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Osservatorio per la Legalità e la Sicurezza Centro Studi e Documentazione - Bari Il sistema Puglia e la crisi economico-finanziaria a cura di Nisio Palmieri

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Osservatorio per la Legalità e la Sicurezza Centro Studi e Documentazione - Bari

Il sistema Puglia

e la crisi economico-finanziaria

a cura di Nisio Palmieri

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Pubblicazione a cura di Nisio Palmieri Hanno collaborato alla stesura :

Giuseppe Brunaccini e Davide Pasquale de Palma Dati aggiornati a febbraio 2009

Finito ad aprile 2009

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Sommario

Premessa Pag. 10 Introduzione “ 11 Il sistema Puglia “ 15 * Il Rapporto Svimez “ 15 * Secondo Rapporto sulla Puglia curato dall’European House Ambrosetti “ 17 * Centro Sintesi “ 18 * Ufficio Studi di Confcommercio “ 20 * Rapporto sulle economie regionali della Banca d’Italia “ 20 La crisi finanziaria: dove sono finiti 2.800 miliardi di dollari “ 22 La tempesta finanziaria e la Puglia – Le “Previsioni regionali” della Svimez “ 27 Imutui variabili – Regione e Comuni “ 34 *La Regione “ 35 *I Comuni “ 39 Mutui alle famiglie “ 43 *La flessione dei mutui 44 * Nomisma 46 * Uff. Prov. dell’Agenzia del Territorio-Osservatorio del mercato immobiliare 48 *Rapporto del Centro Sintesi di Venezia 49 *Le banche resistono ancora 49 *Nomisma, Bollettino statistico Bankitalia, Crif e Unicredit Consumer Financing 50 *Il ricarico delle banche 51 *Osservatorio Mutui Ondine 53 La riduzione dei tassi:una rinata fiducia 54 *Il tasso Euribor 54 *L’attesa del mercato 55 Gli effetti e gli assegni protestati 57 *L’indagine della Cgia di Mestre 58 *L’Ufficio Studi di Unioncamere 58 L’Usura 61 *La Consulta Nazionale Antiusura 61 *L’Associazione Contribuenti Italiani 62 Le imprese della Puglia 63 La situazione economico-sociale 64 *42° Rapporto Censis 64 *Centro Studi Confindustria 66 Le piccole e medie imprese 67 *La Confartigianato 67 * La Cna 68 * Ancora la Confartigianato 69 * L’Assemblea della Cna 69 *Confcommercio-Format su Mezzogiorno e Pmi 70 *Movimprese per Unioncamere da Infocamere 71

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Le imprese Italiane Pag. 73 *L’Istat 73 *La Cgia di Mestre 73 *L’Isae 74 *La Confindustria 74 Il Rapporto tra banche e imprese 76 *L’iniziativa della Confindustria 76 *Le ragioni delle banche 77 *Il taglio del credito 78 *Le banche e le piccole e medie imprese 79 Export 81 *Istat 81 *L’export pugliese 81 *Servizio Studi e ricerche di Intesa San Paolo 81 *L’indagine della Cgia di Mestre 84 *E’ nata Federexport Puglia con una polemica 84 Le previsioni 85 *La Commissione Europea 85 *Il Governo 87 *La Confindustria 87 *L’Unioncamere 90 La crisi occupazionale 91 *L’Istat 91 *I dati della Cgil Puglia 92 *I dati dell’Osservatorio della Cassa Integrazione Guadagni 94 *Rapporto sull’andamento delle attività economiche della regione 95 *Incidenza del lavoro irregolare 97 *La situazione a fine novembre 2008 98 *Foggia 100 *Taranto 101 *La crisi del tessile a Martina Franca 104 *Brindisi 105 *Lecce 105 *Il Tac talentino 107 *La Getrag 108 *Le piccole e medie aziende 109 *La Telecom taglia 109 *Non solo la Fiat 109 *Rapporto della Cisl sull’industria 110 *I cassi integrati per la Cgil 110 *La corsa alla disoccupazione secondo l’Istat 111 *La situazione in Puglia 112 *Le pagelle della Commissione UE 113 *La Confindustria sull’occupazione 114 *L’assessorato Regionale al Lavoro della Puglia 114 *La situazione del precariato secondo la Cgia di Mestre 117 *Precari in tutti i settori 118 *La riduzione degli occupati nelle grandi imprese secondo l’Istat 118 *I dati Inps 119

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*Anche gli impiegati Fiat in cassa integrazione Pag. 119 *L’allarme dei sindacati pugliesi 120 *Ufficio Studi Confcommercio 121 *Osservatorio del Dipartimento Settori Produttivi della Cgil Nazionale 122 *Le pressioni dell’Ilo, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro 127 *Facoltà di Scienza delle Comunicazioni dell’Università di Roma “Sapienza” 127 *Domanda di lavoro e retribuzioni – Rapporto OD&M e Unioncamere 135 L’inflazione e i consumi 138 *L’Istat 138 *La Federazione dei Consumatori Puglia 140 *Ipr Marketing 141 *La Cgia di Mestre 141 *Le associazioni dei consumatori 142 *I dati Istat di novembre 2008 142 *Confcommercio 143 *Politecnico – Omidaulab – Sunia 144 *L’Osservatorio Findomestic Banca 145 *La Federdistribuzione 146 *Qual è la verità sui consumi 146 *La media dell’anno si è fermata al 3,3% 148 *Commissione Europea – Eurostat 149 *Sempre l’Istat 150 *Federalimentare 150 *Le vendite e i consumi secondo l’Istat 151 *Ufficio Studi di Confcommercio 152 Le nuove povertà 152 *La Cgia di Mestre 152 *L’8° Rapporto sulla povertà della Caritas 154 *Istat 156 *Bollettino statistico della Banca d’Italia 157 *Ancora la Caritas 158 *L’Adoc, Centro Interdipart.ricerca sull’etica economica, Comunità S.Egidio, Istat,Ocse 158 *Anche i ricchi piangono 160 La Borsa 162 *L’andamento della Borsa 162 *Gli indici mondiali ribassano 165 I Fondi Por 167 *Il Dossier della Commissione Bilancio Europea 168 *Il Sole 24 Ore 168 *La reazione dell’assessore 168 *La dura replica dell’opposizione 170 *La commissaria UE alla Politica regionale 171 *L’Eurispes e le “occasioni mancate” 171 Le iniziative della Regione per fronteggiare la crisi 172 *L’incontro tra imprenditori e governo regionale 176 *Il portale Internet dell’assessore allo Sviluppo economico 178 *Cisl e Cna Puglia 178 *Aiuti alle famiglie 179 *Nuovi cantieri 179

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*Protocollo d’intesa con le Banche Popolari e la Federaz. delle Banche di C.C. Pag. 180 *Per i creditori delle Asl “ 181 Riepilogo “ 181 *Le cause della recessione “ 181 *Il sistema finanziario “ 182 *Le banche europee “ 182 *Le esposizioni ai fattori di crisi “ 183 *Il credit crunch “ 183 *Le contromisure “ 184 Come uscire dalla crisi “ 184 *Soluzione danese “ 184 *I paradisi fiscali “ 185 *Le proposte e le analisi “ 186 Chi siamo “ 189 Il materiale consultato “ 190

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Post hoc, propter hoc – Se un fatto avviene dopo un altro,

vuol dire che ne è questo la causa

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Premessa Quando questo rapporto è stato pensato forse nessuno di noi pensava di arrivare fin qui. Tanto meno

chi scrive,chiamato a dare un fresco giudizio, perché giovane, sul lavoro che man mano cresceva.

Ciò non ha impedito, in questi mesi, di condividere emozioni, idee, pensieri da cui sono nate

riunioni e discussioni, sono stati letti e approffonditi rapporti ed analisi, abbiamo condiviso le nostre

riflessioni, ci siamo fatti affascinare ed entusiasmare. Il rapporto è anche un po’ del nostro percorso

di vita, ci sono le nostre idee, i nostri pensieri, che si sono fusi in una unica lingua. Al lettore, anche

a quello più attento sarà difficile cogliere con esattezza i tanti e vari momenti che hanno

caratterizzato la stesura del rapporto, essi ci sono stati e sono stati anche molti. Siamo dei “laici”

dell’economia, non certo degli esperti, e come tali vorremmo che ci si prendesse. Abbiamo voluto

raccontare la nostra Puglia, l’abbiamo voluta raccontare con tutte le sue difficoltà, i suoi dubbi, le

sue imprecisioni. Abbiamo voluto raccontare una terra stupenda, una terra solare. Una terra che

all’interno del sistema economico mondiale, ogni giorno lotta per Vivere. Operiamo in un sistema

economico in piena crisi di identità, in cui i valori, le idee, i percorsi sono messi in discussione.

Andrew Carnegie tempo fa scriveva “l’unico capitale insostituibile che un’organizzazione possiede

è il sapere e la capacità dei suoi membri. La produttività di questo capitale dipende dall’efficienza

con cui i membri condividono le loro competenze con coloro che possono usarle.” Non abbiamo

soluzioni magiche da proporre, ne abbiamo la pretesa di poterle trovare, pensiamo soltanto che se

realmente si vuole uscire dalla crisi bisognerà ricostruire l’identità del sistema economico.

Reinvestire nell’idea d’impresa, quella che pensa al bene della società; è finita l’era delle imprese

irresponsabili, quelle a cui tutto era concesso, e che non dovevano dar conto a nessuno se non al

mercato. Si deve ripartire dalla cosa più importante che hanno le imprese: il capitale intellettuale.

Le lavoratrici e i lavoratori che popolano le imprese, investire su di loro. Per troppo tempo l’unico

capitale che si è considerato è stato quello “materiale”, è necessario oggi farsi affascinare dalle

conoscenze, dalle idee, dai sogni. Platone, scriveva “immaginiamo che la mente dell’uomo sia come

una voliera che contenga svariate specie di uccelli: alcuni volano in coppia, altri in piccoli gruppi,

altri ancora da soli. Supponiamo che ogni uccello sia un tipo di conoscenza, e che quando eravamo

bambini la gabbia fosse vuota: ogni volta che l’uomo ha catturato e rinchiuso nella voliera un tipo

di conoscenza, si può dire che egli l’ha imparata, o che ha trovato la cosa di cui quella era la

conoscenza. Questo è sapere.” Oggi a causa della frammentazione del mercato del lavoro e della

crisi economica si rischia di perdere tutto questo capitale, queste conoscenze, questo sapere. Ecco

l’unica soluzione per uscire dalla crisi, sono loro, i Lavoratori. Ripartiamo di qui.

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Introduzione

Se confessiamo che solo la curiosità di capire cosa si stesse verificando intorno a noi, ci ha spinto prima a leggere una serie di documenti e poi a scriverne uno nostro (che tale non si può dire in senso compiuto), forse non ci si crederà. Eppure, più andavamo avanti nel lavoro più si misurava la nostra inadeguatezza. L’essere umano può sentire più di quanto sia in grado di dire. D’altra parte buona parte del nostro lavoro è stato quello di disambiguare i fatti. Compito non facile e, per questo, verosimilmente forse non sempre riuscito. Aggiungiamo un pericolo: che quando non si conosce la verità si può essere spinti a crearne una propria. Quello che ci sentiamo di assicurare è che abbiamo con accortezza evitato di aggiungere del nostro là dove menti riconosciute fervide si misuravano con i fatti. Alla fine del nostro lavoro, rimasti in piedi tutti i dubbi, abbiamo chiesto ad un aspirante precario di formulare un giudizio d’insieme. Anche questo non è stato facile. Ci siamo scontrati, scambiati vivacemente le diverse interpretazioni che per il giovane sono diventate apodittiche convinzioni quando ha toccato con mano (stavamo per dire con l’occhio) i dati sulle prospettive del mondo del lavoro. Tutto, per lui, si conduceva a quello. Abbiamo premiato (si fa per dire) la sua partecipazione, collocando il suo pensiero come premessa. Ma queste, ce ne rendiamo conto, sono farneticazioni che niente aggiungono al lavoro ma che, per lo meno, accendono un riflettore, ad occhio di bue, sull’impegno posto nel trascrivere i dati che altri avevano elaborato, previsioni che altri si sbracciavano ad enunciare. Infine, ci siamo convinti che era necessario camminare tenendo fisso uno schema dal quale non deviare, se mai arricchendolo in progress.

Un avvertimento, comunque, lo dobbiamo al lettore che si vorrà misurare con l’intero elaborato: tutto quello che troverà non è frutto del caso, il più delle volte risponde alla scientificità dell’approfondimento di istituti di ricerca di eccellenza. Il dubbio che più volte ci ha preso durante la stesura del rapporto, è stato quello se rispondesse più ad una esigenza proprio di chi si sia voluto misurare con problemi più vasti del suo orizzonte, che all’interesse che avrebbe potuto suscitare tra il pubblico, scarso, che ci segue e tra coloro che o per curiosità intellettuale o per ragioni di studio avrebbero voluto prestare uno sguardo e, per lo meno, sfogliarlo. Non sappiamo dare una risposta. Ci incoraggiava il fatto che due anni addietro ci misurammo con problemi economici, sempre della nostra regione, e raccogliemmo un successo inatteso.

Anche questa volta abbiamo scelto la Puglia perché è la regione dove viviamo e operiamo, significando con questo non tanto di possedere un respiro molto corto, ma di allevare preoccupazioni che possono compromettere il suo spazio temporale ed economico. Per questo bisognava partire dall’esigenza di farsi spiegare e spiegare che cos’è il nostro sistema produttivo, la nostra economia. Rispetto però a questi studi ci siamo incontrati, molto spesso, con giudizi che prescindevano dall’obiettiva relatività dei valori positivi, scandendo invece un successo che non meritava di essere conclamato; per converso ad una sottovalutazione dell’importanza di determinati risultati, anche qui prescindendo dai dati di partenza. In verità in questi atteggiamenti si assaporava più l’appartenenza ad uno schieramento, che un sofferto e impegnato studio. Sia ben chiaro, non esprimiamo un giudizio moralistico ma esplicitiamo il limite di un cultura economica disponibile ad ogni interpretazione di comodo. Non ci riferiamo solo a politici ed amministratori (che potremmo pure comprendere, ma non giustificare) ma anche ad esperti (non tutti per fortuna) che, a noi è sembrato, sfuggissero ad un approfondimento teorico per rifugiarsi in teoremi di comodo; e questo nell’uno e

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nell’altro caso. Il che ci fa legittimamente malignare che, a parti invertite, avremmo registrato, invertite, le stesse riflessioni. Più spregiudicati, in vero, i dirigenti sindacali preoccupati della situazione dei loro organizzati e costretti a misurarsi concretamente con le ripercussioni in termini di occupazione. Non sappiamo se ciò che presentiamo sia esaustivo, di certo ha illuminato la nostra mente e ci ha incoraggiato a proseguire per capire come un clamoroso incidente occorso così tanto lontano da noi ci coinvolgeva. Uno tsumani che nessuna forza della natura può mai raggiungere in ampiezza.

Ci siamo fatti spiegare dal prof. Ottman com’è nata questa crisi. Ottman è un economista americano che in un suo libro, pubblicato il 2006, aveva previsto i termini della crisi così come poi si sono verificati. Soltanto una lucida consapevolezza poteva metterci in grado (cosa che ha fatto) di vedere con chiarezza l’esplosione e gli infiniti incommensurabili suoi riverberi.

Avvertiamo subito che la crisi occupazionale ha un posto centrale in questo dossier, e non poteva esser diversamente, in quanto strettamente legata alla sopravvivenza della maggioranza dei cittadini pugliesi, che traggono il reddito esclusivamente dalla loro prestazione di lavoro. Diciamo subito che per la sua complessità, e non solo, è quasi impossibile presentare una sintesi. Chi ha l’avventura di leggere il ponderoso capitolo avvertirà quanto minuziosa sia stata la descrizione del fenomeno (senza però, assicuriamo, lasciarci coinvolgere dalla acribia della annotazione dei piccoli e insignificanti particolari) che quotidianamente presentava un quadro in un continuo aggravarsi e che ci ha imposto di scegliere una forma diaristica per essere puntuali nel segnalare gli allarmi che provenivano dai vari territori, quando non anche dalle singole realtà produttive. Un lavoro spasmodico, pronti come crediamo di essere stati, ad inseguire i vari settori anch’essi obbligati quotidianamente a misurarsi con una realtà che sembrava (e non solo sembrava) volesse esplodere. Riteniamo di aver operato con la massima obiettività, cogliendo doverosamente le angosce di chi vedeva sfuggire di mano il lavoro e di chi sentiva mortificato il proprio impegno imprenditoriale. Certo, il nostro lavoro non riesce a trasmettere il pathos che avvolgeva gli eventi, ma c’è stato tutto l’impegno per disegnare il percorso accidentato, evitando di reificare il contenuto di una esperienza per noi astratta e non cadere nell’errore di considerare il lavoro umano alla stregua di una cosa.

Ci piace, tuttavia, segnalare la chiusura del capitolo sull’occupazione che illustra due documenti che riteniamo particolarmente interessanti: lo studio della Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università di Roma sul precariato e il Rapporto elaborato da “Organization Design & Management” con l’Unioncamere sulla domanda di lavoro e retribuzioni.

I temi trattati riguardano prevalentemente, ma non solo, i giovani e soprattutto quelli che si affacciano oggi sul mercato del lavoro. Nel primo è esposta la dinamica della prestazione tipica, nel secondo lo stato delle retribuzioni nel nostro Paese che, per alcuni studiosi, non è estraneo agli squilibri, alle ingiustizie sociali presenti, in particolare nel bel mezzo di una crisi di grande proporzione. Durante la stesura di questa introduzione è stato pubblicato il Rapporto Svimez 2009 per il Mezzogiorno che, purtroppo, conferma la drammatica situazione occupazionale dei nostri territori che.come dicevamo, descriviamo minuziosamente nell’apposito capitolo. Dice la Svimez che crescono gli emigranti che dal Sud vanno al Nord in cerca di lavoro. Solo nel 2008 sono stati 122 mila i meridionali che si sono trasferiti. Un numero in leggera crescita rispetto all’anno precedente, quando erano stati 116mila. Si tenga conto che negli ultimi 11 anni, considerando partenze e rientri, il Sud ha perso 700mila persone, dal 1955, sono sempre dati di Svimez, si superano addirittura i 4milioni. Una tragedia umana. Ciò detto, vogliamo assicurare che non abbiamo trascurato altri settori di attività o qualche fascia marginale della società. Assolutamente no. Ci siamo fatti dire dalla Caritas e da altri istituti di ricerca come s’infoltissero le legioni dei poveri e come la crisi colpisse anche le ricchezze. Del resto basta sfogliare il Sommario e ci accorgerà della esuberanza degli argomenti.

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Crediamo ci sia permesso di chiudere con un’annotazione di carattere economico-politica. La ispira una recentissima riflessione di Giuseppe De Rita che, per il vero, si riferisce giustamente a tutto il Mezzogiorno di cui la Puglia non è estranea e il Rapporto Svimez che abbiamo già richiamato.

L’insigne studioso e ricercatore ricorda che per decenni si è considerato il Mezzogiorno come il problema centrale di “una malformata nazione e di malformate istituzioni statuali”. Di conseguenza si è lavorato a far uscire “ la questione meridionale dai binari tutti politici su cui essa era stata sviluppata dai suoi padri nobili”.

Una vera e propria rivoluzione fu la trasformazione dei problemi del Sud da questione politica a questione tecnico-economica: industrializzazione, formazione di capitale, infrastrutturale, riforma e rilancio dell’agricoltura, radicale miglioramento della cultura di base e creazione di una classe dirigente meno retorica e tesa a far sviluppare l’economia reale.

Oggi si avverte che quel ciclo è arrivato alla conclusione, dopo tanti soldi buttati in interventi mal coordinari, la logica che lo aveva ispirato non ha prodotto nessun radicale cambiamento. Si ritorna, dice sempre De Rita, ad una forte valenza politica. Si va formando, al Sud, una linea di movimentiamo politico. Ciò autorizza a pensare che ci siano leader politici tentati di giocare politicamente sul futuro del Mezzogiorno. Potrebbe darsi, suppone De Rita, che questo movimentismo vada a spaccare attuali maggioranze, e che si formino alleanze (i sintomi si intravedono ndr), liste elettorali vocazionalmente trasversali. Chiude la sua riflessione mantenendosi estraneo a questo processo, com’è naturale, ma confessendo che esso merita attenzione. Come sempre il parere del Padre del Censis è stimolante, non ci sentiamo di aggiungere nostre considerazioni, che risulterebbero perlomeno ovvie, ma non possiamo evitare di dirci che i problemi di casa Sud hanno bisogno di serietà nell’impegno politico, in quello intellettuale, nello studio. Non sempre c’è stato, almeno da parte di molti. Gli ultimi dati Svimez sono una sentenza di condanna: da sette anni consecutivi il Meridione cresce meno del resto del Paese.

Dovremmo ora ringraziare tutti coloro che ci hanno aiutato a muoverci in questa fitta selva di tabelle, cifre, percentuali. Credeteci: imposibile. In fondo alla pubblicazione abbiamo elencato (un lungo novero) le pubblicazioni, i dossier, i giornali specializzati e non. Insomma tutto quello che abbiamo dovuto leggere. E’ il nostro modo di esprimere gratitudine.

Vorrete ora perdonarci se chiudiamo con una nota riservata. Alla fine della fatica, avevamo accarezzato l’idea di poter presentare il lavoro in maniera più dignitosa. Vi era in quel desiderio, non lo nascondiamo, anche la nostra vanità ma soprattutto, e questo lo assicuriamo, il piacere di poter mettere il lettore (fosse pure uno) nelle migliori condizioni di consultarlo. Ci siamo affacciati alla porta di varie istituzioni e abbiamo chiesto un sostegno, sia sotto forma di sponsorizzazione o di patrocinio per affrontare le spese di pubblicazione, atteso che la nostra è una Associazione di puro volontariato. Non abbiamo raccolto consensi se non dalla Camera di Commercio di Bari, dalla Segreteria Regionale della Cgil-Puglia e dalla Presidenza del Consiglio Regionale, che qui vogliamo pubblicamente ringraziare. Purtroppo lr rispettive disponibilità non sono state sufficienti a sosteneregli esborsi preventivati, di conseguenza abbiamo dovuto rinunciare all’originario disegno. Ciononostante non ci siamo lasciati scoraggiare, e abbiamo trovato l’alternativa offerta dai potenti mezzi telematici. Provvederemo a riprodurre questo lavoro in un numero molto limitato di CD per il resto, chi lo vorrà, potrà trarlo dal nostro blog e scaricarlo data la sua imminente pubblicazione.

Nisio Palmieri

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Il sistema Puglia Vediamo come leggono l’economia della nostra regione i maggiori Istituti di ricerca e studi economici. Crediamo così di offrire una fotografia realistica ancorché infarcita da contraddittorie valutazioni che non trascuriamo di sottolineare.

*Il Rapporto Svimez Il “Rapporto Svimez 2008 sull’Economia del Mezzogiorno” del 18 luglio ha provocato un vivace dibattito dove, spesso, le ragioni del proprio schieramento politico hanno prevalso sull’analisi seria dei dati offerti dall’Istituto di ricerca. E questo se è comprensibile, ma non giustificabile, nelle dichiarazioni degli esponenti politici (che, in alcuni casi, si pronunciavano come autorevoli rappresentanti delle Istituzioni) non trova riscontri con quelle rilasciate da chi riveste il ruolo di studioso; in verità qui con alcune significative eccezioni. Ci piace sottolineare che i Sindacati, viceversa, sono apparsi più contenuti e responsabili nell’ottimismo generale del mondo politico che si era misurato con clamorose, ed anche avventate, affermazioni. Ma prima di andare avanti vediamo di offrire a chi ci legge i motivi che hanno sollevato un così accecante polverone. In vero, eravamo tentati di riprodurre, magari rielaborandoli, i dati Svimez, ci siamo però resi conto che il contesto non lo permetteva anche perché il tutto si sintetizzava, scusate la schematizzazione, in due dati: la crescita in Puglia del Pil e dell’export.

Ebbene, il Rapporto c’informava di aver registrato una crescita del 2% del Pil regionale e del 3,5% nelle esportazioni. Il dato del Pil collocava la regione al primo posto nel Mezzogiorno ma anche in Italia, in quanto superiore alla media nazionale (+1,5%) e addirittura al centro-nord (+1,7%). Indubbiamente un risultato positivo che i Sindacati leggono come un’affermazione delle grandi imprese e del terziario che, di fatto, trascina l’economia regionale. Di contro gli investimenti non decollano, vi è poi una contraddizione pugliese: la frammentazione sociale; la povertà non diminuisce e aumenta, invece, il disagio sociale. Rimangono le problematiche dei pensionati, lavoratori a basso reddito e nuove generazioni.

Se mai i dati positivi indicano alcune possibilità di movimento per lo sviluppo territoriale. L’idea di sviluppo che la Regione Puglia mette in campo per utilizzare i Fondi Europei 2007/2013 e quelli per le aree svantaggiate dovranno far leva sul mix di procedure semplificate, approvate sull’attuazione dei distretti produttivi, selezione per vocazione territoriale e concentrazione locale. L’obiettivo è quello Plurisettoriale, incentrato su investimenti per la formazione e la ricerca, per l’energia rinnovabile e la valorizzazione ambientale, per le produzioni più innovative e la loro internazionalizzazione, per uno stato sociale locale contro l’esclusione dei cittadini più deboli. Non mancano di lanciare un grido d’allarme con cui richiamano tutti a non sottovalutare il dato complessivo del Mezzogiorno che è preoccupante perché continua ad aumentare il divario economico dal resto d’Italia.

Fin qui il Sindacato. I politici, da una parte, sottolineano che i dati pugliesi del 2006 e 2007 mettono in evidenza il fatto che il 2% di crescita del 2007, che segue l’1,8% del 2006, è di gran lungo superiore al -0,5% del 2002 e al -1% del 2003, appunto gli anni del governo di centro-destra; dall’altra l’affannoso ribadire che la crescita è il frutto di una politica economica e industriale nata non certo ieri ma che ha i suoi natali con le scelte operate dai precedenti governi regionali.

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A rompere l’incantesimo ci pensa Felice Blasi che, sul Corriere del Mezzogiorno, spiega che le variazioni percentuali possono non significare quasi niente in termini assoluti. Infatti, il Pil pugliese per abitante è pari a 17.350 euro. L’Abruzzo, la Sardegna, la Basilicata e il Molise, pur crescendo meno in termini relativi, hanno tutte valori superiori al dato pugliese: dai 21.195 degli abruzzesi ai 18.654 dei lucani. L’Abruzzo nel 2004 ebbe una variazione negativa del 2,6% eppure il Pil dei suoi abitanti registrò un valore medio superiore a quello dei pugliesi, sia per quell’anno, sia per l’oggi. Secondo Blasi il vero confronto però va fatto con il centro-nord, rispetto al quale il Pil di un cittadino pugliese è pari a circa il 57%. Per gli abruzzesi e i sardi si oscilla tra il 69% e il 67% e sono i migliori. Tutti gli altri stanno peggio.

Lo stesso ragionamento vale per l’export: in Puglia, come abbiamo già letto, c’è stata una crescita del 3,5%, ma la Sicilia è cresciuta ancora di più (19,8%), la Basilicata del 21,7% e addirittura in Calabria si è toccato +30,1%, che, se ci si ferma al dato percentuale, questa regione appare come la più grande realtà internazionale italiana.

Vediamo di convertire le percentuali in valori assoluti: le esportazioni pugliesi, in milioni di euro, sono passate da 6.877 a 7.122, quelle lucane da 1.721 a 2.096, le calabresi da 329 a 427. Nel centro-nord le cifre sono decine di volte superiori al Sud, infatti, si è passati da 288.994 a 311.102 milioni di euro, segnando una sproporzione rilevante.

Se queste sono le grandezze, e lo sono, sembra perlomeno singolare vedere tanti personaggi, che hanno un peso nel determinare le sorti della regione, nascondersi dietro le insignificanti variazioni positive delle percentuali, sol perché una determinata azienda assume, quando di contro ce ne sono centinaia che chiudono.

I dati Svimez dovrebbero, invece, suscitare solamente indignazione non solo a livello di élite (politiche, economiche e culturali) ma estendersi a livello popolare, tale è l’enormità del problema.

Il prof. Pirro, economista dell’Università di Bari, si associa alla petizione dell’editorialista del Corriere, con la raccomandazione, però, di evitare l’indignazione d’ufficio invitando tutti ad operare –nell’ambito delle rispettive responsabilità e competenze – a fare passi in avanti, magari piccoli ma costanti, quantificabili, socialmente utili.

Pur non contraddicendo le valutazioni di Blasi in termini assoluti, tuttavia ritiene che alcune precisazioni è necessario fare se non si vuol rimanere nel vago.

Intanto di fronte al dato del +3,5 nelle esportazioni va segnalato che quelle dei prodotti chimici sono aumentate del 19,9% (825 milioni), dei prodotti meccanici del 15,4% (701 milioni), dei mezzi di trasporto del 16% (581 milioni), mentre hanno sostanzialmente tenuto quelle dell’acciaio con un -0,7% (1.508 milioni, prima voce dell’export regionale).

Inoltre, l’occupazione, nel 2007, è aumentata, come confermato anche dalla Banca d’Italia su dati Istat, del 2,2% mentre la disoccupazione è scesa dal 12,8% all’11,2%.

Tutto questo, certo, continua Pirro, non ci autorizza ad assumere toni trionfalistici perché sappiamo che tante piccole e medie industrie del tac e del legno-mobilio hanno chiuso e molte altre sono in difficoltà; si tarda (colpevolmente) a realizzare ancora i dissalatori, la qualità della spesa pubblica in conto capitale (e quella corrente) lascia molto a desiderare (così come altrove nel Sud e nel Settentrione). Rimprovera poi all’analisi del giornalista di aver fermato i suoi raffronti al Centro-Nord, mentre si è più precisi rapportandoli al solo Nord. Né può sfuggire che il Pil pro-capite – che pure è inferiore in Puglia rispetto ad altre regioni del Mezzogiorno e ancor più del Nord – deriva dal numero dei suoi abitanti, una parte dei quali (oltre il 20%), peraltro, è alle soglie della povertà relativa. Blasi lamentava che l’Italia, alla luce di questi dati, non è più uno Stato unitario. Replica Pirro che questa verità, per chi segue i Rapporti Svimez, la conosce da almeno 30 anni; chi poi conosce la

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storia d’Italia sa anche che la forbice fra Nord e Sud è andata allargandosi dalla fine dell’Ottocento con il decollo industriale del Paese in età giolittiana, e che solo fra il 1951 e il 1975 – gli anni d’oro della Casmez – quella forbice si è ridotta.

*Secondo Rapporto sulla Puglia curato dall’European House Ambrosetti Il 18 novembre, in un convegno, è stato presentato il secondo rapporto sulla Puglia curato dall’European House Ambrosetti in collaborazione con Anemia Aeronautica, Basf Chemical Company, British Gas Italia e Italkgest. Occasione per una riflessione sullo stato di salute della Regione. Il prof Paolo Savona, economista e presidente di Unicredit Banca di Roma ha definito la regione ‘una pentola bucata, con un buco da chiudere’. Parlare di pentola bucata significa rappresentare una condizione del tutto diversa, contrapposta, rispetto a ciò che sottolineano gli amministratori regionali di una Puglia come locomotiva del Sud con un Pil ed un’esportazione in crescita. Tale contrapposizione, spiega Savona, è conseguenza del <<divario esistente tra l’elevata considerazione qualitativa di cui gode la società pugliese e la relativa povertà quantitativa delle statistiche ufficiali>>. <<Per chiudere il buco della pentola – ha proseguito – bisogni restituire all’intervento pubblico il compito al quale è chiamato e che in parte ha perso: fungere da volano nei movimenti critici, creando beni collettivi cioè infrastrutture economiche e sociali. Solo in questo modo potrà essere colmato il divario di produttività rispetto al Nord Italia che è all’origine della bassa attrattività degli investimenti diretti esterni e delle carenze di reddito e di occupazione esistenti in Puglia>>. Innocente Cipolletta, presidente delle Ferrovie spa, ha illustrato lo stato della dotazione infrastrutturale della Puglia. L’analisi delle dotazioni ha permesso di stabilire che in rapporto alle altre regioni italiane la Puglia si colloca al quarto posto per dotazione di infrastrutture ferroviarie; al quarto posto per dotazione di strutture e reti per la telematica e la telefonia; all’ottavo per dotazione di infrastrutture portuali; all’undicesimo posto per dotazioni di infrastrutture aeroportuali, impianti e reti energetico-ambientali; al quindicesimo posto per dotazione di rete bancaria e servizi bancari; al diciottesimo posto per dotazioni infrastruturali. Nel complesso l’indice pugliese è pari a 93,15 (fatto 100 l’indice dell’Italia) collocando la Regione al decimo posto. Rispetto al 2001 la Puglia ha ottenuto un miglioramento di 6 punti (86,05).

<<La Regione sta attraversando un momento di positiva trasformazione. – ha spiegato Valerio De Molli, managing partner dell’European House Ambrosetti – Emerge una forte propensione del sistema imprenditoriale pugliese a investire su ambiti di alto contenuto tecnologico e innovativo. Ciò è testimoniato dai primi distretti tecnologici di cui la Regione si è dotata nell’ultimo triennio. Questo clima favorevole al cambiamento deve rappresentare l’occasione per dare il via ad un percorso virtuoso di crescita dell’economia locale, basato sulla costruzione (e in alcuni casi al rafforzamento) delle filiere industriali da cui può provenire il maggior contributo in termini di impatto economico e occupazionale>>.

La seconda edizione dell’Osservatorio Puglia ha offerto lo spunto per approfondire le caratteristiche e le azioni da avviare per tre specifiche aree di analisi: la filiera aeronautica, la filiera dell’energia, la filiera chimica. Si tratta di tre filiere essenziali per lo sviluppo della Puglia, tre aree-chiave per costruire e rafforzare il sistema Puglia, secondo quanto evidenziato nel titolo del secondo rapporto.

Le considerazioni conclusive dell’Osservatorio Puglia così si esprimono: <<Il territorio deve sostenere competitività e sviluppo delle proprie imprese assumendo il ruolo di comunità economica; l’amministrazione pubblica deve assicurare risposte certe alle domande fondamentali della competizione territoriale; la società civile deve affermare la continuità, ovvero un processo coerente e continuativo, molto più lungo della durata dei mandati dell’Amministrazione pubblica; il sistema dell’istruzione deve favorire l’adeguata offerta formativa agli attori coinvolti che possono agire con il mondo delle imprese>>.

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La crisi economico-finanziaria

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Provincia Popolazione Valore assoluto delle

importazioni

Quote

%

Cagr*

1996/2000

Valore assoluto delle

esportazioni

Quote

%

Cagr*

1996/2000

Foggia 684.273 665.906.194 € 7,94 10,10% 459.145.625 € 6,45 6,22%

Bari 1.595.359 2.985.941.664 € 35,62 10,61% 3.213.429.120 € 46,12 4,11%

Taranto 580.676 2.847.609.477 € 33,97 8,81% 2.012.495.462 € 28,26 5,83%

Brindisi 403.786 1.453.555.893 € 17,34 12,87% 845.675.318 € 11,87 9,83%

Lecce 807.424 430.310.408 € 5,13 2,95% 591.219.006 € 8,30 -2,37%

TOTALE 4.071.518 8.383.323.626 € - 9,67% 7.121.964.531 € - 4,39% (*) Tasso medio annuo di crescita composto *Centro “Sintesi” La pubblicazione dei dati del centro-studi ‘Sintesi’, curata dal <<Sole-24 Ore>> del 18 agosto, analizza i numeri delle dichiarazioni dei redditi 2006, raggruppati per territorio e attualizzati al 2007. I dati mostrano un re nudo anche se, in fondo, i numeri che, come ogni analisi economica dal dopoguerra in poi, continuano a mostrarci un divario di crescita tra Nord e Sud. Ma le differenze – che sono poi quelle che hanno denudato il re – non sono mai state così ampie, pur se inquinate dagli effetti dell’evasione fiscale, d’altra parte sempre difficile da quantificare. Il Paese è sempre più diviso con un Nord in crescita e un Sud in grossa difficoltà. Scrive il quotidiano economico: <<Una distanza che diventa un abisso tra il gruppo delle regioni del Nord, che hanno continuato a correre, e il Mezzogiorno che sprofonda in un progressivo impoverimento>>. I pugliesi sempre più poveri. A dispetto di un Pil in crescita (così come calcolato dalla Svimez, ricorderete) i redditi dei pugliesi vedono un calo preoccupante. Questo sta a significare che la crescita dell’economia regionale non si è tradotta in un beneficio diretto per le famiglie.

Nel 2007 i pugliesi hanno dichiarato 11.614 euro di imponibile Irpef a testa, appena 200 euro più dei lucani (10.947) e 800 euro più dei calabresi (10.201), ma poco più della metà dei residenti in Lombardia, che con 20.172 euro di reddito a testa sono i più ricchi d’Italia. Il problema – evidenziano i dati – è che dal 1999 al 2007 la dinamica delle due regioni è stata allarmante; il reddito dei pugliesi ha perso in termini reali il 5,3%. Non è un disastro come quello della Calabria (dove il reddito reale è calato del 14%), ma è pur sempre una enorme differenza rispetto al 7,5% guadagnato dalla Lombardia o all’11% della Valle d’Aosta, la regione italiana dove gli imponibili sono cresciuti in misura maggiore.

La provincia di Bari con i suoi 12.630 euro di reddito per contribuente (meno 3,9 per cento negli ultimi otto anni) risulta la provincia più povera fra quelle delle grandi città del Mezzogiorno. I cittadine del capoluogo, però, possono contare su 17.544 euro a testa, che rendono Bari la città più ricca della sua provincia. Nella stessa, Poggiorsini segnala il dato più negativo con 8.044 euro.

Nella classifica pugliese al secondo posto segue la provincia di Taranto con 12.095 euro, in flessione rispetto al 1999 di 5,6 punti percentuali. Anche in questa realtà il comune più ricco è quello del capoluogo con 15.471 euro, mentre il più povero è quello di Avetrana (7.764 euro). Brindisi con 10.962 euro di reddito per contribuente è, tra le province pugliesi, quella che negli ultimi anni ha avuto la minore flessione con un meno 2,8 per cento. Nella classifica nazionale è al 71esimo posto sulle 107 province prese in considerazione. Si ripete in questa provincia il dato che il capoluogo denuncia come più alto con 14.707 euro, mentre il più basso si registra a Erchie con 7.879 euro.

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Il Sistema Puglia 19

In coda ci sono le province di Foggia (19.560 euro) e Lecce (10.518 euro). Tra i due comuni il dato di Lecce, 17.783 euro, è superiore a quello di Foggia, 14.475 euro. In Capitanata il comune più povero è Roseto Valfortore con 4.836 euro (solo 8 comuni in Italia stanno peggio), mentre in Salento è Acquatica del Capo con 6.105 euro.

REDDITO PER REGIONI

Regioni Reddito medio 2007 Differenza dal 1999 *

Lombardia 20.172 € 7,50%

Campania 12.329 € -8,20%

Sicilia 11.833 € -5,60%

Puglia 11.614 € -5,30%

Basilicata 10.947 € -5,90%

Calabria 10.201 € -14,00%

* Il dato tiene conto dell’inflazione Fonte: Il Sole- 24 Ore su dati Centro Studi Sintesi

REDDITO PER PROVINCE PUGLIESI

Province Reddito pro capite Variazione 99 – 07*

Brindisi 10.962 € -2,8%

Bari 12.630 € -3,9%

Taranto 12.095 € -5,6%

Foggia 10.560 € -7,1%

Lecce 10.872 € -7,9%

* Il dato tiene conto dell’inflazione Fonte: Il Sole-24 Ore su dati del Centro Studi Sintesi

C’è però chi non presta molta attenzione a questi dati, anzi li contesta. Il prof. Gianfranco Viesti, economista dell’Università di Bari e presidente dell’Arti (l’Agenzia regionale per l’innovazione), per esempio, invita alla cautela, ritenendo l’imponibile fiscale un indicatore poco credibile. Infatti, <<una comparazione su 8 anni degli imponibili con regole fiscali che cambiano continuamente non mi sembra il modo migliore per descrivere un fenomeno così complesso>>. Ci sono indicatori più attendibili. Gli andamenti, così descritti, non fotografano ciò che è accaduto nell’economia reale. <<Per il periodo 1999-2007 i dati ci dicono che la crescita delle due aree, Sud e Centro-Nord, è stata molto modesta ma paragonabile: nel primo quadriennio è andato un po’ meglio il Sud, negli ultimi ha fatto meglio il Nord. Le differenze sono state di pochi decimi di punto percentuale che non possono certo spiegare tutta questa disparità tra le regioni settentrionali e quelle meridionali>>. E’ cosa risaputa che ci siano scarti nei redditi, c’è una differenza anche del 40% rispetto al reddito pro-capite tra Sud e Nord, quelle che non convince Viesti è che la Lombardia sia cresciuta del 10 per cento perché le cose in Italia vanno male dappertutto. Certo anche l’economia della Puglia non va bene. <<A parte quest’ultimo biennio, con risultati un po’ migliori e comunque da verificare, è dal 2001 che cresciamo molto poco ma sempre in linea con i dati nazionali. Pochi decimi di punto di differenza, che non sono tali da giustificare differenze così abissali>>.

L’analisi pubblicata da Il Sole-24 Ore, non sorprende il Sindacato che sa bene quanto i redditi in Puglia siano molto bassi e che c’è una fascia molto ampia di piccole imprese in grande difficoltà. Chi sopporta la maggior perdita di reddito, sostiene il Sindacato, sono lavoratori dipendenti e pensionati. Ci sono salari più bassi del 20.30% rispetto al Centro-Nord, c’è più disoccupazione, c’è

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La crisi economico-finanziaria

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più lavoro nero e buona parte dei pensionati è al minimo. In Puglia, aggiunge il Sindacato, si guadagna poco anche per la preminenza dei settori tradizionali. Su 1,4 milioni di occupati circa 750-800 mila sono occupati nel terziario, ma è ancora molto forte l’agricoltura dove i guadagni sono davvero bassissimi.

*Ufficio Studi di Confcommercio La vitalità del sistema economico pugliese va diminuendo, complice la crisi internazionale ma anche una debolezza strutturale dell’attuale modello di sviluppo regionale. E’ quanto sostiene la ricerca su “Economia, mercato del lavoro e imprese in Puglia”, curata dall’Ufficio Studi di Confcommercio.

Mentre tra il 1996 e il 2000, sostiene l’Ufficio Studi, la crescita media annua del valore aggiunto in Puglia è stata del 2,2% rispetto al 2% nazionale, negli anni successivi l’economia pugliese non è riuscita a tenere il passo di quella dell’intero Paese. La debolezza strutturale del modello regionale, secondo Confcommercio, rende l’economia locale più fragile ed esposta, facendo rischiare di <<vanificare quanto di positivo si sta attuando in termini di innovazione, riqualificazione e riorganizzazione nel sistema produttivo regionale>>.

LE IMPRESE REGISTRATE IN PUGLIA

Puglia Sud Italia

2000 % 2008 % 2000 % 2008 % 2000 % 2008 %

Agricoltura 118.504 31,4 92.992 23,8 472.004 25,4 411.011 20,4 1.070.786 18,8 913.315 15,0

Industria 76.254 20,2 86.901 22,3 395.870 21,3 447.785 22,2 1.426.082 25,0 1.617.258 26,5

Servizi 160.531 42,5 182.896 46,9 875.586 47,1 1.000.208 49,7 2.852.304 50,1 3.214.134 52,7

Commercio 105.419 27,9 112.049 28,7 563.902 30,3 606.864 30,1 1.524.792 26,8 1.579.871 25,9

Non Class. 22.468 5,9 27.564 7,1 114.909 6,2 155.267 7,7 349.390 6,1 359.360 5,9

Totale economia 377.757 100,0 390.353 100,0 1.858.369 100,0 2.014.271 100,0 5.698.562 100,0 6.104.067 100,0

Fonte: Elaborazione Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat e Movimprese

*Rapporto sull’economie regionali della Banca d’Italia Per accendere i riflettori sull’attività produttiva in Puglia, ricorriamo al “Rapporto sull’andamento delle attività economiche della Regione”, reso pubblico dalla sede di Bari della Banca d’Italia.

<<Nei primi nove mesi del 2008 l’attività produttiva in Puglia ha mostrato segnali di ulteriore rallentamento>>. Ha tutto il sapore di una lapidaria sentenza questa affermazione che si legge nel Rapporto. Da un sondaggio condotto nei mesi di settembre ed ottobre su 308 imprese industriali con almeno 20 dipendenti, le aspettative sono molto caute. Infatti, il 24% delle imprese interrogate si attendono una recessione nei prossimi mesi, il 18% pensa ad una ripresa. La previsione pessimistica ha influito non poco sulla riduzione della spesa per gli investimenti nell’anno in corso rispetto a quella programmata per il 2008. Le stesse imprese credono a una riduzione degli investimenti anche nel 2009 rispetto al 2008. Se nel 2006 la Bankitalia aveva rilevato una Puglia attraversata da una sostenuta crescita e nel 2007 da un rallentamento, per il 2008 non vi sono dubbi su un ulteriore rallentamento che può generare il rischio di una stagnazione.

Dice il Rapporto: <<La dinamica della produzione industriale ha risentito dell’indebolimento della domanda interna e delle incertezze sulla futura evoluzione della congiuntura>>.

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Il Sistema Puglia 21

Le vendite al dettaglio nella grande distribuzione hanno registrato un rallentamento ma, nei primi nove mesi del 2008 sono precipitate le immatricolazioni delle nuove automobili, diminuite del 13%, in verità in linea con il Mezzogiorno (-13,3) e l’Italia (-11,1). Secondo le stime del Cresme, nel corso dei primi sei mesi del 2008, il valore complessivo delle opere pubbliche appaltate in Puglia si è sensibilmente ridotto (-26,8%) rispetto al corrispondente periodo del 2007, in controtendenza all’andamento nazionale (8,8%), anche sul fronte immobiliare c’è da registrare una frenata: il flusso delle nuove erogazione di muti per acquisto di abitazioni ha registrato una flessione del 6,8%, in seguito alle elevate quotazioni del mercato immobiliare e ai tassi di interesse elevati. Il settore calzaturiero conosce gravi difficoltà (-15,7% di export) e così il mobile (-5,2). Il tessile abbigliamento ha conosciuto un +2,4% di vendite all’estero e un +0,7% a livello nazionale. Sui mercati esteri sono cresciute le vendite anche di tessili confezionati e di maglierie, di contro si sono contratte quelle delle pellicce e degli indumenti in pelle. In crescita gli scambi con l’estero: nel primo semestre le esportazioni di beni a prezzi correnti sono aumentate dell’11,2 a un ritmo superiore a quello nazionale (5,9) e delle Regioni meridionali (8,8). L’espansione delle esportazioni ha riguardato la chimica, in particolare i prodotti farmaceutici; i mezzi di trasporto con un aumento del 5% (componentistica per autovetture a Bari e aeromobile nelle province di Brindisi, Taranto e Foggia); la siderurgia (5,7%); le macchine e gli apparecchi meccanici (17,3). Secondo i dati dell’Assessorato della Regione Puglia è in crescita il Turismo. Sempre nei primi otto mesi dell’anno gli arrivi sono aumentati del 6% e le presenze del 3,5% rispetto al 2007.

Titoli in deposito presso le banche

(consistenze di fine periodo in milioni di euro e variazioni sul periodo corrispondente)

Voci Giugno 2008 Dic. 2007 Giu. 2008

Titoli a custodia semplice e amministrata 15.969 7,2 6,3

* di cui: titoli di Stato Italiani 8.480 11,9 1,1

Obbligazioni 2.620 34,4 33,4

Azioni 1.640 5,5 65,5

Quote di OICR 2.844 -15,0 -14,8

Fonte: Banca d’Italia

Tassi di interesse bancari

(valori percentuali)

Voci Giugno 2008 Dice. 2007 Giu. 2008

Tassi Attivi

Prestiti a breve termine 8,1 8,3 8,3

Prestiti a medio e lungo termine 5,6 6,1 6,1

* di cui: a famiglia consum. per l’acquisto di abitazione 5,7 5,0 6,0

Tassi Passivi

Conti correnti liberi 1,3 1,5 1,5

Fonte: Banca d’Italia

Il prof. Michele Capriati, economista, docente universitario e consigliere economico del Governatore, sostiene in una intervista rilasciata a la Repubblica-Bari per commentare il Rapporto

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La crisi economico-finanziaria

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Bankitalia, che vista la situazione nel resto d’Europa, l’economia pugliese tiene bene, quello che, invece, preoccupa sono i consumi e i redditi. Si temeva un rallentamento della domanda interna, si temeva che la crisi mondiale, dice, potesse intaccare anche la nostra rete produttiva. Si può affermare che la Puglia, rispetto alle regioni del Nord tiene il confronto e surclassa le altre zone del Sud.

L’apparato complessivo tiene e questo può agevolare la ripresa. Non c’è, sottolinea, nessuna recessione pugliese. Eppure le nostre aziende producono ed esportano in settori anche importanti.

Quello che spaventa l’economista, e lo ripete più volte, è il calo dei consumi anche se non si è al crollo ma le preoccupazione hanno ragion d’essere. Si badi bene, aggiunge, che in questa affermazione non c’è riferimento al settore auto che segue una tipologia particolare d’analisi, <<mi riferisco al commercio, alla grande distribuzione e all’aumento del credito al consumo>>.

La gente ha meno soldi e spende di meno. Se non s’interviene con celerità si rischia di essere travolti.

E’ da mesi, annuncia Capriati, che si sta studiando alla Regione un pacchetto di interventi che rianimi i redditi producendo così una capacità di spesa.

Avverte correttamente che questi interventi sono solo a buon punto dal punto di vista tecnico, poi sarà la Giunta a doverli varare.

Si è pensato, dice illustrando le iniziative, ad un forte sostegno alle opere pubbliche con i programmi Fest e Fas e anche a misure per gli investimenti privati, ai contratti di programmi, i Pia (Programmi integrati di agevolazioni), ad aiuti alla ricerca e ad un prestito d’onore per coloro che vogliono avviare un’attività di impresa. La spesa prevista si aggira sulle centinaia di milioni che toccheranno anche il fondo di garanzia, alle assunzioni di lavoratori svantaggiati, alla formazione professionale. Si è previsto, aggiunge, una misura che riguarda le famiglie: agevolare l’incontro tra domanda e offerta soprattutto per quanto riguarda i servizi essenziali. Il prof. Capriati definisce tutti questi interventi <<una misura di grande impatto>>.

La crisi finanziaria: dove sono finiti 2.800 miliardi di dollari L’approccio a questa crisi economico-finanziaria prende consapevolezza se riesce a risalire alle origini e alla sua natura. Noi crediamo, con questo capitolo, di offrire una chiave di lettura sufficientemente chiara da permettere una predisposizione più attenta e preparata nell’affrontare i termini e i dati preoccupanti di una recessione che, ci pare, nessuno più nega. Queste affermazioni non sono il risultato di una nostra altera presuntuosità, perché ci siamo semplicemente affidati a chi, dall’alto del suo prestigio di studioso, questa crisi l’aveva prevista e analizzata in tempi non sospetti.

<<Secondo la Banca d’Inghilterra, gli istituti finanziari di tutto il mondo hanno già perso 2.800 miliardi di dollari. Spesso si sente dire che questi soldi sono ‘andati in fumo’, ‘spariti’ o ‘bruciati’. E la distruzione di denaro continua. Quanto saranno le perdite? Nessuno lo sa. Ma forse si può dare già una risposta all’interrogativo più interessante: dove sono finiti quei 2.800 miliardi di dollari? In realtà il denaro sparisce raramente. Spesso, invece, cambia proprietario>>. E’ quello che sostiene l’intervista rilasciata da Max Otten al giornale tedesco “Die Zeit”. Otten era uno sconosciuto professore di economia all’università di Worms, scrisse un libro in cui prevedeva il crollo delle borse, il crac delle banche e il rischio del fallimento della General Motors.

<<Se leggo correttamente i segnali che l’economia mondiale ci lancia, dico che il crollo ci sarà per forza e che avrà conseguenze devastanti>>, scriveva Otten. Il suo libro, che s’intitola Der Crasch

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Il Sistema Puglia 23

Kommt (Arriva il crac), è uscito nella primavera del 2006 e ha venduto bene, ma non è diventato un best seller. Poi è arrivato il crac, e da allora l’autore è diventato ‘l’uomo che sapeva tutto’. Dice Max Otten che era rimasto colpito dal clima non solo ottimistico ma entusiastico che imperversava in tv, sulla stampa; colleghi che giuravano che il boom avrebbe retto e i prezzi delle azioni sarebbero saliti ancora. Lui, di certo, non era d’accordo, era convinto, invece, che il mondo stesse andando verso una catastrofe economica. Così scrisse il libro. Abbiamo ritenuto importante soffermarci su questa intervista, di cui riportiamo i passi essenziali, perché chiarisce i punti nodali che hanno provocato l’attuale crac che in maniera devastante sta interessando l’intera economia mondiale e come si intende uscirne.

<<Allora dove sono finiti i soldi?>> <<Bisogna andare negli Stati Uniti – argomenta Otten – nei quartieri residenziali e dare un’occhiata alle case. A Henderson, nel Nevada, c’è il complesso residenziale Inspirada. Ci sono centinaia di case pronte per essere abitate ma vuote>>. Prima che l’impresa immobiliare Toll Brothers cominciasse a investire qui milioni di dollari, questo appezzamento di terreno, spiega, era un mucchio di sabbia con qualche cactus. Un’area grande 790 ettari, cioè come 1.400 campi di calcio. Solo qui sono stati investiti 550 milioni di dollari ed altrettanto ne sono stati spesi per fare le strade, i vialetti e le fognature. <<La risposta al primo interrogativo su dove sono finiti i soldi – dice l’economista – la troviamo qui: in una città fantasma vicino a Las Vegas. In Nevada le case in vendita sono 22mila. In tutti gli Stati Uniti ci sono 4 milioni e 670 mila case e appartamenti vuoti che nessuno vuole. Ognuno è costato in media 212 mila dollari. In totale fanno 990 miliardi di dollari rimasti murati nelle pareti e nei pavimenti>>.

In sostanza, per dieci anni le imprese statunitensi hanno costruito centri residenziali. Per dieci anni hanno fatto ottimi affari, perché per tutto questo tempo gli statunitensi hanno comprato qualsiasi cosa avesse quattro mura. I soldi li hanno avuto dalle banche. Il privato cittadino si fa prestare dalla banca X un importo in denaro che poi restituisce con un’aggiunta: l’interesse. Un buon affare per entrambe le parti. La banca incassa interessi e realizza un guadagno. Con il denaro preso in prestito, il cittadino può comprare qualcosa che altrimenti non sarebbe alla sua portata, per esempio una casa. L’unica condizione è che il privato cittadino possa restituire il prestito.

Negli ultimi anni tutti negli Stati Uniti hanno potuto prendere soldi in prestito: i tassi d’interesse non erano mai stati così bassi. La domanda di case è aumentata e di conseguenza anche i prezzi.

Gli agenti immobiliari, visto il successo di questi scambi, hanno cominciato a rivolgersi a donne di servizio e braccianti che guadagnavano cinque dollari. E gli hanno detto: se comprate una casa che vale duecentomila dollari e non potete restituire i soldi del mutuo, non fa niente, perché i prezzi stanno salendo e tra cinque anni la vostra casa varrà trecentomila dollari. A quel punto potrete offrirla in garanzia per chiedere un nuovo mutuo e pagare quello vecchio. Era un affare in cui tutti ci guadagnavano. Ma a condizione che i prezzi salissero. Ecco perché, spiega Otten, le imprese hanno costruito sempre più case: un milione e duecentomila all’anno. E, per comprarle, sempre più persone hanno preso dei soldi in prestito. Finché non è successo che la colossale offerta di case nuove ha cominciato a saturare il mercato, e i prezzi degli immobili sono scesi precipitosamente. All’improvviso milioni di statunitensi non hanno più ottenuto nuovi prestiti per finanziare i loro vecchi mutui ipotecari. E le banche americane si sono rese conto che non avrebbero più rivisto molti dei soldi prestati.

Il denaro è rimasto congelato nelle proprietà immobiliari invendibili. E sta nelle tasche degli agenti immobiliari e di quei proprietari che sono riusciti a vendere le case prima che i prezzi scendessero. I soldi stanno nelle mani dei fabbricanti di cemento, dei manovratori di escavatrici e dei muratori, che con quei soldi hanno forse comprato automobili giapponesi, frigoriferi tedeschi o giocattoli

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La crisi economico-finanziaria

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cinesi per i loro bambini. Ma ora quel denaro manca alle banche americane, non alle finanziarie tedesche, britanniche o svizzere. <<Ma come mai sono stati gli istituti finanziari di tutto il mondo ad accumulare perdite per 2.800 miliardi di dollari? Com’è successo che per via di alcune case che non si riescono a vendere nel deserto del Nevada, la Commerzbank ha bisogno di un’iniezione di capitali di 8,2 miliardi di euro?>>. Sono le angosciose domande che pone il Die Zeit. Max Otten aveva detto che per capire come la crisi avrebbe potuto estendersi, occorreva puntare lo sguardo sull’industria finanziaria, un settore formato innanzitutto dalle banche d’investimento: istituti come Goldman Sachs, J.P. Morgan, Morgan Stanley o Lehman Brothers, i cui affari ruotano prevalentemente intorno alle azioni, alle opzioni e ai contratti a termine. Le banche d’investimento cercano continuamente nuovi titoli. E il prodotto che ha provocato le diffusione della crisi in tutto il mondo, spiega l’uomo che sapeva tutto, si chiama mortgage backed security (cioè obbligazione garantita da ipoteche).

<<Lewis Ranieri, un italoamericano, cambiò tutto. Rese il mercato dei prestiti ipotecari una specie di colossale borsa dove ognuno poteva comprare in qualsiasi momento delle partecipazioni sui mutui. Ranieri trasformò il prestito che il privato cittadino otteneva dalla banca statunitense in un titolo che poteva essere rivenduto alla banca tedesca, a quella britannica o a quella svizzera. Non solo, pensò di riunire in un grosso pacchetto da cui poter poi tagliare delle fette da rivendere. Queste sono le mortgage backed securities. Da allora solo formalmente chi compra case restituisce il mutuo ipotecario alla banca che lo ha erogato: di fatto il denaro finisce in tasca a chi ha ricomprato i titoli ipotecari. Cioè a banche di tutto il mondo, assicurazioni, fondi d’investimento e clienti dei fondi, che comprando hanno scommesso sul fatto che il maggior numero possibile di persone sia in grado di ripagare i debiti contratti.>>

All’inizio è andato tutto a meraviglia: le obbligazioni garantite da ipoteche diventarono campioni di vendite, e nell’affare entrarono altre banche d’investimento. I titoli erano richiestissimi da istituti finanziari e da investitori di tutto il mondo: la tedesca Deutsche Nank, la svizzera Ubs, la francese Crédit Agricole, la britannica Royal Bank of Scotland, il gruppo giapponese Mizuho.

