Il Vangelo e le relazioni familiari Approfondimenti biblici · e sulla morte, amando il lebbroso...

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1 Arcidiocesi di Otranto –28 febbraio -1 marzo 2018 Il Vangelo e le relazioni familiari Approfondimenti biblici a) Affidabilità e autorevolezza: l’indemoniato «TUTTI TI STANNO CERCANDO& TESTO BIBLICO MC 1,21-45: 21 Andarono a Cafarnao e, entrato proprio di sabato nella sinagoga, Gesù si mise ad insegnare. 22 Ed erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi. 23 Allora un uomo che era nella sinagoga, posseduto da uno spirito immondo, si mise a gridare: 24 «Che c'entri con noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci! Io so chi tu sei: il santo di Dio». 25 E Gesù lo sgridò: «Taci! Esci da quell'uomo». 26 E lo spirito immondo, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. 27 Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Una dottrina nuova insegnata con autorità. Comanda persino agli spiriti immondi e gli obbediscono!». 28 La sua fama si diffuse subito dovunque nei dintorni della Galilea. 29 E, usciti dalla sinagoga, si recarono subito in casa di Simone e di Andrea, in compagnia di Giacomo e di Giovanni. 30 La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. 31 Egli, accostatosi, la sollevò prendendola per mano; la febbre la lasciò ed essa si mise a servirli. 32 Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. 33 Tutta la città era riunita davanti alla porta. 34 Guarì molti che erano afflitti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano. 35 Al mattino si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava. 36 Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce 37 e, trovatolo, gli dissero: «Tutti ti cercano!». 38 Egli disse loro: «Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». 39 E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni. 40 Allora venne a lui un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi guarirmi!». 41 Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, guarisci!». 42 Subito la lebbra scomparve ed egli guarì. 43 E, ammonendolo severamente, lo rimandò e gli disse: 44 «Guarda di non dir niente a nessuno, ma va', presentati al sacerdote, e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha ordinato, a testimonianza per loro». 45 Ma quegli, allontanatosi, cominciò a proclamare e a divulgare il fatto, al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti, e venivano a lui da ogni parte. ? ELEMENTI PER LA RIFLESSIONE - Alcune indicazioni circa il significato teologico e spirituale del «miracolo»: - Gesù: profeta potente in opere e parole. Il valore del miracolo nella prospettiva dell’annuncio del Regno. Vocabolario del miracolo nella Bibbia: vasta gamma di termini (thauma/thaumasio- 1

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Arcidiocesi di Otranto –28 febbraio -1 marzo 2018

Il Vangelo e le relazioni familiari

Approfondimenti biblici

a) Affidabilità e autorevolezza: l’indemoniato

«TUTTI TI STANNO CERCANDO!» & TESTO BIBLICO MC 1,21-45:

21 Andarono a Cafarnao e, entrato proprio di sabato nella sinagoga, Gesù si mise ad insegnare. 22 Ed erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi. 23 Allora un uomo che era nella sinagoga, posseduto da uno spirito immondo, si mise a gridare: 24 «Che c'entri con noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci! Io so chi tu sei: il santo di Dio». 25 E Gesù lo sgridò: «Taci! Esci da quell'uomo». 26 E lo spirito immondo, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. 27 Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Una dottrina nuova insegnata con autorità. Comanda persino agli spiriti immondi e gli obbediscono!». 28 La sua fama si diffuse subito dovunque nei dintorni della Galilea. 29 E, usciti dalla sinagoga, si recarono subito in casa di Simone e di Andrea, in compagnia di Giacomo e di Giovanni. 30 La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. 31 Egli, accostatosi, la sollevò prendendola per mano; la febbre la lasciò ed essa si mise a servirli. 32 Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. 33 Tutta la città era riunita davanti alla porta. 34 Guarì molti che erano afflitti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano. 35 Al mattino si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava. 36 Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce 37 e, trovatolo, gli dissero: «Tutti ti cercano!». 38 Egli disse loro: «Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». 39 E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni. 40 Allora venne a lui un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi guarirmi!». 41 Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, guarisci!». 42 Subito la lebbra scomparve ed egli guarì. 43 E, ammonendolo severamente, lo rimandò e gli disse: 44 «Guarda di non dir niente a nessuno, ma va', presentati al sacerdote, e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha ordinato, a testimonianza per loro». 45 Ma quegli, allontanatosi, cominciò a proclamare e a divulgare il fatto, al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti, e venivano a lui da ogni parte.

? ELEMENTI PER LA RIFLESSIONE - Alcune indicazioni circa il significato teologico e spirituale del «miracolo»: - Gesù: profeta potente in opere e parole. Il valore del miracolo nella prospettiva dell’annuncio del Regno. Vocabolario del miracolo nella Bibbia: vasta gamma di termini (thauma/thaumasio-

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fenomeno; aretē-azione eroica; paradoxon-evento inspiegabile; dynamis-prodigio; ergon-opera; sēmeion-segno). - Definizione: «il miracolo è un prodigio religioso che esprime nell’ordine cosmico un intervento speciale e gratuito del Dio di potenza e di amore, il quale indirizza agli uomini un segno della venuta nel mondo della sua parola di salvezza» - Il discernimento del miracolo: il miracolo è un prodigio che sconvolge il corso normale delle cose il miracolo è un prodigio religioso (sacro), e quindi collegato al contesto della vita spirituale e al suo linguaggio il miracolo è un intervento speciale e gratuito di Dio il miracolo è un segno della venuta della Parola di salvezza nel mondo (correlazione tra «segno e parola») - Le funzioni del miracolo: a) segno della potenza e dell’amore di Dio b) segno dell’avvenimento messianico e della sua gloria c) rivelazione del mistero trinitario d) simboli dell’economia sacramentarla e) segno della trasformazione finale del mondo (cf. R. LATOURELLE, miracolo, in Nuovo Dizionario di teologia, 931-945) - L’evangelista ci presenta anzitutto la funzione taumaturgica di Gesù fin dall’inizio del suo ministero, in una «giornata a Cafarnao». Egli ci invita a conoscere chi sia Gesù, chi lo cerca, come egli si presenta alla gente. - Come un attento regista, Marco inquadra le scene con l’abilità di chi vuole farci gustare la novità dell’opera del Regno che viene annunciato. Dopo aver chiamato i primi quattro discepoli (1,16-20), Gesù si recò a Cafarnao ed insegnava nella sinagoga (eis tēn synagogēn edidasken). L’evangelista non ci rivela il contenuto dell’insegnamento, ma ci presenta subito l’autorità (exousia) dottrinale e taumaturgica del Cristo, che supera quella degli scribi e dei farisei. Tre miracoli incastonati nel racconto di Mc 1: vv. 21-28 (indemoniato); vv. 29-31 (suocera di Simon Pietro); vv. 32-33 (sommario delle guarigioni); vv. 35-39 (evangelizzazione negli altri villaggi); vv. 40-45 (guarigione di un lebbroso). - La guarigione dell’indemoniato, nel cuore del culto ebraico, ci fa subito entrare nel mistero della persona di Cristo. Il dialogo con lo spirito immondo rivela la presenza del Regno (autobasileia) nella persona di Gesù. I demoni prendono le distanze (v. 24) di fronte al «santo di Dio» (o agios tou theou). Nel v. 27 la reazione della gente viene posta in evidenza come la fama che accompagna il Cristo per la Galilea. Si tratta di una presentazione di Gesù come «taumaturgo», che libera l’uomo dal potere malefico del demonio (cf. l’accusa mossa da parte dei farisei a Gesù in Mc 3,20-30). - Il secondo miracolo (vv. 29-31) è posto nel cuore di una famiglia: la suocera di Simone viene guarita e subito dopo si mette a servizio. Il segno di prendere per la mano il malato non indica un gesto magico, bensì apre ad una relazione interpersonale, aperta alla fiducia e alla solidarietà. - Nel vv. 32-39: Gesù si mostra il liberatore ed insieme l’annunciatore della salvezza rivolta a tutti. - L’episodio del lebbro l’so infine contiene un ulteriore aspetto: Gesù rivela la sua potenza sulla vita e sulla morte, amando il lebbroso con lo stesso amore di Dio per i poteri e gli esclusi. Il dialogo con l’uomo malato è intenso: «se vuoi tu puoi guarirmi» (v: 41). Anche in questo caso si ripete il gesto della mano e la conferma della volontà di Dio di guarire il sofferente e di reinserirlo nella vita sociale (v. 44). Il tema del «segreto messianico» e la propagazione dell’opera di Cristo. « ATTUALIZZAZIONE - Gesù lotta contro il «male»: Dio ti ama e vuole la tua felicità. Credi a questo? L’accoglienza del Regno si evidenzia nella «nuova autorità» che emerge dall’opera di Cristo. Il potere del «servizio» e non il «servizio al potere». - I miracoli sono presentati come «segni» dell’amore di Dio e non fenomeni spettacolari. Vivi il tuo cammino di fede nella logica della piccolezza e dell’umiltà o cerchi la gloria umana e la visibilità? - Nella storia evangelica Gesù alterna predicazioni/ guarigioni e preghiera personale: la tua regola di vita (oltre gli orari previsti dalla comunità) ti permette un equilibrio di queste tre dimensioni? In cosa puoi migliorare?

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b) Apertura e accoglienza: Marta e Maria

MARTA E MARIA: L’UNICO NECESSARIO & IL TESTO BIBLICO Lc 10,38-42

38 Mentre erano in cammino, [Gesù] entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. 39 Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola; 40 Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse: «Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». 41 Ma Gesù le rispose: «Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, 42 ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta».

? BREVE CONTESTUALIZZAZIONE E SPIEGAZIONE - Nel cammino missionario Gesù fa sosta in una seconda casa, quella di Lazzaro suo amico (cf. Gv 11,1s; 12,3), dove incontra Marta e Maria (Lc 10,38-42). Questo breve episodio riportato unicamente nel terzo vangelo è collocato subito dopo la parabola del buon samaritano (Lc 10,25-37) ed immediatamente prima dell’insegnamento sulla preghiera (Lc 11,1-4). L’accoglienza nella carità e l’ascolto della Parola nell’umiltà costituiscono la chiave di lettura dell’intera sezione sull’amore di Dio e del prossimo. Infatti ciò che precede ci dice «chi è il prossimo» (linea orizzontale) e ciò che segue ci rivela chi è Dio (linea verticale): il Padre a cui rivolgerci con infinita tenerezza. - Il contesto indica la casa di Marta e di sua sorella Maria, che nel IV vangelo sono presentate come amiche di Gesù, ma in questa pagina appaiono come due figure simboliche. Di Lazzaro non si fa menzione. L’attenzione dell’evangelista si sofferma sul tema dell’accoglienza di Gesù e della «casa» dove abitano le due donne. E’ presentata prima l’azione di Marta che «accoglie» (v. 38: hyopedexato) il Maestro e si affanna per il «molto servizio». Gesù entra da loro e la casa diventa luogo dell’annuncio della Parola. - Va considerata la situazione socio-religiosa delle donne che secondo la mentalità corrente appartengono ad una stratificazione sociale inferiore, mentre nel nostro racconto assumono una funzione di primo piano. Il Signore rompe gli schemi convenzionali del tempo. Alla donna non era dato di imparare nelle scuole, di frequentare un rabbino, di prendere parte alle assemblee liturgiche. Secondo la tradzione giudaica, recepita anche nei vangeli, era sconveniente per gli uomini intrattenersi con donne (cf. Gv 4,27). Eppure Gesù visita la loro dimora, condivide la dimensione familiare nell’amicizia, si lascia servire. Al centro della scena si impone la figura del Signore che, seduto come unico maestro, «annuncia» la Parola. Non ci viene detto il contenuto della Parola ma l’evangelista si sofferma sull’atteggiamento diversificato delle due sorelle. - Marta era presa dai molti servizi (peri pollēn diakonian). Maria era seduta ai piedi di Gesù e ascoltava la sua parola (v. 39: ekouen ton logon autou) in silenzio (Maria non parlerà mai). Due atteggiamenti di accoglienza diversi di fronte al Kyrios: servire e ascoltare, fare e accogliere la Parola, mettersi in piedi e «mettersi ai piedi» del Maestro. L’evangelista evidenzia il contrasto tra i due modi diversi di accogliere Gesù nella propria casa: da una parte prevale la preoccupazione delle cose, dei precetti, dei doveri e dall’altra la novità dell’attesa che valorizza la «presenza dello sposo» (cf. Lc 5,34). Commenta S. Fausti: «La sua presenza è gioia per Maria, e fatica per la sua sorella Marta. Le due non sono in semplice opposizione: sono sorelle! La contrapposizione è vista solo da una che vuole richiamare l’altra al suo dovere. Gesù invece richiamerà Marta a trasformarsi in Maria. L’attesa si apra al suo compimento ed in essa si plachi»1. - La reazione di Marta è di biasimo nei riguardi della sorella minore: «Signore, non ti curi che…» (v. 40). Ella pretende di essere aiutata e lo fa volendo imporre a Gesù la sua idea, il suo modo di fare, le sue ragioni! Si tratta di una «presa di posizione» di fronte alla sorella: l’atteggiamento di Marta si colloca nella linea tradizionale della mentalità del tempo, mentre Gesù «supera» questa mentalità. La sorella minore è immagine del discepolo che si apre all’ascolto e alla fede in Cristo. - Va annotata la tenerezza nella risposta di Gesù: la ripetizione del nome (v. 41: Marta, Marta), la valorizzazione del servizio che non è opposto all’ascolto, ma ne è subordinato. Saper servire senza vivere il «servilismo», saper stare al proprio posto senza esserne schiavi! La libertà del servizio nasce dalla libertà dell’ascolto e non viceversa! Solo chi sa ascoltare sarà capace di «mettersi a servizio». La concretezza delle 1 S. FAUSTI, Una comunità legge il vangelo di Luca, 396.

