). L’accoglienza di questo invito fa recuperare la libertà interiore ed entrare nella “compagnia affidabile, nella quale siamo stati generati ed educati per diventare in Cristo figli ed eredi di Dio” (Benedetto XVI). In cammino verso Gesù ed in ascolto delle sue parole è il percorso che ci sta davanti. Offriamo questa traccia di riflessione (o “strumento di lavoro”) secondo un triplice percorso. Nella I PARTE ci si lascia provocare dall’interrogativo dell’uomo moderno sul “Gesù storico”. Dopo anni di indiscussa accoglienza, parte della critica storica moderna ha messo in dubbio la storicità di Cristo. Il richiamo a questa problematica, seppure in maniera sommaria, aiuta a capire le difficoltà di fede dell’uomo moderno. La II PARTE è incentrata sulla domanda di fede del cristiano: “Chi sei Tu, Signore?”. Essa rappresenta il

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    nucleo fondamentale della pretesa cristiana. Qualunque sia la risposta, è una domanda da porsi. La III PARTE s’interroga sul cammino delle nostre comunità cristiane. La nostra storia s’interseca con quella dell’uomo di oggi, di quell’uomo che stenta a porsi sulle traccia della Verità, o quanto meno di volerne fare a meno. Dobbiamo interrogarci se la terra nella quale viviamo avverte ancora, ed in che misura, questo bisogno, se permane il coraggio dell’annuncio dell’Evangelo e se questo annuncio risuona quale “bella notizia”. In Appendice, si propone una riflessione della Commissione Diocesana Arte Sacra e Beni Culturali su alcune opere d’arte sacra presenti nelle nostre chiese, che sono una “catechesi popolare” sul Mistero del Cristo. Infine, un’antologia di testi dà la possibilità per un approfondimento personale sulla tematica proposta.

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    PREGHIAMO

    O Signore Gesù,

    aiutaci a camminare dietro a Te, che sei la via per giungere al Padre,

    Tu sei la verità: donaci di accoglierti con disponibilità e cuore grande,

    a guardare la vita con il tuo sguardo, Tu sei la vita del mondo intero:

    insegnaci a vivere per Te fino a lasciarti vivere totalmente in noi.

    Tu ci hai fatto “vedere il Padre”: donaci di scoprire il suo amore

    attraverso la Tua Parola e i Tuoi gesti i sacramenti che la Chiesa dispensa abbondantemente,

    disponi la Comunità diocesana che cerca il tuo Volto ad essere comunità che opera secondo il tuo amore.

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    CAPITOLO I

    IL “GESÙ STORICO”. ALLA RICERCA DEL SUO VOLTO

    La ricerca sul “Gesù storico” non è una questione di semplice interesse teorico, ma tocca una problematica fondamentale della fede cristiana. Il Cristo nel quale crediamo è quello dei Vangeli? Possiamo conoscere il “Cristo storico”? Quali attendibilità storica possono avere le fonti evangeliche? C’è continuità tra il “Gesù storico” ed il “Gesù della fede”? Offriamo alcuni spunti su una tematica che sarà approfondita in molti interventi del nostro Convegno. Interessa aprire la riflessione. La storicità dell’esperienza cristiana La prima sottolineatura riguarda l’importanza della dimensione storica dell’esperienza cristiana. La fede cristiana per sua natura è inscindibile dalla storia sia perché poggia su eventi sia perché questi eventi sono parte costitutiva del suo contenuto. Non è una fede che sconfina nel mito, ma una fede che nasce da fatti accertabili e nella loro essenzialità storicamente documentabili. Al centro di tutto v’è una storia vera, quella di Gesù, non uno dei tanti Gesù documentati all’interno di Israele da testi letterari, ma del Gesù, ebreo di Nazaret, che portò questo nome e del quale possiamo sapere tantissimo. Se si toglie la sua storia, la fede cristiana semplicemente crolla, non esiste più. Il Gesù che ha dato origine all’esperienza cristiana non è assimilabile ad una forza impersonale della natura, ma è un uomo che

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    è vissuto inserito nella storia di un popolo concreto e che ha avuto una sua propria vicenda personale, inquadrata in precise coordinate spazio-temporali. Sappiamo che ciò che è l’uomo, solo la storia può dirlo. Questo non è meno vero per Gesù. La sua identità, che per la fede va ben oltre la storia, è percepibile, partendo dalla storia e integrando la storia nel suo ritratto personale. Per questo assume valore e significato tutta la sua vicenda umana. Sicchè nulla di ciò che è umano (escluso naturalmente il peccato), può essere considerato in linea di principio estraneo a Lui. Questo ha dato origine al cristianesimo, la cui originalità non sta tanto nella proclamazione della divinità di un uomo, quanto nell’umanità di Dio. L’approccio al Gesù storico L’approccio al Gesù storico è di grande importanza per la teologia e per la fede del cristiano. Questa fede è in relazione ad un personaggio storico, l’uomo Gesù di Nazareth. Perciò non posiamo omettere una riflessione seria e ad uno studio approfondito delle fonti che ci parlano di Lui, in particolare dei Vangeli. I testi evangelici, quanto a genere letterario, non sono equiparabili ad un libro di cronaca o ad una biografia. Infatti, troppe cose non dicono di Gesù, perché possano essere accostati ad una biografia. Il genere letterario “vangelo” sottintende una finalità particolare: avvicinare il lettore al Mistero di cui parla attraverso la risposta della fede. Si deve sempre avere chiaro che, al di la delle ricostruzioni storiche della figura di Gesù, il Gesù dei vangeli è sempre un Gesù confessato, creduto, testimoniato, che va oltre il tempo e la vicenda concreta. E’ il Gesù della fede della comunità apostolica, che tiene desto lo sguardo su quel Volto concreto, segnato da profondi sentimenti umani, che ha “narrato” il Dio che

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    nessuno aveva mai visto né avrebbe potuto mai vedere. Ma il “Gesù della fede” è nello stesso tempo in linea di continuità e discontinuità col “Gesù della storia”. Dal Gesù della fede al Gesù storico La questione del “Gesù storico” diviene questione cruciale con l’applicazione del metodo scientifico delle ricerche storiche alla Bibbia e ai Vangeli, soprattutto a partire dal secolo XIX. Fu questo secolo, quando imperava il clima illuministico e razionalistico, il tempo favorevole – ma anche provvidenziale – in cui cominciò a staccare il “Gesù della fede” dal “Gesù della storia”.

    La problematica ha vissuto momenti di forte passione, specie presso i protestanti. L’esito è stato spesso caratterizzato da un larvato scetticismo circa le stesse possibilità di conoscere realmente il Gesù della storia. Una famosa tesi affermata in Germania in una facoltà teologica protestante è arrivata ad affermare: “Vita Christi scribi nequit”, cioè una vita di Gesù intesa nel senso storico non si può scrivere. La ragione era dovuta al fatto che le fonti non sono tali da poterne trarre elementi biografici atti a costruire una vera e propria storia. L’indagine mostra da una parte tante difficoltà nel ricostruire i lineamenti “biografici” del personaggio Gesù e dall’altra l’esistenza in ogni caso di una figura concreta, vera, indiscutibile nei suoi aspetti essenziali. Del resto, sarebbe impensabile che un movimento come il cristianesimo potesse avere un’origine incerta e nebulosa e giustificarsi senza avere alla sua origine una figura grandiosa, con caratteri certi e ben riconoscibili, come quella di Gesù di Nazaret. La riflessione moderna, che ha provato ad individuare la figura del Cristo sulla base di una concezione critica, anche se spesso inficiata da presupposti razionalistici che

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    arrivano a sollevare sospetti di vario genere, mette in luce le tante difficoltà dell’uomo di fronte alla pretesa di chi si presenta “uno” col Padre: “Io ed il Padre siamo una cosa sola” (Gv 11,30). Al vaglio della critica moderna II ritratto di Gesù, come appare con immediatezza dalle pagine dei quattro vangeli canonici, ha attraversato, senza ritocchi sostanziali e serie contestazioni, diciassette secoli di storia. “Solo nel clima dell’illuminismo tedesco – scrive G. Ravasi - si osa proporre una nuova immagine di Gesù che contraddice quella tradizionale: Gesù di Nazaret veniva spogliato del manto di Cristo e di Figlio di Dio, eliminando dalla sua figura tutto ciò che era ritenuto ‘mito’ o costruzione della fede della comunità primitiva, a partire dai miracoli e dalle parole trascendenti in cui appariva il volto divino”. Strauss e Hermann Samuel Reimarus (1694-1768) sono gli iniziatori di una “ricerca critica” sui vangeli: è vero – essi dicono – che i Vangeli presentano Gesù come il Redentore universale del mondo, ma ci sono seri motivi per pensare che questa immagine con corrisponda alla realtà storica. Strauss comunque con la sua “Vita di Gesù” pensava che tutta la ricerca sui Vangeli fosse viziata alla radice. I Vangeli – a suo avviso – non contenevano la storia del Figlio di Dio, ma erano dei racconti puramente naturali, secondo la mentalità razionalistica. Erano soltanto, dice Strauss, testimonianze di fede: l’interpretazione dei discepoli che li ricordavano “ri-creando” i fatti, dando a Gesù una messianicità da loro inventata. Il Reimarus parte dal presupposto che in una ricerca critica su Gesù “si deve tener distinto ciò che Gesù nella sua vita ha realmente fatto e insegnato, da quello che gli apostoli hanno narrato nei propri scritti”. Sulla