A un certo punto negli Stati Uniti la domanda di quei titoli ha superato il valore dei veri e propri mutui ipotecari. Quindi occorreva emetterne di più. Così le banche hanno abbassato i criteri per l’erogazione dei mutui: hanno smesso di chiedere ai clienti la garanzia di un capitale di proprietà e di un buon reddito. Cioè, come abbiamo detto, hanno cominciato ad interessarsi alle donne di pulizie e ai braccianti. Questo tipo di mutui è stato denominato subprime, di seconda scelta. <<Negli anni compresi tra il 2000 e il 2005 il loro volume è aumentato di 495 miliardi di dollari, fino a raggiungere i 625 miliardi. Impacchettati insieme ai crediti di prima scelta concessi a clienti solvibili come medici o avvocati, anche i mutui subprime sono stati trasformati in titoli>>.

<<Mentre le donne di pulizie e i braccianti speculavano sul futuro le banche d’investimento inventavano nuovi prodotti finanziari che nascondevano i rischi colossali di quelle ipoteche. Quello che in condizioni normali si sarebbe dovuto chiamare ‘imbroglio’ portava nomi complicati come collateral debt obligations o credit default swaps. Si trattava di titoli privi di qualsiasi fondamento economico, tranne uno: le banche d’investimento che li mettono sul mercato riscuotono enormi provvigioni>>.

Queste entrate hanno fatto salire i profitti delle banche d’investimento e sono arrivate nelle tasche dei dipendenti degli istituti di credito sotto forma di bonus.

<<Il denaro fluiva dagli istituti di credito di tutto il mondo nelle casse delle banche che erogavano mutui negli Stati Uniti, mentre una forte corrente laterale lo deviava verso le banche d’investimento e i loro manager. Dalle banche ipotecarie andava agli acquirenti di case. E da lì sarebbe tornato indietro agli istituti di tutto il mondo, ai detentori dei titoli di credito. Sempre che i braccianti e le

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donne delle pulizie riuscissero a saldare i loro debiti. E a condizione che i prezzi delle proprietà immobiliari continuassero ad aumentare>>. Per esemplificare vediamo ora che cosa è accaduto alla Commerzbank di Francoforte sul Meno.

Al trentanovesimo piano del grattacielo occupato da questa banca comincia la divisione bilancio che si estende fino al quarantaduesimo piano. Qui lavorano trecento persone. Si occupano di cose che non hanno niente a che fare con la missione della banca. Ma attualmente il loro compito è di vitale importanza per la Commerzbank: devono calcolare quanto vale ancora il patrimonio della banca: i titoli, le proprietà immobiliari, i crediti esigibili. Le chiamano ‘rettifiche di valore’. I risultati di questo lavoro sono trasmessi all’ultimo piano, quello del consiglio di amministrazione.

La Commerzbank ha investito 1,2 miliardi di euro nei titoli legati ai mutui subprime. Buona parte di quei titoli sono ancora in suo possesso, ma non c’è più nessuno che voglia comprarli: per loro non c’è più mercato. La banca, però, deve iscriverli a bilancio al valore attuale di mercato. Insomma, i titoli e i mutui ci sono ancora, ma non valgono niente. I soldi se ne sono andati. Una parte resterà immobilizzata per sempre in case vuote, che vanno lentamente in rovina. Ma un’altra parte probabilmente tornerà, perché non tutti i debitori resteranno insolventi per sempre. A quel punto il denaro riprenderà ad affluire nelle tasche dei proprietari delle obbligazioni. Si troveranno nuovi acquirenti per i titoli, che torneranno ad avere un valore sul mercato. Bisogna solo aspettare che il caos si plachi. Il problema è che le banche non possono aspettare. Devono redigere un rapporto ogni tre mesi e uno annuale. Nel pieno della crisi i governi hanno modificato alcune norme di bilancio, ma le banche sono ancora obbligate a registrare gran parte dei titoli al prezzo attuale di mercato. E se nel giorno di chiusura del bilancio il prezzo è basso, le perdite sono alte e la banca fallisce. <<Negli ultimi mesi solo negli Stati Uniti 304 società finanziarie e 22 banche sono state costrette a dichiarare insolvenza. Il caso più clamoroso è stato quello della banca d’investimento Lehman Brothers. Poco dopo il fallimento dell’istituto statunitense, anche le tre principali banche islandesi sono andate a gambe all’aria, e subito dopo l’intero stato nordeuropeo. E se l’Islanda è quasi in bancarotta, come se la passa l’Italia? E non è a rischio anche la Grecia? E quanto sono solide le finanze della Croazia? Ecco le domande che in questi mesi si pongono gli investitori di tutto il mondo. E’ così che all’improvviso perdono valore anche i titoli che non hanno niente a che fare con i mutui statunitensi, per esempio i titoli di stato islandesi, italiani o greci>>. Il problema è che ora, per compensare le svalutazioni le banche di tutto il mondo hanno bisogno urgente di denaro fresco: molto di più di quanto ne sia andato perso nella crisi dei mutui. All’improvviso non si tratta più di un paio di centinaia di miliardi di dollari, ma di migliaia di miliardi. La conseguenza è che paradossalmente nelle borse di tutto il mondo si possono guadagnare molti soldi in un colpo solo.

<<Ma come, non abbiamo detto che da mesi le azioni di quasi tutte le imprese stanno perdendo valore? Si parla di 23mila miliardi di dollari bruciati in borsa. Certo, quei soldi sono spariti, ma non sono stati bruciati. Sono evaporati. E in borsa questo fa la differenza, perché il vapore acqueo, quando si raffredda, si trasforma di nuovo in acqua. Questa legge vale anche per denaro, che torna liquido e quindi torna a scorrere. Solo che a quel punto di solito scorre verso altre tasche>>. I fratelli Patrick e Robert Hable stanno analizzando i dati relativi ai mercati finanziari. Sono dati speciali, usati per le indagini sul reato di insider trading (l’uso illecito di informazioni privilegiate sulle aziende quotate in borsa). Premendo un tasto, sullo schermo del computer di Patrick Hable compaiono i nomi di manager che ultimamente hanno comprato azioni delle loro imprese. Sono moltissimi. <<I manager approfittano del calo dovuto alla crisi per comprare azioni a poco prezzo>>.

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La crisi economico-finanziaria

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Ci vorrà ancora molto tempo prima che i prezzi delle azioni tornino a crescere in modo costante. Ma quando succederà, gran parte delle migliaia di miliardi che le borse hanno bruciato durante la crisi torneranno indietro. A quel punto, però, i titoli apparterranno a chi ha comprato in questi mesi: manager e ricchi investitori, insomma quelli nelle cui tasche il denaro entrava già negli anni passati. <<Uno di quelli che ci guadagnano di più potrebbe essere Gao Xiquing Su incaricato dal suo datore di lavoro, la Repubblica Popolare Cinese. Nei prossimi mesi Gao Xiquing dovrebbe investire 80 miliardi di dollari in imprese straniere. E’ il capo della China Investiment Corporation (cic) uno dei più grandi fondi sovrani del mondo>>. Raccontano gli intervistatori di Max Ott che, alla fine della conversazione, l’economista posa sul tavolo un libro intitolato ‘Il grande crollo’. Il suo autore, John Kenneth Galbraith, è considerato uno dei massimi economisti del ventesimo secolo. Nel libro spiega come si arrivò alla grande depressione degli anni trenta. Anche all’epoca ci furono banche che fallirono e prezzi azionari in caduta libera. Galbraith fornisce una spiegazione interessante, raccontano i giornalisti intervistatori: i ricchi erano diventati troppo ricchi. Negli anni trenta lo 0,1 per cento dei cittadini americani possedeva quasi il 40 per cento della ricchezza complessiva. Di conseguenza, sostiene l’autore del libro, molti non sapevano cosa fare del loro denaro. Così cominciarono a speculare e a cercare nuovi prodotti in cui investire.

Oggi negli Stati Uniti la ricchezza non è distribuita in modo così diseguale come allora. Attualmente negli Stati Uniti il 40 per cento della società possiede solo lo 0,2 per cento della ricchezza complessiva. In questi ultimi anni chi non voleva restare ai margini della società ha avuto una sola scelta: prendere denaro in prestito. Per far studiare i figli, per pagare l’assistenza sanitaria, per comprare una casa. Alla fine molti statunitensi non sono più riusciti a saldare i loro debiti. Per questo ora paga lo Stato. I governi di tutti i grandi paesi industrializzati, c’informa Die Zeit, hanno varato dei piani di salvataggio. L’idea è fornire alle banche denaro fresco per compensare almeno in parte le perdite causate dalla crisi finanziaria. In Germania le banche devono spedire un fax o una lettera a Francoforte sul Meno. In Gran Bretagna non devono neanche fare richiesta: i capitali sono erogati per precauzione. Conclude Max Ott: <<E così siamo arrivati al punto in cui sono gli stati a finanziare a posteriori gli immobili costruiti negli Stati Uniti. Ma anche le provvigioni degli intermediari immobiliari, i bonus dei manager delle banche d’investimento, i salari dei lavoratori edili. Resta un interrogativo: i governi e gli stati dove prendono il denaro di cui hanno bisogno? La risposta calza a perfezione al modo in cui questa crisi è cominciata. Paesi come la Germania, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna si comportano come gli americani che compravano le case: prendono soldi in prestito, fanno debiti>>. Per esempio in Germania, informa sempre il giornale, ci pensa una società, la Bundesrepublik Deutschland Finanzagentur , che è di proprietà dello stato al 100 per cento. Negli ultimi dodici mesi questa società ha preso 220 miliardi di euro in prestito per conto del governo di Berlino. Il grosso di questo debito è stato contratto solo per poter rimborsare prestiti già esistenti, a cui si sono aggiunti altri 14 miliardi di euro. Questi soldi li ha ottenuti attraverso la vendita di titoli di stato. La Repubblica Federale Tedesca si impegna a restituire i soldi ai compratori di questi titoli dopo 5, 7 o 10 anni, naturalmente con gli interessi. Tra gli acquirenti ci sono grandi fondi d’investimento giapponesi, statunitensi, di Singapore o dell’est europeo. Forse fra sette anni – è il commento degli intervistatori di Max Ott - quando probabilmente il governo sarà costretto ad aumentare le tasse perché i debiti dello Stato saranno cresciuti, il cittadino tedesco capirà che i soldi delle sue tasse sono l’ultimo anello di una lunga catena di movimenti di denaro che sono già stati spesi da un pezzo. Sull’altra sponda dell’Atlantico, negli Stati Uniti. Perché qualche anno prima, a qualcuno era sembrato un buon affare costruire una villa signorile in cui si respirasse aria di Las Vegas.

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LA TEMPESTA FINANZIARIA E LA PUGLIA – “LE PREVISIONI REGIONALI” DELLA SVIMEZ La tempesta finanziaria non ha avuto, almeno nell’immediato, effetti diretti sul sistema produttivo pugliese. A sentire i massimi esponenti della Confindustria regionale è possibile che essa possa frenare e/o invertire la crescita registrata negli ultimi 18 mesi. Mentre hanno addentato anche la nostra realtà, i mutui variabili e derivati.

Il grido che accomuna costruttori e commercianti è l’allarme della possibile chiusura dei rubinetti da parte delle banche. Un tale comportamento certamente disarmerà le imprese che si troveranno notevolmente esposte nella gestione della recessione. Non è un caso che dovunque ti affacci non fai che registrare preoccupate previsioni anche se con tono pacato. L’Ance regionale avverte che se vi sarà, come è possibile, un rallentamento del mercato dei mutui sarà inevitabile la crisi dell’edilizia privata. E così la Confcommercio pugliese: la mancanza di fiducia dei consumatori, inevitabilmente spinge verso il basso i consumi. Il che vuol dire l’aggravamento di una situazione anche più pesante di quella che si è dovuta affrontare nei mesi scorsi. Ma andiamo con ordine. L’Associazione nazionale costruttori edili lancia l’allarme: dopo 9 anni di crescita il settore dell’edilizia incontra una fase di difficoltà. La crisi finanziaria, indubbiamente, pesa sul settore.

Le preoccupazioni assumono proporzioni più ampie in Puglia, dato che questa regione con 220 mila occupati e il 10% del Pil è la prima industria. E se l’edilizia conoscesse una sensibile crisi, rischierebbe di trascinare con sé tutta l’economia regionale. Diciamo subito che i numeri offrono segnali contrastanti. Infatti, le compravendite al Sud sono crollate del 10,4%; a Bari, di contro, i prezzi sono saliti del 3%. L’Ufficio studi della Gabetti, da parte sua, ci dice che il mercato immobiliare risulta in rallentamento a Lecce, in calo a Taranto e in forte flessione a Brindisi nel primo semestre del 2008. E’ il comportamento delle banche la maggiore preoccupazione dei costruttori: se le banche stringono i cordoni e si fanno meno mutui, la naturale conseguenza sarà che si venderanno meno case e quindi si costruirà di meno. Non a caso l’Ance prevede per il 2008 un calo del 2,8% dell’edilizia privata che salirà al 3% per l’anno successivo. Cauto ma deciso l’ottimismo dell’Ance pugliese che lega la sua più rosea prospettiva all’auspicata riduzione dell’Euribor, che potrebbe dare una spinta al settore con il ripristino dei mutui. Del resto, secondo l’Associazione regionale, vi è una diffusa e giusta convinzione che l’edilizia ha sempre rappresentato un investimento sicuro. In più, in Italia non c’è alcuna bolla immobiliare, tanto che il valore degli immobili continua ad aumentare nonostante lo stato d’incertezza. C’è da aggiungere che a differenza del Centro-Nord, la Puglia deve ancora coprire il fabbisogno abitativo. Esiste quindi il mercato. L’unica perplessità è che il malessere generale non incida sulle dinamiche. Ad esempio a Bari ci sono importanti iniziative che si basano sull’immobiliare. D’altra parte, come abbiamo già detto, se si blocca il mercato, si blocca l’economia.

Altro aspetto critico, particolarmente legato al Sud e quindi anche alla Puglia, riguarda il blocco degli appalti pubblici; la manovra d’estate e la proposta della Finanziaria prevedono, per il 2009, una contrazione del 14,2%. I principali programmi di spesa come quelli ferroviari, stradali o della Legge obiettivo subiscono pesantissimi tagli che mettono a rischio non solo la capacità di realizzare

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La crisi economico-finanziaria

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le opere ma la stessa solvibilità dei contratti in corso, per non accennare all’ulteriore allungamento dei tempi di pagamento soprattutto nelle piccole amministrazioni. E questo non farà che aumentare gli oneri finanziari a carico delle imprese.

Le “Previsioni Regionali” redatte dall’Istituto per lo sviluppo del Mezzogiorno rimettono in discussione tutto ciò che di positivo era stato detto e su cui abbiamo riferito nel capitolo “IlSistema Puglia”. Si disintegra tutto l’ottimismo diffuso, prende forma una realtà ben più critica e preoccupante su cui sarebbe interessante veder cimentarsi gli stessi protagonisti che dissertavano sui livelli positivi sia del Pil che dell’export. Ma vediamo cosa dicono le ‘Previsioni’.

Intanto avverte la Svimez che le previsioni ipotizzano <<che le misure di politica economica finora adottate nei diversi paesi, e quelle che saranno eventualmente poste in essere, siano in grado di arrestare progressivamente la caduta dei mercati finanziari e, successivamente, possano ristabilire la fiducia degli operatori, siano essi consumatori, imprese, intermediari finanziari…>>. Inoltre, è anche ipotizzato che gli interventi anticiclici discussi a livello comunitario e/o dei maggiori paesi, nella seconda parte del 2009 modifichino le aspettative dei consumatori. Infine, nelle previsioni si è calcolato l’effetto delle misure presentate dal Governo nel DL 185/2008 c.d. “anti-crisi”. L’attuale crisi finanziaria, secondo quanto si scrive sulle Previsioni, si è generata nel settore privato <<in Italia, e nella gran parte dei Paesi europei, l’indebitamento delle famiglie è strutturalmente inferiore a quello dei paesi anglosassoni maggiormente colpiti, per l’appunto, dall’improvvisa contrazione della liquidità>>. La debolezza della domanda mondiale e le turbolenze nei mercati internazionali, che hanno sollecitato il rischio speculativo di acquisti/vendite, hanno suggerito il rientro delle quotazioni delle materie prime.

Si è tenuto conto, da parte della Svimez, che queste variabili non dovrebbero discostarsi almeno nell’arco di tempo preso a misura dalle ‘Previsioni’.

Le valutazioni del Fondo Monetario Internazionale segnalano nel 2008, relativamente alle dimensioni del commercio mondiale, un progresso del 4,6% inferiore al saggio di crescita denunciato nel 2007(7,2%). E’ nel 2009 che gli effetti della crisi finanziaria dovrebbero pesare con una forza più risoluta sul commercio mondiale con un saggio di variazione del 2,1%, che rappresenta la metà di quella dell’anno precedente. Relativamente, poi, alla Finanza Pubblica, la Svimez ci avverte di aver adottato i saldi riportati sulla Nota di Aggiornamento di Programmazione Economico-Finanziaria presentata nel settembre. Il rapporto deficit/Pil delle AA.PP. rimarrebbe sul 3%; la pressione fiscale dovrebbe scendere nel 2008 al 42,8% del Pil, per poi rimanere sostanzialmente stabile. Nella seconda parte del 2008 il peggioramento della congiuntura ha assunto caratteri recessivi.

Il Pil italiano, è sempre la Svimez a parlare, dovrebbe registrare una caduta, in media d’anno, dello 0,4%. Il Mezzogiorno subirà una caduta dell’attività economica più ampia (-0,7%) che nel resto del Paese (-0,3%). Il migliore andamento del Centro-Nord dipende dalla maggiore apertura dei mercati esteri, tre volte quella del Sud, della dinamica del reddito disponibile delle famiglie che raggiunge un +0,5%. Al Sud l’andamento negativo dipende da due fattori: la contrazione della spesa per consumi merci (-0,7% nel resto d’Italia -0,4%). Il risultato è determinato dalla caduta della componente dei beni non durevoli (-1,5% nel resto del Paese -1,3%) e dalla crescita della spesa in servizi che, comunque, nel Sud non andrebbe oltre la metà del Centro-Nord (0,4% - 0,8%). Il decremento nella spesa dei consumi dovuto ad una riduzione del reddito disponibile delle famiglie, che nel Sud dovrebbe risultare appena positivo (0,1%, a fronte di un progresso di mezzo punto percentuale nel Centro-

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Nord) e ad una dinamica occupazionale che nel 2008 risulterebbe negativa nel Mezzogiorno (-0,1%) e positiva nel Centro-Nord (0,5%). Il secondo fattore di debolezza dell’economia meridionale è costituito dai servizi di mercato. I comparti del commercio, alberghi, ristoranti, trasporti e comunicazioni dovrebbe risultare negativo al Sud (-0,2%) e positivo nel resto del Paese (+0,3%). Altrettanto dicasi del comparto della intermediazione finanziaria, delle attività immobiliari e imprenditoriali che al Sud ha tre decimi in meno che al Centro Nord.

Il 2009 non si apre con prospettive migliori, anzi il dato dovrebbe essere più pesante, è questa la previsione dello Svimez.

Il Pil dovrebbe essere -0,8% mentre nel Centro-Nord -0,4%. Se nel resto del Paese si prevede che il reddito delle famiglie crescerà (0,4%), nel Mezzogiorno la variabile sarà stazionaria, mentre la spesa destinata ai consumi resterà negativa -0,7% al Sud, -0,4% nel Centro-Nord. Così la spesa in servizi, stazionaria al Sud, in crescita al Centro-Nord: 0,3%.

Previsioni per alcune variabili macroeconomiche; variazioni percentuali sull’anno precedente

Mezzogiorno Centro-Nord Italia

2007 2008 2009 2007 2008 2009 2007 2008 2009

PIL 0,7 -0,7 -0,8 1,7 -0,3 -0,4 1,5 -0,4 -0,5

Spesa in consumi 0,8 -0,7 -0,7 1,5 -0,4 -0,3 1,3 -0,5 -0,4

- beni durevoli 2,6 -2,5 -2,7 3,4 -2,7 -2,5 3,2 -2,7 -2,5

- beni non durevoli -0,2 -1,5 -1,0 0,2 -1,3 -0,4 0,1 -1,4 -0,6

- servizi 1,6 0,8 0,0 1,6 1,2 0,3 2,1 1,1 0,2

Spesa Amm.ne pubbl. e Istituz. 0,6 0,5 0,5 1,6 1,6 0,5 1,3 0,5 0,6

Investimenti fissi lordi 0,5 -1,1 -2,3 1,5 -1,3 -1,6 1,2 -1,3 -1,8

- macchine, attrezz.e mezzi trasp. -1,5 -2,0 -4,3 0,6 -2,4 -2,0 0,3 -2,3 -2,5

- costruzioni 1,9 -0,2 -0,1 2,4 0,2 -1,1 2,2 0,1 -0,8

Esportazioni (a) 6,9 2,4 1,5 2,8 1,5 1,4 3,2 1,5 1,4

- verso la Ue a 27 (b) 10,6 5,0 5,0 5,8 4,2 5,1 6,3 4,3 5,1

- verso il resto del mondo 13,8 8,9 8,0 10,6 6,9 7,1 10,9 7,0 7,2

Valore aggiunto

- industria in senso stretto 1,9 -1,1 -1,2 0,7 -1,6 -1,1 0,8 -1,5 -1,1

- costruzioni 1,0 -2,2 -2,2 1,9 -0,4 -0,4 1,6 -0,9 -0,9

- commercio, alberghi e ristor. trasporti e comunicazioni

0,8 -0,2 -0,5 2,4 0,3 0,3 2,0 0,2 0,1

- intermediaz. monetaria e finanz. attività immobiliari e imprendit.

0,6 0,5 -0,3 2,7 0,8 0,4 2,3 0,7 0,2

- altre attività 0,8 0,5 0,1 1,9 0,5 0,4 1,1 0,5 0,3

Unità di lavori totali -0,1 -0,1 -0,4 1,4 0,5 0,3 1,0 0,4 0,2

Reddito disponibile delle famiglie 0,4 0,1 0,0 0,6 0,5 0,4 0,5 0,4 0,3 (a) Di merci. Prezzi costanti

(b) Prezzi correnti

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(c) In termini reali

Fonte: per il 2007 Istat per l’Italia e valutazioni Svimez per Centro-Nord e Mezzogiorno, 2008 e 2009 previsioni Svimez

Le informazioni relative al primo semestre dell’anno in corso (forze di lavoro ed esportazioni) non sono in grado di fornire indicazioni chiare <<sul tasso della congiuntura>> essendo contraddittorie: <<L’occupazione aumenta, ad esempio, in modo significativo in regioni in cui le esportazioni si riducono o, comunque, aumentano poco (Veneto, Toscana, Marche ed Umbria). Naturalmente ciò è in parte riconducibile al fatto che il settore produttore di beni raccoglie, in media, appena un quinto dell’occupazione totale, per questo la caduta di export può anche avere effetti limitati sul fronte occupazionale>>.

Variazioni percentuali delle esportazioni e occupati nel 1° semestre 2008 sul 1° semestre 2007, per regione

Export di beni Occupazione

Piemonte 8,1 0,8

Val d’Aosta -16,0 0,5

Lombardia 6,1 1,4

Trentino A.A. 6,3 1,9

Veneto 1,9 2,2

Friuli V.G. 10,2 0,7

Liguria 12,4 1,7

Emilia R. 9,2 1,6

Toscana -1,8 2,9

Umbria -1,9 4,9

Marche -10,8 2,1

Lazio 10,8 1,1

Abruzzo 7,8 5,5

Molise 21,2 3,5

Campania 6,3 -1,0

Puglia 11,3 0,9

Basilicata 12,8 1,4

Calabria 4,5 1,1

Sicilia 6,2 0,0

Sardegna 43,1 0,9

ITALIA 5,9 1,3 Fonte: Istat

Nel commentare i dati su esposti la Svimez avanza alcune perplessità perché <<le differenze sono talvolta talmente spiccate da lasciare aperti forti dubbi sulla plausibilità dei dati, specie di quelli sull’occupazione, che come lo stesso Istat dichiara sono affetti da errori campionari oltre che da elementi di stagionalità>>.

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Passiamo ora alle previsioni relative al biennio 2008-2009. Le differenze tra le regioni sono rilevanti e dipendono <<dal comportamento delle diverse componenti della domanda finale>>. Per alcune regioni vi sarebbe una caduta del Pil in concomitanza della caduta delle esportazioni, ciò si verifica nell’Italia centrale e nel Veneto, per altre il mantenimento delle esportazioni bilancia la flessione dei consumi interni (ciò vale per le altre regioni del Nord).

Le regioni del Sud segnano un deficit negli scambi con l’estero perché non predisposte e perché non ne avvertono i vantaggi. Solo in Molise e in Sardegna che segnano una forte espansione delle vendite all’estero, mantengono un Pil sui tassi di caduta simili a quelli medi nazionali. Le variazioni negative del Pil, nel 2008, si segnalano nel Centro-Nord, in Val d’Aosta (-0,7%), in Toscana (-0,8%) e nelle Marche (-1,0%).

Variazioni percentuali di alcune variabili macroeconomiche per regione

PIL Unità di

Lavoro Totali

Valore

Aggiunto Industria

Unità di

Lavoro Industria

2008 2009 2008 2009 2008 2009 2008 2009

Piemonte -0,2 -0,7 0,4 0,0 -1,3 -1,9 -1,6 -2,2

Val d’Aosta -0,7 -0,3 0,8 0,2 -3,6 -0,7 0,0 0,0

Lombardia -0,4 -0,5 0,4 0,2 -1,5 -1,4 -0,7 -0,8

Trentino A.A. 0,2 -0,5 0,8 0,6 0,4 -1,8 1,1 1,2

Veneto -0,3 0,0 0,4 0,5 -1,7 -0,1 -1,0 -0,4

Friuli V.G. -0,2 -0,2 0,1 0,1 -2,2 -0,8 -1,7 -1,2

Liguria 0,0 -0,2 -0,1 -0,3 -1,8 -1,3 -1,0 -1,0

Emilia R. 0,1 -0,3 0,5 0,1 -0,5 -0,9 -0,4 -0,8

Toscana -0,8 -0,3 0,4 0,4 -3,1 -0,9 -1,3 -0,9

Umbria -0,4 -0,2 0,3 0,3 -2,0 -0,7 -1,0 -0,3

Marche -1,0 0,2 0,9 0,7 -3,6 0,4 1,2 0,6

Lazio 0,1 -0,2 1,5 1,3 -1,5 -1,0 -0,5 -0,6

Abruzzo -0,7 0,0 -0,3 -0,3 -0,9 -0,3 0,2 -0,6

Molise -0,2 -0,5 0,2 0,2 0,3 -0,7 0,4 0,9

Campania -0,8 -0,8 -0,3 -0,5 -1,6 -1,3 -1,8 -1,7

Puglia -0,6 -1,0 -0,2 -0,6 -0,8 -2,0 -0,6 -1,4

Basilicata -0,9 -0,7 0,2 0,3 -1,8 -1,0 0,0 0,8

Calabria -0,7 -0,8 0,3 0,2 -1,3 -1,7 -1,7 -1,7

Sicilia -0,6 -0,7 0,1 -0,1 -1,5 -1,5 0,2 0,1

Sardegna -0,3 -0,8 0,3 -0,2 0,6 -1,6 0,4 -1,3

ITALIA -0,4 -0,5 0,4 0,3 -1,5 -1,1 -0,7 -0,8 Fonte: Previsioni Irpet – Svimez

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La crisi economico-finanziaria

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Nel Mezzogiorno tutte le regioni, nel corso del 2008, dovrebbero registrare un assestamento nel volume di reddito complessivamente realizzato. Il dato della Basilicata (-0,9%) e quello della Campania (-0,8%) sono i peggiori.

Il miglior risultato, ancorché negativo, lo realizzerebbero il Molise (-0,2%) e la Sardegna (-0,3%). Nella produzione industriale significative riduzioni si realizzerebbero sempre in Basilicata (-1,8%) e in Campania (-1,6%). Nel 2009 aspettative negative, difficoltà di accesso al credito, domanda estera stagnante condizioneranno il quadro macro-economico e il Pil italiano registrerà, per il secondo anno consecutivo, una variazione negativa (-0,5%).

Nel Centro-Nord dovremmo denunciare un calo generalizzato del Pil in quasi tutte le regioni, con l’eccezione del Veneto (0,0%) e Marche (0,2%). L’area Centro-Nord-Orientale dovrebbe registrare un certo vigore dovuto alla ripresa delle esportazioni, con il +2,9% del Veneto, il +4,8% delle Marche ed il +4,2% dell’Umbria.

Variazioni percentuali delle esportazioni per regione

2008 2009

Piemonte 2,5 -0,3

Val d’Aosta -4,6 3,2

Lombardia 1,2 0,3

Trentino A.A. 5,4 -0,5

Veneto 1,2 2,9

Friuli V.G. 0,2 1,4

Liguria 2,3 2,1

Emilia R. 3,7 1,3

Toscana -2,2 1,6

Umbria 0,8 4,2

Marche -2,9 4,8

Lazio 2,9 2,8

Abruzzo 0,6 5,9

Molise 5,9 4,4

Campania -1,3 1,9

Puglia 1,8 -1,0

Basilicata -3,0 3,1

Calabria -1,0 1,5

Sicilia 0,8 2,4

Sardegna 15,2 1,3

ITALIA 1,5 1,4 Fonte: Previsioni Irpet-Svimez

Sempre con riferimento al 2009 e all’andamento del Pil si conferma il negativo risultato del Sud, con l’eccezione dell’Abruzzo che dovrebbe risultare stabile (0,0%). Le situazioni più sfavorevoli

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Il Sistema Puglia 33

dovrebbero esprimersi soprattutto in Puglia (-1,0%), ma anche in Campania e Calabria con -0,8% e in Sicilia con -0,7%. L’evoluzione congiunturale nel 2009, altra previsione, risulterebbe più debole al Sud del -0,8% che nel Centro-Nord (-0,4%). Sempre nel 2009, il reddito disponibile delle famiglie dovrebbe crescere nel Centro-Nord dello 0,4%, invece al Sud resterebbe stazionario. La spesa in consumi resterebbe negativa (-0,7% nel Sud e -0,4% nel resto del Paese). Il processo di accumulazione nel 2009, è sempre lo studio della Svimez che ci informa, <<dovrebbe permanere di segno negativo in entrambe le macro-aree (-1,3% nel Centro-Nord e -1,6% nelle regioni meridionali). Ma nel Mezzogiorno la caduta degli investimenti in macchine attrezzate e mezzi di trasporto (-4,3%) appare particolarmente grave>>. Sull’occupazione le previsioni parlano di un calo in quasi tutte le regioni, ma più consistente in quelle meridionali. Le unità di lavoro totali dovrebbero calare, nel 2009 rispetto al 2008, dello 0,1% in Sicilia, 0,2% in Sardegna e nel Molise, dello 0,3 in Abruzzo, dello 0,5 in Campania e dello 0,6 in Puglia. Aumenti irrilevanti, ma in linea con il dato nazionale, in Calabria (0,2) e Basilicata (0,3). Sull’occupazione l’elaborazione di Unioncamere dà risultati un po’ diversi ma ugualmente deludenti: le maggiori difficoltà occupazionali nel 2009 si dovrebbero verificare in Basilicata (-0,7%), in Sardegna e Sicilia (-0,6%). Pur divergendo sull’analisi regione per regione, i due studi concordano sul fatto che comunque è il Sud a perdere più unità lavorative. Secondo Unioncamere il decremento nel Mezzogiorno è dello 0,3%.

Non vi è dubbio che l’economia desta giustificate preoccupazioni e per le famiglie, secondo lo studio Svimez, non le aiutano neppure i provvedimenti adottati. In proposito, lo studio delle “Previsioni per le regioni italiane nel 2008 e nel 2009” analizza gli effetti dell’abolizione dell’ICI e conviene che a beneficiarne <<è il 50% delle famiglie italiane; tale quota scende al 34% se consideriamo le famiglie meno abbienti e sale al 63% se consideriamo le famiglie più abbienti. Abbiamo dunque una maggiore incidenza del provvedimento nel caso delle famiglie con reddito più elevato>>. Guardando al confronto territoriale, <<sono le famiglie meridionali quelle meno avvantaggiate dalla manovra: sia il beneficio medio, sia la quota complessiva del beneficio, sia la percentuale dei beneficiari sono nel Sud Italia infatti minori rispetto ai valori che si registrano per il Centro e il Nord Italia>>. Si passerebbe da un beneficio medio per famiglia di 175 euro nel Lazio ai 34 di Sicilia e Basilicata. Le regioni del Sud si concentrano tutte intorno ai 50 euro, con le eccezioni della Sardegna (72 euro) e della Campania (87 euro).

L’economista Nicola Rossi, senatore della Repubblica, ha commentato i dati Svimez in una intervista rilasciata al Mezzogiorno Economia del ‘Corriere del Mezzogiorno’.

<<Delle previsioni Svimez – ha detto – sapevamo tutto a memoria, nel senso che l’Italia va peggio degli altri Paesi Ue e il Mezzogiorno peggio dell’Italia. Semmai i dati forniti da Svimez confermano l’inconsistenza delle affermazioni di alcune Regioni meridionali che all’inizio del 2008, sulla base di qualche sparuto numero positivo, hanno subito gioito. Penso alla Puglia, ma non solo.

Non vi è alcun dato in particolare che mi abbia colpito – anche quelli relativi all’Ici erano prevedibili – se non quello relativo al credito d’imposta: mi pare che il governo non capisca affatto che la misura non è un incentivo, è invece una vera fiscalità di vantaggio, una componente permanente nel sistema fiscale. Questo tema sarà la cartina di tornasole del federalismo fiscale: se il credito di imposta sarà considerato come oggi alla stregua di un incentivo vorrà dire che il Sud sarà stato preso in giro.

Per uscire dalla crisi bisogna adottare misure forti. Da anni si ripete che una misura imprescindibile è la riforma degli ammortizzatori sociali. Il governo ha stanziato con il pacchetto anticrisi 290 milioni per le deroghe agli ammortizzatori: capisco l’urgenza, ma le deroghe peggioreranno la situazione, perché ci sarà chi ha avuto il sostegno e chi no. Invece si dovrebbero evitare i privilegi

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La crisi economico-finanziaria

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per garantire una sicurezza sociale equa. Abbiamo la pressione fiscale; quindi intervenire sulle modalità di spesa che nel Sud possiamo dire con certezza, produrrà sprechi. Un altro dato particolarmente negativo per il Sud è la contrazione dei consumi. Perché il consumo non è immediato, ma le prospettive non sono buone. Manca un progetto per il Mezzogiorno e, infatti, il governo taglia il Fas, riduce al minimo gli interventi infrastrutturali. Il problema delle infrastrutture è che non sono mai state fatte. Quanto al progetto questo potrà esserci se si inverte la rotta di marcia impostata 15 anni fa, vale a dire che le decisioni si devono prendere lì dove occorre davvero, non possono essere i sindaci a decidere della Salerno–Reggio Calabria. Su questo punto si è soffermato a Napoli anche il presidente Giorgio Napolitano: se non metti mano ai fondamentali, se – cioè – non fai funzionare l’apparato pubblico il Sud non avrà mai dei vantaggi. In queste regioni il capitale umano c’è, ci sono gli imprenditori validi, ciò che non funziona è tutto quanto è legato agli apparati pubblici: formazione, giustizia, sanità, cui si aggiunge il fardello della politica dedita quasi esclusivamente all’intermediazione. Per dirla con una frase: bisogna portare lo Stato al Sud a rifare lo Stato, per occuparsi di acqua, strade ecc. Mi si conceda ancora l’esempio della mia regione, la Puglia – ma il discorso vale per tutte le regioni meridionali – per sottolineare che al fondo i numeri di Svimez girano sempre intorno allo stesso problema: la mia regione nel 2008 disse che i Por avrebbero avuto un forte impatto. In realtà hanno dato un po’ di respiro solo ad un anno, nel 2009 saremo di nuovo punto e a capo, perché l’utilizzo di quelle risorse non ha toccato al fondo il sistema economico>>.

Vediamo ora cosa hanno provocato i prestiti contratti e collegati agli swap sulla nostra Regione e sui comuni del territorio e sulle famiglie.

I MUTUTI VARIABILI - REGIONE E COMUNI Il ciclone mutui variabili e derivati si è abbattuto anche sulla Puglia. Sono, infatti, 550 milioni di euro i prestiti contratti dai Comuni pugliesi e collegati agli swap, strumenti di finanza derivata. Al momento, salvo una verifica più dettagliata, sono 38 le amministrazioni pubbliche che hanno dato il via libera a questo, chiamiamolo pure, gioco. Municipi, anche con poco più di mille abitanti, che hanno voluto misurarsi con la complessa ingegneria finanziaria, senza averne le competenze.

Cos’era il gioco finanziario proposto dalle banche: scambio dei tassi fissi con quelli variabili sui prestiti concessi dalla Cassa Depositi e Prestiti, ventilato vantaggioso, una vera occasione per fare cassa. Vi era, inoltre, l’offerta dell’up-front, un premio in contanti che gli istituti di credito assicuravano di erogare a quanti sottoscrivevano, appunto, gli swap. E più ingente era il montante, più consistente il premio. Non sembrava vera l’occasione di far soldi, specie ai Comuni del profondo Sud, con bilanci eternamente in rosso.

Nessuno, però, aveva fatto i conti con l’imponderabilità del crollo dei mercati finanziari. Anche grossi Comuni come Taranto, Lecce, Brindisi e Foggia ci sono cascati. L’unico a sfuggire alle lusinghe il Comune di Bari. Molte di queste amministrazioni stanno tentando di uscire dagli swap, il che prevede il pagamento di grosse penali. Il vero rischio, in particolare per i piccoli comuni, è quello di offrire ai propri cittadini un consistente debito.

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Il Sistema Puglia 35

L’ELENCO DEI QUATTRO CAPOLUOGHI PUGLIESI CHE HANNO SOTTOSCRITTO GLI SWAP

COMUNE ISTITUTO IMPORTO DATA DURATA

Lecce Deutsche – Opi 105.000.000,00 2005 20

Lecce Deutsche –Opi 100.000,000,00 2005

Brindisi Bnl 25.000.000,00 2002 20

Taranto Bnl 120.000.000,00 2004

Foggia Bnl 50.000.000,00 2002 20

Fonte: Corriere del Mezzogiorno

*La Regione Anche la Regione Puglia ha fatto ricorso alla finanza derivata in due casi: nel 2004 la precedente Giunta per ottenere 870 milioni di euro per ripianare i debiti dei bilanci della Sanità sino all’anno 2000, una seconda volta l’attuale governo regionale per rifinanziare alcuni debiti nelle spese di investimento. Oggi il differenziale negativo è, per la solo quota capitale, ammonta a quasi 43 milioni di euro. L’attuale assessore al Bilancio nega che vi siano particolari, insormontabili problemi e spiega che il differenziale è il risultato tra il valore che le obbligazioni, immesse nel fondo di accumulo, avevano e quello che oggi hanno; però, solo nel caso si dovesse procedere alla loro vendita per effettuare la restituzione dei bor (buono obbligazionari regionali). Ma così non è; perciò il differenziale negativo denunciato è solo teorico.

I due bor collocati sui mercati finanziari dalla banca Merril Lynch costano alla Regione 80 milioni di euro l’anno, tra quota capitale e interessi. Con il passare degli anni la somma complessiva dovrebbe diventare più leggera. Per meglio chiarire: la copertura dei bor è effettuata attraverso il versamento della quota capitale (55 milioni di euro) in fondo di accumulo, gestito dalla Merril Lynch che si è assunta l’onere di far fruttare un paniere di titoli obbligazionari. La restituzione della somma di 870 milioni è prevista per il febbraio 2023. Fortunatamente in settembre la Bank of America ha acquistato il controllo della Merril Lynch per evitarne il fallimento, che avrebbe reso più drammaticamente problematica anche la gestione dei fondi di accumulo relativi ai bor della Regione Puglia.

L’Assessore esclude di procedere al superamento dei contratti di finanza derivata. Questo momento di turbolenza dei mercati lo sconsiglia. Se la Regione, infatti, volesse risolvere i contratti dovrebbe pagare non solo i 43 milioni del differenziale negativo, ma una serie di costi di smontaggio oltremodo pesanti per chi decide di recedere. Nel fondo di ammortamento (dove confluiscono le rate pagate ogni anno dalla Regione) risono titoli pubblici italiani e greci (abbastanza tranquilli) e azioni Enel, Endesa e Eon: l’Assessore tentò di far cancellare questi ultimi due titoli (si tratta di società privatizzate) ma la cifra richiesta dall’Advisor lo scoraggiò e quindi lo sconsigliò. Nessun problema dovrebbe esistere per la parte relativa alla restituzione degli interessi (poco meno di 25 milioni all’anno). <<La Regione attraverso i contratti sottoscritti – assicura l’Assessore – si è garantita da ogni rischio nel caso di una crescita dei tassi di interesse legati all’Euribor. Attualmente paghiamo un tasso di interesse di circa il 4 per cento e siamo garantiti rispetto ad oscillazioni sino al 5,70 per cento. Tra l’altro alla fine della settimana scorsa (siamo nella prima decade di ottobre

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La crisi economico-finanziaria

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n.d.r.) il tasso dell’Euribor ha fatto registrare un lievissimo calo che fa ben sperare per il futuro, pur in un momento di grande incertezza dei mercati>>. In vero la Legge Finanziaria del dicembre 2007 prevedeva che il governo emanasse delle direttive per le amministrazioni pubbliche, sia per quanto riguarda la gestione, che la sottoscrizione dei contratti di finanza derivata, ma da oggi niente è stato fatto.

L’ex presidente della Consob Guido Rossi sostiene che la finanza derivata funziona come una bisca. Nessuno può prevedere esattamente come andrà a finire un contratto, di qui la sua chiara incompatibilità con la gestione di una pubblica amministrazione. C’è di fatto che la legge permette di far ricorso a strumenti di finanza derivata di cui nessuno può stabilire né il percorso né i costi. L’Assessore sostiene che i contratti di finanza derivata dovrebbero prevedere nei fondi di accumulo solo l’immissione di titoli di Stato. Come sarebbe opportuno prevedere anche per le amministrazioni pubbliche la costituzione in bilancio di un fondo di rischio attraverso il quale far fronte al troppo incerto andamento dei contratti di finanza derivata. E’ un obbligo già previsto per le società per azioni. Anche se c’è da eccepire che pochissimi comuni, nelle attuali ristrettezze e in presenza dei tagli alla finanza locale, possono permettersi accantonamenti.

Quello che fa paura, ci sia permesso di dire, è il debito di due miliardi e mezzo di euro, il che significa 630 euro per ciascun cittadino pugliese. Enorme il peso dei mutui e obbligazioni nel bilancio della Regione: 290 milioni che la Puglia spende ogni anno per ripagare il debito; una cifra che potrebbe aggravarsi vista la crisi finanziaria.

La Corte dei Conti, nell’ultimo rapporto sullo stato della finanza regionale, ha sottolineato un dato: su 2,36 miliardi di debito proprio (gli altri 159 milioni sono a carico dello Stato), il 37% dipende proprio dai contratti a tasso variabile, di conseguenza sottoposto all’andamento finanziario che attualmente, non ci stanchiamo di dirlo, è oltremodo negativo.

Le rassicurazione dell’Assessore si riferiscono anche al fatto che non molto tempo addietro la Regione ha rinegoziato i mutui con la Cassa depositi e prestiti ottenendo un risparmio di circa 20 milioni. Si potrebbero risparmiare ulteriori 30 milioni rinegoziando i mutui dell’intesa convenzionale che ammontano a 670 milioni. Attualmente il debito della Regione costa il 5,6% l’anno: ad oggi in linea con le medie di settore ma su cui grava il pericolo di una imprevedibile crescita, date le oscillazioni del mercato. Si paventa per alcuni milioni di euro, fino ad un ipotetico massimo di poche decine di milioni. I conti, naturalmente, saranno più chiari a fine anno. Intanto la giunta affiderà ad un advisor (lo stesso che ha lavorato per la trasmissione televisiva Report (Brady), che fu poi quella che, per prima, puntò i riflettori sui derivati) il compito di analizzare l’effettivo ammontare del debito.

A fine ottobre l’assessore al Bilancio ha annunciato di aver dato il via all’operazione di rinegoziazione dei muti della cosiddetta “Intensa convenzionale”, 57 contratti a tasso variabile (Euribor 6 mesi + spread) in scadenza al 31 dicembre 2016 per un debito residuo di 637 milioni. In proposito ha reso noto lo studio condotto, appunto, da Brady, la società di consulenza incaricata di approntare un piano. Gli esperti hanno disegnato una strategia che tenteremo di rendere leggibile. Estinguere i vecchi mutui e stipularne dei nuovi, a 30 anni, a tasso fisso. Così la Regione pagherà rate più basse, collocando il debito su un periodo più lungo e liberando risorse di cassa: le previsioni dicono almeno 160 milioni nel triennio 2009-2011.

Ecco l’analisi di Brady: lo spread rispetto all’Euribor dei 57 mutui attuali varia dallo 0,65 all’1,86%, tassi giudicati dagli esperti in linea con le condizioni di mercato esistenti al momento della stipula. Alle banche la Regione chiederà di stipulare quattro nuovi mutui il cui tasso fisso sarà determinato dall’Irs (Interest rate swap) più uno spread inferiore a quello di mercato che oggi si aggira intorno al mezzo punto percentuale. Secondo Brady agli istituti bancari dovrebbe convenire

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Il Sistema Puglia 37

offrire un tasso competitivo dai 45 milioni che la Regione verserà loro a titolo di penali per l’estinzione anticipata. La ragioneria, in proposito, provvederà a inviare le lettere d’invito alle banche quelle che hanno erogato i 57 mutui (Bnl, Dexia, Bpn, Intesa San Paolo, Carime, Centrobanca, Diocleziano, Meliorbanca e Mps) e ad altre che si sono dichiarate disponibili. Se l’operazione dovesse incontrare il successo sperato permetterà alla Regione di ottenere dei vantaggi, almeno nei primi anni; dal nono anno in poi, cioè da quando i mutui originari sarebbero scaduti, la Regione avrà un inevitabile appesantimento in termini di cassa. C’è, comunque, il vincolo della legge (l’articolo 41 della 448/2001) secondo cui le rinegoziazioni devono produrre una riduzione del valore finanziario delle passività totali. I risparmi di cassa della rinegoziazione permetteranno alla Regione di avere più soldi da spendere. Tuttavia serviranno a costituire un ”fondo rischi swap”. Il contratto derivato con Merril Lynch oggi ha un valore di mercato negativo per 40 milioni di euro. E’ convinzione dell’assessore che è presto per fare i conti, scade nel 2023, e fino ad allora, ripete sempre l’assessore, le perdite sono solo teoriche.

Ricontrattare, quindi, i 57 mutui, aggregati in 4 gruppi, a tasso variabile ancora da restituire (che all’1° gennaio 2009 ammonteranno a 637,4 milioni di euro circa) per trasformarli a tasso fisso, ottenere un risparmio di cassa sino a un massimo di 160 milioni di euro nel triennio 2009-2011 e utilizzare parte dei risparmi per costituire un fondo di accantonamento con cui far fronte al rischio connesso al bond da 870 milioni e allo swap sottoscritto appunto con Merril Lynch, questo è poi l’obiettivo della Regione Puglia.

E’ l’ultima operazione coordinata dall’ex assessore al Bilancio e definita, come abbiamo già detto, con la consulenza della società Brady Italia srl di Milano.

Alle banche, proprio nei primi giorni di dicembre, è stato chiesto di presentare proposte per nuovi mutui, con scadenza a 30 anni. L’offerta per ogni mutuo, secondo le indicazioni della Regione, deve essere calcolata con riferimento al tasso fisso nominale annuo pari al valore dell’Interest rate swap di durata finanziaria equivalente al mutuo con l’aggiunta di uno spread deciso dalla banca.

Il primo gruppo da ricontrattare, secondo i calcoli della società consulente, permetterà a fronte del pagamento di una penale di circa 29 milioni di abbassare il tasso di interesse medio del 2,23 per cento. Il secondo gruppo riguarda 6 mutui, per una somma ancora da restituire, di poco meno di 44 milioni. Si prevede il pagamento di una penale di 3 milioni e mezzo e un abbassamento del tasso dell’1,888 per cento.

Il terzo gruppo riguarda 29 mutui per una somma ancora da restituire di 180 milioni. Anche qui si prevede il pagamento di una penale di 10 milioni e la possibilità di ottenere un nuovo contratto con il taglio degli interessi dell’1,349 per cento. Il quarto si riferisce a 11 mutui, a fronte di una penale di poco meno di 2 milioni dove è possibile ottenere un taglio dello 0,714 per cento. La ricontrattazione deve concludersi entro il 31 dicembre 2008. Per poter utilizzare i benefici finanziari nella predisposizione del bilancio di previsione 2009, per il quale la giunta ha deciso l’esercizio provvisorio. Spiega l’ex assessore: <<La costituzione di un fondo di accantonamento per far fronte ai rischi di credito provocati dai contratti di finanza derivata non è obbligatoria nella contabilità delle amministrazioni pubbliche, mentre lo è per le aziende private e per le stesse aziende controllate da enti pubblici. Tuttavia la Regione Puglia ha deciso di seguire questa strada come atto di responsabilità e di controllo sui conti, per evitare che alla scadenza 2023 emerga in rischio di credito a cui sia impossibile far fronte per mancanza di disponibilità di bilancio>>.

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La crisi economico-finanziaria

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La ristrutturazione dei mutui in ogni caso, pur permettendo alle amministrazioni pubbliche di diluire i debiti residui su un periodo di tempo più lungo (nel caso in discussione la scadenza per il pagamento di 637 milioni sarà rinviata dal 31 dicembre 2016 alla fine dell’anno 2038) obbliga le stesse a definire contratti che prevedano risparmi sulla somma attualizzata (il totale da restituire) e di utilizzare i risparmi solo per spese di investimento. Tali paletti sono necessari per impedire che le amministrazioni possano stemperare nel tempo i loro debiti (facendo anche crescere la somma da restituire) così da farli gravare sulle future generazioni e utilizzare i risparmi attuali per sostenere spese ordinarie. Negli ultimi giorni di dicembre, la società Brady Italia ha comunicato l’esito del suo più recente studio predisposto alla luce della tempesta finanziaria dei mesi scorsi e dell’atteggiamento più cauto delle banche. Secondo gli esperti è poco conveniente la ristrutturazione dei mutui in queste settimane, con il costo del denaro in forte discesa. Meglio attendere qualche mese. Se ne dovrebbe riparlare, secondo le loro valutazioni, nella primavera 2009.

Tutti gli analisti finanziari sono convinti che nei primi mesi del 2009 il costo del denaro (Irs per i mutui a tasso fisso, Euribor per quelli a tasso variabile) subirà una ulteriore flessione. Per la Regione sarebbe una boccata di ossigeno, in presenza di un bilancio di previsione 2009 ridotto ai minimi termini.

L’obiettivo del nuovo Assessore è di portare termine l’operazione prima della predisposizione del Bilancio 2009. Con il varo dell’esercizio provvisorio, infatti, la stesura del documento di previsione è slittata ad aprile. Se la ricontrattazione dei mutui sarà portata a termine in tempo utile, già con il Bilancio si potrebbe mettere a disposizione una cinquantina di milioni a favore delle esigue casse dei vari assessorati. A meno che non si rispolveri l’idea dell’ex assessore Saponaro, giova ripeterla: accantonare il risparmio ottenuto per allestire una specie di fondo rischi per i ‘derivati’. La Regione ha coperto l’ultima parte di debito lanciando nel 2003 e 2004 un prestito obbligazionario da 870 milioni. Allo stato il valore mark to market (che valuta l’andamento dei titoli) stima una perdita pari a 86 milioni che bisognerebbe reintegrare. Non è detto che la situazione rimanga identica fino alla scadenza del bond. Proprio per ripararsi da ogni rischio Saponaro proponeva l’accantonamento.

I DEBITI DELLA REGIONE PUGLIA

Mutui 1.490.091.486

Obbligazioni 870.000.000

A carico dello Stato 150.108.192

TOTALE 2.519.199.678

Debiti a tasso fisso 1.475.279.723 62,51%

Debiti a tasso variabile 884.811.763 37,49%

Swap su obbligazioni 870.000.000*

(*) Valore residuo del debito 685.263.157 Fonte: Dati Corte dei Conti al 31/12/07 Elaborati da La G.d.M.

I MUTUI REGIONALI DA RICONVERTIRE

Debito residuo all’1/1/2009 euro

Scadenza ammortamento

Spread su Euribor 6 mesi

Mutuo A 282.687.329,70 31/12/2016 1,866%

Mutuo B 43.856.521,89 31/12/2016 1,645%

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Il Sistema Puglia 39

Mutuo C 180.248.597,90 31/12/2016 1,1148%

Mutuo D 130.652.964,84 31/12/2016 0,650%

TOTALE 637.445,414,33

*I Comuni I DEBITI DEGLI ENTI LOCALI PUGLIESI

Mutui 316.212.679

Obbligazioni 125.290.193

TOTALE 441.502.872

Debiti a tasso fisso 322.473.065 73,04%

Debiti a tasso variabile 119.029.807 26,96%

Swap 167.110.753 37,85%

Fonte: Dati Corte dei Conti al 31/12/07 Elaborati dalla Gazzetta del Mezzogiorno

635 euro

Il debito pro-capite.

5,6%

Gli interessi sul debito

-43 mln

Il valore dei derivati

Intanto l’Anci Puglia il 13 ottobre chiedeva ai vertici dell’Abi un incontro per discutere della “crisi finanziaria in corso” che “ha posto all’attenzione della nostra associazione, anche a seguito di puntuali richieste di molti Comuni pugliesi interessati, la questione degli strumenti di finanza derivata, per lo più Interest Rate Swap, utilizzati, negli ultimi anni, da molti enti locali”. Incontro che non si era potuto svolgere “nonostante le assicurazioni verbali”.

Ci ritenta alla fine di ottobre, con una nuova missiva indirizzata al Presidente perché, spiegano i vertici dell’Anci pugliese, sarebbe utile stabilere l’avvio del progetto concordando con l’Abi positivi punti di contatto. E in questa direzione va la nuova sollecitazione per poter “conoscere con urgenza le determinazioni della Commissione regionale da Lei presieduta”. La seconda richiesta di incontro è determinata dall’interesse che i Comuni associati hanno manifestato sul tema e dalle sempre crescenti iniziative autonome che gli stessi stanno assumendo.

Spiegano all’Anci: <<La nostra serietà ci impone di sollecitare nuovamente l’Abi all’incontro, considerato che abbiamo già provveduto a richiederlo ed avendo ottenuto un consenso di massima, prima di procedere in tutte le iniziative che abbiamo già in cantiere attraverso il nostro progetto di monitoraggio e consulenza “Anci Puglia per i derivati”. In questa iniziativa, inoltre, ci piace considerare che anche l’Anci nazionale è impegnata nella stessa direzione con il suo progetto, dando di fatto ragione ad una intuizione dell’Associazione pugliese, impegnata a ragionare ma mai a retrocedere>>. La preoccupata sollecitazione dell’Anci è ancor più giustificata in quanto è aumentato il numero dei Comuni pugliesi che hanno sottoscrittogli swap. In Puglia almeno un’altra ventina se ne sono aggiunti all’elenco dei 38 che l’Anci aveva censito.

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La crisi economico-finanziaria

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Il dato viene fuori da una verifica nazionale che l’Associazione ha avviato tramite l’Ifel in tutte le amministrazioni. Queste hanno ricevuto un questionario in cui si chiede di conoscere il numero degli swap, il nozionale e l’attuale valore di realizzo.

Il quadro che ne viene fuori non è dei più esaltanti. Dai primi dati viene fuori che sono oltre 60 i comuni pugliesi in sofferenza finanziaria per il <<problema derivati>>. Si sottolinea inoltre che il 95% dei Comuni è in perdita, mentre il 5% ha fatto buoni affari o, almeno, è riuscito a chiudere o rinegoziare i contratti prime della catastrofe di Borsa. Per quelli in perdita, l’Anci pensa ad un incontro con l’Abi per avviare la discussione su una rinegoziazione collettiva. In questo senso va la sollecitazione indirizzata al presidente della Commissione regionale. Secca la replica del segretario della Commissione: <<L’Anci ha avuto mesi per procurarsi i dati su questa vicenda, da noi vorrebbero una risposta in pochi giorni. Noi abbiamo necessità di procurarci i nostri dati, non possiamo certo utilizzare i loro. Tuttavia ho già inoltrato il sollecito a Roma e mi hanno risposto che, intanto, il problema è nazionale e che ci vorrà del tempo per ottenere i dati necessari, perché si tratta di contattare le banche associate e per giunta non tutte italiane>>. Dietro questo paravento, però, potrebbe anche nascondersi la volontà delle banche di non procedere per vertenze collettive, di certo meno convenienti della contrattazione singola. L’attenzione dell’Anci è rivolta soprattutto ai Comuni al di sotto dei 3mila abitanti (e in Puglia ve ne sono molti che hanno sottoscritto gli swap). Per questi è prevista l’iscrizione gratuita al “Progetto derivati” che, oltre all’assistenza legale, include anche la prestazione di tecnici per la risposta adeguata ai quesiti posti ai Comuni. Fra i problemi più ricorrenti che emergono, c’è quello delle commissioni implicite, cioè i guadagni nascosti dalle banche nelle pieghe dei contratti.

A Milano, ad esempio, le prime analisi parlano di 80milioni di euro. Per questo la sindaca Letizia Moratti ha già ingaggiato un board di avvocati di altissimo livello.

Intanto, la Corte dei Conti – sul “Referto della finanza regionale” – ha lanciato un allarme: l’esposizione sugli swap per gli enti è già di 36 miliardi di euro.

Virtuosa la Regione Puglia: in generale, nel 2004 aveva una esposizione debitoria di 2.673 milioni di euro (seconda solo alla Campania), di cui 1.035 a tasso variabile. Nel 2007 l’esposizione è scesa a 2.360 milioni (quinta), di cui 884 a tasso variabile. Nonostante tutto ciò l’allarme è ancora preoccupante. Il 95% dei comuni che hanno sottoscritto operazioni di swap, allo stato, sono in perdita – riferisce l’Anci – e solo il 5%, per circostanze fortunose o volute, non sta subendo perdite.

In verità i debiti a carico delle amministrazioni locali sono particolarmente pesanti. Ce lo dicono i dati contenuti nell’annuale documento della Banca d’Italia che fa il punto sul “Debito delle amministrazioni locali”. Pesano sugli italiani oltre 1.800 euro a testa i debiti delle amministrazioni locali: a giugno 2008 il debito che grava su Regioni, Province e Comuni era complessivamente a quota 109,926 miliardi di euro. E’ un dato che subisce un progressivo calo: questa fetta di debito che rappresenta circa il 7% del debito complessivo delle amministrazioni pubbliche è pari, secondi i dati di luglio, a 109,2 miliardi (a fine 2007 era 110,6 miliardi).

Operando una suddivisione pro-capite troviamo al primo posto gli abitanti della Valle d’Aosta. Anche se il debito a carico delle amministrazioni locali di questa regione è tra i più bassi d’Italia (601 milioni di euro, la più bassa dopo quella del Molise) alta è però la quota se suddivisa per abitanti: oltre 4.815 euro. Il più alto indebitamento lo registra il Lazio con 18,9 miliardi, oltre 3.441 euro per ciascun abitante. La Puglia ha un debito complessivo in valore assoluto di 4 miliardi e 385 milioni, è quella, di converso, che ha il più basso livello per quanto riguarda l’indebitamento pro-capite di 1.077 euro per abitante, che significa di molto al di sotto della media nazionale che è di 1.859 euro.