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cose da fare presuppone il valore profondo del «senso» di quello che si fa. Gesù lo sottolinea chiaramente additando l’atteggiamento di Maria. - L’affanno e la preoccupazione di Marta (v. 41: merimnas kai thorybazē) ricordano l’esortazione di Sir 11,10: «Figlio, la tua attività non abbracci troppe cose; se esageri, non sarai esente da colpa; anche se corri, non arriverai e non riuscirai a scampare con la fuga. C'è chi lavora, fatica e si affanna: eppure resta tanto più indietro». La chiamata si fonda sull’ascolto di una Parola così come il fondamento del discepolato non consiste nelle cose che si fanno, pure necessarie, ma primariamente nell’ascolto di Cristo, in quanto la sua parola è la prima opera di misericordia del Padre verso i suoi figli. Maria trasfigura l’ospitalità affannosa di Marta in accoglienza intima dell’Ospite! Il suo cuore diventa la vera «casa dell’accoglienza». - La risposta culmina al v. 42 con l’affermazione di Gesù: «una sola è la cosa di cui c’è bisogno» (la tradizione testuale appare incerta e offre la variante: «poche cose sono necessarie»). La scelta di Maria è interpretata come «unico necessario» (v. 42: enos de estin chreia): la priorità della Parola a cui deve poter seguire il servizio operoso. C’è il momento del servire e c’è quello dell’ascoltare. Una scelta di vita sapiente non deve contrapporre le due dimensioni, bensì deve saperle integrare nella fatica della quotidianità. - Il messaggio è chiaro: ristabilire la gerarchia di valori che dalla Parola va alla concretezza della vita e nella concretezza trova il mistero della Parola. Non appare quindi esatto contrapporre Marta e Maria come azione e contemplazione. L’evangelista vuole semplicemente purificare l’azione nella contemplazione, unendo l’amore di Dio e del prossimo e confermando la necessità di collegare l’ascolto con la prassi. L’icona della casa di Marta e Maria richiama il valore dell’ospitalità e dell’amicizia, che nasce anzitutto dall’ascolto umile della Parola. Questa Parola è un seme che una volta accolto nel proprio cuore porta frutto abbondante. Æ SPUNTI PER LA MEDITAZIONE

- Un primo aspetto è costituito dai due modi diversi di accogliere Gesù: Marta lo riceve «in mezzo a molte preoccupazioni», mentre Maria si pone in ascolto della sua Parola. Le preoccupazioni e i «molti servizi» sono spesso prodotti dalla complessità della vita e della visione religiosa che l’uomo costruisce intorno a sé. E’ facile pensare alla visione farisaica della Legge, dei numerosi precetti e cavilli che rischiavano di adombrare l’essenziale dell’esperienza religiosa. Maria invece è immagine di colei che cerca prima di tutto Dio e alla presenza di Gesù, accoglie la sua Parola. - Un secondo aspetto si concentra nell’affermazione conclusiva del Cristo: «…una sola è la cosa necessaria, Maria si è scelta la parte migliore…» (v. 42). In cosa consiste l’unico necessario per il credente? L’insegnamento contenuto in questo contesto indica la dimensione del «discepolato», rappresentata dall’atteggiamento della sorella più giovane, che accoglie la Parola facendole spazio nel suo cuore. Chi ha fatto l’incontro con il Figlio di Dio ed ha accolto il vangelo nella propria vita diventa discepolo dell’unico Maestro, è capace di sedersi ai sui piedi e di mettersi in ascolto della sua Parola. Il silenzio assoluto di Maria, che non fa e non dice niente, è il perfetto rinnegare il proprio io (Lc 9,23) che si affanna ad affermarsi e a vivere di protagonismo. - Un ultimo aspetto da evidenziare è collegato all’immagine della casa. Betania è la casa dell’amicizia e dell’adorazione. Essa rappresenta un luogo di riposo e di ristoro per Gesù che era di passaggio (cf. Lc 10,34). Nella rappresentazione simbolica dell’episodio, la casa diventa insieme espressione del agire-servire (diakonein), dell’ascoltare-accogliere (akouein) e dell’amare-adorare. Si potrebbe coniare l’espressione: dobbiamo diventare le donne delle tre A. Le tre dimensioni, ben definite dal narratore nelle persone delle due sorelle e di Gesù, convivono nella stessa dimora dove il Signore ha scelto di fermarsi. Le prime due A non vanno viste in contrapposizione, ma in dialogo, in quanto l’una ha bisogno dell’altra. Dunque: mai il servizio senza l’ascolto della Parola, mai la Parola senza la testimonianza del servizio. Solo se le due A sono in equilibrio, si può realizzare quella terza A dell’amicizia/amore/adorazione. - Quando si squilibria la relazione tra l’azione e l’ascolto, allora la «parte migliore» (la fondamentale) consiste nel ripartire dall’ascolto.

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c) Amicizia e compassione: la peccatrice

LA PECCATRICE: UNA STORIA DI MISERICORDIA & IL TESTO BIBLICO Lc 7,36-50

36 Uno dei farisei lo invitò a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. 37 Ed ecco una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, venne con un vasetto di olio profumato; 38 e fermatasi dietro si rannicchiò piangendo ai piedi di lui e cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato. 39 A quella vista il fariseo che l'aveva invitato pensò tra sé. «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi e che specie di donna è colei che lo tocca: è una peccatrice». 40 Gesù allora gli disse: «Simone, ho una cosa da dirti». Ed egli: «Maestro, di' pure». 41 «Un creditore aveva due debitori: l'uno gli doveva cinquecento denari, l'altro cinquanta. 42 Non avendo essi da restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi dunque di loro lo amerà di più?». 43 Simone rispose: «Suppongo quello a cui ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene». 44 E volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e tu non m'hai dato l'acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. 45 Tu non mi hai dato un bacio, lei invece da quando sono entrato non ha cessato di baciarmi i piedi. 46 Tu non mi hai cosparso il capo di olio profumato, ma lei mi ha cosparso di profumo i piedi. 47 Per questo ti dico: le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato. Invece quello a cui si perdona poco, ama poco». 48 Poi disse a lei: «Ti sono perdonati i tuoi peccati». 49 Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è quest'uomo che perdona anche i peccati?». 50 Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va' in pace!».

? BREVE CONTESTUALIZZAZIONE E SPIEGAZIONE - L’episodio narrato da Luca è stato avvicinato per le sue caratteristiche (la donna, il gesto dell’unzione) al racconto dell’unzione di Betania, avvenuta prima della Pasqua (Mc 14,3; Gv 12,3). Lc 7 riporta una serie di personaggi che incontrano Gesù: il centurione (Lc 7,1-10), la vedova di Nain (Lc 7,11-17), i discepoli del Battista (Lc 7,18-35) e l’ultimo personaggio è la donna peccatrice. La scena è immediatamente preceduta dal detto di Gesù sui pubblicani e i peccatori (7,34-35) ed è seguita dall’indicazione del servizio delle donne a seguito di Gesù e dei suoi discepoli. Il Messia non è un demonio né un mangione/bevitore (Lc 7,34-35), ma è il Figlio di Dio misericordioso! Questa misericordia viene espressa nella stupenda pagina del perdono donato a «chi ha molto amato», che rappresenta la risposta alla precedente accusa mossa a Gesù. Qui non è solo Gesù che entra nella casa del fariseo, ma vi entrano i poveri attraverso Gesù! - La scena è narrata con maestria e getta luce sulle fisionomie dei personaggi presentati al lettore fin nei loro sentimenti più profondi. Il nucleo della narrazione conferisce al racconto una notevole valenza ironica: Simone (Gesù lo chiama per nome!) è un fariseo «giusto» che invita il Maestro nella sua casa (Lc 7,36) ma in realtà «non lo accoglie nel cuore» (Lc 7,39). Gesù è dentro una casa, ma di fatto rimane fuori! La donna invece, è colei pur «rimanendo fuori», ma a sua volta accoglie Gesù e il suo perdono! - L’episodio si apre con l’invito rivolto al Signore di entrare in una casa: è quella di un fariseo. Gesù accetta l’invito e si mette a tavola (Lc 7,36: kateklithē). Subito l’evangelista pone l’attenzione su una donna che non era stata invitata, ma che decide in cuor suo di compiere un atto simbolico nei riguardi del Signore. L’evangelista sottolinea la funzione di questo personaggio scomodo, una nota «peccatrice» della città (en tē polei amartōlos). La donna anonima, si pone ai piedi di Gesù per compiere un gesto di grande tenerezza ed insieme di profonda umiliazione: ungere di olio profumato i piedi del Maestro (v. 37: komisasa alabastron myrou)2. - L’azione simbolica della donna è descritta da Luca come un gesto liberatorio. La donna non parla mai, ma la gestualità e le operazioni appaiono eloquenti: si ferma «dietro» Gesù, stando ai suoi piedi (v. 38: stasa opisō para tous podas), piange (klaiousa) e bagna i piedi di lacrime, li asciuga con i suoi capelli, li bacia con profonda venerazione (katephilei), li profuma con olio. Si nota la totalità dei sentimenti e delle espressioni di amore, che rivolti a Gesù, cambiano completamente la prospettiva esistenziale e religiosa della donna. La peccatrice sta implorando misericordia con il suo 2 Circa l’atto di «gettarsi ai piedi di Gesù», cf. Mt 15,30; 28,9; Mc 3,11; 5,6; 5,22; 7,25; Lc 5,8 (alle ginocchia); 8,28; 17,16; Gv 11,2 (si allude a Maria, sorella di Lazzaro; cf. Gv 12,3).

