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Il Sole 24 Ore Domenica 23 Settembre 2018 37 Tempo liberato A ME MI PIACE CHE NOIA IL MENU IN STILE BIRIGNAO SCARPE STRETTE ARTEMISIA CENSURATA TUTTA DA GODERE s Prima che finisca il mese e prima che se ne accorga l’algo- ritmo, andate a Conversano e godete della mostra Artemisia e i pittori del conte. Avrete modo di contemplare la collezione di Giangirolamo II Acquaviva d’Aragona presso il Castello e la Chiesa di San Giuseppe e così notificare un dispetto all’inqui- sizione. L’ideologicamente cor- retto, con Facebook di Mark Zuckerberg, ha nientemeno bloccato la locandina per sessi- smo: l’immagine di un uomo adulto, barbuto e ammanettato, che sugge il latte dal seno di una giovane donna. È Artemisia Gentileschi, tra i sommi maestri della pittura, a essere sottoposta a censura. Ri- prende l’apologo di pietas nar- rato da Tito Livio, quello di Pero – la ragazza del quadro – che nottetempo entra in carcere per allattare il padre, Cimone, con- dannato a morire di fame. La tela, infatti, è Caritas ro- mana.Un pezzo raro, per la pri- ma volta visibile al pubblico, ma la gendarmeria dell’ottusa fab- brica dei tabù ne ha eliminato la pagina online con questo argo- mento: «Un’immagine che mo- stra eccessivamente il corpo e presenta contenuti allusivi». Andate, dunque, a Conversano. Godetevi la mostra. Darete un dispiacere ai Padri Pellegrini americani, è vero, ma sarà tutta soddisfazione per Tito Livio. @PButtafuoco © RIPRODUZIONE RISERVATA Mirabilia Burton, giramondo di classe e senza fine O ttomila conferenze, anzi, meglio «Travelogues», viaggi e dialoghi in una pa- rola sola. Tra il 1892 e il 1952 l’americano Burton Holmes (1870-1958), borghesia di Chicago, fi- sico asciutto, barbetta curatissima, aplomb vecchio stile e slancio verso il nuovo tipicamente yankee – scono- sciuto da noi, un tempo popolarissi- mo negli Stati Uniti –, per ben 60 anni (!), e fin da giovanissimo, aveva in- ventato queste singolari performan- ce, racconti di viaggio con immagini (poi divenne, appunto, un cineasta- documentarista, con tanto di stella nella Hollywood Hall of Fame) , a me- tà strada tra l’antropologia e la storia culturale, nelle quali faceva, letteral- mente, sognare e andare da una parte all’altra del globo i suoi ascoltatori. Lui, infaticabile viaggiatore, uno dei pochi a quell’epoca ad aver visitato tutti gli angoli del mondo (con le fide macchine fotografiche), aveva la rara capacità di raccontare Paesi e persone di posti lontani e, improvvisamente, farli sentire più veri del vero, più belli del reale: riempiva regolarmente la Carnegie Hall a New York e c’erano dei milionari, che potevano tranquil- lamente andare in viaggio come lui – ma con molte più comodità – che pre- ferivano tuttavia anziché viaggiare direttamente, farlo con il “suo” rac- conto di viaggio. Era, insomma, una star. In un’epoca nella quale le imma- gini erano merce rara e talvolta altret- tanto esotica del loro soggetto, la sue conferenze e le sue foto erano prezio- sissime. E perciò la riedizione, in una collana economica, la Bibliotheca Universalis di Taschen (pagg. 640, € 15,00), dei suoi Travelogues non può che essere un piccolo evento. Ecco Pechino, Delhi, Dubrovnik, Mosca, Manila, Giacarta, Gerusa- lemme: Burton Holmes c’era stato e, in oltre 30.000 fotografie aveva ri- preso la vita del suo tempo. A riguar- dare ora questa minima selezione, sono un eccezionale, e poetico, docu- mento del mondo di un secolo fa: e il fatto che le foto venissero poi “colo- rizzate” a mano, fa sì che l’avventura che ci regalano quegli archivi sia an- che un viaggio non solo nello spazio e nel tempo, “istantanea” dal passato dai sapori contemporanei. Per restare all’Italia, c’è l’acqua alta in Piazza san Marco, come sempre, e l’acqua sporca alla fonda delle gondole di fronte al- l’hotel Cavalletto, come sempre; c’è l’eruzione del Vesuvio (aprile 1906), Piazza san Pietro del 1924; c’è una piazza Duomo a Firenze incredibil- mente sgombra di turisti, come oggi mai; c’è l’operosa Milano, con i suoi tram in Piazza Duomo, già pubbliciz- zati da Gancia. Ma non è l’Italia, va detto, a lasciarci d’incanto. Forse le pagine (e le foto) più belle sono quelle nelle quali