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IL TEOREMA DI RIDUZIONE PER GLI INTEGRALI DOPPI (Conferenza inedita GUTDO FURINI) ( 1 ). Il Prof. CHEVALLEY ha avuto la bontà di invitarmi a par- lare intorno al teorema [A] R f (%, y)da = dy i f (co, y) dx , dove R è una regione, o un insieme di punti, del piano xy. Credo meglio non dare qui una dimostrazione completa ; sarò meno noioso se mi limiterò ad accennare alle dimostrazioni più importanti, e parlerò dei problemi e dei metodi che per la prima volta hanno condotto al teorema [A]. Io studiavo il principio di minimo per il ben noto problema di DIRICHLET. Sono dati i valori di una funzione continua u(x,y) sul contorno y di una regione piana /?_, e si suppone che l'inte- grale di DIRICHLET 'du\ 2 /du\*. R dxì \dyj da possa prendere valori finiti. Sia d il suo limite inferiore. Il Prof. LEVI aveva già dimostrato che se u(x, y) è la più generale funzione derivabile, d è eguale a zero, e che perciò è necessario ammettere che u(x^ y) sia assolutamente continua. Ordinaria- mente questo problema non è studiato con tanta generalità. Supponiamo che 1 J 2 J 3 1 * * " ( 1 ) Il testo della presente conferenza, la quale illustra la genesi del celebre teorema di Fubini, è desunto da un manoscritto in inglese rintracciato tra le carte del compianto 'Autore. La conferenza fu tenuta nel 1942 all'Università di Princeton.

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IL TEOREMA DI RIDUZIONE

PER GLI INTEGRALI DOPPI

(Conferenza inedita dì GUTDO FURINI) (1).

Il Prof. CHEVALLEY ha avuto la bontà di invitarmi a par­lare intorno al teorema

[A] R

f (%, y)da = dy i f (co, y) dx ,

dove R è una regione, o un insieme di punti, del piano xy. Credo meglio non dare qui una dimostrazione completa ; sarò meno noioso se mi limiterò ad accennare alle dimostrazioni più importanti, e parlerò dei problemi e dei metodi che per la prima volta hanno condotto al teorema [A].

Io studiavo il principio di minimo per il ben noto problema di DIRICHLET. Sono dati i valori di una funzione continua u(x,y) sul contorno y di una regione piana /?_, e si suppone che l'inte­grale di DIRICHLET

'du\ 2 /du\*.

R dxì \dyj da

possa prendere valori finiti. Sia d il suo limite inferiore. Il Prof. LEVI aveva già dimostrato che se u(x, y) è la più generale funzione derivabile, d è eguale a zero, e che perciò è necessario ammettere che u(x^ y) sia assolutamente continua. Ordinaria­mente questo problema non è studiato con tanta generalità.

Supponiamo che

1 J 2 J 3 1 * * "

(1) Il testo della presente conferenza, la quale illustra la genesi del celebre teorema di Fubini, è desunto da un manoscritto in inglese rintracciato tra le carte del compianto 'Autore. La conferenza fu tenuta nel 1942 all'Università di Princeton.

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sia una successione minimizzante, cioè che la funzione a prenda sul contorno i valori dati, e che

lim J(w„)= lim /j (~Y+ n — oo n = oo J ' \ OX I

R \ dy

Per il problema di PLATEAU basterebbe cambiare il significato di J(u) ponendo

Se invece volessimo trovare la geodetica y=u{x) congiun­gente due punti dati (a\, #,) e (j?2, //2), porremo

^HV^©2^ »!

avendosi allora come valori al contorno u*(x>i) e u(x2) i due nu­meri dati yL e y-,. Sia (? il limite inferiore di J(n) e sia uh ih ... una successione minimizzante : dall'equazione

lim J(u ) = d

è molto facile, in quest'ultimo caso, dedurre resistenza di

//(.**)= lim tt {x) e provare che

y = u(x)

è l'equazione della geodetica cercata. Per il problema di DIIUCHUST il teorema analogo è falso. Il

ìimJ(u ) può esistere ed essere uguale a d anche se lim an non esiste. Questa osservazione prova che non è possibile dimostrare la convergenza di una successione minimizzante, e getta molta luce sulle difficoltà del principio di DIIUCHLET.

Io pensai : nel problema delle geodetiche, dall'esistenza del limite

lim 1 / i + (^Ydx = d n = ooj \ \ dxì

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è possibile dedurre l'esistenza di

Cdii-lini un = lim / -— doc ;

analogamente dovrebbe essere possibile dimostrare l'esistenza dei jimiti degli integrali.