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piegarsi nella polvere e questo accade davanti agli occhi dei convitati. Non teme il giudizio, ma irrora di lacrime e asciuga coi capelli, profuma e bacia i piedi di colui che ha tanto camminato per farsi vicino a lei. E Gesù è là nella sua sovrana libertà per ripeterle che Dio è amore misericordioso e fedele. - Il protagonista della scena è Gesù che si lascia fare, mentre gli astanti si domandano scandalizzati nel loro cuore: che farà «questo maestro» (profeta?) di fronte a quanto sta accadendo? E’ successo qualcosa di impensato, di inaspettato: una donna, una peccatrice pubblica, in casa di un rispettabile fariseo, al cospetto di commensali notabili, «tocca» il maestro in modo così evidente e drammatico! Quali sentimenti? Meraviglia, sconcerto, giudizio da parte degli astanti che giudicano negativamente il Signore (v. 39). - L’intervento di Gesù è un «racconto-risposta» che coglie Simone nel segreto dei suoi pensieri (cf. 2Sam 12,1-4), con la finalità di aiutarlo ad entrare nella logica dell’amore. Dei due debitori insolventi a cui il creditore condona il debito, chi sarà più riconoscente nell’amore? «Quello a cui ha condonato di più!» (v. 43). Insieme al tema della giustizia (v. 43), viene sottolineato l’amore maggiore (v. 43: pleion agapesei), che diventa la chiave di lettura dell’intero episodio. Gesù vuole invitare il fariseo a passare da una giustizia esterna ad una giustizia del cuore, misericordiosa. Il lettore si accorge che i tre personaggi della parabola sono simmetrici ai soggetti reali della scena: Simone, la peccatrice e Gesù. Dunque, la vera domanda non è «se Gesù sia o no un profeta», ma «cosa sia il peccato e cose significa perdonare, amare e vivere la giustizia». Così il Mastro si rivolge al fariseo, invitandolo ad accettare l’esempio interiore della peccatrice. - Quel è il modello del credente, il fariseo ipocrita o la peccatrice pentita? Il Signore invita al discernimento: «vedi questa donna!» (v. 44). La vera giustizia significa volere il bene totale della persona che ti è davanti. Gesù mostra che anche la giustizia di Simone è imperfetta (vv. 45-46), perché è priva di misericordia. Simone lo ha invitato a casa, ma l’anonima donna lo ha fatto entrare nel suo cuore mediante gesti di amicizia: l’acqua delle lacrime sui piedi asciugati con i capelli, il bacio dell’amicizia, il profumo dell’ospitalità (vv. 45-46)3. - L’amore (agape) vissuto dalla peccatrice si trasforma in invocazione della misericordia di Dio. La Legge formale ed esterna, assunta dai farisei come criterio di ogni giustizia, non può salvarla, può solo condannarla: l’amore invece salva! Nei vv. 47-50 Gesù sottolinea come il perdono dei peccati presupponga la fede! I commensali permangono nell’atteggiamento di giudizio verso Gesù, mentre la fede e l’amore redimono la donna, le ridanno la «pace». Si nota come al v. 47a il Signore descrive l’itinerario della donna con i verbi al passato «le sono rimessi» e «ha molto amato», mentre ne v. 47b si indica l’itinerario di ciascun credente mediante i verbi al presente «è rimesso», «ama». Simone è chiamato a riconoscere la misericordia di Dio e a convertirsi alla sua grazia. - La sua casa è divenuta dimora della riconciliazione e del perdono dei peccati. L’inatteso ospite ha ottenuto la salvezza. Liberata dal peccato la donna ora può rimettersi in cammino! Di lei non sapremo più nulla, né il nome, né il destino, soltanto che il Signore ha scelto di fermarsi nella sua vita e di risanarne il cuore. Egli è il Dio con noi. Æ SPUNTI PER LA MEDITAZIONE - La pagina della peccatrice perdonata solleva una serie di aspetti rilevanti per la vita cristiana. Un primo aspetto è legato al bisogno di riconciliazione e di pace. Il «cuore» (leb) dell’esperienza religiosa autentica è dato dall’amore misericordioso e creativo di Dio, non il legalismo ipocrita! Le due serie di personaggi descritti nella scena sono antitetiche: da una parte la povera donna, ultima e disprezzata, chinata a terra come pubblicana (anche il pubblicano di Lc 18,9-14 è prostrato a terra) e dall’altra Simone e i suoi convitati, giudici sprezzanti della situazione che fino alla fine non si sentono coinvolti dal messaggio del Cristo. Al centro Gesù, l’uomo da accogliere o da rifiutare. La scena implica anche il cammino della donna verso il riconoscimento del suo peccato e la richiesta di perdono. La riscoperta del valore della riconciliazione appare centrale nel messaggio del testo. - Il giudizio dei farisei nasce dalla incapacità di andare oltre il loro «modo di pensare», di superare lo steccato della Legge e della mentalità «umana», fondata su una presunta giustizia esterna. Il peccatore è chiamato alla conversione! Ma chi è più peccatore? Chi ha più bisogno di conversione, la donna o gli invitati? Sono questi talvolta a rappresentare la gente che si sente a posto e giudica senza misericordia? - Gesù ci invita a ripensare il nostro atteggiamento di fronte a coloro che sbagliano. Egli solo può perdonare i peccati e da questo perdono si acquista la fiducia e la forza per ricominciare il «cammino». Tutto inizia dalla disponibilità a credere, ad amare e a lasciarsi amare da Dio (v. 47: «molto gli è perdonato perché molto ha amato»). Il binomio del cammino di discepolato è quindi costituito dalla fede e dall’amore. E’ la fede che ti rimette nella strada della salvezza di Dio: «La tua fede di ha salvata! Va in pace» (v. 50). - Il fermarsi del Cristo si traduce in questa pagina nella capacità di lasciarsi toccare dalla donna peccatrice e di invitare i farisei a «lasciarsi toccare il cuore» dalla parola misericordiosa del Signore. La scena si svolge dentro una casa. Si parla più volte della «casa del fariseo» (vv. 36.37.44), che viene «macchiata» dall’irruzione della donna. Proprio il sostare del Cristo in questa «casa straniera», dalla quale la donna è esclusa, permette agli ultimi e ai peccatori di far sperimentare il perdono e la pace.

3 Un’interpretazione alternativa, non priva di argomenti, rende l’espressione del v. 45 «auto aph’o eiselthon…» con «lei, dalla quale sono venuto…» ipotizzando che Gesù abbia precedentemente incontrato la donna peccatrice e che questo gesto in casa di Simone rappresenta un atto di gratitudine per la conversione avvenuta (cf. R. PENNA, Letture evangeliche. Saggi esegetici sui quattro vangeli, Roma 1989, 181).

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d) Coraggio e fermezza: la famiglia di Giairo, l’emorroissa

«TALITÀ KUM» & TESTO BIBLICO MC 5,21-43:

21 Essendo passato di nuovo Gesù all'altra riva, gli si radunò attorno molta folla, ed egli stava lungo il mare. 22 Si recò da lui uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, vedutolo, gli si gettò ai piedi 23 e lo pregava con insistenza: «La mia figlioletta è agli estremi; vieni a imporle le mani perché sia guarita e viva». 24 Gesù andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno. 25 Or una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia 26 e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando, 27 udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle, e gli toccò il mantello. Diceva infatti: 28 «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita». 29 E subito le si fermò il flusso di sangue, e sentì nel suo corpo che era stata guarita da quel male. 30 Ma subito Gesù, avvertita la potenza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi mi ha toccato il mantello?». 31 I discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che ti si stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato?». 32 Egli intanto guardava intorno, per vedere colei che aveva fatto questo. 33 E la donna impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. 34 Gesù rispose: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va' in pace e sii guarita dal tuo male». 35 Mentre ancora parlava, dalla casa del capo della sinagoga vennero a dirgli: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». 36 Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, continua solo ad aver fede!». 37 E non permise a nessuno di seguirlo fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. 38 Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava. 39 Entrato, disse loro: «Perché fate tanto strepito e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». 40 Ed essi lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della fanciulla e quelli che erano con lui, ed entrò dove era la bambina. 41 Presa la mano della bambina, le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico, alzati!». 42 Subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare; aveva dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. 43 Gesù raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e ordinò di darle da mangiare.

? ELEMENTI PER LA RIFLESSIONE - Il testo ci rivela la dinamica della fede, che non è mai un fatto scontato, una convinzione dottrinale, bensì una «esperienza di incontro» con la persona di Gesù. Il cap 5 comprende il miracolo della liberazione dell’indemoniato di Cerasa (fuori dal territorio ebraico: vv. 1-20) e il miracolo dell’emorroissa e della risurrezione della figlia di Giairo (nel territorio ebraico: vv. 21-43). Si tratti di tre segni preceduti dalla tempesta sedata (4,35-41) che rivelano la potenza (exousia) di Gesù sulla natura, sul demonio, sulla malattia e sulla morte. - Concentriamoci sulla splendida pagina di Giairo e dell’emorroissa. L’articolazione del testo: vv. 21-24 (la scena iniziale di Giairo con Gesù al cospetto della folla); vv. 25-34 (la guarigione della donna emorroissa e l’anticipazione della risurrezione della figlia di Giairo); vv. 35-43 (l’ingresso di Gesù nella famiglia dell’arcisinagogo e la soluzione narrativa).

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- Due miracoli in un solo racconto, abilmente incastonati per mostrare il tema centrale della «fede» (vv. 21-24; 35-43 e vv. 25-34). Si può quasi distinguere un doppio gruppo: da una parte coloro che «credono» e dall’altra coloro che non credono: al centro non c’è tanto il soggetto da guarire (la fanciulla; l’emorroissa), ma Gesù. - La descrizione degli episodi è davvero vivace: Giairo è il capo della sinagoga, personaggio conosciuto nell’ambiente che si rivolge disperato (gettatosi in ginocchio) al maestro per ottenere la guarigione della figlioletta; Gesù si mette sulla sua strada (geografica ma anche simbolica: il cammino della fede!). La folla è spettatrice (e tra la folla ci siamo anche noi): che cosa succederà? Riuscirà Gesù a realizzare il miracolo? - L’evangelista si concentra su una seconda scena: il cammino di fede di una donna malata e sofferente. Il contrasto con la folla appare evidente: la fede della donna permette di avere un «rapporto» diverso con Gesù: mentre tutti lo spingono nella calca, la donna «lo tocca» nella fede! (cf. l’ironia di Gesù e la reazione di Pietro) L’immagine del mantello è tipica dell’AT (il bene del povero che non può essere venduto! cf. Dt 24,13) - I sentimenti descritti nel dialogo tra Gesù e la donna guarita sono molto forti: è la fede che ha guarito la donna perché essa ha «cercato Gesù» come Dio e non come un semplice predicatore. Questa ricerca è diventata «salvezza» (la tua fede ti ha salvata!); al v. 35 riprende il filo del racconto di Giairo con l’annuncio della morte della fanciulla! La tensione narrativa cresce: da una parte la fede nella vita, dall’altra l’esperienza della morte. L’affermazione di Gesù può ritenersi il testo «programmatico» del racconto: «Non temere: continua solo ad avere fede!» (v. 36). - Il rapporto tra morte e sonno (cf. v. 39) è presente in diversi contesti biblici: il sonno di Gesù sulla barca; il sonno di Giona, i miracoli di Elia e d Eliseo, ecc. Il tema della fede qui si collega con quello della Pasqua. Si tratta di un miracolo che anticipa e prefigura l’evento della risurrezione (i tre testimoni privilegiati: Pietro Giacomo e Giovanni). Così anche la derisione dei giudei, la stanza nascosta dagli occhi delle folle, il simbolismo della mano e dell’alzarsi indicano l’allusione al mistero pasquale. - La fede è mossa dalla domanda del senso e della sofferenza (Giairo; emorroissa). Ti metti in cammino solo quando davvero decidi di «metterti in discussione» perché la vita non può essere vissuta nel buio di un paradosso! Il cammino è «fuori» ma è anzitutto «dentro di te». Il più profondo dolore, l’angoscia più terribile che è la mancanza dell’amore dei tuoi cari, ti spinge a trovare una «risposta», a cercare dentro e fuori di te. - Il valore simbolico del miracolo come «anticipazione» e segno della potenza liberatrice di Dio! Non una fede che cerca il miracolo, ma una fede che cerca l’incontro con Cristo. Una fede basata sui miracoli e sui segni è una fede imperfetta e immatura. - La fede è un «oltrepassare» la folla, il modo di pensare della gente, il calcolo puramente umano, il rassegnato compiangersi, per affidarsi a Dio. Così Giairo e la donna guarita si sono spinti nella prospettiva della ricerca e dell’affidamento, facendo il salto di qualità. Fede significa fiducia, scommessa, talvolta cammino dell’oscurità con la certezza che Dio «provvederà» alla tua vita. - Nella fede si fa la scoperta del Dio misericordioso che provvede alla tua esistenza. Che idea hai di Dio? Non ti sembra che ha riflettuto troppo poco su questo nella tua vita? Gesù si mette a camminare con Giairo, ma in realtà è Giairo che si mette sulla strada della fede! Così l’emorroissa ha scelto di «seguire Cristo»! Il chiaro tema della fede «pasquale» a cui fa allusione il testo: i simbolismi pasquali sono ben espressi secondo una prospettiva pedagogica: la lotta tra la morte e la vita; il ruolo della folla; la donna; il mantello; il disprezzo dei giudei, la stanza, l’alzarsi della fanciulla, ecc. La fede cristiana è fondata sulla Pasqua, mistero della morte e della risurrezione di Gesù! « ATTUALIZZAZIONE - Il doppio miracolo abilmente narrato da Marco rappresenta un vero percorso kerigmatico che dal dolore porta alla fede in Cristo-vita. Quali emozioni provoca in te questa «doppia storia»? - Lo sfondo del racconto è dato dal «dolore familiare»: Gesù entra nella famiglia per portare la gioia e la vita. Quale relazione hai avuto e tuttora continui ad avere con il tuo mondo familiare? Quali sofferenze ti porti dentro e quali «segni di vita» il Signore ti ha concesso di sperimentare?

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GESÙ E LE RELAZIONI CON LE FIGURE FAMILIARI a) Le relazioni con i discepoli - La disponibilità

CHE COSA CERCATE? & TESTO BIBLICO: GV 1,35-51

35Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli 36e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». 37E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. 38Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa Maestro –, dove dimori?». 39Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. 40Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. 41Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – 42e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro. 43Il giorno dopo Gesù volle partire per la Galilea; trovò Filippo e gli disse: «Seguimi!». 44Filippo era di Betsaida, la città di Andrea e di Pietro. 45Filippo trovò Natanaele e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nazaret». 46Natanaele gli disse: «Da Nazaret può venire qualcosa di buono?». Filippo gli rispose: «Vieni e vedi». 47Gesù intanto, visto Natanaele che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità». 48Natanaele gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi». 49Gli replicò Natanaele: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!». 50Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l’albero di fichi, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste!». 51Poi gli disse: «In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo».