maggiormente il gusto dello strano si affaccia a scardinare le nostre abitudini: l’Egitto di Abu Sim- bel e delle bellezze etniche, un tra- monto infuocato sulla piramide di Gi- za, lo splendore imperiale di Addis Abeba, una incredibile processione alle tombe ancestrali vicino a Seul (1903), le acque calde di una sauna di Hokkaido (1908), una folla straripan- te al torneo di sumo a Kioto nel 1908 e via elencando. Phileas Fogg, il pro- tagonista del Giro del mondo in 80 giorni di Verne fu creato nel 1873; la sua reincarnazione perfetta era Bur- ton Holmes. Come Fogg, Holmes ave- va viaggiato per tutti noi. Il paradosso non è che i suoi viaggi fossero nello spazio: erano viaggi nel tempo. Ma nel futuro, il nostro tempo. © RIPRODUZIONE RISERVATA Marketing e scaltrezza Una pubblicità dei «Travelogues» di Holmes a Londra Giorgio Manganelli. Il resoconto inedito di un viaggio di due mesi attraverso l’Africa inizia dalla narrazione del rientro: lo sguardo dell’autore sull’Europa è mutato per sempre Il ritorno impossibile L’ effetto che un viag- gio in Africa produce su un europeo lo si capisce solo quando si cerca di ritornare. E così Giorgio Man- ganelli, per raccontare i due mesi in cui si spostò dalla Tanzania al- l’Egitto, sulla rotta Il Cairo-Dar El Salaam di un’ipotetica strada «Transafricana1», ha la bella idea di partire dalla fine, dalle rifles- sioni che gli suscita il Vecchio continente. Scrive nell’incipit di un finora inedito reportage del 1970: «L’europeo che dopo un viaggio africano – non, o non solo la policroma e affollata Africa me- diterranea, ma le terre più aspre e solitarie dell’Africa oltre il Sahara -, ritorni ad osservare e a meditare le immagini della sua terra di ori- gine, si accorgerà di interpretarle in modo profondamente mutato. Ha lasciato un continente, e ritro- va una sterminata città di dimen- sioni continentali, divisa in quar- tieri di nazioni, appena consolata dagli esigui e condizionati “spazi verdi” che già considerava “cam- pagna”; una città stordita dai pro- pri frastuoni, asfissiata dalle deie- zioni industriali, percorsa da mezzi sempre più impaludati in una trama anelastica». «La parola “deserto” è squisi- tamente mediterranea. Essa defi- nisce una zona in cui, non essen- dovi l’uomo, non c’è altro di cui metta conto di parlare» osserva poi, mentre ormai ovunque vede «case gomito a gomito, il traffico, la campagna capillarmente con- trollata dalle strade». E la coerci- zione dallo spazio passa al tempo («è scomparso il ciclo eterno del tempo, e ne ha preso il posto la vessatoria regolamentazione de- gli orari»), per arrivare alle men- ti, costrette a un’«obbedienza sempre più minuta» dal saper leggere e dalla città, luogo «astratto e nevrotico, pronto a espellere tutto quanto è estraneo al suo sistema» che ormai «può proteggersi solo grazie a una continua rielaborazione dei dati della propria artificialità». Cosa sia l’Africa comincia a emergere della parole di Manga- nelli per contrasto, e sono queste prime pagine che parlano del- l’Europa le più efficaci ed argute del breve racconto di viaggio («un viaggio veloce tra oggetti infinitamente lenti») per altri versi datato. Il «continente di tenebre com- patte» che di notte si sorvola per ore, la «terra senza strade», «pel- le infinitamente rugosa, senile, impervia», il «pachiderma pla- netario abitato da insetti legge- rissimi e provvisori» resta impe- netrabile per l’autore, che osser- va come lo sia anche per i suoi stessi abitanti: «per l’africano non è ancora cominciata l’era dei grandi viaggi, i soli che possano generare il paesaggio». Amante del paradosso amaro, arriva ad osservare che l’uomo non è più libero neppure qui: «Catturato nel suo spazio vasto ma intransi- tabile, irretito da una splendida e angosciosa trama di animali, insetti, alberi, argilla e rupi, l’africano è prigioniero dei suoi luoghi senza confini». Manganelli che, come osserva Viola Papetti nell’ironica e affet- tuosa postfazione, era stato fino a quel momento «uno scrittore sempre in poltrona, o sdraiato a letto dove passava i pomeriggi con la matita in mano a leggere il libro preferito, trapassò di col- po a scrittore in cammino per il mondo» a causa di Carlo Castal- di, dirigente «fantasioso e muni- fico» di Bonifica, una multina- zionale che aveva progettato di tracciare una strada che attra- versasse l’Africa Orientale dal Cairo a Dar El Salaam. Lo arruolò insieme a un gruppo di esperti che dovevano studiarne la rea- lizzazione, perché potesse esse- re il cantore dell’impresa. Tre mesi stipendiati: due per il viag- gio uno per scrivere. Ma Manga- nelli cantò ben poco, scrisse in- vece che «un’Africa immersa in un’allusione cannibalesca ci consente una agevole superiori- tà etica ed un brivido di rassicu- rata lontananza», e che «insieme ai nuovi vestiti e ai nuovi cibi l’africano impara inedite spe- ranze e disperazioni». Eppure, nonostante queste acute intuizioni, nonostante fos- se consapevole del pregiudizio esotista e riflettesse sul fatto che l’«europeo vede nell’Africa una dimensione che gli è storicamen- te negata», pur sapendo che si tratta di «un’immagine illusoria, un’invenzione della sua coscien- za irrequieta», un «sorprendente catalogo di simboli, qualcosa che serve a chiarire il malessere euro- peo» non riesce tuttavia ad anda- re oltre. A vedere gli uomini nei «negri»; la cultura, anche se non è scritta; la ricchezza, anche se non è tangibile. © RIPRODUZIONE RISERVATA VIAGGIO IN AFRICA Giorgio Manganelli a cura di Viola Papetti, Adelphi, Milano, pagg. 78, € 7 Sul fiume Un’immagine di «Teza» (rugiada), l’intenso film del regista etiope Haile Gerima, premiato alla Mostra del cinema di Venezia 2008 con il Leone d’argento Cape Cod La casa della perfetta solitudine Beston, che è vissuto dal 1888 al 1968, arrivò per la prima volta sulla spiaggia di Eastham che aveva tren- tasei anni. Aveva combattuto nel primo conflitto mondiale, aveva in- segnato, aveva scritto quattro libri, ben accolti, ma che non avevano fatto esplodere il suo successo e so- prattutto non aveva dato una dire- zione definitiva né alla sua scrittu- ra, né alla sua opera. Forse si muo- veva ancora in un limbo incerto in cui attendeva una definizione per- sino come uomo. Subito, è il 1925, acquista una ventina di ettari e commissiona la costruzione di una casa in legno. Due stanzette dal profilo di una bar- ca. Un luogo dove trascorrere solo qualche settimana all’anno (esiste un desiderio più comune?). Come fa infatti nel settembre successivo: si ferma due settimane e scrive. Scrive di quel che vede e non solo. Non ha in effetti le idee molto chiare, guar- da più lontano di lui la sua fidanzata che, quando se lo vede ritornare con tutti quegli appunti che però non fanno un libro, chiude ogni discor- so: niente libro, niente matrimonio. A quel punto Beston scrive il libro e pochi mesi dopo la pubblicazione si sposa. Quel luogo ridetermina il destino. Le due settimane da tra- scorrere a Cape Cod diventano me- si. Ha trovato il posto perfetto: «Il mondo oggi è malato e infiacchito, scollegato dagli elementi primari, dal fuoco che scalda le mani, l’acqua che sale da un pozzo scavato nella terra, l’aria, la stessa cara terra sotto ai piedi…». Qui infatti: «Il braccio che si allunga da est a ovest della pe- nisola è una parte dell’antica piana sepolta, l’abbraccia un frammento di costa sopravvissuto alle glacia- zione. La penisola si protende sul mare più di qualsiasi altra porzione di costa atlantica degli Stati Uniti; è il lembo più estremo delle coste più remote. Qui l’Oceano si schianta mugghiando contro la falesia, in- contrando l’ultima fiera roccaforte fra due morti». E «dove finisce la fa- lesia cominciano le dune». La percezione del tempo diventa lenta, si libera dal frastuono cittadi- no e permette l’identificazione con la natura. Attraverso la vista ad esempio: «I mari sono il sangue del- la terra e le maree, comandate da sole e luna, sono sistole e diastole del ciclo cardiaco del pianeta. Il rit- mo delle onde batte nel mare come il sangue pulsa nelle vene. È energia allo stato puro e si incarna conti- nuamente in una successione di forme d’acqua che svaniscono a ogni passaggio». Attraverso il tatto: «La sabbia qui ha una vita tutta sua, pur ser presa a prestito dal vento. In un limpido pomeriggio estivo, quando da po- nente soffiavano forti raffiche, ho visto un diabolo di sabbia, una pic- cola tromba d’aria altra due metri, sbucare dalle dune a tutta