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Il Sistema Puglia 41

La Banca d’Italia, inoltre, analizza i diversi strumenti che formano il debito degli enti locali, tra prestiti chiesti alle banche, alla Cassa depositi e Prestiti e i titoli emessi in Italia e all’estero. La componente relativa ai titoli si è ridotta dal 28,2% del totale nel 2006 al 27,7% nel 2007. La componente relativa ai prestiti, pari al 64,5% nel 2006, si è invece ridotta al 63,3%; la flessione ha riguardato i prestiti erogati da intermediari residenti (dal 34,6 al 31,1%), in parte compensata da un aumento di quelli erogati da intermediari non residenti (dall’1,7 al 2,1%) e dalla Cdp (dal 28,2 al 30,2%).

Nel Supplemento al Bollettino Statistico la Banca d’Italia precisa: <<E’ sensibilmente aumentata la componente relativa alle altre operazioni; in particolare, le cartolarizzazioni sono passate dal 7 all’8,6% del totale del debito>>. Nel 2007 la quota del debito contratta all’estero, infine, è leggermente aumentata, dal 20,1 al 20,2%.

E’ quasi unanime il commento degli amministratori pugliesi i quali ritengono che non si tratta di eliminare gli sprechi, perché tutti i risparmi che si potevano fare sono stati fatti così come si è proceduto con la razionalizzazione della spesa. Si devono, però, mettere in condizione gli enti locali di svolgere le loro proprie funzioni.Hanno bisogno di finanziamenti necessari, mancando questi si dovrà necessariamente incidere sui servizi erogati. Questi ai cittadini vanno assicurati, le funzioni aumentano e le difficoltà non mancano soprattutto con la gessatura dei bilanci e la mancanza di liquidità.

IL DEBITO DELLE AMMINISTRAZIONI LOCALI

REGIONI Debito

Enti locali

Debito

Pro-capite

1. Lazio 18.904.000.000 3.441

2. Lombardia 13.372.000.000 1.400

3. Piemonte 13.067.000.000 3.001

4. Campania 12.504.000.000 2.159

5. Sicilia 7.008.000.000 1.396

6. Veneto 6.439.000.000 1.348

7. Toscana 6.238.000.000 1.714

8. Emilia-Romagna 5.689.000.000 1.347

9. Puglia 4.385.000.000 1.077

10. Abruzzo 3.381.000.000 2.581

11. Liguria 3.041.000.000 1.891

12. Friuli V. Giulia 2.917.000.000 2.405

13. Calabria 2.651.000.000 1.326

14. Marche 2.621.000.000 1.706

15. Sardegna 2.610.000.000 1.572

16. Umbria 2.010.000.000 2.302

17. Trentino A. Adige 1.131.000.000 1.137

18. Basilicata 884.000.000 1.494

19. Valle d’Aosta 601.000.000 4.815

20. Molise 472.000.000 1.474

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La crisi economico-finanziaria

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TOTALE ITALIA 109.926.000.000 Media 1.859 Fonte: Bankitalia

Come si è visto i cittadini pugliesi subiscono un peso inferiore del debito rispetto ad altri. E’ questo un segnale importante che l’Anci definisce ‘virtuoso’.

Di fatto diminuisce la propensione a rischiare sui titoli, la cartolarizzazione consente una valorizzazione del patrimonio perché è un modo di gestirlo senza particolari rischi. Non a caso l’Anci regionale incoraggia il ricorso a questi strumenti o, in qualche caso, al trust, cioè alla possibilità per un comune che intende realizzare un’opera pubblica, di ottenere un prestito dalla banca mettendo come garanzia un proprio immobile. Intanto il Comune di Brindisi, nei primi giorni di gennaio, ha preso il toro dalle corna per arrestare definitivamente i contratti di finanza derivata e a tutta la voragine di rischi per le casse cittadine. L’amministrazione comunale sorretta dalla decisa relazione del Servizio finanziario e tributi ha deciso di liberarsi degli swap. Sarà fatto pagando il mark to market, cioè la penale d’estinzione anticipata del contratto stipulato con la Bnl. Il Dirigente comunale del Settore deve sfruttare il momento propizio per tagliare i ponti: cogliere la migliore oscillazione del tasso Euribor, a cui il contratto è legato.

Questioni di giorni, quindi, e al massimo entro la fine di gennaio il Comune cancellerà gli swap. La soglia massima del mark to market ammonterebbe a 750 mila euro: tanto l’amministrazione ha accantonato per liberarsi dei derivati. Ma l’importo della penale potrebbe essere anche minore. Tutto è stato sancito da una delibera di giunta, a cui è allegata la relazione tecnica del Settore finanziario e tributi che, tra l’altro, sostiene indispensabile <<attivare iniziative necessarie che consentano di risolvere il contratto, ove possibile, in forma consensuale>>. A quanto pare i contatti con la Bnl sono stati fruttuosi, visto che la banca s’è detta disponibile a sciogliere il vincolo. L’iniziativa del Comune potrebbe sollecitare la Provincia e il Comune di Fasano, ambedue impelagati nella copertura degli swap. La Provincia, per il vero, traccheggia visto che i tassi sono favorevoli e le perdite in via di riassorbimento. Gli scenari internazionali promettono quiete almeno per i tassi bancari. Fasano, invece, aveva già deciso di chiudere in contratto sugli swap. Analogamente a quanto sta succedendo a Brindisi, il Comune fasanese sta solo aspettando il momento più favorevole. Si tenga conto che la situazione critica dei comuni si somma alle altre gravi difficoltà tanto che da uno studio elaborato da ‘Il Sole 24 Ore’ su dati provenienti da Anci e ministero degli Interni viene fuori che i sindaci per chiudere i preventivi 2009 devono reperire più di 3 miliardi.

Oltre al Patto di stabilità col quale ai comuni si richiede 1,35 miliardi, bisogna recuperare anche le risorse per compensare i tagli ai trasferimenti e la mancata copertura dell’abolizione dell’Ici. In particolare il gettito stimato per l’Ici sarebbe stato di 3,3 miliardi di euro, mentre dal Governo centrale arriveranno ai comuni solo 2,6 miliardi.

Il taglio delle entrate degli Enti locali, secondo le stime, è del 12% in quasi tutti i settori e dovrebbe coinvolgere anche la manutenzione e gestione di edifici storici, strade e verde pubblico, insieme al welfare locale assicurato dai trasferimenti ai quartieri. In Puglia la situazione dei cinque Comuni capoluogo è così rappresentata: il conto ogni mille abitanti è di 89.175 euro per Lecce, di 47.951 per Brindisi, di 11.429 per Bari e di 46.090 per Foggia. Diversa è la situazione di Taranto dove, a causa dei conti alterati dal dissesto, si registra un -48.639.

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Il Sistema Puglia 43

I CONTI DELLE CITTA’ PUGLIESI

Patto di stabilità

Tagli al fondo ordinario Altri provvedimenti

Contributo alla manovra*

Costi della politica

Ici fabbricati ex rurali

Riduzione per manovre d’estate

Mancata copertura Ici

Conto euro/mille abitanti

Bari -13.19 2.134 6.646 1.772 6.203 11.429

Brindisi 452 495 1.541 411 1.438 47.951

Foggia -651 985 3.067 818 2.863 46.000

Lecce 4.007 542 1.689 450 1.577 89.175

Taranto -18.489 1.103 3.436 916 3.207 -48.639 (*) Al lordo di eventuali dismissioni patrimoniali

Elaborazione su dati Anci e Ministero dell’Interno

Nell’ultima decade di dicembre giumge la notizia che i 440 milioni di rimborso Ici dovuto dal Governo ai Comuni, dopo il taglio della tassa sulla prima casa, difficilmente arriveranno nelle tasche dei Comuni perché i soldi sembra che non ci siano da nessuna parte. A sostenerlo è il sottosegretario all’Interno, Michelino Davico, che nel corso della Conferenza Stato-Città, non ha nascosto i suoi timori. Nonostante l’impegno preso con odg, approvato dal Governo, nell’ambito della legge Finanziaria che così recitava <<entro il 30 gennaio 2009 saranno stabiliti i criteri e le modalità per il riparto tra i comuni dell’importo di 440 milioni di euro a titolo di parziale regolazione contabile del mancato gettito a seguito dell’abolizione Ici relativo all’anno 2008>>.

Niente rimborsi, nessun tavolo istituzionale all’orizzonte per affrontare la crisi come previsto da un accordo tra i rappresentanti delle autonomie e il premier Berlusconi, i bilanci restano in bilico nonostante la proroga al 31 marzo 2009.

Mutui alle famiglie Ci pensano Adusbef (l’associazione utenti bancari) e la Federconsumatori a fornire dati che fotografano una situazione a fosche tinte. Da una ricerca svolta, stimano che quest’anno il numero dei pignoramenti ed esecuzioni potrebbe crescere del 22,3% rispetto al 2007, soprattutto per mutui contratti a tasso variabile. Le procedure immobiliari o pignoramenti sarebbero pari al 2,7% del totale dei mutui, ovvero a circa 130.000 su 3,5 milioni del totale, per la maggior parte di esse è stato erogato a tasso variabile e risente del rialzo del tassi del Bce e del cartello bancario europeo che fissa i dati euribor ai quali sono indirizzati le rate, quando negli anni 2003-2004 i tassi di interesse annui erano arrivati ai minimi storici e tutti gli indicatori stimavano un loro aumento.

Ancora, le due Associazioni dei consumatori rilevano che su 3,5 milioni di famiglie che hanno contratto un mutuo per acquistare la casa negli anni scorsi, ben 3,2 milioni, ossia il 91%, è stato indotto dai consigli delle banche a sottoscrivere contratti con tasso variabile e quindi esposti alle turbolenze dei mercati.

Anche in Puglia si registra un aumento dei pignoramenti: a Lecce del 32% (+261) con 1.079 esecuzioni immobiliari e Bari del 39% (+349) e 1.244 esecuzioni. Questi dati, per il vero, non si discostano molto da quelli rilevati in altre città dove il numero dei pignoramenti è più elevato: come

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La crisi economico-finanziaria

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a Milano dove i casi sono 378, o Roma dove le nuove procedure immobiliari sono 354 o Napoli dove sono 353.

*La flessione dei mutui Nel Mezzogiorno vi è anche una flessione dei mutui che comprende le regioni Calabria, Basilicata, Puglia, Campania, Molise e Abruzzo. Ce lo comunica l’Osservatorio mutui casa alla famiglia di UniCredit Banca per la casa, su dati Bankitalia che si incarica così di spegnere i residui ottimismi. Complessivamente l’erogato dell’area meridionale è diminuito dell’8,28% nel 1° semestre 2008 rispetto al 1° semestre del 2007.

Tutte le regioni dell’Area, fatta eccezione per l’Abruzzo che ha registrato una crescita del +2,08 (473 milioni di euro di erogato), hanno segnato una flessione. Nel 1° semestre 2008 la regione Campania segna -12,16%, con 1.460 milioni di euro di erogato, la Basilicata ha registrato un -9,61% (85 milioni di euro di erogato) sempre rispetto al 1° semestre 2007, il Molise con -15,75% (63 milioni di euro), la Puglia con -6,71% (1.246 milioni di euro) e la Calabria con -7,67% (344 milioni di euro). Più in particolare: Bari diminuisce del -7,7%, Foggia del -15%, Lecce del 2,9%, Taranto del 2,6% mentre Brindisi cresce del 2,3%. In riferimento alle altre macro aree, l’Italia meridionale si colloca al quarto posto per valore di erogato con 3.671 milioni di euro, registrando nel 1° semestre 2008 una diminuzione del -8,28% rispetto al 1° semestre 2007.

Il mercato mutui per acquisto casa nel 1° semestre 2008 segna un calo del meno 5,35% rispetto allo stesso periodo del 2007. L’ammontare complessivo delle nuove erogazioni in Italia, nel primo semestre del 2008 è pari a 29.270 milioni di euro. Le consistenze dei mutui in essere rilevate al 30 giugno 2008 (al netto delle cartolarizzazioni) sono di 219.298 milioni di euro con un andamento pari a -1,91% rispetto alla fine del trimestre precedente (223.558 milioni di euro). Le ragioni di questa contrazioni sono chiare per UniCredit: l’andamento del mercato immobiliare, nel quale i prezzi non accennano a diminuire, il permanere del livello elevato dei tassi di riferimento che accennano solo ora ad una lenta discesa e la progressiva erosione del reddito disponibile.

Siamo di fronte, per dirla tutta, ad una flessione del mercato dei mutui che non solo continuerà, sempre a parere di UniCredit, ma si accentuerà ulteriormente nel secondo semestre di quest’anno lasciando prevedere per il 2008 un erogato totale dei mutui che si attesterà intorno a 50/55 miliardi, riportandoli a livelli medi del 2004/2005.

A parere dell’Osservatorio Mutui è necessario ridare energia al mercato e limitare gli impatti sull’economia reale nel quale il mondo della casa ha una incidenza significativa, saranno quindi necessari provvedimenti che agevolino l’acquisto della casa come la detrazione totale degli interessi passivi sui muti, per le fasce di reddito medio e medio basse.

I PRESTITI

Erogazioni

1° sem 2008

Erogazioni

1° sem 2007

Variaz

%

Bari 598 648 -7,7

Brindisi 108 105 +2,3

Foggia 180 212 -15,0

Lecce 167 172 -2,9

Taranto 193 199 -2,6

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PUGLIA 1.246 1.336 -6,7

Italia Merid. 3.671 4.002 -8,28

Totale Italia 29.270 30.925 -5,35 Fonte: Osservatorio Mutui UniCredit Banca per la Casa

‘Mezzogiorno Economia’ del Corriere della Sera, nella seconda decade di novembre annotava che il denaro non circola e a risentirne è soprattutto il mercato immobiliare. Nel primo semestre del 2008 sosteneva che i segnali erano tutti negativi, seppure contenuti, su l’intero territorio. La crescita continua dei prezzi dal 1998, il rialzo dei tassi di interesse sui mutui insieme alla maggiore selezione delle banche ha inciso sulla capacità di spesa dei potenziali acquirenti e, in generale, la situazione economica del Paese che, con un’inflazione in aumento ed una bassa crescita, ha determinato una maggiore prudenza nei processi decisionali di acquisto. L’analisi fatta dall’ufficio studi di Tecnocasa evidenzia un calo del 2,7% nelle grandi città, del 2,3% nei capoluoghi di provincia e dell’1,9% nei comuni dell’hinterland. Le realtà meno dinamiche si sono rivelate Genova (-4,5%), Firenze (-3,3%) e Bologna (-3%). Milano e Roma registrano una contrazione dei prezzi del 2,2%. Per aree geografiche si rileva una contrazione delle quotazioni più sensibile nelle città del Centro Italia (-3,7%), seguite dal Nord (-1,9%) e dal Sud (-1,6%).

I dati di luglio sulla domanda segnalano nelle grandi città una maggiore richiesta per i trilocali che raccolgono il 37,1% delle preferenze, seguite dai bilocali con il 25,7%. A Milano, Napoli e Bari la tipologia più apprezzata è il bilocale. Dal lato dell’offerta la tipologia più presente è il trilocale con il 33,8%, seguito dal bilocale con il 25% e dal quattro locali con il 22,3%. Segnali deboli arrivano dal mercato delle locazioni. Nel primo semestre 2008 nelle grandi città i canoni di locazione sono diminuiti dello 0,8% per i bilocali e dell’1% per i trilocali. Per i prossimi mesi si prevede ancora un trend al ribasso. Per quanto riguarda la Puglia: Bari fa registrare un -2,9 e Lecce addirittura -4,1%.

La situazione

Regioni e Capoluoghi Var. %

Campania I semestre 2008

Napoli -2,4%

Avellino 2,2%

Benevento -1,1%

Caserta -1,5

Salerno -4,5

Puglia I semestre 2008

Bari -2,9%

Brindisi 1,1%

Foggia -2,9%

Lecce -4,1%

Taranto -1,3%

Calabria I semestre 2008

Catanzaro -2,6%

Cosenza -0,5%

Crotone 0,0%

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La crisi economico-finanziaria

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Reggio C. 2,2%

Vibo Valentia 0,0%

Basilicata I semestre 2008

Potenza -2,7%

Matera 0,0%

Sicilia I semestre 2008

Agrigento -4,3%

Catania -5,7%

Enna -8,3%

Messina -1,2%

Palermo -2,2%

Siracusa -3,9%

Trapani 0,0%

Fonte: Mezzogiorno Economia

*Nomisma Ci mette del suo anche Nomisma, società di studi economici. A fine anno, secondo le previsioni della società, registriamo novantamila compravendite in meno nel solo comparto residenziale, mentre i prezzi diminuiranno tra il tre e cinque per cento rispetto al 2007. Alle previsioni accompagna i dati reali, come quelli che indicano il calo della richiesta dei mutui per la casa dell’1,3 per cento rispetto al primo trimestre. Un fatto importante se si considera che non succedeva da dieci anni, e che si spiega con gli alti tassi di interesse e la maggiore prudenza delle banche a concedere finanziamenti.

Si compreranno meno case tra il cinque e l’otto per cento rispetto al 2007 e lo si farà soprattutto nelle grandi città. Un quadro <<fragile e incerto>> quello tratteggiato da Nomisma, che stima quest’anno in sette miliardi le sofferenze immobiliari, riconducibili all’allungamento dei tempi di pagamento dei muti o addirittura all’impossibilità di farvi fronte.

Non è un caso che sono un milione e mezzo gli italiani alle prese con la rinegoziazione dei mutui a tasso variabile. Entro la fine di novembre 2008 le famiglie avranno l’opportunità di ridurre gli importi delle rate da versare. E non sarà una scelta facile. La Convenzione Abi-Governo permette di riportare l’esborso sui livelli medi del 2006 (o all’importo della prima rata di ammortamento per i finanziamenti dopo il 31 dicembre 2006) ma ciò comporta l’allungamento della durata del prestito e, di conseguenza, una maggiore onerosità complessiva. Naturalmente per chi ha difficoltà nell’onorare la rata del mutuo la strada indicata dalla Convenzione sarà una scelta obbligata. La famiglia che, invece, ha sufficienti margini potrebbe puntare a vie alternative previste dal decreto Bersani (ancora in vigore): la rinegoziazione dello spread (il tasso di sconto applicato dalle banche), la surroga o la sostituzione del mutuo. Il fatto è che queste soluzioni la banca non è obbligata a concedere. Il parere dei dirigenti di banca non aiuta a chiarire la situazione. C’è che esplicitamente scoraggia l’adesione alla Convenzione perché è un modo per pagare ancora più interessi rispetto a quanti se ne pagano. Il decreto Tremonti ha stabilizzato la rata rispetto a quella media del 2006, ma in realtà posticipa il maggior onere a seguire. Gli interessi in più si pagheranno comunque, non è che si fermano i tassi rinegoziando il tasso variabile e allungando la durata del mutuo. Così come non si potranno avere certezze sull’allungamento dei tempi, che dipendono dai mercati.

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Il Sistema Puglia 47

C’è invece chi sottolinea che è vero che l’allungamento della durata, col conseguente abbassamento della rata, era già un opzione che tutte le banche offrivano, solo che, facendolo tra banca e singolo cliente, il tutto aveva un costo, mentre con le banche che hanno sottoscritto la Convenzione si sono impegnate a raggiungere un obiettivo standard più vantaggioso col tasso riferito al 2006 e, soprattutto, senza dover pagare un euro. E’ vero che esiste l’incertezza sui tempi complessivi dei mutui, dipenderà dall’andamento dei tassi. Se guardiamo le previsioni, esse ci dicono che da qui ad un anno i tassi dovrebbero essere di nuovo in discesa e quel conto di finanziamento accessorio dovrebbe svuotarsi di questa differenza che man mano si accumula. L’obiettivo è di mettere in condizioni il cliente di continuare a pagare una rata più bassa, che aveva determinato in base al suo piano finanziario fatto al momento dell’accensione del mutuo a tasso variabile. La certezza può averla solo trasformando il mutuo a tasso fisso.

Più critica l’associazione dei consumatori Adusbef che non usa mezzi termini nel definire la rinegoziazione dei mutui a tasso variabile: ‘è una fregatura’. Non c’è alcun regalo, ma è un’agevolazione molto costosa, poiché ciò che non si paga oggi, con la diminuzione della rata, è pagato alla fine, con l’aggravio degli interessi, proprio perché si pagano alla fine e dopo tanti anni. Non vi è alcun vantaggio – sempre secondo l’Adusbef – le banche non fanno nessuno sconto, ma semplicemente consentono di rinviare il pagamento di una parte degli interessi; inoltre si tenga conto che sugli interessi dilazionati matureranno altri interessi. C’è di certo che le esperienze prevalenti, a fronte di pochi fortunati che non hanno avuto problemi, di chi sta cercando di rinegoziare il mutuo, sulla base della convenzione Governo-Abi, sono negative: surroghe quasi impossibili, ostruzionismi e proposte capestro.

Le nuove norme dovrebbero combattere gli aumenti dei tassi, ma non aiutano i clienti. Vi si affaccia qualche proposta apparentemente favorevole ma a patto che il cliente viva e paghi per tutta la vita e oltre. Non a caso sono moltissimi i cittadini che scrivono ai giornali, protestando o rivolgendosi alle associazioni dei consumatori per denunciare la scarsa convenienza delle proposte di negoziazione, tanto da essere sconsigliata dalla stessa banca. Eppure sono tanti quelli in gravi difficoltà che vorrebbero rinegoziare o che chiedono un alleggerimento della rata per poter tenere la casa. E proprio dove la rinegoziazione servirebbe, le banche la negano specie per chi è in ritardo nel pagamento. Per non riferire della rabbia di chi non riesce ad ottenere una surroga alle condizioni previste dalla legge ed è costretto a pagare spese salate e non dovute. E poi ci sono quelli, non molti, che sono riusciti a rinegoziare con la propria o con un’altra banca che sono soddisfatti ma anche perplessi. Vi è, in definitiva, sulle questioni legate ai mutui una grande sofferenza da parte degli utenti bancari. Qualunque soluzione risulta, nella maggior parte dei casi, inadeguata. All’alba della terza decade di dicembre calano i tassi sui mutui, ma è polemica tra le associazione dei consumatori e le banche. Il calo dei tassi di interesse sta portando con sé un regalo insperato per le famiglie italiane, pari ad un bonus che può arrivare fino a 3.400 euro all’anno. A tanto ammonterebbe, secondo alcuni calcoli, il risparmio a vantaggio di chi ha contratto un mutuo a tasso variabile, calcolato fra il momento di massimo rialzo dell’Euribor e il valore attuale. Tuttavia le associazioni dei consumatori, dall’Adusbef alla Federconsumatori non ci stanno e attaccano sostenendo che le banche non trasferiscono sui clienti tutti i vantaggi della discesa dei tassi di interesse. Non si fa aspettare la risposta dell’Abi che chiarisce che gli spread dei mutui in essere sono fissati dal contratto e quindi non si possono modificare.

Il picco dell’Euribor a tre mesi è stato toccato il 9 ottobre 2008 al 5,39% : a quei valori la rata di un mutuo da 200 mila euro a 30 anni (a tasso variabile con uno spread dell’1 per cento) aveva raggiunto un massimo di 1.25 euro al mese. Oggi, dopo 50 sedute di cali consecutivi e l’Euribor sceso al 3,08 per cento, la stessa rata vale 964 euro, con un risparmio di 286 euro al mese, pari a 3.432 euro l’anno. Se i risparmi sono più consistenti per mutui di lunga durata ed importo elevato,

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non sono certo da trascurare quelli sui mutui a durata e importo minori: su un finanziamento da 100 mila euro a 20 anni, il risparmio è di 129 euro al mese (dai 739 euro di ottobre, la rata è scesa a 610 euro) pari a 1.548 euro all’anno.

Resta un problema: chi accende a un nuovo mutuo ha di fronte a sé l’incognita spread, ovvero la maggiorazione applicata sul tasso Euribor, che varia in maniera decisa da banca a banca. Le simulazioni di “Mutui On Line” notano come gli spread applicati su un mutuo da 100 mila euro a 20anni variano da un minimo dello 0,52 per cento ad un massimo di un +1,39 per cento. Con una rata che di conseguenza può passare da 585 a 631 euro, con una differenza di 46 euro al mese e 552 euro in un anno.

E proprio sul fatto che le banche continuano a manovrare a proprio piacimento gli spread, Tanto da continuare ad aumentarli per mantenere elevati i propri guadagni; le organizzazioni dei consumatori sferrano il proprio attacco. Sottolineano Adusbef e Federconsumatori che i risparmiatori italiani sono già costretti a pagare uno 0,54 per cento in più rispetto alla media europea. Alla fine di un mutuo di 100 mila euro a 30 anni, spiegano, un mutuatario dovrà pagare 14.000 – 16.000 euro interessi in più.

Ha già detto l’Abi che sui mutui in circolazione sono definiti dal contratto e, pertanto, non possono essere oggetto di variazione, se non ristrutturando il finanziamento. Sui nuovi mutui, invece, sostengono come non sia incoerente che in una fase caratterizzata da elevata rischiosità come questa gli spread siano ritoccati al rialzo. Con il crollo della produzione industriale aumenta il rischio di fallimento delle imprese e con esso anche quello associato ai lavoratori impiegati nelle stesse, che possono vedere il proprio reddito ridotto a causa della cassa integrazione o addirittura azzerato in caso di licenziamento.

*Ufficio provinciale dell’Agenzia del Territorio-Osservatorio del mercato immobiliare Il presidente dell’associazione costruttori (Ance) di Bari è seriamente preoccupato del crollo del mercato immobiliare a Bari e in tutta la Puglia. A fornire i dati sulla situazione è l’Ufficio provinciale dell’Agenzia del Territorio, in collaborazione con la direzione generale e l’Osservatorio del mercato immobiliare. L’analisi del numero di compravendite effettuate nei primi sei mesi del 2008 mostra una flessione compresa tra il massimo del 16,56 per cento per la città di Taranto ed il minimo dell’8,37 per cento per la città di Foggia a fronte di una flessione media regionale (per i soli capoluoghi di provincia) del 10,13 per cento. Fa eccezione la città di Lecce che presenta, in controtendenza, un incremento del 7,52 per cento di transazioni. In particolare, la città di Bari presenta una flessione del 12,16 per cento. Vista così la situazione sembra omogenea: il crollo delle compravendite è generalizzato. Ma il dettaglio dei dati fornisce un quadro diverso. Ci sono città della provincia di Bari dove l’abbattimento del numero di transazioni è stato veramente eccezionale: è il caso di Barletta dove rispetto al 2007 il mercato si è ridimensionato per quasi un quarto. Ci sono invece al contrario i casi di Giovinazzo, Molfetta, Bisceglie, dove le compravendite continuano a crescere. Secondo l’analisi dell’Agenzia del Territorio, molto dipende dall’espansione urbanistica dei territori: lì dove si continua a costruire e quindi il numero degli immobili è più elevato, il prezzo scende, e quindi si concludono più contratti.

Secondo il presidente provinciale dell’Ance non è proprio così. <<In provincia soprattutto ci si trova oggi con un surplus di invenduto che sta spingendo sostanzialmente alla svendita. Ed è proprio in questi casi che gli acquirenti devono essere molto cauti>>. A Bari, nonostante il dato medio descriva una situazione assai difficile, quartiere per quartiere, ci sono realtà ancora in forte espansione: è il caso di Fesca (più 233 per cento di contratti di vendita) o di Palese-Santo Spirito (addirittura più 1.450 per cento). <<Al di là dei casi che vanno valutati singolarmente – aggiunge il presidente Ance – la realtà è che nella nostra città il mercato immobiliare è ormai asfittico ed è destinato purtroppo a rimanere tale anche nel 2009>>.

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*Rapporto del Centro Sintesi di Venezia Il Centro studi Sintesi di Venezia alla fine di dicembre ha pubblicato un Rapporto sull’incidenza delle rate bancarie sui redditi delle famiglie in 103 capoluoghi di provincia. Bari con il 50,6 per cento si piazza al primo posto della graduatoria, seguita da Siracusa, Pescara e Napoli, dove una buona fetta della busta paga dei cittadini contribuisce al mutuo per la casa.

Per Bari ben il 50,6% delle entrate mensili di una famiglia è azzerato dal debito nei confronti delle banche. Questo vuol dire che più della metà dello stipendio di un barese è destinato a coprire la rata del mutuo. Stando al confronto con le altre realtà italiane, la capitale della regione è la città in cui si è registrato un impietoso e vertiginoso aumento delle erogazioni da parte delle banche. Lo studio del Centro di Venezia ha calcolato infatti 320 milioni di euro distribuiti in un anno dai tanti sportelli della città. Ma il quadro che emerge è tutt’altro che incoraggiante, specie negli ultimi giorni dell’anno tradizionalmente dedicati alle scadenze e al pagamento delle bollette.

Il bilancio a fine anno per i consumatori baresi risulta in rosso e l’impatto del mutuo su tredicesima e busta paga penalizza la maggior parte delle famiglie, sempre più allarmante dei conti che non quadrano. L’acquisto di una casa diventa spesso un sogno irrealizzabile. Non è un caso che, secondo Tecnocasa, siano calate le richieste di finanziamenti per acquisti immobiliari. Solo negli ultimi tre mesi del 2008 il mercato dei prestiti per acquistare un’abitazione a Bari ha subito un forte arresto con il meno 7 per cento di domande, in confronto allo stesso periodo del 2007, Mentre in altre province della Puglia, come Brindisi e Taranto, sono aumentati i prestiti erogati per comprare un appartamento. Il rischio di non riuscire a saldare il debito con le banche ha frenato le richieste. Il vero nemico è il discusso e discutibile tasso variabile, una continua altalena che ha ridotto non poche famiglie sul lastrico. Tra il 2005 e il 2008 sono stati soprattutto i tassi dei mutui variabili ad aver subito gli incrementi più sensibili, che hanno toccato picchi del più 4 per cento. Ma stando alla previsioni dell’Euribor, nel 2009 i risparmiatori godranno di una boccata di ossigeno grazie alla riduzione dei tassi che scenderanno al 3 per cento per la prima volta dal 23 giugno 2006, come riferiamo in altro capitolo di questo lavoro. Il tasso è infatti sceso di tre punti in base ai dati rilevati dall’European Banking Federation. Sembrerebbe quindi, almeno per il 2009, un piccolo sollievo per le famiglie che, nella migliore delle ipotesi, accedendo alla rinegoziazione del mutuo secondo il decreto Tremonti, dovrebbero cominciare a pagare un tassi al 4,2 per cento.

*Le banche resistono ancora Nonostante il decreto Tremonti abbia fissato al 4 per cento il tetto massimo da applicare sui mutui a tasso variabile fina da gennaio, nella maggior parte delle agenzie si va avanti al buio. Mancano i decreti attuativi, quindi le sedi centrali si guardano bene da dare indicazioni alla periferia. E molti clienti si trovano con una rata che supera il 4 per cento. Del decreto non vi è traccia, anche perché una circolare del ministero del Tesoro concede alle banche tempo per adeguarsi, massimo entro fine febbraio. E se la rata è più bassa o leggermente più alta di quel 4 per cento è solo perché l’Euribor, il tasso di riferimento, è sceso vertiginosamente. Dunque la rata s’è ristretta da sola. Il quotidiano ‘la Repubblica’ il 23 gennaio ha pubblicato una sua inchiesta condotta in alcune agenzie delle banche più prestigiose. Tre direttori di agenzie visitate a Roma (Unicredit, Montepaschi e IntesaSanpaolo), ammettono che non sono arrivate indicazioni dalla direzione generale, anche se ormai sono inutili. <<Contratto alla mano su una rata di 700 euro ci saranno 100 euro in meno, grazie alla diminuzione dell’Euribor>>, spiegano nella filiale Unicredit. Stessa musica a Intesa San Paolo: <<chi aveva un tasso del 6,1 a giugno, oggi ha il 3,9>>. Certo che se nel contratto lo spread applicato (cioè quanto è preso dalla banca per spese e guadagni) era alto, la discesa del tasso sotto il 4 non è scontata. L’Adusbef spiega: <<Qualche caso c’è, ma il decreto Tremonti s’è praticamente vanificato perché i tassi sono scesi. Se ciò non accade i clienti vadano in agenzia e chiedano una diminuzione dello spread. Meglio che passare ad un altro mutuo>>.

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Aggiunge l’Osservatorio finanziario: <<Quel tasso del 4 per cento va applicato, i soldi pagati in più dovranno essere restituiti ed è bene ricordarlo alla propria banca, che va sempre punzecchiata>>. C’è poi un’altra novità: i mutui variabili legati al tasso Bce. Le aziende di credito devono offrire prodotti ancorati ad ambedue i parametri, Bce ed Euribor. E’ nel decreto anticrisi. E il mercato si sta muovendo. In realtà le banche temono i rischi di una indicizzazione diversa e quindi sui mutui con tasso Bce alzano lo spread, che in alcuni casi supera il 2 per cento. Ci sono anche istituti virtuosi. Ing Direct, per esempio, applicherà una differenza minima tra i due parametri: uno 0,25 in più per quelli legati al tasso Bce. Banca Etica ha optato per un divario dello 0,50. Più caro invece il mutuo Bce del Bancoposta: spread del 2,25, contro un 1,25 per quelli legati all’Euribor. La prima banca a partire è stata la Popolare di Milano che oggi applica uno spread di 1,5 punti sul tasso Bce. Il Gruppo Banco Sella ha scelto invece una strada diversa: lo spread sarà deciso di mese in mese, così che i due prodotti risultino equivalenti. Commenta Adusbef: <<Finirà che i tassi dei due prodotti saranno allineati ci penserà lo spread>>.

*Nomisma, Bollettino Statistico Banca d’Italia, Crif e UniCredit Consumer Financing Calano consistentemente le erogazioni di mutui per acquistare casa. Nomisma stima che i nuovi finanziamenti immobiliari avrebbero registrato il 2008 una perdita secca del 19%. E il trend negativo del finanziamento immobiliare è evidenziato anche dai dati resi noti, il 22 gennaio, dalla Banca d’Italia sul bollettino statistico: nel 3° trimestre 2008 è stata registrata una flessione delle erogazioni del 10,1%, mentre il dato riferito ai primi nove mesi conduce ad un calo del 6,9%. Questi dati includono non solo i nuovi finanziamenti ma anche i mutui di sostituzione di quelli vecchi e quelli relativi alla cosiddetta portabilità. Il ridimensionamento della domanda di finanziamento è strettamente collegato al forte rallentamento delle compravendite immobiliari che per il 2008 dovrebbero scontare un calo di circa il 15%. <<L’analisi delle erogazioni finalizzate per l’acquisto della casa – spiega un’analista di Nomisama – fornisce una interessante prospettiva per analizzare la brusca frenata che sta tuttora caratterizzando il mercato immobiliare residenziale. La recessione in atto, associata alla diffusa aspettativa di un ripiegamento dei prezzi delle abitazioni hanno, infatti, spinto una consistente quota della potenziale domanda a differire gli investimenti nel settore>>. L’attendismo da una parte e la maggiore selettività delle banche che si dimostrano estremamente prudenti nella concessione dei mutui, hanno determinato la forte flessione dei finanziamenti. Ulteriore conferma viene da Crif (Centro rischi finanziari): nel mese di ottobre la domanda di mutui ipotecari è diminuita del 5%, per salire al 9% nel mese di novembre, per attestarsi a quota -12% nel mese di dicembre. <<L’analisi del progressivo scivolamento della domanda dei mutui nell’ultimo trimestre 2008 – spiega il direttore del Credit Bureau Services di Crif – è dovuta a due fattori. Primo l’istruttoria dei mutui non è immediata e, quindi, la paura della crisi economica che ha frenato le famiglie ad ottobre si è poi materializzata a dicembre. Seconda: la crisi di liquidità>>. Per i prossimi mesi il Crif si attende una sostanziale stabilizzazione delle richieste di mutui: <<E’ molto probabile che la domanda di nuovi mutui da parte delle famiglie italiane, se non interverranno ulteriori turbative sul loro ‘sentiment’, vada progressivamente a stabilizzarsi. Tuttavia, tale stabilizzazione sarà principalmente il segno della strutturalizzazione della domanda verso tassi di crescita più contenuti rispetto a quelli che abbiamo osservato per molti anni>>.

L’analisi effettuata da UniCredit Consumer Financing, sulla base dei dati di Bankitalia, mette in evidenza che i mutui concessi nell’area meridionale, comprendente Puglia, Calabria, Basilicata, Campania, Molise e Abruzzo, sono diminuiti del 5,59% nei primi nove mesi del 2008 rispetto allo stesso periodo del 2007.

Secondo la stessa ricerca, nel Mezzogiorno sono stati erogati complessivamente 5.445 milioni di euro. L’Abruzzo e la Basilicata hanno registrato una crescita, rispettivamente del 3,11 e dell’1,64. La Puglia è sostanzialmente stabile (+0,50), mentre le altre regioni del Sud hanno segnato un

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trend in forte flessione, ed esattamente la Campania del 13,55%, il Molise del 10,87 e la Calabria del 4,6%. C’è da considerare che le famiglie italiane si indebitano di meno per comprare casa rispetto alle altre di Eurolandia. Non è per la stretta al credito o per la paura scatenata dalla crisi dei mutui subprime,ma semplicemente per la cultura finanziaria che ha sempre contraddistinto il nostro Paese. I dati della Banca centrale europea dicono che i mutui contratti per finanziare le compravendite di immobili rappresentano il 17,2% del Pil italiano, un valore di gran lungo inferiore a quello degli altri Paesi dell’Ue con la sola eccezione della Slovenia, che ha adottato l’euro nel 2007, ferma al 7,7%.

Un settore, quello immobiliare, tenuto sotto stretta osservazione dall’Istituto di Francoforte dopo l’esperienza americana e la crisi finanziaria innescata. E l’Italia ne esce sempre stabile anche se si confrontano i prezzi: in dieci anni, tra il 1997 e il 2007, le case sono cresciute mediamente del 5%, meno della media di Eurolandia, e molto lontano dal +10% che si è registrato in Spagna e dall’8% della Francia. L’Italia rientra, invece, nei valori medi Ue per la quota di case di proprietà: il 72% dei cittadini vive in una casa di proprietà.

Il crollo dei nuovi mutui

2007 2008* Var. %

Erogazioni totali (in milioni di euro) 62.727 57.014 -9%

Mutui per sostituzione e surroga (in milioni di euro) 4.692 9.752 +108%

Nuovi mutui (in milioni di euro) 58.036 47.262 -19%

Importo medio mutuo erogato (in euro) 128.455 123.352 -4%

Compravendite totali (in numero) 815.204 692.511 -15%

(*) Stime

Fonte: Elaborazioni Nomisma su dati Banca d’Italia. Agenzia del territorio e MutuiOnline

*Il ricarico delle banche Quando le banche prestano il denaro di un mutuo stabiliscono anche il loro guadagno. E questo utile, mese dopo mese,si fa sempre più consistente. Da agosto 2008 a gennaio 2009, le banche hanno stabilito aumenti di profitto del 40%. E per gli italiani che hanno contratto un mutuo sono colpiti da una beffa, perché i possibili risparmi svaniscono.

Ogni mutuo ha un suo tasso di interesse che il mutuatario dovrà pagare. Questo tasso d’interesse è, come abbiamo già letto, determinato da due voci: da una parte ci sono l’Irs (per i mutui a tasso fisso) o l’Euribor (per i mutui a tasso variabile); e dall’altra c’è il guadagno che le banche si assegnano. Negli ultimi mesi, anche questo sappiamo, l’Irs e l’Euribor sono calati, con grande beneficio per le famiglie che hanno risparmiato. Ma se poi aumenta così nettamente il ricarico preteso dalle banche, ecco che il risparmio si vanifica, almeno in parte.

Corrono i rischi maggiori le persone che chiedono un mutuo a tasso variabile per acquistare l’abitazione principale. Dal primo gennaio 2009, queste persone hanno una doppia possibilità. Possono agganciare il loro mutuo all’Euribor (che non certo stabile) oppure al tasso Bce (assai più sicuro per il cliente). Ma la maggiore sicurezza del tasso Bce è pagata a caro prezzo dai mutuatari, che devono versare alle banche compensi sempre maggiori. Dunque, in linea teorica, il mutuatario dovrebbe ricevere condizioni del tutto simili per Euribor e Bce, così stabilisce la legge e invece si scontra con il guadagno che gli istituti stabiliscono.

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L’amministratore delegato di Profetica, Egidio Vacchini giustifica le banche. Infatti, queste sopportano rischi supplementari quando si agganciano al tasso Bce. Di qui il diritto a compensi maggiori (l’Euribor ha registrato differenziali anche di oltre l’1% rispetto al tasso Bce).

In definitiva, il potenziale mutuatario non ha molte scelte. Può scegliere un mutuo agganciato ad un parametro instabile, come l’Euribor, e in questo caso risparmia qualcosa perché la banca richiede compensi minori, ma deve mettere in conto che la scelta può riservare qualche spiacevole sorpresa. In alternativa, si vincola al tasso Bce, più sicuro, ma è poi tartassato dalla banca.

In questo quadro è utile ricordare le garanzie che aiutano i consumatori. Bankitalia ha stabilito – che a partire dal primo marzo 2009 – le banche forniscano un’informativa sulle diverse tipologie di mutuo offerte. Il possibile mutuatario dovrà avere ben chiare le <<principali differenze tra i diversi prodotti>>. Sulla nuova normativa, per i mutui prima casa, è intervenuta anche l’Autorità Antitrust che ha chiesto che <<l’interessato possa confrontare agevolmente le diverse opzioni e scegliere quella più competitiva in termini di miglior prezzo>>. La trasparenza per il consumatore – ha notato l’Antitrust – è la condizione perché le banche si facciano concorrenza in modo reale e virtuoso In soccorso arriva Mutui Ondine che permette un esame comparativo dei mutui a tasso variabile sia per il binario Euribor sia per quello Bce. Intanto il forte calo dell’Euribor ha fatto lievitare le richieste dei finanziamenti a tasso variabile che sono passate dal 17,2% del secondo semestre 2008 al 36,8% di gennaio 2009.

Mutui, la giungla dei tassi variabili e degli spread

Durata 20 anni Tasso Euribor Tasso Bce

Bnl 1m + 1,75% + 1,75%***

Banca Popolare Etica 3m + 1,45% + 1,95%

Banca Popolare Etruria 6m + 0,90% +1,525%

Banca Popolare di Milano 3m + 1,00% + 1,50%

Banca Popolare di Bari 3m + 1,50% + 1,70%

Banca Sella 1m + 1,70% + 2,00%

Barclays Bank 3m + 1,45% + 1,95%

Cariparma 1m + 1,15% _

Che Banca 1m + 1,10% _

Credem 3m + 1,09% _

Ing Direct _ + 1,20%*

Gruppo Veneto Banca 6m + 1,50% + 1,40%

Intesa Sanpaolo 1m + 1,65% + 2,15%

Monte Paschi Siena 1m + 1,65% + 1,90%

Poste Italiane 3m +1,25% + 2,25%

Unicredit Consumer 3m + 1,70% + 2,20%** * Oltre 200.000 euro,; 100-200.000: 1,25%; 100.000: 1,50%

** Potrà essere modificato anche in febbraio

*** Per mutui stipulabili dal 16 febbraio 2009

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*Osservatorio Mutui Ondine L’Osservatorio di Mutui Ondine, il gruppo quotato in Piazza Affari con una copertura di oltre 40 banche, ha realizzato per “Mezzogiorno Economia”, dorso del Corriere della Sera, un approfondimento dedicato al Sud dove finisce un quarto del totale dei mutui erogati dalle banche in Italia (26% al Centro e 50% al Nord).

Cominciamo col chiarire che al Sud il 90% dei mutui contratti risulta al tasso fisso (contro una media nazionale che è del 75%).

Il nuovo taglio dei tassi operato dalla Bce, che ha portato il costo del denaro al 2% prospettando nuove riduzioni in primavera, favorirà o dovrebbe favorire (dipende dal comportamento delle banche, così come spiegato in altra parte del nostro lavoro) coloro che hanno un mutuo variabile. E’ vero che la scelta maggioritaria dei mutuatari meridionali mette al riparo le famiglie dalle oscillazioni del mercato, ma li esclude dai benefici derivanti dalla riduzione del costo del denaro. Proprio questa moltitudine ancorata all’Irs (il parametro di riferimento del tasso fisso) ha oggi l’opportunità di abbassare la rata, in modo anche più duraturo rispetto a coloro che hanno scelto il variabile.

Lo studio dell’Osservatorio di Mutui Ondine aiuta a fare chiarezza sulla situazione attuale. Dice l’Osservatorio che oggi le famiglie al Sud hanno un’opportunità eccezionale per contenere il costo della rata, grazie alla possibilità offerta dalla legge di cambiare banca a costo zero mantenendo la scelta del tasso fisso per l’intera durata del prestito. Se in seguito agli ultimi tagli operati dalla Bce del tasso ufficiale di sconto, l’Euribor (il parametro a cui sono ancorati i mutui a tasso variabile) è sceso all’incirca intorno al 2,4% a fronte del 4,25% che si registrava solo la scorsa estate, è vero che anche l’Irs sta lentamente ripiegando sotto il 4% (per una durata di vent’anni) rispetto al 5% di luglio 2008. Se, come sembra, i tassi continueranno scontrasi nel 2009, nel giro di qualche mese si troveranno sul mercato ottime condizioni per i prestiti a tasso fisso e in parte ci sono già. Condizioni che molto probabilmente non si ripeteranno tanto facilmente in futuro, quando l’economia si riprenderà e i tassi ricominceranno inevitabilmente a salire. Insomma, quello che per il Sud potrebbe sembrare apparentemente uno svantaggio può trasformarsi in una opportunità non da poco.

Il responsabile marketing di Mutui Ondine esemplifica: <<Prendiamo una famiglia che abbia sottoscritto nel 2001 un mutuo ventennale a un tasso fisso del 7,5%, la sua rata oggi è di 967 euro. Se la stessa famiglia decide di sfruttare le migliori condizioni del mercato, può fare una surroga, cioè chiedere a una nuova banca di subentrare nel medesimo contratto di mutuo ottenendo un risparmio di 150 euro>>. Per dirla in breve, tra un po’ il fisso sarà ai minimi storici, converrà mettere la propria banca di fronte a questo dato di fatto tentando di rinegoziare e, in alternativa, cambiare istituto pretendendo l’applicazione della portabilità. Quello sulla tipologia del tasso di interesse scelto, comunque, non è l’unica peculiarità del Sud che emerge dall’Osservatorio rispetto al resto del paese. <<Un’altra differenza è relativa alla finalità del mutuo, i prestiti per costruzione e ristrutturazione di case rappresentano il 9,3% del totale a fronte di una media nazionale che è del 3,5% (il che vuol dire che nel nord gli stessi prestiti si aggirano intorno all’1%). Un altro aspetto particolare è legato alle categorie di reddito: al Sud è pari al 76% la quota degli assunti a tempo indeterminato che riescono ad ottenere un mutuo, mentre la restante parte è rappresentato da liberi professionisti e lavoratori autonomi. Ebbene, la media italiana di autonomi che si aggiudica i finanziamenti per comprare casa è del 20% che vuol dire che al nord questa categoria non supera il 10-15%. Non si rilevano, infine, sostanziali differenze sull’importo medio del mutuo erogato (intorno ai 116-120 mila euro), mentre al Sud sono di più i mutuatari con un reddito medio di 1000-1500 euro, il 41% contro una media nazionale del 36%.

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Distribuzione richieste di mutuo per area geografica

I Sem. 06 II Sem. 06 I Sem. 07 II Sem. 07 I Sem. 08 II Sem. 08

Nord 46,4% 44,8% 46,8% 47,1% 47,8% 49,7%

Centro 28,8% 29,1% 28,2% 27,2% 26,6% 26,1

Sud e Isole 24,7% 26,1% 25,0% 25,7% 25,7% 24,2%

Distribuzione richieste di mutuo per tipo di tasso - Sud

I Sem. 06 II Sem. 06 I Sem. 07 II Sem. 07 I Sem. 08 II Sem. 08

Misto 6,1% 3,8% 1,6% 1,7% 1,7% 0,5%

Fisso 45,7% 61,2% 80,1% 85,9% 89,1% 90,1%

Variabile 48,2% 35,0% 18,3% 12,4% 9,2% 9,5%

Distribuzione richieste di mutuo per finalità - Sud

I Sem. 06 II Sem. 06 I Sem. 07 II Sem. 07 I Sem. 08 II Sem. 08

Ristruttur. e costruz. 10% 9,3% 9,3% 7,4% 6,2% 6,1%

Consolidamento 9% 7,1% 5,3% 4,6% 4,5% 4,7%

Sostituzione 6% 11,9% 21,2% 35,9% 35,9% 38,4%

Acq. seconda casa 2,5% 3,1% 2,7% 4,8% 4% 4,2%

Acq. prima casa 72,5% 68,6% 61,5% 47,3% 49,4% 46,6%

Fonte: Mezzogiorno Economia

La riduzione dei tassi: una rinata fiducia *Il tasso Euribor Intanto bisogna considerare che gli Stati Uniti ed Eurolandia hanno unito le forze per far fronte alla crisi finanziaria e ciò rappresenta un incoraggiamento, anche se non vigoroso: il tasso Euribor a tre mesi ha conosciuto, il 14 ottobre scorso, il calo più forte in oltre cinque anni, toccando quasi il 5% (5,24%). L’iniziativa ha sollevato l’umore di chi ha contratto un mutuo a tasso variabile, tenuto conto che le rate mensili dovrebbero seguire nella riduzione, sempre che la tendenza a discendere sarà confermata. Che cos’è l’Euribor trimestrale. E’ il tasso che le banche applicano fra loro sul mercato interbancario della liquidità per un prestito a tre mesi, in euro, che, come abbiamo detto, è sceso al 5,24%, otto punti base in meno rispetto al 5,32% del 13 ottobre. E’ questo il terzo calo consecutivo per il saggio calcolato dalla Europen Banking Federation, che al 9 ottobre era al 5,39%. Secondo la Bloomberg è dal 24 febbraio 2003 che non si verificava un calo così forte. Anche l’Euribor a un mese segna un calo anche se più contenuto (al 4,93% dal 5,02%) e quello a una settimana sempre al 4,93% dal 5,02%. E sul dollaro il tasso Libor a tre mesi è sceso di sette punti base al 4,75%. L’overnight in euro è sceso al 3,75% dal 3,78%, quello in dollari al 2,18% dal 2,47%. E’ certo che tutto questo avviene a seguito dalle misure annunciate dagli USA, con il governo impegnato a ricapitalizzare le banche, seguendo l’esempio dell’Europa, ed, inoltre, dai fondi stanziati da Usa ed Europa (oltre tre miliardi di dollari) per sbloccare i mercati creditizi.

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Siamo lontani dall’auspicata soglia del 5%, ma la tendenza a scendere, dopo un periodo non breve di tassi in continua ascesa, può incoraggiare, tanto più che segna una ripresa, ancorché timida, di fiducia tra le banche.

Bisogna considerare, per comprendere la possibile rinata fiducia, che il punto centrale della crisi dei mutui è stata proprio la tensione creatasi nel mercato interbancario, conseguenza del fatto che le banche si sono trovate in grande difficoltà nel coprire il contante a breve termine, causando così una fuga di investitori e correntisti.

L’Ance (Associazione nazionale costruttori edili) ha chiesto con forza che gli Istituti di credito taglino i tassi di interesse alle famiglie e alle imprese. Ha inoltre denunciata la situazione anomala che caratterizza l’Italia: il costo del denaro per i prestiti a tasso fisso per l’acquisto di immobili da parte delle famiglie è più alto di circa un punto percentuale rispetto alla media dell’area euro (+0,84% ad agosto 2008).

*L’attesa del mercato A fine ottobre abbiamo registrato una frenetica attesa del mercato per il possibile taglio dei tassi di interesse da parte della Banca europea. Una riduzione del costo del denaro potrebbe favorire il credito soprattutto alle piccole e medie imprese. Tra l’altro queste devono affrontare le scadenze fiscali di novembre senza liquidità e senza certezze sui redditi dell’anno.

Infatti, la Confartigianato, la Cna e Cassartigiani hanno, congiuntamente, chiesto al governo di individuare soluzioni adeguate per attenuare l’impatto della grave crisi finanziaria sulle piccole imprese. In sostanza chiedono misure urgenti per quanto riguarda il versamento della seconda rata degli acconti d’imposta che le imprese sono tenute a corrispondere entro il 30 novembre. Secondo le tre Organizzazioni di categoria è opportuno prevedere una rimodulazione della percentuale dell’acconto o di rateizzare l’importo.

In merito al taglio dei tassi di interesse si auspica da parte di tutti gli imprenditori in una riduzione di mezzo punto che porterebbe il tasso dall’attuale 3,75% al 3,25%.

Adusbef e Federconsumatori commentano favorevolmente il possibile taglio dei tassi purché la riduzione si trasferisca simmetricamente su mutui e impieghi. <<Il timore – sottolineano le associazioni – è che il cartello bancario europeo dimentichi di registrare le diminuzioni>>. Oggi l’Euribor è <<arbitrariamente fissato al 4,91% con un differenziale di 1,16 punti, quando tra il 2005 e il 2007 il differenziale dei tassi Bce e Euribor era dello 0,2%. Il mancato taglio del tasso interbancario, quello su cui cioè si adeguano gli interessi sui mutui pesa su un mutuo 58 ore al mese, 696 euro in media all’anno per un prestito di 100.000 euro. Infine, il 6 novembre il Direttivo della Banca centrale europea (Bce) ha ridotto di mezzo punto il tasso centrale dell’euro, portandolo a 3,25. Non è escluso un nuovo taglio a dicembre. Tuttavia i mercati hanno reagito negativamente alla decisione della Bce, tanto che le Borse europee hanno chiuso con forti ribassi, di oltre il 5 per cento sia a Londra sia a Francoforte, mentre l’euro è sceso sotto quota 1,28 dollari.

Ci si aspettava una discesa più radicale, come quella, presa lo stesso 6 novembre, dalla Bank of England che ha tagliato il suo saggio di riferimento addirittura di un punto e mezzo portandolo al 3 per cento, il livello minimo dagli anni Cinquanta. Anche la Banca nazionale Svizzera ha ridotto di mezzo punto.

La Bce, nell’annunciare di non escludere un nuovo calo del saggio il mese di dicembre, ha ammonito le banche commerciali a fare la loro parte con più coraggio.

La Bce, se si interpreta bene la sua volontà, si prepara a diversi tagli del tasso ma a tappe. E’ comunque una inversione di rotta. Nei dieci anni di vita dell’Istituto, fino al 6 novembre, aveva preferito la difesa della stabilità dei prezzi, secondo la rigorosa scuola della Bundesbank.

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La crisi economico-finanziaria

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Così spiega il suo nuovo atteggiamento la Banca centrale europea: dopo il fallimento della banca americana Lehman Brothers <<si stagliano sfide immense, straordinarie>>. L’economia dei quindici paesi aderenti all’Unione monetaria è di fronte a incommensurabili incertezze. <<L’intensificarsi e l’ampliarsi dell’instabilità finanziaria a livello internazionale potrebbe danneggiare la domanda globale e anche in Eurolandia>>.

Purtroppo un rallentamento della domanda nell’Unione europea è quasi certo e potrebbe essere di lunga durata.

Di positivo c’è che il tasso inflazionistico del 3,2 per cento di ottobre è in discesa e nel corso del 2009 si dovrebbe portare al 2 per cento. Si dovrà aspettare fine anno per capire se la Bce teme una recessione, ma il rischio è concreto. Ma, come dicevamo, la delusione dei mercati resta. I banchieri italiani auspicavano un taglio più alto del tasso dell’euro anziché l’ennesimo compromesso tra falchi e colombe della Bce.

I tassi ufficiali a confronto

Dati in %

Tassi Ultima modifica

Stati Uniti 1,00 29/10/08

Eurozona 3,25 29/10/08

Gran Bretagna 3,00 06/11/08

Svizzera 1,50-2,50 06/11/08

Giappone 0,20 31/10/08

Immediata la reazione delle associazioni dei consumatori. L’Adusbef e la Federconsumatori definiscono positivo il taglio dei tassi. Ora è necessario, aggiungono, planare in direzione di un abbassamento di tali tassi al 2%, nel più breve tempo possibile. Non solo, ma la riduzione dello 0,50% deve avere immediata ripercussione sui tassi applicati ai mutui, considerato che tale taglio potrebbe portare a una diminuzione di circa 25 euro al mese per un mutuo di 100.000 euro.

L’Adiconsum ritiene che le banche dovrebbero iniziare a ridurre gli spread che sono nuovamente aumentati dall’inizio dell’anno attraverso la rinegoziazione gratuita dei mutui e l’applicazione del tasso Euribor uguale alla scadenza delle rate, tenuto conto che quasi tutti i mutui sono rimborsati mensilmente

Ma non finisce qui. La gravità e l’imprevedibile evoluzione della crisi economica hanno consigliato la Banca centrale europea di Francoforte a ridurre ulteriormente il costo del denaro operando un taglio dello 0,75% portandolo così dal 3,25% al 2,50%, allo stesso livello del 2006. Si tratta del più ampio taglio mai fatto dalla sua istituzione e la riduzione dell’1,75% negli ultimi due mesi cosa mai praticata dalla seconda guerra mondiale da una banca centrale. Ora gli Stati si trovano a dover emettere una massa di titoli per finanziare salvataggi bancari e investimenti pubblici di stimolo alla crescita. Un taglio, tra l’altro, che si inserisce in una manovra coordinata con altri paesi Ue fuori da Eurolandia come Svezia (tagliato i tassi sulla sterlina dell’1% e sulla corona dell’1,75%), Regno Unito (-1% al 2%), Danimarca (-0,75% al 4,25%).

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Il Sistema Puglia 57

La decisione è stata presa tenendo conto del calo dell’inflazione da 3,2-3,4% del 2008 a 1,1-1,7% nel 2009, con una leggera risalita all’1,5% nel 2010. Il tutto legato soprattutto al calo dei prezzi del petrolio e dei principali beni di consumo, ma anche al rallentamento dell’attività economica e dei consumi. Ha influito la decisione anche il deterioramento dell’economia a causa della recessione nella zona euro (stimata tra -1 e 0% per il 2009).

E che le cose non vanno bene lo ha confermato Eurostat, certificando l’arrivo della recessione in Eurolandia e nel resto dell’Ue: nel terzo trimestre, così come nel secondo, la crescita si è contratta dello 0,2%. Al di sotto la media, l’Italia a quota -0,5 con Germania e Regno Unito. Spagna e Francia sono rispettivamente a -0,2% e +0,1%. Gli indicatori disponibili di ottobre e novembre lasciano prevedere un Pil col segno meno anche nel quarto trimestre 2008. Il presidente della Bce ha garantito di monitorare la situazione per valutare nuovi interventi, ma ha rifiutato commenti su di un eventuale taglio nel prossimo gennaio. Ha, altresì, rassicurato sulla crisi del sistema bancario ammettendo solo una diminuzione dei prestiti a imprese e famiglie e negando il prosciugamento dell’offerta di credito. Ha comunque esortato la Commissione Ue a dare presto il via libera ai piani di aiuti di Stato alle banche.