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    base di questo principio applicato ai vangeli arriva alla conclusione che Gesù, con la sua predicazione e attività, avrebbe propugnato una rivolta contro i romani, che occupavano la Palestina, ma la sua avventura messianico-politica si sarebbe conclusa con il suo arresto e l'esecuzione capitale in croce come ribelle. I suoi discepoli non si rassegnarono a questo fallimento e, con il trafugamento del cadavere di Gesù dal sepolcro, si fecero propagandisti della sua risurrezione, trasformandolo in un maestro spirituale e redentore dell'umanità mediante la sua morte in croce. Nello stesso orizzonte si collocano, anche se in modo diverso, la scuola escatologica di Wrede, A. Schweitzer e Loisy, ed la Scuola liberale, rappresentata da A. Von Harnack e E. Renan. Lo storico del cristianesimo Adolf von Harnack (1851-1930), autore del volume, intitolato L'essenza del Cristianesimo, afferma che “i vangeli non sono opere di storia, cioè non sono scritti per riferire semplicemente quanto è accaduto, bensì sono libri al servizio dell'evangelizzazione. Loro intento è suscitare la fede nella persona e nella missione di Gesù Cristo ... Essi però non sono inutilizzabili come fonti storiche, in quanto il loro intento non ha un'origine diversa, bensì coincide in parte con le intenzioni di Gesù”. Su questa base, l'Harnack afferma che l’essenza del cristianesimo non era la persona di Gesù Cristo, di cui si negava la divinità, ma la fede di Gesù, la condivisione etico-religiosa della causa nella quale Gesù aveva creduto e per la quale era vissuto e morto. Questa è l'essenza del cristianesimo che diventa il criterio per valutare la verità o meno delle sue espressioni e attuazioni storiche. In sostanza l'immagine di Gesù che propone il principale rappresentante del protestantesimo “liberale”, è quella di un grande ed illuminato maestro di religione e morale, incentrate sulla paternità di Dio e la fratellanza umana. Dalla parte cattolica, R. Guardini, ma

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    anche altri come K. Adam, M. Schmaus, si opposero a questa concezione. Il cristianesimo non ha una determinazione astratta: è Gesù stesso, nella sua unicità storica. Gesù non è un concetto, ma una persona storica, attingibile anche storicamente. La teologia liberale, con i suoi vari rappresentanti, descrive bene l’ambiente razionalistico ed illuministico in cui essa si svolse, operando in sintonia con una teologia protestante, che, con Bultmann, in particolare, tende a staccare il “Gesù della storia dal “Gesù della fede”. Con la svolta metodologica nello studio dei vangeli, promossa alla fine della prima guerra mondiale dal contributo di alcuni studiosi tedeschi, si pongono le basi per una ripresa della questione sul Gesù storico. La storia della tradizione sinottica di Rudolf Bultmann distingue due ambienti storico-culturali differenziati, dove è stata elaborata la tradizione preevangelica: le comunità giudeo-cristiane della Palestina e quelle ellenistiche. La tradizione evangelica, nata nel contesto giudeo-cristiano palestinese, è emigrata successivamente nelle nuove comunità cristiane che vivono nell'ambiente ellenistico. Questa evoluzione storico-culturale pone il problema di armonizzare la tradizione palestinese su Gesù con l'annuncio che si fa del Cristo, proclamato Kyrios, Signore, nel culto delle comunità extrapalestinesi. Il materiale confluito negli attuali vangeli ha assunto la sua forma preletteraria all'interno della vita della comunità raccolta per il culto, dove svolgono un ruolo attivo i profeti e maestri per l'edificazione e conforto dei credenti; sul fronte esterno la predicazione evangelica si struttura nelle forme che rispondono alle esigenze dell'apologetica e della polemica. Ci s’interroga: fino a che punto le esigenze della vita comunitaria per il culto, l'edificazione o la predicazione apologetica e missionaria hanno conservato, interpretato, oppure manipolato e creato

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    parole e fatti attribuiti a Gesù? La risposta a questo interrogativo è in parte condizionata dai presupposti ideologici dei singoli autori e dalle questioni irrisolte nell'indagine del secolo precedente. Esiste una continuità storica tra Gesù e la comunità cristiana, dove, secondo l'ipotesi della “storia delle forme”, si è strutturata la tradizione preevangelica? Esiste una continuità storica tra la comunità giudeo-cristiana palestinese e quelle ellenistiche extrapalestinesi? Per R. Bultmann, solo il Cristo della fede è stato insegnato dalla predicazione della Chiesa, è perciò impossibile pervenire alla conoscenza del Gesù della storia. Nell'introduzione al suo Jesus, pubblicato cinque anni dopo la Storia della tradizione sinottica, precisa in termini espliciti il suo metodo sia riguardo alla conoscenza storica che sulla possibilità di un accostamento al Gesù storico. La conoscenza storica per Bultmann non è un'osservazione neutrale dei fatti come avviene nella conoscenza della natura. Non è neppure una ricostruzione psicologica accettabile di un personaggio o di un evento. Essa è un “incontro personale” con il progetto o l'opera che rivela una certa comprensione dell'esistenza e provoca o fa appello ad una presa di posizione da parte del soggetto conoscente. Nel caso di Gesù non si tratta di ricostruire la sua biografia, nè di conoscere la sua personalità. Oltre tutto questa via sarebbe inagibile perché “noi non possiamo sapere praticamente nulla della vita e personalità di Gesù, dal momento che le fonti cristiane in nostro possesso sono molto frammentarie e impregnate di elementi leggendari, e di fatto non si interessano a queste cose”. Secondo Bultimann, al cristiano deve interessare proprio e soltanto il Cristo, il Figlio di Dio, e non certo la vicenda storica dell’ebreo Gesù di Nazaret. Il dibattito sulla figura del Cristo ha sempre

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    acceso grandi passioni nei primi secoli della vicenda storica della Chiesa come in età moderna. Tocca il fondamentale problema dell’identità di Gesù: “Chi sei Tu, Signore?”. Ci si domanda: come e dove trovare risposta? Un protestante direbbe nella Bibbia; un cattolico tradizionale nell’insegnamento della Chiesa; un cristiano politicamente impegnato (ad esempio, dell’America Latina) affermerebbe che l’identità di Gesù si ha nell’esperienza del popolo. Come è facile vedere tante sono le risposte possibili. Ma tutte sono condizionate dall’atteggiamento che si assume di fronte a Lui. Il giudizio non può essere “spassionato”. La posta in gioco è alta: alterare la sua identità è privare i cristiani “della loro base di vita, la loro vita non ha più senso” (C. Schönborn). Non sorprende che tante siano state le controversie cristologiche, condotte persino con molta passione. La questione non investe solo una problematica teologica astratta, ma i fondamenti dell’essere cristiano. Né si tratta di un’oziosa disquisizione intellettuale di fronte alla quale si può restare indifferenti. Non è un argomento scientifico qualsiasi da dovere (e potere) trattare con distaccata obiettività. Appartiene all’ordine delle realtà che sollecitano sempre un alto grado di coinvolgimento personale.

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    PREGHIAMO

    Signore, ti chiediamo perdono per il nostro essere Chiesa che non sa aprirsi al rinnovamento,

    che prepara progetti, ma si augura che tutto rimanga com'è,

    che rimane indifferente, quando addirittura non ti ostacola”.

    Signore, ti chiediamo perdono per il nostro essere Chiesa che non sa ubbidire

    perché non sa ascoltare, che ama la delega perché non vuole responsabilità,

    che cammina nell'individualismo. “Signore, ti chiediamo perdono

    per il nostro essere Chiesa che non sa aspettare, che non conosce la pazienza del seminatore,

    che non si accorge di chi ha il passo più lento.

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    Un Filosofo (Jean Guitton) Il Cristo, “esperienza di vita ed opera dell’intelligenza”. “In me ci sono due immagini, due presenze di Gesù Cristo. Quella che mi viene dall’infanzia, in modo particolare dalla mia “prima comunione”, che è stato un incontro intimo, di cui mi ricorderò sempre. E Gesù Cristo è stato come la coscienza della mia coscienza. Poi, giunto all’età critica, quando la prima immagine era messa in discussione, ho studiato molto, cercando i maestri, quelli dell’ombra (Renan, Loisy, Couchoud), quelli della luce (Pouget, Lagrange). Ho riflettuto a lungo e senza tregua e mi sono persuaso che la critica, invece di negare, aiuta a negare la negazione ed a far comprendere all’intelligenza, in modo sicuro e puro, il mistero di Gesù. Così che, verso il tramonto della mia vita, la prima immagine, invece di essere offuscata, mantiene la stessa intimità unita a più certezze e verità”. Uno storico (G. Ricciotti) “I Vangeli narrano che il Gesù sigillato nella tomba dai farisei è risorto. La storia narra che il Gesù ucciso in seguito mille volte si è dimostrato ogni volta più vivo di prima. Ora, trattandosi della stessa tattica, v’è ogni motivo di credere che lo stesso avverrà al Gesù rimesso in croce dalla critica storica”

    CHI È COSTUI?