velocità, turbinante sulla spiaggia e vorticare via verso le onde. ..». Attraverso l’udito: «Il rumore del mare fra que- ste dune autunnali non smette mai: è attacco incessante, infinito so- praggiungere e raccogliersi, giun- gere a compimento e dissolversi, infinita fecondità e infinita morte». La solitudine di cui parla Beston diventa auspicio: «…Vado dritto verso di loro (gli uccelli, ndr): in- quietudine generale, un’adunata, rapido zampettare, fuga. Lì sulla spiaggia, circondato da orme di artigli, osservo lo spettacolo in- cantevole del gruppo che all’istan- te si è trasformato in una costella- zione di uccelli…; osservo la spira- le del volo, l’inclinarsi momenta- neo delle pance bianche, poi delle schiene grigie…». © RIPRODUZIONE RISERVATA LA CASA ESTREMA Henry Beston Ponte alle Grazie, Milano pagg. 189, € 16 Capanno La casa di Henry Beston sulla spiaggia di Estham Lara Ricci Davide Paolini Stefano Salis Pietrangelo Buttafuoco Serena Uccello L e immagini in bianco e nero li ritraggono in più pose. Il patriarca, Joseph P., e lei, Ro- se. Il vecchio osserva in parti- colare i due figli maschi, belli, ab- bronzati, sorridenti: John e Robert, sono l’America, il futuro dell’Ameri- ca. E Cape Cod nel Massachusetts è il loro rifugio, sullo sfondo la casa, immensa, sobria e perfetta. In lon- tananza il mare. Il mare che dona, il mare che prende: nel 1999 il corpo dell’erede, il giovane John Jr, della moglie moglie Carolyn e la cognata Lauren, precipitati con il loro aereo. Dopo tanti lutti, l’ennesimo. Qui su questa terra sabbiosa pure i lutti si sono fatti riservati, attutiti dal ru- more delle onde. È questa la terra che custodisce i Kennedy, ma all’inizio del secolo scorso quelle dune e quelle onde so- no state il punto di osservazione da cui lo scrittore e naturalista Henry Beston scelse di fissare la natura e, attraverso di essa, di indagare se stesso e gli uomini. Ed allora chiun- que voglia mettersi nei panni del- l’eremita felice indossi pure quelli di Beston grazie alle pagine della sua Casa Estrema, in Italia di nuovo in libreria per Ponte alle Grazie. Perché come lo stesso Beston scris- se, qui «l’Oceano…incontra l’ultima fiera roccaforte fra due mondi». AFP s Parole, parole, soltanto parole, è la splendida canzone di Mina in duetto con Alberto Lupo che mi torna in mente ogni volta (o quasi) che apro il menu di un ri- storante. Sono un minimalista e aborro la lista delle “vivande “in stile birignao o l’intervento del maître o cameriere che si com- porta come a una messa la notte di Natale quasi a voler significa- re: «Caro cliente sei in un tem- pio, ricordalo». Di solito questa sicumera è una perdita di tempo che allunga i tempi di una fastidiosa attesa, soprattutto quando il maestro di cerimonia si sforza di spiegare, fino all’ultimo dettaglio, magari anche piatti che non necessitano del fiocchetto… come spaghetti al pomodoro. E qui mi viene in mente, mentre ascolto, lo stra- ordinario film (Ricomincio da tre) di Massimo Troisi mentre discute come chiamare il figlio, candidato al nome di Massimi- liano, mentre l’attore napoleta- no propone Ugo asserendo che in caso di pericolo è molto più rapido, immediato e può diven- tare un salvagente. È lapalissia- no che le lunghe descrizioni scritte e recitate sono perché lo chef ha il sospetto di non riuscire con il solo assaggio di far capire al cliente cosa abbia proposto. È altresi vero che oggi con lo tsunami delle intolleranze e di allergie si chiede una chiarezza degli ingredienti, ma tra que- stionari alla prenotazione e in- terrogazioni al tavolo, forse si potrebbe fare a meno di un ri- passo collettivo. Sine qua non © RIPRODUZIONE RISERVATA AL MUDEC LE NUOVE FRONTIERE DELLA ESPLORAZIONE A Milano Si inaugura il 28 settembre al Mudec la mostra «Capitani coraggiosi. L’avventura umana della scoperta (1906 - 1990)». La mostra fa parte del progetto «Geografie del Futuro» che si snoda attraverso tre rassegne che termineranno il 14 aprile 2019. L’obiettivo del Mudec è raccontare una nuova idea di geografia, forse la più attuale e labile delle discipline, in un mondo che riduce sempre più gli spazi grazie alla tecnologia, e dove i luoghi e i non-luoghi da esplorare diventano sempre più complessi

