Il verde · di un centrale elettrica in Belgio. A destra, giardini verticali di Grant Associates....

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20 AGOSTO 2011 D 78 N on serve un coniglio bianco con bombetta e bastone per far nascere il desiderio di buttarsi a capofitto nel Grande Buco, pro- gettato dai tedeschi Topotek1 per l’edizio- ne 2011 dell’International Horticultural Expo. Saggiamente, gli organizzatori han- no deciso di recintarlo con un’invisibile barriera in plexiglass per evitare ogni ten- tazione. Non tutti hanno la fortuna di chiamarsi Alice ed es- sere dotati di una provvidenziale gonna a palloncino... Siamo a Chanba, un quartiere di Xi’an, capitale della provin- cia dello Shaanxi in Cina. Famosa per i guerrieri in terracotta e per il proverbiale inquinamento del suo fiume: sistematica- mente depauperato della sabbia (perfetta per uso edilizio), utilizzato come discarica a cielo aperto per i resti degli edifici demoliti e fogna low cost per i rifiuti organici di 60 milioni di persone. Un luogo morto, insomma. Che il governo ha im- provvisamente deciso di riportare in vita, stanziando soldi (tanti), depurando e pulendo, arruolando squadre di ingegne- ri nella progettazione di nuove fognature, e legiferando seve- ramente: a Xi’an, oggi, o sei clean o sei out. Risultato: in soli Il Teshima Art Museum di Ryue Nishizawa in Giappone. Nella pagina accanto, The Big Dig all’Horticultural Expo di Xi’an, nato per «dar voce al sogno di un bambino che, scavando, vuole scoprire l’altra parte del mondo», dicono gli architetti tedeschi Topotek1, autori del progetto. GIARDINI OPEN SOURCE/1 Progetti perfettamente disegnati o crescita spontanea? Aiuole o erbacce? Come rispettare, davvero, la natura? Idee dall’International Horticultural Expo 2011 di Xi’an di Laura Traldi Il verde CHE VORREI Foto di Iwan Baan

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20 AGOSTO 2011D 78

Non serve un coniglio bianco con bombettae bastone per far nascere il desiderio dibuttarsi a capofitto nel Grande Buco, pro-gettato dai tedeschi Topotek1 per l’edizio-ne 2011 dell’International HorticulturalExpo. Saggiamente, gli organizzatori han-no deciso di recintarlo con un’invisibilebarriera in plexiglass per evitare ogni ten-

tazione. Non tutti hanno la fortuna di chiamarsi Alice ed es-sere dotati di una provvidenziale gonna a palloncino...Siamo a Chanba, un quartiere di Xi’an, capitale della provin-cia dello Shaanxi in Cina. Famosa per i guerrieri in terracottae per il proverbiale inquinamento del suo fiume: sistematica-mente depauperato della sabbia (perfetta per uso edilizio),utilizzato come discarica a cielo aperto per i resti degli edificidemoliti e fogna low cost per i rifiuti organici di 60 milioni dipersone. Un luogo morto, insomma. Che il governo ha im-provvisamente deciso di riportare in vita, stanziando soldi(tanti), depurando e pulendo, arruolando squadre di ingegne-ri nella progettazione di nuove fognature, e legiferando seve-ramente: a Xi’an, oggi, o sei clean o sei out. Risultato: in soli

Il Teshima Art Museum di Ryue Nishizawa in Giappone. Nella paginaaccanto, The Big Dig all’Horticultural Expo di Xi’an, nato per «dar voce al sogno di un bambino che, scavando, vuole scoprire l’altra parte del mondo», dicono gli architetti tedeschi Topotek1, autori del progetto.

GIARDINI OPEN SOURCE/1

Progetti perfettamente disegnati o crescitaspontanea? Aiuole o erbacce? Come rispettare,

davvero, la natura? Idee dall’InternationalHorticultural Expo 2011 di Xi’an

di Laura Traldi

Il verde CHE VORREI

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sei anni, l’ex pattumiera nazionale si è trasformata in isolaecologica, degna di ospitare l’Horticultural Expo fino al 22 ot-tobre. Non è, ovviamente, merito di un’improvvisa epidemiadi buonismo se la Cina, da qualche tempo, investe nel verde.Da anni, per convincere governanti, urbanisti e signori delmattone dell’importanza strategica del verde nelle città,l’americana Martha Schwartz, landscape urbanist di punta epresente a Xi’an con un’installazione, pone una domanda daoperatore finanziario. «Quale bene è passato da un valore di53 a uno di 236 milioni di dollari in 15 anni?». La risposta sela dà da sola. «Gli edifici attigui al Central Park dopo la crea-zione del parco». E continua: «È il plusvalore che sanno ge-nerare quello che mi piace chiamare i Reami del Verde Pub-blico». Quegli spazi, cioè, rigorosamente aperti a tutti, che sicollocano tra edifici esistenti, e capaci, se progettati secondoun’ottica inclusiva anziché esclusiva, di aumentare l’appealestetico e finanziario di una zona. Dietro il triplice tema dell’Expo (Pace eterna e armonia tra uo-mo e natura; Cura della terra del futuro; Una città per la natu-ra e una coesistenza pacifica) c’è anche la coscienza dellepotenzialità economiche di un rinato rapporto tra uomo e na-