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    CAPITOLO II

    NELLA PROFONDITÀ DEL MISTERO DEL RISORTO

    Dal Gesù storico al Gesù della fede Nel porci sulle tracce di Gesù ritorna sempre la domanda del Vangelo: Chi è Costui? (Mc 4,41). Siamo in grado di conoscerlo oggi? L’immagine che abbiamo di Lui corrisponde realmente al Gesù che ha percorso le strade della Palestina duemila anni or sono? Questi interrogativi hanno turbato la coscienza dell’uomo moderno, sul quale ha preso piede il sospetto inquietante che le immagini di Gesù potessero essere come fata Morgana il riflesso illusorio di un nostro desiderio. E’ stato Sigmund Freud (+1939) il primo ad esporre la fede cristiana al dubbio di essere una proiezione di questo tipo. La riflessione è spesso naufragata tra dubbi e perplessità, tra negazioni e affermazioni. Di fronte alle critiche del pensiero moderno, la fede del cristiano è stata messa alla prova. Le certezze del passato sono vacillate. Rimane la convinzione di dover in ogni caso rispondere a chi chiede ragione della fede in Cristo, rispondendo alle inquietudini dell’uomo di oggi. E’ un dato di fatto che l’accesso alla storia di Gesù passa attraverso attestazioni di mano cristiana. Al 99% i racconti che riguardano Gesù di Nazaret sono stati redatti da autori cristiani, cioè da credenti in lui: la sua storia è sostanzialmente attingibile soltanto passando attraverso queste testimonianze di fede. Questa modalità di conoscenza non implica di per sé inattendibilità storica. Non si può cedere all’errore dal quale mettono in guardia

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    gli storici seri di ritenere come “storicamente non accaduto” quello che è semplicemente “storicamente non dimostrabile”. Su molti dati dei vangeli la storia individua elementi di dubbia attendibilità storica nella loro consistenza oggettiva. Ma questo non porta necessariamente alla conclusione che siano falsi. Sul piano metodologico in riferimento alla ricostruzione storica del Gesù di Nazaret è da abbandonare il pregiudizio che i credenti siano condizionati negativamente da una precomprensione dei fatti evangelici, al contrario i non credenti ne resterebbero fuori. Lo avverte John Meier, autore di una monumentale monografia sul Gesú storico: “Lo si chiami pregiudizio, tendenza, visione del mondo o posizione di fede, chiunque scrive sul Gesú storico scrive da qualche punto di vista ideologico; nessun critico ne è esente. La soluzione a questo dilemma non è pretendere un’assoluta oggettività che non può avere, né vagare in un totale relativismo. La soluzione è ammettere onestamente il proprio punto di vista” (J. MEIER, Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico, Queriniana, Brescia 2002). Il problema fondamentale riguarda il valore di testimonianza “storica” che si riconosce ai vangeli. E’ vero che ciò che i vangeli e l'intero Nuovo Testamento dicono intorno al Gesù “terreno” si sviluppa alla luce della fede postpasquale, ma non si può per questo affermare che tutto ciò che nel Nuovo Testamento si dice di Gesù sia un “prodotto” della fede determinata e caratterizzata dalla Pasqua. Nel “Gesù di Nazaret”, Benedetto XVI fa rilevare la delicatezza del problema: “Ma che significato può avere la fede in Gesù il Cristo, in Gesù Figlio del Dio vivente, se poi l’uomo Gesù era così diverso da come lo presentano gli evangelisti e da come, partendo dai Vangeli, lo annuncia la Chiesa” (p. 7). Il Pontefice esprime le ragioni che l’inducono ad avere fiducia nei Vangeli:

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    “Naturalmente dò per scontato quanto il concilio e la moderna esegesi dicono sui generi letterari, sull’intenzionalità delle affermazioni, sul contesto comunitario dei Vangeli e il loro parlare in questo contesto vivo. Pur accettando, per quanto mi era possibile, tutto questo, ho voluto fare il tentativo di presentare il Gesù dei Vangeli come il Gesù reale, come il “Gesù storico” in senso vero e proprio. Io sono convinto… che questa figura è molto più logica e dal punto di vista storico anche più comprensibile delle ricostruzioni con le quali ci siamo dovuti confrontare negli ultimi decenni. Io ritengo che proprio questo Gesù – quello dei vangeli – sia una figura storicamente sensata e convincente” (p. 18). Le critiche mosse dalla ricerca storica moderna costituiscono più che un ostacolo alla nostra fede, un’occasione di verifica, uno stimolo, una provocazione in vista di una purificazione della stessa. Ciò non toglie quanto alla fede che essa sia apertura del cuore, adesione profondamente libera, non risultato assoluto di un lungo processo di riflessione o conclusione di un ragionamento filosofico o teologico risultante da diversi elementi convergenti. “E’ risposta ad una “luce originaria”, che illumina dall’inizio ogni tentativo di pensare, spiegare e formulare una cristologia” (C. Schönborn). Questa luce ha illuminato, se non accecato, Paolo sulla via di Damasco. In questa luce s’è sviluppato tutto il suo pensiero e il suo annuncio, la consapevolezza che non la legge bensì Gesù, il Figlio di Dio, salva. Non diversamente è accaduto a Pietro, cui “né carne né sangue” hanno rivelato che Gesù è il messia, il Figlio del Dio vivente, “ma il Padre mio che sta nei cieli” (Mt 16, 17-18). E’ quanto ancora oggi continua ad accadere, se “il Padre, Signore del cielo e della terra” tiene nascosto il mistero di Gesù “ai sapienti e ai dotti” e “lo rivela ai piccoli” (Mt 11, 25). Questo è fondamentale ogni qualvolta ci s’introduce nel

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    Mistero del Verbo incarnato. I vangeli nel descrivere il Gesù terreno come il Messia che è risorto danno per certa l'identità del Gesù terreno con il Cristo glorificato. Gesù è il Cristo, perché Dio lo “consacrò in Spirito Santo e potenza” (At 10,38). Egli era colui che doveva venire, l'oggetto “della speranza d'Israele” (At 28,20), proclamato ed invocato come Signore e Cristo, professato come Figlio di Dio. La resurrezione dai morti conferma la pretesa del Gesù terreno di essere l'apportatore decisivo di salvezza, che segna l'inizio del regno di Dio. Nella parola di Gesù parla Dio che nella vita, morte e risurrezione di Cristo si rivela in maniera definitiva. Benedetto XVI ricorda che i discepoli hanno riconosciuto in Gesù risorto colui che è nostro fratello in umanità, ma fa anche tutt’uno con Dio; colui che con la sua venuta nel mondo e in tutta la sua vita, la sua morte e risurrezione ci ha portato Dio ha reso in maniera nuova e unica Dio presente nel mondo, colui che dà significato e speranza alla nostra vita: in lui incontriamo il vero volto di Dio, ciò di cui abbiamo realmente bisogno per vivere. Cosa dicono i vangeli di Gesù? Quali sono le affermazioni alle quali è pervenuta la riflessione cristiana? Possiamo rendercene conto passando in rassegna i principali “titoli” che la comunità credente ha riferito al Nazareno. Figlio dell’uomo Tra i titoli cristologici, ce n’è uno che vanta una particolare credibilità a causa della sua antichità storica. È quello di Figlio dell’uomo, attestato nei Vangeli e presente negli Atti degli Apostoli (At 7,56). Trattandosi di un’espressione forse poco comprensibile al di fuori delle comunità Palestinesi, Paolo non la utilizza nelle sue

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    lettere nè è presente in altri scritti neotestamentari. Nel libro apocrifo di Enoc l’appellativo è applicato alla persona del Messia. Nello stesso senso è utilizzato da Gesù, che invita i discepoli a riflettere sulla sua persona e sulla sua missione, nonchè ad andare oltre l’apparenza dell’uomo che stava davanti a loro, per identificare la figura apocalittica del Re e del Giudice escatologico: “E vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo” (Mc 14,62). Una esaltazione postulata dalla sua umiliazione: la passione e la morte. Forse nel termine Figlio dell’uomo Gesù ha inteso associare entrambi i caratteri della sua sublime missione: quello del martire che condivide l’esistenza umana nella sua miseria e debolezza, e quello del Re e Giudice che eleva tale esistenza fino all’intimità divina. Con questo titolo Gesù si riconosce da un lato "vero uomo", dall’altro il "Figlio dell'uomo" di cui parlava il profeta Daniele: “Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco apparire, sulle nubi del cielo, uno, simile ad un figlio di uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui, che gli diede potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano; il suo potere è un potere eterno, che non tramonta mai, e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto” (Dan 7,13-14). Dicendosi "Figlio dell'uomo", Gesù si rivela come definitiva manifestazione dello splendore e della potenza di Dio. Figlio del Padre L’identità di Gesù, spesso intenzionalmente ridotta a sola figura umana, è incomprensibile se non la si considera nel suo essere Figlio eterno del Padre. Gesù è da sempre il Figlio fatto uomo del Padre. Nel termine “Figlio” è sottesa la relazione unica ed eterna del Cristo

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    con Dio suo Padre: egli è il Figlio unigenito del Padre e Dio egli stesso. Davanti al sinedrio, alla domanda dei suoi accusatori: “Tu dunque sei il Figlio di Dio?”, Gesù ammette: “Lo dite voi stessi: io lo sono” (Lc 22,70 ). Egli ha differenziato il suo essere Figlio del “Padre suo” da quello dei suoi discepoli, non dicendo mai “Padre nostro”, tranne che per comandar loro: “Voi dunque pregate così: Padre nostro” (Mt 6,9); e ha sottolineato tale distinzione: “Padre mio e Padre vostro” (Gv 20,17 ). I Vangeli riferiscono in due momenti solenni, il Battesimo e la Trasfigurazione di Cristo, la voce del Padre che lo designa come il suo “Figlio prediletto” (cfr Mt 3,17; Mt 17,5). Gesù è “il Figlio unigenito di Dio” (Gv 3,16), titolo col quale Egli stesso afferma la sua preesistenza eterna. Egli chiede la fede “nel Nome del Figlio unigenito di Dio” (Gv 3,18). Questa confessione cristiana appare già nell'esclamazione del centurione davanti a Gesù in croce: “Veramente quest'uomo era il Figlio di Dio” (Mc 15,39). Il titolo è attribuito a Gesù da molti personaggi (angelo, voce dal cielo, diavolo, indemoniati, discepoli, sommo sacerdote, folla insultante, centurione pagano). Sulla bocca di Gesù con valore autoreferenziale si trova raramente ed obliquamente. Uno dei passi in cui appare questa diretta attribuzione è Mt 11,27 e Lc 10,22: “Tutto mi è stato dato dal Padre mio e nessuno conosce il Figlio se non i Padre, né alcuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare”. Questa prima fondamentale affermazione della fede cristiana è attestata da Paolo alle porte di Damasco: Gesù è “il Figlio di Dio”. Negli inni paolini, Gesù è detto: il Figlio del suo amore (Col 1,13). Questa stupenda definizione cristologia non dice semplicemente la filiazione divina di Gesù, ma che Gesù in quanto Figlio è il termine dell’amore del Padre. Nell’amore il Padre partecipa al suo Figlio la natura divina e lo fa punto