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Il Sole 24 Ore Domenica 23 Settembre 2018 37

Tempo liberato

A ME MI PIACE

CHE NOIAIL MENUIN STILE BIRIGNAO

SCARPE STRETTE

ARTEMISIACENSURATATUTTADA GODERE

s Prima che finisca il mese e prima che se ne accorga l’algo-ritmo, andate a Conversano e godete della mostra Artemisia ei pittori del conte. Avrete modo di contemplare la collezione diGiangirolamo II Acquaviva d’Aragona presso il Castello e laChiesa di San Giuseppe e così notificare un dispetto all’inqui-sizione. L’ideologicamente cor-retto, con Facebook di Mark Zuckerberg, ha nientemeno bloccato la locandina per sessi-smo: l’immagine di un uomo adulto, barbuto e ammanettato,che sugge il latte dal seno di unagiovane donna.

È Artemisia Gentileschi, tra isommi maestri della pittura, a essere sottoposta a censura. Ri-prende l’apologo di pietas nar-rato da Tito Livio, quello di Pero– la ragazza del quadro – che nottetempo entra in carcere perallattare il padre, Cimone, con-dannato a morire di fame.

La tela, infatti, è Caritas ro-mana.Un pezzo raro, per la pri-ma volta visibile al pubblico, mala gendarmeria dell’ottusa fab-brica dei tabù ne ha eliminato lapagina online con questo argo-mento: «Un’immagine che mo-stra eccessivamente il corpo e presenta contenuti allusivi». Andate, dunque, a Conversano.Godetevi la mostra. Darete un dispiacere ai Padri Pellegrini americani, è vero, ma sarà tuttasoddisfazione per Tito Livio.

@PButtafuoco© RIPRODUZIONE RISERVATA

Mirabilia

Burton,giramondodi classee senza fine

Ottomila conferenze, anzi,meglio «Travelogues»,viaggi e dialoghi in una pa-rola sola. Tra il 1892 e il

1952 l’americano Burton Holmes(1870-1958), borghesia di Chicago, fi-sico asciutto, barbetta curatissima, aplomb vecchio stile e slancio verso ilnuovo tipicamente yankee – scono-sciuto da noi, un tempo popolarissi-mo negli Stati Uniti –, per ben 60 anni(!), e fin da giovanissimo, aveva in-ventato queste singolari performan-ce, racconti di viaggio con immagini(poi divenne, appunto, un cineasta-documentarista, con tanto di stella nella Hollywood Hall of Fame) , a me-tà strada tra l’antropologia e la storiaculturale, nelle quali faceva, letteral-mente, sognare e andare da una parteall’altra del globo i suoi ascoltatori.Lui, infaticabile viaggiatore, uno deipochi a quell’epoca ad aver visitatotutti gli angoli del mondo (con le fidemacchine fotografiche), aveva la raracapacità di raccontare Paesi e personedi posti lontani e, improvvisamente,farli sentire più veri del vero, più bellidel reale: riempiva regolarmente laCarnegie Hall a New York e c’eranodei milionari, che potevano tranquil-lamente andare in viaggio come lui –ma con molte più comodità – che pre-ferivano tuttavia anziché viaggiaredirettamente, farlo con il “suo” rac-conto di viaggio. Era, insomma, unastar. In un’epoca nella quale le imma-gini erano merce rara e talvolta altret-tanto esotica del loro soggetto, la sueconferenze e le sue foto erano prezio-sissime. E perciò la riedizione, in unacollana economica, la BibliothecaUniversalis di Taschen (pagg. 640, €15,00), dei suoi Travelogues non puòche essere un piccolo evento.

Ecco Pechino, Delhi, Dubrovnik,Mosca, Manila, Giacarta, Gerusa-lemme: Burton Holmes c’era stato e,in oltre 30.000 fotografie aveva ri-preso la vita del suo tempo. A riguar-dare ora questa minima selezione,sono un eccezionale, e poetico, docu-mento del mondo di un secolo fa: e ilfatto che le foto venissero poi “colo-rizzate” a mano, fa sì che l’avventurache ci regalano quegli archivi sia an-che un viaggio non solo nello spazioe nel tempo, “istantanea” dal passatodai sapori contemporanei. Per restareall’Italia, c’è l’acqua alta in Piazza sanMarco, come sempre, e l’acqua sporcaalla fonda delle gondole di fronte al-l’hotel Cavalletto, come sempre; c’èl’eruzione del Vesuvio (aprile 1906),Piazza san Pietro del 1924; c’è unapiazza Duomo a Firenze incredibil-mente sgombra di turisti, come oggimai; c’è l’operosa Milano, con i suoitram in Piazza Duomo, già pubbliciz-zati da Gancia. Ma non è l’Italia, vadetto, a lasciarci d’incanto. Forse lepagine (e le foto) più belle sono quellenelle quali maggiormente il gustodello strano si affaccia a scardinare lenostre abitudini: l’Egitto di Abu Sim-bel e delle bellezze etniche, un tra-monto infuocato sulla piramide di Gi-za, lo splendore imperiale di Addis Abeba, una incredibile processionealle tombe ancestrali vicino a Seul(1903), le acque calde di una sauna diHokkaido (1908), una folla straripan-te al torneo di sumo a Kioto nel 1908e via elencando. Phileas Fogg, il pro-tagonista del Giro del mondo in 80giorni di Verne fu creato nel 1873; lasua reincarnazione perfetta era Bur-ton Holmes. Come Fogg, Holmes ave-va viaggiato per tutti noi. Il paradossonon è che i suoi viaggi fossero nellospazio: erano viaggi nel tempo. Manel futuro, il nostro tempo.