Tassi interbancari ancora in calo. L’Euribor a tre mesi, su cui sono indicizzati i mutui sull’acquisto delle case, ha toccato i minimi da due anni al 3,669% mentre l’equivalente a una settimana è sceso al 2,868% e quello a sei mesi ha toccato il 3,710%, il livello più basso dal novembre 2006. Giornata condizionata dal taglio dei tassi della Bce per le Borse europee. A Milano l’indice Mibtel, che aveva registrato rialzi superiori all’uno per cento, dopo il taglio è passato in segno negativo sino a toccare -1,64%. Anche le altre piazze continentali dopo la mossa della Bce hanno limato i guadagni passando in valutazioni negative. Alla fine se i principali listini europei chiudono in prossimità della parità, Piazza Affari scivola penalizzata dalle performance negative dei finanziari e del settore energia. La notizia del taglio dei tassi operato dalla Bce ha trovato pronti Adusbef e Federconsumatori a chiedere che le banche facciano la loro parte, tagliando subito dello stesso 0,75% i tassi sui mutui e consentendo così un risparmio medio sulle rate dei prestiti a tasso variabile (ipotizzando un mutuo trentennale da 100.000 euro) di 45 euro al mese pari a 540 euro l’anno.

Gli effetti e gli assegni protestati Il tornado finanziario se è vero che ha colpito le imprese, di certo non ha lasciato tranquilli i risparmiatori. I piccolissimi risparmiatori. La temutissima stretta creditizia da parte delle banche comincia a farsi sentire. Gli effetti sono diretti non più soltanto sui crediti alle imprese, ma anche le famiglie cominciano ad avere rapporti sempre meno chiari con gli istituti di credito. I rapporti con le banche sono sempre più incerti e le famiglie e i risparmiatori fanno sempre più fatica a far valere i propri diritti.

Gli operatori bancari, i promotori finanziari raccolgono e metabolizzano i timori, le angosce dei propri clienti, non essendo in grado, spesso, di rassicurarli.

Si può raccogliere l’umore del risparmiatore medio; difficile è guidarlo, consigliarlo, questo è poi il cruccio degli esperti professionisti. Vi è quello che vuol vendere tutto, e non è facile forzare questa volontà anche quando si dimostra che la vendita immediata rappresenterebbe un fallimento finanziario.

Non parliamo poi di quando si cerca di far capire che le cose si comprano quando costano poco e si vendono quando acquistano valore e quindi sarebbe questo il momento giusto d’investire, certo con accortezza. Ma chi li segue. Di certo non il piccolo risparmiatore. Oggi la domanda più ricorrente è che fine faranno i propri soldi. Insomma sono tutti fermi.

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La crisi economico-finanziaria

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C’è pure qualcuno che investe ma in genere si tratta di gente che ha una buona conoscenza del mercato, non necessariamente un addetto ai lavori. Tutti confermano che clienti se ne vedono pochi. Altra difficoltà è quella che pochi, o quasi nessuno, crede all’esistenza di garanzie sui depositi bancari. Ed è una sfiducia comprensibile, alla luce degli avvenimenti. I periodi di crisi, è vero, sono anche quelli in cui è più facile arricchirsi. Il momento degli speculatori, dei pescecani. Gente così è difficile rintracciarli nella realtà pugliese. Il cliente medio è un lavoratore dipendente o un libero professionista con un patrimonio di poche decine di migliaia di euro. Logico che per questi perdere mille euro faccia male. Bisogna armarsi di pazienza, aspettare che il mercato si aggiusti.

*L’indagine della Cgia di Mestre Ci fa riflettere, però, l’indagine condotta dall’ufficio studi della Cgia di Mestre sulla situazione dei protesti in Italia, pubblicata alla fine di ottobre. Un dato è certo che il numero di cambiali e assegni protestati in Italia aumenta, toccando quota 25 ogni mille abitanti per un importo medio di 2.600 euro. Dal 2000 al 2007 il numero dei protesti è aumentato del 9,2%.

Al Centro Sud le situazioni più critiche con in testa alla graduatoria Roma che arriva a 48,3 ogni mille abitanti, seguita da Crotone (46,1 protesti ogni mille abitanti), Ragusa e Salerno (45,9%), Benevento (43) e Frosinone (42,3). Viene fuori una classifica che divide la penisola: le difficoltà maggiori si avvertono, come dicevamo, al Centro Sud. E’ il segnale, commenta la Cgia, certo di poca onestà e correttezza ma anche dell’avvento della crisi.

Al Nord, e soprattutto al Nordest, la situazione è completamente diversa. A cominciare da Belluno, la meno coinvolta da questo fenomeno, con un numero di protesti per mille abitanti che arriva a 3,9. Segue Trento con 4,8, Bolzano con 5,1, Sondrio con 5,4, Venezia con 6,5, Udine con 7,5. Se poi prendiamo l’importo medio dei protesti la geografia della classifica cambia. A guidarla è Teramo dove l’importo medio per protesto arriva a 4.711. Seconda Oristano (4.407 euro), terza Treviso (4.082) e quarta Piacenza (4.040 euro). L’importo medio più basso invece è rilevato a Belluno (1.508 euro), preceduto da Imperia (1.533 euro), Verbanio-Cusio-Ossola (1.551 euro), Asti (1554 euro) e Biella (1585).

Vediamo ora la Puglia. A guidare la classifica, Lecce con 36,5 protesti ogni mille abitanti per un importo medio di 1.747 euro, ma con una media in calo nel 2007 rispetto al 2000 (-3,3%). Segue Brindisi con 34,8 protesti di 1.699 euro in media, in calo del 9,2%. E poi Taranto con 32 protesti ogni mille abitanti, in media di importo più elevato (1.927 euro) e con un aumento rispetto al 2000 dell’11,5% qui però pesa il crac del Comune). Subito dopo troviamo Bari con 30,7 ogni mille abitanti con importo medio per 2.045 euro e in calo del 2,7%, sempre rispetto al 2000. Ultima è Foggia con 29,7 protesti ogni mille abitanti, ma in media di importo elevato (2.276 euro) e un aumento del 14% in sette anni.

*L’Ufficio studi di Unioncamere L’Ufficio studi di Unioncamere ha fatto un’analisi sulla consistenza degli assegni e cambiali protestati in circolazione nel 2008 (meno dell’1% rispetto all’anno precedente), sui dati del Registro informatico dei protesti. Ma il loro valore medio è fortemente aumentato (quasi l’11% nel 2008 tra assegni, cambiali e tratte) il monte dei “non onorati” ha superato complessivamente il tetto di dei 4,1 miliardi di euro, pari ad un incremento dell’11,7% rispetto al 2007.

In Puglia nel 2008, sempre secondo la stima dell’Unioncamere, il totale di assegni, cambiali e tratte protestati ha raggiunto la cifra di più di 247 milioni di euro, il 4,5% in più rispetto al 2007. Il

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Il Sistema Puglia 59

peggior risultato lo consegue Bari con più di 100 milioni (10,9% in più), seguono Lecce con 49,5 milioni (7,3%), Foggia 40,3 milioni (-6,4%), Taranto 35,5 milioni (3,6%) e Brindisi con 21,2 milioni (-4,6%). Dice Unioncamere che nonostante la forte riduzione nel numero (-7,2%), gli assegni scoperti hanno fatto registrare una crescita del 9% in valore complessivo e del 17,4% nei valori medi.

Indicatori tutti in aumento, invece, per le cambiali a vuoto cresciute sia nel numero (+5,7%), sia nel valore medio (+10,1%), con il risultato che il monte dei non onorati è aumentato del 16,3%. Infine, in forte aumento anche le tratte non incassate, strumento residuale ma ancora in uso nel mondo degli affari, cresciuto del 16,6%. Un aumento che, considerando l’incremento del 13% nel loro valore medio, si è tradotto in una crescita a fine anno del 31,8% dell’importo totale dello scoperto per questa tipologia.

Questi gli elementi più significativi che emergono dall’analisi dell’Ufficio studi di Unioncamere sull’andamento dei protesti levati nelle regioni e nelle province italiane nel corso del 2008. Guardando la mappa dei mancati incassi in valore assoluto, i dati indicano che nel 2008 le regioni dove si concentrano maggiormente le mancate promesse di pagamento sono state Lombardia, Lazio e Campania con un monte di scoperto pari, rispettivamente, a 796, 787 e 646 milioni di euro. Nelle prime tre regioni si concentra oltre il 54% di tutto l’insoluto nazionale del 2008.

In termini relativi, le difficoltà ad onorare gli impegni sono cresciute maggiormente in Trentino Alto Adige, Molise e Umbria dove il valore totale degli scoperti è aumentato rispettivamente del 26, del 24,2 e del 23,2% nel confronto con il 2007. In termini di valore medio, sempre considerando il totale degli effetti protestati, gli aumenti più considerevoli si sono registrati ancora una volta in Trentino Alto Adige (35,2%), Lazio (22,5%) e Umbria (22,2%). C’è da dire, a commento di questi dati negativi, che il protesto determina la morte creditizia del soggetto che lo riceve. Inoltre porta inesorabilmente alla chiusura dei rapporti bancari con la conseguente richiesta di rientro dell’esposizione debitoria e la segnalazione alla centrale dei rischi del nominativo del debitore principale e dei garanti. Provoca la pubblicità del nominativo sul “bollettino dei protesti” e, con questa, la perdita di ogni possibilità di credito bancario.

E’ indubbio che l’improvvisa riduzione della liquidità ha portato imprese e famiglie a far impennare il numero dei protesti.

Si può ben dire che queste notizie rappresentano le ripercussioni della crisi finanziaria che pesano in modo determinante. Non a caso, anche il mercato del credito al dettaglio si colloca in un quadro di deterioramento delle condizioni economiche nazionali, assumendo una rischiosità senza precedenti.

Effetti protestati Totale assegni, cambiali e tratte. Valore monetari in euro

2008 2007 Var. % 2008/2007

Importi Importi Valore medio

Puglia 247.106.817 236.452.065 4,2%

Italia 4.110.028.922 3.678.402.040 10,9%

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La crisi economico-finanziaria

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Totale effetti protestati

Graduatoria provinciale per importo complessivo

2008 Variaz. % 2008/2007

Importi Numero Valore medio Importi Numero Valore medio

7° Bari 100.272.006 42.368 42.368 10,9% -3,4% 14,8%

15° Lecce 49.598.344 29.103 29.103 7,3% 6,9% 0,4%

20° Foggia 40.383.347 16.676 16.676 -6,4% -9,0% 2,9%

25° Taranto 35.580.898 18.662 18.662 3,6% 7,4% -3,6%

51° Brindisi 21.272.222 13.318 13.318 -4,6% 2,7% -7,1%

xAssegni protestati negli anni 2008/2007

Graduatoria provinciale per importo complessivo

2008 Variaz. % 2008/2007

Importi Numero Valore medio Importi Numero Valore medio

8° Bari 51.699.058 8.876 5.825 7,8% -8,6% 17,9%

16° Lecce 24.071.307 5.384 5.384 1,4% -3,2% 4,8%

26° Foggia 20.452.254 3.232 4.294 -12,2% -20,6% 10,6%

32° Taranto 18.497.406 4.294 4.308 -9,0% -3,1% -6,1%

53° Brindisi 9.907.977 2.073 4.780 -10,4% 13,3% -21,0%

Leggendo poi il dato definitivo 2008, elaborato sempre dall’Unioncamere, si apprende che i protesti in Puglia ammontano a dieci milioni in più rispetto al 2007. Numericamente gli assegni e le cambiali protestati sono aumentati soltanto di poco, ma il valore medio di ciascun effetto è cresciuto sensibilmente. In particolare in Puglia a fronte di 120mila 127 fra assegni, cambiali e tratte protestati (appena 371 in più dell’anno precedente, pari allo 0,3 per cento) l’importo complessivo dei mancati pagamenti è stato di 247 milioni 106mila, 817 euro (più 4,5 per cento sul 2007). E Bari è fra le prime cinque città in Italia per assegni scoperti. Intanto secondo Il Sole 24 Ore la Puglia è fra le regioni italiane che contano il maggior numero di dichiarazioni Isee (Indicatore di situazione economica equivalente) presentate nel 2008, ma ai controlli della Guardia di Finanza il 45 per cento di queste è risultata falsa. La conta del numero e dell’ammontare dei ‘pagherò’ non onorati è determinante per comprendere lo stato di crisi: ancora di più è il raffronto fra diverse rilevazioni. Basta infatti tornare indietro di pochi mesi per scoprire che i pugliesi hanno cominciato a trovarsi in difficoltà e quindi a non pagare più, sul finire del 2008. Secondo l’analisi dei dati effettuata sul periodo gennaio-ottobre 2008 la Puglia risultava in controtendenza rispetto al resto del Paese: i numeri mostravano un calo sensibile del totale di effetti protestati e anche il valore del singolo pezzo era inferiore al passato. Un segnale interpretato come il tentativo dei pugliesi, imprenditori e famiglie, di affrontare sacrifici pur di onorare il debito o comunque di voler mantenere bassa la propensione all’indebitamento in una fase di incertezza. Ma i dati complessivi sul 2008 mostrano che il tracollo deve essere avvenuto nell’ultima parte dell’anno: imprese e famiglie non ce l’hanno fatta a onorare gli impegni assunti nel corso dell’anno e assegni e cambiali sono finiti nelle mani dei notai.

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Il Sistema Puglia 61

Il valore medio dei più dei 120 mila effetti protestati in Puglia è salito a duemila e 57 euro: una crescita, del 4,2 per cento rispetto all’anno precedente. Certo la Puglia non ha conquistato alcun primato negativo considerando che vi sono altre regioni come il Lazio e l’Umbria dove gli importi complessivi e i valori medi dei ‘pagherò’ protestati sono aumentati fin oltre il 20 per cento. Ma a dare il senso della crisi è la graduatoria provinciale per importo. Bari, come abbiamo già riferito, è la quinta città italiana per valore complessivo di cambiali non onorate (per un totale di quasi 50 milioni di euro), dopo Roma, Napoli, Milano e Salerno. Sommando assegni, cambiali e tratte, Bari è settima (con 100 milioni 270 mila euro di debiti non onorati), Lecce è quindicesima (con 49 milioni e mezzo), Foggia ventesima (con 40 milioni), Taranto è venticinquesima (35 milioni e mezza), Brindisi ultima con poco più di 21 milioni.

Significativo anche il dato sulle dichiarazioni Isee: soltanto la presentazione dell’indicatore della situazione economica all’Inps o ai Caaf può garantire infatti l’accesso a prestazioni agevolate (non ultima la concessione della social card ). La Puglia, con le sue 564mila 939, è dunque la terza regione in Italia per numero di dichiarazioni presentate, dopo la Sicilia e la Campania che superano ciascuna il milione. I pugliesi potenzialmente destinatari di prestazioni agevolate dagli enti pubblici sarebbero quindi un milione 745mila 879: il nove per cento delle famiglie pugliesi che hanno presentato l’Isee avrebbero una situazione economica pari a zero. Ma la Guardia di Finanza ha scoperto la truffa. Su 557 controlli effettuati sui documenti presentati in Puglia il 45 per cento è risultato falso: di più ha fatto solo la Campania

L’USURA La tempesta finanziaria non poteva lasciare indenni le famiglie che, come abbiamo visto, trovano difficoltà non solo a contrarre nuovi mutui ma ad onorare quelli già stipulati. In questo quadro si affaccia l’ipotesi che non siano pochi quelli costretti a ricorrere all’intermediazione finanziaria-usuraia pur di non perdere l’immobile. E questo ci è confermato, anche se in modo indiretto, da tutti gli Istituti che analizzano il mondo usuraio: l’aumento dei soggetti che ricorrono all’immorale finanziamento è da ricercarsi, anche se in parte, tra quelli che devono far fronte al debito bancario.

*La Consulta Nazionale Antiusura ha commissionato uno studio per analizzare il deficit dei bilanci familiari. La ricerca si basa su dati oggettivamente certi, quelli della Banca d’Italia. Il risultato sollecita una forte e preoccupante denuncia: trentaduemila famiglie pugliesi sono a rischio usura. Vediamo perché. Nell’analisi approntata si evidenzia un dato negativo che, purtroppo, è in forte crescita: una famiglia su cinque non arriva a fine mese e il 19,1 per cento è indebitata e gli è preclusa una qualsiasi forma di prestito o finanziamento, è pertanto costretta a rivolgersi al mercato del credito irregolare: l’usura. Il 2,2 per cento – che corrisponde a circa 32 mila nuclei (in Puglia le famiglie sono un milione e 469 mila) è, di fatto, a rischio usura. Infatti, ha dichiarato: <<di aver rinunciato a chiedere un prestito a banche e finanziarie>> perché <<ogni domanda sarebbe stata rifiutata>>.

E sarà, forse, questo il motivo per cui, come abbiamo letto, le città meridionali sono indietro nella classifica delle 103 province (stilate dalla Cgia) maggiormente indebitate con banche e finanziarie.

Vi è, però, un altro delicato aspetto legato allo scivolamento della soglia di povertà ed è quello dell’usura. Ce lo spiega monsignor Alberto D’Urso, segretario della Consulta nazionale antiusura: <<La situazione è peggiorata anche a causa della crisi che ha creato un sovraindebitamento in tutte

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La crisi economico-finanziaria

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le famiglie. La gente che bussa alla mia porta è sempre di più, le vittime degli usurai sono aumentate. Il mio, purtroppo, è diventato un osservatorio privilegiato delle pene quotidiane>>. Chi sceglie di chiedere soldi a strozzo lo fa per sopperire in qualche modo a semplici spese quotidiane. <<Gente – dice monsignor D’Urso – che ha contratto un mutuo per la casa, che è stata licenziata e deve onorare le bollette della luce, del gas, dell’acqua. Vediamo capifamiglia che non sanno più come sbarcare il lunario, costretti a vendere le case di proprietà per saldare i debiti contratti>>.

E sono persone sempre più giovani, tra i trenta e i quarant’anni, che si affidano alla consulta, cercando di entrare a far parte di un circuito di solidarietà. <<Oggi non si arriva alla seconda settimana del mese, con un solo stipendio. C’è un aumento di richieste di sovvenzioni e di beneficenza. Quando poi si ricorre agli usurai, la gente si vergogna e ha paura>>. E si rivolge agli usurai anche perché <<la cultura individualistica impedisce di sviluppare il discorso della solidarietà familiare. E, poi, i messaggi che oggi propongono televisioni e mass media non aiutano a far sviluppare la cultura del risparmio>>.

*L’Associazione Contribuenti Italiani Più perentoria l’analisi dell’Associazione Contribuenti Italiani che con Lo Sportello del Contribuente e lo Sportello Antiusura monitora continuamente il fenomeno dell’usura in Italia: <<Stiamo assistendo inerti al proliferarsi del fenomeno dell’usura a seguito della grave situazione di difficoltà economica in cui versano le famiglie. Il sovra-indebitamento delle famiglie italiane nel 2008 è cresciuto del 41,1%, rispetto al 2007, e la propensione all’usura nel 2009 è salita del 25,7%>>.

Nel 2009 sono <<1.433.000 famiglie sono a rischio usura>>, mentre nel 2008 il livello medio del debito delle famiglie italiane ha raggiunto la cifra di 19.630 euro e la più esposta è stata la provincia di Roma con oltre 24.250 euro. Nel 2009, secondo le previsioni dell’Associazione, al primo posto tra le regioni maggiormente esposte al rischio usura figura il Piemonte, con 394 mila famiglie, seguito dalla Sicilia (235 mila), Emilia Romagna (214 mila), Campania (143 mila), Lombardia (88 mila), Toscana (60 mila), Veneto (43 mila), Lazio (43 mila), Puglia (40 mila), Calabria (35 mila), Liguria (28 mila), Friuli Venezia Giulia (20 mila), Umbria (20 mila), Abruzzo (19 mila), Trentino Alto Adige (15 mila), Sardegna (11 mila), Valle d’Aosta (10 mila), Basilicata (10 mila), Marche (4 mila) e Molise (1.000).

Il fatto che la Puglia non compaia ai primi posti di questa classifica negativa, non significa che il fenomeno dell’usura sia meno grave che altrove (si vedrà poi che nei primi due mesi del 2009 recupererà posizioni di prestigio). Infatti, l’azione di contrasto delle forze dell’ordine dalla Capitanata al Basso Salento non conosce soste, solo così è stato possibile tenere almeno sotto controllo le attività usuraie. In particolare, il fenomeno è molto presente nella provincia di Taranto, dove si susseguono le operazioni delle forze dell’ordine con arresti a ripetizione. In provincia di Lecce, nella prima decade di gennaio, è stata bloccata l’attività di una finanziaria proprio perché applicava tassi usurai sui prestiti erogati a quanti avevano bisogno di denaro ed erano stati allontanati dal sistema bancario ufficiale, trovandosi nella necessità di far fronte alle esigenze economiche ricorrendo alla finanziaria.

I dati diventano poi sconvolgenti con l’inizio del 2009, dove la stessa Associazione comunica che si è registrato nei primi due mesi dell’anno un aumento dei casi del 49,2% rispetto allo stesso periodo del 2008, e il sovra indebitamento delle famiglie è cresciuto del 69,4%. L’aumento, secondo sempre l’Associazione, è da addebitarsi alla crisi economica in atto in tutto il mondo. Nel Sud Italia sono a rischio usura 464 mila famiglie e 570 mila piccoli imprenditori. Il debito medio delle famiglie meridionali, inoltre, ha raggiunto la cifra di 22.180 euro e quello dei piccoli imprenditori ha

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raggiunto i 38.590. Secondo l’Associazione il peggio deve ancora arrivare, l’apice sarà raggiunto nel giugno del 2009. Al primo posto tra le regioni maggiormente colpite c’è la Sicilia,con 235 mila famiglie e 263 mila imprese a rischio usura, seguita da Campania (143 mila famiglie e 180 mila imprese), Puglia (40 mila famiglie e 64 mila imprese), Calabria (35 mila famiglie e 50 mila imprese), Basilicata (10 mila famiglie e 12 mila imprese) e Molise (mille famiglie e mille imprese).

Le Imprese della Puglia La ricerca della Cgia di Mestre sviluppata nelle Camere di Commercio italiane e pubblicata l’8 novembre offre un quadro desolante delle imprese nella nostra regione.

Nei primi nove mesi di quest’anno in Puglia hanno chiuso 24.782 imprese, con un saldo negativo tra nuove iscritte e cessate di -4.158 imprese. Nello stesso periodo dello scorso anno il saldo era stato attivo +1.217. Il calo maggiore lo registra il settore del commercio, con un saldo passivo di -2.889, mentre segnala un saldo attivo l’artigianato con +239 aziende.

L’andamento pugliese è in linea con quanto sta avvenendo nel resto d’Italia. Secondo la ricerca della Cgia nei primi nove mesi del 2008 in Italia hanno chiuso 336.846 imprese con una stima di perdite di posti di lavoro di centomila unità nel solo commercio. Il saldo, dato dalla differenza tra le nuove iscritte e quelle cessate è pari a -13.184 aziende mentre nello stesso periodo dell’anno 2007 era di +10.007. Nel 2006 arrivava a +46.875.

<<La crisi si sta abbattendo sul mondo delle imprese – è il commento della Cgia – ed in particolare in quelle del Sud. Il settore più colpito è il piccolo commercio, un peggioramento della situazione che è il frutto della preoccupante crisi economica che sta colpendo il Paese>>. Sempre secondo la Cgia a pagare il prezzo più alto, a livello territoriale, sono le regioni del Sud. Oltre alla Puglia, sul totale delle imprese presenti in Sicilia e in Calabria il saldo negativo è stato rispettivamente di 4.229 e di 1.174. Nel 2007 in queste regioni il saldo era stato abbondantemente positivo (Sicilia +1.754, Calabria +1.057). Per quanto riguarda i settori tiene l’artigianato (saldo a +2.162 aziende), ma peggiorano quando si analizza il commercio. A fronte di poco più di 95.000 chiusure segnalate nei primi nove mesi del 2008, erano 94.500 circa nel 2007, un forte calo si è registrato nelle nuove iscrizioni. Se nel 2006 e nel 2007 le attività commerciali che avevano aperto erano circa 69.500 quest’anno sono scese a poco più di 64.300. Pertanto il saldo è sceso a -30.672 contro il -24.972 del 2007 e il 13.781 del 2006.

La Cgia di Mestre registra che in tutte le regioni italiane nei primi nove mesi del 2008 il saldo delle imprese commerciali risulta essere negativo. <<E a soffrire – dice il Rapporto – sono soprattutto i negozi di vicinato schiacciati dalla concorrenza dei grandi centri commerciali e dalla propensione ai consumi delle famiglie italiane. Stimiamo – conclude la ricerca – in circa 100.000 i posti di lavoro che quest’anno si perderanno nel settore commerciale a livello nazionale.

La dinamica delle imprese nei primi nove mesi del 2008

Le imprese in genere Le imprese del Commercio Le imprese dell’Artigianato

2008 2007 2008 2007 2008 2007

Iscr. Cess. Saldo Saldo Iscr. Cess. Saldo Saldo Iscr. Cess. Saldo Saldo

Abruzzo 7.785 7657 128 -49 1.601 2.214 -613 -629 2.435 2.439 -4 378

Basilicata 2.468 2.624 -156 -58 534 772 -238 -83 544 632 -88 -97

Calabria 9.888 11.062 -1. 174 1.057 2.316 3.693 -1377 -517 2.555 2.760 -205 -50

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Campania 28.492 28.695 -203 -746 8.169 10.439 -2.270 -2718 3.893 4.864 -971 -217

Emilia R. 26.015 27.212 -1.197 2.237 4.583 6.621 -2.038 -1.569 10.043 10.546 -503 281

Friuli V.G. 5.396 8.084 -2.688 -1.335 975 2.208 -1.233 -797 1.985 2.119 -134 -280

Lazio 33.254 27.597 5.657 8.467 6.116 8.416 -2.300 -1.311 7.169 5.630 1.539 1.072

Liguria 8.994 9.038 -44 218 1.735 2.712 -977 -881 3.258 2.899 359 488

Lombardia 53.539 56.483 -2.944 -5.545 8.509 13.330 -4.821 -6.580 19.326 17.551 1.775 3.703

Marche 9.195 9.253 -58 802 1.633 2.322 -689 -594 3.061 3.001 60 205

Molise 1.628 1.694 -66 -429 324 461 -137 -131 461 413 48 -30

Piemonte 26.517 25.134 1.383 1.403 5.355 7.196 -1.841 -1.524 10.195 9.584 611 1.020

Puglia 20.624 24.782 -4.158 1.217 5.177 8.066 -2.889 -1.233 5.199 4.960 239 393

Sardegna 8.346 8.797 -451 -199 1.748 2.366 -618 -590 2.605 2.620 -15 557

Sicilia 20.956 25.185 -4.229 1.754 4.723 8.360 -3.637 -1.645 4.463 4.513 -50 376

Toscana 24.319 25.178 -859 1.615 4.568 6.755 -2.187 -1.768 9.467 8.907 560 784

Trentino A.A.

4.813 4.830 -17 110 713 995 -282 -268 1.473 1.428 45 -265

Umbria 4.687 4.407 280 49 843 1.168 -325 -358 1.390 1.579 -189 54

Valle d’A. 728 930 -202 72 113 200 -87 -11 309 283 26 104

Veneto 26.018 28.204 -2.186 -633 4.630 6.743 -2.113 -1.765 8.966 9.9°7 -941 34

ITALIA 323.662

336.846 -13.184 10.007 64.365 95.037 -30.672 -24.972 98.797 96.635 2.162 8.510

Fonte: Elaborazioni Ufficio Studi CGIA di Mestre su dati Infocamere-movimprese

La situazione economico sociale 42° Rapporto Censis Il 42° Rapporto annuale Censis sulla situazione sociale del Paese, presentato il 5 dicembre, evidenzia elementi di preoccupazione, in grado però di innescare il cambiamento. <<Il proliferare di tante piccole e medie paure collettive> e <<il panico diffuso da un’implosione finanziaria internazionale senza ravvicinati precedenti>>. Ciononostante il Rapporto ha una visione tutto sommato non pessimista. Infatti, dice il Censis, di fronte al panico si può pensare ad uno scatto di reni e avviare <<una seconda metamorfosi>>, dopo quella realizzata dalla società italiana nel trentennio 1945-1975.

La crisi finanziaria mette in pericolo, ancorché potenzialmente, una famiglia italiana su due: sono quasi 12 milioni, il 48,8% del totale, le famiglie che <<denunciano un concreto rischio di default>>, come sette italiani su dieci pensi che <<il terremoto nei mercati possa ripercuotersi direttamente sulla propria vita>>. A determinare il rischio concorrono <<investimenti in prodotti rischiosi>>, mutui, credito al consumo e assenza di risparmio accumulato. Tra le famiglie potenzialmente in pericolo, Il Censis indica prima di tutto i 2,8 milioni di famiglie (pari all’11,8% del totale) che hanno investimenti in prodotti rischiosi, come azioni o quote di Fondi comuni: di queste, 1,7 milioni (circa il 7,1% delle famiglie italiane) vi hanno collocato più della metà dei propri risparmi. Ci sono poi i quasi 2 milioni di famiglie (l’8,2% del totale) impegnate nel pagamento del mutuo dell’abitazione in cui vivono: di queste sono quasi 250 mila (l’1%) quelle che

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dichiarano di non riuscire a rispettare le scadenze di pagamento o che hanno avuto molte difficoltà nel pagare le rate. Vanno poi aggiunti i 3,1 milioni di famiglie (il 12,8%) che risultano indebitati per l’acquisto di beni al consumo: di queste 971 mila (il 4% del totale) hanno un debito superiore al 30% del reddito annuo familiare. Infine 3 milioni e 873 mila famiglie (il 16% del totale) non posseggono un risparmio accumulato in alcuna forma e <<potrebbero trovarsi nella condizione di non saper fronteggiare eventuali spese impreviste o forti rincari di beni di primaria necessità>>.

Il Censis riferisce anche la preoccupazione delle famiglie di fronte alla crisi: interpellati ad ottobre 2008, il 71,7% degli italiani pensa che il terremoto in corso possa avere delle ripercussioni dirette sulla propria vita, mentre il 28,3% dichiara di poterne uscire indenne: <<una sensazione che colpisce trasversalmente>> giovani e anziani, uomini e donne, al nord come al sud, <<ma che risulta più profondamente avvertita da quei segmenti già duramente messi alla prova in questi ultimi anni come le famiglie a basso reddito e con figli>> (è preoccupato l’81,3% delle famiglie con livello economico basso, contro il 66,2% delle famiglie con livello medio). Dopo le paure il panico. E’ quello che provano gli italiani con l’arrivo della crisi finanziaria internazionale. Il timore, generalizzato, è quello di perdere il proprio tenore di vita. Questo allarme si affianca alle paure già note: per gli immigrati e i rom, per le rapine, per gli incidenti stradali causati da droghe e alcol, per il precariato. Insomma, dice il Censis, è stato <<l’anno della paura>>. La società italiana mostra ancora di non avere una <<consapevolezza collettiva>> e di possedere una fragilità sociale (il primato è per le emozioni). Comunque si veda la crisi, il Censis pensa che essa abbia il merito di aver creato un <<salutare allarme collettivo>> dove è vietato adagiarsi e rimuovere: si apre un periodo di adattamento, una sfida, che può innovare la società italiana: <<l’allarme e la paura non devono incuterci terrore per l’imponderabile futuro, non basta però una reazione puramente adattativa, dobbiamo fare un passo in più>>. Si prevede un adattamento innovativo ossia non automatico, che godrà sia dei vecchi processi sia di nuovi elementi; tra questi, la presenza degli immigrati, una nuova gestione dei consumi e dei comportamenti, la crescita di nuove competizioni sul terreno (come le mega città).

Fin qui il Rapporto, a margine del quale il presidente del Censis, il prof. Giuseppe De Rita ha rilasciato un’intervista ad un quotidiano che riteniamo utile riportare.

<<Che ci sia una difficoltà reale è indiscutibile, però c’è anche una buona sopportazione, un formidabile senso di adattamento e di strategia nei consumi che le famiglie e le imprese italiane tirano fuori nei momenti di crisi >>. La coazione fatale è quella di voler mantenere sempre un po’ di liquidità, mettendo i soldi nascosti nel materasso, per paura del futuro prossimo venturo. La tragedia italiana comincerà verso febbraio con l’arrivo della bassa stagione. Lì, se non ripartano nuovi mercati, come il tedesco, il cinese o l’indiano, l’impresa italiana si ritroverebbe di fronte a problemi che si ripercuoterebbero pesantemente sulla produzione e sull’occupazione.

La comunicazione di massa vive di emozioni, ma le emozioni a lungo andare si consumano anche loro. Se si abusa nel dare enfasi alla crisi, si rischia di provocare l’effetto contrario.

La crisi ci porta a riorganizzare anche i nostri valori di riferimento. L’Italia sta usando per attuare lentamente una nuova metamorfosi; l’integrazione di quattro milioni di immigrati e la garanzia di dare maggiori poteri alle donne.

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Le famiglie in difficoltà

A rischio default 12.000.000 48,0%

Non posseggono risparmi accumulati 3.800.000 16,0%

Hanno investito in prodotti finanziari 2.800.000 11,8%

Fonte: Rapporto Censis 2008

I debiti delle famiglie

Indebitate per acquisto beni di consumo 3.100.000 12,8%

Impegnate nel pagamento di un mutuo 2.000.000 8,2%

Hanno un debito superiore al 30% del loro reddito 971.000 4,0%

Non riescono a rispettare le scadenze del mutuo 250.000 1,0%

Fonte: Rapporto Censis 2008

I soldi dove vanno tenuti secondo gli italiani

contanti 29,3%

depositi bancari o postali 23,4%

acquisto immobili 22,2%

titoli di Stato 16,4%

altro 8,7%

Fonte: Rapporto Censis 2008

* Centro Studi Confindustria Il Centro Studi Confindustria ritiene che l’economia italiana è sull’orlo della recessione, la quarta dal 2001 e per la ripresa bisognerà aspettare il 2009. Riferendosi poi ai dati diffusi dall’Istat sul prodotto interno lordo nel secondo trimestre 2008, prevede che il secondo semestre 2008 sarà più difficile e la crescita del Pil si fermerà al +0,1% per quest’anno per risalire a +0,6% nel 2009. Il rilancio avverrà nella seconda metà dell’anno prossimo aiutato <<da petrolio più basso, dollaro in recupero, taglio dei tassi Bce>>. Nel secondo trimestre 2008, per il vero, la crescita del Pil è stata pari a zero, rispetto allo stesso trimestre 2007. Si tratta del dato più basso dal terzo trimestre 2003 quando la crescita fu pari a -0,1. La crescita congiunturale nel periodo aprile-giugno 2008 è stata del -0,3% (nell’ultimo trimestre 2007 si registrò un -0,4%). L’Istat spiega che il risultato congiunturale del Pil è la sintesi di una diminuzione del valore aggiunto dell’industria, di una sostanziale stazionarietà dei servizi e di un aumento dell’agricoltura. L’Istituto di statistica ricorda poi che il secondo trimestre del 2008 ha avuto una giornata lavorativa in meno rispetto al trimestre precedente e lo stesso numero di giornate del secondo trimestre del 2007. Informa che nel secondo trimestre il Pil è cresciuto in termini congiunturali dello 0,5% negli Stati Uniti e dello 0,2% nel Regno Unito. In termini tendenziali negli Stati Uniti il Pil è cresciuto dell’1,8% e dell’1,6% nel Regno Unito.

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Il mercato si attende una flessione drastica per la Germania, pari allo 0,8%, anche se il Financial Times ha anticipato una flessione dell’1%. Male anche Eurolandia, il cui Pil è atteso in calo dello 0,2% su base trimestrale, giù dal +0,7% dei primi tre mesi dell’anno.

Gli economisti della Confindustria nel ricordare che il calo del Pil nel secondo trimestre (fissato in -0,3% dall’Istat) era stato previsto dal Csc sulla base degli indicatori anticipatori, commentano che questo risultato risente anche <<dell’effetto calendario (Pasqua anticipata) e del clima mite che avevano sostenuto artificialmente l’attività lo scorso inverno. Rispecchia soprattutto la flessione della produzione industriale e dei consumi (indice Confcommercio), il dinamismo minore dell’export e la debolezza degli investimenti, in costruzioni e non>>.

Le Piccole e medie imprese * La Confartigianato La Confartigianato, da parte sua, dà voce alle piccole e medie imprese nella Convention dedicata al Mezzogiorno e svoltasi a Napoli alla fine della prima metà di ottobre. Nel Sud, è questo un primo aspetto dell’analisi proposta, i vincoli soffocano lo sviluppo e fanno chiudere il 47,8% delle piccole e medie aziende entro i primi cinque anni di vita, annullando, di conseguenza, 10.521 posti di lavoro l’anno. Nell’enumerare gli ostacoli la Confartigianato pone tra i primi posti l’utilizzo del credito bancario. Infatti, alle imprese meridionali, sostiene, il denaro costa 1,2 punti in più rispetto al Centr-Nord. Addirittura in Calabria i tassi attivi sui finanziamenti creditizi raggiungono la punta di 2,2 punti percentuali in più della media nazionale. Altro ostacolo il sistema formativo e l’Università. Nel Sud si sconta, sempre secondo la Confartigianato, un tasso di abbandono scolastico del 25,5%, il dato nazionale segna invece il 20,6%. E che le Università meridionali godano di scarsa fama lo dice il fatto che il 23,9% dei 118.318 universitari, residenti nel Mezzogiorno, si laurea al Centro-Nord. Anche i tempi e i costi della giustizia civile pesano negativamente sulle Pmi. Ebbene una giustizia esasperatamente lenta costa 827,5 milioni l’anno alle imprese, che risponde poi al 35,5% del costo subito da tutte le aziende italiane. Per non accennare ai tempi per chiudere un procedimento; ecco i dati: in testa la Basilicata dove sono necessari 3.391 giorni in media per un giudizio di primo e secondo grado. In Calabria per chiudere un fallimento occorrono 5.784 giorni, in Sicilia 5.611 giorni e in Molise 4.963. A Messina una causa di lavoro richiede 6 anni e mezzo, 6 volte di più a quanto avviene a Trento. La stessa giustizia tributaria ha bisogno di tempi biblici. In Calabria per chiudere una controversia fiscale si chiedono 4.159 giorni. Nerissimo lo stato delle infrastrutture se si considera che dal 2001 al 2007 è aumentato il differenziale con il resto del Paese. Ancora, il costo dell’energia se è vero, come è vero, che le imprese meridionali pagano 1,4 miliardi l’anno in più rispetto alle aziende europee di pari dimensione. Eppure la concreta possibilità dello sviluppo del territorio nel Mezzogiorno sta nelle mani delle piccole e microimprese. Lo dicono le previsioni: nelle imprese meridionali da 1 a 9 addetti la crescita dell’occupazione nel 2008 sarà del 3,9%, superiore alla media nazionale che è dell’1,5%. Per il 2008 complessivamente la crescita dell’occupazione nelle piccole e medie imprese è del 2,6%, mentre, per lo stesso periodo, si prevede un calo dell’occupazione dello 0,2% nelle medie e grandi imprese nel Mezzogiorno.

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Ma vediamo le regioni meridionali che hanno la più alta incidenza di occupati nelle Pmi, per capirne l’entità del fenomeno: la Calabria con il 77,6%, poi c’è la Sicilia con il 74,9%, seguono la Sardegna con il 73,8% e la Puglia con il 71,9%.

Anche nell’export si distinguono le Pmi meridionali. Prendiamo i dati del primo semestre del 2008: l’esportazione manifatturiera delle piccole aziende meridionali cresce del 5,1%.

Vogliamo chiudere questo paragrafo con alcuni passi, abbastanza singolari e discutibili, pronunciati dal sottosegretario Gianfranco Micciché nel corso del suo intervento alla Convention. <<Se al Sud le imprese chiudono entro i cinque anni di vita non è certo a causa della camorra o della criminalità organizzata>>. <<Smettiamola con stereotipi e luoghi comuni, la camorra va combattuta, non c’è dubbio. Ma la criminalità cresce perché non c’è economia, non è che l’economia non cresce perché c’è la criminalità organizzata>>.

* La Cna Ma i rapporti tra banche e piccole e piccolissime imprese non è cero idilliaco. Lo denuncia la Cna (Confederazione delle Pmi e degli artigiani) di Puglia. Dall’ultimo monitoraggio, presentato il 3 gennaio dal presidente Cna Puglia Pasquale Ribezzo e dalla direttrice della Cofidi Puglia e responsabile regionale del credito per la Cna, si rileva una situazione al limite del credit crunch, il crollo dell’offerta di denaro. Dimezzate le disponibilità delle banche a concedere credito per la concessione di prestiti. Le aziende hanno sempre più difficoltà a ottenere nuovi affidamenti, ma sono soprattutto pressate dalle richieste di rientro. Vi sono situazioni paradossali in cui le aziende fanno esercizio di pericoloso equilibrismo per rimanere in piedi nonostante tutto. E il pericolo più grande alle porte a questo punto è la ripresa dell’usura in un momento in cui, sottolineano i dirigenti Cna, i consorzi Fidi sono praticamente sprovvisti di fondi specifici.

Secondo l’analisi della Confederazione pugliese la disponibilità delle banche a concedere credito alle imprese è diminuita del 40 per cento rispetto a un anno fa. I tempi di concessione di un prestito sono aumentati del 50 per cento: mediamente si è passati da un mese a due o addirittura a tre mesi in qualche caso. La richiesta di rientri è pressoché immediata. Si passa subito all’incaglio. E l’aumento delle sofferenze è ormai nella misura del 20-25 per cento. Da ottobre ad oggi, da quando cioè la stretta creditizia si è fatta più intensa, sono aumentate a dismisura le richieste che le imprese hanno rivolto ai consorzi Fidi per ottenere accesso ai fondi antiusura. Ma il fondo è da tempo esaurito, spiegano, e si aspetta per questo mese, secondo le promesse del governo nazionale, sia rimpinguato. Tutto è fermo nonostante il galoppare della crisi. Anche da parte della Regione tardano a partire i bandi per l’accesso ai fondi rischi.

La Cna Puglia denuncia, poi, il paradosso in cui si trovano in questo momento le aziende del comparto manifatturiero, ormai impossibilitati ad approvvigionarsi di materie prime. In particolare per quel che riguarda il settore tessile, i fornitori del Nord Italia chiedono il pagamento immediato, in contanti o in assegni, della merce e non sono più disponibili ad accettare pagamenti dilazionati. Le imprese si trovano quindi fra le richieste dei fornitori e la pressione delle banche e non sono più sufficienti i patrimoni personali. Tant’è che le banche, di fronte a situazioni del genere, non sono più disponibili a fare sconti a nessuno. Nel mese di dicembre, continua la denuncia della Cna, non sono stati concessi che pochissimi prestiti. Nella maggior parte dei casi, le banche hanno semplicemente avviato le pratiche che saranno evase, nella migliore delle ipotesi, fra gennaio e febbraio. Non sono stati effettuati nemmeno consolidamenti del breve. E nonostante i tassi di interesse stiano scendendo gli istituti di credito stanno aumentando gli spread. Solo nell’ultimo mese, Cofidi ha verificato 16 casi in cui le banche, di fronte alla prima rata di prestito non pagata, hanno già messo all’incasso gli effetti per l’intero importo.

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* Ancora la Confartigianato Eppure a leggere i dati della Confartigianato della provincia di Bari la situazione lavorativa del settore artigianale si conferma in discreta salute. Infatti, si chiude con un saldo attivo fra chiusura di aziende e apertura di nuove imprese. Non si può certo dire che si tratti di un comparto florido, dato anche il livello della crisi che sta interessando tutto il territorio.

C’è però di fatto che la prospezione, offerta dalla Confartigianato il 7 gennaio,, ci dice chi primi tre trimestri del 2008 in tutta la provincia di Bari sono state 2.048 le imprese artigiane che hanno cessato le attività e 2075 si sono iscritte all’albo per inizio attività. Ventisette in più come saldo attivo. I dati relativi al quarto trimestre dell’anno appena concluso non sono stati elaborati ma, secondo i tecnici, l’andamento del dato relativo ai primi tre trimestri, è confermato. I settori più rappresentati sono le imprese edilizie, i servizi vari e il manifatturiero. Il settore che traina meglio è il primo che, nonostante la crisi registrata negli ultimi anni, ha tenuto in buona postazione il comparto.

Anche per la Confartigianato, però, il problema principale delle imprese artigianali a Bari e provincia dipende dalle difficoltà di accesso al credito.

In tuta la provincia di Bari ci sono 33 mila imprese iscritte all’albo artigiani della Camera di commercio. C’è la crisi e il fatto che in 9 mesi, nel 2008, più di 2 mila imprese artigiane abbiano chiuso e poco più di 2 mila aperto l’attività, lascia pensare, secondo la Confartigianato, che potrebbero esserci dei problemi strutturali.

E insiste la Confederazione sui rapporti con le banche. La fase di partenza di un’impresa artigianale è la più delicata e anche quella che rischia di farla fallire. Il sistema delle piccole e medie imprese incrementa di fatto l’occupazione, è considerato la spina dorsale della produzione, ma poco si fa per tutelarlo. Per uscire dalla crisi sarebbe opportuno che le aziende siano agevolate nella concessione del credito. Anche la Camera di commercio, aggiunge il Dirigente della Confederazione, ha destinato un milione di euro per i consorzi con lo scopo di incrementare il fondo rischi per garantire ulteriore credito alle imprese artigiane. Vi è un pericolo per gli artigiani e questo è, spiega il direttore dell’Upsa Confartigianato, il social landing, il cosiddetto prestito sociale che è alquanto subdolo. Un intermediario mette in contatto chi chiede un prestito e chi vuole investire una somma, scavalcando i canali bancari. L’intermediatore stabilisce tassi alti di interesse e acquisisce subito una provvigione. Da quel momento il rapporto riguarda soltanto le due persone, l’azienda che ha praticato il social landing non ha più alcuna responsabilità.

* L’Assemblea della Cna A margine dell’assemblea regionale della Confederazione nazionale artigiani, svoltasi il 19 gennaio, sono emersi vari elementi di forza e di debolezza del tessuto economico e produttivo delle piccole e medie imprese del Barese. E non a caso i dirigenti della Cna hanno sottolineato alcune iniziative ritenute necessarie, ineludibili per rilanciare il comparto artigiano. Le indicazioni espresse dai responsabili della Cna hanno fatto riferimento alla necessità di fare cooperazione, di affidarsi alla Cofidi per ottenere prestiti, a fronte comunque del progressivo disimpegno delle banche che hanno avviato una politica di forte stretta creditizia, soprattutto in un momento di difficoltà oggettive che il settore delle piccole e medie imprese e il mondo artigianale stanno vivendo.

Il danno è grave anche perché il credito rifinanzia il fondo di garanzia (di recente la Regione ha messo a disposizione 50 milioni di euro come fondo di garanzia per tutta la Puglia) ed estende i fondi del 30 per cento. In altre parole quei 50 milioni possono svolgere un effetto moltiplicatore.

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La crisi economico-finanziaria

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Il segretario regionale della Cna Puglia, Pasquale Ribezzo, ha rimarcato il difficile quadro sottolineando la necessità di snellire la burocrazia e di cantierizzare tutto quanto è possibile. <<Vorremmo che le istituzioni stessero più vicine alle aziende – ha precisato il segretario regionale – e che le sostenessero>>. Ribezzo ha fatto appello agli enti locali perché liquidino i lavori da tempo conclusi dagli artigiani e ancora non pagati.

Ma questo quadro certo non confortevole ha elementi che lasciano ottimisti per Bari e il Nord Barese: l’export non va male e la riorganizzazione delle strutture dei distretti sta rispondendo positivamente. Altro problema che strangola l’economia delle piccole imprese, la carenza di liquidità che di fatto colpisce talvolta imprese sane, magari con buone performance produttive e di commercializzazione ma che per carenza di liquidità devono affrontare crisi che potrebbero anche compromettere la loro sopravvivenza. Gli scenari di questa crisi, quindi, si incrociano con una realtà economica pugliese migliore di quella che si vive in altre zone, come ad esempio nel Nord, ha detto il presidente nazionale Cna, Sergio Silvestrini. Ma questo non evita i riflessi che nel 2009 potrebbero colpire il comparto e non solo. Ritorna sull’argomento Pasquale Ribezzo in una intervista rilasciata il 26 gennaio al “Nuovo Quotidiano di Puglia”. L’analisi del segretario regionale della Cna parte dai <<recenti studi di Unioncamere che pur prevedendo risultati per la crescita della Puglia nella media nazionale e meridionale, ci danno una previsione di crescita dell’export della nostra regione eccezionale per il periodo 2009-2010. Si tratta del 5,5%, del 2,5% e del 5,2% rispettivamente per il 2008, 2009, 2010 (dati dicembre 2008), contro l’1,6%, lo 0,6%, il 3,5% dei relativi valori nazionali. Si prevede che anche il made in Italy continuerà a crescere verso i Paesi petroliferi e le economie emergenti, la cui domanda tenderà a contrastare il rallentamento delle vendite verso i paesi industrializzati. I settori trainanti saranno Sistema Moda, mobili, agroalimentare, meccanica ed elettronica con destinazione Germania, Turchia, Russia, Stati Uniti, Brasile, India e Cina. Dinnanzi a ciò ci rendiamo conto di come questa disastrosa congiuntura favorirà potenzialmente la Puglia, già gratificata da Bankitalia e Svimez come economia robusta e trainante per il sud.>>. La crisi, quindi, come ‘occasione di crescita’, sottolinea il segretario regionale Cna. Ma perché questa occasione sia colta appieno <<occorre che ognuno svolga sino in fondo la sua parte>>, ribadisce, secondo cui <<il sistema delle piccole e medie imprese pugliesi ha bisogno di una forte iniezione di liquidità per prepararsi a questa prova. Ma questo non appare, sia per i comportamenti delle banche, sia per i provvedimenti del governo centrale. Possiamo solo contare sul pacchetto anticrisi della Regione che per funzionare ha però bisogno delle banche. Ma gli istituti di credito, presi dal panico, remano contro. Le richieste di rientro dopo la sola prima rata impagata di un mutuo, un aumento conseguente delle sofferenze del 20-25%; i finanziamenti deliberati ma non erogati da mesi; oltre ad un inasprimento delle condizioni di pagamento (niente rateizzazioni e pagamenti in contanti e per assegno) imposte dai fornitori del centro-nord, che scaricano sulle nostre imprese la loro crisi di liquidità e i comportamenti dei loro sistemi bancari; la prevedibile ripresa dell’usura>>.

Ribezzo infine conclude ricordando <<che stiamo discutendo in queste ore del bando per i consorzi fidi. Un sistema virtuoso di forti garanzie private sostenute dalla Regione è certamente un grande passo avanti. Ma le banche dovranno riaprire i rubinetti o l’economia reale, quella che non ha colpe per l’affermarsi devastante della crisi, soccomberà>>.

*Confcommercio-Format su Mezzogiorno e Pmi Da una ricerca Confcommercio-Format emerge che oltre l’80% delle piccole e medie imprese del Mezzogiorno risente in modo significativo della crisi economica, tanto che più della metà (il 54,9%) non farà investimenti sino al 2010. Non solo, ma il 38,1% delle stesse imprese ritiene di essere ostacolato da vari fattori nel tentativo di fare ricerca e innovazione, un’impresa su due fa fronte con

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Il Sistema Puglia 71

difficoltà al proprio fabbisogno finanziario e il rapporto con le banche resta comunque difficile: per circa un terzo delle imprese del Sud l’ostacolo maggiore all’avvio di programmi d’investimento è la mancanza di risorse, mentre il 31,6% investirebbe con l’aiuto pubblico.

Ad essere più esposte alla crisi sono le imprese del commercio e dei servizi, in particolare per il calo delle vendite (69,2%), l’aumento dei prezzi praticati dai fornitori (36,8%) e l’accesso al credito (23,3%). Le difficoltà finanziarie delle piccole e medie imprese del Sud sono legate inoltre al ritardo e all’irregolarità dei pagamenti (48,7% e 43,9%) e al fatturato insufficiente (22,4%).

Quanto all’offerta di finanziamento da parte delle banche, il 38,4% delle Pmi rileva una riduzione del credito disponibile, il 33,4% segnala un peggioramento dei tempi di durata del credito e il 34,2% riscontra un aumento dei costi di istruttoria. Guardando al futuro, l’85% delle piccole e medie imprese ritiene che gli interventi strutturali più importanti e urgenti debbano riguardare le agevolazioni finanziarie. Seguono la realizzazione o il miglioramento delle infrastrutture di trasporto, quali strade e autostrade (75,8%), ferrovie (69%) e aeroporti (59,9%) e il miglioramento della sicurezza del territorio (69,1%). Il 68,2% delle Piccole e medie imprese del Mezzogiorno, ma in prevalenza quelle di maggiori dimensioni di Campania, Calabria e Puglia ritiene “molto” o “abbastanza” utile l’idea di una “Banca per il Sud”, cioè di una banca dedicata agli investimenti nel meridione.

*Movimprese per Unioncamere da Infocamere Dalla rilevazione Movimprese emerge che la crisi fa paura ma chi è sul mercato fa di tutto per restarci. Certo pesa il calo sul numero delle imprese, non tanto le chiusure che rimangono stabili quanto la frenata nelle aperture. Nel primo trimestre del nuovo anno (2009) si contano 30.706 aziende in meno, pari a una riduzione dello0,5% sul totale delle imprese presenti in Italia. La flessione, la peggiore da dieci anni, è frutto del saldo negativo tra le imprese che hanno aperto i battenti, 118.407 (nello stesso periodo del 2008 erano 130.629), e quelle invece che li hanno chiusi, 149.113 (nei mesi di gennaio-marzo 2008 furono 152.443). A livello regionale è proprio la Puglia ad occupare il primo posto nella graduatoria della maggiore contrazione percentuale pari a -0,98%, con un saldo negativo che riguarda la chiusura di circa 4.00 imprese. Resistono Foggia e Taranto rispettivamente con -196 (-0,27% e -332 (-0,69%), mentre Bari è a -1.257 (-0,80%), Brindisi e Lecce si collocano in coda alla graduatoria rispettivamente -454 (-1,20%) e -1.584 (-2,16%). Se questo è il quadro generale, le difficoltà della crisi si fanno sentire anche nell’artigianato. Con le imprese salentine e della Capitanata in maggiore sofferenza (Lecce con -249, pari all’1,27%; Foggia con -159, pari all’1,42%. Brindisi, Bari e Taranto restano pur sempre con il segno negativo. Quanto alle procedure fallimentari, il raffronto degli ultimi tre anni, sempre riguardo al primo trimestre, può dirsi stabile rispetto alla media. Più in generale il bilancio del trimestre, tradizionalmente negativo per via del concentrarsi delle cancellazioni a fine anno, è frutto della differenza tra le 118.407 imprese che hanno aperti i battenti (contro le 130.629 del primo trimestre 2008), e le 149.113 che invece li hanno chiusi (un valore in lieve contrazione rispetto a gennaio-marzo 2008, quando a cessare l’attività furono 152.443 imprese). Per effetto del saldo negativo, lo stock delle imprese a fine anno si è pertanto attestato sul valore di 6.065.232 unità.

Su questi dati i dirigenti di Unioncamere ritengono che gli imprenditori stanno facendo al meglio la loro parte di fronte ad una crisi di tanta portata. Le imprese, è sempre la loro valutazione, stanno affrontando con responsabilità grandissimi sacrifici per restare sul mercato. Riducono i margini, limano i costi, rallentano le attività e resistono in condizioni difficili e in attesa di un mutamento del clima di fiducia. Lo stesso andamento dei fallimenti segnala che l’impatto della crisi è ancora contenuto, ma la pressione degli ultimi mesi indica che sta crescendo la pressione sui bilanci delle aziende.

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La crisi economico-finanziaria

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Stock al 31.03.2009 Saldo I trim. 2009 Tasso di crescita I trim. 09

Totale

Imprese

di cui

artigiane

Totale

Imprese

di cui

artigiane

Totale

Imprese

di cui

artigiane

Puglia 385.991 79.324 -3.823 -754 -098% -0,94%

Totale Italia 6.065.232 1.480.582 -30.706 -15.564 -0,50% -1,04%

Fonte: Unioncamere

Graduatoria generale

Province Tasso di crescita

I trim. 2009

Saldo

I trim. 2009

Totale Imprese

al 31.3.2009

14 Foggia -0,27% -196 73.531

65 Taranto -0,69 -332 47.450

78 Bari -0,80 -1.257 15.742

100 Brindisi -1,20 -454 37.468

104 Lecce -2.160 -1.584 71.800

Fonte: Union camere Graduatoria imprese artigiane

Province Tasso di crescita

I trim. 2009

Saldo

I trim. 2009

Totale Imprese

al 31.93.2009

17 Brindisi -0,60% -46 7.570

19 Bari -0,64% -216 33.535

50 Taranto -1,07% -84 7.789

66 Lecce -1,27% -249 19.406

75 Foggia -1,42% -159 11.024

Fonte: Unioncamere

Procedure fallimentari

Province I trim. 2007 I trim. 2008 I trim. 2009

Bari 76 79 60

Brindisi 8 8 9

Foggia 17 11 11

Lecce 36 27 35

Taranto 17 11 15

Fonte: Unioncamere

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Il Sistema Puglia 73

Le imprese italiane

* L’Istat E’ stato un agosto pessimo per l’industria italiana, ce lo dice l’Istat. Crollano fatturato e ordinativi, con le entrate nel settore che toccano i minimi dal lontano 1991. Sino ad oggi agosto si conferma il peggiore dell’anno, pur tenendo conto dell’estrema volatilità del mese dedicato, soprattutto, alle ferie. Il deficit nel commercio con l’estero è salito fino a 2,1 miliardi di euro e la produzione industriale ha fatto segnare un -14,3%. Ha retto solo l’industria energetica.

Il fatturato dell’industria, sempre secondo i dati Istat diffusi il 17 ottobre, è sceso dell’11% rispetto all’agosto del 2007 e del 3% rispetto a luglio. Gli ordinativi hanno ottenuto un risultato meno negativo: -5,2% su base annua e -0,3% sempre rispetto a luglio. Secondo i tecnici dell’Istat questi dati uniti a quelli della produzione industriale denunciano un andamento preoccupante per il nostro settore produttivo che si sta avviando verso un percorso negativo. Per diverse associazioni di categoria verso la recessione. Un giudizio di certo più severo che è suggerito dalla congiuntura economica determinata dalla crisi dei mutui che ha assunto un carattere emergenziale internazionale. Tuttavia è bene sottolineare che i dati di agosto insistono in una situazione negativa già iniziata nei mesi precedenti. Si tenga conto che la flessione delle nuove commesse deriva da una riduzione dello 0,5% sul mercato interno, ma addirittura del 12,8% sul mercato estero. L’aumento degli ordini nei primi sei mesi del 2,2% deriva dal +4,2% del mercato interno, compensato dal -1,5% dell’estero.

* La Cgia di Mestre La Cgia di Mestre denuncia che l’ammontare dei debiti delle imprese italiane raggiunge 916,3 miliardi di euro. Ha anche analizzato l’andamento dell’indebitamento medio delle imprese italiane, quindi di artigiani, commercianti, Pmi e grandi aziende con esclusione delle banche e delle società finanziarie tra il 2002 e il terzo trimestre del 2008. L’impennata dei debiti è stata molto elevata: nel periodo preso in esame la crescita è stata del 51,2%. L’importo medio per impresa è a livello nazionale pari a 175.855 euro. Guidano questa speciale classifica le aziende della provincia di Milano, con un indebitamento medio pari a quasi 420 mila euro. In testa c’è Milano con 419.465 euro di debito delle aziende seguono Roma con 389.417 euro, Brescia 313.739 euro, Parma 288.341 euro, Bergamo 280.465 euro e Vicenza 271.838 euro.