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    d’incontro e di attuazione dei suoi disegni di redenzione, di riconciliazione e di amore verso gli uomini. Cristo è partecipe della creazione di tutte le cose e del loro rinnovamento nella redenzione. Non è il primo delle creature, ma Primogenito di ogni creatura. Da Lui tutto ha origine, in Lui e per Lui tutte le cose sono state create. L’espressione sottolinea da una parte lo speciale rapporto esistente tra il Padre e Gesù: generato non creato, è l’Unigenito, che, essendo eterno, è anteriore a tutti gli esseri creati, e in tal senso è anche Primogenito; dall’altra, rimarca il ruolo di Cristo nella creazione: egli sapienza increata del Padre è il principio-origine della creazione e della nuova creazione. Soltanto nel Mistero pasquale il credente può dare al titolo “Figlio di Dio” il suo pieno significato. Il Signore Titoli come “Cristo” e “Signore” esprimono uno stadio abbastanza arcaico della cristologia apostolica. L’esperienza della Pasqua segna uno sviluppo semantico di tale parola, che assume il significato che conosciamo oggi: Gesù il Cristo, cioè Messia di Israele che è morto ed è risorto. La risurrezione di Gesù è d'importanza centrale per l'origine della fede in Cristo, ponendo in una nuova luce ciò che questi discepoli avevano provato con Gesù e intorno a Gesù. Pietro nel suo discorso di Pentecoste proclama solennemente: “Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso” (At 2,36). Dopo la Pasqua il termine ‘Signore’ raggiunge la sua massima valenza teologica e lo vediamo particolarmente negli scritti di Paolo dove la salvezza è vincolata alla confessione di fede che «Gesù è il Signore» (Rm 10,9; 1Cor 12,3). Ma è nella epistola ai Filippesi, e

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    precisamente nel celebre inno che Cristo viene esaltato come Signore: “Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre” ( Fil 2,9-11). Confessare o invocare Gesù come Signore, è credere nella sua divinità: “Ogni lingua proclami che Gesù è il Signore, a gloria di Dio Padre” (Fil 2,11). Nella lettera ai Corinzi, precisa: “Nessuno può dire: “Gesù è il Signore”, se non sotto l’azione dello Spirito Santo” (1 Cor 12,3). Questa fondamentale professione di fede della chiesa avviene sotto l’azione dello Spirito Santo. “Nessuno può dire “Gesù è il Signore” se non sotto l'azione dello Spirito Santo” (1Cor 12,3). Nel saluto finale della Prima lettera ai Corinzi, l’Apostolo Paolo esclama: “Se qualcuno non ama il Signore sia anatèma. Maranà tha: vieni, o Signore” (1 Cor 16, 22), consegnandoci quest’antichissima invocazione in lingua aramaica, che esprime l’invocazione dei discepoli per la venuta del Signore alla fine dei tempi. La rivelazione biblica si conclude con l’invocazione: “Colui che attesta queste cose dice: “Sì, verrò presto!”. Amen. Vieni, Signore Gesù. La grazia del Signore Gesù sia con tutti voi. Amen!”(Ap 22,20-21). Gesù Salvatore Il nome di Gesù dato dall’Angelo Gabriele e proposto a Maria significa “Dio è salvezza” (Lc 1,31): Egli “salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1, 21). Il NT pone sovente in risalto l’opera redentrice e salvatrice di Gesù dalla schiavitù del peccato e della morte. La salvezza era stata preannunziata nell’AT come “benedizione di Dio”, “avvento della speranza”, “vita felice”. Tutto ciò in

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    Gesù di Nazareth ha il suo perfetto compimento. Già l’annuncio della sua nascita è motivo di gioia. Altrettanto la sua instancabile opera di predicazione della buona novella del Padre suo ed il suo solidarizzare con i malati, gli esclusi, i peccatori, gli schiavi di Satana guarendoli e sanandoli sono il segno più concreto della visita del Dio liberatore e salvatore, che nel Figlio suo diletto ridona speranza, vita e letizia al suo popolo. Culmine dell’opera salvatrice del Cristo è la sua perfetta obbedienza al Padre fino alla morte e alla morte di croce da cui lo Spirito viene ridonato all’umanità per farne una cosa nuova. E con la risurrezione il Padre non solo “salva” il Figlio dalle angosce della morte, ma in Lui, “salva anche noi” (prefigurazione della vita gloriosa che ci attende). Un mistero che suscita stupore La riflessione della chiesa ha continuato la ricerca con la partecipazione dei credenti, ma soprattutto con la predicazione e gli scritti dei Padri della Chiesa, con il magistero del papa e dei vescovi, con le acquisizioni solenni dei Concili. Non sono mancati errori o eresie, che spesso hanno enfatizzato aspetti parziali della verità in maniera così unilaterale da lasciarne in ombra o negarne altri. Alcuni hanno accentuato l’umanità di Cristo a scapito della Divinità (Ario); altri hanno accentuato la divinità in modo da misconoscere la sua vera e completa umanità. Tutte hanno finito con l’allontanare Dio dalla storia degli uomini, compromettendo la concezione cristiana della salvezza come unione di Dio con l’uomo. Per evitare questi pericoli e difendere l’integrità della dottrina ricevuta dagli apostoli e l’unità della chiesa, i concili, confidando nell’assistenza dello Spirito Santo, hanno coniato definizioni dogmatiche, che restano dei punti fermi che non bloccano la ricerca, ma la preservano

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    da devianze. Le espressioni che individuano Gesù conservano il Mistero della sua Persona. Di fronte alle molteplici attestazioni permane “la dimensione del mistero o almeno di una irraggiungibile identità della persona di Gesù” (R. Penna). Se la fede implica un movimento incessante di ricerca, quel mistero nello stesso tempo si rivela e si nasconde. Un testo apocrifo, probabilmente del III secolo, il Vangelo di Filippo, lascia intendere in termini singolari questa realtà: “Gesù li ha imbrogliati tutti, giacchè non si è manifestato per quello che era, ma solo nella maniera in cui essi erano in grado di vederlo. Si è manifestato bensì a tutti. Ai grandi si è mostrato grande; ai piccoli si è mostrato piccolo; agli angeli si è rivelato come angelo; agli uomini come uomo. Per questo il suo logos è rimasto a tutti nascosto… Lui era grande, ma fece grandi i suoi discepoli affinché riuscissero a contemplarlo nella sua grandezza”. La figura di Gesù permane nella sua complessità. C’è chi vede in Lui l’uomo eccezionale, il maestro di sapienza, il testimone morale, il martire della verità e chi scopre in lui la suprema presenza di Dio, il Figlio del Dio benedetto. Ma al di là dell’incontro con il suo vero Volto, come sempre è accaduto nella storia, Egli continua a suscitare stupore. Interpella l’intimo di ogni uomo. Resta “segno di contraddizione” (Lc 2, 35); continua ad interpellare come a Cafarnao, ove grande era lo sconcerto dei discepoli dopo le parole sul “pane di vita”: “Volete andarvene anche voi?”. “Da quel giorno molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con Lui”. Ma Pietro a nome degli altri esclamò: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che Tu sei il Santo di Dio” (Gv 6, 66-69). Possiamo anche noi riconoscere: “Mi hai manifestato i tuoi misteri meravigliosi, e nel tuo meraviglioso disegno

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    mi hai reso forte” (Qumràn 1QH 4, 27-28). Questa confessione di fede presuppone sempre la libertà dell’uomo. Una libertà fragile, esposta. Ma di fronte al rifiuto spesso resta la nostalgia dell’incontro mancato e nell’ora buia della notte riecheggia quel desiderio che il filosofo S. Kierkegaard registrava nel suo Diario (16 agosto 1839): “Gesù, vieni ancora in cerca di me sui sentieri dei miei traviamenti ove io mi nascondo a te e agli uomini”.

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    Uno scrittore (N. Cusano) “E il mio Signore Gesù Cristo è cresciuto sempre più nel mio intelletto e nel mio cuore per un aumento della mia fede. Nessuno che abbia la fede di Cristo può negare che per questa via egli si senta infiammato da un desiderio così elevato, da vedere dopo lunghe meditazioni ed elevazioni il dolcissimo Gesù, il solo degno di essere amato e, così, lo abbracci, tutto abbandonando con gioia, perché egli è la vita vera e la beatitudine eterna. A chi penetra, così, in Gesù, tutte le cose cedono e né gli scritti né le cose di questo mondo possono procurargli difficoltà alcuna, perché costui si trasforma in Gesù, grazie allo Spirito di Cristo che abita in lui, egli che è il fine dei desideri intellettuali. Ti piaccia ora, padre devotissimo, pregarlo assiduamente con cuore supplice, per me miserabile peccatore, sì che insieme meritiamo di goderlo in eterno”(La dotta ignoranza, Roma 1991, 199-200). Benedetto XVI (dalla Premessa del “Gesù di Nazaret”) “Al libro su Gesù, di cui presento al pubblico la prima parte, sono giunto dopo un lungo cammino interiore. Al tempo della mia giovinezza – negli anni trenta e quaranta – vennero pubblicati una serie di libri entusiasmanti su Gesù. Ricordo solo il nome di alcuni autori: K. Adam, R. Guardini, F. M.

    CHI È COSTUI?