J dx J dy

o, ciò che è lo stesso, dei limiti degli integrali

fun dx, fun dy

presi lungo una linea chiusa. Una non difficile generalizzazione mi guidò alla persuasione che fosse possibile provare più gene­ralmente l'esistenza dei limiti degli integrali

/ cpun dx, f <pun dy,

dove A è una linea qualunque chiusa o aperta, e <p è una fun­zione continua arbitraria di x, y. Una conseguenza importante di questo fatto è che i coefficienti di FOURIER di u {x, y) hanno un limite anche quando non esiste il limite di u {x, y).

Sviluppando la dimostrazione, giunsi per la successione delle un{x, y) a un nuovo tipo di convergenza, molto analoga alla con­vergenza in media definita vari anni dopo da BIESZ e FISHER.

Ma in quegli anni i matematici parlavano soltanto di conver­genza di CESÀRO e di BOREL, e non sembrava possibile dare nuove definizioni di convergenza quando in qualche punto un(x, y) non ha limite finito.

Dimostrai che l'intersezione di una retta o di un circolo, o di altre linee, con l'insieme nel quale lim un non esiste, è un insieme di misura nulla, e inoltre che se per esempio f/ = /> - cost., tale limite esiste per quasi tutt i i valori di 1).

In conseguenza dovevo giungere alle derivate di un partendo dagli integrali indicati. Ma questo era un salto troppo lungo, e così era meglio andare avanti a un passo per volta. Cominciai perciò a studiare se era possibile, come primo passo, giungere dall'integrale di DIRICHLET agli integrali semplici

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Oggigiorno la cosa sarebbe molto semplice ; ma in quegli anni i matematici consideravano soltanto integrali di IÌIEMANN, e le difficoltà, non erano poche.

I lavori di LEBESGUE non erano considerati molto importanti da tutti i matematici ; a molti pareva che LEBESGUE studiasse soltanto le inutili funzioni « patologiche ».-'11 termine a patolo­giche » non è mio, ma,- se ben ricordo, di KLEIN. Quando LE­

BESGUE scrisse la sua tesi, PICARD si rivolse al P I N I , allora diret­tore degli (( Annali di Matematica », dicendogli che aveva una buona tesi di uno dei suoi allievi, che questa tesi studiava i fondamenti del Calcolo, che tali fondamenti erano studiati prin­cipalmente in Italia, e che perciò sarebbe stato meglio che la tesi fosse pubblicata negli <x Annali ». Io venni a conoscenza eli questa lettera, e subito pensai che PICARD non apprezzasse molto questo genere di ricerche. Neppure il DINI era convinto del­l'importanza della tesi di LEBESGUE ; ma, per aderire al desi­derio di PICARD, pubblicò il lavoro negli « Annali ». In tal modo il primo lavoro sul nuovo Calcolo fu pubblicato in un perio­dico italiano, il cui direttore non credeva i nuovi metodi molto importanti per lo sviluppo della scienza.

Per la storia, devo aggiungere che il P I N I mutò d'opinione nei suoi ultimi anni. Questo cambiamento si deve alla defini­zione degli integrali di LEBESGUE data da PERRON, definizione molto importante perche non esige la nozione, nuova, della mi­sura di un insieme, ma si fonda soltanto sulle definizioni più classiche. Per comprendere la forma mentis di quei tempi ormai lontani permettetemi di aggiungere che quando dissi ad un altro grande matematico italiano, il BIANCHI, che l'insieme dei numeri razionali ha misura nulla, egli mi rispose canzonandomi e di­cendo che studiavo solo i paradossi dell'infinito.

Beninteso, nei miei studi non ero un rivoluzionario, e per­ciò, almeno in principio, mi accontentai degli integrali di RIE­

MANN cercando di profittare delle proprietà di questi integrali. In tale campo di studi trovai un lavoro molto importante pub­blicato nel 1S98 da PRINGSHEIM nei « Munchener Berichte , nel quale lavoro PRINGSHEIM enuncia due teoremi.

Il primo è : « se a^lv è una funzione di due variabili /x, v, che possono essere interi, e se esiste

lini a/tv ,

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questo limite è uguale a

lim 11 = 00

lim altv i > = oo

= lim ,u = oo

lim a (IV

1 > = 00

dove lini e lini indicano il massimo limite e il minimo limite ». Veniamo ora al secondo teorema di PIUXGSHKIM. Sia f{x,y)

una funzione di ,/', y integrabile secondo KIKMANN in una re­gione R ; possiamo supporre senza scapito di generalità che R sia un rettangolo limitato da rette jj = cost. e v/ = cost.