I commenti a questi dati, non certo felici non sono mancati. La Confapi conviene che sono proprio le vendite all’estero che mostrano i segnali più preoccupanti e <<confermano lo stato di sofferenza in cui sta entrando la nostra industria manifatturiera>>, anche per <<il propagarsi della crisi finanziaria in Europa che determina un rallentamento della domanda dei nostri principali mercati di esportazione, che si aggiunge all’indebitamento già in atto da tempo del mercato statunitense>> Più determinata la Confcommercio: <<Si conferma lo stato di forte difficoltà della nostra economia che pare ormai entrata in una fase recessiva di dimensioni e di durata ancora incerte>>, per uscire dalla quale servono <<politiche che siano in grado di aumentare il reddito delle famiglie e di ridare slancio ai consumi>>. Ancora più pessimista la Confesercenti <<le cose sono destinate a peggiorare: secondo le nostre previsioni, nell’ultimo trimestre il calo dei consumi potrebbe aggirarsi attorno allo 0,4%, con un Pil che scivolerebbe nel 2008 ad un inquietante -0,1%>>.

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La crisi economico-finanziaria

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* L’ISAE Intanto si registra un forte calo, a ottobre, della fiducia delle imprese, del commercio, dei servizi e delle costruzioni. Lo segnala l’Isae (Istituto di studi e analisi economica) che per il settore commercio, l’indice è sceso da 111 a 105,7 attestandosi al di sotto dei valori medi dei primi nove mesi dell’anno.

In discesa anche il clima di fiducia nelle costruzioni che, a settembre, passa da 93 a 86,3 e ritorna sui bassi valori dello scorso luglio. Giù anche il clima di fiducia nel settore dei servizi, che a ottobre scende a -18 (da -2) in seguito in seguito al peggioramento di tutte le sue componenti. Si registra, in particolare, una forte flessione del saldo relativo all’economia nel suo complesso.

Tra i commercianti emergono segnali di allarmante preoccupazione soprattutto dalle aspettative sull’andamento delle vendite; peggiorano anche i giudizi sul volume corrente degli affari e tornano ad aumentare le giacenze di magazzino. Tra le variabili che non entrano nella definizione di fiducia, si consolidano le attese pessimistiche sul volume futuro dell’occupazione e peggiorano anche quelle sul volume futuro degli ordini. Relativamente alla dinamica inflazionistica, è percepita stabile quella corrente, è invece accentuata quella futura. Il peggioramento della fiducia, diffuso in entrambe le tipologie di vendita, è particolarmente sentito nella grande distribuzione. L’indice destagionalizzato scende da 111,6 a 109,0 nella distribuzione tradizionale, ma da 111,1 a 102,1 quella moderna. Nel settore delle costruzioni peggiorano sia i giudizi sui piani di costruzione sia le aspettative sull’occupazione. Ancora pessimismo emerge sia per quanto riguarda i giudizi sull’attività di costruzione sia per le prospettive sui piani di costruzione. Restano colpite anche le attese sui prezzi e sulla durata dell’attività assicurata. Aumenta il numero di imprenditori che trova ostacoli che limitano l’attività di costruzione; la relativa percentuale raggiunge un massimo dal luglio 1998, soprattutto a causa della insufficienza della domanda. Per quanto riguarda i servizi, è sempre l’Isae ad affermarlo, il peggioramento del dato mensile, che si attesta sui livelli minimi registrati da gennaio 2003, conferma la fase discendente della fiducia rilevata a partire da marzo 2008. Anche il confronto con il dato del 2007, che non risente dei fattori stagionali, segnala una sensibile diminuzione del clima (l’indice ad ottobre del 2007 era pari a 23). In linea con quanto emerge dalle ultime inchieste Isae sui consumatori e sulle imprese manifatturiere ed estrattive, il peggioramento della fiducia è diffuso a livello settoriale. L’indice scende a -33 (da -14) nei servizi alle famiglie, a -27 (da 4) in quelli finanziari e a -4 (da 10) in quelli alle imprese; ad ottobre dello scarso anno l’indice era pari rispettivamente a 21 nei servizi alle famiglie, 11 in quelli finanziari e 25 in quelle alle imprese.

Il calo di fiducia è omogeneo anche a livello territoriale: il clima scende a -9 (da 7) nel Nord Ovest, a -18 (da -3) nel Nord Est, a -22 (da -6) al Centro e a -54 (da -30) a Sud; ad ottobre 2007 il clima di fiducia nel Nord Ovest era a 21, nel Nord Est a 9, nel Centro a 34, nel Sud a -7.

* La Confindustria La Confindustria continua a tallonare il Governo per ottenere un fondo di garanzia per le imprese, in particolare per le Pmi a rischio credito, strumenti a favore della capitalizzazione aziendale, come un’aliquota agevolata sugli utili reinvestiti, fino a sostegni fiscali per chi investe in risparmio energetico.

In questo solco si muove anche l’Organizzazione confindustriale pugliese giacché la situazione regionale non è diversa da quella del resto del Paese. Anche qui si comincia ad avvertire la crisi del sistema finanziario. Non c’è dubbio che un primo problema da affrontare è quello dei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni che ammontano, su scala nazionale, a circa 60/70 miliardi di euro. Non a

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Il Sistema Puglia 75

caso l’associazione degli industriali della regione si sta muovendo per acquisire, in tempi ristretti, una stima dei crediti delle imprese pugliesi. Si ritiene, da parte di Confindustria regionale, che la richiesta non può rientrare nel novero delle misure eccezionali, trattandosi di un riconoscimento di quanto dovuto, auspicando che i tempi di liquidazione siano ravvicinati. Altro aspetto sottolineato, la difficoltà di rapporti con Equitalia. Il contenzioso congela i pagamenti da parte del pubblico, con una insostenibile moltiplicazione del blocco per quanti contenziosi un’azienda ha in piedi. Infine, la possibilità di restituire liquidità alle aziende, in particolare a quelle con meno di cinquanta dipendenti, con l’accantonamento, invece che il versamento, del tfr. Questa misura, tra l’altro, rappresenta una sollecitazione all’investimento che va subito attivato, in vista di un 2009 difficile sia sul piano interno che su quello internazionale. E’ vero che la crisi, in Puglia, attanaglia particolarmente il legno per arredamento ed il mobile imbottito, ma ciò non significa attendere altri eventi drammatici. Quindi la richiesta risponde ad un intervento di medicina preventiva, non pensare in termini di straordinarietà. Serve, continuano a proporre gli industriali della regione, strutturarsi, intervenire organicamente in modo ordinario e definitivo.

Un allarme viene dalla Confindustria di Lecce, tramite il suo Presidente, che in maniera schietta in una riunione in Prefettura del capoluogo salentino ha sollecitato interventi necessari ad evitare la stretta del credito, altrimenti il rischio è quello di una recrudescenza dell’usura. <<Il credit crunch (stretta del credito) indica un calo significativo o inasprimento improvviso delle condizioni dell’offerta di credito al termine di un prolungato periodo espansivo, in grado di accentuare la fase recessiva. Il credit crunch avviene solitamente al termine della fase di espansione, quando le banche centrali alzano i tassi di interesse al fine di raffreddare l’espansione ed evitare il rischio inflazione, spingendo gli istituti di credito ad alzare i propri tassi di interesse e chiudendo l’accesso al credito per chi non può permettersi la spesa. In altri casi, può avvenire che sull’onda di fallimenti bancari e ritiro della liquidità, le banche applichino una chiusura del credito per evitare il loro fallimento>>. E’ purtroppo una condizione legata alla recessione economica. Anche in Salento, e precipuamente nella provincia di Lecce, si vive un periodo di grande difficoltà economica; un aumento della cassa integrazione delle imprese salentine; aziende costrette a fermare la loro produzione. E’ questa una condizione che spinge a chiedere mutui bancari, che però non sono concessi. Qui la preoccupazione del massimo rappresentante dei produttori salentini: per pagare i debiti c’è il rischio che ci si rivolga a qualche usuraio. Nelle condizioni date, dice il Presidente degli imprenditori di Lecce, considerato il livello di recessione economica che stiamo attraversando l’usura e i conseguenti fenomeni delinquenziali possono avere gravissimi risvolti sulla funzionalità e sulla sicurezza e legalità del territorio.

Di qui la sollecitazione di interventi necessari anche nel tentativo di evitare il restringimento del credito. Se questi interventi ci saranno si potrà scongiurare il fenomeno dell’usura che rischia di innescare un pericoloso circolo vizioso per le imprese e il territorio. Per ora non risultano ancora denunce di usura, ma la preoccupazione è che si continua così e se le banche attuano il credit crunch potrebbe verificarsi il peggio e cioè innescare un meccanismo che porterebbe inevitabilmente all’usura.

Il fenomeno è sotto controllo, ma è necessario innalzare i dispositivi di sicurezza. Certo la Confindustria salentina esprime quella che, per ora, è solo una preoccupazione, ma non si può nascondere che il rischio è molto alto.

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La crisi economico-finanziaria

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Il rapporto tra banche e imprese *L’iniziativa della Confindustria Le organizzazioni nazionali delle imprese non stanno ferme. La Confcommercio si è riunita per fare il punto della situazione. L’Ance ha creato una unità di crisi che ha il compito di analizzare il momento per proporre soluzioni. La stessa Confindustria ha promosso per il 17 ottobre, a Milano, un incontro con i vertici dei più importanti gruppi bancari per esaminare la situazione e studiare contromisure per affrontare l’attuale crisi. Dopo l’incontro con l’Abi e le principali banche italiane, ha incontrato, a Parigi, i presidenti delle altre associazioni imprenditoriali europee con l’obiettivo di chiedere alla Bce di calare i tassi in modo significativo. Oggi, secondo la Confindustria l’interbancario è di un punto superiore ai tassi di riferimento, perciò bisogna impegnarsi a lavorare sui differenziali. Secondo un sondaggio effettuato dall’Associazione degli imprenditori <<alcuni nostri associati hanno evidenziato un aumento di questi differenziali>>.

Il risultato dell’incontro con le principali banche italiane è stato annunciato dallo stesso Presidente della Confindustria <<lavoreremo insieme in una alleanza concreta per sostenere il sistema delle imprese e non far mancare credito al sistema economico>>. Il tavolo <<diventerà strutturale>> e il successivo incontro è stato fissato per il 31 ottobre. Tra le iniziative che saranno intraprese: la ramificazione del tavolo a tutte le province italiane; iniziative per risolvere il problema dei pagamenti arretrati della Pubblica Amministrazione alle imprese, pari a 60/70 miliardi circa; un rafforzamento del ruolo dei Confidi e un pacchetto di richieste al Governo per favorire la capitalizzazione delle imprese italiane. L’iniziativa messa a punto da Confindustria e Abi è giudicata positivamente dagli imprenditori pugliesi anche perché una richiesta in tal senso rivolta a Roma è partita nei giorni scorsi, proprio dai territori che in modo diretto e grave stanno subendo una drammatica situazione di crisi. D’altra parte se non ci sarà una immediata inversione di tendenza nell’atteggiamento delle banche in Puglia e nel Sud sarà impossibile fare impresa.

Gli industriali pugliesi, anche loro, sulla base della ramificazione del tavolo, quindi, si preparano ad un confronto con il mondo del credito. Quali saranno le richieste che faranno alle banche, le spiega il Presidente Confindustria di Taranto. Intanto il primo auspicio è che non cambi il quadro precedente e questo sarebbe già un risultato adeguato all’attuale momento. Infatti, si temono nuove azioni che accrescono ancora di più la destabilizzazione creditizia. Oggi i fidi sono ridimensionati, a qualcuno si chiede di rientrare, il rating si abbassa ulteriormente e tutto ciò può portare ad altre chiusure di aziende. A Taranto, poi, le banche stanno in Confindustria, sono socie tanto che l’organismo di rappresentanza industriale provinciale ha una sezione del credito. Non solo, la stessa associazione da tempo si è dotata di due organismi, che sono poi quelli che stanno già interloquendo con il mondo del credito, utilizzando la Confidi, Eurodifi Puglia, che è un organismo che dà una integrazione all’affidamento delle singole pratiche alle varie banche. La Confindustria di Taranto, poi, interviene con una garanzia del 50%, come Confidi, e quindi si è in grado di raddoppiare l’affidamento alle piccole e medie imprese presso le banche. C’è inoltre una finanziaria, anch’essa emanazione della locale associazione, è, più precisamente una holding di finanziamento che interviene anche nel capitale di rischio della società e delle aziende che si reputi abbiano le caratteristiche.

E’, insomma, un colloquio iniziato da tempo mai interrotto e che non potrà che essere approfondito alla luce delle linee tracciate ultimamente da Confindustria. Ciò dovrebbe scongiurare, il più possibile, problemi di credito al mondo delle imprese, che è già in sofferenza. Alle banche sarà chiesto che la contingenza internazionale non influisca sul mondo locale.

Ed è una proposta possibile, secondo il Presidente di Taranto, dato che le banche sul territorio hanno basato le loro linee di credito e i loro investimenti più sul concreto, sulla manifattura che non

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Il Sistema Puglia 77

sulla finanza, quindi non sono state viziate da questa onda lunga che sta scuotendo il mondo finanziario. Per il vero ad una platea disattenta sembrerà anomalo l’irrigidimento delle banche in questo momento, quando da loro ci si aspetterebbe l’esatto contrario.

*Le ragioni delle banche Ma c’è chi spiega che il comportamento del sistema creditizio è obbligato. Le maggiori banche non solo sono state colpite dalla crisi dei mutui ma stanno anche adeguandosi a quanto stabilito da Basilea II. Moltissimi istituti hanno un Tier I (è l’indice che misura la quota di capitale più facilmente utilizzabile) inferiore al 6%, sono quindi costrette o a diminuire il credito o a fare aumenti di capitale e non è certo questo il momento giusto, conoscendo le difficoltà che vi si frappongono.

Dal sistema bancario continuano ad arrivare segnali di assicurazione, anche se non si nascondono le preoccupazioni che le conseguenze del crack della banca d’affari americana, la Lehman Brothers, ci saranno anche da noi. Intanto il crack Lehman ha fatto volare l’Euribor, i tassi con cui si calcolano anche i rendimenti dei mutui. Infatti, si è registrato un nuovo aumento per i tassi sui mutui casa, che ad agosto sono arrivati al livello più alto dallo stesso mese nel 2002. Dal consueto rapporto dell’Abi si legge che sono saliti ad agosto al 5,96% dal 5,92% del mese di luglio. Spiegano i banchieri che la diminuzione di fiducia e la scarsa liquidità hanno prodotto l’aumento dei tassi Euribor. Si tenga conto – aggiungono - che l’operazione di salvataggio della banca d’affari americana è saltata.

Gli strumenti finanziari sono complessi e di difficile lettura, tanto che – sempre secondo i banchieri – è difficile valutare il rischio tra le stesse banche che, di conseguenza, non sono tanto disponibili a prestare i soldi. Quando non c’è disponibilità a prestare i soldi l’offerta diminuisce, e se la domanda rimane costante, i prezzi salgono.

Continua ad aumentare il senso di sfiducia, di incertezza, di insicurezza che i soldi che si danno ad un’altra banca non torneranno indietro, c’è meno liquidità e, di conseguenza, i tassi salgono. Naturalmente l’aumento del costo del denaro si scarica poi sul cliente. La liquidità nel sistema bancario si ottiene – sono sempre i banchieri che lo spiegano – anche vendendo i titoli che si hanno in portafoglio, i famosi titoli che derivano dalla cartolarizzazione e altro. Essendoci, anche qui, molta incertezza, questi titoli non si riescono a vendere più come prima e le banche hanno più bisogno di soldi, per questo la domanda di denaro sull’interbancario aumenta. In sintesi: c’è minore offerta di denaro perché le banche non si fidano a darlo alle altre, c’è un aumento della domanda perché non si riesce a vendere più tanti titoli. A consolarci c’è che la vigilanza europea. La Bce, ha adottato da tempo delle regole di tutela dell’investitore che hanno fatto sì che il sistema bancario europeo si comportasse con prudenza. Mentre quello americano queste regole non le ha adottate. Certo il rischio domino c’è. E’ possibile che qualche ripercussione la registreremo anche noi, qualche perdita la subiranno anche i depositanti, perché, direttamente o indirettamente, nel loro portafoglio potrà trovarsi qualcuno di questi titoli. Ma è convinzione dei banchieri che il sistema bancario reggerà. Nomisma ritiene che <<l’Italia può dirsi salva da una crisi finanziaria endogena, ma resta evidentemente esposta al tracollo finanziario statunitense, nonché fragile per una economia reale che restituisce segnali di recessione>>. Sottolinea ancora che <<gli effetti della stretta creditizia scaturita dalla crisi finanziaria sono allarmanti, ancorché parzialmente celati da un sistema di rilevazioni ufficiali che non consente di cogliere appieno l’entità della trasformazione in atto>>.

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Secondo l’analisi di Nomisma in un contesto internazionale <<di eccessi e di nazionalizzazioni indotte>>, le banche italiane rispetto ad altri Paesi europei hanno da sempre adottato politiche prudenziali. A questo <<si aggiunga l’oculatezza con cui l’Italia ha gestito il decennio d’oro (1998-2007) del settore immobiliare, realizzando nuove abitazioni per un volume tre volte inferiore rispetto a quello spagnolo>>.

Risulta così improbabile che le quotazioni possano ridimensionarsi per eccesso di offerta e neppure sono ipotizzabili conseguenze sul mercato delle vendite messe all’asta effettuate da banche creditrici di mutuatari insolventi, perché l’indebitamento delle famiglie italiane è strutturalmente inferiore a quello statunitense. Non mancano però <<i lati oscuri>> - rileva sempre Nomisma – come l’enorme attività di compravendita di titoli da parte delle banche negli ultimi anni. Oppure il fatto che <<molti imprenditori italiani hanno preferito sempre più spesso investire liquidità sul mercato finanziario, anziché in attività reali considerate più incerte e rischiose, ed oggi si trovano nella stessa condizione di azionisti di banche in difficoltà e di obbligazionisti di titoli tossici>>.

* Il taglio del credito Più ottimista, ma sferzante, la Cgia di Mestre che ritiene che la crisi dei mercati finanziari potrebbe paradossalmente agevolare il nostro mondo imprenditoriale. <<Grazie alla grande massa di liquidità introdotta in queste ultime settimane (ci riferiamo ad un’analisi della Cgia del 15 ottobre ndr) le banche italiane, adesso, non hanno più nessun alibi. Devono assolutamente agevolare l’accesso al credito e quindi sono nelle condizioni ottimali per venire incontro alle esigenze di molte imprese che sono in difficoltà, non per gli effetti disastrosi della tecno-finanza statunitense, ma per la crisi della domanda interna e per il forte aumento delle tasse che si è verificato in questi ultimi anni>>. Purtroppo se le grandi banche taglieranno il credito quelle che ci rimetteranno saranno le imprese della fascia più bassa, che saranno costrette a rivolgersi alle banche più piccole o a quelle locali. Ma queste non saranno mai in grado di accontentare tutte le richieste.

Una delle proposte ventilate è quella che il governo rifinanzi i Confidi, consorzi di garanzia, che affiancano le microimprese per agevolare l’accesso al credito.

A parte tutto, molti convengono di mettere in campo tutti gli strumenti utili ad evitare che si crei e si diffondi panico, il che finirebbe per deteriore ulteriormente il clima di sfiducia.

E’ invece importante infondere tranquillità nel sistema. L’ultima Finanziaria certamente non aiuta, avendo eliminata, tra l’altro, la detraibilità degli interessi passivi, appesantendo così i bilanci delle aziende. Nelle costruzioni, principale voce nel Pil pugliese, la situazione è dura ma si è lontani dai livelli di guardia. Vi è, è vero, una crescente difficoltà nell’accesso al credito, nel senso che i tempi tendono a diventare sempre più lunghi. I commercianti sembrano più guardinghi verso l’evolversi della situazione. Anche per loro, e non poteva essere diversamente, sono aumentate le difficoltà di usufruire di credito dalle banche. Non si contano ancora vittime, la paura è che sia soltanto questione di tempo. Ma per le banche vi è un primo grosso ostacolo rappresentato dalla loro liquidità. Giacché non è possibile un intervento dello Stato nei capitali – c’informa Massimo Sideri sul Corriere della Sera dei primissimi giorni di novembre – gli istituti di credito avrebbero approfondito sull’intervento affrettando i tempi per trovare <<lo strumento giusto per la creazione del fondo di liquidità, probabilmente un prestito obbligazionario a prezzi di mercato, la richiesta dovrebbe essere simultanea>>. I più grandi istituti italiani (Intesa San Paolo, Unicredit, Monte dei Paschi di Siena, Banca Popolare e Banca Popolare di Milano) potrebbero firmare per i prestiti tutti insieme. Naturalmente l’entità

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dell’accesso sarebbe diviso proporzionalmente alle dimensioni delle banche. Si vogliono evitare segnali discordanti che potrebbero penalizzare i primi che chiedono aiuto. Insomma il <<riallineamento competitivo> rispetto alle altre banche europee che hanno già ricevuto aiuti dai propri governi. Lo stesso problema potrebbe presentarsi all’interno del mercato nazionale qualora fosse parziale l’accesso privilegiato, tenuto conto delle difficoltà del reperimento delle risorse necessarie per ricapitalizzare e riequilibrare i ratios patrimoniali dopo le pesanti perdite subite in Borsa.

<<Se le condizioni dovessero essere favorevoli è poi plausibile che in fila si mettano, per importi variabili, anche altre banche i cui ratios non hanno bisogno di iniezioni di capitale in questo momento. In ogni caso a giustificare l’accesso al fondo nell’ottica delle banche ci sarebbe anche il maggiore sforzo per aiutare la ripresa che si sta chiedendo al mondo del credito.

*Le banche e le piccole e medie imprese Se andiamo a scavare più a fondo nella nostra realtà registriamo come le banche siano sempre più drammaticamente rigide con le piccole e piccolissime imprese pugliesi, che, come abbiamo visto, non sono una piccola cosa.

Il comportamento delle banche colpisce soprattutto le imprese produttrici di divani e quelle del settore edilizio e non solo.

Per dirla tutta, l’area del salotto – Altamura, Santeramo e Matera – è quella che è stata sottoposta a tale rigidità molto prima del crollo dei mercati finanziari internazionali: la crisi del settore ha provocato un irrigidimento nei rapporti fra imprese e banche che operano nel territorio. Gli Istituti di credito, da tempo, hanno preteso dagli imprenditori un immediato rientro nei fidi concessi.

E’ il caso di rammentare che la Nicoletti, una delle più importanti aziende del salotto, ha dichiarato, a giugno 2008, la messa in stato di liquidazione proprio a causa dell’atteggiamento delle banche.

Ora che la situazione è diventata più grave, perché oltre all’inflessibile rifiuto ad ogni e qualsiasi sconfinamento, le banche chiedono i rientri di fatture e di ricevute bancarie. E ormai non più per il solo settore del salotto. Spiega l’Api di Bari: <<Le banche stanno cominciando a chiedere lo sconto delle fatture anche dieci-quindici giorni prima della scadenza. E se il cliente non paga entro la data fissata, bastano appena 24 ore e ti ritrovi poi a pagare interessi e commissioni di massimo scoperto. Ed è una situazione che si sta ripetendo per numerose imprese locali>>. E qui l’Api ci ripete la solita giusta e sacrosanta lamentela che il costo del denaro per le imprese meridionali, al netto della crisi, è già più alto che altrove. Alle imprese pugliesi che danno le migliori garanzie è applicato un tasso del 6,50%.

In questo clima è piuttosto naturale che le imprese meno solide sopportino le più tristi conseguenze della crisi.

La Federlegno puntualizza che è da più di cinque anni che le imprese del settore legno sono bersagliate da parte del sistema bancario, Le piccolissime, in particolare, i subfornitori hanno dovuto soccombere. Bisogna aggiungere che va a merito delle associazioni imprenditoriali di non essere state ferme. Per uscire dalla crisi è stato aperto un tavolo tecnico presso il Ministero delle Attività produttive, si è poi istituito un groppo di lavoro regionale che ha formulato prime proposte alla Regione Puglia. Per esempio, l’ipotesi di una collaborazione fra la Regione, i consorzi Fidi e le banche locali perché siano create strutture finanziarie di sostegno; un fondo di garanzia per rendere più accessibile il credito per queste aziende. Si sta operando per il credito di imposta, cui non riescono ad accedere le aziende del salotto, per mancanza di liquidità (le banche hanno chiuso ogni specie di credito); a

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investimenti finanziabili; ad agevolazioni fiscali sui soldi spesi per la realizzazione di prototipi. E’ stata investita l’Agenzia delle Entrate per verificare la praticabilità di una simile ipotesi. La stessa istituzione del distretto del salotto, da parte della Regione, è stata pensata per agevolare la fuoriuscita dalla crisi. Se il distretto avrà una configurazione giuridica più autonoma, come auspicano le associazioni imprenditoriali, sarà possibile realizzare, fra le varie imprese, un consorzio fidi. Per ultimo vi è l’impegno di aprire solidi rapporti con banche di credito cooperativo e consorzi, piuttosto che con grandi banche La Confartigianato, da parte sua, ha calcolato che la crisi del credito costa alle imprese artigiane 13,8 miliardi l’anno. Questo deriva, secondo l’Organizzazione degli artigiani, dal mancato adeguamento dei tassi di mercato applicati dalle banche a quelli di riferimento Bce. A dicembre 2008 questa cifra si attestava a 12,5 miliardi. A luglio 2007, prima della crisi dei mutui subprime, il tasso di riferimento fissato dalla Bce era pari al 4,0% e nel contempo i tassi sui prestiti alle imprese si attestavano al 5,60%. In piena crisi, continua l’analisi, a febbraio 2009, una decisa politica monetaria espansiva porta il tasso di riferimento Bce al 2,0%. Ma i tassi sui prestiti alle imprese applicati dalle banche non si allineano al ribasso, mantenendosi al 4,83%. Praticamente ad una riduzione del 2,25% dei tassi Bce corrisponde una riduzione dello 0,77% dei tassi pagati dalle imprese alle banche. Risultato: il mancato adeguamento dei tassi di mercato a quelli di riferimento Bce costa alle imprese 13.837 milioni di euro l’anno in termini di maggiori oneri finanziari.

Ma non è finita. Incalza la Confartigianato comparando la situazione italiana con quella degli altri partner europei. Infatti, i tassi sui prestiti pagati dalle imprese italiane sono più alti rispetto a quelli degli altri principali Paesi europei: il gap è di 70 punti base (cioè pari allo 0,7%) rispetto alla Spagna, di 82 punti base rispetto alla Germania, e addirittura di 134 punti base rispetto alla Francia. Per ciascuna impresa italiana il maggior onere si attesta in media a 2.267 euro, con valori decisamente più elevati per le aziende del Nord Ovest (3.289 euro) e del Nord Est (2.997).

Il segretario della Cna Puglia puntualizza che nella nostra regione, in cui la mancanza di liquidità penalizza doppiamente le imprese, negli ultimi tre anni hanno fatto forti investimenti, contribuendo ad una fase di crescita economica. Basta vedere i dati degli ultimi due anni di Artigiancassa, che ha pompato nelle aziende artigiane pugliesi 130 milioni di euro, con un investimento complessivo di due miliardi di euro interessando quasi cinquemila imprese, con la creazione d più di 5-6 mila addetti. Il rischio, paventa il segretario Cna, è che possa spezzarsi lo sforzo fatto in questi anni. Finora si hanno segnali di tenuta degli investimenti, mentre non c’è liquidità da parte delle banche. Il Presidente della Cofidi Puglia, il consorzio che raggruppa 10 mila imprese e gestisce le garanzie sul prestito per conto della Cna, accusa Abi e Banca d’Italia di fornire dei dati che fanno della Puglia la regione dove la crisi non c’è. Il presidente sostiene che la crisi c’è e se ne sono accorti tutti. E’ un fiume in piena: se è vero che le banche dicono di avere i soldi – sostiene – allora il problema del credito si può superare facilmente:le banche diano credito alle imprese. Se invece hanno i soldi e non li danno, allora è perché vogliono alzare il prezzo. Se un imprenditore va da solo in banca rischia di pagare il denaro anche intorno al 10%. Con la Cofidi le condizioni sono decisamente migliori. Anche l’Api dice la sua sul rapporto imprese artigiane e banche. Sottolinea, in particolare,la ristrettezza del credito che colpisce anche le aziende sane perché anche un’azienda sana con un ritardato pagamento si trova ad avere un’esposizione nei confronti del sistema del credito. Bisogna, quindi, a parere dell’Api, garantire maggiore flessibilità del sistema del credito nella valutazione dei clienti colpiti da ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione e dei privati.

Il problema reale è che le piccole imprese non hanno la possibilità di interfacciarsi con livelli decisionali alti degli istituti di credito, che in genere sono grandi aziende con la direzione vera altrove.

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EXPORT *Istat Intanto gli ultimi dati Istat sull’export italiano ci dicono che la Puglia nel primo semestre 2008, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, realizza un +11,2% nelle esportazioni. Il doppio rispetto al dato medio nazionale, che è +5,9, e quasi uguale a quello realizzato in media dalle regioni del Mezzogiorno: 11,9%. Con la Puglia incrementano le esportazioni: il Molise (+21,3) e la Basilicata (+12,8). La Sardegna addirittura un +43,1%. La crescita dell’export della nostra regione è realizzata dalla meccanica (+17,3), l’agroalimentare (+14,7). Anche nel sistema moda il volume d’affari non arretra nonostante registri notevoli difficoltà.

Naturalmente questa crescita è sottolineata dal Governo regionale che ne attribuisce il merito <<alle imprese, ai lavoratori, all’università ma anche alle politiche pubbliche, accorte e intelligenti, che hanno indotto verso l’innovazione e la specializzazione produttiva, ma anche alla capacità d’impiego delle risorse europee: abbiamo speso fin qui l’85% dei fondi a disposizione>>.

*L’Export pugliese Sempre per l’Istat l’export regionale faceva ancora meglio nei primi nove mesi del 2008, da gennaio a settembre. Infatti, l’export pugliese è cresciuto del 9,7% contro il 5% dell’Italia e l’8% del Mezzogiorno.

Osservando i dati in dettaglio, il settore ‘Metalli e prodotti in metallo, fino a settembre ha tenuto e la Puglia è la seconda in Italia con un aumento dell’export del 18,4%. Se si guarda ai prodotti del Made in Italy, invece, si registra l’incremento nei ‘Vini da uva” (+2,1%) e negli ‘Elettrodomestici’ (+7,3), un ottimo risultato nella ‘Frutta, frutta a guscio e prodotti utilizzati per la preparazione di bevande, spezie’ salita del 17,6%, ampiamente superata dalle ‘Paste alimentari, cuscus e prodotti farinacei simili’ con il 29,6% in più e soprattutto dalle ‘Piastrelle in ceramica per pavimenti e rivestimenti’ che totalizzano una crescita del 45,3% piazzando la Puglia al secondo posto in Italia. Flessione per le ’Calzature’ (-16,9%), per gli ‘Oli e grassi grezzi’ (-13,3%), per i ‘Gioielli e articoli di oreficeria’ (-25,6%). Positivo il commento del governo regionale: <<Questo risultato è attribuibile al dinamismo imprenditoriale, ma anche alle politiche di accompagnamento che, in particolare nel 2008. hanno visto un buon sostegno all’internazionalizzazione. Il Programma di promozione che sarà varato nei prossimi giorni consente di proseguire l’impostazione del 2008 migliorandola attraverso una maggiore relazione con le filiere oggi rappresentate dai distretti>>.

*Servizio Studi e Ricerche di Intesa-San Paolo Dall’ultimo studio dei primi giorni di gennaio del Monitor dei distretti del Servizio Studi e Ricerche di Intesa-San Paolo emerge che dopo quattro anni di successi, il crollo dei mercati di sbocco e la crisi della Russia, dell’Est Europa e dei Paesi dell’area Opec, hanno creato grosse difficoltà alle esportazioni della maggior parte dei 103 distretti industriali italiani. Dopo un leggero aumento nel primo semestre 2008, le esportazioni delle aree distrettuali hanno accusato un calo del 2,4% a prezzi correnti nel terzo trimestre, un deciso rallentamento tra ottobre e novembre con un altro peggioramento a dicembre.

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Lo studio dell’Intesa-San Paolo prevede quindi che il bilancio delle esportazioni dei distretti italiani chiude il 2008 con una contrazione <<non inferiore al 5%>> segnando così un peggioramento mai verificato dal 1990 ad oggi, tanto da allargare il divario rispetto all’esportazioni dell’intera industria italiana che sono anche loro in calo (-0,6% in volume secondo il Centro Studi di Confindustria). Non solo, in dicembre l’indice Pmi del manifatturiero (Purchasing Manager Index) ha ripreso a salire ma una indagine di Unioncamere-Assocamerestero prevede per il primo semestre 2009 un positivo andamento dell’export Made in Italy almeno sui mercati dei Paesi emergenti.

Crediamo di non sbagliare se diciamo che la frenata dell’economia mondiale faceva prevedere che fosse colpito l’export del Made in Italy che si concentra nei distretti industriali, ciò che invece lascia increduli sono due novità. Il fatto che già a fine settembre i distretti in difficoltà raggiungevano quota 61,5% contro il 30% dei primi mesi del 2007. Il secondo elemento, il calo delle esportazioni ha colpito soprattutto la meccanica strumentale. Certo le esportazioni dei distretti, come abbiamo detto, subiscono la crisi dei mercati di sbocco (si pensi che i Paesi dell’Unione Europea assorbivano la metà dei valori esportati) ma la novità che ha caratterizzato l’ultima parte del 2008 è stata l’inversione di tendenza dei mercati che prima avevano permesso all’export dei distretti di reggere le difficoltà della congiuntura e cioè del crollo del mercato russo e del peggioramento dell’Europa centro-orientale e del Medio Oriente. Nell’area Opec, la caduta dei prezzi del petrolio ha provocato una decelerazione delle vendite del nostro sistema moda ed anche dell’industria alimentare, del mobile e della metalmeccanica.

Che il 2008 non fosse un anno felice era già emerso nel terzo trimestre con il calo (tra il 2,9 e il 3,5%) delle esportazioni dei manufatti vari per il sistema casa e della meccanica strumentale. Rallentavano anche i beni intermedi del Sistema moda, i mobili e gli elettrodomestici (-10% dei valori esportati tra luglio e settembre) e i beni per l’edilizia del sistema casa. I beni di consumo del sistema moda, i prodotti in metallo per l’industria e gli alimentari, che pure fino a settembre hanno visto accrescere le loro esportazioni, nell’ultimo trimestre 2008 hanno accusato flessioni, anche se i beni di consumo del sistema moda hanno retto meglio degli altri. La netta riduzione dell’export in larga parte dei distretti industriali sta avendo ripercussioni rilevanti anche dal punto di vista territoriale. Alla fine del terzo trimestre erano solo quattro le Regioni che si erano mantenuti in territorio positivo:

1) La Lombardia che però cominciava già a mostrare segni di flessione delle esportazioni del serico di Como, delle macchine per il tessile e per le materie plastiche di Varese, Brescia e Bergamo, della gomma e della materia plastica di Varese e del basso Sebino, del tessile-abbigliamento della Val Seriana e del Gallaratese e delle calzature di Vigevano, ma che registrava un discreto andamento del distretto dei prodotti in metallo della provincia di Brescia, del legno-arredo della Brianza, del metalmeccanico del Basso mantovano e della calzetteria di Castel Goffredo;

2) Il Veneto, grazie al buon andamento delle calzature di Montebelluna, al grafico Veronese, al prosecco di Conegliano Valdobiadene, al tessile e abbigliamento di Treviso, alla termomeccanica scaligera, e al vino Veronese;

3) L’Abruzzo, dove tutti e quattro i distretti hanno mantenuto una buona tenuta; 4) La Campania, con le conserve di Nocera Inferiore e in minima misura con l’abbigliamento e

il calzaturiero del Napoletano. La crisi ha colpito seriamente sulla maggior parte delle altre regioni che hanno mandato in rosso l’export come non accedeva da anni.

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La presenza all’estero per settore

ar. % su valori nominali del periodo corrispondenti

Settori ad elevata presenza distrettuale Gen/Set. ‘08

Distretti Non Distretti

Sistema moda: intermedi -12,1 -5,9

Mobili ed elettrodomestici -6,4 4,6

Sistema casa: beni per l’edilizia -3,3 2,2

Sistema casa: manufatti vari 2,3 2,9

Meccanica strumentale 4,8 5,7

Sistema moda:beni di consumo 0,7 2,8

Prodotti in metallo per l’industria 3,9 0,3

Alimentare 8,6 9,3

Totale settori ad elevata presenza distrettuale -0,4

Industria manifatturiera italiana 4,5 Nota: l’evoluzione delle esportazioni delle aree non distrettuali è ottenuta cambiando la struttura produttiva settoriale dei distretti con la performance conseguita nelle aree non distrettuali. Le variazioni indicate sono calcolate su dati provvisori.

La presenza all’estero per area geografica

Elaborazioni su dati a prezzi correnti provvisori. Var. % rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente

Genn./Sett. ‘08

Nord Ovest 1,7

Lombardia 3,6

Piemonte -4,0

Nord Est 1,4

Emilia R. 5,0

Friuli V.G. -3,5

Veneto 0,0

Centro -7,9

Marhe -13,3

Toscana -4,9

Sud 0,3

Abruzzo 4,5

Basilicata -27,2

Campania 11,0

Puglia -13,1

TOTALE ITALIA -0,4 Fonte: Elaborazioni Intesa San Paolo su dati Istat

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*L’indagine della Cgia di Mestre Il Made in Italy ha retto nel 2008 grazie alle piccole e medie imprese che hanno consentito un saldo commerciale (rapporto import-export) positivo per 71,5 miliardi di euro (+3%). E’ questo il risultato di una indagine compiuta dalla Cgia di Mestre. In questo risultato fanno la parte del leone le aziende del Nordest avendo garantito il 46% del saldo positivo. Nel conto finale import-export 2008 sono andate male invece le grandi imprese (petrolio, chimica, elettronica e auto) che hanno chiuso l’anno con un saldo negativo di 92,6 mld (-8,4% sul 2007). Un risultato condizionato in buona parte dal forte aumento dei prezzi, poi scesi nel periodo finale dell’anno, dei prodotti petroliferi.

Si può dire – afferma la Cgia – con certezza che nel 2008 le pmi, protagoniste indiscusse del Made in Italy, hanno battuto nettamente le grandi aziende italiane sul terreno della goblalizzazione economica. Complessivamente, il saldo commerciale italiano di tutti i settori produttivi ha registrato un valore negativo pari a quasi 11,5 mld di euro con una contrazione sul 2007 del 33,5%. E se nel settore del Made in Italy (alimentari, abbigliamento, meccanica, arredo-casa) è stato ancora il settore meccanico a dominare, con un saldo positivo di 49,4 mld (69% del totale), nella grande industria il caro petrolio ha fatto attestare il saldo del settore a -61,4 mld di euro (-26% rispetto al 2007).

*E’ nata Federexport Puglia con una polemica E’ stata presentata il 30 gennaio 2009 la nascita della Federexport Puglia con l’adesione di cinque consorzi e con l’obiettivo di far aderire anche gli altri 83 presenti sul territorio regionale.

La Federazione si propone, in collaborazione con Confindustria Puglia, di fornire assistenza specialistica ai consorzi export pugliesi, sostenendo un quadro favorevole allo sviluppo internazionale delle piccole e medie imprese. Si è evidenziata l’importanza strategica dei consorzi nel mercato globale. Con lo strumento consortile, si è sostenuto, si può battere la crisi e affrontare la globalizzazione. Una indagine della Federexport nazionale ha rilevato che il fatturato complessivamente realizzato da tutti i consorzi nel 2007 è stato di 28 miliardi di euro, con una variazione rispetto all’anno precedente del 24,1%. La nascita, quindi, di Federexport Puglia può favorire l’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese, in questi momenti di crisi, venendo incontro all’economia. Alcuni Paesi, come ad esempio l’Australia, sono poco soggetti alla crisi, avere quindi rapporti commerciali con queste realtà è fondamentale. La nuova Federazione può rendere più forti e competitivi i consorzi. La presenza della Regione era assicurata dall’assessore alle Attività produttive che ha annunciato lo stanziamento, da parte della Regione, di 9 milioni di euro per i fondi export per favorire l’internazionalizzazione delle Pmi pugliesi. La Confindustria si è detta soddisfatta per l’impegno ma ha chiesto maggiore collaborazione. Si è detta disposta a lavorare alacremente per risolvere i problemi ma occorre rimanere uniti e riunire le forze. Ma, ha sottolineato, che in un periodo di crisi il fattore tempo è fondamentale, ma a volte la burocrazia è esasperante. Tuttavia la sottolineatura dell’assessore sulla crescita delle esportazioni (più 9,2% nei primi nove mesi del 2008) e sulla ripresa di molti settori dell’economia regionale, tra cui il tessile e l’abbigliamento, ha fatto registrare molti malumori da parte degli imprenditori presenti tanto che il presidente regionale di Federexport ha dichiarato che pensava di vivere in una regione in crisi ma <<che sentendo alcuni discorsi sembra che non sia così. In passato i politici almeno ci davano dati veritieri>>.

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Il Sistema Puglia 85

Le previsioni * La commissione Europea Nella prima decade di settembre la Commissione europea, nelle previsioni intermedie che saranno la base di quelle definitive, ci dice che il Pil nel nostro Paese è praticamente fermo: 0,1% nel 2008; e l’inflazione al 3,7% tra le più alte degli stati dell’U.E.

L’agricoltura è il settore che fa registrare la più alta crescita percentuale del valore aggiunto sia in termini congiunturali (+1,7 per cento) che tendenziali (+3,5 per cento), il che segnala una forte controtendenza rispetto all’andamento generale e una inversione di segno positivo dopo due anni di risultati negativi. Ed è questa una nota positiva per la Puglia che ha nell’agricoltura un settore di primaria importanza. La Coldiretti, in proposito, sollecita un reale e concreto sostegno all’agricoltura in un periodo di più generale difficoltà. Auspica una politica di contenimento dei costi, la valorizzazione delle produzioni e il sostegno dei consumi. Questi ultimi segnano un preoccupante calo che può compromettere il risultato finale dell’anno. Infatti, l’andamento del costo di produzione nell’imprese agricole segnala un aumento dell’11 per cento medio e che nel settore dei concimi, necessari alla fertilizzazione dei campi, ha raggiunto +52 per cento. Sempre la Coldiretti ci informa che a soffrire di più, per l’incremento dei costi, sono i settori della coltivazione dei cereali come grano, mais e riso con incrementi del 17 per cento, ma non va meglio per le coltivazioni industriali (+12 per cento) come il pomodoro e per l’attività di allevamento per latte e carne che sono aumentati del 9 per cento per bovini e suini.

E a conferma del calo dei consumi vi sono i dati. Se calano i consumi primari: pane (-2,4%), carne (-3,1%) e frutta (-3,9%), vuol dire che sono state seriamente intaccate le risorse familiari.

Previsioni andamento consumi alimentari

Dal 2008 rispetto al 2007

Derivati cereali +0,7

Pane -2,4

Pasta +1,3

Carne bovina -3,1

Carne suina e salumi -1,6

Pollo +5,7

Latte e derivati +0,8

Prodotti ittici -0,7

Frutta -3,9

Ortaggi e patate -1,8

Olio di oliva -1,9

Vino e spumante -2,1

Totale agroalimentari -3,8 Elaborazioni CIA-Confederazione Italiana Agricoltori su dati Itat e Ismea

Tutto questo giustifica la preoccupazione degli italiani che sono in ansia non solo per il cibo ma anche per la disoccupazione e la precarizzazione crescente del lavoro. Per quest’ultima non risultano ancora applicate le circolari sulla stabilizzazione emanata dall’ex ministro del Lavoro del

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Governo Prodi. I tagli alla scuola, oltre a mettere fuori molti insegnanti (in Puglia si prevedono oltre 5.000 docenti in meno), rendono più precario un settore strategico per lo sviluppo nazionale come quello dell’istruzione e della cultura.

Si aggiunga il grave problema della sicurezza sul lavoro. La Puglia è stata particolarmente colpita; si rammentano: la strage di Molfetta, dove morirono cinque dipendenti della “Truck Center” e il continuo stillicidio all’Ilva. Non mancano, certo, i problemi finanziari che pesano sui cittadini con l’aumento dell’inflazione che ha superato il 4% e l’aumento dei tassi d’interesse sui mutui variabili. Nonostante la convenzione siglata tra il Governo e l’Abi, l’associazione delle banche italiane, per riconvertire i mutui variabili, molte sono le lamentele dei cittadini per le difficoltà delle procedure. Le associazioni dei consumatori lamentano anche che la riconversione della rata ai valori del 2006, prima cioè che scoppiasse la crisi finanziaria dei subprime negli Stati Uniti, di fatto allunga in modo indeterminato i tempi della restituzione del mutuo.

Le prospettive non sono certo incoraggianti se la stessa Confindustria ha ammesso che l’economia italiana è sull’orlo della recessione.

Ma le prospettive diventano più pesanti nei primi giorni di novembre. Infatti, la Commissione europea, nelle sue previsioni d’autunno, ha ammesso che erano sbagliate le precedenti stime di primavera, troppo ottimistiche sulle conseguenze nei 27 Paesi membri del tracollo dei mercati finanziari provocato dai mutui immobiliari speculativi negli Stati Uniti. I 15 Stati della zona euro, che nel 2007 avevano registrato una crescita del 2,7% del prodotto interno lordo, scendono all’1,2% nel 2008 e allo 0,1% nel 2009. L’Italia sconta già due trimestri di crescita negativa, che producono la <<recessione tecnica>> ed è accreditata di una crescita zero nel 2008 e nel 2009. Nel dettaglio la scheda Italia scritta dagli esperti di Bruxelles spiega come <<l’accentuato rallentamento dell’economia risale già alla metà del 2007, ben prima dell’impatto della crisi dei mercati>>. Dallo scorso giugno, dice l’analisi della Commissione europea, gli indicatori <<mostrano che il Paese è in recessione tecnica>>, con la competitività in calo costante. E per una leggera schiarita si dovrà attendere il 2010, quando la crescita si dovrebbe attestare allo 0,6%, anche se si tratta di una previsione soggetta a mille rischi. <<Nonostante il livello di indebitamento relativamente basso del settore privato – scrivono gli analisti – in Italia esistono rischi di un impatto significativo della crisi finanziaria sull’economia reale. Il maggior rischio è legato alla fiducia dei consumatori che dovrebbero rimanere a livelli molto bassi o ancora peggio>>. Più chiaramente, l’Italia chiuderà 2008 e 2009 a crescita zero (l’Fmi aveva previsto lo 0,1 e lo 0,2%). Il tutto con il debito pubblico che resta il più alto della zona euro e torna a salire passando dal 104,1% del Pil nel 2008 al 104,3% nel 2009 <<per colpa del ciclo economico negativo e di alcune misure discrezionali prese dal governo, come un aumento considerevole nelle remunerazioni>>. Peggiora la disoccupazione che dal 6,1% della forza lavoro nel 2007 è stimata al 6,8% nel 2008 e al 7,1% nel 2009. Il ministero dell’Economia ha poi comunicato un fabbisogno nei primi 10 mesi dell’anno aumentato di 14,5 miliardi di euro rispetto allo stesso periodo del 2007 (raggiungendo i 52,5 miliardi).

Ma <<grazie al piano triennale>> di consolidamento dei conti pubblici e del contenimento della spesa <<approvato dal Parlamento in estate e confermato nella bozza di Finanziaria 2009>>, aggiunge Bruxelles, nel 2010 il deficit scenderà al 2,1%. Non abbastanza per avere la certezza di centrare la promessa di pieno risanamento entro il 2011. Tanto per non sbagliarsi, comunque, la Ue per il nostro Paese prevede <<un’ulteriore perdita di competitività>>.

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<<La recessione è un rischio reale per alcuni Paesi, per la zona euro e per l’Unione europea>>, ha detto il commissario per gli Affari economici, lo spagnolo Joaquin Almunia, che ha invitato i ministri finanziari a <<un’azione europea coordinata>> per rilanciare l’economia reale.

Oltre all’Italia l’anno prossimo andranno in stagnazione anche Germania, Francia, Svezia e Lituania. In recessione entreranno, invece, Irlanda, Spagna, Estonia, Lettonia e Gran Bretagna. E due governi, il 2 novembre, sono corsi ai ripari: la Spagna ha concesso alle famiglie una moratoria, fino a due anni, del pagamento del 50% delle rate ipotecarie per i nuovi disoccupati e per gli autonomi con familiari a carico, mentre la Germania ha annunciato un piano da 30 miliardi di sgravi per le ristrutturazioni e incentivi per le auto pulite e per gli investimenti delle imprese. Mossa che ha irritato l’Europa che, per voce del commissario per gli Affari economici, continua a invocare un’azione forte ma coordinata tra gli Stati come nel caso delle banche.

*Il Governo E che le prospettive non siano incoraggianti lo conferma il Governo che ha rivisto al ribasso le stime sulla crescita italiana: per il 2008 il Pil lordo si attesterà a 0,1% rispetto allo 0,5 previsto nel Dpef, mentre per il 2009 la crescita scenderà allo 0,5% dallo 0,9. Sono queste poi le stime attuali contenute nelle note di aggiornamento al Dpef presentato il 23 settembre in Consiglio dei ministri insieme alla Finanziaria 2009. Restano confermate le stime sul deficit: nel 2008 al 2,5% e nel prossimo anno al 2%. Una revisione suggerita dal dato del secondo trimestre di quest’anno. L’Istat, infatti, ha rilevato un arretramento dello 0,1% sullo stesso periodo del 2007, il dato peggiore dal 2003. E’ indubbio che la riduzione delle stime del Pil significa confermare le dichiarazioni della Confindustria che l’economia italiana è in una fase di recessione. Questo determina, come abbiamo già visto, una grave crisi dei consumi che significa più disoccupazione, maggiori difficoltà per le famiglie. In proposito il Segretario regionale della Cisl-Puglia Giulio Colecchia commenta: <<Avvertiamo da tempo e lo abbiamo anche annunciato più volte che il Paese non era in una fase dalle buone prospettive. La recessione oggi la scopre anche Confindustria. E adesso pure il governo conferma che stiamo grattando il fondo: una crescita zero in un paese come il nostro, con l’indebitamento che ha, è molto più grave se si verificasse in qualunque altro paese europeo. Le cadute sull’occupazione sono gravissime. Si registra una grande sfiducia diffusa anche da parte delle imprese e questo non ci aiuta a venir fuori dalla crisi>>.

Anche il Presidente degli industriali di Brindisi sottolinea <<come Confindustria, già da molto tempo stiamo dicendo che eravamo in piena stagnazione; da due mesi poi stiamo dicendo che siamo in recessione, Oggi, finalmente, prende atto di questo anche il governo. Certo è una recessione di carattere internazionale, la situazione è patologica e richiede una terapia intensiva. Al contrario invece assistiamo a comportamenti totalmente incoerenti rispetto a questa grave situazione>>.

*La Confindustria <<L’uscita dal tunnel della recessione si allontana>>. E’ l’incipit del refresh degli “Scenari Economici” elaborato dal Centro Studi della Confindustria nella seconda quindicina di ottobre, con il quale lo stesso CSC taglia le stime pubblicate nel “Le Sfide della politica economica” uscite nella prima decade di ottobre.

La crisi bancaria ha compromesso la possibilità di ripresa nel 2009. Il Pil italiano cala dello 0,2% e dello 0,5% nel 2009 contro quanto previsto dallo stesso CSC in settembre (-0,1% nel 2008 e il +0,4% nel 2009).

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LE PREVISIONI DEL CSC PER L’ITALIA

(Variazioni percentuali salvo diversa indicazione)

2006 2007 2008 2009

Prodotto interno lordo 1,0 1,5 -0,2 -0,5

Consumi delle famiglie residenti 1,1 1,4 -0,2 -0,6

Investimenti fissi lordi 2,5 1,2 -1,3 -1,9

Esportazioni di beni e servizi 6,2 5,0 2,2 1,8

Importazioni di beni e servizi 5,9 4,4 1,1 0,3

Saldo commerciale (1) -0,7 0,2 0,1 1,4

Occupazione totale (ULA) 1,7 1,0 0,6 0,0

Tasso di disoccupazione (2) 6,8 6,1 6,8 7,3

Prezzi al consumo 2,1 1,8 3,5 2,1

Retribuzioni totale economia 3,0 2,1 3,8 2,7

Saldo primario della P. A. (3) 1,3 3,1 2,6 2,7

Indebitamento della P. A. (3) 3,4 1,9 2,5 2,4

Debito della P. A. (3) 106,5 104,0 103,8 104,4

(1)Fob-fob valori in percentuale del Pil; (2) Valori percentuali; (3) Valori in percentuale del Pil

Fonte: Cento Studi della Confindustria

Non vanno di certo meglio le previsioni per gli altri Paesi. La contrazione del Pil si avrà sia in USA (-0,71 nel 2009) sia nell’Area euro (-0,2%). La flessione sarà la conseguenza della situazione negativa del 2008 e l’anno prossimo la variazione annua risalirà vicino a zero, partendo da valori negativi.

<<La netta revisione al ribasso della crescita nasconde una valutazione positiva sull’evoluzione della tempesta finanziaria. – sostiene il Csc – In questo scenario le maggiori forze recessive internazionali rimangono: lo shock delle materie prime, solo in parte rientrato; lo scoppio della bolla immobiliare e l’aggiustamento dell’economia americana, di per sé sufficienti a far contrarre domanda interna e attività produttive nelle principali economie industriali>>.

LE ESOGENE INTERNAZIONALI

(Variazioni percentuali, salvo diversa indicazione)

2006 2007 2008 2009

Commercio mondiale 9,3 7,2 5,0 4,0

Prezzo del petrolio (1) 65,6 72,7 104,2 70,0

Prodotto interno lordo

Stati Uniti 2,8 2,0 1,4 -0,7

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Area euro 2,9 2,6 1,1 -0,2

Paesi emergenti 7,9 8,0 6,7 6,0

Cambio dollaro/euro (2) 1,26 1,37 1,47 1,25

Tasso FED (3) 5,0 5,0 2,2 1,1

Tasso interbancario a 3 mesi USA (3) 5,2 5,3 3,2 1,9

Tasso BCE (3) 2,8 3,8 4,0 3,0

Tasso interbancario a 3 mesi Area euro (3) 3,1 4,3 4,8 3,6 ( ! ) Dollari per barile; (2) livelli; (3) valori percentuali

Fonte: Centro Studi Confindustria

La possibile soluzione della crisi creditizia in tempi non lunghi – così auspica il Csc – di per sé non garantisce però la ripresa della espansione economica nel prossimo 2009. Vi sono, purtuttavia, forze che preparano la ripresa nel 2010: lo sviluppo dei Paesi emergenti che sono la metà dell’economia globale; il calo delle quotazioni delle materie prime e l’attenuazione, se non il rientro, dell’inflazione; la riduzione dei tassi di interesse; la frenata nella caduta dei prezzi immobiliari, in particolare negli USA; un riequilibrio nel cambio dell’euro sia verso il dollaro sia verso le valute asiatiche.

Altro elemento che può giocare per l’espansione economica è che il nostro Paese riduca l’attuale divario di crescita con il resto dell’Europa. Sempre per il Csc, per ottenere questo risultato non è sufficiente la trasformazione, peraltro già in atto, nel settore manifatturiero ma indispensabile concretizzare le riforme strutturali e realizzare l’ammodernamento ed il potenziamento delle infrastrutture. Sempre per quanto riguarda l’Italia, è opinione del Csc che l’ulteriore contrazione del Pil nel 2009 è da addebitarsi sia ai consumi (-0,6%) sia agli investimenti (-1,9%). Si sono ridotte le esportazioni (+1,86%) anche se queste ultime sono condizionate da una caduta del commercio mondiale che con il suo attuale 4% si è dimezzato rispetto a quello del biennio 2006-2007. La Csc lamenta che la riduzione della spesa delle famiglie proseguirà anche nel prossimo anno, nonostante la decelerazione dei prezzi al consumo (dal 3,5% del 2008 al 2,1% del 2009), all’aumento delle retribuzioni per addetto (+2,7% che è il risultato dei contratti già conclusi) e alla sostanziale tenuta dell’occupazione. E’ vero, continua il Csc, che vi è una diffusa sfiducia sollecitata dalle difficoltà che pesano sul mercato del lavoro (il tasso di disoccupazione sale al 7,3%, massima dal 2005) e dalla crisi finanziaria che ha indubbiamente depauperato il reddito di molte famiglie, che suggerisce una generale timidezza nel far crescere il volume della spesa.

Da parte loro le imprese hanno rivisto, ridimensionandoli, i piani d’investimento, tenuto conto del minor utilizzo della capacità produttiva conseguenza della caduta della domanda e all’aumento del costo del capitale. Costo che potrebbe essere più tollerabile dall’annunciata e auspicata riduzione dei tassi d’interesse. Non sfugga, inoltre, alla valutazione la permanente difficoltà a ricorrere al mercato per reperire i fondi. La BCE, secondo le previsioni del Csc, dovrebbe allentare la stretta monetaria (portando il tasso ufficiale dal 3,75% al 2,75% entro giugno 2009) considerati i pericoli inflazionistici e la fiacca dinamica dell’economia. Anche se tutto fa pensare che il tasso reale non potrà essere ottimisticamente basso, dato che esso è calcolato sulla base dei prezzi al consumo (sotto il 2% nell’area euro a fine 2009) e all’Euribor con cui si finanziano le banche. La FED diminuirà il costo del denaro di un altro mezzo punto nei prossimi tre mesi. La differenza tra tassi ufficiali e tasso dell’interbancario dovrebbe parzialmente tendersi a chiudersi nel corso del 2009.

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Il dollaro continuerà a recuperare terreno per effetto del calo del deficit commerciale causato dal fermo della domanda interna e dalla riduzione del prezzo del petrolio. Il Csc prevede la fine di ogni allarme di inflazione. Infatti, ritiene che l’aumento dei prezzi al consumo nel 2008 rappresenti un’anomalia in un clima prevalentemente deflazionistico che investe il mercato globale. L’inflazione di fondo, calcola sempre il Csc, al netto dei prodotti energetici ed alimentari, è rimasto ai livelli degli ultimi dieci anni. Nell’area dell’euro, il fermo dei prezzi al consumo crea spazio alla spesa delle famiglie. D’altra parte il rapido aumento dei listini nel 2008 se ha portato a una contrazione del volume delle vendite, in valore, però, sono continuate ad aumentare.

Le minori entrate e la maggiore spesa sociale, che agiscono nei bilanci pubblici, daranno sostegno alle economie.

Da qui la facile previsione che i deficit pubblici non potranno che peggiorare. In Italia il disavanzo sarà pari al 2,4% del Pil (sempre che la manovra di risanamento sia efficace) contro l’obiettivo del Governo che ha previsto il 2,1%. Il debito pubblico toccherà, in rapporto al Pil, il 104,4% nel 2009 dal 103,8% realizzato nel 2008. E’ un andamento fisiologico che non può essere considerato una violazione degli accordi europei. Il Csc auspica che il quadro congiunturale non diventi un’occasione per abbandonare la politica di risanamento.

Questi provvedimenti di intervento diretto nel sistema finanziario, che vanno considerati straordinari, aumenteranno il debito pubblico ma anche il patrimonio. Il Csc ritiene che dovrebbero essere <<contabilizzati a parte rispetto alle misure valide per la valutazione, in sede europea, della salute dei conti pubblici nazionali>>.