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    Wiliam, G.Papini, J. Daniel-Rops. In tutti questi libri l’immagine di Gesù venne delineata a partire dai vangeli: come Egli visse sulla terra e come, pur essendo interamente uomo, portò nello stesso tempo agli uomini Dio, con il quale, in quanto figlio, era una cosa sola. Così, attraverso l’uomo Gesù, divenne visibile Dio e a partire da Dio si potè vedere l’immagine dell’uomo giusto. “A cominciare dagli anni cinquanta la situazione cambiò. Lo strappo tra il “Gesù storico” ed il “Cristo della fede” divenne sempre più ampio; l’uno si allontanò dall’altro a vista d’occhio. Ma che significato può avere la fede in Gesù Cristo, in Gesù figlio del Dio vivente, se poi l’uomo Gesù era così diverso da come lo presentano gli evangelisti? I progressi della ricerca storico-critica condussero a distinzioni sempre più sottili tra i diversi strati della tradizione. Dietro di essi, la figura di Gesù, su cui poggi la fede, divenne sempre più nebulosa, prese contorni sempre meno definiti. Nello stesso tempo le ricostruzioni di questo Gesù, che doveva essere cercato dietro le tradizioni degli Evangelisti e le loro fonti, divennero sempre più contraddittorie: dal rivoluzionario nemico dei Romani che si oppone al potere costituito e naturalmente fallisce al mite moralista che tutto permette e inspiegabilmente finisce per causare la propria rovina. “Chi legge di seguito un certo numero di queste ricostruzioni può subito constatare che esse sono molto più fotografie degli autori e dei loro ideali che non la messa a nudo di una icona diventata confusa. Nel frattempo è sì cresciuta la diffidenza nei confronti di queste immagini di

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    Gesù, e tuttavia la figura stessa di Gesù si è allontanata ancor più da noi. Tutti questi tentativi hanno comunque lasciato dietro di sé, come denominatore comune, l’impressione che noi sappiamo ben poco di certo su Gesù e che solo più tardi la fede nella sua divinità ha plasmato la sua immagine. Questa impressione, nel frattempo, è penetrata profondamente nella coscienza comune della cristianità. Una simile situazione è drammatica per la fede perché rende incerto il suo autentico punto di riferimento: l’intima amicizia con Gesù, da cui tutto dipende, minaccia di annaspare nel vuoto (…). “Ho sentito il bisogno di fornire ai lettori queste indicazioni di metodo perché esse determinano la strada della mia interpretazione della figura di Gesù nel Nuovo Testamento”.

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    CAPITOLO III

    DAL CONVEGNO “SULLA TUA PAROLA” A QUELLO SUL “VOLTO DI CRISTO: VERITÀ,

    VIA E VITA” Quale verifica? A questo punto nascono spontanee alcune domande: Prima di un nuovo Convegno, non è il caso di fare una seria verifica del percorso compiuto? Quale ripercussioni, continuità e ricadute convegni, anche di alto profilo teologico e biblico, possono avere sulle nostre comunità? Quali provocazioni “pastorali” possono provenire in concreto da un Convegno sulla figura del Cristo nella nostra Chiesa? Sono interrogativi che ritornano, di per sé legittimi, specie quando le attese sono tante. Nel cammino storico della Chiesa si sa che non tutto è programmabile. L’aggiornamento si pone quale esigenza permanente della sua vita. I tempi che cambiamo, le istanze culturali che si moltiplicano, nuovi problemi pastorali in un mondo che cambia interrogano le nostre comunità. E quando la chiesa s’interroga, non lo fa per pura accademia, per il desiderio di erudizione, ma per il bisogno di ritornare alle fonti, rinfrescarsi un po’, recuperare vitalità e slancio, sostare per riprendere respiro. E’ difficile cogliere gli effetti dell’azione dello Spirito, che agisce sempre quando la chiesa è convocata dal suo pastore. Gesù ricorda: “Quando due o più sono riuniti nel mio nome, là…”. E nessuno può negare che l’azione dello Spirito sia presente quando una comunità

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    diocesana si riunisce in preghiera, in ascolto della Parola, lasciandosi abbeverare alle sorgenti della sana dottrina. Questo non toglie che occorre ripartire, tenendo conto del cammino già svolto, delle sue difficoltà, dei suoi eventuali rallentamenti o fallimenti, ma anche del progresso fatto. Nella prima Lettera Pastorale “Sulla Tua Parola” sono stati indicati percorsi importanti per la vita e la missione della nostra Chiesa, che conservano la loro attualità e devono essere riproposti nel corso del nuovo anno pastorale. A livello pastorale, ne richiamiamo alcuni Anzitutto, ribadiamo la necessità di continuare e, s’è necessario, migliorare la lectio divina, che, in molte parrocchie vissuta secondo i criteri e le modalità da essa esigiti, costituisce importante occasione interessante di crescita spirituale. Laddove non è stata possibile, è necessario non trascurare un’opportunità del genere, che consente di vivere un incontro personale con Cristo. Come è scritto nella Lettera Pastorale, “Cristo è il centro di tutta la bibbia”, “la quotidiana familiarità con le Scritture facilita l’intimità con Cristo stesso, la chiesa raccomanda una familiarità orante della Parola di Dio” (n. 3). Quanti hanno intrapreso questa esperienza ed hanno avuto modo di apprezzarne la bellezza e preziosità non manchino di continuare. Laddove invece non è stata possibile, ci si organizzi meglio in modo da intraprenderla, anche avvalendosi, perché no, della collaborazione di chi ha più pratica. E’ opportuno ricordare che la lectio divina come “lettura orante della Parola” è la “via privilegiata di ascolto della Parola per la nostra chiesa diocesana”. Intorno alla Parola, che viene ruminata, pregata, ascoltata, accolta, la comunità cresce e si edifica ed anche l’azione dei ministri si arricchisce giorno dopo giorno. Per dare seguito al Convegno nel corso dell’anno possono essere scelti brani biblici che riguardano più direttamente la figura di Cristo. Come si

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    potrebbe pensare ad una “pastorale dell’intelligenza” senza recuperare la centralità del mistero di Cristo? Assieme alla lectio divina, vanno riprese e privilegiate le altre indicazioni concrete esposte nella lettera pastorale, quali in particolare la formazione dei gruppi biblici e liturgici. Queste esperienze pastorale stanno già sortendo effetti positivi in tante chiese. Si tratta di esperienze collaudate, che vanno anzitutto conosciute. Si direbbe: “troppa carne a cuocere”. Del resto la sfiducia, lo scoraggiamento, la stanchezza spesso fanno capolino nelle nostre comunità e si cede alla rassegnazione, ad una pastorale della conservazione. L’evangelizzazione langue. L’esercizio del ministero si esaurisce in un lavoro di routine, che possiamo definire pastorale dell’amministrazione dei sacramenti. Gli operatori pastorali si riducono ad “agenti del sacro”. Nessuna incidenza nella vita spirituale delle comunità. Poca creatività e soprattutto tanta stanchezza. Lasciamoci guidare dallo Spirito e tutta la nostra vita riacquista nuovo slancio. Il prossimo Convegno non solo non intende mettere in cassaforte le proposte operative richiamate, ma infondere altra linfa e nuovi stimoli per continuare nel cammino. A questo aggiungiamo che occorre accogliere l’invito del Santo Padre Benedetto XVI a vivere l’Anno Paolino come occasione di grazia per riscoprire la figura dell’Apostolo Paolo, l’innamorato di Cristo. Natura e finalità del Convegno Il Convegno cui ci stiamo preparando è un approfondimento ed uno stimolo in più verso la conoscenza del mistero del Cristo. Per i sacerdoti si prospetta un’occasione di aggiornamento teologico, spesso rimasto agli anni degli studi che per alcuni

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    risalgono all’epoca preconciliare; per i laici, invece, che mi auguro sempre più numerosi, con la partecipazione quanto più allargata, un’occasione di riflettere sul Mistero di Cristo, la ragione della nostra fede. La conoscenza teologica aiuta a coniugare fede e ragione, a rendere sempre più adulta la scelta cristiana. Se Gesù è la ragione della nostra fede, come possiamo contentarci del poco che in qualche modo ci è stato consegnato? “Dalla Parola scritta alla Parola fattasi carne” è questo il percorso spirituale che la nostra Chiesa diocesana ha intrapreso e nel quale intende continuare. Credo che siamo partiti dal nucleo vitale della fede cattolica, dall’essenza del cristianesimo. Tutto il resto consegue per successivi approfondimenti. Qualche voce critica potrebbe vedere nell’impostazione del Convegno un’indole troppo “accademico”, nel senso più alto del termine. Chiariamo: se per “accademico” intendiamo “rigore scientifico”, “nulla quaestio”. Se invece si vuole insinuare l’idea dell’astrattezza, del disincarnato, della retorica, bisogna impegnarsi, ciascuno per la sua parte, perché questo non accada. Il pericolo sussiste, ma non è nelle intenzioni di chi lo ha pensato e voluto. Il limite umano è presente in tutto il nostro agire. Il nostro intento è offrire alla nostra Chiesa diocesana occasioni sempre nuove di studio e di riflessione. Facciamo nostra la convinzione: che la fede dei cristiani ha bisogno di maturare e

    diventare esperienza forte di vita che una pastorale intesa come “amministrazione

    dell’esistente” rischia di vanificare lo sforzo dell’operatore,

    che una pastorale poco pensata rende un pessimo servizio alla chiesa diocesana. In ultimo, non possiamo esimerci dal sottolineare che

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    i “Convegni” non sono la “pastorale” della nostra Chiesa particolare, ma un momento di essa, al quale richiamiamo con forza l’impegno della partecipazione e dell’accoglienza. La vita della comunità si sviluppa nell’azione di santificazione, che, grazie all’assistenza dello Spirito Santo, tende ad offrire speranza all’uomo di oggi, a rispondere alle sue attese di salvezza, a manifestare i segni della vicinanza di Dio. Attraverso questi momenti di studio vogliamo offrire un’occasione di riflessione su quelle tematiche che ci stanno particolarmente a cuore e che possono costituire concretamente il percorso della nostra Chiesa Diocesana.

    La centralità di Cristo nell’azione pastorale della nostra Chiesa diocesana La scelta del II Convegno si collega a quella dello scorso anno “Sulla Tua Parola”. Continuiamo a camminare in sintonia con la chiesa universale, che, nel prossimo ottobre, celebra il Sinodo dei Vescovi incentrato sulla Parola nella missione e vita della Chiesa.. Ci muove la convinzione che l’azione pastorale, nel contesto odierno, esige un ritorno all’essenziale: l’annuncio del kerygma, la proposta della centralità di Cristo nella vita dell’uomo e nel cosmo.