Dividiamo R in retta Ugolini mediante parallele agli assi;

a

a

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Au1 X {

Ay, , —Ax-̂ l

<z -t £

siano A,r-, Ay le lunghezze dei lati di uno di questi rettangolini, che chiamiamo g; e sia l il segmento di una retta ;// = cost. ap­partenente al rettangolo o. Siano n, N i limiti inferiore e supe­riore di f(.r_, y) su À, ed m, M gli analoghi limiti in R. Si ha

m<n<N<M.

Scrivendo queste disuguaglianze per tutt i i rettangolini par­ziali contenuti fra due parallele y = cosi., si deduce che

ZmAx<_ZnAx^ZNAx^ZMAx .

K noto che

EnAx<_j f(x,y)dx , ZNAx<^jf(x,y)dx,

dove f é / indicano gli integrali inferiore e superiore di DAR-

KOTJX ; cosicché si ottiene

ZZmAxAy ±ZAy j f(x, y)dx <_EAy [ f(x, y) dx^EEMAxAy .

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Ma i limiti del primo e dell'ultimo membro sono uguali a

/ / (®, y) do,

e quindi questo integrale è anche eguale ai limiti del secondo e del terzo membro :

/ dy | / (%, y) dx = / dy ff (x, y) dx .

Questo ò il risultato di PRINGSHEIM. Se ne deduce che

j f(x, y)dx — fj(x, y)dx =cp(y)

è una funzione di y che soddisfa alla disuguaglianza

<p(y)>.o e all'equazione

/ <P (y) dy = 0

dove l'integrale è preso nel senso di RIEMANN. Quindi la misura di JORDAN dell'insieme dei punti y nei quali

<p(y)=Jf(x, y)dx-Jf(x, y)dx<0 ,

è nulla. Perciò si tratta di un insieme che può essere trascurato nel calcolo di un integrale di RIEMANN.

Dal risultato di PRINGSHBIM si ottiene così : (( se esistono entrambi gli integrali f f(x, y)dx , f f(x, y)do 7

è lecito scrivere la | A | per gli integrali di RIEMANN ». Nella sua tesi LEBESGUE ha esteso il teorema di PRINGSHEIM

ai suoi integrali. Egli incomincia studiando la funzione f(x^y) = l ; e, partendo dal caso in cui R è un rettangolo limi­tato da rette .z' = cost., ?/ = cost., giunge al caso in cui è misu­rabile secondo BOREL (limite di un insieme costituito da una successione di rettangoli). Perciò nella sua dimostrazione LE­BESGTJE deve servirsi di teoremi sul limite di un integrale. Dopo di ciò egli giunge agli insiemi più generali mediante la consi­derazione che ogni insieme misurabile E è contenuto in un in­sieme Ei e contiene un insieme E2, entrambi misurabili secondo

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BOREL, le cui misure sono eguali alla misura di E :

ExoEo E3 ;

•mB{E1) = mL {E) = m,B(E2).

Dopo la funzione / = 1 che in R prende un solo valore, LE-BESGUE studia le funzioni /(#, y) che prendono in II soltanto un numero finito di valori ; e per poter giungere alle più generali funzioni misurabili f(x, y) osserva che, scelto arbitrariamente un numero e > 0, si possono trovare due funzioni <pv e q>2, ciascuna delle quali prende soltanto un numero finito di valori, tali che

vii®, y) > /(«> y) > <Pi(®,y) ; < P I - < P 2< £ -

Per le funzioni che non sono limitate LEBESGTJE non dice quasi nulla.

Cominciamo con le funzioni limitate. Osservai che la mag­gior difficoltà dipèndeva dal seguente fatto. Se f(x, y) è misura­bile nel piano, le funzioni di una sola variabile che se ne dedu­cono supponendo costante la x oppure la y posson essere fun­zioni non misurabili ; se dunque esiste l'integrale (f{x, y)do, non se ne può dedurre l'esistenza di [/(./', y)dx. Osservai anche che quando le funzioni dedotte supponendo costanti la x o la y sono misurabili, i metodi indicati conducevano senza difficoltà all'equazione [A], almeno per funzioni limitate : infatti in que­sto caso l'integrale

ff(x,y)dx esiste, e quindi

/ fdx = / fdx — f fdx.

fi inutile parlare di integrale superiore o inferiore ; si può parlare dell'integrale senza nessun aggettivo. Quando invece f(x, y) non ha la proprietà di cui sopra, si può trovare una fun­zione cp{y, x) con le seguenti proprietà :

essa e misurabile anche se si fa # = cost. o ?/ = cost. ; essa è uguale a f(x,.y) quasi dappertutto : l'insieme dei

punti nei quali f^cp ha misura di LEBESGTJE nulla, ed è per­tanto un insieme che si può trascurare nel calcolo di un inte­grale di LEBESGTJE. Per questa via giunsi alla [A] per funzioni limitate.