? CONTESTO E SPIEGAZIONE - Il IV vangelo si apre con la testimonianza del Battista (Gv 1,19) e si chiude con la testimonianza diretta e fedele dello scrittore anonimo (Gv 19,35; 21,24). L’intero filo narrativo giovanneo è sorretto dalla testimonianza vissuta del discepolo amato ed in questo contesto che vengono riferiti i segni e le parole di Gesù. - La pericope si più dividere in due parti: vv. 35-42: la vocazione dei primi tre discepoli, Andrea, Giovanni e Simone a cui Gesù cambia il nome; vv. 43-51: la vocazione di altri due discepoli e la professione di fede di Natanaele. Queste due parti sembrano strutturate in modo parallelo, con corrispondenze assai marcate: a) si parla della sequela di Gesù (vv. 37s.43); b) viene descritta la chiamata dei discepoli (vv. 40ss.45ss.); c) sono riportate due professioni di fede in Gesù (vv. 41.45.49); d) sono descritti degli incontri con Gesù (vv. 42.47ss). - La prima parte del brano evidenzia come la vocazione dei primi discepoli è collegata alla testimonianza del Battista. I verbi impiegati sono molto significativi: Giovanni «fissa lo sguardo su Gesù che passa» (il verbo si ripete al v. 42). Si indica l’atto di guardare con attenzione, penetrando nell’intimo dell’animo, a cui segue la rivelazione: «ecco l’agnello di Dio» (1,29) che prepara la sequela di Cristo. I due discepoli si mettono «a seguire» Gesù dopo aver sentito la testimonianza dei Giovanni. La sequela di Gesù implica il diventare discepoli di Lui (cf. Mc 2,15; Mt 9,9; Lc 5,27s.). - La domanda che il Signore rivolge loro ha un profondo valore teologico: «che cosa cercate?» (1,38). Questa prima espressione di Gesù nel quarto vangelo possiede un valore programmatico: la narrazione giovannea indica nel lettore la ricerca della persona divina, come suggerisce l’analoga espressione in Gv 18,4.6 (nel contesto del tradimento) e Gv 21,15 (nel contesto delle apparizioni post-pasquali). - Alla richiesta dei due discepoli: «Maestro, dove abiti?» segue la risposta del Signore: «venite e vedrete», l’invito a fare esperienza di un incontro personale con Cristo. Si tratta del momento culminante dell’avventura vocazionale dei primi due discepoli, evento che è restato così impresso nella memoria di Andrea e Giovanni da ricordare perfino l’ora (v. 39). L’esperienza di discepolato diventa annuncio dell’incontro: Andrea narra

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l’esperienza a Simone, suo fratello e lo conduce al Signore. La vocazione di Simone, come quella dei primi due discepoli nasce anche in questo caso dalla testimonianza dell’esperienza vissuta nella fede. - La seconda parte della pericope rappresenta un ulteriore momento qualificante della testimonianza dei discepoli: a fronte dell’incredulità di Natanaele (v. 46), viene riportato un singolare dialogo con Gesù che provoca un entusiastica reazione di fede del discepolo: «Rabbì, tu sei veramente il figlio di Dio, tu sei il re d’Israele» (v. 49). - Vengono descritti in quest’ultimo incontro sentimenti di scetticismo, di curiosità, di meraviglia e di fede che culminano nella affermazione misteriosa e rivelativa del Signore: «In verità in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul figlio dell’uomo» (v. 51). - Il segno cristologico di questa tappa è l’agnello di Dio. Il Battista applica a Gesù una metafora biblica di grande valore messianico. Il profeta Geremia perseguitato dai suoi nemici si paragona ad un «agnello che viene condotto al macello» (Ger 11,19). L’interpretazione messianica dell’agnello che sta per essere ucciso è applicata al servo sofferente di Jahwe per sottolinearne l’umiltà silenziosa (cf. Mt 26,63) e la completa docilità alla volontà di Dio (Is 53,7.12; cf. At 8,31-35; Eb 9,28). Un ulteriore applicazione è fatta nei riguardi del contesto pasquale e sacrificale che include l’agnello come vittima del sacrificio (cf. 1Pt 1,19). Il titolo di agnello sarà applicato a Gesù 28 volte nel libro dell’Apocalisse, dove si evidenzia la sua immolazione (Ap 5,6.12; 13,8), il suo sangue salvifico (7,14; 12,11), la sua glorificazione sul trono (Ap 5,8.12-13; 7,9; 15,3; 22,1), unendo così il tema della morte sacrificale e quello del trionfo escatologico come interpretazione salvifica del sacrificio a favore dell’umanità. Æ MESSAGGIO - L’elemento di collegamento che si coglie dall’intera narrazione è costituito dal ruolo della testimonianza che diventa condizione della sequela. Si passa dalla testimonianza del Battista a quella dei discepoli evidenziando come l’incontro con la persona di Gesù presupponga l’ascolto della testimonianza e la decisione della ricerca. - La dinamica dell’incontro tra Gesù e i discepoli rivela la domanda profonda della ricerca dei discepoli, che costituisce la motivazione antropologica e il bisogno della risposta al senso della propria vita. Da qui nasce la scelta vitale della sequela: decidere di seguire Cristo «con tutto se stesso» significa abbandonare la guida del Battista per incontrare «l’agnello di Dio» e «dimorare» con Lui. - Nel quarto vangelo il seguire Gesù indica un atteggiamento intimo del discepolo che imita il Maestro e prende parte al suo destino. La descrizione del soggiorno dei due discepoli presso la dimora di Gesù non è un semplicistico particolare di cronaca quotidiana, ma rappresenta l’esclusività della comunione di vita del Cristo con i suoi discepoli. La medesima esperienza è ripetuta da Filippo, il quale assimila nella fede l’intimità del suo incontro irripetibile con il Signore al punto da esclamare: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret» (Gv 1,45). - L’uomo che si sente raggiunto dall’invito di Dio risponde con tutto se stesso ed inizia il cammino di scoperta del volto di Cristo. La primaria esperienza che fa scattare la molla della risposta non è tanto legata a considerazioni concettuali e teoriche su Cristo, bensì alla forza della testimonianza e allo stupore dell’incontro. L’evento vocazionale ha come inizio un incontro sconvolgente che nasce dall’ammirazione di una testimonianza «profetica». - Un ulteriore aspetto è costituito dalla dimensione «comunitaria» dell’esperienza cristiana. Gesù invita i discepoli alla sequela esaltando la dimensione comunitaria e comunionale dell’esperienza: «venite e vedrete». Andrea annuncia a Simone suo fratello: «abbiamo trovato il messia»: l’esperienza della ricerca e dell’incontro è vissuta in una dimensione comunitaria, così come la testimonianza. f ATTUALIZZAZIONE - Il tema del testimoniare costituisce la condizione di un incontro e rivela la dinamica della sequela. La testimonianza è una categoria teologica impiegata nei vangeli per indicare come l’annuncio di un evento nasce da una relazione personale che diventa esperienza vissuta con intensità. - Il tema si collega con il sacramento della Confermazione proprio per il suo valore intrinseco di testimonianza di un cammino di fede che nasce da un incontro autentico con Cristo. Chi incontra il Signore nella sua parola è chiamato a testimoniarlo «con tutto se stesso», anche pagando di persona. - Il testimone è colui che ha ricevuto «una speciale forza dello Spirito Santo» per confessare coraggiosamente il nome di Cristo. In questa prospettiva la nostra preghiera vocazionale si collega al sacramento della confermazione e fa sue le esigenze spirituali e missionarie legate alla responsabilità dell’annuncio e della confessione cristiana della fede pasquale. - La mia vita di consacrata implica un rinnovato dono dello Spirito, si traduce in un percorso progettuale di responsabilità comunitaria per porre segni forti di servizio e di testimoniale ecclesiale. Si conferma il nesso tra consacrazione e testimonianza evangelica, che richiede il coinvolgimento totale della propria esistenza. La testimonianza diventa una condizione del credente che vive la propria vocazione integralmente in una prospettiva missionaria.

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- L’ammirazione - La gioia (Mt 11,25-27)

INNO DI GIOIA DI GESÙ & TESTO BIBLICO Mt 11,25-30

25In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. 26Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. 27Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. 28Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. 29Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. 30Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

? ELEMENTI PER LA RIFLESSIONE

La pericope matteana di articola in tre parti: la benedizione rivolta al Padre (vv. 25-26); la sentenza sul rapporto Padre-Figlio (v. 27); l’invito rivolto ai credenti e la promessa (vv. 28-30). In questo testo Gesù riprende le grandi preghiere di benedizione dell’antichità e le fa proprie, guardando all’azione misteriosa del Padre nella storia. Quel «Padre» che aveva insegnato nella preghiera ai suoi discepoli, adesso diventa il centro della sua preghiera di gioia. Il Padre è la sorgente della sua missione. C’è una «provvidenza» che guida le sorti dell’umanità verso un fine di salvezza e di felicità. Gesù guarda la storia del peccato e del rifiuto degli uomini e allo stesso tempo invita a guardare in alto, verso Colui che è provvidenza infinita e senza del quale non possiamo fare nulla: il Padre. Dio Padre è il motivo fondamentale di tutta la vita del Figlio; egli è Colui che muove il progetto dell’amore e della salvezza «nel cielo e sulla terra».

L’esordio dell’inno evoca il motivo della «benedizione» e insieme quello della «confessione» (exomologoumai), il cui significato biblico corrisponde alla rivelazione di un progetto di amore. Letteralmente il verbo exomologoumai indica il «riconoscere fino in fondo» (cf. Mt 3,6) ed esprime il consenso («trovarsi d’accordo»). L’espressione con cui Gesù inizia la sua preghiera contiene il suo riconoscere fino in fondo, pienamente, l’agire di Dio Padre, e, insieme, il suo essere in totale, consapevole e gioioso accordo con questo modo di agire, con il progetto del Padre. Inviando il suo Figlio, il Padre ha voluto realizzare la salvezza dell’umanità. Il motivo della benedizione in prospettiva vocazionale ritorna nella vita di diversi protagonisti della Bibbia: Abramo, Giacobbe, Mosè, Samuele, alcuni profeti (Osea, Isaia, Geremia, Ezechiele), nelle preghiere dei Salmi, in alcune narrazioni didattico-sapienziali (cf. Tobia).

Gesù rende lode e confessione al Padre «signore del cielo e della terra» (cf. la preghiera del Padre Nostro: Mt 6,9-10) per la duplice azione: «nascondere» (ekrypsas) e «rivelare» (apekalypsas). Si tratta di due verbi che appartengono al vocabolario apocalittico e sapienziale e che descrivono le due azioni antitetiche di Dio nei riguardi dei «sapienti e intelligenti» (apo sōphōn kai synetōn) e dei «piccoli» (nēpiois). Nella sua ineffabile e libera volontà, Dio «ha nascosto» il suo progetto (s’impiega genericamente il pronome «queste cose» tauta) a coloro che si ritendono sapienti e intelligenti, mentre lo «ha rivelato» ai piccoli. Dal contesto di Mt 11,1-30 possiamo interpretare questa prima categoria di persone («sapienti e intelligenti») come coloro che conducono una vita autoreferenziale, basata sul formalismo della Legge e incapace di rinnovamento interiore. Al contrario i «piccoli» (nēpioi), che ricevono la rivelazione e diventano «discepoli», sono coloro che si affidano a Dio e si impegnano a praticare fattivamente la sua volontà (Mt 7,21; 25,40.45). Sembra riecheggiare il motivo del Magnificat: il contrasto tra i forti e i deboli, i potenti e gli indigenti. Dobbiamo interpretare la categoria dei «piccoli» (nēpioi -mikroi: cf. Mt 10,42; 18,6.10.14; 25,4.40.45) nell’ottica dei «credenti», divenuti discepoli, che soffrono le persecuzioni per il Vangelo. Dio non ha scelto i sapienti del mondo, i potenti, i detentori della Legge e