    Gli orientamenti pastorali dell’episcopato italiano per il primo decennio del Duemila, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, delineavano il cammino pastorale della chiesa in Italia, ponendosi come obiettivo la “comunicazione del Vangelo ai fedeli, a quanti vivono nell’indifferenza e ai non cristiani, qui nelle nostre terre e nella missione ad gentes”. Questo obiettivo richiede un impegno di primo annuncio del Vangelo, “sia perché cresce il numero delle persone non battezzate o che debbono completare l’iniziazione cristiana, sia perché

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    molti battezzati vivono come se Cristo non esistesse; inoltre anche in quanti ripetono i segni della fede, non sempre alle parole e ai gesti corrisponde un’autentica e concreta adesione alla persona di Gesù Salvatore”. La Nota pastorale della CEI Questa è la nostra fede sul primo annuncio del Vangelo (2005), riprendendo questi orientamenti, insiste sul tema: “Il messaggio cristiano si riassume non in una parola astratta, ma nella notizia puntuale e concreta di un evento storico, un avvenimento mai accaduto prima, riguardante Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio fatto uomo, vissuto su questa nostra terra in un tempo determinato, in un luogo particolare. Perciò, per sintetizzare tutto l’insegnamento impartito da Filippo al ministro della regina Candace, san Luca si può limitare a una formula brevissima: “annunciò a lui Gesù” (At 8,35)”. L’annuncio di Cristo è ancor più necessario nel nostro tempo caratterizzato dalla cultura secolarizzata, dall’indifferenza e dal torpore spirituale. Alcuni anni or sono, il Venerabile Giovanni Paolo II, additando alla Chiesa intera il cammino nel nuovo millennio, invitava a “ripartire da Cristo” e non esitava a dire che “la prospettiva in cui deve porsi tutto il cammino pastorale è quella della santità” (Novo millennio ineunte, 6 gennaio 2001, n. 30). E aggiungeva: “Per questa pedagogia della santità c’è bisogno di un cristianesimo che si distingua innanzitutto nell’arte della preghiera” (n. 30). Benedetto XVI si pone, con le sue qualità di teologo e catechista, su questa stessa linea. Il primato di Dio nella pastorale è fondato sul fatto che la Chiesa non ha un fine in se stessa, ma ha come ragione d’essere quella di porsi come “sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità del genere umano” (Lumen gentium, 1). La Chiesa è essenzialmente relativa a Dio rivelato e comunicato in Gesù Cristo. Tutta la sua organizzazione e

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    attività pastorale devono tendere a questo fine. L’annuncio e la testimonianza che propone devono essere annuncio di Cristo. Su questi presupposti, ricentrare su Cristo il Convegno è per la nostra Chiesa autentico programma pastorale. Si tratta di richiamare e ridestare la questione fondamentale, importante e decisiva della nostra esperienza di fede: la centralità del mistero di Cristo. Con questo contribuiremo a spezzare la coltre di superficialità, banalità e vanità e alla fine l’insignificanza del vivere e del morire. Non si propongono cose nuove da fare, ma una “conversione della pastorale”, un focalizzare l’azione di Popolo di Dio in cammino sull’essenziale, sul cuore dell’esperienza cristiana: il Risorto, il Vivente, l’Alfa e l’Omega, il Principio e la Fine.

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    CONCLUSIONE Nonostante le affermazioni sull’identità del Cristo quale si può ricavare dai Vangeli non si può non riconoscere con R. Schnackenburg, uno dei più noti esegeti cattolici di lingua tedesca della seconda metà del XX secolo, che “mediante gli sforzi della ricerca coi metodi storico-critici non si riesce o si riesce solo in misura insufficiente a raggiungere una visione affidabile della figura storica di Gesù di Nazaret”. Quello che appare evidente nella persona del Cristo è il suo essere relativo a Dio e la sua unione con Lui: “Senza il radicamento in Dio la persona di Gesù rimane fuggevole, irreale e inspiegabile” (R. Schnackenburg). Questo è il nucleo centrale più forte della personalità del Cristo. Senza questa comunione non si può capire nulla di Lui. E’ partendo da essa che Egli ancora oggi si fa presente a noi e c’interroga: “E voi chi dite che io sia?” (Mt 9,29). Una domanda che c’interpella dal profondo. Né ci possiamo fermare alla domanda: “Chi è il Cristo in sé?” L’altro interrogativo: “Chi è Cristo per te?” è più pressante. A questa domanda non sfuggono i teologi. Uno dei maggiori teologi protestanti contemporanei, J. Moltmann, nel 1994 titolava un saggio: “Chi è Cristo per noi oggi?”. Un altro grande teologo tedesco, Dietrich Bonhoeffer, martire nel lager nazista di Flossenburg, nella sua Cristologia esprimeva un’esigenza fondamentale: “Cristo non è tale solo in quanto Cristo per sé, ma nel suo riferimento a me. Il suo esser-Cristo e il suo esser-per me”. Anche volendo evitarlo, t’imbatti in Lui, come confessava il poeta russo Aleksandr Blok nel 1918 in un poema titolato I Dodici: “Quando l’ebbi finito, mi meravigliai lo stesso: perché

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    mai Cristo? Davvero Cristo? Ma più il mio esame era attento, più distintamente vedevo Cristo. Annotai allora sul diario: Purtroppo Cristo. Purtroppo proprio Cristo”. E Romano Guardini, ne L’essenza del Cristianesimo, conclude con profondità di pensiero: “Il cristianesimo non è una teoria della Verità, o una interpretazione della vita. Esso è anche questo, ma non in questo consiste il suo nucleo essenziale. Questo è costituito da Gesù di Nazareth, dalla sua concreta esistenza, dalla sua opera, dal suo destino – cioè da una personalità storica”. E’ a Lui, al suo Volto che il prossimo Convegno vuole attirare la riflessione della nostra chiesa locale. Non per restare sul piano delle idee o nell’astrattezza delle questioni teoriche, ma per sollecitare l’adesione a Lui, la risposta della nostra fede, pronta a divenire sequela, preghiera e missione.

    QUALCHE INTERROGATIVO E

    TRACCIA DI RIFLESSIONE Questo Instrumentum laboris vuole dare l’avvio ad una riflessione comunitaria, nella speranza che i sacerdoti, fedeli laici, religiosi e religiose delle nostre comunità si lascino interpellare dalle problematiche sollevate. Sembra opportuno indicare alcune tracce di riflessione su cui lasciarsi interrogare.

    • Quale rilevanza ha nella cultura attuale la domanda circa l’identità di Gesù?

    • Quale importanza assume nella consapevolezza

    di fede del cristiano di oggi la distinzione tra il “Cristo della fede” ed il “Cristo della storia”? Come far superare –anche a livello catechetico- la dicotomia tra il “Gesù della fede” ed il “Gesù

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    della storia”? La catechesi ordinaria presta la dovuta attenzione alla presentazione “storica” del volto di Cristo?

    • Quali condizionamenti culturali creano particolare difficoltà perché l’uomo di oggi si apra a un’accoglienza piena e disponibile del mistero di Cristo? Ci si è chiede perché testi come il “Codice da Vinci” di Dan Brown, “Inchiesta su Gesù” di C. Augias e Pesce Mauro trovino tanto seguito, anche tra i Cattolici? Perché tanto ritorno a fonti extracanoniche come i Vangeli Apocrifi?

    • Come esprimere e professare nel contesto attuale

    la nostra fede in Gesù il Signore?

    • Quale immagine di Dio tende a primeggiare nelle nostre comunità: quella di un Dio “troppo umano” fatto a “nostra immagine e somiglianza” o quella rivelataci dal Cristo, di un Dio che, nel Figlio, si fa vicino all’uomo, ad ogni uomo, qualunque sia la sua condizione?

    • Le nostre comunità avvertono il senso profondo

    dell’incarnazione, quale mistero di un Dio si fa storia, condividendo il cammino dell’uomo, facendosi “verità, Via, Vita”, col quale è possibile intavolare un dialogo d’amore, o permane ancora la concezione di un Dio astratto e lontano?

    • Partendo dall’immagine di un Dio compromesso

    con la storia umana, quale radicamento nelle vicende sociali e storiche le nostre comunità riescono a realizzare e vivere? Quale apporto alla

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    realtà sociale e storica?

    • Il volto umano del Dio di Gesù Cristo orienta l’esperienza cristiana più che in senso devozionale verso una presenza più significativamente radicata nei meandri della vicenda storica?

    • Nella nostra esperienza cristiana avvertiamo la

    resurrezione di Gesù, il mistero della sua Pasqua come un avvenimento che ci riguarda da vicino e profondamente? Come possiamo testimoniare nella nostra cultura e nel nostro ambiente la risurrezione di Gesù? Attraverso quali segni concreti?

    • La nostra esperienza religiosa si lascia sollecitare

    dalla ricerca del Volto del Cristo? La Chiesa in tutte le sue dimensioni operative (catechesi, azione caritativa, liturgia) riesce a proporre il Cristo nella fedeltà alla Tradizione?

    • Si avverte nelle nostre comunità l’urgenza

    missionaria? “Caritas Christi urget nos”. La tensione evangelizzatrice, “l’urgenza di Cristo” è il motore dell’agire della Chiesa nel nostro territorio?

    PER GLI APPROFONDIMENTI PERSONALI E COMUNITARI

    Ogni testo di Cristologia è indicato per approfondire la tematica. I volumi sulla figura di Cristo, anche solo a considerare quelli pubblicati negli ultimi due

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    secoli, sono innumerevoli. Basta fare riferimento a qualunque nota bibliografica, per rendersene conto. Ci si affida alla diligenza e all’interesse di ciascuno. Catechismo Chiesa Cattolica, nn. 422-682. BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano 2007. CEI, La verità vi farà liberi”. Catechismo degli Adulti, Roma 1995. R. PENNA, Gesù di Nazaret. La sua storia, la nostra fede, Cinisello Balsamo 2008. C. SCHÖNBORN, Dio inviò suo Figlio, Jaca Book, Milano 2002.