*L’Unioncamere L’Unioncamere, in collaborazione con Prometeia, ha elaborato le previsioni per il 2009, rese pubbliche il 7 novembre, evidenziando un meno 0,6 del Pil al Sud con il meno 0,3 della media nazionale. La Basilicata con -0,9%, Molise, Puglia e Calabria con -0,8 si collocherebbero in coda alla classifica regionale. La Puglia già nel 2008 chiuderebbe con -0,6%. Sempre secondo lo studio, nel 2009 dovremo registrare un rallentamento della crescita delle esportazioni che si attesteranno, a livello nazionale, a un +0,6%, anche questo rallentamento dovrebbe essere ancora più accentuato nel Meridione, che è in assoluto l’area del Paese nella quale i consumi delle famiglie conosceranno, anche nel 2009, una sensibile contrazione. Sia per il 2008 che per il 2009 si prevede una flessione dello 0,3%, conseguenza degli aumenti dei prezzi delle materie prime, del deterioramento del clima di fiducia e delle condizioni di indebitamento. Le riduzioni maggiori dovrebbero interessare il Mezzogiorno nel suo complesso (-0,6%) e soprattutto Molise e Campania (-0,7%), seguiti da Puglia, Basilicata e Calabria (-0,6%). Il Centro e il Nord dovrebbero conoscere un decremento inferiore (-0,2%), in Liguria, però, si avrà il risultato peggiore (-0,5%). Contrazioni dovrebbero subire anche gli investimenti fissi lordi si dovrebbe avvertire una più forte contrazione nelle regioni meridionali (-1,2%), in parte compensata dalla crescita prevista degli investimenti nel Nord-Est (+0,8%), Nord-Ovest (+0,4%) e Centro (+0,2%).

Molise con il -2,6, Calabria e Abruzzo con il -1,6% saranno le regioni che conosceranno le flessioni più consistenti. Il maggior incremento si avrà in Emilia-Romagna con il +1,1%, seguita dal Trentino Alto Adige con +0,9% e Friuli Venezia Giulia e Umbria con +0,8%. L’occupazione dovrebbe conoscere, sempre per il 2009, una insignificante crescita (+0,1%). Il Sud registrerebbe un -0,3% rispetto al +0,3 del Centro e Nord-Est e +0,1 il Nord-Ovest. I dati più negativi spetterebbero alla Basilicata (-0,7%) e Sicilia e Sardegna (-0,6%). Quelli maggiormente positivi si dovrebbero avere in Valle d’Aosta (+0,8%), Trentino Alto Adige e Umbria (+0,6%).

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Questi dati determinerebbero un incremento del tasso di disoccupazione che già quest’anno, a livello nazionale, salirebbe al 6,8% (dal 6,1% nel 2007) e al 7,2% nel 2009. Ciò significherà, nel 2008, un incremento della disoccupazione nel Mezzogiorno (dall’11% all’11,8%) e nel Centro (dal 5,3% al 6,1%); ma anche nel Nord-Ovest (dal 3,8% al 4,4%) e nel Nord-Est (dal 3,1% al 3,6%). Sempre secondo queste previsioni l’incremento interesserà anche il 2009, con particolare attenzione alle regioni nord-occidentali e al Meridione. <<Il quadro è sicuramente difficile – commenta l’Unioncamere – soprattutto perché la crisi si abbatterà violentemente sulle regioni economicamente più deboli del Paese>>. Anche se il nostro sistema produttivo, essenzialmente sano, sta già lavorando per reagire alla sfavorevole congiuntura. Si appella, infine, al senso di responsabilità di tute le componenti istituzionali e associative. La priorità, dice sempre l’Unioncamere, è l’accesso al credito. <<Senza liquidità disponibile, infatti, il vero motore del Sistema Italia – rappresentato dagli oltre 6 milioni di piccole e medie imprese esistenti – rischia di andare in panne ora e di non riuscire ad agganciare la ripresa non appena si presenteranno le occasioni>>.

La crisi occupazionale *L’Istat Ad offrire un elemento contraddittorio ci pensa l’Istat che, nelle sue ultime rilevazioni del 29 settembre, informa che in Puglia torna ad aumentare la disoccupazione. Infatti, nel secondo trimestre del 2008 sono quattromila in più le persone in cerca di occupazione, come dire che in un anno il tasso di disoccupazione è cresciuto dello 0,2 per cento, un dato che può sembrare infinitesimale, chiarisce Ilaria Ficarella su Repubblica-Bari, ma mette in luce la ripresa di una dinamica che nelle precedenti rilevazioni avevano offerto dati confortanti: basti dire che nel 2005 in Puglia la disoccupazione si attestava intorno al 15 per cento. L’ultima analisi mostra invece che il numero delle persone in cerca di lavoro sia tornato ad aumentare. Nonostante tutto, cresce anche l’occupazione. Da marzo a giugno in Puglia sono stati firmati dodicimila nuovi contratti di lavoro, ma come spiega l’Istat, molto è dovuto all’immissione di immigrati nel mercato del lavoro (lo dimostrano i dati sulla forza lavoro, passata in regione da un milione e 475 mila unità a un milione e 490 mila) o comunque alla stipula di part-time più che di contratti a tempo indeterminato.

Nicola De Bartolomeo, presidente di Confindustria Puglia così commenta:<<I venti di crisi stanno toccando anche la nostra regione, è inutile nasconderlo e lo stanno facendo forse nel momento più delicato, quello in cui tutto il sistema regionale è impegnato nel massimo sforzo per intraprendere percorsi che alla resa dei conti stanno dando risultati, visibili anche se per il momento non troppo preoccupanti>>. Restituiscono equilibrio al quadro generale infatti i dati sull’occupazione e sul tasso di attività: tutti valori in crescita. La forza lavoro in Puglia è aumentata di 15mila unità, mentre gli occupati sono passati da un milione e 312mila a un milione e 324 mila. Il tasso di attività cresce di quasi un punto percentuale, mentre il tasso di occupazione passa dal 47,5 al 48,2 per cento. Ed è lo stesso Istat, come abbiamo prima riferito, a spiegare a che cosa è legato questo aumento dell’occupazione.

I numeri dell’occupazione in Puglia

II trimestre 2007 II trimestre 2008

Forza lavoro 1475 1490

Tasso di attività 53,4% 54,3%

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II trimestre 2007 II trimestre 2008

Occupati 1.312 1.324

Tasso di occupazione 47,5% 48,2%

II trimestre 2007 II trimestre 2008

Persone in cerca di lavoro 162 11%

Tasso di occupazione 166 11,2%

Dati in migliaia di unità Fonte: Istat

*I dati della Cgil Puglia Prestiamo ora attenzione alla crisi per trarne dati concreti che offrano una fotografia della realtà più veritiera. Sono passati tre mesi da luglio scorso quando ci si esaltava per i dati Svimez (ricordate?) che registravano per la Puglia una crescita del Pil regionale del 2%, che la poneva al primo posto nel Mezzogiorno ma anche in Italia in quanto superiore alla media nazionale che si fermava all’1,5%. Nel frattempo nell’industria pugliese si moltiplicavano i ricorsi alla cassa integrazione. I dati sono della Cgil che indica in 70 le aziende della regione che hanno fatto ricorso alla Cig nel 2008: 47 nel primo semestre, 23 nel secondo (che poi alla data dell’acquisizione della informazione è solo un trimestre). Insomma un incremento dell’utilizzo della cassa integrazione ordinaria del 37,38% a fronte di un aumento, a livello nazionale, del 24,21%. E’ bene precisare che in regioni come la Lombardia (320), il Piemonte (190), l’Emilia-Romagna (94) e il Veneto (77) le aziende che hanno fatto ricorso a questo ammortizzatore sociale sono più numerose. Ma il dato non può essere quantitativamente comparabile per la diversità del tessuto industriale. Il dato del Lazio (115) è anch’esso superiore ma la tendenza è in calo (-3,99%), in Campania (97 casi) la crescita è più contenuta (+15,4%).

C’è quindi di che allarmarsi del dato pugliese anche perché non può essere tutto merito della crisi del salotto. Ciononostante il settore ha comunque un peso rilevante, si pensi ai 1.200 dipendenti posti in cassa integrazione dalla Natuzzi o al ricorso alla cassa della Basilicata (8 casi con una crescita de 195,39%), per non accennare alla Nicoletti in liquidazione e Contempo che ha chiuso da un anno. Quello che preoccupa particolarmente è il settore metalmeccanico: nella provincia di Bari hanno fatto ricorso nel 2008 Bosch, OM Carrelli, Graziano Trasmissioni e Brovedani. Ma anche il resto della Puglia non sorride. A Lecce la Cnh, che è stata leader del gruppo Fiat, dal 6 ottobre ha fatto ricorso alla Cig per sette settimane per 380 dipendenti. Il mercato statunitense dei trattori non tira più. Anche i lavoratori della Omfesa sono andati in cassa integrazione, ancora in questo caso per penuria di commesse (Trenitalia). E per tornare al gruppo Fiat, oltre alla cassa integrazione dello stabilimento di Melfi (dove lavorano 1.500 foggiani), anche alla Iveco di Foggia dal 23 ottobre è partita la cassa integrazione. E’ stata riconosciuta ai 155 dipendenti della Franzoni Filati di Trani che, agli inizi di agosto, erano stati licenziati per cessata attività dello stabilimento del gruppo di Esine, nel bresciano. Ai lavoratori, come abbiamo detto, è stata riconosciuta la cassa integrazione straordinaria dal 10 agosto al 31 dicembre con possibilità di proroga per il 2009. Così la Franzoni potrà revocare i licenziamenti, fino ad una nuova ricollocazione dei lavoratori in altra attività in sostituzione di quella svolta nello stabilimento di filatura. E’ stato presentato un progetto di riconversione di natura commerciale ma, attraverso i Por, se ne potrebbero attivare altri di natura industriale.

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E’ probabile che la strada della riconversione sarà quella da seguire in Puglia, soprattutto nelle situazioni insanabili, pensiamo al salotto. Il ministero del Lavoro dall’inizio dell’anno ha emesso 51 decreti per cassa integrazione in Puglia. In soldoni, la Puglia è stata la regione più colpita, dove l’aumento di ore di Cig è stato di un milione e 300mila.

L’attenzione è particolarmente rivolta alle fabbriche piccole e grandi: il crollo finanziario se da un lato ha inesorabilmente assorbito risparmi e investimenti, dall’altro ha costretto le banche a contrarre il credito e, in qualche caso, a chiedere alle imprese di rientrare da fidi ed erogazioni. In definitiva, oggi le aziende sono senza credito e senza commesse.

Per la Puglia è una congiuntura che si sposa, purtroppo, ad una situazione difficilissima. L’Ilva di Taranto e la Bosch a Bari sono i due colossi che per primi subiscono la crisi dell’auto. è appena il caso di ricordare mondiale. La contrazione della produzione industriale è cominciata ancor prima del crac finanziario. Se i colossi sono subito ricorsi ai ripari, non è stato così per le piccole aziende dell’indotto: nelle province di Taranto e Bari vi è una forte presenza di aziende metalmeccaniche che hanno chiesto ed ottenuto il beneficio della cassa integrazione.

Un capitolo a parte è poi quello relativo ai trasporti ferroviari. Le ristrutturazioni e i tagli operati da Trenitalia hanno creato difficoltà a quattro società che si sono ritrovate senza lavoro nel settore dei servizi ferroviari. C’è anche il settore tradizionale dell’economia pugliese, quello manifatturiero, che nel Nord barese e nel Salento significa calzature. Del settore salotti abbiamo già fatto cenno. Alcuni economisti ci dicono che gli effetti peggiori si vedranno nei prossimi mesi. Di quanto questi dati si aggraveranno, da qui ad un anno, nessuno però è in grado di prevederlo. Prendiamo lo stabilimento Bosch di Bari che sembra avere un futuro incerto. In questa fabbrica si produce la pompa ad alta pressione, cuore del risistema di iniezione diesel, e freni. I dipendenti sono 2.400 (in prevalenza giovani) e di questi 2000 (circa 1600 operai e 400 impiegati) sono in cassa integrazione ordinaria per oltre due settimane aggiuntive a quelle autorizzate a settembre. Secondo i dati sindacali, la domanda di pompe ad alta pressione sarebbe calata del 30 per cento. Un dato che si inserisce nel momento di crisi di tutto il settore di produzione dell’auto, in particolare quello diesel.

Si tenga conto che questa flessione di produzione si scontra con un andamento piuttosto alto di produttività, al punto che l’azienda è stata costretta ad attivare, nel gennaio scorso, di una terza linea di produzione. Il sindacato Fiom-Cgil sostiene che all’origine della crisi vi è stata una errata pianificazione della produzione. Gli operai sono stati costretti a subire pesanti straordinari e, di conseguenza, i magazzini riempiti di scorte che poi la Bosch non avrebbe potuto smaltire. Diverso risultato si sarebbe avuto, sempre secondo il sindacato, se la produzione fosse stata diluita. Non va meglio all’Ilva dove in ottobre centotrenta lavoratori sono stati collocati in ferie forzate. Grossi tagli alla produzione e turni ridotti ai reparti Treno nastri numero 1 e Laminatoio a freddo. Un milione di coils invenduti che giacciono insieme a 150mila pezzi, tra lamiere e tubi. L’altoforno n. 4 che doveva ripartire a dicembre resterà spento. Il tutto determinato, anche per questa azienda, dalla drastica flessione della domanda del mercato dell’auto. Qui incombe il pericolo di decisioni più negative e di conseguenze ancor più drammatiche: taglio produttivo fino ad un milione di tonnellate di acciaio, con inevitabili ripercussioni sui livelli occupazionali.

La recessione, insomma, si affaccia nell’economia reale.

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Per ora ci si trova di fronte a ferie forzate, al ridimensionamento dei turni e della produzione in due reparti e, come già detto, al rinvio a tempo indeterminato della riapertura dell’altoforno. Tra l’altro attualmente l’Ilva non è in grado di dare risposte sui tempi di superamento della crisi.

Bisogna pur dire che i vertici aziendali hanno scelto una strategia non allarmistica per non spaventare il mercato.

I sindacati Fim, Fiom, Uilm sono sul piede di guerra e chiedono certezze sulle commesse lavorative, sugli assetti di marcia, sulle strategie anti-crisi. Anche perché non si può tollerare che siano penalizzati gli stessi operai che pure hanno contribuito ai record di produzione , simboli appunto di forza produttiva e di profitto.

La certezza che si può conclamare è che le 80mila tonnellate in meno di acciaio sfornate dal Treno nastri numero 1, diventeranno quasi un milione.

*I dati dell’Osservatorio della Cassa integrazione guadagni Che la crisi inizia a destabilizzare il sistema produttivo pugliese lo confermano i dati fatti conoscere dall’Osservatorio della Cassa integrazione guadagni il 22 ottobre che registra un aumento del 24.33% superiore, e di molto, alla media nazionale che raggiunge il 5,74%. I più colpiti: il calzaturiero, l’edilizia e il commercio che con altri settori economici fanno registrare forti impennate che a Lecce e provincia raggiungono, nella Cassa integrazione straordinaria, addirittura il 222,16%. Brindisi invece avverte una generale diminuzione, Taranto un aumento dell’ordinaria (16,7%) e della straordinaria (33,87%). Per non ritornare su quelle già segnalate nelle altre province pugliesi. Una situazione che complessivamente allarma i sindacati. Il Segretario generale della Cisl-Puglia, infatti, confessa che sono i dati Istat sull’industria italiana ad alimentare la paura di essere sul crinale di una nuova fase recessiva <<con la forte riduzione dei volumi di produzione (-1,4% nel primo semestre) e dell’occupazione -1,4% complessivo e -4,9% nel Mezzogiorno)>>. <<Ad accentuare le incertezze – aggiunge il Segretario Cisl – sono i dati complessivi dell’economia pugliese che nonostante alcun trend positivi (Pil ed export) segnano un peggioramento della situazione complessiva che si scarica soprattutto sui lavoratori con cassa integrazione e mobilità, ma anche sulle fasce di reddito più deboli, dai pensionati ai precari>>. Secondo il sindacalista <<l’aumento del numero di aziende che hanno fatto ricorso alla Cassa integrazione, straordinaria e ordinaria, è estremamente articolato in quanto oltre ad interessare settori in evidente crisi, come quello del mobile imbottito e del Tac (tessile-abbigliamento-calzaturiero), ha investito quelle aziende , multinazionali del settore meccanico (Bosch, Getrag, Fiat ecc.), che risentono maggiormente delle peggiorate condizioni di mercato del settore auto. Più di tutti stanno pagando lo scotto di questa difficile situazione gli addetti delle piccole e piccolissime aziende che, da nostre stime, risultano diminuiti di circa il 10%>>. Incalza il Segretario generale della Uil-Puglia che parla di situazione prevedibile: <<Le prime ripercussioni riguardano l’Ilva di Taranto, la Fiat in Basilicata e la Bosch a Bari che sembrano segnare il passo. Anche se nel caso del siderurgico tarantino le minacce non reggono, perché si deve tener conto degli utili realizzati fino a qualche mese fa. Oggi che c’è questa crisi, l’Ilva dovrebbe diminuire il prezzo dei suoi prodotti per restare nel mercato. Invece, preferisce accatastarli, non capendo che non si può guadagnare sempre in maniera smisurata>>. Aggiunge poi che è improprio parlare solo di cassa integrazione <<si tenga presente che il dato pugliese della perdita dei posti di lavoro è viziato dalla mobilità, che equivale alla perdita definitiva del posto. Quindi il dato non corrisponde: ci sono punte del 20, 30 per cento di lavoro nero e sommerso. Quando c’è crisi di attività produttiva, questa colpisce inevitabilmente anche il lavoro nero e sommerso. Quindi una stima precisa non si può fare perché si tratta di lavoro illegale. Insomma se dovessimo davvero sommare tutti i dati, avremmo numeri che in termini percentuali porterebbero la Puglia a coprire ben altra posizione>>.

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Ed è sacrosanto quanto affermato dal Segretario della Uil, i primi ad essere colpiti sono coloro che hanno i contratti a tempo, a progetto, interinali. Insomma i precari. E loro non figurano nelle tabelle Inps perché non hanno la cig. Sono invisibili. Nelle cronache quotidiane, però, emergono anche i precari: alla Magneti Marelli di Crevalcore non hanno rinnovato il contratto a 55 operai; 117 rischiano alla Bonfigli e alla Micron di Avezzano sono rimasti a casa in 100. Questi, nei fatti, sono licenziamenti. Secondo le stime della Fiom sono quasi 200 mila i precari nell’industria metalmeccanica. Circa 500 mila in tutta l’industria. E – secondo una stima dell’economista Pietro Garibaldi dell’Università di Torino – sono quattro milioni i lavoratori senza alcuna tutela. L’allarme è lanciato anche dalla Confapi che prevede in almeno 150 mila i lavoratori che rischiano la cassa integrazione a causa della crisi che ha travolto i mercati mondiali, il 10% della forza lavoro occupata nella piccola e media industria manifatturiera rappresentata dalla Confapi.

Secondo il presidente dell’associazione dell’artigianato e delle piccole imprese <<per l’irrigidimento del sistema bancario sul fronte della liquidità, le pmi sono prossime al collasso. Ora il Governo si appresta a varare misure da concordare con banche e associazioni imprenditoriali per far fronte all’emergenza. E’ quindi fondamentale che al tavolo governativo siano ascoltate e accolte le proposte di chi rappresenta l’economia reale, cioè le imprese manifatturiere che ancora reggono il sistema produttivo del Paese, e non gli interessi di chi ha partecipato al grande gioco della finanza virtuale. Anche la Confartigianato si augura che <<nell’ambito degli interventi allo studio del Governo per fronteggiare la crisi finanziaria siano potenziati gli strumenti già efficacemente utilizzati dagli artigiani e dai piccoli imprenditori per effettuare investimenti e per difendere l’occupazione>>. <<Il modo migliore per sostenere l’economia reale, ottimizzandone le risorse messe a disposizione, consiste nel rafforzare due strumenti tipici dell’artigianato e delle piccole imprese: i Consorzi Fidi, che facilitano l’accesso al credito da parte delle imprese e gli Enti bilaterali dell’artigianato>>.

I DATI

CIGO CIGS GIUGNO

2007 2008 Variaz.%

2007 2008 Variaz.%

2007 2008 Variaz.%

PUGLIA 2.208.735 2.932.797 32,78% 2.445.065 2.853.483 16,70% 4.653.800 5.786.280 24,33%

ITALIA 22.235.918 25.663.576 15,41% 51.804.456 52.627.199 1,59% 74.040.374 78.290.775 5,74%

Fonte. Nuovo Quotidiano di Puglia

*Rapporto sull’andamento delle attività economiche della Regione Fermandoci ai primi giorni di novembre, leggiamo cosa dice, a proposto della crisi occupazionale il ‘Rapporto sull’andamento delle attività economiche nella Regione’ della sede Bari della Banca d’Italia. Il Rapporto lo incontriamo anche in altri capitoli di questo nostro Dossier. Intanto il numero degli occupati, nel primo semestre 2008, ammontava a 1.298.000 unità, con un aumento dello 0,9% su base annua. L’aumento degli occupati nei servizi (2,6%) ha controbilanciato la contrazione di domanda di lavoro in agricoltura (-9,5%). Anche nell’industria il risultato di una occupazione stabile è dato dall’aumento in edilizia (+15,1%) e gli altri settori che hanno, invece, fatto registrare un -7,5%.

Sempre nel primo semestre, preso in considerazione dal Rapporto, il numero di persone in cerca di occupazione è aumentato del 6,6%. Si tenga conto che influisce sul dato il numero di persone, con precedenti esperienze di lavoro, che sono tornate sul mercato alla ricerca di un’occupazione. Essi rappresentano il 14,7% del totale.

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L’espansione dell’offerta di lavoro ha comportato, nel periodo in esame, l’aumento del tasso di disoccupazione, sempre secondo l’analisi di Bankitalia, che, infatti, è passato dall’11,1% del primo semestre del 2007 all’attuale 11,6% (nel Mezzogiorno siamo al 12,3 e in Italia al 6,9)

Un segnale negativo e preoccupante lo suggerisce l’andamento della cassa integrazione. Nei primi otto mesi del 2008 le ore autorizzate hanno registrato un aumento del 19,7%, rispetto allo stesso periodo del 2007. Nell’industria gli interventi cig sono cresciuti del 39,8% ed hanno colpito, in particolare, i settori del legno, delle pelli e del cuoio.

Occupati e forze di lavoro

(variazioni percentuali sul periodo corrispondente e valori percentuali)

Periodi Totale In cerca di occupazione

Forza di lavoro

Tasso di disoccupazione

Tasso di attività

2005 -1,1 -7,5 -2,1 14,6 52,1

2006 2,8 -12,1 0,6 12,8 52,5

2007 2,2 -12,3 0,4 11,2 52,6

2007 – 1° sem. 0,2 -23,1 -3,1 11,1 51,7

2° sem. 2,3 -14,3 0,2 11,0 53,4

3° sem. 3,9 -5,6 2,8 10,3 52,5

4° sem. 2,5 -3,9 1,6 12,2 52,6

2008 – 1° sem. 0,9 11,1 2,0 12,1 52,5

2° sem. 0,9 2,3 1,1 11,2 54,3

Fonte: Banca d’Italia

Ore autorizzate di Cassa integrazioni guadagni

(migliaia di ore e variazione percentuale sul periodo corrispondente)

Variazione

Settori 2008 2007 2008

Agricoltura _ _ _

Industria 6.683 -21,2 25,0

Costruzioni 389 -12,6 -31,3

Trasporti e comunicazioni 197 14,8 -32,4

Tabacchicoltura _ _

Commercio 471 128,6 56,3

Gestione edilizia 2.111 -15,1 22,5

Totale 9.852 -16,4 19,7 Fonte: Banca d’Italia

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*Incidenza del lavoro irregolare Un futuro non certo roseo attende l’economia italiana nei prossimi mesi. E ciò non può che incoraggiare il fenomeno del lavoro sommerso, particolarmente diffuso in Italia (tra le nazioni europee con la più alta incidenza del fenomeno). Abbigliamento, calzature, edilizia, agricoltura sono i settori più a rischio (non solo al Sud) e la tentazione sarà ancora più forte durante i mesi in cui tutti dovranno fare i conti con la crisi in atto e spingeranno a tagliare la voce ‘spesa’. Il costo del lavoro, poi, risulta essere proprio una delle voci più rilevanti nel bilancio di un’azienda. Il punto è che l’economia in nero, oltre che danneggiare il fisco, ha una prima vittima di mercato: tutte quelle aziende che restano a norma di legge sostenendo il peso di notevoli costi di produzione. Concorrenza sleale che rischia di collocare fuori mercato le imprese sane.

Fabrizio Mancini è un imprenditore edile romano che si è aggiudicato un premio per la sicurezza sul lavoro nel 2007 e che il 10 novembre ha spiegato al “Corriereconomia” che <<un operaio in nero guadagna nel centro Italia dai 40 ai 120 euro al giorno, uno regolarmente inquadrato, come nel mio caso tra i 50-60 euro netti. In pratica un irregolare guadagna il doppio di uno contrattualizzato.

Il lavoro nero si va ad intrufolare tra il lordo e il netto che percepisce un dipendente. Un operaio che guadagna 50 euro a me costa 100. A questo vanno aggiunti gli oneri aziendali (formazione, sicurezza, visite mediche) che fanno sì che il costo aziendale di un dipendente arrivi a 160. Inail Inps e Cassa edile incidono sul netto tra il 100 e il 120%. Una follia. Siamo al punto che i rumeni mi dicono: dammi 80 euro tanto so che se mi metti in regola te ne costo 100>>. L’edilizia lavora poi sulle commesse. <<Se vinci un appalto, in poco tempo devi trovare un surplus di manovali. Questo può agevolare il ricorso al sommerso>>. Per risolvere il problema <<bisogna regolamentare meglio l’accesso di chi intende aprire un’azienda e rivedere i Ccnl in particolare nello scarto che c’è tra costo aziendale (lordo) e il netto effettivamente percepito in busta paga>>. Problemi molto simili vive anche l’agricoltura, settore <<tradizionalmente vocato al lavoro nero, spesso retaggio di un antico caporalato che stenta a scomparire>>. Lo dice Marina Colonna, imprenditrice che produce olio da 22 anni in provincia di Campobasso. <<Un operaio assunto mi costa 50 euro al giorno, di cui 10 di contributi. In nero solo 35. Per legge un bracciante agricolo deve lavorare minimo 150 giorni l’anno. Ma è come se ne lavorasse 365. Appena terminati 150 giorni ottengono la disoccupazione dallo stato (4-5 mila euro l’anno) ed in contemporanea iniziano a lavorare in nero>>. Come uscirne? <<Andrebbe abolita la disoccupazione, abbassati i contributi e snelliti gli oneri delle aziende>>. L’imprenditrice agricola che esporta per il 90% ed ha un fatturato di 800 mila euro l’anno, ha 6 dipendenti assunti, di cui un macedone, un albanese ed un marocchino ed ingaggia una ventina di stagionali per lo più dell’Est. <<Arrivano in primavera e ritornano nel loro paese a novembre, a fine raccolta. Senza bulgari e rumeni non saprei come fare. La manodopera manca, costa troppo ed il bracciante ormai non esiste più. In più le derrate costano sempre meno. Le olive le vendo alla metà dello scorso anno>>. Come si infiltrano gli irregolari in azienda? <<Ti vengono a bussare e poi c’è il passaparola. Che siano italiani o stranieri c’è sempre il caporalato. Gli extracomunitari che tornano sono gli stessi ogni anno. Ma io li regolarizzo>>.

Incidenza del lavoro irregolare per settore economico in Italia Percentuale sulle unità di lavoro totali

Settore di attività 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006

Agricoltura 20,5% 20,0% 21,0% 18,3% 19,9% 21,1% 22,7%

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Commercio,ristorazione, turismo/trasporti 19,6% 19,7% 19,5% 18,4% 18,4% 19,0% 18,9%

Servizi alla persona e all’impresa 15,3% 15,8% 14,5% 13,5% 13,6% 13,8% 13,7%

Costruzioni 15,2% 15,7% 13,3% 11,2% 10,9% 11,0% 11,0%

Intermediari finanziari, consulenze e immobiliare 10,3% 10,4% 10,0% 10,1% 9,4% 9,0% 8,9%

Industria manifatturiera 4,6% 4,6% 4,2% 3,8% 3,8% 3,8% 3,7%

Totale 13,3% 13,8% 12,7% 11,6% 11,7% 12,0% 12,0% Fonte: elaborazione Censis su dati Istat 2008

*La situazione a fine novembre 2008 Il Sole-24 Ore nell’analizzare i dati Inps esprime forte preoccupazione <<sulla prevista e temuta valanga della cassa integrazione ordinaria>>. Per il vero già in settembre e ottobre l’Istituto di previdenza aveva evidenziato un andamento di forte crescita, ma pur sempre a due cifre, ma ora comincia a registrare gli effetti del rallentamento della produzione. Andiamo alle cifre: le ore di Cigo autorizzate nell’industria sono state il 253% in più rispetto al novembre 2007, ossia 12 milioni e 104 mila. I primi 11 mesi non fanno che confermare l’andamento: le ore sono pari a 58 milioni e 760mila, con un balzo del 59,33 per cento. Nei primi otto mesi dell’anno le ore autorizzate sono state 32 milioni, ciò significa che in soli tre mesi sono praticamente raddoppiate.

Cresce la quota impiegati cassaintegrati a ritmi più sostenuti di quella degli operai. Infatti, a novembre l’aumento è stato del 266,05%, per gli operai del 251,58%.

La Cigo è, come si sa, un provvedimento temporale, la Cassa integrazione straordinaria (Cigs), invece, è utilizzata per le aziende in crisi irreversibile. I dati di quest’ultima presentano una dinamica meno preoccupante. In novembre le ore autorizzate si sono fermate a 10 milioni e 927 mila, in calo dell’11,47% rispetto allo stesso mese del 2007. Nei primi 11 mesi sono state 101 milioni e 887 mila in crescita del 2,41 per cento. Il quadro dell’edilizia offre meno preoccupazioni. Le ore autorizzate in novembre sono state 2,5 milioni, in linea con quelle autorizzate nel 2007, mentre la variazione complessiva del periodo gennaio-dicembre si ferma a +12,72%, ossia 31 milioni e 727 mila ore. In totale, nei primi 11 mesi dello 2008, sono state autorizzate 192 milioni di ore. Certamente gli anni Ottanta sono stati i più drammatici: si sono aperti con quasi 500 milioni di ore e alla fine (1989) con quasi 400, con una punta record nel 1984 di 816 milioni di ore. Dalla metà degli anni Novanta c’è stato un calo progressivo, interrotto solo nel 2003.

Il dato attuale diventa ancora più drammatico se convertiamo le ore in unità lavorative: 200 mila persone in cassa ordinaria e altre 90 mila in straordinaria.

Vediamo ora le aziende che più hanno fatto ricorso agli ammortizzatori sociali: le acciaierie di Piombino dove 1.600 lavoratori sono a casa; la Fiat dove dal 15 dicembre al 10 gennaio chiudono tutti gli stabilimenti collocati in Italia: 58 mila operai; l’Ilva di Taranto dove le nuove generazioni entrate al lavoro negli ultimi anni conoscono per la prima volta la cassa integrazione; il distretto delle ceramiche di Sassuolo, uno di quelli con il più alto tasso di esportazioni, entrato in crisi; così l’occhialeria di Belluno, dove si esportano il 40% degli occhiali. L’analisi territoriale fa giustizia delle differenti condizioni produttive delle diverse aree geografiche della Penisola. Da un lato la Valle d’Aosta che ha registrato un aumento degli interventi del 641% o la Basilicata con +527%, dall’altro la Sicilia che ha, invece, registrato un calo del 15,12% o la Sardegna con -14,32%.

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Continuando: il Piemonte denuncia un +103% ampiamente giustificato dal fermo dell’auto ma anche dell’Hi-tech, mentre l’Abruzzo registra un -67,24% degli interventi. Infine, fanno riflettere certi tassi di aumento a tre cifre che hanno colpito soprattutto i grandi distretti.

Per il ministro del Welfare nel complesso i dati sono abbastanza confortanti. Il fatto che la cassa integrazione straordinaria sia rimasta costante è un elemento non negativo. Data la situazione generale si potevano avere numeri peggiori. C’è maggiore preoccupazione naturalmente quando cresce la cassa integrazione straordinaria.

Il bilancio regione per regione

Interventi ordinari e straordinari dell’industria nel mese di novembre

Regioni 2007 2008 Variazione %

Piemonte 2.056.638 4.178.714 +103,18

Valle d’Aosta 23.920 177.377 +641,54

Lombardia 3.087.884 5.280.842 +71,02

Trentino A.A. 58.523 162.899 +178,35

Friuli V.G. 492.425 483.085 -1,90

Veneto 656.992 1.221.241 +85,88

Liguria 196.980 275.725 +39,98

Emilia R. 467.774 902.136 +92,86

Toscana 253.223 525.299 +107,45

Mar5che 147.747 522.082 +253,36

Umbria 56.227 142.543 +153,51

Lazio 794.454 1.417.867 +78,47

Abruzzo 2.945.280 964.730 -67,24

Molise 23.281 74.137 +218,44

Campania 1.869.070 3.472.356 +85,78

Puglia 1.039.040 1.001.547 -3,61

Basilicata 143.421 900.046 +527,56

Calabria 156.859 291.641 +85,93

Sicilia 933.545 792.394 -15,12

Sardegna 391.473 335.410 -14,32

ITALIA 15.794.756 23.122.071 +46,39

Fonte: Inps

Intanto lo spettro della recessione è già realtà nella zona industriale di Bari: tremila operai sul baratro della cassa integrazione.

La Getrag il 23 ottobre è stata messa in crisi da un improvviso ritiro di una commessa milionaria della Chrysler.

Nello stesso giorno nella Bridgestone i sindacati riunivano gli operai per comunicare che la produzione sarà bloccata nelle ultime due settimane di dicembre per smaltire la produzione, nella speranza che il periodo critico si esaurisca. In soldini, duemila famiglie improvvisamente si trovano al centro della crisi. Con loro gli operai della Bosch che già sono in cassa integrazione. Dovranno

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affrontare l’inverno con una busta paga di 700 euro. Saranno duecento, poi, i lavoratori interinali e i co.co.pro. che non avranno diritto neanche a quelle. In pochi giorni l’industria pesante dei motori e delle tute blu sono state schiacciate dalla crisi finanziaria.

Gli operai della Getrag nelle ultime quarantotto ore, come abbiamo detto, hanno visto precipitare la loro posizione all’interno dell’azienda. Si pensi che nei mesi scorsi i sindacati e i vertici della fabbrica si erano accordati per un contratto di solidarietà per tutti i lavoratori. Per la ristrutturazione del sistema produttivo l’azienda era costretta a fermare per sette mesi gli impianti. La situazione è peggiorata per l’annullamento, da parte della Chrysler di una importate commessa affidata alla fabbrica barese. Nei prossimi giorni la Getrag dovrebbe comunicare ufficialmente il declassamento del contratto di solidarietà in cassa integrazione straordinaria per almeno 500 dei 750 operai impiegati. Ciò significa sette mesi con una busta paga che si vedrà sottratti 250 euro da quella poco più di mille che rappresentava, al netto, la paga mensile. E’ triste verificare che la crisi dell’auto colpisca inesorabilmente una considerevole fetta della città.

Alla Bosch la cassa integrazione si concluderò il prossimo 26 dicembre per una parte della forza lavoro impiegata: mille 660 dei duemila 110 dipendenti.

Ma la crisi occupazionale non finisce qui. Secondo i metalmeccanici del Cub la cassa integrazione potrebbe interessare tutte le altre aziende della zona industriale di Bari. Infatti, prossimamente, potrebbe essere la Om, specializzata nella produzione di carrelli elevatori, ad utilizzare gli ammortizzatori sociali.

Il Cub ha programmato una riunione di tutti i lavoratori delle aziende a rischio. Il loro obiettivo: chiedere alle aziende di integrare i salari, uno sforzo che queste realtà potrebbero supportare, secondo i sindacalisti del Cub, visto che continuano a produrre utili e a ricevere finanziamenti pubblici.

*Foggia In Capitanata la cassa integrazione s’infila dappertutto. Il quadro è nero: a cominciare dalle 4 settimane di cig alla Fiat-Powertrain, il simbolo dell’industria metalmeccanica di questa provincia. Dopo le quattro giornate di stop ad ottobre, seguite da altre otto fermate a novembre, la cura per uscire dalla crisi varata dalla Fiat prevede l’ingresso ufficiale nel tunnel. Lo stabilimento foggiano resterà chiuso fino al 12 gennaio. Quando riaprirà sarà soltanto per due settimane, dal momento che dal 26 gennaio è prevista altra cassa integrazione fino al 9 febbraio. E saranno 54 giorni in quattro mesi e mezzo. Questo corrisponde alla laconica comunicazione aziendale. Quel che seguirà nessuno può saperlo: ma se le previsioni nerissime sul mercato dell’auto per il 2009 verranno confermate, la cassa integrazione rimarrà un costante incubo dei lavoratori della Sofim, come di tutti quelli che prestano la loro opera nelle altre realtà industriali locali. In provincia di Foggia il conto dei cassintegrati è già salito a quota 2376 lavoratori (dati Cgil). Il grosso è rappresentato dai 1839 operai di Sofim-Iveco a conferma di un tessuto economico-industriale modesto e tutt’altro che preparato ad affrontare una crisi di tale dimensione. Infatti, tutti i settori sono interessati: dal metalmeccanico alla chimica, ai laterizi, ai lapidei, all’agroindustria. L’elenco della chiusura chiama in causa realtà come l’Ingenia di Manfredonia, Fonderie di Foggia, Codel e Ites, Tuboplast. Irb, Eurotrade, Trafilsud, 12 Spa, Sealedair, Ala Fantini, Laterizi Cierre, Gimpac, Marmi San Giovanni Paglierino, Elce Marmi, Il Bronzetto, Tecnosud Marmi, Es.Cal, Cotonificio di Capitanata, Cremeria del Lattaio. All’Ingenia di Manfredonia (contratto d’area) vi è cassa integrazione per tredici settimane. Alla Fiat di Borgo Incoronata il calo delle commesse va avanti da fine estate. I clienti maggiori della più importante industria metalmeccanica del territorio (occupa 2000 dipendenti) sono la Sevel di Val di Sangro e la fabbrica Fiat di Suzzara, due stabilimenti che montano veicoli commerciali con i motori diesel ultraleggeri inviati da Foggia. La contrazione delle vendite sul mercato delle auto compisce

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però un segmento particolarmente sensibile della filiera automobilistica, il primo a subire contrazioni quando la domanda diminuisce. Le previsioni di una ripresa degli ordini non sembrano improntate all’ottimismo se l’azienda chiede al consorzio Asi l’autorizzazione per realizzare una piazzola allo scopo (si vocifera) di stoccare i nuovi motori. Altri nodi sono in arrivo: i 350 lavoratori del settore pulizie nelle suole, per i quali sono stati già avviati le procedure di licenziamento, i 500 lavoratori socialmente utili non ancora stabilizzati, i mille lavoratori della sanità con contratto a tempo determinato, i 700 lavoratori degli enti locali che temono per la cessazione del rapporto. I dati sulla mobilità sono già in crescita: erano 1037 a dicembre 2007, siamo già a quota 1175.

Ma non è finita. Piove altra cassa integrazione in Capitanata, annuncia la Cgil. Nella prima settimana di dicembre altri duecento lavoratori sono stati mandati a casa per crisi produttiva. Le aziende coinvolte sono piccole e piccolissime realtà del tessuto imprenditoriale locale, dall’agroindustria al manifatturiero al terziario. Imprese che annaspano di fronte al calo incondizionato dei consumi e che sono costrette a ridurre gli ordini, a tamponare le falle con i mezzi dell’emergenza.

La cassa integrazione è uno di questi, certamente il meno dannoso per i lavoratori che comunque devono rinunciare al 30% del loro salario già piuttosto risicato (da 900 a 1400 euro per i lavoratori più anziani e con qualifica). Il rischio è che tra breve possano scattare i primi licenziamenti di massa, la Cgil, infatti, dice di guardare con sospetto quei contratti in scadenza il 31 dicembre e ricorda i 22 mila occupati a termine. Nel frattempo lo stillicidio della cig colpisce 2379 lavoratori, espressione di quasi tutte le imprese più grandi. E non sembra destinato a fermarsi. La crisi produttiva colpisce un’azienda su due; là dove la cassa integrazione non viene (oppure non può) essere applicata, si ricorre a fermate alternative. I lavoratori della Barilla hanno tirato un sospiro di sollievo il 6 dicembre quando l’azienda, contrariamente a quanto annunciato il giorno prima, ha deciso di ritirare la cassa integrazione per 60 dipendenti del pastificio ‘Foggia 2’. Si ovvierà alla fermata degli impianti (lo stabilimento produce la pasta lunga) con il monte ore dei corsi interni di formazione professionale sulle strumentazioni e la sicurezza dello stabilimento. Anche all’Alenia Aeronautica si fronteggia la crisi con le trasferte: decine di lavoratori dello stabilimento di Foggia mandati a Torino, Pomigliano. Queste realtà, dato il momento critico, possono proclamarsi isole felici in uno scenario sempre più complicato che l’atmosfera di Natale contribuisce a rendere più cupo e indecifrabile. Le retribuzioni ridotte all’osso per l’applicazione della cig vanno a colpire quelle famiglie già in crisi di liquidità che non riuscivano ad arrivare alla quarta settimana (il dato dell’indebitamento medio per famiglia in Capitana sfiora i 9.500 euro, salito negli ultimi cinque anni dell’83%).

Si parla di uomini e donne già prostrati dall’aumento incontrollato del costo della vita, dei prezzi e delle tariffe, che minano il potere d’acquisto di salari e pensioni. Cosa potrà accadere adesso con le retribuzioni abbattute del 25-30 per cento.

*Taranto A Taranto non c’è solo la grande industria che tira il freno per effetto della crisi. Nel settore edile e del legno le cose vanno anche peggio. Tra mobilità e cassa integrazione ci sono già 850 unità espulse dalla produzione. Ma il numero è destinato a salire. I segnali arrivano da lontano. Il settore legno e mobile imbottito, ad esempio, già da mesi ha collocato in cassa integrazione centinaia di lavoratori. Il gruppo Natuzzi da giugno ha 1.200 lavoratori in cassa integrazione. Negli stabilimenti della sola provincia ionica sono 500 fino a

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giugno 2009. Purtroppo le prospettive non sono buone. Si dice che il Gruppo voglia aprire nuovi stabilimenti in Sud America, chiudendo ed accorpando i centri produttivi in Italia. In difficoltà sono anche le piccole e medie imprese. Ech e Fa hanno licenziato dieci lavoratori e chiuso gli stabilimenti. Certo l’Ilva è un grosso bacino occupazionale che complessivamente dà lavoro a circa tremila operai. Al suo interno collaborano grosse realtà come la Semat (50 unità), la Quadrato Costruzioni (150 unità), Ediltec (120) ma anche tante piccole imprese. In questo momento però sono tutte ferme. Fino alla metà di novembre l’indotto Ilva viaggiava bene. Con la richiesta e poi l’avvio della cassa integrazione tutto si è bloccato. Le aziende non rinnovano più i contratti e non fanno nuove assunzioni. Anche nell’Eni ci sono lavoratori in cassa, sono una sessantina ma potrebbero aumentare.

La crisi, tuttavia, continua a imperversare anche in Puglia e, di conseguenza, la cassa integrazione continua a colpire, in particolare Taranto e Brindisi. All’Ilva il numero dei dipendenti da collocare in cig dal 1° dicembre potrebbe aumentare da 2000 a 2250. L’azienda lamenta un numero maggiore di esuberi nel reparto Laminatoio a freddo, con la possibilità di fermata totale. I sindacati hanno bocciato l’ipotesi della direzione dell’impresa. In un primo incontro presso la Confindustria tarantina si era solo chiarito ci sarà ma sulle modalità di applicazione del provvedimento la trattativa continuava. Quel che si sa è che l’azienda avrebbe manifestato la volontà di fermare il Laf (Laminatoio a freddo) e il Tnal (Treno nastri), portando a circa 2300 il numero delle unità in cig ordinaria a fronte delle 2000 iniziali. I sindacati hanno proposto di far slittare ai primi giorni del nuovo anno l’inizio della cassa integrazione per avere più chiaro il quadro congiunturale. Intanto propongono di utilizzare in ogni sua forma il ricorso a ferie e permessi. E’ assurdo, si legge in un comunicato della Rsu della Fiom-Cgil che <<a fronte degli utili conseguiti dal Gruppo negli ultimi quattro anni, pari a circa 2,5 miliardi di euro non si garantiscano i soldi per pagare lo stipendio a 2300 lavoratori dichiarati in esubero, mentre si preferisce investire 80 milioni di euro nella cordata Cai, impegnata per il salvataggio dell’Alitalia>>. Il 26 novembre si trovava l’intesa dove si prevedeva che il numero dei lavoratori interessati non avrebbe superato i 2100 addetti; che la cig sarebbe scattsts dal 1° dicembre; che le tredici settimane previste in origine non sarebbero state uguali in ogni reparto e la cassa integrazione, quindi, non sarebbe dureata per tutti allo stesso modo. I settecento lavoratori del laminatoio a freddo s sarebbero fermati non più per l’intero periodo, ma solo per nove settimane, mentre per gli addetti al treno nastri1 la cig sarebbe scattata dopo il quindici dicembre, successivamente alla ripresa del treno nastri2 al momento fermo. Ancora, i lavoratori interinali concorreranno a formare il numero dei cassintegrati a seconda della loro consistenza nei vari settori. E’ stato trovato il modo anche di ridurre il numero complessivo di chi va a riposo forzato nell’intera area a caldo. Insomma, non sarà superato il numero di 2100 lavoratori e la cassa integrazione sarà effettuata con la rotazione aritmetica in modo che pesi in modo più equilibrato sul maggior numero di operai e impiegati. Significativi i contrappesi sul piano economico, quanto mai utili per alleggerire quello della cassa. Purtroppo la frana ha investito il mercato dell’acciaio e, di conseguenza, la cassa integrazione dilaga all’Ilva. Con l’anno nuovo salirà ad oltre quattromila il numero degli operai colpiti dai provvedimenti collegati alla riduzione della produzione. Le commesse sono praticamente azzerate e i magazzini del colosso siderurgico continuano a scoppiare di tubi e coils, i giganteschi nastri di lamiera d’acciaio. Si parla di oltre un milione di tonnellate di prodotto in attesa di un compratore.

Dal 12 gennaio, quindi, finiranno in cassa integrazione altri 2.200 lavoratori. Il colpo è durissimo perché va a soffiare sui timori innescati dalla prima cassa integrazione, scattata il 1° dicembre. La comunicazione ufficiale è giunta il 16 dicembre alle segreterie della Fim, Fiom e Uilm. Il nuovo passo è stato al centro di una riunione tenutasi il 18 dicembre in direzione a Taranto. La riunione ha portato ad una attenuazione dell’impatto della seconda quota di cassa integrazione. Non più 2200

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lavoratori a zero ore, ma 1404. Sono quelli che andranno in Cig fino al 28 febbraio, in aggiunta ai primi 2140. In totale, quindi, l’Ilva ferma 3544 persone, tra operai e impiegati pari al 33,7% della forza lavoro (10.493) e non più 4346. La produzione, nel complesso, diminuirà di circa il 35%. E’ poi questo il frutto degli incontri tecnici, reparto per reparto, e della trattativa conclusa il 23 dicembre tra i rappresentanti della società e i sindacati di categoria aziendali.

Un’intesa che sarà ratificata il 9 gennaio con un verbale, alla presenza dei massimi vertici sindacali e societari.

A fronte della decisione dell’Ilva di fermare quasi il 50% degli impianti oltre a provocare un considerevole esubero di lavoratori, è preoccupazione della Uilm, che ciò rischia di provocare un equivalente numero di esuberi nel sistema degli appalti. Tra l’altro, i lavoratori dell’appalto sono coloro che hanno meno tutele ed il numero degli infortuni, dice sempre la Uilm, lo dimostra. Il pericolo per la stragrande maggioranza di loro è di non avere ammortizzatori sociali e quindi si avviano al licenziamento.

Con l’arrivo del 2009 sarà il mondo dell’indotto a sfornare disoccupazione. Proprio nel settore degli appalti salteranno migliaia di posti. Tutta colpa del calo drastico di lavori da esternalizzare, innescato dalla riduzione dei livelli produttivi del colosso siderurgico tarantino. Secondo Rocco Palombella, segretario provinciale della Uilm <<Sarà un anno durissimo per quei lavoratori. Sino ad ora le ditte hanno retto perché erano ancora in piedi vecchi contratti. Adesso, però, si va ad esaurimento. Quei contratti non sono stati rinnovati e sono stati annullati anche alcuni interventi programmati. E’ una deriva che sconteranno i lavoratori>>. La richiesta di acciaio sui mercati internazionali è scesa vertiginosamente. Sino allo zero di fine anno. Inevitabile per i manager Ilva il ricorso alla fermata di alcuni impianti, tra cui un altoforno ed una intera linea di produzione. Come abbiamo già riferito, per 3400 operai diretti dello stabilimento è arrivato l’ombrello della cassa integrazione. Commenta sempre il segretario provinciale della Uilm: <<La procedura al momento è prevista sino alla fine di febbraio. Già sappiamo, però, che si andrà avanti. Non c’è alcuna ufficialità ma la cassa integrazione sarà prolungata almeno sino a fine marzo>>.

La tempesta più temuta è proprio quella che si rovescerà sulle migliaia di aziende e lavoratori che vivono grazie all’appalto ed al subappalto Ilva. E’ una giungla – spiega il segretario Uilm – in cui si assiste ad un continuo ricambio di aziende e quindi di personale. Qui spesso le grandi multinazionali ingaggiano piccole imprese sul posto. A cascata gli operai vengono assunti e contrattualizzati, ma praticamente si tratta di un lavoro a gettone. Infatti con la medesima semplicità, quegli stessi dipendenti possono finire sulla strada. Proprio questi lavoratori ‘usa e getta’ saranno i primi a pagare la drastica riduzione di appalti>>. Con l’inizio del 2009 la produzione dell’Ilva scenderà del 50%. Ma molto più alta sarà la riduzione dei lavori di manutenzione e di servizio destinati all’esterno. <<E’ difficile fare una stima esatta degli operai che perderanno il posto di lavoro perché purtroppo in quel mondo la rappresentanza sindacale è davvero complicata. Saranno almeno quattromila, però, i lavoratori che andranno certamente in difficoltà. E per tantissimi di loro sarà impossibile accedere a qualsiasi tipo di ammortizzatore sociale>>.

In pratica, quando arriveranno i tagli si procederà a tappeto. E i posti salteranno più facilmente dove le garanzie sono storicamente inesistenti. Sempre il segretario provinciale aggiunge: <<Molte aziende in queste settimane parlano ai lavoratori con una terminologia soft. Alcune promettono di ‘congelare’ i posti di lavoro. Cambiano i termini ma la sostanza no. Quei lavoratori andranno a casa>>. Un’analisi cruda ma realistica che non risparmia neanche i dipendenti diretti dell’Ilva. Nelle acciaierie si respira una brutta aria ed il nuovo anno è già avvertito con paura. Palombella era in fabbrica anche il 31 dicembre. <<Camminando nei tubifici, nel laminatoio e nei capannoni vuoti – dice – ho provato una sensazione nuova. La fabbrica sguarnita di lavoratori mi è sembrata una

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casa vuota e quindi senza vita. E’ la prima volta che mi capita da quindici anni a questa parte. Negli occhi di quei pochi lavoratori che ho incrociato ho letto il timore per il futuro>>.

*La crisi del tessile a Martina Franca La crisi dell’industria tessile è profonda, dura e sta mettendo in serissima difficoltà l’economia di Martina Franca.

Il problema viene da molti sottovalutato; i posti di lavoro persi dimostrano, però, che la situazione è delicatissima. Quello che sei-sette anni fa era ancora considerato uno dei distretti più importanti e solidi della nostra regione, si sta sbriciolando. Le imprese che producono abiti e accessori, in attività, sono 253 e in base al prospetto riportato nel bilancio di previsione 2008-2010 del Comune, “pur attestandosi solo sul 5,30%, rappresentano il settore sicuramente di maggior rilievo tanto è deducibile dal numero degli addetti occupati e della loro presenza sui mercati nazionali ed internazionali”. E’ complicato scovare dati in merito, si può, comunque, affermare che alla fine del 2003 a Martina ci fossero circa 300 imprese tessili, in prevalenza contoterziste, con circa 6000 dipendenti. Nel giro di cinque anni la situazione è notevolmente peggiorata, molte aziende hanno chiuso e il numero dei lavoratori è diminuito più o meno del 50%. Il distretto tessile martinese che non è riuscito a superare il trauma post globalizzazione; sta affrontando con poche armi e senza una strategia comune una crisi economica incertissima. Una crisi che sta mettendo seriamente in difficoltà anche le imprese più solide. Dall’inizio del 2005 più di 40 aziende tessili hanno fatto ricorso alla mobilità. Quasi tutte quelle rimaste usano massicciamente la cassa integrazione ordinaria e i periodi di fermata si allungano sempre di più. Nel 2008 più di venti imprese hanno utilizzato questo strumento. Alla cassa integrazione straordinaria, ovvero l’anticamera della cessazione dell’attività, hanno fatto ricorso 7 aziende, alla mobilità, invece, meno di dieci. Alcune imprese leader hanno deciso di produrre all’estero (prevalentemente in Cina) con un costo naturalmente più contenuto; la cultura della mono-committenza, da parte dei tantissimi contoterzisti non ha certamente giovato. Quasi l’80% della popolazione lavorativa del tessile è formata dai dipendenti dell’impresa che lavorano nei laboratori. Chi perde oggi il posto di lavoro non riesce ad reinserirsi da qualche altra parte.

Chi non si è mosso tempestivamente; chi non ha puntato tutto sull’innovazione e non ha attuato una politica di sviluppo delle tecnologie, ha chiuso oppure oggi si trova in forte difficoltà. E anche chi lo ha fatto, vive un momento non certo semplice. Si ha l’amara sensazione che le istituzioni (Regione, Provincia e Comune) non abbiano compreso appieno quanto profonda sia la crisi in Valle d’Itria. La situazione di queste aziende sta assumendo i caratteri di una tragedia. Il comparto sta subendo attacchi tanto forti e non è improbabile che nel giro di poco tempo possa del tutto sparire. Solo quest’anno i numeri sono impressionanti: 277 operai hanno perso il lavoro, 240 sono in cassa integrazione straordinaria per crisi che, se non dovessero attuarsi provvedimenti che rilancino l’economia nel settore, entro il 2009, si aggiungeranno ai primi. A questi dati bisogna aggiungere quello delle settimane di cassa integrazione, sempre nel 2008, cresciuto esponenzialmente. E questo è solo un dato parziale, in quanto riguarda quello che trasmette la Cgil, naturalmente riferito a chi si rivolge al detto sindacato. Anche secondo il delegato di Assindustria la situazione è molto difficile: <<Se le cose continueranno ad andare così male, tra un anno e mezzo circa il 30% delle aziende tessili chiuderà i battenti. Solo chi ha seminato e sta continuando a seminare riuscirà a vincere la sfida>>.

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La crisi si vede poco ma c’è e fa male. Secondo la Cgil martinese il periodo nero che sta investendo il settore e la somma di due crisi diverse. La prima viene da lontano, da quando la maggior parte delle aziende ha preferito delocalizzare. La seconda è la crisi finanziaria attuale che chiude i rubinetti del credito alle imprese, bloccando in questo modo i pagamenti ai lavoratori e non solo, dato che l’accesso al credito rappresenta una delle necessità principali per lo sviluppo di un’impresa, anche in termini d’investimento. La differenza tra la crisi presente e quelle passate, secondo sempre la Cgil, e che questa è definitiva: se una volta i lavoratori potevano sperare di essere reimmessi nel mercato del lavoro, perché le crisi erano cicliche, adesso, una volta licenziati, sarà impossibile essere riassunti.

I provvedimenti anticrisi messi in atto dal Governo, è la Cgil che parla, di cui si sta discutendo, sono insufficienti. Non basta mettere un tampone a quello che sta accadendo ora, ma serve anche mettere in campo strategie e risorse per permettere a questo settore di risollevarsi. E’ necessario che gli ammortizzatori sociali siano applicati anche ai casi non previsti dalla legge, come le ditte con meno di 15 dipendenti e tutti coloro che hanno un contratto temporaneo. Nella crisi globale è infatti necessario tutelare tutte le competenze, che non sono solo espresse dall’occupazione a tempo indeterminato, in modo da non destrutturate le imprese e per reagire alla crisi dei mercati. In proposito la Cgil lancia un avvertimento sottolineando che qualcuno potrebbe cavalcare queste gravi situazioni, simulando operazioni di cessata attività. Questo è un modo per ottenere scorrettamente vantaggi competitivi a discapito delle aziende che decidono di operare nella legalità.

Tra i tanti bollettini di licenziamenti, casse integrazioni, mobilità e quant’altro, finalmente uno positivo viene dal Gruppo Miroglio di Alba che ha congelato le procedure di mobilità fino al 28 febbraio 2009 nel suo stabilimento di Ginosa, non solo, ma si è impegnato a favorire il processo di deindustrializzazione. Per il vero, questa partita si gioca a Roma sul tavolo tecnico aperto dal Ministero dello Sviluppo economico dove sono state presentate quattro manifestazioni di interesse per rilevare lo stabilimento e, probabilmente, anche quello di Castellaneta, assieme al pacchetto dei 233 lavoratori. Entra in gioco l’ipotesi di attivare la cassa integrazione, che potrebbe coprire un arco di tempo di 24 mesi, per permettere di chiudere la trattativa con gli investitori interessati. Bisogna, però, che il Gruppo abbassi le sue pretese, per facilitare l’accordo anche per il suo interesse, in quanto si è, tra l’altro, impegnato ad integrare con fondi propri gli stipendi dell’eventuale cassa integrazione, ridotti dell’ottanta per cento.

*Brindisi Difficoltà anche per le imprese del settore costruzioni a Brindisi: sono 57 le aziende che hanno già preventivato il ricorso alla cassa integrazione. Tra queste la Prefabbricati Pugliesi. Su circa 110 dipendenti dello stabilimento di contrada Palombara, ad Oria, l’impresa ha concordato con i sindacati confederali del settore un periodo di cig per tredici settimane per 56 unità che potrebbe decorrere dal 17 novembre. Il 7 novembre vi è stata una intesa preliminare e l’11 novembre l’accordo. SIi pensi che la stessa Prefabbricati non più tardi della scorsa primavera aveva chiesto al Comune di Oria l’autorizzazione per l’ampliamento dei capannoni. Negli ultimi periodi però ha dovuto far fronte al blocco di alcune commesse.

*Lecce A Lecce, alla Fiat-Cnh quasi tre mesi di cassa integrazione: dall’8 dicembre al 14 febbraio. Andranno a casa 390 operai su 430 dell’intero stabilimento. La stessa azienda aveva già messo in cig 100 operai da ottobre al 27 novembre. Una beffa: rientreranno e dopo una settimana vanno di nuovo fuori. Nell’azienda rimangono solo 40 operai, il resto della produzione è fermo. Lavorerà solo la linea Telehandler, una piccola macchina con braccio telescopico che si usa soprattutto

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nell’agricoltura. Bloccata la produzione Weel-Loader, un caricatore gommato, la motopala che serve per le grandi opere. Tutto il comparto delle infrastrutture è fermo. La recessione mondiale ha colpito anche questo settore.