tura. Che non necessariamente viene tradotto in proposte cini-che e speculazioni. Un esempio poetico viene dal Giappone,dove da anni si punta sul binomio verde pubblico e architetturad’autore per garantire la sostenibilità economica, sociale e de-mografica delle isole del Mare Interno, attirando il turismo col-to. Un approccio in cui il costruito esiste in osmosi con la natu-ra e attraverso questa acquista significato. L’ultimo edificio natoda questo piano illuminato è l’enigmatico Teshima Art Mu-seum, uno spazio che si adagia sul terreno allargandosi a mac-chia, come una goccia, progettato da Ryue Nishizawa per ospi-tare l’opera dell’artista Rei Naito: una riflessione sul senso delvuoto. Nel museo, infatti, non c’è nulla. Per comprendere que-sto nulla, il visitatore deve avviarsi su una passerella di cemen-to che si infila tra gli alberi e lo accompagna, attraverso unagimcana nel verde e nel silenzio, preparandondolo mistica-mente all’arrivo alla costruzione-opera vuota.Non tutti, certo, hanno il privilegio di un Ryue Nishizawa lo-cale (o dei fondi di cui l’ha dotato la Naoshima Fukutake ArtMuseum Foundation a supporto del progetto). Esiste allorauna ricetta, economica oltre che ecologica, per dare vita aiReami del Verde Pubblico di cui parla Schwartz? Dall’Expo arri-

vano suggestioni sognanti, come quella dei già citati Topotek1:il loro Big Dig è nato dal sogno di bambini di scavare un tunnelper raggiungere l’altra parte del mondo. O quella di MarthaSchwartz e del suo labirinto di specchi, in cui perdersi e ritro-varsi, nel bel mezzo della natura.«Sono progetti affascinanti», dice Antonio Perazzi, architettopaesaggista. «Però li considero anche occasioni perdute. Sitenta spesso di stupire, facendosi aiutare dall’architettura odalla tecnologia. Invece non c’è nulla di più moderno dell’orga-nicità della natura, niente di più bello del petalo che marcisce esi rigenera». Autore del libro Contro il giardino (con Pia Pera,Ponte alle Grazie), Perazzi è un sostenitore dei giardini «capacidi evocare il contatto con la natura, di far comprendere allepersone che stanno in città le regole del paesaggio; realtà orga-niche, nate per cambiare continuamente, anche in modospontaneo». Secondo Perazzi, per realizzare un giardino civuole prima di tutto pazienza. «Il mio più grande risultato l’hoottenuto quando a Bologna mi è stato permesso di piantare inun giardino delle querce mediterranee alte una spanna: nessu-no di noi le vedrà mai nel loro splendore di foresta, saranno unregalo per le generazioni a venire». Basta quindi con giardinipensati da architetti «che non riescono a non cedere alla tenta-zione di controllare tutto», con l’importazione di piante esoti-che, difficili da curare, ad alto impatto estetico ma poco soste-nibili da tutti i punti di vista. E largo alla vegetazione (anchespontanea) da pensare, progettare e poi lasciar vivere in tutto ilsuo naturale ordine-disordine. Del resto, già Gilles Clément, ilteorico più noto del landscape design, parlava della bellezzadel “terzo paesaggio”: territori non sottoposti a decisione uma-na, ma lasciati a loro stessi; luoghi che disegnano il futuro per-ché contengono il potenziale genetico da cui forse dipende lavita degli umani. Un insieme prezioso, anche se a volte assomi-glia a un terreno incolto. «Nel mio giardino ideale», dice Peraz-zi, «l’uomo semina e la natura fa il resto. Uno spazio da curare,perché non c’è nulla di più triste di un giardino abbandonato ase stesso; ma da sorvegliare con tolleranza, pazienza e sensoartistico». Luoghi che possono assumere forme diverse, «an-che artificiali e curatissime, come il parco botanico del Castellodi Trauttmansdorff a Merano, o il Parco Nord di Milano, privo dipretese, dove l’erba cresce alta e ci sono siepi di umile bianco-spino. Entrambi sono percorsi didattici per avvicinare uomo enatura, anche se con metodologie differenti». Le piante, insom-ma, vanno capite prima, per essere poi sfruttate al meglio nellecittà. In questo difficile compito si è recentemente cimentatoRichard Mabey con il suo Elogio delle erbacce (Ponte alle Gra-zie, 2011). Mabey racconta l’epopea di tante specie che «perottenere la laurea di infestanti non hanno mutato identità, masolo indirizzo». Complice la globalizzazione (che in botanica èiniziata già in epoca vittoriana) alcune erbe considerate orna-mentali in alcuni paesi sono diventate infestanti in altri. «Le er-bacce non hanno una parentela biologica. Ma tutte prosperanoin compagnia degli umani. Gradiscono quello che facciamo alterreno: abbattimento delle foreste, dissodamento, scarico di ri-fiuti ricchi di nutrienti. Prosperano nei campi, nei teatri di batta-glia, nei parcheggi. Sarebbe una tautologia dire che attualmen-te abbondano dove abbonda il diserbo; ma sapere questo do-vrebbe spingerci a chiederci se è il diserbo a favorire le infe-stanti, o viceversa». Sfruttarne la presenza, permetterne la cre-scita controllata, ammirarne la selvaggia bellezza, potrebbe es-sere forse la chiave per abbellire le nostre città in chiave econo-mica, oltre che ecologicamente sostenibile.

«Ho piantato querce alte una spanna.

Nessuno di noi le vedràadulte. Ma saranno

un regalo per le generazioni a venire»

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Sopra, due immagini dell’Expo a Xi’an: progetti di PlasmastudioArchitects. A sinistra, il verde spontaneo in una torre di raffreddamentodi un centrale elettrica in Belgio. A destra, giardini verticali di GrantAssociates. Il progetto è il primo passo verso la realizzazione dellavisione urbana che trasformerà la città-stato in una “City in a Garden”.