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    Una Santa (Santa Teresa D’Avila) “Pensando al Signore, alla sua vita, alla sua Passione, si ricorda il suo dolcissimo e bellissimo volto e se ne prova vivissima consolazione. È un ricordo soave che procura profondo conforto. Il Signore ci imprima nella mente la sua immagine così al vivo, da non poter essere cancellata fino al giorno in cui lo si godrà senza fine”. Vescovi Italiani, Catechismo degli Adulti (213) Gesù, personaggio paradossale. “Gesù è un personaggio singolare e affascinante. Magnanimo e umile. Forte e mite. Totalmente libero e totalmente a servizio. Vicino al Dio santo e vicino all’uomo peccatore. Di viva intelligenza e squisita sensibilità. Elevato nel pensiero e semplice nell’esprimersi. Contemplativo e impegnato nell’azione. Profeticamente indignato verso i prepotenti e gli ipocriti e premuroso verso gli oppressi, i malati, i semplici e i bambini. Realistico nel valutare la fragilità e la malvagità umana e fiducioso nelle possibilità di conversione e di bene. Aperto all’amicizia e ai valori della vita e pronto ad accettare la solitudine e la morte. Soprattutto singolare, incomparabile nell’autorità e nel dono di sé”.

    CHI È COSTUI?

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    APPENDICE

    IL CRISTO NELL’ARTE SACRA NELLA NOSTRA DIOCESI

    La figura del Cristo in alcune opere d’arte delle chiese della diocesi. Considerazioni artistiche di Gianluigi Trombetti, membro Commissione Diocesana Arte Sacra e Beni Culturali

    In verità alquanto scarse sono le raffigurazioni del Cristo, se si escludono i Crocefissi e le composizioni in cui il Salvatore compare bambino con la Vergine o altri santi, nelle quali Nostro Signore è rappresentato in un momento proprio della sua vita. Proviamo ad analizzarne qualcuna di quelle che potremmo osservare nelle chiese della nostra Diocesi. La più antica sembra essere l’affresco riproducente il Cristo Giudice conservato nella scala della cantoria del santuario della Madonna del Castello. Databile alla metà del XIV secolo, l’affresco è dovuto ad un ignoto pittore in cui le reminiscenze bizantine sono ancora vive ma in cui le nuove tendenze dell’arte gotica si fanno strada anche nei caratteri in cui, sul libro che regge aperto, leggiamo la frase “Ego sum lux mundi”, Io sono la luce del mondo. La figura, maestosamente seduta in una mandorla, sorretta da quattro angeli dal profilo aguzzo, benedice con la mano alzata e lo sguardo fisso sull’osservatore- fedele, quasi a ricordare la sua funzione di giudice supremo. Il dipinto è ciò che resta di un

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    complesso più ampio distrutto probabilmente negli ingrandimenti che la chiesa ha subito sia nel XVI che nel XVIII secolo. Raffinatissimo nell’esecuzione è, invece, il busto in legno dell’Ecce Homo conservato nella chiesa di San Nicola di Nocara. L’autore sembra doversi ricercare nell’antica capitale partenopea verso la fine del XVI secolo o inizi del seguente, in un artista di ottima mano fortemente influenzato da modelli spagnoli tipici in quella nazione nelle raffigurazioni legate alla Settimana Santa. Il pathos è così ben espresso nel viso sofferente, ma dignitoso, e nelle vene che percorrono gonfie le braccia livide. Le gocce di sangue che sgorgano dalle ferite impresse dalla corona di spine sono state rese ancor più realistiche dall’aggiunta di una goccia di cera poi colorata di rosso. Le rappresentazioni della Passione sono sicuramente le più numerose per diversi motivi comunque legati ad una fede popolare alla cui base è una esistenza di sofferenze e privazioni che vengono lenite dal vedere le sofferenze del Cristo. Non per niente il periodo barocco, ‘600-‘700, era definito nel Meridione come il “secolo del Pianto”. A Villapiana (oggi al museo diocesano) era conservata una tavola cinquecentesca dove il Cristo è raffigurato in piedi mentre dal costato sgorga un flusso di sangue raccolto in una coppa da un angelo, sullo sfondo di un paesaggio campestre. Il dipinto risente di modelli rinascimentali alquanto sperimentati sia a Napoli che in Sicilia, dove le tendenze michelangiolesche e raffaellesche furono portate dagli epigoni di quei grandi maestri, quali Polidoro da Caravaggio e Pietro Negroni. La stessa rappresentazione la troviamo su un rude bassorilievo scolpito da un anonimo sugli inizi del XVI secolo, conservato nella chiesa dell’Assunta di Rocca Imperiale. La scultura doveva far parte di un complesso

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    ciborio andato distrutto forse durante l’incursione turca del 1644, quando la chiesa, costruita ai tempi di Federico II, venne incendiata così come tutto il paese, ad eccezione del poderoso castello. Da quell’episodio e per qualche tempo l’abitato cambiò il nome in Roccarsa. La scena del Sangue del Redentore veniva spesso ripetuta sugli sportelli dei cibori, come nel caso dei due altari principali della Madonna del Castello dove, su una lastra d’argento lavorata nel XVIII secolo dai bravi argentieri napoletani, si ripete il concetto del sangue divino versato per la salvezza dell’umanità e che raccolto in un calice, diviene parte dell’Eucaristia. Sempre legate al tema dell’Eucaristia sono le rare raffigurazioni dell’Ultima Cena, la più interessante delle quali sembra essere quella del Duomo di Cassano, dipinta da Cristoforo Santanna alla metà del Settecento. Originale il formato verticale in cui la tavola imbandita appare quasi una cascata al sommo della quale il Cristo sovrintende alla consacrazione del pane e del vino. Sullo sportello di ciborio dell’altare maggiore della chiesa delle Pentite di Castrovillari, un ignoto argentiere, dalla notevolissima bravura, ha sbalzato una originale figura del Cristo nelle vesti del Buon Pastore contornato da un gregge di pecore che si stringono al Salvatore in cerca di protezione. Particolare è il cappello a larghe falde, così tipico nei pastori dell’Arcadia, poi ripresi nei paesaggi elaborati dal secondo Seicento in poi. Sempre nell’ambito della Passione ecco il Cristo alla colonna scolpito in legno nel primo Ottocento per le monache del convento delle Clarisse di Castrovillari, oggi nella chiesa di San Francesco di Paola. Il corpo esile ma armonioso si inarca sotto i colpi di frusta mentre il volto assume una espressione smarrita quasi come se si domandasse il perché di tanto accanimento e cattiveria contro di Lui che solo e sempre si era prodigato per lenire i dolori e le

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    sofferenze. Il tema del Cristo morto viene ricordato qui da due bassorilievi: il più antico quello della chiesa di Santa Maria del Gamio (delle Nozze) di Saracena, risalente al ‘500, in cui il corpo disteso e abbandonato del Messia è contornato da un gruppo di angeli piangenti. Il più recente è, invece, quello della Cattedrale di Cassano scolpito dall’artista locale Giacinto Di Vardo nel 1900 però su modelli classicheggianti. Sorvoliamo sui temi della Natività, della Crocifissione e della Pietà in quanto il discorso si farebbe assai complesso sia per la grande quantità di immagini sia per le diverse tendenze artistiche che le hanno generate. Nel 1810, Genesio Galtieri, pittore di qualche merito e assai prolifico, elabora per l’altare maggiore della chiesa di S. Giuliano in Castrovillari, distrutta da un rovinoso incendio vent’anni prima, una grande pala raffigurante l’Ascensione di Cristo, credo l’unica esistente in Diocesi. Gesù si innalza verso il cielo al quale tende le braccia, mentre il gruppo degli Apostoli e la Madonna guardano estasiati sullo sfondo di un paesaggio in cui compare la Castrovillari del tempo. La composizione non è originale in quanto è copiata, cosa che in antico avveniva spesso, da una incisione del ‘700 destinata ad un messale che è giunta sino a noi in diversi esemplari. Belli i colori che nonostante le diverse lacune ancora risplendono di grazia settecentesca. Notevolmente più importante è, invece, il grandioso Giudizio Universale che Angelo Galtieri, forse padre del precedente dipinge, per la chiesa inferiore di S. Nicola di Morano nel 1739. La composizione è ampia e piena di particolari interessanti e ben eseguiti con riferimenti espliciti ai pittori più famosi del Rinascimento e del Manierismo cosa che dimostra nel pittore di Mormanno una buona conoscenza delle opere d’arte romane e napoletane, viste di persona o attraverso le

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    numerose stampe in circolazione. In alto il Cristo Giudice col braccio alzato premia i giusti le cui anime sono accompagnate verso il Paradiso, mentre i peccatori sono ricacciati negli inferi scortati da esseri demoniaci. Una schiera di santi e la Vergine Maria assistono al Giudizio Finale in atteggiamento estatico e misericordioso. L’insieme risulta così denso di contenuti da richiedere nell’osservatore una particolare attenzione per non perdere nessun passaggio del racconto. Questo dipinto rappresenta forse il capolavoro di Angelo Galtieri, il quale nella sua non lunga attività, circa vent’anni, aveva dato prove di buono spessore artistico specie nel ciclo di affreschi con scene del Vecchio Testamento, nella parrocchiale di Castelluccio Inferiore, un tempo facente parte della Diocesi Di Cassano. Questa veloce e non certo esaustiva panoramica sulla figura del Cristo nelle opere d’arte della nostra diocesi era partita dal trecentesco Cristo Giudice della Madonna del Castello e si conclude con il Cristo Giudice del Galtieri. Quanta strada e quante esperienze culturali dividono questi due capolavori ma, di certo, una cosa li accomuna: la Fede di un popolo semplice che ha permesso la loro creazione, anche con grandi sacrifici, e l’essere stati allora come oggi testimoni di tante gioie, tanti dolori e tanta speranza nel futuro. A noi l’obbligo, con la loro conservazione, di aiutarli a vivere ancora nei secoli.