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Marketing e scaltrezza Una pubblicitàdei «Travelogues» di Holmes a Londra

Giorgio Manganelli. Il resoconto inedito di un viaggio di due mesi attraverso l’Africa inizia dalla narrazione del rientro: lo sguardo dell’autore sull’Europa è mutato per sempre

Il ritorno impossibile

L’effetto che un viag-gio in Africa producesu un europeo lo sicapisce solo quandosi cerca di ritornare.E così Giorgio Man-

ganelli, per raccontare i due mesiin cui si spostò dalla Tanzania al-l’Egitto, sulla rotta Il Cairo-Dar ElSalaam di un’ipotetica strada«Transafricana1», ha la bella ideadi partire dalla fine, dalle rifles-sioni che gli suscita il Vecchiocontinente. Scrive nell’incipit diun finora inedito reportage del1970: «L’europeo che dopo unviaggio africano – non, o non solola policroma e affollata Africa me-diterranea, ma le terre più aspre esolitarie dell’Africa oltre il Sahara-, ritorni ad osservare e a meditarele immagini della sua terra di ori-gine, si accorgerà di interpretarlein modo profondamente mutato.Ha lasciato un continente, e ritro-va una sterminata città di dimen-sioni continentali, divisa in quar-tieri di nazioni, appena consolatadagli esigui e condizionati “spaziverdi” che già considerava “cam-pagna”; una città stordita dai pro-pri frastuoni, asfissiata dalle deie-zioni industriali, percorsa damezzi sempre più impaludati inuna trama anelastica».

«La parola “deserto” è squisi-tamente mediterranea. Essa defi-nisce una zona in cui, non essen-dovi l’uomo, non c’è altro di cuimetta conto di parlare» osservapoi, mentre ormai ovunque vede«case gomito a gomito, il traffico,la campagna capillarmente con-trollata dalle strade». E la coerci-zione dallo spazio passa al tempo(«è scomparso il ciclo eterno deltempo, e ne ha preso il posto lavessatoria regolamentazione de-gli orari»), per arrivare alle men-ti, costrette a un’«obbedienzasempre più minuta» dal saperleggere e dalla città, luogo«astratto e nevrotico, pronto aespellere tutto quanto è estraneoal suo sistema» che ormai «puòproteggersi solo grazie a unacontinua rielaborazione dei datidella propria artificialità».

Cosa sia l’Africa comincia aemergere della parole di Manga-nelli per contrasto, e sono questeprime pagine che parlano del-l’Europa le più efficaci ed argute

del breve racconto di viaggio(«un viaggio veloce tra oggettiinfinitamente lenti») per altriversi datato.

Il «continente di tenebre com-patte» che di notte si sorvola perore, la «terra senza strade», «pel-le infinitamente rugosa, senile,impervia», il «pachiderma pla-netario abitato da insetti legge-rissimi e provvisori» resta impe-netrabile per l’autore, che osser-va come lo sia anche per i suoistessi abitanti: «per l’africanonon è ancora cominciata l’era deigrandi viaggi, i soli che possanogenerare il paesaggio». Amantedel paradosso amaro, arriva adosservare che l’uomo non è piùlibero neppure qui: «Catturatonel suo spazio vasto ma intransi-tabile, irretito da una splendidae angosciosa trama di animali,insetti, alberi, argilla e rupi,l’africano è prigioniero dei suoiluoghi senza confini».