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dell’autorità cultuale, ma ha scelto quei credenti che si sono affidati alla Parola e che vivono nella disponibilità e nella fiducia piena in Dio. Tale scelta risale esclusivamente al progetto misterioso di Dio, alla sua «volontà». Dio fa ciò che gli piace e questa volontà noi dobbiamo accettarla, anche se va contro il nostro modo di prevedere e di progettare. Interessanti paralleli anticotestamentari si ravvisano nel profilo del «discepolo fedele» tracciato in Sir 4,18 e nella rivelazione riservata a Daniele e ai suoi compagni (Dn 2,27-30). Il motivo della preferenza dei piccoli e dei poveri da parte di Dio ritorna nella tradizione sapienziale (cf. Pr 1,4; 8,5). Il v. 27 assume una rilevante dimensione cristologica e trinitaria. Gesù esprime nella preghiera un concetto centrale, che illumina le relazioni divine e specifica la sua posizione nel progetto di Dio. Anzitutto Gesù dichiara di aver ricevuto da Padre ogni potere («tutto»: cf. Mt 28,18), confermando l’unità della persona del Figlio con quella del Padre. In base a questa relazione di profonda comunione, espressa senza aggettivi possessivi, Gesù rivela: «Nessuno può conoscere il Padre se non per mezzo del Figlio». Questa ulteriore affermazione ammette un'unica mediazione ed un'unica via di rivelazione e di salvezza: la mediazione di Gesù Cristo. Solo attraverso l’accoglienza di Gesù Cristo possiamo accedere al mistero dell’amore di Dio. Nella preghiera di Gesù si conferma la necessaria mediazione salvifica di Cristo «via, verità e vita» (Gv 14,6). Il rivelatore del Padre resta solo e unicamente il Figlio: nell’accoglienza di Gesù e della sua Parola di salvezza, possiamo entrare in quella comunione profonda che risiede nel cuore del Padre celeste. Non si tratta di una «rivelazione privata» che i credenti ricevono in vista della vita presente o futuro, ma di una relazione «che caratterizza la nuova immagine di Dio manifestata da Gesù» (S. Grasso). E’ importante sottolineare il valore dei verbi contenuti in questa splendida preghiera. Il Padre «ha dato» (paredothē) al Figlio e il Figlio «conosce il Padre» (epiginōskei). Due verbi (donare- conoscere) che evocano la forza del «dono» e allo stesso tempo quella della relazione di reciprocità e di piena comunione. La conoscenza profonda (epiginōsis) non è primariamente di ordine intellettuale ma interpersonale. Per gli uomini l’accesso alla conoscenza del Padre non può avvenire se non attraverso la rivelazione del Figlio e non si perviene alla conoscenza del Figlio senza l’iniziativa del Padre. Questa breve e intensa preghiera rivela come all’interno del mistero trinitario di Dio ci sia il dono totale delle persone e la comunione perfetta nella conoscenza e nell’accoglienza. Dono e conoscenza producono la «gioia» che diventa preghiera. Gesù benedice il Padre nella gioia, come il Padre esalta il Figlio sul quale nel quale si compiace, perché in tutto Egli compie la sua volontà (Mt 3,17; 17,5). La gioia nasce dalla comunione, dal sentirsi amati e accolti, dal realizzare fino in fondo la volontà di Dio. Nei vv. 28-30 la preghiera si traduce in un invito «vocazionale»: andare da Cristo per accedere al Padre. In tre verbi si esprime il compito di Gesù: «venite» (deute pros me), «prendete» (arate), «imparate» (mathete). Si tratta di verbi tipici del «discepolato» che definiscono la risposta dei credenti come adesione a un progetto di vita (cf. Mt 22,4; 25,34). Questi inviti sono rivolti ai «piccoli», con una specificità: si tratta di credenti che sono nella sofferenza, «affaticati e oppressi». L’immagine del «giogo», tradizionalmente collegata alla sapienza contenuta nella Torah e nei comandamenti, si riferisce all’alleanza del Signore (Ger 2,20; 5,5). Con questa espressione Gesù sostituisce la Legge con la sua presenza e la sua missione. Prendere il giogo significa accogliere nella fede la rivelazione di Dio come Padre e di Cristo come Figlio. Tale accoglienza diventa «storia di salvezza», fondata sulla nuova ed eterna alleanza, imitazione e conformazione al mistero della sua croce («il giogo») e risurrezione (cf. Mt 16,24-28). La condizione dell’uomo in cammino verso il regno implica la fatica e la sofferenza dell’oppressione. Non bisogna abbattersi, ma reagire con coraggio. Questa reazione si traduce in una scelta: scegliere di seguire Cristo rivelatore del Padre, decidersi di lasciarsi guidare da Lui e superare la paura di essere amati. E’ in Cristo che troviamo il «ristoro» (anapausin: cf. Ger 6,16). L’espressione evoca il Sal 23,1-6: Gesù è il buon pastore che guida il suo gregge a pascoli di erba fresca e non lo abbandona a se stesso. Egli è il modello del gregge, perché porta il «giogo» della responsabilità e il peso della fatica di camminare. L’immagine del «giogo» si collega con quella della «croce»: essere discepoli e seguire Cristo significa «prendere sopra di sé la propria croce» (Mt 10,38).

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Il terzo invito consiste del «diventare discepolo» (mathētēs da manthanō = apprendere) accogliendo la «sapienza» del Maestro. Il verbo manthanō definisce la dinamica della conoscenza e dell’apprendimento con un’accentuazione vocazionale e missionaria. Alla nuova immagine di Dio, Gesù affianca un nuovo modo di essere discepolo. Non si tratta più di seguire la Legge mosaica con le sua prescrizioni, ma di accogliere il mistero del Figlio di Dio, «mite ed umile di cuore» (v. 29). Tale accoglienza si traduce in un processo di comunione e di fraternità. A loro volta i «discepoli» saranno chiamati a mandati dal Risorto a «fare discepole tutte le genti» (Mt 28,19: matēteusate panta ta ethnē). La preghiera di Gesù diventa stimolo per un cammino di discepolato e di speranza. Gesù si definisce «mite e umile di cuore» (praus kai tapeinos tē kardia), confermando il modello messianico della pace e della mitezza. Il motivo della «mitezza» è stato evocato nelle beatitudini, quando sul monte Gesù afferma nella terza beatitudine: «Beati i miti, perché erediteranno la terra» (Mt 5,5). Nel nostro contesto il cuore di Cristo si rivela «mite ed umile», cioè capace di costruire relazioni profonde e di aiutare l’altro a vivere con verità e responsabilità la propria esistenza donata. Agli affaticati e oppressi della storia, il Signore propone di accogliere la sua Parola e di entrare nella sua amicizia, che permette di vivere il «riposo», nella mitezza e nell’umiltà. In questo senso la preghiera di gioia assume un’importanza fondamentale per comprendere chi è il Signore e quale progetto egli ha per l’umanità. Questa pagina colpisce il lettore per il suo linguaggio «familiare». Dio viene chiamato «padre e Gesù stesso di proclama «Figlio», mentre i destinatari della rivelazione sono denominati «piccoli». Se confrontiamo il testo matteano con il suo parallelo lucano di Lc 10,21-24 possiamo notare come la preghiera di giubilo è seguita da una beatitudine. Rivolgendosi ai discepoli Gesù afferma: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Vi dico che molti profeti e re hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, ma non lo videro, e udire ciò che voi udite, ma non l'udirono» (Lc 10,23-24). Il tema del discepolato è maggiormente posto in evidenza dal fatto che i discepoli sono testimoni viventi della gioia e dell’amore di Dio in Cristo Gesù. Essi hanno il privilegio di condividere con Gesù la preghiera di giubilo, che profeti e re del passato avrebbero voluto sperimentare. Ancora di più la preghiera è presentata come «esperienza» intima di Cristo e con Cristo. Æ MESSAGGIO La pericope di Mt 11,25-30 contiene diversi aspetti teologici e spirituali che hanno una notevole attualità. Dal contesto segnalato emerge l’orientamento vocazionale e missionario dell’inno di giubilo. Esso è pronunciato per confermare la missione salvifica orientata ai «piccoli». Si tratta di una rivelazione del Figlio che accoglie e rende lode al Padre per il suo progetto. Un primo aspetto contenuto nella preghiera è rappresentato dalla «gioia messianica», conseguenza del dono di Dio per l’umanità. La gioia è frutto dell’amore di Dio per noi, espressione di una relazione gratificante, ricca di speranza, di sicurezza e di felicità. L’invito alla gioia accompagna l’intero processo di evangelizzazione, fin dal primo annuncio dell’angelo Gabriele alla vergine Maria: «Rallegrati» (Lc 1,28). La gioia indica la meraviglia e la positività della vita: saper pregare nella gioia significa imparare a leggere e interpretare i doni di Dio e le sue positività. Un secondo aspetto ha come riferimento il «Padre». Abbiamo avuto modo di riflettere sulla figura di Dio Padre, commentando la preghiera del Pater Noster. Il Figlio non può vivere senza il Padre e il Padre ama il Figlio e gli ha donato tutto. Per questa ragione la preghiera di Gesù si traduce in una «consegna» del Figlio nelle mani del Padre, una consegna di amore. Si avverte la forza dell’unità tra Padre e Figlio, che nella versione lucana introduce anche il ruolo dello Spirito: «In quello stesso istante Gesù esultò nello Spirito Santo» (Lc 10,23). Questo esultare nello Spirito inserisce nel contesto della preghiera di Gesù la dimensione trinitaria. Un ulteriore aspetto è rappresentato dall’idea del «progetto di Dio». Lo stile che Dio sceglie è quello di rivelare se stesso ai piccoli e ai poveri e di lasciare nell’ignoranza i sapienti e gli intelligenti. Comprendiamo il valore profetico di tale affermazione alla luce del Magnificat e della paradossale teologia paolina. Dio ha scelto ciò che nel mondo è piccolo, disprezzato e nulla, per ridurre a nulla le cose che sono (cf. 1Cor 1,28). La strada della «piccolezza» (tapeinōsis: Lc 1,48) e

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della «debolezza» (asthenēia: 1Cor 2,3) sono preferite dal Signore. Così nell’insegnamento evangelico solo chi si fa piccolo «entra nel regno dei cieli» (Mt 18,4). Questa rivelazione sottolinea l’importanza della preghiera umile, vissuta con un cuore che sa affidarsi e sa aspettare, pronta ad obbedire anche nei momenti più difficili dell’esistenza. Gesù conclude il suo compiacimento al Padre e invita i discepoli ad andare verso di Lui che è «mite ed umile di cuore». La vocazione nasce dall’attrazione del cuore. La preghiera contenuta in Mt 11,25-27 rivela il cuore appassionato di Cristo e allo stesso tempo, lo rende punto meta e riposo per i credenti. Egli si fa modello di umiltà, di mitezza e di dolcezza, in opposizione al formalismo legalistico e alla rigidità dei sapienti di questo mondo. Il Vangelo invita a pregare non con la pretesa dell’arroganza, ma con un cuore obbediente e umile. E’ la preghiera del «discepolo», chiamato ad andare dal Maestro, trovare ristoro in Lui e accogliere la missione di saper portare il giogo del vangelo. Appare chiara la connotazione vocazionale del nostro brano, rielaborato nella prospettiva post-pasquale, in vista della missione ecclesiale. Collocando questo episodio nel vivo della prima evangelizzazione (cf. Lc 10,1-20; Mt 10-11), gli evangelisti hanno inteso caratterizzare la peculiarità del «discepolo» di Cristo, confessando la fede in Dio e confermando la predicazione evangelica con lo stesso stile di Gesù. - La profondità

«LO GUARDÒ DENTRO E LO AMO» & TESTO BIBLICO MC 10,17-31:

17 Mentre usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?». 18 Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. 19 Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre». 20 Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». 21 Allora Gesù, fissatolo, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi». 22 Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni. 23 Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio!». 24 I discepoli rimasero stupefatti a queste sue parole; ma Gesù riprese: «Figlioli, com'è difficile entrare nel regno di Dio! 25 È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». 26 Essi, ancora più sbigottiti, dicevano tra loro: «E chi mai si può salvare?». 27 Ma Gesù, guardandoli, disse: «Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio! Perché tutto è possibile presso Dio». 28 Pietro allora gli disse: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». 29 Gesù gli rispose: «In verità vi dico: non c'è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo, 30 che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna. 31 E molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi».