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    Excursus sulle raffigurazioni di Cristo nel territorio della Diocesi. Riflessioni di Don Leone Boniface, Responsabile Commissione Diocesana Arte Sacra e Beni Culturali Il II Concilio di Nicea (787), sancendo la liceità delle immagini, spiegò che attraverso le immagini chi le contempla viene invitato ad imitare i personaggi rappresentati. Precedentemente papa Gregorio II (nel 726) aveva scritto: “E’ giusto raffigurare la forma umana di Cristo, che ci ricorda il suo abbassamento e ci conduce per mano al mistero della Redenzione” e Giovanni Damasceno, domandandosi perché nell'Antico Testamento vi fosse la proibizione di dipingere immagini sacre, rispondeva che allora non si conosceva l'Incarnazione: una volta però che l'incorporeo si è fatto uomo, cioè Cristo si è incarnato, Dio può essere dipinto. Infatti, “un tempo Dio, non avendo né corpo, né figura, non poteva in alcun modo essere rappresentato da una immagine. Ma ora che si è fatto vedere nella carne e che ha vissuto con gli uomini, posso fare una immagine di ciò che ho visto di Dio. [...] A viso scoperto, noi contempliamo la gloria del Signore”. Nella Sacrosanctum Concilium si legge: “Fra le più nobili attività dell'ingegno umano sono, con pieno diritto, annoverate le arti liberali, soprattutto l'arte religiosa, e il suo vertice, l'arte sacra. Esse, per loro natura, hanno relazione con l'infinita bellezza divina che deve essere in qualche modo espressa dalle opere dell'uomo (...). Nessun altro fine è, stato loro assegnato se non quello di contribuire il più efficacemente possibile (...) a indirizzare religiosamente le menti degli uomini a Dio” (n.122).

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    “Il Papa san Gregorio Magno aveva insistito sul carattere didattico delle pitture nelle Chiese, utili perché gli illetterati “guardandole possano almeno leggere sui muri, quello che non sono capaci di leggere nei libri”, e sottolineava che questa contemplazione doveva condurre all’adorazione dell’“unica e onnipotente Santa Trinità”(Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Duodecimum Saeculum (4 dicembre 1987), n. 8). “Quando ai cristiani, con l’editto di Costantino, fu concesso di esprimersi in piena libertà, l’arte divenne un canale privilegiato di manifestazione della fede” (Giovanni Paolo II, Lettera agli Artisti, 1999, n. 7). Il CCC al n. 1159 afferma: “La sacra immagine, l'icona liturgica, rappresenta soprattutto Cristo. Essa non può rappresentare il Dio invisibile e incomprensibile; è stata l'incarnazione del Figlio di Dio ad inaugurare una nuova “economia” delle immagini”. E al n. 1192 ricorda: “Le sacre immagini, presenti nelle nostre chiese e nelle nostre case, hanno la funzione di risvegliare e nutrire la nostra fede nel mistero di Cristo”. Nella nostra diocesi il patrimonio di immagini su Gesù è molto vasto. Accompagna la vita del Cristo dall’inizio sino all’Ascensione. Infatti tanti episodi dell'infanzia di Cristo sono stati tradotti in linguaggio visivo: si spazia dalle immagini della Natività (cfr Chiesa della Maddalena in Morano), di Gesù Bambino da solo (Chiesa di S. Antonio in Cerchiara) o in braccio alla Madonna (molto bella l’immagine della Madonna galactousa, cioè Madonna che allatta, conservata nella Chiesa delle Armi in Saracena) a quelle su alcuni avvenimenti della vita di Gesù (adorazione dei pastori (Chiesa del Carmine e Chiesa di S. Pietro in Morano) e dei magi (Saracena, polittico; Morano, Chiesa del Carmine; S. Maria del Colle, Mormanno), la Circoncisione (Morano, Chiesa di S. Nicola; Chiesa S. Maria del Colle, Mormanno,

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    Chiesa Santo Spirito, Laino B.), la presentazione di Gesù al tempio (Morano, Chiesa del Carmine), la Fuga in Egitto (Cassano, Cattedrale). Qualche raffigurazione anche piena di fantasia come il Gesù Bambino sotto il tavolo nella casa del falegname (Morano, Chiesa del Carmine). Seguendo il Vangelo ci troviamo con il Battesimo di Gesù (fonte battesimale della Chiesa della Trinità, Castrovillari; fonte battesimale della Chiesa di S. Maria del Colle in Mormanno; scultura sul fonte battesimale della Chiesa di S. Leone in Saracena), le tentazioni di Gesù nel deserto (Cassano, cattedrale). Raffigurato è anche il Gesù che predica: vedi la statua di Gesù maestro (chiesa S. Domenico, in Doria), e il discorso della Montagna (Cassano, Cattedrale). Sono anche rappresentati diversi avvenimenti della vita di Gesù: Gesù e la Samaritana (Cassano, cattedrale), Tempesta sedata (Chiesa matrice di Rocca Imperiale), la Risurrezione di Lazzaro (Morano, chiesa della Maddalena), Gesù e i fanciulli (Cassano, Cattedrale), Gesù scaccia i mercanti dal tempio (Saracena, Chiesa di San Leone).

    Gli ultimi avvenimenti della vita di Gesù: L’Ultima Cena nella Cattedrale di Cassano, nella chiesa di Roseto Capo Spulico, a Morano nella chiesa della Maddalena; nella chiesa di Nocara; una versione molto bella a Mormanno in due tele: gli Apostoli ricevono l’Eucaristia dallo stesso Gesù.

    Interessanti sono le raffigurazioni dell’ Ecce homo sia a figura intera che mezzo busto (Morano, Chiesa di S. Pietro; nella Chiesa di San Giuliano in Castrovillari; nella Chiesa di Nocara). Un discorso a parte meriterebbe il Crocifisso, presente in tutte le chiese. Di particolare venerazione quello della Cattedrale di Cassano Ionio, collocato nella Cripta, come anche quelli di Morano nella Chiesa di San

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    Pietro, di Saracena nella Chiesa di S. Leone e di Santa Maria del Gamio, di Castrovillari nella Chiesa di San Giuliano. Anche la scena del Calvario è rappresentata: Crocifisso fra Maria e S. Giovanni (Chiesa di San Giuliano in Castrovillari ); la Discesa dalla croce (Chiesa di San Giuliano in Castrovillari, nella Chiesa di San Leone in Saracena); il Cristo deposto nel sepolcro (Saracena, Chiesa S. Maria del Gamio; altare in pietra dell’Addolorata); la Pietà (Morano, S. Pietro; Chiesa di San Giuliano in Castrovillari); dal Costato di cristo fuoriesce sangue che viene raccolyo in unc calice (Cassano, Museo, tela proveniente da Villapoiana; Morano, Chiesa del carmine, paramenti sacri).

    Non poteva mancare la raffigurazione del Cristo risorto (Chiesa della Maddalena in Morano); il Risorto apparso alla Maddalena (Chiesa della Maddalena in Morano); il Risorto e San Pietro (Saracena, chiesa S. Leone), la Consegna delle chiavi (Cassano, Cattedrale).

    L’Ascensione la troviamo in un dipinto conservato nella Chiesa San Giuliano in Castrovillari. Particolare un Cristo in piedi (frammento in pietra) che si trova in Rocca Imperiale, Chiesa matrice); il Sangue raccolto nel calice (es. paramenti di Morano, Chiesa del Carmine; Cassano, Museo, tela proveniente da Villapiana). Da questo breve excursus si può notare che la figura di Cristo anche nella nostra Diocesi è stata ampiamente rappresentata nell’arte in modi diversi e secondo la sensibilità e lo stile dell’epoca e dell’artista. Un invito a visitare le nostre chiese parrocchiali e non per scoprire tanti tesori d’arte e anche per contemplare la figura del Cristo, consapevoli che si rende sempre omaggio a Colui che è rappresentato.

    Mi piace concludere con quello che scrive Zenone (IV secolo), vescovo di Verona: “Adattandosi in pieno

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    agli uomini, Dio si chiude nel vestito della carne: assume dal tempo una vita umana, colui che dà ai tempi l'eternità”.

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    ANTOLOGIA DI TESTI

    I DAL CONCILIO VATICANO II, Gaudium et Spes, 22 “In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro (Rm 5,14) e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione. Nessuna meraviglia, quindi, che tutte le verità su esposte in lui trovino la loro sorgente e tocchino il loro vertice. Egli è “l'immagine dell'invisibile Iddio” (Col 1,15) è l'uomo perfetto che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio, resa deforme già subito agli inizi a causa del peccato. Poiché in lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata per ciò stesso essa è stata anche in noi innalzata a una dignità sublime. Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con intelligenza d'uomo, ha agito con volontà d'uomo ha amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché il peccato. Agnello innocente, col suo sangue sparso liberamente ci ha meritato la vita; in lui Dio ci ha riconciliati con se stesso e tra noi e ci ha strappati dalla schiavitù del diavolo e del peccato; così che ognuno di noi può dire con l'Apostolo: il Figlio di Dio “mi ha amato e ha sacrificato se stesso per me” (Gal 2,20). Soffrendo per noi non ci ha dato semplicemente l'esempio perché seguiamo le sue orme ma ci ha anche aperta la strada: se la seguiamo, la vita e la morte vengono santificate e

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    acquistano nuovo significato. Il cristiano poi, reso conforme all'immagine del Figlio che è il primogenito tra molti fratelli riceve “le primizie dello Spirito” (Rm 8,23) per cui diventa capace di adempiere la legge nuova dell'amore. In virtù di questo Spirito, che è il “pegno della eredità” (Ef 1,14), tutto l'uomo viene interiormente rinnovato, nell'attesa della “redenzione del corpo” (Rm 8,23): “Se in voi dimora lo Spirito di colui che risuscitò Gesù da morte, e