I sindacati hanno chiesto di pianificare al meglio i periodi di lavoro con quelli di eventuali riposi in modo che i lavoratori sappiano bene cosa aspettarsi.

Ma la recessione che colpisce l’economia mondiale non risparmia l’indotto legato allo stabilimento Fiat-Cnh. Infatti, è possibile che il loro numerosi dipendenti restino senza stipendio e tredicesima. La mancanza di liquidità ha allungato i tempi per il pagamento delle commesse alle imprese terze. La notizia non ha ancora assunto le vesti dell’ufficialità ma le manovre convulse della Confindustria salentina tradiscono le ansiose preoccupazioni delle duemila famiglie di Lecce e provincia che, se la notizia fosse confermata, dovranno rinunciare alle feste natalizie. Un vero allarme sociale, contro il quale sono necessarie urgenti iniziative. Per il vero il presidente della sezione Metalmeccanica della Confindustria locale ha mobilitato i suoi uffici e convocato riunioni solo per il fatto di aver colto voci preoccupate da ambienti industriali. I dirigenti dell’indotto hanno espresso i loro timori che saranno esposti urgentemente al Gruppo torinese. I sindacati, per ora, non sono stati coinvolti. Certo, nell’infausta ipotesi che ciò si paventasse concretamente, non mancherà la loro iniziativa e la mobilitazione. Un periodo nero per i metalmeccanici di Lecce, una parte che si batte perché si utilizzino al meglio gli ammortizzatori sociali, l’altra che fa i conti con un Natale povero. Secondo la Cgil di Lecce, nel territorio della provincia sono stimati circa 20.000 posti di lavoro a rischio. Nel Tac sono circa 3.500 i lavoratori che sono senza gli ammortizzatori sociali con le tre aziende più significative, Adelchi, Filanto e Romano, interessate dalla cassa integrazione per un totale di 820 lavoratori. Inoltre altri 1.000 lavoratori nel settore delle piccole imprese e dell’artigianato sono già stati licenziati e non usufruiscono di alcun ammortizzatore sociale. Nel settore metalmeccanico la cassa integrazione interessa l’intero gruppo di aziende sub-fornitrici della Fiat-Cnh New Holland. Alcar, Lasim, Stamin e aziende metalmeccaniche hanno chiesto la sospensione dal lavoro per un totale di 670 unità. Sono soltanto degli esempi, aggiunge la Cgil, perché nei mesi precedenti a 1.000 lavoratori in somministrazione e a tempo determinato non sono stati rinnovati i loro contratti di lavoro, mentre l’agricoltura sta vivendo un’altra drammatica crisi produttiva ed occupazionale legata al settore olivicolo che interessa circa 200 lavoratori. Anche nel settore commercio i morsi della crisi e la conseguente riduzione dei consumi ha provocato circa 400 richieste di cassa integrazione, altre 1.200 persone circa sono a rischio nei settori appalti delle scuole. Negli appalti delle ferrovie e nelle aziende di trasporto collegate alla crisi del Tac e del metalmeccanico in particolare, sono 150 gli addetti che non hanno alcun tipo di ammortizzatore sociale. Anche all’Adelchi il problema è sempre lo stesso. Il 15 dicembre è scaduta la cassa integrazione ordinaria per 240 operai della Crc e per 100 della Nuova Adelchi: ma, adesso, è partito l’accordo di solidarietà. Anche il gruppo della Romano ha 160 lavoratori in cassa integrazione per un anno. Questi sono i colossi salentini del Tac.Le cose vanno male anche per le aziende più piccole. Purtroppo non c’è ripresa e la crisi sta strangolando tutti. Anche nelle piccole imprese ci sono un migliaio di lavoratori in cassa integrazione. Come Uilta, altre tre aziende hanno avviato la mobilità per un centinaio di lavoratori. C’è stato lo sciopero e l’incontro con i parlamentari; ma qui è necessario trovare risorse che non siano temporanee.

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*Il Tac salentino IL 6 dicembre, presso la Prefettura di Lecce, si è svolto un vertice con i rappresentanti del governo nazionale, regionale, provinciale e con i sindacati dei lavoratori e i rappresentanti delle imprese per fronteggiare la crisi del Tac salentino. Tutti si sono dichiarati favorevoli a far fronte comune per trovare una ricetta anti-crisi e fare in modo che possa essere istituito al più presto un tavolo al ministero del Welfare. La situazione è drammatica: centinaia di lavoratori aspettano di avere la proroga della cassa integrazione per un altro anno. Altri operai aspettano di essere inseriti in nuovi settori, ma restano legati all’Accordo di Programma Quadro che ancora non parte.

Gli obiettivi posti sono, quindi, due: l’estensione della cassa integrazione e impegnarsi a riavviare gli impegni assunti con l’Accordo di programma sottoscritto ad aprile 2008.

Tutti i partecipanti hanno espresso la loro soddisfazione per il clima costruttivo e la volontà comune di fare squadra per risolvere una crisi che è mondiale e investe altri settori. Obiettivo primario è uscire dalla crisi e costruire un futuro alle aziende anche usando 450 milioni di fondi europei. I segretari confederali Cgil, Cisl, Uil hanno sottolineato lo spirito fortemente partecipativo dell’incontro ma, non hanno nascosto, la loro speranza che alle parole seguano i fatti. Sarà, comunque, un Natale carico di preoccupazioni per migliaia di lavoratori del Tac. Un Natale in cassa integrazione, con l’incubo di perdere anche quella, considerato che, come abbiamo già detto, l’Accordo di Programma non è ancora partito e le aziende del Nord Italia fattesi avanti per garantire accordi di reciprocità, non possono avviare i progetti. Il 23 dicembre si è aperto un timido spiraglio durante l’incontro che si è svolto a Roma, tra rappresentanti sindacali salentini e Ministero dello Sviluppo Economico. Il problema che preoccupa è la scadenza della cassa integrazione per 261 lavoratori del gruppo Filanto che dal 2 e dal 7 gennaio 2009, nel caso in cui non ci fosse una proroga del provvedimento, potrebbero ritrovarsi a casa senza quel minimo di sostentamento economico che li aiuta a tirare avanti. A detta dei sindacati, quello di Roma è stato un incontro interlocutorio con l’impegno a trasferire tutto al Ministero del Lavoro, il solo competente per far sì che si possa ottenere un altro anno di proroga.

Per sapere se ci sarà o meno la proroga della Cig si aspetta il prossimo incontro con i rappresentanti del Ministero del Lavoro che dovrebbe avvenire, stando a quanto sperano i sindacati, entro i prossimi giorni: comunque, entro la fine dell’anno. Il 10 gennaio 2009 vi è stato un ennesimo vertice a Palazzo Celestini sulla crisi del Tac. Erano tanti i quesiti che si ponevano ai parlamentari della deputazione salentina, agli esponenti del governo regionale e provinciale e alle organizzazioni sindacali, convenuti all’incontro: perché il Governo ha escluso dalla Finanziaria l’Accordo per la provincia di Lecce; che fine abbiano fatto i 20 milioni di euro già preventivati per rendere operativo l’Accordo; cosa fare per ottenere la proroga della cassa integrazione. Alla fine dell’incontro si è convenuto su due proposte: far sì che il Governo presenti prontamente un emendamento al Senato per reinserire l’Accordo di Programma nell’elenco di quelli già finanziati; attivarsi affinché il ministero del Lavoro convochi immantinente un incontro con le parti per definire la prooroga della cassa integrazione. Per il vero, il sottosegretario agli Interni, on. Mantovano, non presente all’incontro, aveva provveduto ad indirizzare una nota all’assessore provinciale alla Programmazione economica con cui ribadiva l’esclusione dalla Finanziaria dell’Accordo per il Tac. Il provvedimento però – assicurava il sottosegretario – è ora all’esame della decima Commissione del Senato, perciò emendabile e integrabile con l’inserimento del Tac. Ci sono, invece – continuava – conferme positive sulla questione della cassa integrazione.

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Fiducioso si dichiarava il presidente della Confindustria Lecce che ha invitato tutti a rimboccarsi le maniche per risolvere i problemi. Bisogna dare seguito – diceva sempre il rappresentante degli industriali – al tavolo tecnico e verificare la disponibilità di ricollocazione dei lavoratori nei settori in espansione (energia) e per attuare la parte dell’accordo di reciprocità che prevede gli investimenti delle aziende del Brenta. Quell’accordo, infatti, presupponeva anche l’insediamento a Castrano di una scuola di formazione per qualificare i lavoratori del Tac e in due anni la delocalizzazione di 15 imprese del Brenta che avrebbero dovuto investire nel territorio leccese. Tanti impegni che senza l’Accordo verrebbero a cadere. Invitava poi a superare le contrapposizioni politiche per lavorare sinergicamente affinché l’Accordo venisse subito inserito nell’elenco della Finanziaria.

Più preoccupati i rappresentanti sindacali anche per le eventuali reazioni incontrollabili dei lavoratori. Gli sforzi fin qui adoperati per mantenere calmi i lavoratori potrebbero risultare vani. L’Accordo di Programma è indispensabile che sia attivato in tempi veloci perché è legato alla cassa integrazione; se non parte nemmeno la cassa integrazione straordinaria, potrà essere rinnovata. Ci sono 261 operai, per loro la speranza di una soluzione è vitale. Hanno, infine, preso impegno di investire del problema i dirigenti nazionali delle rispettive sigle perché si muovano in prima persona per ottenere una positiva soluzione, in tempi brevi, di questa vertenza. Il 12 febbraio al Ministero dello Sviluppo Economico si è insediato il tavolo di coordinamento dell’Accordo di Programma del Tac dell’Area di Casarano-Tricase. Nella riunione è stato riconosciuto da parte del Ministero che l’Accordo risulta operativo a tutti gli effetti essendo stato regolarmente sottoscritto. Ora il Governo dovrà trovare le risorse, pari a 20 milioni di euro che si aggiungono ai 20milioni di euro di parte regionale, già disponibili.

L’avvio del tavolo tecnico dell’Accordo di Programma sblocca una situazione di stallo, diventata ormai insostenibile. Infatti, anche i sindacati esprimono un moderato ottimismo sul fatto che il Ministero abbia riconosciuto la validità dell’Accordo, fermo restando che adesso il problema è trovare le risorse. Certo i lavoratori non sono disposti a disarmarsi in attesa della proroga della cassa integrazione. I 365 lavoratori espulsi sanno bene che per far partire l’Accordo ci vuole un po’ di tempo ed è per questo che vi è bisogno degli ammortizzatori sociali per i lavoratori che sono senza cassa integrazione. Anche all’Adelchi il problema è sempre lo stesso. Il 15 dicembre è scaduta la cassa integrazione ordinaria per 240 operai della Crc e per 100 della Nuova Adelchi: ma, adesso, è partito l’accordo di solidarietà.

Anche il gruppo della Romano ha 160 lavoratori in cassa integrazione per un anno. Questi sono i colossi salentini del Tac.Le cose vanno male anche per le aziende più piccole. Purtroppo non c’è ripresa e la crisi sta strangolando tutti. Anche nelle piccole imprese ci sono un migliaio di lavoratori in cassa integrazione. Come Uilta, altre tre aziende hanno avviato la mobilità per un centinaio di lavoratori. C’è stato lo sciopero e l’incontro con i parlamentari, ma qui è necessario trovare risorse che non siano temporanee.

*La Getrag Complessa la vertenza con la Getrag, multinazionale tedesca specializzata nella produzione di cambi, che ha uno stabilimento nella zona industriale di Bari. Il 27 novembre si è raggiunto un accordo con i sindacati che prevede gli ammortizzatori sociali per 480 dipendenti (su complessivi 721). La durata sarà di un anno. Si partirà con 400 unità dal periodo 1-20 dicembre, per passare a 710 dal 22 dicembre al successivo 10 gennaio. Dal 12 gennaio al 31 dicembre 2009 toccherà alle 480 unità. La cig sarà gestita con la modalità della rotazione e contiene anche un incentivo salariale di 1.500 euro l’anno che si aggiungerà all’indennità di cassa di 800 euro mensili.

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L’azienda ha confermato che proseguirà con gli investimenti legati al contratto di programma stipulato con la Regione. Il piano d’incentivazione ammonta a 22,5 milioni (circa il 50% è messo a disposizione dalla Regione) ma sinora ne sono stati effettivamente spesi 83 pari a circa il 33%.

I sindacati hanno espresso timori sulla centralità dello stabilimento nella galassia dei 25 plessi dislocati nel mondo. Chiedono l’intervento delle istituzioni per sollecitare il gruppo a non revocare il piano di investimenti sul cambio di nuova generazione: doppia frizione a freddo. Un prodotto che sarà operativo dal 2012. Timori sono tutti rivolti alla gestione della fase transitoria con la perdita di una importante commessa da 530 milioni, revocata dalla Chysler. Per evitare il blocco totale dello stabilimento nel 2009 si produrranno 160 mila trasmissioni Dct250. Vi sono in cantiere altre commesse con Ford, ma tutte da confermare.

*Le piccole e medie aziende Anche le piccole aziende a carattere artigianale sono colpite dalla crisi. Nell’agroalimentare, il pastificio Ambra (30 cassintegrati) e Soeco (lavorazione olio, in cassa integrazione tutti e 30), come Ciao gelati di Conversano (25 operai). Nel settore abbigliamento e confezioni la situazione è critica per Modamar di Bitetto (50 cassaintegrati) e Gipla di Noci (138 in cassa integrazione straordinaria).

*Anche la Telecom taglia Intanto la Telecom, in occasione delle presentazione del piano triennale, ha annunciato ulteriori tagli al personale, è quindi destinato a salire il conto dei lavoratori in esubero in Puglia. Non più tardi del 1° settembre 2008 azienda e sindacati si erano accordati per 5mila tagli in tutto il territorio nazionale, ora se ne aggiungono altri 4 mila. Dei 5 mila originari, la Puglia avrebbe visto ridotta l’occupazione di 208 unità (delle quali 130 a Bari) individuati in un ambito di 430 dipendenti rispondenti ai criteri previsti dalla legge 233 in materia di mobilità. Se applichiamo una legge matematica (tutta teorica, bene inteso) deduciamo che ad un quasi raddoppio dei tagli nazionali, non può che corrispondere ua proporzionale crescita degli esuberi pugliesi. Protesta il Sindacato che, dopo aver a settembre stipulato un intesa faticosamente, dopo due mesi apprende che la Telecom cambia indirizzo. Con questo piano sono disattesi tutti gli impegni assunti. Vi sarà certamente una convocazione ufficiale dei sindacati e quella sarà la sede per avere chiare le idee. Per le quote si parla di incentivi per i livelli più alti e poi altre forme di mobilità. Il problema non è solo di esuberi, dice il Sindacato, bisogna capire quali sono le prospettive per questa grande azienda e con quali ricadute a livello locale. Negli ultimi anni in questa regione sono stati assunti non più di una ventina di unità mentre in altre regioni non è andata così. Nel Lazio, ad esempio, sono state assunte: mille persone. Per ora la prospettiva è solo di tagli.

*Non solo la Fiat Il 9 dicembre è stata caratterizzata dalle iniziative Fiat. Come abbiamo già riferito, 390 dipendenti della Fiat-Cmh di Lecce (su complessivi 430 apriranno la cassa integrazione ordinaria). Ovvero rimarranno a casa, senza interruzioni, fino al 14 febbraio prossimo; tredici settimane che annunciano tempi difficili visto che il mercato dell’edilizia e delle grandi opere (quello che alimenta la produzione dello stabilimento leccese, specializzato nelle macchine movimento terra) sembra lontano dalla ripresa. Ma la difficoltà non lascerà indenni da preoccupazione pure i 40 lavoratori risparmiati dai tagli: per loro lungo ponte di Natale dal 24 dicembre al 12 gennaio. Il grado di produttività dell’impianto è alto, come qualità e innovazione. La questione, invece, riguarda l’andamento degli ordinativi mondiali. Con il blocco dei cantieri è diventato difficile vendere le macchine già prodotte. Si tratta di uno stock di 800 unità che affollano i magazzini della multinazionale torinese in terra salentina. Tutto è cambiato in poche settimane e anche in modo brutale. Le ultime assunzioni, circa venti, sono state effettuate a fine giugno scorso. Ora si temono

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La crisi economico-finanziaria

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pesanti ripercussioni sulle imprese dell’indotto. Un indotto, quello della casa automobilistica torinese,che a Lecce è già al collasso. L’Alcar, su 300 dipendenti, ha collocato in cassa integrazione ordinaria 150 operai fino ai primi di febbraio.

Lo stesso 9 dicembre scatta la Cigo anche per tutti i 600 dipendenti della Magneti Marelli di Bari che produce iniettori e cambi. Ma gli ammortizzatori sociali saranno attivati per due settimane (di cui una a rotazione). La situazione è ancora sotto controllo grazie alla vitalità di due linee: quella che interessa l’iniettore diretto a benzina e quella del cambio robotizzato freechoice. All’Iveco di Foggia (che per la Fiat fabbrica veicoli industriali e commerciali), gli ammortizzatori sociali scatteranno lunedì 15 dicembre. Tutti i 1.850 dipendenti nell’organico dello stabilimento di Capitanata si fermeranno dal 15 dicembre all’11 gennaio. Una fabbrica che vive alla giornata affidandosi a una ripresa del mercato mondiale dell’automobile.

*Rapporto della Cisl sull’industria La situazione occupazionale assume proporzioni impensabili fino a pochi mesi addietro. Un allarme clamoroso viene dal rapporto sull’industria elaborato dalla Cisl. Un quadro pesante, destinato a peggiorare e che, ovviamente, riguarderà tutti i settori. Negli oltre 900 mila posti di lavoro a rischio, annunciati dal Rapporto, non sono considerati né quelli nei servizi, né quelli nel commercio. Quella della Cisl, allora, è una stima per difetto, e questo non fa che aggiungere preoccupazioni.

D’altra parte la crisi sta colpendo un sistema produttivo già in stagnazione. La produzione industriale a settembre ha segnato un calo del 2,3 per cento, il peggior risultato tra i grandi paesi industrializzati. La cassa integrazione sta arrivando come una valanga. Attualmente – stando alle stime della Cisl, sono 179.552 i lavoratori dell’industria in cig o mobilità. Un dato che non tiene conto dei lavoratori con contratti interinali, co.co.pro. o a tempo determinato che stanno perdendo il posto.

Il ricorso alla cig ha subito un’impennata: +24,7% solo ad agosto. A giugno, prima del crollo delle Borse mondiali, il numero dei cassintegrati si aggirava intorno alle 20-25 mila unità. In tre mesi, in Lombardia il numero dei lavoratori coinvolti in processi di ristrutturazione è quasi raddoppiato: +94%. La regione più segnata dalla crisi è per ora il Piemonte, seguita dal Lazio, Campania, Basilicata, Sardegna. Sono in difficoltà i grandi gruppi (Fiat, Alitalia, Luchini, Riello, Pininfarina, Bertone, Campari, Granarolo, Natuzzi) ma anche i distretti: da quelli della lana di Prato e Biella, al calzaturiero delle Marche, al mobile pugliese, all’orafo di Arezzo. Oltre il 5 per cento dell’occupazione industriale sta già pagando le conseguenza della recessione.

Il Segretario Generale della Cisl ha ribadito che servono misure anticicliche, <<di sostegno alla domanda>>, a cominciare dalla riduzione delle tasse sui redditi fissi.

Il segretario confederale Gianni Baratta ha sostenuto: <<Tuttavia in assenza di correttivi rilevanti la recessione provocherà una selezione di tipo darwiniano, all’insegna della sopravvivenza del più forte. Così è possibile fare l’elenco delle imprese e dei lavoratori più a rischio: le aziende con scarse risorse finanziarie e indebitate e quelle dell’indotto; i lavoratori a bassa professionalità e con contratti a termine>> Per affrontare una crisi di tali proporzioni, è convinzione di Bonanni, ci vorrebbe un clima di concordia tra le forze politiche. C’è purtroppo, ha aggiunto, uno scarto clamoroso tra i problemi reali e quelli che interessano la classe politica.

*I cassi integrati per laCgil Il Segretario generale della Cgil ha confermato lo sciopero del 12 dicembre perché il pacchetto del governo non ha impresso alcuna svolta. Bene, invece, il presidente della Fiat che ha colto il problema delle ‘tute blu’. <<Trovo – ha detto – la sua preoccupazione su questo del tutto

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condivisibile ed è esattamente quello per cui si batte la Cgil>>. Poi la denuncia: l’Inps non fornisce più i dati sulla cassa integrazione: <<C’è paura di dire qual è la realtà>>. La Cgil il 5 dicembre rende noti i dati ottenuti incrociando i dati Inps disponibili con quelli a conoscenza delle strutture sindacali territoriali: nei primi 11 mesi del 2008 sono stati almeno 362mila i lavoratori collocati in cassa integrazione ordinaria, straordinaria, in deroga e gestione edilizia per un totale di 280 mila ore di intervento. I redditi di questa platea di lavoratori non può superare gli 800 euro al mese e i più penalizzati risultano quelli in cassa integrazione per lunghi periodi che vedranno decurtata in modo pesante anche la tredicesima mensilità.

Per la Cgil questi dati dimostrano, senza tema di smentita, i caratteri strutturali della crisi e confermano la grave insufficienza delle misure cosiddette anti-crisi varate dal governo in quanto non avranno alcuno impatto anticiclico. La Cgil ribadisce al Presidente del Consiglio e ai Ministri interessati l’urgenza di arrivare all’apertura di un tavolo di confronto sulla politica industriale con l’obiettivo di invertire una tendenza altrimenti destinata a creare ancora maggiori danni. Ad essere coinvolti non meno di 10 mila imprese dell’industria, dell’artigianato e dei servizi. Un lungo elenco, continua la Cgil, nel quale si trovano anche gruppi industriali di punta, a cominciare dalla Fiat ma che passa anche dal distretto della ceramica di Sassuolo, dalle acciaierie di Piombino e dalla chimica di Porto Torres per non parlare di casi come Alitalia o Telecom. Per la Puglia offre un quadro riassuntivo della situazione occupazionale. Un allarme per 20mila lavoratori: si prospetta un triste Natale. Quadro sconfortante: 2.350 operai in cassa integrazione all’Ilva, che pure solo pochi mesi addietro aveva toccato il record di produzione. 1.200 della Natuzzi, 1.600 della Bosch, il fermo totale per quattro settimane alla Sofim Iveco di Foggia (che manda in cassa integrazione i suoi 2000 addetti per quattro settimane).

Migliaia di famiglie pugliesi vedranno il proprio reddito crollare, sotto le feste, a 800-850 euro. Una crisi cha ha colpito il salotto e l’acciaio ma anche l’indotto dell’automobile con il sistema-Fiat (la Cnh New Holland di Lecce) e poi Getrag, Magneti Marelli, Om Carrelli elevatori. E’ questa, dice sempre la Cgil pugliese, soltanto la punta dell’iceberg. Il 50% delle 700 imprese del tessile di Martina Franca è in crisi, così come soffre il calzaturiero salentino e naturalmente il mobile imbottito.

Pesantissima la situazione della chimica, che a Bari vede la crisi della Bridgestone. C’è una forte richiesta di cig che colpisce allo stesso modo le multinazionali e le piccole realtà, quelle che finora non erano mai state interessate dalla ‘cassa’. Quello che più preoccupa che nessuno è in grado di prevedere come si svilupperà il mercato. Si assiste, è sempre la Cgil a parlare, a cambi produttivi di settimana in settimana. Il sindacato chiede al governo, in sintonia con Confindustria, di sbloccare subito tutti gli interventi cantierizzabili per dare fiato alla spesa.

*La corsa alla disoccupazione secondo l’Istat L’Istat aggiunge fieno al fuoco divampato sull’occupazione. La corsa alla disoccupazione sta crescendo da inizio anno e nel terzo trimestre arriva al 6,1%. Ma anche sul fronte dell’occupazione non giungono buone notizie: nel terzo trimestre dell’anno la crescita del numero degli occupati frena allo 0,4% in <<deciso rallentamento>> rispetto al recente passato (+1,4% nel primo trimestre, +1,2% nel secondo). Da un lato sono sempre più i cittadini in cerca di occupazione, mentre dall’altro si fa più fatica a trovare un posto di lavoro. Senza contare che l’offerta di lavoro rimane ferma al livello dei tre mesi precedenti. Sono i dati Istat sul mercato del lavoro che mostrano come nel terzo trimestre dell’anno il numero delle persone in cerca di occupazione abbia registrato il terzo aumento tendenziale consecutivo

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La crisi economico-finanziaria

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superando il milione e mezzo di unità (+9% rispetto al terzo trimestre 2007). Il tasso di disoccupazione è quindi aumentato di mezzo punto percentuale rispetto a un anno prima, posizionandosi al 6,1%, mentre, in confronto al secondo trimestre 2008, il tasso di disoccupazione è diminuito di un decimo di punto. Nel terzo trimestre, invece, il numero di occupati è salito a 23,5 milioni, con un aumento su base annua dello 0,4% (+101.000 unità) che, come sottolinea l’Istat, riflette <<ancora una volta l’incremento della popolazione straniera registrata in anagrafe>>. Si registra invece <<un marginale incremento>> dello 0,1% rispetto al trimestre precedente. Se per l’Isae siamo di fronte a un quadro di <<sostanziale tenuta>> all’interno del quale emergono comunque <<segnali di deterioramento in particolare nel Mezzogiorno>>, per i sindacati invece è il momento di una ‘svolta’ nelle politiche del lavoro, come afferma Giuseppe Moretti, segretario generale Feneal-Uil. Per segretario confederale della Cgil, Fulvio Fammoni, i dati Istat mostrano <<la fotografia di un Paese già fermo e su cui si è abbattuta la crisi finanziaria e produttiva>>, mentre il segretario generale dell’Ugl, Renata Polverini, chiede un <<intervento forte e strutturale sugli ammortizzatori sociali>>. Ma le preoccupazioni arrivano anche dal mondo imprenditoriale: <<I dati mostrano quanto sia diventato difficile per le aziende assumere nuovo personale in questa fase economica>>, spiega Confapi, la Confesercenti parla di <<stillicidio per migliaia di piccole e medie imprese>>. Secondo i dati Istat, l’innalzamento del livello della disoccupazione risente soprattutto della crescita degli ex-occupati nel Nord e nel Centro e degli ex-inattivi nel Mezzogiorno, mentre per la prima volta dall’ultimo trimestre del 1997, si è registrato un calo dell’occupazione maschile pari allo 0,2% (-27.000 unità). Al contrario, sale l’occupazione femminile sempre nel terzo trimestre dell’anno, ha segnato un incremento dell’1,4% (pari a 127.000 unità, sempre nel confronto con il medesimo periodo del 2007). Segno positivo anche per l’occupazione straniera, che è cresciuta di 285.000 unità (+152.000 uomini e +133.000 donne).

*La situazione in Puglia Guardiamo ora più da vicino la situazione in Puglia. Indubbiamente la crisi dell’industria ha fatto schizzare in alto il tasso di disoccupazione pugliese ma non smentendo il modello di una regione, traino dell’economia del Mezzogiorno. Il tasso di disoccupazione, infatti, dal 10,3% rilevato nel terzo trimestre 2007, è salito fino al 10,8% registrando nello stesso periodo del 2008, un aumento dello 0,5% in linea col il dato medio nazionale. Per l’Istat la disoccupazione, sempre nella nostra regione, è cresciuta mediamente meno rispetto alle altre realtà meridionali. Negli ultimi dodici mesi il numero dei lavoratori pugliesi è sceso di oltre 7 mila unità. Se gli occupati, in Puglia, a settembre 2007 avevano raggiunto 1 milione e 294 mila addetti, nello stesso mese del 2008 sono scesi sotto la soglia di 1 milione e 287 mila. Il calo degli occupati coincide con un aumento di quelli in cerca di occupazione. Erano 148 nel 2007, passato a 156 mila nel terzo trimestre del 2008.

Analizzando i diversi settori di attività, così come presentati dall’Istat, emerge che l’aumento della disoccupazione è quasi per intero attribuibile alla crisi dell’industria pugliese. Infatti, i lavoratori dell’industria della regione sono diminuiti di oltre 15 mila addetti. Le fabbriche, nel corso dell’anno preso in considerazione dall’Istituto di statistica (settembre 2007 – settembre 2008) avrebbero espulso dal mercato del lavoro un considerevole numero di operai. L’edilizia invece ha rinforzato la propria manodopera di 4 mila nuovi addetti. Anche la campagna ha conosciuto un incremento della sua forza lavoro di quasi 6 mila unità. I contadini e gli allevatori sono passati dai 113 mila addetti agli attuali 119 mila. Il terziario, principale settore produttivo della regione, nel quale sono impiegati oltre la metà dei lavoratori pugliesi, nello stesso periodo considerato, non ha perso addetti. Nel settore commercio ne ha guadagnati 3 mila. I dati, quindi, confermano che l’aumento del tasso di disoccupazione regionale è stato prodotto dalla frenata dell’industria. I dati si fermano,

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Il Sistema Puglia 113

come abbiamo più volte ripetuto, a settembre 2008, quando la crisi che ha travolto la finanza, l’industria e l’economia mondiale non aveva ancora compiuta la sua catastrofica impresa. Il che fa realmente temere che gli effetti della recessione saranno più evidenti nel quarto trimestre 2008 che l’Istat diffonde a marzo 2009. Le segreterie regionali di Cgil, Cisl e Uil denunciano che in Puglia l’occupazione sta diminuendo soprattutto tra le fasce più deboli del precariato. Hanno chiesto, pertanto, un urgente incontro alla Regione per delineare un percorso per tutelare con più forza i lavoratori pugliesi travolti dalla crisi.

La disoccupazione in Italia

Il tasso di disoccupazione del III trimestre 2008 a confronto con quello del 2007 (dati in %)

2007 2008

Nord 3,3 3,4

Nord-Ovest 3,6 3,8

Nord-Est 2,8 2,9

Centro 4,7 5,7

Mezzogiorno 10,3 11,1

ITALIA 5,6 6,1 Fonte: Istat

*Le pagelle della Commissione UE Il 16 dicembre la Commissione UE pubblica le ‘pagelle’ sull’attuazione della strategia di Lisbona, l’agenda nata a inizio secolo per migliorare la competitività del Vecchio Continente.

La scheda Italia si apre con un quadro della situazione attuale: <<Nel 2008 l’economia è stata stagnante. Sono diminuiti i consumi privati, sono calati gli investimenti e le esportazioni>>. Un quadro sconfortante al quale segue l’allarme occupazione. <<Nel 2009 non saranno creati nuovi posti di lavoro e il tasso di disoccupazione dovrebbe aumentare come avvenuto nel 2008 per la prima volta da 10 anni>>. I gruppi sociali più a rischio saranno quelli con stipendi bassi, minore specializzazione professionale e contratti atipici.

E qui compaiono alcune richieste su cui la UE batte da anni. Tra le altre quelle di lavorare sulla produttività <<migliorando efficienza e risultati del sistema scolastico anche monitorando gli standard di qualità e facendo attenzione alle questioni di equità>> e riducendo le disparità tra Regioni, in particolare continuando la lotta al lavoro nero.

Italia, le previsioni della Commissione Europea (*)

Variazioni % anno su anno

2005 2006 2007 2008 2009 2010

Disoccupazione 7,7 6,8 6,1 6,8 7,1 7,3

Media UE 8,9 8,2 7,1 7,0 7,8 8,1

*Pubblicata il 3 novembre 2008, ma la Commissione ha già annunciato una loro revisione visto il peggioramento del quadro economico

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La crisi economico-finanziaria

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*La Confindustria sull’occupazione Il Centro Studi della Confindustria, da parte sua, ritiene che la crisi economica sarà particolarmente pesante per il mondo del lavoro italiano: nel 2009 la disoccupazione tornerà sopra l’8% e l’occupazione mostrerà segno meno per la prima volta dal 1994, con un calo dell’1,4%. Seicentomila posti in meno in poco più di un anno. Il Centro Studi prevede due anni consecutivi di recessione, evento che non accadeva dal dopoguerra. La crisi occupazionale si concentrerà sull’industria (-1,8%) il 2009, non risparmierà neanche i servizi (-1,4%). Nonostante la frenata dell’inflazione all’1,7%, la metà del tasso previsto per il 2008, nel 2009 i consumi indietreggeranno dell’1,4%. La crescita dell’economia diventa negativa sia nel 2008, con una contrazione dello 0,5%, che nel 2009, con uno spaventoso -1,3%. Per intravedere la ripresa bisognerà aspettare la fine del 2009 e il 2010 anno che si chiuderà in crescita dello 0,7%. Nonostante, osserva sempre il C.S., i fondamentali dell’economia sono <<fantastici>>. I tassi di interesse sono bassi e scenderanno probabilmente ancora, dando sollievo a rate e mutui, i prezzi delle materie prime, soprattutto energetiche, sono in discesa – tanto che nel 2009 le famiglie risparmieranno 866 euro rispetto al 2008 – ed anche l’euro è meno forte. I presupposti per una ripresa ci sarebbero tutti. <<Le possibilità di rilancio dell’economia italiana sono strettamente legate al ripristino della fiducia e al dissiparsi dell’incertezza che attanaglia la spesa di famiglie e imprese. Altrimenti ci sarà una recessione più lunga e profonda nel 2009, seguita da una stagnazione nel 2010. Solo la politica economica, coordinata a livello internazionale, può riuscire ad ottenere questo effetto>>.

Non a caso il presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia, sollecita una maggiore unità di intenti, non solo tra le parti sociali, ma anche a livello politico. Di fronte a una crisi economica dura il Paese, dice sempre il presidente, deve <<ritrovare unità tra maggioranza e opposizione e tra tutte le forze sociali>>. Tutti <<si devono unire, non devono più prevalere le contrapposizioni e i conflitti>>. E con questo scopo, auspica la Marcegaglia, il governo deve convocare presto un tavolo <<con tutte le forze politiche e sociali>>.

*L’assessorato regionale al Lavoro della Puglia La crisi occupazionale lanciata in maniera clamorosa dalla Confindustria che prevede, entro metà del 2009, la perdita di 600 mila posti di lavoro non trova impreparata la Regione. Secondo quelle dell’assessorato regionale al Lavoro della Puglia, nel territorio ci sono quasi novecentomila contratti precari (compresi i contratti stagionali), e un tasso di occupazione del 47,4%. A questo si aggiunge la recente cassa integrazione per 4.000 dipendenti Ilva, oltre a quella per i 3.000 impiegati alla Fiat (indotto escluso). Un numero eclatante che denuncia una regione che ha radici precarie dal punto di vista occupazionale. Più dettagliatamente spiega l’assessore regionale al Lavoro: <<In Puglia, se si escludono i contratti stagionali, ci sono circa 266 mila unità che hanno un qualche contratto precario, di questi 148 mila sono operai agricoli. Quindi, ci sono ogni giorno 120 mila lavoratori precari in questa regione. Questo vuol dire che sul lotto complessivo degli occupati, c’è un 10% di precari e se aggiungiamo anche quelli agricoli il tasso sale di parecchio. In pratica, un pugliese su 5 è in condizione di precarietà. Siamo di fronte al fenomeno della precarietà di massa. Questo rapporto di 5 a uno è così alto che la teoria di Confindustria di lunghi periodi di prova cui seguono rapporti indeterminati non tiene. Siamo di fronte a una successione di ripetuti contratti a termine nell’anno. O come dicono gli economisti alla trappola della precarietà: la precarietà che succede alla precarietà. Senza contare il lavoro nero>>. Ecco ora in dettaglio i dati forniti dall’assessorato.

La provincia di Bari dal 1° gennaio 2008 ha 386.147 contratti precari. Più di 8.000 sono contratti <<di inserimento lavorativo>> (che va dai 9 ai 18 mesi) e interessa giovani di età compresa tra i 18 e i 29 anni; disoccupati di lunga durata; lavoratori con più di 50 anni e donne (per la provincia di

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Il Sistema Puglia 115

Bari il doppio rispetto agli uomini). Appena duemila sono i lavoratori a domicilio a tempo indeterminato. 30 mila i lavoratori a progetto, 165 mila i lavoratori a tempo determinato. Sono 1.400 i lavoratori interinali a tempo determinato e circa 3.700 quelli occasionali. Altissima la percentuale dei lavoratori stagionali in agricoltura: 166 mila, che si riducono ad appena 45 mila passata la piena dei raccolti e della semina. Confermando il dato Istat che i beneficiari della disoccupazione agricola si concentrano in 4 regioni: Calabria, Campania e soprattutto Puglia e Sicilia, arrivando a coprire circa il 78% del totale nazionale. Sottratti gli stagionali in agricoltura e i lavoratori impiegati nel turismo, i lavoratori precari in provincia di Bari risultano 91.200. In provincia di Taranto, dall’inizio dell’anno i precari risultano 182.372, la gran parte concentrati in agricoltura (91.079) e lavoratori saltuari (72.544). Attualmente sottratti gli stagionali che, nel frattempo sono diventati disoccupati, il totale è di 47.156.

In provincia di Foggia i precari dall’inizio dell’anno sono 179.582 concentrati per la gran parte in lavoratori a tempo determinato (circa 75 mila) e stagionali in agricoltura (93 mila). Oggi, sottratti gli stagionali, ammontano a quota 48.890. In provincia di Brindisi da gennaio 2008 sono 94.803, concentrati anche qui soprattutto in agricoltura (45 mila circa) e a tempo determinato (41 mila). Al netto degli stagionali, oggi siamo a quota 26.040.

In provincia di Lecce, da gennaio 2008 siamo a quota 116.757 con punte in agricoltura (49 mila) e a tempo determinato (59 mila). Ad oggi, venute meno le quote degli stagionali, siamo a 53.798 unità lavorative che non godono di un lavoro stabile. Per sintesi, da gennaio ad oggi (16 dicembre 2008) in Puglia si passa da oltre 900 mila unità precarie (compresi gli stagionali) a 266 mila unità. La differenza è costituita, nella stragrande maggioranza dei casi, da disoccupati, difatti raramente il rapporto di lavoro si è trasformato in assunzione piena. Terminato il contratto a progetto che dura due o tre mesi, il precario diventa disoccupato o nuovamente precario. E la Puglia, fra le regioni del Sud, è la più fortunata.

LA GEOGRAFIA DEI POSTI IN PERICOLO

Bari Brindisi

Contratto di inserimento lavorativo 8.257 Contratto di inserimento lavorativo 830

Lavoro a domicilio a tempo determinato 1.966 Lavoro a tempo determinato 41.832

Lavoro a progetto 29.628 Lavoro a domicilio a tempo determinato 484

Lavoro a tempo determinato 167.794 Lavoro a progetto 3.927

Lavoro a tempo deter. per sostituzione 6.976 Lavoro a tempo deter. per sostituzione 1.533

Lavoro in agricoltura a tempo determinato 166.366 Lavoro in agricoltura a tempo determinato 44.603

Lavoro interinale a tempo determinato 1.420 Lavoro occasionale 1.584

Lavoro occasionale 3.720 TOTALE 94.803

TOTALE 386.147

Foggia Lecce

Contratto di inserimento lavorativo 1.168 Contratto di inserimento lavorativo 1.327

Lavoro a domicilio a tempo determinato 1.197 Lavoro a progetto 5.349

Lavoro a progetto 5.666 Lavoro a tempo determinato 59.196

Lavoro a tempo determinato 74.465 Lavoro in agricoltura a tempo determinato 49.206

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La crisi economico-finanziaria

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Lavoro a tempo deter. per sostituzione 1.561 Lavoro interinale a tempo determinato 1.324

Lavoro in agricoltura a tempo determinato

92.915 Lavoro occasionale 355

Lavoro interinale a tempo determinato 17 TOTALE 116.757

Lavoro occasionale 2.537

TOTALE 179.582

Taranto

Contratto di inserimento lavorativo 2.106

Lavoro a domicilio a tempo determinato 782

Lavoro a progetto 9.566

Lavoro a tempo determinato 72.544

Lavoro a tempo deter. per sostituzione 3.387

Lavoro in agricoltura a tempo determinato 97.079

Lavoro interinale a tempo determinato 1.033

Lavoro occasionale 1.375

TOTALE 182.372

TOTALE REGIONALE 959.661

I segretari generali pugliesi di Cgil, Cisl e Uil (Giovanni Forte, Giulio Colecchia e Aldo Pugliese) hanno esaminato i dati allarmanti diffusi dall’assessorato al Lavoro sostenendo che mettere in discussione l’esistenza lavorativa di 900 mila precari significa alimentare il sommerso e abbattere i principi di legalità. Un aspetto che la Puglia non può sostenere. La strategia, invece, deve essere quella di affrontare la crisi con ammortizzatori sociali, incentivi alla riconversione e formazione professionale. Le cifre, fatte conoscere dall’assessorato, evidenziano come la recessione debba ancora mostrare i risvolti più bui. Conferma il presidente regionale di Confindustria Nicola De Bartolomeo: <<Se non ci saranno piani di sostegno alle imprese è logico che faremo a meno dei collaboratori precari. La situazione è drammatica anche per colpa delle banche>>. E i precari sono le vere vittime: centinaia di lavoratori a tempo determinato, lavoratori somministrati, interinali, weekendisti sono i primi a vedersi chiudere i cancelli della fabbrica alle spalle. La maggior parte dei contratti atipici è scaduta a fine dicembre, altri scadranno fra poche settimane. Il responsabile del Nidit (nucleo nuove identità di lavoro) della Cgil dice che si tratta di un migliaio di persone, ma il numero potrebbe essere destinato a crescere. Alla Magneti Marelli sono 200 i dipendenti atipici i cui contratti non saranno rinnovati. A questi vanno aggiunti tutti i precari della Bosch, della Brovedani, della Bridgstone, solo per rimanere nel settore automobilistico. Ma è in tutti i settori che la situazione è fortemente critica, tranne in quelli in espansione (come in particolare quello energetico). Dal 1° gennaio, per esempio, il numero verde attivato dalla Regione Puglia per permettere ai cittadini di denunciare ogni problema legato alla sanità e alle strutture sanitarie squilla a vuoto: i trenta lavoratori somministrati da Tecnopolis per tenere attivo il servizio sono stati mandati a casa. Dovevano scadere il 31 gennaio 2009 circa 200 contratti a progetto, del call center di Modugno Omnianetwork: sono stati invece prorogati. Dice il sindacato che l’azienda ha trovato più

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Il Sistema Puglia 117

conveniente allungare, non si sa ancora per quanto, invece che pagare le tredicesime ai dipendenti. E poi ci sono le situazioni delle piccole e piccolissime imprese: quelle strette dalla morsa delle banche che se non possono permettersi di mandare a casa i collaboratori non possono nemmeno pagare loro lo stipendio. Una speranza è riposta nella promessa, fatta dal governo, di ammortizzatori sociali per chi non ne ha. Il sindacato è certo che se mai saranno estesi anche ai precari, solo in provincia di Bari la cosa potrebbe riguardare almeno cinquemila persone.

*La situazione del precariato secondo la Cgia di Mestre La situazione del precariato ci è offerta in cifre dalla Cgia di Mestre. E’ un esercito in continua crescita, a settembre del 2008 ha raggiunto il numero di 2.812.700, il 12% della forza lavoro complessiva in Italia (quasi 20 milioni). In grande maggioranza operano nel Sud (il 33,4%) ma la tipologia è in netto aumento anche nel Settentrione. Dal 2004 i lavoratori precari sono cresciuti del 16,9%, ben cinque volte in più dell’incremento registrato dai lavoratori dipendenti a tempo indeterminato cresciuti, nello stesso periodo, del 3,1%. La Cgia ha analizzato il mercato del lavoro concentrando l’attenzione sui cosiddetti flessibili, una categoria costituita dai dipendenti a tempo determinato (che include anche gli ex lavoratori interinali), da lavoratori assunti con collaborazioni coordinate e continuative a progetto e da portatori d’opera occasionali. La maggior presenza di precari al Sud è dovuta al fatto che in quell’area sono più diffusi le attività stagionali, per loro natura portate a richiedere contratti a tempo determinato. E’ il caso dell’agricoltura, del turismo, della ristorazione e del settore alberghiero. Non va dimenticato, inoltre, che una buona parte di questi precari è assunta nel pubblico, un serbatoio occupazionale molto significativo nel Mezzogiorno.

Se i 940.400 precari occupati nel Sud sono il 33,4% del totale nazionale, a Nord-Ovest sono 692.600 (24,6%, nel Centro 606.000 (21,5%) e nel Nord-Est 573.700 (20,4%). Analizzando l’orario medio settimanale di alcune di queste figure, se un co.co. pro. mediamente ogni settimana lavora 31 ore, un prestatore d’opera occasionale è occupato per 23,

contro una media settimanale di un operaio assunto a tempo indeterminato pari a 37 e di un impiegato sempre con il posto fisso pari a 35.

<<La cosa interessante – dice la Cgia nel suo studio – è notare come tra gli impiegati e gli operai con un posto di lavoro stabile oltre il 50%, cioè 7.669.000 occupati su un totale di 15.181.000 lavora effettivamente più di 40 ore settimanali contro una media delle due categorie messe assieme pari a 36. Almeno in linea teorica ci sono le condizioni di ragionare sull’ipotesi di introdurre la settimana corta in funzione anti-crisi>>. <<Quando parliamo di precariato, – commenta il segretario generale della Cisl Puglia – al di là dei giudizi che si possono dare sulla formula, è bene mettere in chiaro che una cosa è avere il lavoro a tempo determinato nel Nord, altra è averlo nel Sud. Nel primo caso si è comunque all’interno di un sistema produttivo, che anche quando deve fronteggiare una crisi, manifesta la sua vitalità e offre opportunità e alternative a chi cerca lavoro. Nel Sud, invece, la precarietà è quasi sistemica e senza speranza, con il concreto rischio che da precario si possa marcire>>. <<Dire che dobbiamo puntare sullo sviluppo – aggiunge il segretario generale Colecchia – è una frase fatta che non mi va di ripetere: certo è che la Puglia e il Mezzogiorno devono puntare su scelte economiche che mettano in moto investimenti su infrastrutture, ricerca e formazione professionale legata al sistema produttivo. Devono, soprattutto, rivendicare scelte politiche capaci, come ha chiesto lo stesso presidente Napoletano nel messaggio di fine anno, di esaltare la centralità dello sviluppo del Mezzogiorno come condizione per lo sviluppo dell’intero Paese>>.

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La crisi economico-finanziaria

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*Precari in tutti i settori Vi sono altre vittime della crisi che, in genere, non vengono mai analizzate perché di difficile individuazione: il lavoro grigio, non lavoro retribuito in nero, né occupazione precaria, ma forse a maggior rischio, perché può scomparire all’improvviso, appena si spezza la sottile complicità tra datore di lavoro e dipendente. La parte debole è consapevole del proprio sfruttamento e lo accetta per sopravvivere. Sono situazioni, senza generalizzare, presenti ovunque: le commesse dei negozi, le cassiere del supermercato, i banconisti, i baristi, ma anche i braccianti, i muratori. Al sindacato Cgil arrivano storie di lavoro grigio ormai da tutti i settori, commercio, servizi, agricoltura, edilizia. Negli ultimi quattro-cinque anni è cresciuto in maniera impressionante, dicono sempre al sindacato, il numero di lavoratori che percepiscono retribuzioni inferiori a quelle segnate sulla busta paga e che accettano questa situazione come alternativa alla disoccupazione. Il fenomeno interessa il nostro territorio, ma in quale misura è difficile quantificare. Certo vi è il numero delle vertenze messe in atto, ma è solo una sparuta minoranza che vi ricorre. E proprio da queste il sindacato trae una casistica. A chi va bene capita di portare a casa il 70 per cento di ciò che è scritto sulla busta, ma non sempre è così. A molti lavoratori viene chiesto di pagarsi in proprio i contributi. Molte lavoratrici in maternità devono dividere a metà il proprio stipendio con il datore di lavoro. Le donne, soprattutto se sono alla loro prima occupazione, sono fra le più esposte al rischio sfruttamento. Tra i 20 e i 30, assicura il sindacato, si verifica la maggior parte degli episodi di lavoro grigio. Certo i tempi lunghi della Giustizia scoraggia le denunce. Non a caso aziende e datori lavoro sono meno propensi ad arrivare ad una transazione di quanto non lo fossero in passato, attendono che il contenzioso faccia il proprio corso, fino ai decreti ingiuntivi. Tanto il superlavoro dei tribunali li rassicura. Eppure senza i lavoratori in grigio tante attività non andrebbero avanti. Rispetto a dieci anni fa ci sono più denunce e, nel caso dei supermercati, anche più controlli, ma il turnover dei lavoratori sfruttati è diventato anche più veloce. Pizzerie, ristoranti, pub sono fra gli esercizi commerciali in cui è più frequente la presenza di queste situazioni illegali, ma nonostante le vertenze: via un lavoratore in grigio ce n’è subito un altro pronto ad accettare condizioni anche peggiori. Il ricatto della disoccupazione e del licenziamento l’ha sempre vinta.

*La riduzione degli occupati nelle grandi imprese secondo l’Istat Fine d’anno drammatica per l’industria italiana. La riduzione degli occupati colpisce forte ormai le grandi imprese. Per l’Istat a ottobre le aziende con oltre 500 lavoratori perdono 1,1 posti ogni cento. La riduzione è valutata rispetto allo stesso mese (ottobre) del 2007. Le imprese l’hanno attivata per 13,3 ore di lavoro ogni mille ore. La crescita è di 4,9 rispetto sempre a ottobre 2007.

Colpiscono i tagli di alcune aree. Senza contare i cassintegrati, sparisce il 7,4% dei posti nelle industrie tessili e dell’abbigliamento; il 4,7 in quelle che producono apparecchi meccanici; il 3,7 per il comparto energia, gas e acqua. In questo clima, mentre alcuni italiani vanno a casa ed altri stringono la cinghia, anche i prezzi di fabbrica si asciugano. Il calo è dell’1,6 per cento, come non si vedeva da 28 anni: sono costretti a sconti forzati soprattutto i ‘fabbricanti’ di energie e metalli. L’ex ministro Cesare Damiano torna a chiedere aiuti per il settore automobilistico, <<volano fondamentale per l’occupazione e l’innovazione>>. Susanna Camuso (della Cgil) si augura un atto di sincerità del governo: ammetta la crisi dell’economia reale, negata ancora a novembre. Cristina Ricci (dell’Ugl) pensa invece all’anello davvero debole della catena, ai precari. Mentre si moltiplicano i contratti atipici vanno subito adeguati i paracadute e gli ammortizzatori sociali.

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Il Sistema Puglia 119

L’occupazione nelle grandi imprese

Valori percentuali da ottobre 2007 a ottobre 2008

Variazioni tendenziali

Lordo C.i.g Netto C.i.g

ott. 2007 0,5 0,6

nov. 2007 0,7 0,8

dic. 2007 0,3 0,3

genn. 2008 0,2 0,2

febbr. 2008 0,3 0,4

mar. 2008 0,2 0,2

apr. 2008 0,0 0,2

magg. 2008 -0,1 0,0

giu. 2008 -0,3 -0,2

lug. 2008 -0,3 -0,3

ago. 2008 -0,7 -0,5

sett. 2008 -0,2 -0,4

ott. 2008 -0,5 -1,1

*I dati Inps I nuovi dati dell’Inps a dicembre 2008, parzialmente anticipati dal ministro Sacconi, offrono un quadro completo, ma non esaustivo, dell’esplosione della cassa integrazione.

A dicembre, rispetto all’anno prima, il ricorso complessivo alla cassa integrazione del settore industriale ed edile è aumentato del 110,28%, con una crescita della cig ordinaria che è aumentata del 525%. La cig straordinaria è invece diminuita, sempre a dicembre 2008 rispetto a dicembre 2007, dell’11,6%. Nel corso di tutto il 2008 la media di incremento nel ricorrere alla cig (gestione industria più edilizia) è stata del 24,56% superiore al 2007 (+27,4% solo per l’industria). In totale, si sono toccate i 223 milioni di ore. Quelle autorizzate come cassa integrazione ordinaria (cigo, gestione industria) sono quasi raddoppiate nel corso dell’anno (+96,84% è l’aumento medio tra gennaio e dicembre). Mentre il ricorso alla cassa straordinaria (cigs, gestione industria) si conferma sui livelli del 2007 (l’incremento medio dei dodici mesi del 2008 è dell’1,24%).

*Anche gli impiegati Fiat in cassa integrazione Tornando a dicembre: l’aumento della cig ordinaria si è verificato essenzialmente nel settore meccanico, dove peraltro è noto il ricorso alla cig della Fiat. Su 17,700 milioni di ore di cigo al mese, infatti, ben 11,2 milioni sono imputabili al solo settore meccanico. Ma l’impressione è che non ci si fermerà qui. A conferma, nelle prime due settimane di febbraio anche gli impiegati di Fiat group automobiles e Powertrain dell’area torinese. Così ha comunicato l’azienda ai sindacati, precisando che si tratta di circa 1.200 impiegati di Mirafiori e del settore costruzioni speciali e 800 di Mirafiori e Stura di Powertrain. Il provvedimento fa seguito <<alle conseguenze della crisi che sta coinvolgendo anche il settore impiegatizio>> dopo le misure già previste per gli operai di tutto il gruppo. Complessivamente i dipendenti amministrativi, commerciali e tecnici, sono 5 mila. E’ la terza volta che l’azienda utilizza la cassa integrazione per gli impiegati: la prima volta nel 1994 e poi nel 2005. Non si sa chi finirà in cassa. Lo sapranno mezz’ora prima di uscire venerdì 30

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La crisi economico-finanziaria

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gennaio quando il capetto di turno chiamerà uno a uno per comunicarlo. La verità è che in questa realtà (quella impiegatizia) la storia sembra bussare di nuovo ai cancelli della grande fabbrica di Torino: due settimane di cassa a partire dal 2 febbraio per circa mille impiegati della Fiat Auto (su 5.500) e 650 della Powertrain (su 1.500). Mentre è del 13 gennaio la notizia che 1.200 impiegati dell’Iveco andranno in cig per due settimane dal 9 al 22 febbraio. E quando la cig tocca agli impiegati la storia insegna che in ufficio qualcuno non ci torna più. L’impressione che serpeggia tra gli uffici è che questa sia soltanto la prima di tante quindicine che andranno avanti fino a quando passerà la buriana,o peggio fino a quando si parlerà di tagli. Spaventa la cassa tra i colletti bianchi, perché nessuno sa quando gli toccherà. Infatti, un lavoratore che fa la Punto, un po’ se l’aspetta se vede che la Punto non si vende. Ma se sei impiegato e stai nella logistica e ne tolgono uno su quattro, chi è colpito non riesce mai a capire perché a lui si e a un altro no. In cassa il tetto dell’indennità è di 850 euro al mese. La media retributiva può essere 1.700 euro, ma può anche accadere di restare a casa chi ha uno stipendio di 5 mila euro. Sullo sfondo di questo non piacevole panorama c’è, tra l’altro, l’ipotesi di un partner, allora la prospettiva diventa nera. La Fiat potrà mettere sul piatto di un eventuale partneariato soprattutto la sua capacità produttiva, sparsa in vari paesi. I settori impiegatizi paiono esorbitanti. E se questo avverrà saranno dolori.

*L’allarme dei sindacati pugliesi La situazione, che i sindacati hanno ampiamente previsto, suona comunque come l’ennesimo campanello d’allarme. Sono dati <<molto pesanti>> ma non irreversibili, secondo la Cisl: bisogna evitare che <<la crisi peggiori ulteriormente causando tracolli industriali, licenziamenti, disoccupazione>>, dice il segretario confederale Giorgio Santini. Le azioni necessarie sono sostanzialmente due: estendere i sostegni al reddito a favore dei lavoratori di tutte le categorie e settori produttivi nonché politiche decise a contrastare la recessione; accompagnare il tutto verso la riduzione contrattata dell’orario, ripartendo ill lavoro in: contratti di solidarietà, settimana corta, cig a rotazione.

Questa è la richiesta al governo <<di fare di più sulle politiche di sviluppo: con il coinvolgimento delle parti sociali, deve agire in modo concreto e tempestivo>>.

Tuttavia la convinzione diffusa tra gli economisti è che la crisi avrà un impatto crescente sull’economia reale nel primo semestre del 2009. In più i dati sulla cassa integrazione non registrano i contratti a tempo determinato che, alla fine del 2008, non sono stati più rinnovati.

La cassa integrazione nell’industria

In ore

dicembre 2007 dicembre 2008 var. % 2007-2008

CASSA INTEGRAZIONE ORDINARIA 3.224.659 20.180.496 +525,82

Operai 2.875.693 17.752.494 +517,33

Impiegati 348.966 2.428.002 +595,77

CASSA INTEGRAZIONE STRAODINARIA 9.043.290 7.993.796 -11,61

Operai 7.517.705 6.062.751 -19,35

Impiegati 1.525.585 1.931.045 +26,58

TOTALE 12.267.949 28.174.292 +129,66

<<Sarà un anno difficile quello appena iniziato>>, questo è il giudizio espresso dalla Uil-Puglia nella conferenza stampa d’inizio anno. Aldo Pugliese, segretario regionale dell’organizzazione, ha parlato della situazione occupazionale ed economica, dell’opera <<in chiaroscuro della giunta regionale>> oltre che della ritrovanda unità sindacale>>.

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Il Sistema Puglia 121

Ha proseguito segnalando <<La crisi non lascia indenne la Puglia che è colpita nell’economia reale. Impietosi sono i dati delle aziende in difficoltà e che hanno chiesto la cassa integrazione. In Puglia sono oltre 20 mila i lavoratori in cig: nel barese, ad esempio, riguarda 5397 lavoratori, nel tarantino 3795, i 1894 del foggiano, 990 nel leccese e 141 nel brindisino>>. <<Questi sono numeri per difetto – ha aggiunto – in quanto possiamo solo stimare in 25 mila unità le piccole-piccolissime imprese che hanno chiuso e dobbiamo tener presente che il lavoro nero in Puglia si attesta oltre il 20 per cento. Ricordo, poi, che anche il 2008 è stato un anno funesto per la sicurezza sul lavoro e stragi bianche>>. Servono, secondo Pugliese, <<nuovi strumenti di politica sociale da inserire in un quadro di tutele, anche per i precari>>. Il tutto <<riducendo l’orario settimanale di lavoro ma a patto che sia assicurato il salario percepito attualmente>>.

Critica la reale efficacia di misure quali il <<bonus famiglie, che avrebbe dovuto avere una portata più ampia>> e bolla la ‘social card’ più <<una processione di tanti adempimenti che non una fila per gli acquisti>>. La Puglia e il Sud sono più poveri perché si sta assottigliando di giorno in giorno la quota di Fondi Fas (per le aree sottoutilizzate) destinati alla crescita dell’area meridionale del Paese. <<Tra somme destinate agli sgravi Ici, ai contributi per Roma e Catania, all’integrazione al servizio sanitario nazionale,all’emergenza rifiuti in Campania e alle grandi infrastrutture per le regioni del Centro e del Nord>> le poste destinate alle aree geografiche che ne avrebbero diritto si vanno assottigliando.

Se poi i trasporti, in particolare il caso Alitalia, sono stati motivo di rottura dell’unità sindacale, ecco che proprio sulle questioni delle misure per uscire dalla crisi, dalla Puglia potrebbe ripartire il dialogo per una nuova stagione di unità dell’azione di Cgil, Cisl e Uil.