? ELEMENTI PER LA RIFLESSIONE - La pericope dell’uomo ricco si inquadra nel capitolo 10 che contiene testi diversi: la questione matrimoniale sul divorzio (vv. 1-12), i bambini (vv. 13-16), la chiamata del ricco, il detto sulla

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ricchezza e il dialogo tra Gesù e Pietro (vv. 17-31), il terzo annunzio della passione (vv. 32- 34), la richiesta della madre per Giacomo e Giovanni (vv. 35-45) e la guarigione di Bartimeo (vv. 46-52). - Il tema dominante del capitolo è dato dal «cambiamento del sistema di pensiero» prodotto dall’accoglienza del Vangelo. Gesù è portatore della verità di Dio nella famiglia, tra i piccoli, nell’incontro con i ricchi e i poveri (Bartimeo), nel chiedere una esigente sequela ai discepoli. Non possiamo fuggire questo impegno totalizzante e trasformante della nostra vita: aderire all’essenziale! - La pericope si articola in tre unità: vv. 17-22 (l’incontro con l’uomo ricco); vv. 23-27 (il dialogo con i discepoli circa la sorte dei ricchi); vv. 28-31 (il dialogo con Pietro). E’ chiaro che la prima scena genera le successive due unità: si tratta di una immagine straordinariamente tipica di una vocazione mancata, fallita. L’uomo non ha nome e di lui non si parlerà più nei racconti evangelici! - Rileviamo alcuni elementi: sulla strada (eis odon) Gesù è raggiunto da un uomo («giovane»?). L’atteggiamento rispettoso (affettato?) dell’inginocchiarsi e definire il maestro «agathe» (buono). La domanda verte sul «fare», con la consapevolezza della giustizia legale dell’uomo: i comandamenti però non ti fanno felici! - Gesù penetra sempre più profondamente nella sua «domanda» di felicità: l’elenco dei precetti sottolinea il tema delle ricchezze e della frode («non frodare»). La risposta dell’uomo è protettiva, forse strumentale: fin da fanciullo è stato educato al rispetto delle regole…ma!!! Cosa manca ancora? - L’evangelista fissa lo sguardo sul vedere in profondità di Cristo (v. 21: emblepsas autō ēgapēsen): guardandolo dentro lo amò. Amare è il comandamento più importante di tutti: senza l’amore per Dio non si possono realizzare gli altri precetti. Gesù non vuole definire l’amore in chiave precettistica, ma vuole fargli fare l’esperienza di essere amato. - Da questo sguardo amoroso ed accogliente sorge l’inattesa risposta di Gesù: una fondamentale dimensione di libertà dalle cose! L’uomo era evidentemente schiavo delle proprie ricchezze, dei molti beni (chrēmata polla). Amare Dio significa scegliere l’essenziale: se uno è ricco ed ha poggiato tutta la sua ricchezza sul suoi beni allora non ha la possibilità di amare Dio! I comandamenti non bastano per darti la libertà! - Gesù chiede una scelta radicale. I verbi rapidi e all’imperativo esprimono questa prospettiva: vai (hypage), vendi quello che hai (osa echeis pōlēson) donalo ai poveri (dos tois ptokois)…vieni e seguimi (deuro akolouthei moi). Il v. 22 esprime la reazione dell’uomo: lypoumenos (afflitto). - La scena avviene davanti al pubblico e soprattutto ai discepoli: Gesù approfitta dell’occasione per spiegare il senso e la possibilità del discepolato cristiano: lasciarsi possedere dall’amore senza poggiare il proprio amore nelle ricchezze. - Si apre la seconda unità sul tema delle ricchezze: Gesù «volge lo sguardo attorno» (periblepsamenos) e parla ai discepoli. La difficoltà di entrare nel regno di Dio. Si nota la doppia reazione dei discepoli (v. 24; 26). Il punto di arrivo: ciò che è impossibile per gli uomini non lo è per Dio (v. 27). - I vv. 28-30 riportano la domanda di Pietro e la risposta-promessa del Signore. Si tratta di un logion che rivela la situazione sociale del discepolato di Gesù: casa / fratelli / sorelle / madre / padre / figli / campi «per causa mia e del vangelo». Il punto di arrivo: cento volte tanto insieme a persecuzioni e la vita eterna (diōgmōn / zōēn aiōnion). - Il donarsi completo a Cristo e al suo Regno «trasforma» la nostra povertà in ricchezza. Il discepolo deve imparare ad abbandonarsi a Dio senza paura, preparandosi alla persecuzione e alla prova. L’intero brano ci fa passare da una concezione della felicità legata ai comandamenti, ad una esperienza rinnovata nell’amore di Dio. « ATTUALIZZAZIONE - La scena della chiamata dell’uomo ricco ci pone in crisi: quale relazione tra vocazione (sequela) e ricchezze? Ripensa alla tua vita, al momento del tuo personalissimo incontro con Dio e a cosa ti ha chiesto per seguirlo. - Oggi Dio chiama tanti giovani e tante giovani alla sua sequela: perché secondo te molti rinunciano? Cosa appare più difficile ai giovani nello scegliere di seguire Gesù e

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di servire la Chiesa? - Vivere l’essenzialità, la povertà in uno stile di autentica consegna all’amore di Dio che «ti guarda dentro»: come stai realizzando questo cammino? Quali ricchezze continuano a bloccare la tua piena risposta all’Amore? - La compassione

TUO FRATELLO RISORGERÀ & TESTO BIBLICO: Gv 11,1-44

1Un certo Lazzaro di Betania, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. 2Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. 3Le sorelle mandarono dunque a dirgli: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato». 4All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». 5Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. 6Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. 7Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». 8I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». 9Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; 10ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui». 11Disse queste cose e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo». 12Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà». 13Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. 14Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto 15e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!». 16Allora Tommaso, chiamato Didimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!». 17Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. 18Betania distava da Gerusalemme meno di tre chilometri 19e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. 20Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. 21Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! 22Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». 23Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». 24Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». 25Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; 26chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». 27Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo». 28Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». 29Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. 30Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. 31Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro. 32Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». 33Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, 34domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». 35Gesù scoppiò in pianto. 36Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». 37Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?». 38Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. 39Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». 40Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». 41Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. 42Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». 43Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». 44Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberatelo e lasciatelo andare».

? CONTESTO E SPIEGAZIONE

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- La grandiosa narrazione della risurrezione di Lazzaro è posta al culmine del «segni» che l’evangelista dispone come tappe di graduale rivelazione del mistero di Cristo. Infatti il vangelo di Giovanni si compone di due parti: la prima è definita «libro dei segni» (Gv 1-12) e la seconda «libro della gloria» (Gv 13-20). - Dopo aver presentato Gesù come «acqua viva, pane di vita, luce del mondo, buon pastore», viene narrato l’ultimo grande segno cristologico: Gesù come «resurrezione e vita». Si tratta di una pagina singolare per la sua paradossalità: infatti mentre Gesù riporta alla vita l’amico, egli stesso va verso la sua morte violenta, secondo la decisine presa dal sinedrio (cf. Gv 11,45-54). Il messaggio della risurrezione della vita pervade questo testo e ci aiuta a leggere nella speranza anche le nostre situazioni più difficili e luttuose. - L’articolazione del brano si compone di quattro tappe, costruite in una successione drammatica che culmina nell’evento della risurrezione: vv. 1-6 (la malattia di Lazzaro); vv. 7-16 (la morte di Lazzaro); vv. 17-37 (l’incontro tra Gesù e Marta e Maria); vv. 38-44 (la risurrezione di Lazzaro). Nella prima tappa (vv. 1-6) viene annunciata la malattia di Lazzaro, amico di Gesù, per iniziativa delle due sorelle. Il dialogo sulla malattia di Lazzaro e sul ritorno a Betania permette di comprendere il ruolo dei discepoli e la scelta fatta da Gesù: aiutare i suoi a maturare nella fede. Nella seconda tappa (vv. 7-16) Gesù decide di andare in Giudea, mentre i suoi discepoli contrariati gli esprimono il rischio della decisione di esporsi pubblicamente. Nella terza tappa, la più lunga, si descrive l’arrivo del Signore a Betania, il dialogo sul mistero della vita e della risurrezione avuto con Marta e l’incontro con Maria. E’ da notare la rivelazione centrale di Gesù: «io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore vivrà; chiunque vive e crede in me non morrà in eterno» (v. 26). Gesù si commuove profondamente di fronte al sepolcro di Lazzaro. Un ulteriore sottolineatura è data dalla presenza dei Giudei venuti a consolare le due sorelle, i quali sono testimoni del grande evento. - Nella quarta tappa (vv. 38-44) si compie il miracolo della risurrezione, preceduto dalla preghiera di Gesù al Padre (vv. 41-42) e seguito dallo stupore e dalla fede di molti testimoni oculari. Lazzaro esce fuori dal sepolcro e questo evento diventa un’anticipazione della Pasqua del Signore. La narrazione giovannea si caratterizza per la ricchezza simbolica e la profondità del messaggio spirituale. Facciamo attenzione ai personaggi che ruotano intorno a Gesù. I discepoli con la loro incomprensione. Il tema della malattia e della morte: Gesù è chiamato a compiere il miracolo della vita e della guarigione. - Le figure delle due sorelle: Marta, la più intraprendente e Maria, la più contemplativa. Il dialogo con Marta è rivelatore della dinamica della fede: credere significa accogliere il mistero di Cristo che si rivela come Figlio di Dio. Dopo l’incontro con Maria, che lo riconosce nella fede, gettandosi ai suoi piedi, Gesù si commuove profondamente. Il ruolo dei giudei: prima del miracolo sono critici nei riguardi di Gesù, dopo il miracolo, moti di essi aderiscono alla fede. La relazione con il Padre, datore della vita. La preghiera di Gesù diventa la più eloquente chiave di lettura di questo evento, in quanto costituisce la rivelazione della figliolanza di Gesù e della sua obbedienza alla volontà del Padre. Il simbolismo del sepolcro da cui esce vivo Lazzaro (con le bende), che verrà ripreso nel contesto pasquale: il sepolcro della risurrezione rimasto vuoto, lasciandovi le bende e il sudario.

Æ MESSAGGIO

a) Il tema della malattia e della caducità dell’uomo. Gesù afferma che «questa malattia è per la gloria di Dio» (v. 4). Allo stesso modo il Signore dirà a Marta che se crede vedrà la gloria di Dio (v. 40). In Cristo siamo chiamati a dare un nuovo senso al dolore e alla sofferenza. b) il cammino della fede, simboleggiato variamente dai personaggi che ruotano intorno a Gesù. Gli atteggiamenti della fede sono diversi: i discepoli non comprendono, Marta e Maria accolgono Gesù passando attraverso l’esperienza del dolore, molti dei giudei presenti ì, dopo aver visto il miracolo, credono. Il brano sottolinea il ruolo la centralità della fede che nasce dall’incontro con il Cristo. c) La rivelazione di Gesù, «resurrezione e vita». La morte riceve nella prospettiva cristiana una nuova decisiva interpretazione: è un passaggio verso la gloria di Dio. Non è difficile riflettere e verificare il nostro livello di fede di fronte alle situazioni e alle prove della nostra vita.

f ATTUALIZZAZIONE

* Le tue ferite possono essere guarite - La gente (e i discepoli) sperimenta il bisogno di essere guarita dalla sue ferite. In questa pagina ci viene confermata la promessa che le nostre debolezze e fetire possono essere guarite. Questa guarigione segue il processo dell’Incarnazione: saper passare attraverso il tempo della prova, della debolezza per entrare nella guarigione e nella pace. * Non fermarti al segno, ma cerca la Presenza che ti cambia * Dal «vedere per credere» al «credere per vedere» La guarigione più profonda che siamo chiamati a sperimentare è quella della fede, che va oltre il vedere umano. Entrare nel cuore del Padre che pone il suo sigillo mediante lo Spirito nella Presenza misericordiosa

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del Figlio, pane di vita eterna. Oggi tu hai bisogno di «credere» per vedere! Tutto comincia da questo cambiamento «dentro» il tuo cuore. - L’umiltà

LI AMÒ SINO ALLA FINE & TESTO BIBLICO: Gv 13,1-20

1Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine. 2Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, 3Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, 4si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. 5Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto. 6Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». 7Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». 8Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». 9Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». 10Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». 11Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri». 12Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? 13Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. 14Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. 15Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi. 16In verità, in verità io vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato. 17Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica. 18Non parlo di tutti voi; io conosco quelli che ho scelto, ma deve compiersi la Scrittura: Colui che mangia il mio pane ha alzato contro di me il suo calcagno. 19Ve lo dico fin d’ora, prima che accada, perché, quando sarà avvenuto, crediate che Io Sono.

? CONTESTO E SPIEGAZIONE

- Affidiamo alla lettura personale Gv 13,1-20 e fermiamo la nostra attenzione su Gv 15,1-16. L’articolazione del testo può essere individuata in due momenti: vv. 1-11: l’allegoria della vite e i tralci; vv.12-17: il comandamento dell’amore reciproco. I due momenti sono collegati e consequenziali in quanto l’unità dei credenti con Cristo è condizione di fecondità e dono di amore, che deve diventare statuto fondamentale e stile di vita degli amici di Gesù, scelti e costituiti per portare frutto. - Un primo aspetto da considerare è il singolare uso cristologico dell’immagine agricola della vite e i tralci e il suo possibile sfondo veterotestamentario. Infatti nell’Antico Testamento la vigna è un simbolo frequente di Israele, presentata come segno di fecondità (Is 27,2-6) o più frequentemente come elemento di sterilità e di giudizio (Gr 5,10; 12,10-11). L’immagine della vite viene evocata per l’antico Israele sia dai profeti (Os 10,1; 14,8; Gr 6,9; Ez 15,1-6; 17,5-10; 19,10-14) che nel Salterio (Sl 80,9ss.; cf. anche Sir 24,17). Nei testi evangelici Gesù attinge al simbolismo biblico della vigna in diverse parabole, contesti di predicazione e semplici detti (Mc 12,1-11; Mt 20,1-16; 21,28-32; Lc 13,6-9). Un ulteriore contatto può essere visto nel tema del vino, attraverso il simbolismo messianico ad esso collegato ( cf. Gv 2,1-12). - Nel testo giovanneo è rilevante constatare come la vite/vigna non indica più il popolo di Israele, bensì Gesù stesso. Egli è la vera e intera vite; i tralci (i credenti) sono parte della sua stessa persona. Occorre considerare come questa immagine esprima la ricchezza del messaggio teologico del testo: rimanere in Gesù come un tralcio rimane innestato alla vite indica la piena e totale unione dei credenti con la persona del Cristo. In questo senso si può interpretare l’allegoria in chiave comunitaria: nell’Antico Testamento la vite/vigna rappresentava il popolo eletto, nel quarto vangelo la vite in quanto simbolo di Gesù e dei credenti indica il nuovo popolo di Dio, che possiede come nuova legge l’amore vicendevole. - Questo procedimento di identificazione è caratteristico dell’evangelista Giovanni. Gesù è Logos incarnato, l’agnello di Dio, la fonte di acqua viva, il pane disceso dal cielo che dà vita, la luce del mondo. Le metafore emerse dall’analisi dei brani hanno indicato sempre delle azioni esterne: seguire l’agnello, bere e immergersi nell’acqua, mangiare il pane per avere la vita. Nel discorso finale di Gv 15,1-17 il simbolismo cristologico assume una intimità unica: «con tutto se stesso» il discepolo è chiamato a “rimanere” in piena comunione con il Figlio di Dio, cioè amare e ricevere l’amore (agapê) proprio di Dio.