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Nel caso in cui f{x, y) non è limitata costruii la funzione 0N (x, y) definita da

®N(®, y) = f(®, y) se | / | < ^ r , ®N(X, 2/) = 0 se | / | > N.

Scritta la [A] per la funzione $JV? studiai i l'imiti per N = oc. In questo modo potei provare la [A] nel caso più generale.

Dopo molti anni mi occupai anche del teorema inverso : se. esiste

[1] fdyff(x, y)dx,

posso essere sicuro che esista anche \f(x, y)do, e che i due inte­grali siano tra loro eguali? Trovai senza difficoltà che questo teorema non è vero. Se esiste

/ /(#, y)do,

necessariamente esistè anche l'integrale

/I/O», V)\àa ed è eguale a

[2] ldy{\f(oc, y)\dx.

Però trovai delle funzioni f{x, y) per le quali esiste l'integrale [1], ma non esiste l'integrale [2]. Perciò il solo teorema che si può enunciare è il seguente. Se e solo se esiste l'integrale [21, si può essere sicuri che (f(x,y)do esiste ed è uguale a [1].

Questo secondo teorema fu anche dimostrato dal TONELLI,

in un lavoro che io non conoscevo. Forse questi teoremi sono stati estesi agli integrali di

DENJOY ; ma non ricordo di aver visto nessun lavoro su questa questione che mi sembra molto interessante.

Vi sono anche altre dimostrazioni della nostra [A], e pas­serò ora a dire qualche parola su quelle più note.

Una è stata data da DE LA VALLEE POUSSIN, ma non mi sembra molto semplice. Voi ricordate che per generalizzare il risultato di PRINGSHEIM, LEBESGUE si serviva degli insiemi mi­surabili secondo BOREL. Nella sua dimostrazione D E LA VALLEE

POUSSIN usa sempre funzioni di BOREL. Dalle funzioni continue

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egli giunge alle funzioni di BAIRE, e prova che, se il teorema è vero per la funzioni fa di classe a <j N, è anche vero per ogni funzione che sia limite di una successione di funzioni fa, e quindi anche per le funzioni di classe -N. Per questa dimo­strazione è necessario non solo applicare il teorema sul limite di un integrale, ma anche conoscere la teoria delle funzioni di BAIRE e delle loro classi e quella dei numeri trasfiniti. Ter una funzione misurabile secondo LEBESGUE si debbono poi utilizzare i teoremi sull'approssimazione di una funzione di LERESGUE per mezzo di funzioni di BAIRE.

La dimostrazione di OARATHÉODORY parte da un teorema sulla misura di un insieme di punti in uno spazio a più dimensioni. Se ci limitiamo al caso del piano, questo teorema e solo un caso particolare del teorema [A], quello che si ottiene ponendo / = 1; esso dice che la misura di un insieme piano R è eguale al valore dell'integrale doppio f dy Ulx\ o meglio che, se M(y) e m{y) sono le misure, superiore e inferiore, cieli'insieme- ottenuto come intersezione di R con una retta g/ = cost., e se fi(R) è la misura di R, si ha

JM(y)dy=fj,(B)=fm(y)dy.

Questa equazione è proprio la nostra [A] nel caso in cui la funzione data f(x,y) è eguale ad 1.

Vedete dunque che il punto di partenza è lo stesso per LE­BESGUE e per OARATHÉODORY, anche se le dimostrazioni di questo primo teorema siano in apparenza diverse. Entrambe le dimo­strazioni si fondano sul fatto già ricordato che un insieme E misurabile contiene un insieme E1 eri è contenuto in un insieme U2, entrambi misurabili secondo BOREL, tali che le misure di E, EXì E2 sono eguali.

OARATHÉODORY giunge così al teorema [A] attraverso vari passi ; la sua dimostrazione non è più breve di quella di cui ho dato un'idea, ma è anche molto elementare.

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NOTE

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