Manganelli che, come osserva

Viola Papetti nell’ironica e affet-tuosa postfazione, era stato finoa quel momento «uno scrittoresempre in poltrona, o sdraiato aletto dove passava i pomeriggicon la matita in mano a leggereil libro preferito, trapassò di col-po a scrittore in cammino per ilmondo» a causa di Carlo Castal-di, dirigente «fantasioso e muni-fico» di Bonifica, una multina-zionale che aveva progettato ditracciare una strada che attra-versasse l’Africa Orientale dalCairo a Dar El Salaam. Lo arruolòinsieme a un gruppo di espertiche dovevano studiarne la rea-lizzazione, perché potesse esse-re il cantore dell’impresa. Tremesi stipendiati: due per il viag-gio uno per scrivere. Ma Manga-nelli cantò ben poco, scrisse in-vece che «un’Africa immersa inun’allusione cannibalesca ciconsente una agevole superiori-tà etica ed un brivido di rassicu-rata lontananza», e che «insieme

ai nuovi vestiti e ai nuovi cibil’africano impara inedite spe-ranze e disperazioni».

Eppure, nonostante questeacute intuizioni, nonostante fos-se consapevole del pregiudizioesotista e riflettesse sul fatto chel’«europeo vede nell’Africa unadimensione che gli è storicamen-te negata», pur sapendo che sitratta di «un’immagine illusoria,un’invenzione della sua coscien-za irrequieta», un «sorprendentecatalogo di simboli, qualcosa cheserve a chiarire il malessere euro-peo» non riesce tuttavia ad anda-re oltre. A vedere gli uomini nei«negri»; la cultura, anche se nonè scritta; la ricchezza, anche senon è tangibile.

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VIAGGIO IN AFRICAGiorgio Manganellia cura di Viola Papetti,Adelphi, Milano, pagg. 78, € 7

Sul fiume Un’immagine di «Teza» (rugiada), l’intenso film del regista etiope Haile Gerima, premiato alla Mostra del cinema di Venezia 2008 con il Leone d’argento

Cape Cod

La casa della perfetta solitudine

Beston, che è vissuto dal 1888 al1968, arrivò per la prima volta sullaspiaggia di Eastham che aveva tren-tasei anni. Aveva combattuto nel primo conflitto mondiale, aveva in-segnato, aveva scritto quattro libri,ben accolti, ma che non avevanofatto esplodere il suo successo e so-prattutto non aveva dato una dire-zione definitiva né alla sua scrittu-ra, né alla sua opera. Forse si muo-veva ancora in un limbo incerto incui attendeva una definizione per-sino come uomo.

Subito, è il 1925, acquista unaventina di ettari e commissiona lacostruzione di una casa in legno.Due stanzette dal profilo di una bar-ca. Un luogo dove trascorrere soloqualche settimana all’anno (esisteun desiderio più comune?). Come fainfatti nel settembre successivo: siferma due settimane e scrive. Scrivedi quel che vede e non solo. Non hain effetti le idee molto chiare, guar-da più lontano di lui la sua fidanzatache, quando se lo vede ritornare contutti quegli appunti che però nonfanno un libro, chiude ogni discor-so: niente libro, niente matrimonio.

A quel punto Beston scrive il libroe pochi mesi dopo la pubblicazionesi sposa. Quel luogo ridetermina ildestino. Le due settimane da tra-scorrere a Cape Cod diventano me-

si. Ha trovato il posto perfetto: «Ilmondo oggi è malato e infiacchito,scollegato dagli elementi primari,dal fuoco che scalda le mani, l’acquache sale da un pozzo scavato nellaterra, l’aria, la stessa cara terra sottoai piedi…». Qui infatti: «Il braccioche si allunga da est a ovest della pe-nisola è una parte dell’antica pianasepolta, l’abbraccia un frammentodi costa sopravvissuto alle glacia-zione. La penisola si protende sulmare più di qualsiasi altra porzionedi costa atlantica degli Stati Uniti; èil lembo più estremo delle coste piùremote. Qui l’Oceano si schiantamugghiando contro la falesia, in-contrando l’ultima fiera roccafortefra due morti». E «dove finisce la fa-lesia cominciano le dune».

La percezione del tempo diventalenta, si libera dal frastuono cittadi-no e permette l’identificazione conla natura. Attraverso la vista adesempio: «I mari sono il sangue del-la terra e le maree, comandate dasole e luna, sono sistole e diastoledel ciclo cardiaco del pianeta. Il rit-mo delle onde batte nel mare comeil sangue pulsa nelle vene. È energiaallo stato puro e si incarna conti-nuamente in una successione diforme d’acqua che svaniscono aogni passaggio».

Attraverso il tatto: «La sabbia qui

ha una vita tutta sua, pur ser presaa prestito dal vento. In un limpidopomeriggio estivo, quando da po-nente soffiavano forti raffiche, hovisto un diabolo di sabbia, una pic-cola tromba d’aria altra due metri,sbucare dalle dune a tutta velocità,turbinante sulla spiaggia e vorticarevia verso le onde. ..». Attraversol’udito: «Il rumore del mare fra que-ste dune autunnali non smette mai:è attacco incessante, infinito so-praggiungere e raccogliersi, giun-gere a compimento e dissolversi,infinita fecondità e infinita morte».