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- La configurazione completa e totale dell’amore che è “linfa vitale” rivela una singolare connessione con il dono eucaristico. A questo proposito è interessante paragonare Gv 15,1-17 con 6,51-58: v.5: «chi rimane in me ed io in lui», riecheggia Gv 6,56: «chi mangia la mia carne e beve i mio sangue rimane in me ed io in lui». In Gv 15 è implicito che la vita arriva a i tralci attraverso la vite; e in Gv 6,57 troviamo: «Colui che mangia di me vivrà per me»; così Gesù parla di dare la vita per i propri amici; in Gv 6,51 si legge: «il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Quindi il discorso finale di Gesù possiede una forte connessione con il discorso eucaristico e si sostituisce al racconto dell’istituzione presente nei sinottici. In definitiva l’allegoria della vite può essere messa in relazione con l’ultima cena e il suo mistero eucaristico. - L’appello al discepolato e la dimensione eucaristica dell’intima unione dei credenti con Cristo permette di collegare il messaggio giovanneo al sacramento dell’Ordine e al tema del servizio, che riecheggia nell’intera sezione di Gv 13-17. Il discepolo è servo dell’amore (e quindi “amico”) che rimane unito vitalmente a Cristo, divenendo conforme alla sua persona ed realizzando la sua missione nel mondo. L’invito a rimanere (il verbo è ripetuto nella pericope 10 volte) uniti a Cristo-vite implica la risposta vocazionale totale e decisiva del discepolato (Gv 15,8). - La scena è dominata dalla figura di Gesù che rimanda da una parte al suo rapporto con il Padre e dall’altra alla relazione con i discepoli. Entrambe le relazioni sono espresse mediante il lessico dell’amore e dell’amicizia, che in questo brano trova la sua massima concentrazione. Il verbo “rimanere” qualifica sia il rapporto di comunione tra Gesù e si suoi discepoli, sia quello di Gesù con il Padre. Per capire la profondità dell’unione espressa con il verbo rimanere, occorre precisare il significato della formula “portare frutto”; essa corrisponde all’inserimento vitale in Gesù che si esprime con l’affermazione della mutua appartenenza (Gv 15,4a. 5b).

Æ MESSAGGIO

- I temi emergenti in questo testo programmatico sono essenzialmente tre: l’unione intima e totale, l’amore vicendevole e gratuito, la fecondità fruttuosa nel vero servizio di Dio nel discepolato. Tutti coloro che sono innestati a Cristo, partecipano dell’amore trinitario e divengono necessariamente suoi amici, a differenza di chi rimane sterile e viene meno alla comunione con Gesù, con il risultato di essere tagliato fuori, senza possibilità di realizzare alcun progetto di felicità futura. - Il modello dell’amore è nella relazione intima tra Gesù e il Padre. Si tratta di un amore oblativo e filiale, che rende amici e dona libertà, rivelando la grandezza della paternità di Dio. Dalla sovrabbondanza dell’amore trinitario nasce la vocazione e la missione (Gv 15,15-16) e si comprende l’efficacia della preghiera apostolica. Nell’amore esclusivo dell’apostolo si compie la risposta totale della vocazione, che diventa glorificazione, fecondità e servizio per Dio e i fratelli.

f ATTUALIZZAZIONE

- In questa tappa siamo chiamati a riflettere sull’essenza stessa della vita, il cui costitutivo fondamentale è indicato nella legge dell’amore. A colui che ha amato per primo, l’uomo è chiamato a dare una risposta di amore. L’appello di Gesù in Mt 22,37-40 risuona come il motivo centrale e dominante del messaggio biblico: amare con tutto se stessi, coinvolgersi nell’esperienza dell’amore unico e irripetibile del Padre, sentire la scelta di amare come progetto pienamente umano proiettato nel mistero trinitario. - Il brano giovanneo induce alla scoperta di una necessità vincolante e vitale: essere uniti al Figlio, come il Figlio rimane unito al Padre. L’amore divino sta al cuore della vita umana e cosmica e costituisce la possibilità unica e inderogabile di essere pienamente se stessi e di riconoscersi autenticamente fratelli. L’alternativa all’amore cristologico è il vuoto esistenziale e il rifiuto delloa stile di comunione produce l’egoismo e il vuoto esistenziale. Nessun uomo potrà vivere senza amare, né trovare se stesso senza sentirsi amato per primo da Dio (cf. 1Gv 3,14). - L’amore prima di essere un precetto è la rivelazione del rapporto che lega il Padre al Figlio e il Figlio a noi. In questo senso l’amore è da intendersi come l’epifania di Dio nella storia. Proprio perché non è solo un precetto, ma un’espressione di rivelazione, il comando dell’amore vicendevole (Gv 15,17) è un dono rivelato all’uomo in vista della sua comunione trinitaria. - Educarsi a servire nella logica della comunione di amore sul modello di Cristo-servo. Il ministero sacerdotale si consuma essenzialmente nell’opera di un servizio a Dio e ai fratelli. Occorre liberarsi da una mentalità funzionale del servizio per concentrare la propria esistenza verso una prospettiva esistenziale e spirituale.

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b) Le relazioni con la Madre: Da Cana a Gerusalemme

LA DONNA E L’ORA & TESTO BIBLICO: Gv 2,1-12

1Il terzo giorno vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. 2Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. 3Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». 4E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». 5Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». 6Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. 7E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. 8Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. 9Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo 10e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora». 11Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui. 12Dopo questo fatto scese a Cafarnao, insieme a sua madre, ai suoi fratelli e ai suoi discepoli. Là rimasero pochi giorni.

- La narrazione possiede una singolare e profonda riflessione teologica che si contestualizza in una scena nuziale. Il verbo che riassume i diversi contenuti del brano, pur non essendo direttamente citato nel testo è «condividere». Infatti la scena nuziale ha come sottofondo un gesto di condivisione e di festa simboleggiato dall’abbondanza del «vino buono», che diviene segno rivelativo a cui i discepoli credono (Gv 2,11). - Nel segno di Cana Gesù annuncia la sua prospettiva messianica che si protende verso l’ora della glorificazione. Tutta l’esistenza del Figlio è vista nella prospettiva della condivisione e dell’offerta totale di sé, affinché si compiano le nozze di Dio con l’umanità. Anche se il testo non tratta direttamente del matrimonio, il contesto nuziale richiama alla realtà sacramentale del matrimonio come esperienza di condivisione totale. Lo sposo e la sposa accettano di condividere la vita matrimoniale «con tutto loro stessi», accogliendosi nell’amore reciproco e nella completa disponibilità. La nostra riflessione estende la sua prospettiva alla santità della vocazione matrimoniale e alla ricchezza dell’amore nuziale, dono di condivisione e profezia di comunione. ? CONTESTO E SPIEGAZIONE

- L’annotazione temporale «tre giorni dopo» indica la continuità con il racconto precedente e segnala, secondo il calcolo giovanneo, il contesto di una settimana ideale in cui Gesù si rivela al mondo. Gli elementi di questo racconto sono ben noti: il tema delle nozze (si cita solo lo sposo), la presenza della «madre» di Gesù (non se ne dà il nome: cf. Gv 6,42; 19,26) e dei suoi discepoli, l’improvvisa e problematica mancanza del vino, il dialogo tra la madre e Gesù, l’esecuzione dell’ordine e la constatazione del «vino nuovo», la conclusione teologica del racconto. - Al centro del racconto c’è la persona di Gesù, che si rivela come il messia. Il segno del vino mette in piena luce la dignità messianica del Cristo e la sovrabbondanza dei beni messianici. Gesù domina la scena giovannea e diviene protagonista del contesto delle nozze; - Gi sposi non compaiono quasi mai: la sposa non è mai menzionata e lo sposo è citato una sola volta (v. 9) ed è implicitamente identificato con Gesù stesso, che avrebbe «conservato fino ad ora il vino buono» (v.10); - la madre occupa un posto di rilievo solo nella prima parte della scena (vv.1-5), quando interviene per rilevare la situazione precaria in cui si era venuta a trovare la festa nuziale. Essa viene descritta come «la madre di Gesù» e quindi è posta in relazione diretta con il protagonista. Nella seconda parte del racconto la madre scende nell’ombra facendo agire il figlio; è rilevante interpretare il dialogo tra Gesù e la madre, nel quale si coglie la chiave di lettura messianica che il Cristo applica al segno del vino: «Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora». L’espressione indica una separazione tra una concezione puramente occasionale del miracolo e la prospettiva messianica. Gesù non nega il miracolo, ma rivela la ferma e decisa volontà di compiere il segno del vino nell’ottica progettuale dell’ora fissata dalla volontà del Padre. Con il segno di Cana l’ora è già iniziata «ma non è ancora giunta», cioè è iniziato il cammino verso la sua morte e la sua esaltazione (Gv 7,30; 8,20; 12,23.27; 13,1; 17,1) ma dovrà compiersi nella glorificazione ed esaltazione della croce (Gv 19,26). - In questa prospettiva si interpreta bene anche il termine «donna» riservato alla madre, presente all’inizio della sua ora e al termine, sotto la croce, con lo stesso appellativo. La vergine Maria condivide insieme al figlio l’ora della glorificazione e ne anticipa attraverso i segni la realizzazione, rivestendo l’immagine della «sposa» nel contesto delle nozze messianiche del proprio figlio. - Il ruolo dei servi (diaconi) che si mettono a completa disposizione di Gesù e riempiono le giare «fino all’orlo». Nella constatazione meravigliata del maestro di tavola

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si sottolinea la novità del fatto accaduto e l’ottima qualità del vino, mentre il segno assume per i discepoli un valore teofanico e l’inizio della partecipazione di fede alla missione salvifica del Cristo; - Il significato biblico del vino implica il segno gioioso dei tempi messianici. Il vino buono delle nozze, atteso «fino ad ora» è il dono della carità di Cristo, segno della gioia che la venuta del Messia si realizza (cf. Gv 4,23; 5,25). Nel segno di Cana Gesù «manifesta la sua gloria». L’interpretazione simbolica permette di vedere Gesù come il vero «dono messianico» all’umanità; nell’abbondanza di vino buono viene espressa l’abbondanza del dono di Dio. Il fatto che il vino nuovo arrivi quando si è esaurito l’altro di qualità inferiore significa che all’alleanza antica si sostituisce ormai la nuova. Nella linea interpretativa del simbolismo giovanneo il «banchetto nuziale» e la presenza del «vino nuovo», collegato a Gv 19,26, rappresenterebbero il sacramento dell’Eucaristia. Æ MESSAGGIO