La solitudine di cui parla Bestondiventa auspicio: «…Vado drittoverso di loro (gli uccelli, ndr): in-quietudine generale, un’adunata,rapido zampettare, fuga. Lì sullaspiaggia, circondato da orme diartigli, osservo lo spettacolo in-cantevole del gruppo che all’istan-te si è trasformato in una costella-zione di uccelli…; osservo la spira-le del volo, l’inclinarsi momenta-neo delle pance bianche, poi delleschiene grigie…».

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LA CASA ESTREMAHenry BestonPonte alle Grazie, Milano pagg. 189, € 16

CapannoLa casa di Henry Bestonsulla spiaggiadi Estham

Lara Ricci Davide Paolini Stefano Salis

Pietrangelo Buttafuoco

Serena Uccello

Le immagini in bianco e neroli ritraggono in più pose. Ilpatriarca, Joseph P., e lei, Ro-se. Il vecchio osserva in parti-

colare i due figli maschi, belli, ab-bronzati, sorridenti: John e Robert,sono l’America, il futuro dell’Ameri-ca. E Cape Cod nel Massachusetts èil loro rifugio, sullo sfondo la casa,immensa, sobria e perfetta. In lon-tananza il mare. Il mare che dona, ilmare che prende: nel 1999 il corpodell’erede, il giovane John Jr, dellamoglie moglie Carolyn e la cognataLauren, precipitati con il loro aereo.Dopo tanti lutti, l’ennesimo. Qui suquesta terra sabbiosa pure i lutti sisono fatti riservati, attutiti dal ru-more delle onde.

È questa la terra che custodisce iKennedy, ma all’inizio del secoloscorso quelle dune e quelle onde so-no state il punto di osservazione dacui lo scrittore e naturalista HenryBeston scelse di fissare la natura e,attraverso di essa, di indagare sestesso e gli uomini. Ed allora chiun-que voglia mettersi nei panni del-l’eremita felice indossi pure quellidi Beston grazie alle pagine dellasua Casa Estrema, in Italia di nuovoin libreria per Ponte alle Grazie.Perché come lo stesso Beston scris-se, qui «l’Oceano…incontra l’ultimafiera roccaforte fra due mondi».

AFPs Parole, parole, soltanto parole,è la splendida canzone di Mina in duetto con Alberto Lupo che mi torna in mente ogni volta (o quasi) che apro il menu di un ri-storante. Sono un minimalista eaborro la lista delle “vivande “instile birignao o l’intervento del maître o cameriere che si com-porta come a una messa la nottedi Natale quasi a voler significa-re: «Caro cliente sei in un tem-pio, ricordalo».

Di solito questa sicumera èuna perdita di tempo che allungai tempi di una fastidiosa attesa, soprattutto quando il maestro dicerimonia si sforza di spiegare,fino all’ultimo dettaglio, magarianche piatti che non necessitanodel fiocchetto… come spaghettial pomodoro. E qui mi viene in mente, mentre ascolto, lo stra-ordinario film (Ricomincio da tre) di Massimo Troisi mentre discute come chiamare il figlio,candidato al nome di Massimi-liano, mentre l’attore napoleta-no propone Ugo asserendo chein caso di pericolo è molto più rapido, immediato e può diven-tare un salvagente. È lapalissia-no che le lunghe descrizioni scritte e recitate sono perché lo chef ha il sospetto di non riuscirecon il solo assaggio di far capireal cliente cosa abbia proposto.

È altresi vero che oggi con lotsunami delle intolleranze e di allergie si chiede una chiarezzadegli ingredienti, ma tra que-stionari alla prenotazione e in-terrogazioni al tavolo, forse si potrebbe fare a meno di un ri-passo collettivo. Sine qua non

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AL MUDECLE NUOVE

FRONTIEREDELLA

ESPLORAZIONE

A Milano Si inaugura il

28 settembre al Mudec la mostra

«Capitani coraggiosi. L’avventura umana della

scoperta (1906 - 1990)». La mostra

fa parte del progetto

«Geografie del Futuro» che si

snoda attraverso tre rassegne che

termineranno il 14 aprile 2019.

L’obiettivo del Mudec

è raccontare una nuova idea di

geografia, forse la più attuale e labile

delle discipline, in un mondo che

riduce sempre più gli spazi grazie alla tecnologia, e dove i luoghi e i non-luoghi da esplorare

diventano sempre più complessi