- La narrazione di Gv 2,1-12 si presta ad alcune rilevanti considerazioni antropologiche. In primo luogo la centralità della persona del Cristo, che si rivela nel «primo segno di Cana» come il Messia, «uomo nuovo». Il tempo dell’attesa si è concluso con la venuta del Signore. Egli può essere considerato come il vero ed unico sposo dell’umanità (cf. Mt 9,15; Mc 2,19; Lc 5,34), con la quale compie una «nuova ed eterna alleanza» nuziale. - L’idea della piena e totale condivisione di Dio, mediante il Cristo è fortemente significata in questo brano giovanneo. Gesù non intende semplicemente compiere un gesto di cortesia mediante il miracolo, ma viene a prendere il «giusto posto» nel progetto del Padre, obbedendo fedelmente alla sua ora. Egli rivela alla madre a Cana che quella è l’ora della donazione totale e della condivisione «con tutto se stesso», l’inizio di un nuovo tempo. - Emerge in questa linea interpretativa come lo scopo della vita umana sia da intendersi nell’ottica di un’esperienza sponsale, che domanda a ciascuno i dono gioioso di se stessi. In questo donarsi completo dell’uomo a Dio si scopre la «novità» del «vino buono ed abbondante» che trasforma la convivenza umana in una festa messianica proiettata nell’attesa escatologica. - La famiglia come «dono» e come «compito vocazionale»: è importante riscoprire la «vocazione all’amore sponsale». Che significa oggi rispondere alla chiamata al Matrimonio e vivere nella «logica oblativa» delle nozze di Cana. L’immagine del matrimonio evangelico aiuta le coppie a «rifare alleanza» e a rimettersi in cammino secondo il progetto di Dio (il giungere della «sua ora»). - La mancanza improvvisa del vino implica nella simbologia descritta la dimensione precaria della vita umana, destinata al fallimento senza un riferimento a Dio. Così non è possibile pensare al successo dell’uomo che vuole costruirsi una felicità confidando unicamente nelle proprie forze. Il banchetto messianico rappresenta il compimento del progetto divino a cui ciascuna creatura è chiamata a partecipare. - La categoria biblica del banchetto annovera tra i diversi usi, quello escatologico, secondo il quale alla fine dei tempi «Jahwe preparerà per tutti i popoli un banchetto» (cf. Is 25,6; 65,13). Riprendendo questa idea, Gesù promette ai suoi discepoli il compimento di questa beatitudine (Mt 5,6), accogliendo al suo ritorno tutti coloro che avranno risposto mediante la fede all’invito (Lc 22,30) per bere il «vino nuovo» (Mt 26,29) nel regno dei cieli (Mt 8,11), dove egli stesso passerà a servire i giusti seduti alla mensa (Lc 12,37). - L’importanza del ruolo della madre nella condivisione del «primo segno», mediante il suo intervento premuroso, permette di capire il posto di Maria nel processo della rivelazione del Figlio e la sua partecipazione diretta e condivisa all’ora stabilita dal Padre. E’ la madre a rilevare la mancanza del vino, preoccupandosi degli sposi e della festa (v.3: «non hanno più vino»). f ATTUALIZZAZIONE

- Un primo aspetto che si ricava dal racconto giovanneo è costituito dalla positività e dalla gioia di vivere. Il simbolismo del vino ha per oggetto la gioia della vita e la sua dimensione «festiva». Ogni autentica scelta di condivisione è un atto di amore e di fede verso la vita. - La sorgente della felicità è Cristo, a cui ciascun credente è chiamato ad affidare la propria esistenza secondo la volontà del Padre. L’ora del Figlio, a cui è associata pienamente la madre, si compie nella storia degli uomini fino a culminare nella glorificazione della croce e diventa condizione di autentica condivisione. La vera festa nuziale si celebra con mistero pasquale, in cui il Figlio donando tutto se stesso, apre le porte del regno all’umanità per una festa senza fine. Colpisce soprattutto la gratuità e l’abbondanza del vino nuovo. Il tempo messianico è segno della presenza operante di Dio nella storia, senza calcolo, senza interessi. Tutto è grazia e festa, donata perché ciascuno impari a condividere la gioia. - La nostra riflessione si collega con la ricchezza del sacramento del matrimonio e la vita familiare, scoprendo nel segno di Cana il valore sponsale della vita e della vocazione. «Condividere con tutto se stessi» significa accettare di donare la propria vita nella prospettiva dell’incontro sponsale con Dio. Come vivo il servizio nei riguardi della famiglia, di giovani e delle persone che mi vengono affidate?

IL DISCEPOLO E IL CUORE DI CRISTO

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& TESTO BIBLICO: Gv 13,21-30

21Dette queste cose, Gesù fu profondamente turbato e dichiarò: «In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». 22I discepoli si guardavano l’un l’altro, non sapendo bene di chi parlasse. 23Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. 24Simon Pietro gli fece cenno di informarsi chi fosse quello di cui parlava. 25Ed egli, chinandosi sul petto di Gesù, gli disse: «Signore, chi è?». 26Rispose Gesù: «È colui per il quale intingerò il boccone e glielo darò». E, intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda, figlio di Simone Iscariota. 27Allora, dopo il boccone, Satana entrò in lui. Gli disse dunque Gesù: «Quello che vuoi fare, fallo presto». 28Nessuno dei commensali capì perché gli avesse detto questo; 29alcuni infatti pensavano che, poiché Giuda teneva la cassa, Gesù gli avesse detto: «Compra quello che ci occorre per la festa», oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri. 30Egli, preso il boccone, subito uscì. Ed era notte.

? CONTESTO E SPIEGAZIONE

- Dopo l’insegnamento sul servizio, Gesù si commuove profondamente (cf. 11,35) e dichiara che uno dei suoi discepoli lo tradirà (v. 21). Segue la reazione di sconcerto e di smarrimento dei presenti, che non comprendono il dramma che sta per consumarsi. E’ importante osservare l’intreccio narrativo della scena descritta dall’evangelista: al centro si pone la figura di Cristo e di fronte a lui quella del traditore Giuda. Ai due lati del Signore sono presenti Simon Pietro e quel «discepolo che Gesù amava». Benché ricoprisse un ruolo primaziale, Simon Pietro sceglie la mediazione del «discepolo amato» per avere informazioni da Gesù e invita l’altro discepolo a domandare l’identità del traditore. Il particolare decritto dall’evangelista è indicativo dell’intimità con il Signore: il discepolo amato «chinandosi sul petto di Gesù, gli disse: “Signore, chi è?”. Rispose Gesù: “È colui per il quale intingerò il boccone e glielo darò”. E, intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda, figlio di Simone Iscariota» (vv. 25-26). - Il «chinarsi» del discepolo sul «cuore turbato» di Cristo non solo indica un segno di discrezione, ma rappresenta un gesto di affidamento filiale e di tenerezza. Nel dramma che sta per consumarsi, il «discepolo che Gesù amava» è accanto al suo Signore che soffre e con la sua amicizia si fa prossimo di Cristo. Il segno del boccone offerto all’Iscariota rende manifesta la condizione terrificante del cuore di Giuda, reso schiavo del potere di Satana (cf. Lc 22,3). Mentre il gesto di Cristo voleva esprimeva la compartecipazione e il coinvolgimento nella commensalità, il traditore prende quel boccone, entrando definitivamente nella notte tenebrosa del male. Sembra che il boccone offerto da Gesù a Giuda diventi il segnale per Satana di prendere pieno possesso del traditore. In quell’istante Gesù si rivolge a Giuda dicendo: «Quello che vuoi fare, fallo presto» (v. 27), ma nessuno dei presenti comprende il vero senso della frase (vv. 28-29). Così, in silenzio Giuda esegue immediatamente l’ordine di Gesù (v. 30) e si inoltra nella «notte» mortale. Æ MESSAGGIO

Il racconto evidenzia le tre figure principali che ruotano intorno a Cristo: Simon Pietro, che rappresenta il «discepolo reticente», Giuda che è l’«anti-discepolo» e il «discepolo che Gesù amava», esempio di fedeltà e di tenerezza. L’intero capitolo giovanneo fa emergere alcuni importanti spunti per la riflessione spirituale e pastorale.

Amare nella logica del servizio

Un primo aspetto emergente dall’analisi del brano è rappresentato dal segno della lavanda dei piedi e dalla spiegazione data da Gesù ai suoi discepoli. Il principio che guida il servizio è l’amore, che viene proposto nella cornice della commensalità e della fraternità familiare. Alla logica della separazione si contrappone quella della comunione e del servizio. La gestualità descritta dall’evangelista rivela uno stile inaugurato da Gesù «maestro e signore» che si fa «servo», depone le vesti, si cinge un asciugamano, prende il catino dell’acqua e si china davanti ai suoi discepoli per lavare loro i piedi. Siamo di fronte ad un sublime gesto di accoglienza e di partecipazione all’amore e l’insegnamento che segue qualifica l’esistenza dei discepoli nella prospettiva della pienezza e radicalità. In tale ottica, esso diventa criterio per definire i rapporti reciproci e i ruoli nella comunità di quelli che ora condividono la mensa con Gesù. L’immagine del servo, associata a quella dell’inviato, consente di parlare di un servizio e dono reciproco di amore. Questo nuovo dinamismo che parte da Gesù rovescia lo schema dei ruoli nella comunità dei discepoli, prendendo come criterio fondamentale l’atto di Gesù che lava i piedi ai suoi discepoli, così che anche l’apostolo è associato alla figura del servo. Entrambi, l’apostolo e il servo, hanno il loro archetipo nel Signore e Maestro, che ama in una forma paradossale.

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Il tradimento e la sua notte

La descrizione giovannea dell’annuncio del tradimento pone in evidenza il contrasto tra il bene luminoso rappresentato dall’amore di Cristo per i suoi discepoli e il male tenebroso delineato dalla figura di Giuda Iscariota in balia si Satana. In questa lotta si coglie il turbamento di Gesù e il dramma della sua solitudine. Mentre l’ultima cena rappresenta il vertice della comunione tra Cristo e i discepoli, il gesto del tradimento costituisce la profonda ferita che lacera la fiducia e la comunione reciproca. La citazione del Sal 41,10: «Colui che mangia il mio pane ha alzato contro di me il suo calcagno» (Gv 13,18) esprime tutta l’amarezza dell’inganno di colui che è amico e che si trasforma in nemico (Sir 6,9-10). L’evangelista sottolinea la condizione «diabolica» del cuore del discepolo, che rifiuta di venire ala luce, preferendo l’ambiguità e l’oscurità delle sue azioni. Il simbolo della notte in Giovanni richiama la presenza operante del male nel mondo (9,4; 11,10). Anche i discepoli sperimenteranno il dramma della «notte» nella sofferenza al Getsemani, nell’arresto di Gesù e nella sua condanna.

La figura del discepolo reticente

Dal racconto emerge anche il profilo di Simon Pietro e il suo carattere duro ma reticente. Di fronte al gesto umile di Gesù, il pescatore di Betsaida si oppone, cerca di resistere alla logica del servizio, condizionato dal contesto sociale che relegava solo agli schiavi quel ruolo subalterno. Egli fa fatica ad accettare un amore oblativo così radicale. Alla fine Pietro accetta di condividere l’amore di Cristo. La sua incomprensione si traduce nella solitudine. Egli evita di rivolgersi direttamente a Gesù, che aveva annunciato il tradimento e preferisce la mediazione del discepolo amato. Nello sviluppo del racconto di passione, Pietro evidenzierà la sua incapacità di donarsi e la sua fragilità nella fede: la promessa di dare la vita per Cristo (13,36-38), il tentativo di difendere il Signore (18,10-11), il triplice rinnegamento (18,25-27). Dietro la sua fragilità si cela l’insicurezza della fede e l’incapacità di fare un profondo discernimento sulla propria esistenza. Solo nella luce pasquale, l’apostolo potrà rileggere la propria identità e riscoprire il senso della sua missione, fondata sull’amore (Gv 21,15-19).

f ATTUALIZZAZIONE

- La presentazione del «discepolo che Gesù amava» assume una funzione peculiare nel racconto giovanneo. Senza la pretesa di risolvere le problematiche collegate alla sua identità, lasciamoci guidare dalla tradizione che lo identifica con Giovanni di Zebedeo. L’evangelista lo descrive con la perifrasi relazionale dell’amore, associando la sua figura al giovane discepolo che ha posto la sua testa sul petto di Gesù. E’ l’icona dell’amicizia profonda, che si realizza quando si fa l’esperienza della sintonia degli affetti e della comunione. In questa figura anonima ci sono tutti i giovani del mondo, che cercano risposte di vita e vivono il bisogno di comunicare con la mente e con il cuore. - Sul petto di Cristo potranno trovare quel riposo a cui aspirano e quell’accoglienza che cercano. Nella pagina giovannea il «discepolo amato» riveste il ruolo dell’intimità, della fedeltà e della tenerezza. L’intimità evoca il bisogno di scoprire la ricchezza profonda dell’amore di Dio. La fedeltà impegna il discepolo a vivere con coerenza e lealtà il rapporto con Cristo, testimoniando la sua Parola senza ambiguità né tradimenti. La tenerezza rivela la dimensione misericordiosa delle relazioni interpersonali che è in grado di guarire le ferite, di dare certezze nei momenti di turbamento e di aprire strade nuove verso il futuro. A tale proposito ci sembrano illuminanti le parole di papa Francesco per il nostro impegno ecclesiale a favore dei giovani: «Il Vangelo ci invita sempre a correre il rischio dell’incontro con il volto dell’altro, con la sua presenza fisica che interpella, col suo dolore e le sue richieste, con la sua gioia contagiosa in un costante corpo a corpo. L’autentica fede nel Figlio di Dio fatto carne è inseparabile dal dono di sé, dall’appartenenza alla comunità, dal servizio, dalla riconciliazione con la carne degli altri. Il Figlio di Dio, nella sua incarnazione, ci ha invitato alla rivoluzione della tenerezza» (Evangelii Gaudium, 87). [I testi qui riportati commentati hanno lo scopo di approfondire sul piano pastorale e spirituale i contenuti della la Due-Giorni biblica tenutasi ad Otranto il 28 febbraio 1 1 marzo 2018)

Prof. Giuseppe De Virgilio