*Ufficio Studi Confcommercio Le condizioni del mercato del lavoro in Puglia e nelle sue province, sostiene l’Ufficio Studi della Confcommercio, evidenziano <<un contesto di base ancora critico>>. Nel 2007 la propensione al lavoro della popolazione attiva, misurata dal tasso di attività, è stata del 53% circa (62% il dato nazionale); resta elevato il tasso di disoccupazione regionale (11,2% nel 2007 contro il 6,1% nazionale). Nonostante il lento sviluppo produttivo, tra il 2000 e il 2008 il numero degli occupati è cresciuto, passando da un milione 235.000 unità a un milione 287.000 unità (+52.000 unità, pari al 4,2%). L’occupazione della regione è concentrata nei servizi, compresi quelli della pubblica amministrazione (66%); valori più ridotti riguardano l’industria (25,4%) e l’agricoltura (8,5%).

Gli occupati per macro settori

valori in migliaia

Puglia Sud Italia

2000 % 2008 % 2000 % 2008 % 2000 % 2008 %

Agricoltura 142 11,5 109 8,5 492 7,9 434 6,7 1.014 4,8 895 3,8

Industra 303 24,6 327 25,4 1.452 23,3 1.504 23,2 6.575 31,0 6.955 29,7

Servizi 790 63,9 851 66,1 4.279 68,8 4.543 70,1 13.621 64,2 15.555 66,5

Totale economia 1.235 100,0 1.287 100,0 6.222 10,0 6.482 100,0 21.210 100,0 23.405 100,0

Fonte: Elaborazione Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat e Movimprese

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La crisi economico-finanziaria

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*Osservatorio del Dipartimento Settori Produttivi (Industria, Agricoltura, Artigianato) della CGIL Nazionale Per dare visivamente la dimensione dell’aumento delle ore di Cig siamo ricorsi allo studio che ha fatto l’Osservatorio nazionale della Cgil. Ebbene, in 16 regioni su 20 si è registrato un aumento delle ore totali, mentre l’aumento della sola Cassa integrazione ordinaria si è verificato su tutte le regioni. Più in dettaglio lo studio ci dice che in 14 regioni su 20 l’aumento è stato di oltre l’80% sul 2007, con le percentuali più alte in Basilicata (+530,50%), nella Sardegna (+170,07%), in Emilia Romagna (+159,52%), in Friuli (+140,86%), in Campania (+145,62%), nel Lazio (+119,53%), in Piemonte (+103,92%), in Lombardia (+91,84%), in Veneto (+91,97%), in Umbria (+97,92%), le rimanenti regioni si attestano su percentuali che vanno dal 30% al 45%. Altra dimensione assume il ricorso alla Cassa integrazione straordinaria che aumenta dell’1,24% rispetto al 2007 per un totale di ore pari a 109.880.891. Le regioni con il più alto ricorso a questo tipo di Cassa sono: le Marche con un +151,27, l’Umbria con +85,66%. Nelle altre regioni si varia dall'1% al 47%. Si registra, comunque, una riduzione: in Piemonte (-8,11%), in Liguria (-8,21%), nel Lazio (-16,29%), in Abruzzo (-39,64%) e in Calabria (-18,84).

Per differenza nella somma della Cassa integrazione guadagni ordinaria e della Cassa integrazione guadagni straordinaria, solo in quattro regioni resiste il segno positivo per una riduzione delle ore di Cig utilizzate e sono: Abruzzo (-15,99%(, Calabria (-14,37%), Liguria (-4,10%) e Valle d’Aosta (-0,65%). Le altre regioni registrano un aumento della Cig con punte estreme in Basilicata (152,73%), Marche (126,78%), e Umbria (88,97%), nelle altre le percentuali di aumento vanno dall’11% alo 71%.

Da tutti questi dati l’Osservatorio trae una sua analisi: <<Da una parte che la caduta della domanda è verticale si riflette in modo omogeneamente negativo su tutti i settori e su tutte le regioni, senza eccezioni significative. Dall’altra che anche in una dimensione di difficoltà generale e condivisa da tutte le regioni c’è qualche regione che risente più della crisi in quanto c’è una maggiore concentrazione di settori più in crisi di altri, dove ad una crisi della domanda si aggiungono aziende anche in crisi di ordine strutturale e di prospettiva, come nel settore del Legno o della Meccanica e della Chimica>> Noi, da questo studio, riporteremo le tabelle che interessano la Puglia, in modo che si possa meglio apprezzare la situazione del nostro apparato produttivo.

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Il Sistema Puglia 123

Confronto CIGO – CIGS per Regione Valori cumulati da Gennaio a Dicembre 2008

Differenza Totale CIGO – CIGS

2007 - 2008

CIGO CIGS GENN. DIC.

REGIONI 2007 2008 Var.

%

2007 2008 Var.

%

2007 2008 Differ. %

Piemonte 8.111.216 16.540.573 103,92 18.792.431 17.367.862 -8,11 26.903.647 33.808.435 6.904.788 25,66

Valle d’A. 123.641 233.663 88,99 457.748 343.965 -24,86 581.389 577.628 -3.761 -0,65

Lombardia 11.112.371 21.318.170 91,84 21.158.237 21.143.354 -0,07 32.270.608 42.461.524 10.190.916 31,58

Liguria 534.878 627.337 17,29 2.784.280 2.555.801 -8,21 3.319.158 3.183.138 -136.020 -1,10

Trentino AA 257.754 629.882 144,37 628.104 511.672 -18,54 885.858 1.141.554 255.696 28,86

Veneto 2.375.110 4.559.595 91,97 6.740.695 8.670.190 28,62 9.115.805 13.229.785 4.113.980 45,13

Friuli V.G. 360.690 868.769 140,56 1.754.581 2.591.557 47,70 2.115.271 3.460.326 1.345.055 63,59

Emilia R. 1.164.789 3.022.888 159,52 2.581.903 3.390.443 31,32 3.746.692 6.413.331 2.666.639 71,17

Toscana 1.539.903 2.209.109 43,46 3.714.002 3.959.252 6,60 5.253.905 6.168.361 914.456 17,41

Umbria 256.669 506.214 97,22 639.846 1.187.958 85,66 896.515 1.694.172 797.657 88,97

Marche 858.609 1.595.695 85,85 1.435.134 3.606.609 151,27 2.293.743 5.201.704 2.907.961 126,78

Lazio 2.436.727 5.349.426 119,53 9.615.258 8.048.623 -16,29 12.051.985 13.398.049 1.346.064 11,17

Abruzzo 1.209.944 2.213.246 82,92 5.060.793 3.054.544 -39,64 6.270.737 5.267.790 -1.002.947 -15,99

Molise 192.944 282.654 46,46 380.715 385.987 1,38 573.709 668.641 94.931 16,55

Campania 2.422.280 5.949.688 145,62 14.431.120 13.927.882 -3,49 16.853.400 19.877.570 3.024.170 17,94

Puglia 4.176.568 6.244.609 49,52 6.078.916 6.140.851 1,02 10.255.484 12.385.460 2.129.976 20,77

Basilicata 531.890 3.353.577 530,50 1.694.365 2.272.726 34,13 2.226.255 5.626.303 1.400.048 152,73

Calabria 358.617 430.663 20,09 2.761.904 2.241.481 -18,84 3.120.521 2.672.144 -448.377 -14,37

Sicilia 1.936.669 2.619.074 35,24 3.915.568 3.939.353 1,12 5.852.237 6.578.427 726.190 12,41

Sardegna 142.922 385.984 170,07 3.905.385 4.621.381 18,33 4.048.307 5.007.365 959.058 23,69

TERRIT. N.LE 40.104.241 78.940.816 96,84 108.530.985 109.880.891 1,24 148.635.226 188.821.707 40.186.481 27,04

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La crisi economico-finanziaria

124

Regione Puglia Gennaio Dicembre 2007 2008

Attività econ. Connesse con

l’agric

Estraz. minerali

metalliferi e non

Legno Alimentari Metallurgiche Meccaniche Tessili Vestiario,

abbigliamento e arredamento

Chimiche Pelli e cuoio

2007 2008 2007 2008 2007 2008 2007 2008 2007 2008 2007 2008 2007 2008 2007 2008 2007 2008 2007 2008

Cigo 1.232 688 - - 194.666 1.331.397 94.675 111.906 6.880 52.826 652.762 243.845 89.403 139.526 370.221 514.749 56.774 72.612 333.213 506.126 Bari

Cigs - - - 2.080 281.499 665.226 204.331 183.382 - - 208.398 201.688 495.853 170.784 262.380 283.909 49.099 82.285 170.052 242.268

Cigo 375 445 - 96 1.034 10.289 - 20.549 491 668 82.724 104.725 - - 68.725 82.940 21.786 7.326 - 9.892 Brindisi

Cigs - - - - - - - - - - 96.620 38.402 - - 85.939 - 8.293 - - -

Cigo - - 2.572 2.178 5.038 2.863 320 20.379 11.500 35.202 157.678 122.491 6.560 14.720 15.681 5.386 13.309 46.876 - - Foggia

Cigs - - - - - - 87.378 42.508 - - 10.600 33.688 - - - - - - - -

Cigo - - - - 45.488 29.509 9.654 3.745 - 9.939 44.965 275.780 131.641 55.978 293.323 573.698 3.144 23.173 628.835 760.770 Lecce

Cigs - - - - - - 39.520 - - - 127.169 38.328 - - 4.000 - - - 558.340 1.099.202

Cigo - - - - 7.032 92.043 - - 88 2.920 76.341 71.388 5.029 158.358 361.388 267.101 456 13.260 - - Taranto

Cigs - - - - 28.999 193.325 - 4.056 170.048 164.828 828.179 785.343 78.855 18.576 - 104.484 19.616 17.768 - -

Cigo 1.607 1.133 2.572 2.774 253.258 1.466.101 104.649 156.579 18.959 98.555 1.014.470 818.229 232.633 368.582 1.109.338 1.443.874 95.469 163.247 962.048 1.276.788 Puglia

Cigs - - - 2.080 310.498 858.551 331.229 229.946 170.048 164.828 1.270.966 1.097.449 574.708 189.360 352.319 388.393 77.008 100.053 728.392 1.341.470

Cigo -474 -29,50% -298 -

11,59% 1.212.843 478,90% 51.930 49,62% 79.596 419,83% -196.241 -19.340% 135.949 58.44% 334.536 30.16% 67.774 70.99% 314.740 32.72% Differenza

Cigs - - 2.080 - 548.053 176,51% -101283

-30,58% -5.220 -3,07% -173.517 -13.65% -

385.348 -67.05% 36.074 10.24% 23.045 29.93% 613.078 84.17%

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Il Sistema Puglia 125

Regione Puglia Gennaio Dicembre 2007 2008

Trasformazione minerali

Carta e poligrafiche Edilizia

Energia elettrica e

gas

Trasporti comunicazioni Varie Tabacchicoltura Commercio Totale Differenza

2007 2008 2007 2008 2007 2008 2007 2008 2007 2008 2007 2008 2007 2008 2007 2008 2007 2008 2007 2008

Cigo 49.300 61.022 37.988 42.812 74.520 95.283 - - 2.800 21.752 640 3.362 - - - - 1.965.074 3.197.906 1.232.832 62.74% Bari

Cigs 270.908 91.240 199.158 95.248 470.854 316.883 - - 111.128 90.693 - 8.154 - - 173.692 25.173 2.897.352 2.459.013 -438.339 -15.13%

Cigo 444 271 - - 6.227 5.898 - - 2.108 - 2.890 - - - - - 186.804 243.099 56.295 30.14% Brindisi

Cigs - - 4.143 - 82.136 52.632 - - 51.058 44.501 3.309 - - - 3.079 14.891 334.577 150.426 -184.151 -55.04%

Cigo 23.655 13686 175 715 64.972 67.502 24 - 1.350 564 - - - - - - 302.834 329.526 26.728 8.83% Foggia

Cigs - -- - - 109.384 47.528 - - 113.712 91.885 - - - - - 1.248 321.074 216.857 -104.217 -32.46%

Cigo 8.286 10.969 1.968 21.308 53.052 41.490 - - 1.560 - 19.035 8.280 - - - - 1.240.951 1.814.639 573.688 46.23% Lecce

Cigs - - 5.376 1.644 64.944 82.912 - - 10.682 12.450 - - - - 3.927 47.738 813.958 1.282.274 468.316 57.54%

Cigo 4606 22.286 5.147 3.544 20.708 28.059 - - 110 444 - - - - - - 480.905 659.403 178.498 37.12% aranto

Cigs 16.984 11.520 9.360 3.554 108.280 116.200 - - 83.236 71.140 53.421 19.082 - - 314.977 522.405 1.711.955 2.032.281 320.326 18.71%

Cigo 86.291 108.243 45.278 68.379 219.479 238.232 24 - 7.928 22.760 22.565 11.642 - - - - 4.176.568 6.244.609 2.068.041 49.52% Puglia

Cigs 287.892 102.760 218.037 100.446 835.598 616.155 - - 369.816 310.669 56.730 27.236 - - 495.675 611.455 6.078.916 6.140.851 61.935 1.02%

Cigo 21.943 25.43% 23.101 51.02% 18.753 8.54% - - 14.832 187.08% -10.923

-48.41% - - - -

Differenza Cigs -

185.132 -

64.31% -

117.591 -

53.93% -

219.443 -

26.26% - - -59.147 -15.99% -29.494

-51.99% - - 115.780 23.36%

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P U G L I A

Prospetto ore di Cassa Integrazione Cigo – Cigs

Dicembre 2008

CIGO CIGS TOTALE Attività econ. connesse con l’agricoltura 1.133 1.133

Estraz. minerali metalliferi e non 2.274 2.080 4.354

Legno 1.466.101 858.551 2.324.652

Alimentari 156.579 229.946 386.525 Metallurgiche 98.555 164.828 263.383

Tessili 818.229 1.097.449 1.915.678

Meccaniche 368.582 189.360 557.942

Vestiario abbigliamento e arredamento 1.443. 874 388.393 1.832.267 Chimiche 163.247 100.053 263.300

Pelli e cuoio 1.276.788 1.341.470 2.618.258

Trasformazione minerali 108.234 102.760 210.994

Carta e poligrafiche 68.379 100.446 168.825

Edilizia 238.232 616.155 854.387 Energia elettrica e gas -

Trasporti e comunicazioni 22.760 310.669 333.429

Varie 11.642 27.236 38.878

Tabacchicoltura -

Commercio - 611.455 611.455

TOTALE 6.244.609 6.140.851 12.385.460

Puglia – Ore di Cassa Integrazione

Dicembre 2008 CIGO CIGS TOTALE

Bari 3.197.906 2.459.013 5.656.919

Brindisi 243.099 150.426 393.525

Foggia 329.562 216.857 546.419

Lecce 1.814.639 1.282.274 3.096.913

Taranto 659.403 2.032.281 2.691.684

Puglia 6.244.609 6.140.851 12.385.460

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*Le previsioni dell’Ilo, l’Organizzazione internazionale del lavoro Domenica 1° febbraio 2009 si è svolto a Davos il forum dell’economia con la presenza di una buona parte dell’élite politica mondiale.

Il giorno dell’apertura, il Fondo monetario internazionale ha messo in guardia i delegati che nel 2009 soffriranno di più, a causa della recessione, proprio le economie avanzate, e cioè i paesi occidentali, con la Gran Bretagna in testa. Naturalmente questa previsione ha solleticato il premier russo Vladimir Putin e il cinese Wen Jiabao, che a Davos hanno accusato pubblicamente l’America di aver trascinato il mondo nella crisi attuale. Pochi, per quanto ci risulti, hanno pronunciato la parola disoccupazione. Ci ha pensato però l’Ilo che, durante il forum, ha pubblicato le previsioni sulla disoccupazione mondiale. Si parla di 50 milioni di persone, circa l’equivalente degli abitanti di Inghilterra e Scozia. Le cause sono in parte legate alla serietà della crisi e in parte alla nuova flessibilità del lavoro introdotta dalla globalizzazione. Nel rapporto si mette in relazione l’impennata della disoccupazione con la diffusione del lavoro non garantito o poco garantito, il precariato insomma. E’ molto facile licenziare chi ha un contratto a tempo determinato, i lavoratori stagionali e naturalmente tutta la massa di precari che dagli anni novanta continua a crescere. Durante le recessioni precedenti il sistema di protezione dei lavoratori attutiva la caduta netta e improvvisa dell’occupazione. L’effetto di quest’orda di disoccupati sull’economia mondiale, sempre a detta dell’Ilo, sarà devastante perché farà crollare ulteriormente la domanda. Perciò serve un piano di sostegno ai disoccupati, che vada dai sussidi all’assistenza sanitaria.

*Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università di Roma “SAPIENZA” A questo punto crediamo sia opportuno offrire un quadro complessivo e riassuntivo della situazione del precariato, ricorrendo ad una autorevole fonte che da ben tre anni effettua elaborazioni sui lavoratori parasubordinati. Perché questa specie di ‘appendice’ sui precari? Si può spiegare con l’interesse che la pubblicistica politico-sindacale, e non solo questa, riserva al problema, tanto che allo stato è oggetto continuo delle più variegate proposte, avendo l’attuale crisi offerto come primi agnelli sacrificali proprio i precari. Si aggiunga che il tema riguarda prevalentemente i giovani e soprattutto quelli che oggi si affacciano al mercato del lavoro. Tra l’altro lo studio mette in grado di valutare, sulla base di dati obiettivi, la dinamica di questa tipica prestazione. Insomma l’insieme di tutti questi elementi ci ha consigliato di non farci sfuggire l’occasione per introdurre un altro elemento di riflessione offrendo, a chi ne è interessato anche indirettamente, elementi inoppugnabili di valutazione, tali da permettere a tutti di esprimere un giudizio compiuto e serio sul fenomeno. Avvertiamo che procederemo per sintesi, ma non per questo altereremo i risultati conseguiti dalla Facoltà di Scienze della Comunicazione di Roma, a questi ci atteremo rigorosamente insieme risultati e ai suoi giudizi, riportando puntualmente le tabelle elaborate dai ricercatori.

Intanto diciamo subito che il rapporto illustra i risultati derivanti dalle elaborazioni effettuate sui lavoratori parasubordinati attivi iscritti alla Gestione Separata Inps nell’anno 2007. Si concentra in particolare sui lavoratori di fascia più debole, principalmente collaboratori coordinati e continuativi o a progetto con reddito proveniente esclusivamente dal lavoro parasubordinato. Ripropone le più significative elaborazioni effettuate in passato, espandendole al fine di comparare il triennio con particolare attenzione ai soggetti più deboli a rischio di precarietà. L’esistenza di dati diacronici ha consentito ai ricercatori di individuare e cogliere la portata del fenomeno che è statodefinito“flessibilità persistente”, ossia la reiterazione negli anni, per uno stesso soggetto, dei contratti di lavoro parasubordinato. Si tratta di un fenomeno consistente, in quanto riguarda nel triennio 2005-2007 i due terzi dei lavoratori tipici e oltre il 37% dei lavoratori a rischio di precarietà.

Vediamo ora sinteticamente i risultati. I lavoratori parasubordinati nel 2007 erano 1.566.978, con un aumento di poco più di 38 mila unità rispetto al 2006 (equivalenti a +2,4%; l’aumento 2005-2006

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era stato superiore: +54.000 unità, 3,5%). Il fenomeno pare segnare negli ultimi anni una sostanziale stabilità (grazie all’attenzione politica posta alla tematica della flessibilità e della precarietà) rispetto al periodo 1996-2004 in cui erano aumentati del 108% con un incremento medio annuo del 9,6%. Altro segnale positivo viene dalla riduzione, nel 2007, di oltre 20 mila unità a rischio di precarietà (cioè i titolari di un contratto atipico, in maggioranza di collaborazione, e reddito esclusivo di lavoro parasubordinato), che sono passati da 858.388 del 2006 a 836.493 del 2007. Il Rapporto ci avverte che su tali risultati, molto probabilmente, hanno pesato tre fattori:

l’attenzione che il ministero del Lavoro ha attribuito nel 2006-2007 alla lotta alla precarietà e alle false collaborazioni, anche a seguito dei risultati di varie visite ispettive condotte dagli organi preposti;

l’aumento del contributo pensionistico di ben 5 punti percentuali rispetto al reddito, che ha reso meno conveniente per le aziende il ricorso alle collaborazioni;

gli incentivi alla stabilizzazione, che hanno introdotto una legislazione premiante per le aziende che trasformano le collaborazioni in lavoro dipendente.

Inoltre, nche il 2007 vede le donne crescere numericamente nei lavori atipici e meno retribuiti (+18.000 nel triennio), mentre gli uomini aumentano di più tra gli amministratori (+27.486 vs +8.078 delle femmine) che hanno un reddito decisamente superiore a quello dei collaboratori. Sempre nel 2007 le donne in larghissima maggioranza sono titolari di rapporti di lavoro atipico (548 mila contro 118 mila con un rapporto tipico). Gli uomini si ripartiscono con un maggiore equilibrio (496 mila atipici, 406 mila tipici).

Sui redditi: l’imponibile medio annuo dichiarato nel 2007 dei parasubordinati si attesta a poco meno di 15.900 €, con un aumento di circa l’8% rispetto al 2005. Un fatto positivo, sottolinea il Rapporto, in quanto i redditi nel biennio 2005-2006 erano rimasti pressoché stabili, impedendo di conseguenza il recupero dell’aumento del costo della vita. Ma i diversi gruppi aumentano i propri guadagni in misura molto differenziata:mentre per gli amministratori gli aumenti sono in linea con la media (+7,3%), i redditi annuali dei collaboratori passano nel triennio considerato da soli 8.400 a 8.800 €, con un aumento del 4,8% che non permette il recupero dell’inflazione reale. Non solo, la quota pensionistica versata all’Inps, nel periodo considerato, è passata dal 18 al 23,5% con un incremento superiore a quello retributivo. Nel contempo i mesi contrattualizzati passano per i lavoratori atipici esclusivi da 7,1 del 2006 a 7,0 del 2007. Ciò indica, per questa fascia di collaboratori, un quasi certo peggioramento delle condizioni economiche.

Variazione 2005-2007 dei lavoratori attivi nella gestione Separata, per genere e tipologia contrattuale

Totale

Parasubordin.

2005

Di cui

Precari nel

2005

Totale

Parasubordin.

2007

Di cui

Precari nel

2007

Variazione

totale

2005-07

Variazione

atipici/

esclusivi

2005-07

Femmine 626.643 460.043 665.303 479.629 38.660 19.586

% 42.48 57,25 42,46 57,34 6,17 4,25

Età media F. 37,4 34,4 36,9 33,7

Maschi 848.468 343.545 901.675 356.864 53.207 13.319

% 57,52 42,75 57,54 42,66 6,27 3,88

Età media M. 44,0 35,4 43,6 34,5

Totale 1.475.111 803.588 1.566.978 836.493 91.867 32.905

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Età media M+F 41,18 34,8 40,7 34,1

Per la distribuzione di genere nelle diverse classi di età, le donne sono maggiormente concentrate nella classe compresa tra i 26 e 30 anni (136.698,pari al 20% del totale), mentre gli uomini sono più numerosi nella fascia che va dai 31 ai 35 anni (il 13% dei lavoratori, pari a 119.364). A partire dai 36 anni, il numero delle donne comincia a decrescere rapidamente all’aumentare dell’età. Infine, segnaliamo che i lavori a rischio di precarietà sono ampiamente maggioritari sino a 35 anni.

Parasubordinati, per genere e classe di età. Anno 2007

Genere in % Di cui %

Classe di età Femmine Maschi Precari N.

Fino a 20 anni 54,0 46,0 96,46 34.232

Da 21 a 25 anni 56,5 43,5 92,21 147.456

Da 26 a 30 anni 55,8 44,2 82,56 245.033

Da 31 a 35 anni 50,1 49,9 68,49 239.425

Da 36 a 40 anni 44,1 55,9 52,47 197.595

Da 41 a 45 anni 40,4 59,6 42,62 178.951

Da 46 a 50 anni 36,5 63,5 35,97 140.156

Da 51 a 55 anni 32.5 67,5 29,73 108.830

Da 56 a 60 anni 26,5 73,5 20,55 108.346

Da 61 a 65 anni 21,9 78,1 12,89 85.171

Da 66 a 70 anni 16,7 83,3 6,54 57.952

Da 71 a 75 anni 14,9 85,1 5,25 16.965

Oltre 75 anni 17,5 82,5 8,66 6.929

Totale 42,5 57,5 53,38 1.566.841

Sulla dislocazione territoriale, si segnala l’elevata presenza di parasubordinati in Lombardia (372.283, 23,8% del totale nazionale) e nel Lazio (253.652, ossia il16,2%). Le due regioni, caratterizzate dalla presenza di grandi centri urbani industrializzati e nel settore dei servizi, accentrano il 40% della popolazione di riferimento. Nel Lazio, si è avuto il maggior incremento di questi lavoratori nel triennio 2005-2007 (oltre 27 mila unità). Si registra, sempre nel triennio, l’aumento di parasubordinati al Sud (+44 mila unità circa, per metà in Campania e Sicilia) e al Centro Italia (+33 mila circa di cui 27 mila nel Lazio).

Iscritti al fondo per regione del committente (confronto 2005-2006-2007).

2005 2006 2007 Differenza

N. % N. % N. % 2005-2007

Lombardia 366.829 24,9 367.812 24,0 372.383 23,8 5.554

Lazio 225.963 15,3 244.902 16,0 253.652 16,2 27.689

Emilia-R. 143.166 9,7 143.429 9.3 144.794 9,2 1.628

Veneto 131.108 8,9 133.437 8,7 133.657 8,5 2.549

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Toscana 118.978 8,1 121,744 7,9 122.395 7,8 3.417

Piemonte 99.138 6,7 102.910 6,7 101.822 6,5 2.684

Campania 54.494 3,7 58.293 3,8 65.261 4,2 10.767

Sicilia 43.838 2,9 49.468 3,2 57.346 3,7 13.508

Puglia 40.908 2,8 45.749 3,0 49.684 3,2 8.776

Marche 38.806 2,6 39.472 2,6 39.415 2,5 609

Liguria 36.678 2,5 37.969 2,5 38.777 2,5 2.099

Friuli V.G. 36.471 2,5 37.696 2,4 38.390 2,4 1.919

Trentino A.A. 29.440 2,0 29.674 1,9 29.569 1,9 129

Sardegna 28.502 1,9 29.371 1,9 32.031 2,0 3.529

Umbria 25.352 1,7 25.850 1,7 26.410 1,7 1.058

Abruzzo 23.942 1,6 25.398 1,6 25.787 1,6 1.845

Calabria 15.340 1,1 18.528 1,2 19.194 1,2 3.854

Basilicata 6.219 0,5 7.403 0,5 7.592 0,5 1.373

Molise 5.316 0,4 5.737 0,4 5.602 0,4 286

Valle d’Aosta 3.008 0,2 3,089 0,2 3.217 0,2 209

Dato mancante 1.615 934

Totale 1.473.496 1.527.931 1.566.978 +93.482

Nord Est 340.185 23,1 344.236 22,3 346.410 22,11 +6.225

Nord Ovest 505.653 34,3 511.780 33,4 516.199 32,94 +10.546

Centro 409.099 27,8 431.968 28,2 441.872 28,20 +32.773

Sud e Isole 218.559 14,8 239.947 16,1 262.497 16,75 +43.938

Per la distribuzione territoriale la ricerca ha effettuato una ulteriore elaborazione a livello provinciale concentrata sui lavoratori che hanno un contratto atipico come unica fonte di reddito (precari). In questo caso si rileva che sono le regioni del Centro-Sud quelle ove si concentrano i precari: in Calabria (75,67%) e nel Lazio (72,89%), sono precari tre parasubordinati su quattro. La Puglia, che fra le regioni, si classifica al settimo posto, raggiunge quota 66,31: con, nell’ordine, Lecce al 73,71, Foggia (71,57), Brindisi (65,46), Taranto (64,53) e Bari (62,35). Al Nord la situazione cambia radicalmente, infatti si ha una prevalenza di lavoratori tipici e la quota di lavoro precario si colloca al di sotto del valore medio nazionale. L’area con il minimo di lavoro precario, solo del 29,5, si trova proprio nell’Italia Settentrionale in Trentino.

Soggetti a rischio precarietà per regioni e province (tabella ordinata per % di precari)

Regione A rischio

precariato

Parasubordinati

in totale

% precari su

totale

CALABRIA Provincia CS 4.972 6.688 74,34

CZ 1.479 2.182 67,78

KR 1.307 1.867 70,01

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RC 5.805 7.061 82,21

VV 961 1.396 68,64

Totale 14.524 19.194 75,67

LAZIO Provincia FR 4.535 7.092 63,95

LT 4.502 8.014 56,18

RI 2.253 3.016 74,70

RM 170.769 230.366 74,13

VT 2.818 5.164 54,57

Totale 184.877 253.652 72,89

MOLISE Provincia CB 3.497 4.908 71,25

IS 551 694 79,39

Totale 4.048 5.602 72,26

BASILICATA Provincia MT 2.759 3.624 76,13

PZ 2.475 3.968 62,37

Totale 5.234 7.592 68,94

CAMPANIA Provincia AV 2.852 4.238 67,3

BN 2.869 3.755 76,40

CE 6.015 8.497 70,79

NA 24.674 37.176 66,37

SA 7.625 11.595 65,76

Totale 44.035 65.261 67,48

SARDEGNA Provincia CA 13.916 19.541 70,70

NU 1.475 2.357 62,58

OR 848 1.221 69,45

SS 5.322 8.912 59,72

Totale 21.461 32.031 67,00

PUGLIA Provincia BA 14.811 23.754 62,35

BR 2.576 3.934 65,48

FG 4.371 6.107 71,57

LE 7.481 10.149 73,71

TA 3.704 5.740 64,53

Totale 32.943 49.684 66,31

SICILIA Provincia AG 1.538 2.567 59,91

CL 968 1.814 53,36

CT 10.734 16.265 65,99

EN 866 1.517 57.09

ME 4.160 6.411 64,89

PA 13.585 18.768 72,38

RG 1.352 2.636 51,29

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132

SR 2.201 3.758 58,57

TP 1.652 3.610 45,76

Totale 37.056 57.346 64,62

ABRUZZO Provincia AQ 3.392 5.655 59,98

CH 4.475 7.691 58.18

PE 3.861 6.234 61,93

TE 3.651 6.207 58,82

Totale 15.379 25.787 59,64

UMBRIA Provincia PG 10.382 20.246 51,28

TR 3.578 6.164 58,05

Totale 13.960 26.410 52,86

LOMBARDIA Provincia BG 8.911 28.333 31,45

BS 10.137 31.833 31,84

CO 3.397 9.527 35,66

CR 2.648 6.918 38,28

LC 1.005 3.125 32,16

LO 27.058 59.025 45,84

MI 112.398 177.673 63,26

MN 4.551 10.209 44,58

PV 7.450 13.647 54,59

SO 2.697 10.410 25,91

VA 8.394 21.683 38,71

Totale 188.646 372.383 50,66

LIGURIA Provincia GE 11.754 24.325 48,32

IM 2.571 4.304 59,74

SP 3.340 6.044 55,26

SV 1.808 4.104 44,05

Totale 19.473 39.777 50,22

TOSCANA Provincia AR 3.483 9.566 36,41

FI 20.755 42.603 48,72

GR 2.885 5.280 54,64

LI 4.288 8.269 51,86

LU 5.452 12.087 45,11

MS 1.189 4.090 29,07

PI 7.407 14.297 51,81

PO 3.411 8.917 38,25

PI 3.508 8.115 43,23

SI 4.015 9.171 43,78

Totale 56.393 122.385 46,07

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PIEMONTE Provincia AL 2.636 7.996 32,97

AT 1.232 3.116 39,54

BI 1.006 3.139 32,05

CN 4.243 11.907 35,63

NO 4.101 7.089 57,85

TO 30.215 60.089 50,28

VB 1.660 5.032 32,99

VC 1.056 3.454 39,57

Totale 46.149 101.822 45,32

FRIULI V.G. Provincia GO 2.970 5.935 50,04

PN 1.122 2.796 40,13

TS 4.078 7.472 54,58

UD 8.045 22.187 36,26

Totale 16.215 38.390 42,24

VALLE D’A. Provincia 1.336 3.217 41,53

Totale 1.336 3.217 41,53

EMILIA R. Provincia BO 20.142 43.980 45,80

FE 3.671 8.147 45,06

FO 6.473 13.527 47,85

MO 9.100 24.518 37,12

PC 2.314 6.735 34,36

PR 5.149 14.583 35,31

RA 4.015 10.006 40,13

RE 6.628 17.204 38,53

RN 2.257 6.094 37,04

Totale 59.749 144.794 41,26

MARCHE Provincia AN 6.456 14.789 43,65

AP 3.272 8.032 40,74

MC 2.796 7.109 39,33

PS 3.356 9.485 35,38

Totale 15.880 39.415 40,29

VENETO Provincia BL 927 3.441 26,94

PD 13.017 29.024 44,85

RO 2.277 5.682 40,07

TV 7.454 23.172 32,17

VE 9.248 22.335 41,41

VI 5.193 21.554 24,09

VR 12.316 28.449 43,29

Totale 50.432 133.657 37,73

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134

TRENTINO AA Provincia BZ 4.011 14.353 27,95

TN 4.717 15.216 31,00

Totale 8.728 29.569 29,52

Media Italia 836.518 1.566.978 53,38

Variazione

2006 - 2007 Tipologia professionale Reddito

medio 2006

Durata contratto in mesi

2007

Reddito medio 2007

Durata contratto in mesi

2007

Reddito medio

Durata contratto in mesi

Femmine 23.565,87 10,43 24.375,00 10,78 809,13 0,35 Maschi 30.354,48 10,42 31.643,69 10,74 1.289,22 0,32

Amministratore , sindaco società

Totale 28.826,57 10,43 29.999,91 10,75 11.73,34 0,32 Femmine 6.822,34 8,11 7.308,33 9,09 485,99 0,98 Maschi 7.090,84 8,52 7.530,25 9,52 439,41 1,00

Collab.Giornali

Totale 6.965,41 8,33 7.427,30 9,32 461,89 0,99 Femmine 6.355,33 8,15 7.576,92 8,79 1.221,59 0,64 Maschi 6.170,87 7,91 7.312,92 8,59 1.142,05 0,68

Partecipante a Commissioni

Totale 6.206,62 7,96 7.362,80 8,63 1.156,18 0,67 Femmine 10.569,45 8,73 12.741,44 9,50 2.171,99 0,77 Maschi 12.764,05 8,95 14.022,94 9,78 1.258,89 0,83

Amministratore Enti Locali

Totale 12.215,40 8,89 13.726,60 9,71 1.511,20 0,82 Femmine 10.900,37 9,68 11.217,33 9,97 316,96 0,29 Maschi 11.735,38 9,75 11.995,28 10,02 259,90 0,27

Dottorato, borsista MIUR

Totale 11,297,24 9,71 11.583,37 9,99 286,14 0,28 Femmine 6.337,67 7,08 6.620,29 8,51 282,63 1,43 Maschi 10,787,87 7,33 11.274,59 8,79 486,72 1,46

Co.co.co. – pro

Totale 8.409,82 7,20 8.809,58 8,64 399,76 1,44 Femmine 7.203,18 5,74 7.884,02 6,54 680,83 0,80 Maschi 11.165,32 6,65 11.868,56 7,77 703,25 1,12

Venditore porta a porta

Totale 8.992,49 6,15 9.720,48 7,06 727,99 0,91 Femmine 2.634,80 4,08 2.693,76 6,39 58,96 2,31 Maschi 4.910,02 4,94 5.098,93 7,18 188,91 2,24

Collaboratori occasionali

Totale 3.798,04 4,51 3.897,39 6,80 99,35 2,29 Femmine 5.174,69 4,64 5.607,20 6,66 432,51 2,02 Maschi 7.071,79 4,71 7.145,57 6,53 73,78 1,82

Lavoro occasionale autonomo

Totale 6.335,70 4,68 6.539,56 6,58 203,86 1,90 Femmine 11.925,93 9,47 12.292,80 10,27 366,88 0,80 Maschi 15.494,13 9,46 15.710,13 10,31 306,00 0,85

Co.co.co. pensionati e ultra 65 anni

Totale 14.636,64 9,46 14.951,08 10,30 314,44 0,84 Femmine 8.059,26 7,51 8.463,21 8,70 403,95 1,19 Maschi 8.523,46 7,53 9.094,08 8,49 570,62 1,16

Co.co.co. nella PA

Totale 8.267,24 7,43 8.744,60 8,61 477,35 1,18 Femmine 7.360,18 8,37 8.227,90 10,26 867,72 1,89 Maschi 11.387,09 8,56 12.366,61 10,30 979,52 1,74

Co.co.co. prorogati

Totale 9.565,72 8,47 10.524,61 10,28 958,89 1,81 Femmine 8.060,97 7,73 8.064,75 8,77 3,78 1,04 Maschi 9.410,16 7,16 9.322,49 8,38 -87,67 1,22

Associati in partecipazione

Totale 8.692,52 7,46 8.655,98 8,59 -36,54 1,13 Femmine nd 12.755,89 4,47 Maschi nd 13.300,54 5,85

Formazione apecialistica

Totale nd 12.960,39 4,93 Fonte : Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università “La Sapienza” di Roma

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*Domanda di lavoro e retribuzioni - Rapporto = OD&M e Unioncamere Un argomento, che tiene impegnati economisti, sociologi, capitani di industria, sindacalisti, politici, e opinionisti, è lo stato delle retribuzioni nel nostro Paese che, secondo alcuni, non è estraneo agli squilibri e alle ingiustizie sociali presenti, soprattutto di fronte a una crisi che qualcuno definisce epocale. Si pensi alle vivaci polemiche sorte sulle parcelle percepite dai manager, anche in presenza di risultati negativi delle aziende che dirigono. E’ stato quindi naturale fermare la nostra attenzione anche su questo non secondario aspetto, servendoci del rapporto 2008 elaborato da “Organization Design & Management ” (OD&M) con l’Unioncamere.

Il Rapporto ci avverte che la crisi incide fortemente sui livelli occupazionali, rendendo incerte anche le prospettive per il prossimo biennio. Del resto abbiamo più volte richiamato, e non solo in questo capitolo, i segnali di contrazione occupazionale di molte grandi imprese e quindi dell’indotto, mettendo in pericolo la sopravvivenza delle piccole e piccolissime aziende.

Lo studio sottolinea come nell’ultimo triennio, l’occupazione è cresciuta in termini quantitativi ma soprattutto qualitativi, e ciò è avvenuto per permettere alle aziende di competere sui mercati globali. L’esercito dei lavoratori dipendenti si è conseguentemente arricchito di risorse umane di livello elevato.

E qui vi è il primo affondo dell’analisi che rileva: a fronte del livello qualitativo della domanda di lavoro, la progressione retributiva <<è risultata assai poco dinamica>>. Infatti, in base alla professione, i livelli delle retribuzioni percepite dai lavoratori dipendenti non scandiscono nette differenziazioni, anzi. Se si osservano gli importi rilevati nel 2007 ci si accorge della grande omogeneità di valori tra gli occupati dei cinque “grandi gruppi” di professioni (è la definizione che ne dà il Rapporto) che reclutano quasi 10 milioni di addetti (secondo lo studio pari a due terzi del totale); per le professioni tecniche e per quelle intellettuali e scientifiche si incontrano importi di poco superiori; le uniche che nettamente si distaccano dai valori medi, con differenze anche ampie, sono le retribuzioni dirigenziali. Altro elemento messo in risalto è che le differenze esistenti tra i diversi profili sono dettate sempre meno dal titolo di studio. Infatti, nella media delle professioni tecniche la retribuzione di un diplomato risulta superiore a quella di un dipendente con una laurea breve; quella della figura a carattere impiegatizio è pressoché allineata alla retribuzione di un dipendente con laurea specialistica, almeno nella fase iniziale del suo percorso lavorativo.

L’analisi si sofferma anche sui differenziali esistenti sulla base del genere e del territorio di appartenenza.

Ebbene <<è stato evidenziato un differenziale “mediamente” abbastanza elevato tra uomini e donne, cui corrispondono in realtà scarti molto meno ampi a parità di professioni esercitate, per circa un terzo delle quali le retribuzioni femminili sono finanche superiori a quelle degli uomini>>. <<I valori medi delle retribuzioni presentano inoltre ampi differenziali tra i diversi territori del Paese (nell’ordine del 20%), che tuttavia quasi si dimezzano “normalizzando” gli importi (assegnando cioè a tutti i territori una medesima struttura occupazionale). Molto ampie (e ben evidenti anche dai dati sulla domanda di lavoro) sono infatti le differenze di struttura dell’occupazione, alle quali si accompagnano differenze molto meno marcate per quanto riguarda le retribuzioni>>.

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Indicatori sintetici del mercato del lavoro

Unità di misura

Valore assoluto Variazione % e differenze annue

2005 2006 2007 2004 (2) 2005 2006 2007

Occupati 000 22.563 22.988 23.187 0,7 0,7 1,9 1,0

di cui a part time 000 2.897 3.054 3.129 n.d. 1,9 5,4 3.6

di cui a tempo determinato 000 2.026 2.222 2.264 n.d. 6,2 9,7 2,1

di cui dipendenti 000 10.534 16.915 17.106 0,5 2,6 2,3 1,5

Persone in cerca di occupazione 000 1.889 1.673 1.456 -4,3 -3,7 -11,4 -10,0

Forze di lavoro 000 24.451 24.662 24.644 0,3 0,4 0,9 0,2

Tasso di attività (15-64 anni) % 62,4 62,8 62,5 -0,3 -0,2 0,4 -0,3(1)

Tasso di occupazione (15-64 anni) % 57,5 58,5 58,7 0,0 0,0 0,9 0,2(1)

Tasso di disoccupazione % 7,7 6,8 6,1 -0,4 -0,3 -0,9 -0,7(1)

Retribuzioni medie annue: dirigenti (8) € 96.350 101.381 101.334 7,7 3,4 5,2 -0,0

Retribuzioni medie annue: quadri (8) € 46.004 48.850 50.346 6,9 4,1 6,2 3,1

Retribuzioni medie annue: imp. (8) € 23.343 24.730 25.340 1,7 4,5 5,9 2,5

Retribuzioni medie annue: operai (8) € 19.914 21.244 21.484 5,4 6,6 6,7 1,1

Retribuzioni medie annue: totali (8) € 24.591 26.086 26.488 2,7 5,3 6,1 1,5

Retribuzioni contrattuali orarie (4) N ind. 112,8 116,0 118,2 2,9 3,1 2,8 2,3

Retribuzioni contrattuali per dip. (4) N° ind. 112,8 116,0 118,2 2,9 3,1 2,8 2,3

Retribuzioni lorde di fatto x un. di lav. (4) N° ind. 113,4 117,1 113,9(5) 2,7 2,8 3,3 2,3 (7)

Ore non lavorate per conflitti di lavoro 000 6.348 3.143 1.186 -14,7 29,8 -50,5 -49,7 (7)

Tasso di conflittualità Or.100 d 38,4 18,6 7,0 -15,1 26,5 -51,6 -50,1 (7)

Assunzioni programmate delle imprese(9) 000 648 696 839(6) 0,2 -3,9 7,4 20,7

di cui a part- time % 15,2 14,1 15,0(6) -0,1 3,4 -1,1 0,9 (1)

di cui a tempo determinato (3) % 50,0 53,7 54,6(6) -1,9 8,4 3,7 0,9 (1)

di cui di difficile reperimento % 32,2 29,1 29,6(6) -4,2 -4,6 -3,1 0,5 (1)

di cui per sostituzione % 35,3 37,1 39,6(6) 2,3 -1,1 1,8 2,5 (1)

di cui con necessità di formazione % 73,3 71,7 74,7(6) 14,8 7,8 -1,6 3,0 (1)

di cui con esperienza (anche generica) % 71,7 67,7 67,8(6) 3,4 -0,5 -4,0 0,1 (1)

Uscite previste dalle imprese 000 555 597 756(6) 17,5 6,0 0,0 4,4

Saldo previsto entrate-uscite 000 92 99 83(6) -117,4 -44,1 6,7 -16,2

Tasso di ingresso % 6,3 6,5 7,8(6) -0,1 -0,1 0,2 1,3 (1)

Tasso di uscita % 5,4 5,6 7,0(6) 1,1 0,3 0,2 1,4 (1)

Saldo previsto entrate-uscite % 0,9 0,9 0,8(6) -1,2 -0,4 0,0 -0,1 (1)

Fonte: OD&M

Note: (1) Differenze annue espresse in punti percentuali; (2) Anno d’inizio nuova serie dell’indagine sulle forze di lavoro, valori per gli anni precedenti ricalcolati dall’Istat; (3) Incluso ogni contratto diverso da quello a tempo indeterminato; (4) Numeri indice (2000=100) – Fonte Istat; (5)

Gennaio-Settembre; (6) Valori annui); (7) Dal 2006 valori ancora provvisori; (8) Fonte OD&M; (9) Indagine Excelsior

Per un dipendente l’attività lavorativa è determinata dalla professione svolta, questa, a sua volta, è legata alla qualifica o inquadramento, la cui attribuzione avviene tenendo conto anche di altri criteri (esperienza, anzianità professionale, complessità dei compiti) che rappresentano delle variabili necessarie al riconoscimento del diverso livello nel quale la professione è svolta.

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Quanto più la professione è definita con precisione e più è qualificata, tanto più univoche sono le caratteristiche personali corrispondenti; quanto più semplici sono le mansioni previste dalla professione, tanto maggiori sono le caratteristiche individuali richieste. In proposito il Rapporto, per meglio chiarire, esemplifica: <<nulla vieta che un laureato accetti di svolgere una professione di livello inferiore o non corrispondente ai propri studi, ma non potrà mai aversi, se non del tutto casualmente, il caso contrario>>. Nel mondo anglosassone, invece, si privilegia, anche nelle statistiche del lavoro, l’ottica professionale più che quelle formali dell’inquadramento o del livello di istruzione. Perché si comprendano, nel prosieguo della lettura, le differenze tra i vari gruppi delle professioni, riportiamo più sotto la tabella, elaborata dall’OD&M, che classifica le varie qualifiche.

Grandi gruppi

1. Dirigenti

2. Professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione

3. Professioni tecniche

4. Impiegati

5. Professioni qualificate nelle attività commerciali e nei servizi

6. Operai specializzati

7. Conduttori di impianti operai semiqualificati addetti a macchinari fissi e mobili

8. Professioni non qualificate

9. Forze Armate (1)

(1) Non considerate nel Rapporto

Nel 2007 le assunzioni programmate dalle imprese sono state quasi 840 mila. Le professioni qualificate del commercio e dei servizi sono state le più numerose (poco meno di 200 mila assunzioni), 164 mila sono stati gli operai specializzati, 1,900 invece le figure dirigenziali assunte. Per il 2008, c’informa l’Od&M, la graduatoria resta quasi immutata, segnalando un ulteriore calo degli addetti alle “professioni non qualificate” e una più sostenuta richiesta di figure operaie e di dirigenti, di impiegati con elevata specializzazione e tecnici. Nel 2007 la domanda di lavoro ha denunciato una forte ripresa: con un aumento delle assunzioni pari al 21%, che è il risultato di una media tra il 15% di operai specializzati e oltre il 35% delle professioni tecniche. Consistente la percentuale delle professioni non qualificate (+28,2%). Tutte le professioni qualificate hanno avuto incrementi superiori alla media. Prendendo, poi, in considerazione il periodo 2003-2007, gli operai specializzati risentono di variazioni negative, invece le più dinamiche sono state le professioni impiegatizie, quelle del commercio e dei servizi, gli operai non qualificati, le professioni tecniche e non qualificate, tutte con aumenti superiori al 30%. I contratti per le figure dirigenziali non arrivano al 10%, mentre quelli di lavoro ‘atipici’ previste per i grandi gruppi professionali: abbiamo quasi il 39% per le professioni tecniche e quasi il 70% per il commercio e i servizi.

Il 23% affronta una formazione integrativa con la frequenza di corsi sia interni che esterni all’impresa. Tale quota segna la media tra il 13% per gli operai specializzati e il personale non qualificato e il 38% circa per le figure tecniche di alto livello.

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Ben il 54% del personale da assumere è ricercato con una precedente esperienza specifica, sia nel settore cui appartiene l’impresa, sia nella professione che è chiamato a svolgere. Superano questa media, le figure dirigenziali, le professioni scientifiche, tecniche e degli operai specializzati. I quest’ultimo ambito ci sono punte che toccano il 98%. Veniamo alle retribuzioni. Nel 2007 l’OD%M ha rilevato che la retribuzione media (lorda) dei lavoratori italiani è stati pari a quasi 26.500 euro, una media che da quasi 21.200 percepiti da coloro che svolgono una professione non qualificata a 92.940 euro riferiti a coloro che svolgono una professione dirigenziale. Per apprezzare il sostanziale appiattimento delle retribuzioni, si consideri che gli ultimi cinque gruppi di professioni (che come abbiamo detto comprendono quasi 10 milioni di lavoratori, pari a due terzi del totale) hanno percepito all’incirca tra i 21 mila e i 23 mila euro (fra il 13 e il 18% in meno rispetto alla media) con un scarto, tra la più bassa e la più elevata, inferiore a 1.800 euro. La differenza tra il più alto di questi cinque gruppi e quello successivo delle professioni tecniche (che interessano oltre 3,5 milioni di lavoratori, il 23,4% del totale), è ancora basso, infatti a questi ultimi corrisponde una retribuzione di circa 28.800 euro, superiore alla media dell’8,6%.

Più ampio il divario tra quest’ultimo gruppo e quello di coloro che svolgono professioni intellettuali scientifiche e a elevata specializzazione (1,2 milioni di addetti pari all’8,3% del totale) che mediamente hanno percepito circa il 53% più della media (intorno ai 40.500 euro). Il vero stato quantitativo, comunque, lo fanno i 272 mila che svolgono una professione dirigenziale che raggiungono i 92.240 euro, superando di circa due volte e mezzo la retribuzione media complessiva. La retribuzione appena descritta non sembra essersi modificata, i cinque gruppi delle professioni meno qualificate, anzi, hanno raggiunto tassi di crescita superiore a quelli delle professioni più qualificate, riducendo così la differenza retributiva. Non solo, il gap tra le professioni tecniche e quelle sottostanti si sono ridotte dal 35 alo 26%, mentre quelle più basse e la retribuzione media complessiva sono passate dal 22 al 20%

L’inflazione e i consumi A tenere accesi i riflettori sull’economia ci pensavano, i primi giorni di agosto i dati Istat sui prezzi al consumo e sull’andamento del Pil, i commenti a questi dati del Centro Studi Confindustria e le Previsioni sui consumi formulati dall’Ufficio Studi della Confcommercio, mentre sull’economia meridionale c’informava il Bollettino statistico sulle economie regionali diffuso dalla Banca d’Italia.

*L’Istat L’Istat segnalava una nuova accelerazione dell’inflazione, le voci che fanno da base a questa tendenza negativa sono i rincari record di pane e pasta (+13% e +25% rispettivamente), quelli che riguardano i carburanti, tabacchi e servizi turistici. A luglio si era registrato un +4,1% rispetto al 3,8% di giugno, aumento che non si verificava dal lontano 1996. Non solo: l’indice dei prezzi al consumo era salito dello 0,5% rispetto sempre al mese precedente, provocando una serie di rincari che pesano sugli italiani soprattutto per i generi di prima necessità come gli alimentari, il gas e l’energia elettrica.

Dall’analisi per settori, sulla base dei dati, gli aumenti congiunturali arrivavano da bevande alcoliche e tabacchi (+2%), abitazione, acqua ed elettricità (+1,5%), e trasporti (+0,9%). Gli incrementi su base annua maggiori si sono verificati nel comparto abitazione, acqua ed elettricità (+8,6%), trasporti (+7,1%) e prodotti alimentari e bevande analcoliche (+6,4%). In negativo solo il settore comunicazioni (-0,7% su base mensile e -3,2% su base annua). Allarmanti anche i dati sull’energia: +13,1% rispetto al 2007 per la benzina e +31,4% per il gasolio. I tabacchi hanno registrato un aumento congiunturale del 2,6% e annuo del 5,4%.

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Soffermiamoci ora sul dato dell’inflazione, così come rilevato dall’Istat a settembre. Secondo l’Istituto di statistica, l’inflazione nel primo mese autunnale ha subito una frenata dopo sette mesi di continua ascesa; infatti, l’indice nazionale dei prezzi al consumo è cresciuto, per l’intera collettività (NIC), del 3,8% rispetto allo stesso mese del 2007 (a luglio e agosto era arrivato al 4,1%). Su base mensile, invece, è diminuita dello 0,3% e se fosse così – vedremo in seguito che c’è chi contesta questi dati – non sarebbe poca cosa se si considera che sarebbe la prima flessione dall’ottobre 2006 (ad agosto 2008 si è avuto un +0,1). Per l’Istituto il rallentamento è dovuto alla dinamica dei beni e servizi; anche la componente energetica ha svolto un importante ruolo disinflazionistico, così come la frenata degli alimentari.

I dati ci dicono però che i prezzi alimentari restano in tensione, in particolare pane e pasta. La pasta di grano duro, poi, ha segnato un balzo del +35%. Aumentano i prezzi dei libri scolastici e quelli dei servizi telefonici per effetto della revisione delle tariffe nella telefonia mobile, cala, invece, il prezzo del gasolio.

Anche per la Confesercenti l’inflazione rallenta, anzi ritiene che senza gli scossoni internazionali su grano e petrolio poteva essere più bassa almeno di un punto.

Questi dati, come accennato, sono contestati dalle Associazioni dei consumatori che ritengono che il calo registrato a settembre è fittizio, perché influenzato dalla frenata del carburante. Secondo i rappresentanti dei consumatori l’inflazione reale si attesta su +7,6, 7,8%. L’inflazione fa spendere in media per l’acquisto dei soli prodotti alimentari circa 332 euro all’anno in più a famiglia. Queste associazioni calcolano che a fine 2008, considerati tutti gli aumenti registrati da inizio anno, ogni famiglia dovrà mettere in bilancio una stangata pari a circa 1.700 euro.

Sostiene anche la Coldiretti che le famiglie numerose con tre o più figli arriveranno a spendere 476 euro in più nel 2008.

Veniamo al nostro territorio: l’indice medio delle quotazioni dei prezzi rilevati dall’intera collettività è risultato a settembre dello 0,3% rispetto al mese di agosto, mentre il tasso tendenziale annuo generale è risultato del +3,2%, comprensivo dei tabacchi. In aumento pane e cereali (+0,7%), carni (+0,6%), prodotti ittici (+0,6%), zucchero e confetture (+0,9%), liquori (+0,5%), trasporti stradali (+0,4%), ristoranti (+0,4%). In diminuzione, ortaggi e frutta (-1,2%), combustibili liquidi (-9,5%), aerei (-22,2%), gasolio per auto (-3,2%), trasporti marittimi (-9,8%), alberghi (-3%). A fine ottobre, sempre l’Istat, ha diffuso la stima provvisoria secondo la quale i prezzi al consumo a ottobre si sono fermati rispetto a settembre. La variazione è quindi nulla e il tasso annuo si colloca così al 3,5% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, contro il 3,8% di settembre e il 4,1 di agosto. Gli aumenti più consistenti, secondo la stima Istat, riguardano i capitoli abitazione, acqua, elettricità e combustibili (+0,9%), istruzione (+0,8%), alimentari e bevande analcoliche, alcoliche, tabacchi e altri beni e servizi (tutti +0,2%). Variazioni negative per trasporti (-1%), servizi sanitari e spese per la salute, servizi ricettivi e di ristorazione (-1%). Relativamente ai singoli prodotti, continua l’aumento della pasta di semola di grano duro, che con un +1,4% mensile porta il dato su base annua addirittura al 32%. Il pane invece rallenta (-0,3 mensile) sceso al 5,7% su base annua dall’8,6% di settembre.

Il dato dà voce alla Federazione italiana panificatori che commenta: <<Nonostante i costi di produzione per noi restino altissimi, il prezzo del pane è sceso nell’ultimo mese dello 0,3%. E la variazione annua si è più che dimezzata rispetto ad agosto>>.

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Anche la Confcommercio dice la sua: <<Si conferma quanto già sottolineato da tempo, e cioè che il problema del nostro paese non è l’inflazione ma la bassa crescita e, in particolare, i consumi delle famiglie sempre in forte difficoltà>>.

Il rallentamento generale è stato letto, però, in particolare dalle Associazione dei consumatori, negativamente come effetto del calo dei consumi.

*La Federazione dei Consumatori Puglia La Federazione dei Consumatori Puglia, nell’ultima indagine sui prezzi di 33 prodotti rilevati in 25 esercizi commerciali pugliesi, c’informa che a Bari per comprare 9 prodotti di prima necessità occorrono dai 27,55 euro se si va al supermercato, ai 34,70 se invece si sceglie il piccolo esercizio sotto casa. Rispetto all’anno scorso una confezione di pasta da 500 grammi nel capoluogo pugliese costa il 30% in più. Per la focaccia a Brindisi si spendevano nel 2007, 4,45 euro, oggi per la stessa quantità occorrono, 6,30 euro. La stessa Federazione dei Consumatori Puglia sottolinea non solo come l’andamento dei prezzi sia in continua ascesa, ma anche come per le famiglie arrivare alla fine del mese diventa sempre più problematico se per una confezione di riso bisogna spendere 3,50 euro e per un litro di latte fino a 1,72 euro. Come si è letto abbastanza contrastanti non solo le opinioni ma anche le cifre. Tuttavia il dato Istat segnala anche crescenti difficoltà per l’economia e le famiglie. Se continua così, il vero rischio sarà la deflazione per la caduta dei consumi e la crescita della disoccupazione.

Gli aumenti di settembre Pasta grano duro +33,6%

Pasta +24,8%

Gasolio +19,0%

Benzina +11,5%

Cereali +10,6%

Pane +8,6%

Libri scolastici +1,7% Fonte: Istat

Variazioni % dei prezzi alla produzione rispetto allo stesso mese dell’anno precedente 2007 2008

Genn. 5,4

Febbr. 5,9

Marzo 6,4

Aprile 6,3

Maggio 7,5

Giugno 8,2

Luglio 8,7

Agosto 2,1 8,2

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Sett. 3,5

Ott. 3,7

Nov. 4,8

Dic. 4,7

Gli aumenti più rilevanti ============================== Variazione percentuale agosto 2008 su agosto 2007

+26,4% +21,5 +14,3% Prodotti petroliferi raffinati Energia elettrica, gas e acqua Prodotti delle miniere e delle

cave

*Ipr Marketing Ci sia permesso soffermarci sulla inflazione percepita, così come rilevata dal monitoraggio (Price Monitor) di settembre 2008 effettuato da Ipr Marketing per Repubblica .it. Come si può bene intuire l’indagine non è una rilevazione scientifica ma una verifica delle sensazioni dei consumatori. Vi è un forte allarme alimentare: secondo gli intervistati a settembre l’inflazione ha raggiunto il 29,2%. Seguono i trasporti (+14,7%), le spese per la casa (14,6%), per manutenzione di auto e motorini (+13,9%), abbigliamento e calzature (+12,7%).

L’Ipr ha anche considerato le rate per l’acquisto della casa (vogliamo ricordare che l’Istat non include le spese per i mutui nelle rilevazioni dell’inflazione), che nella percezione dei consumatori a settembre sono aumentate dell’11,6%, il 4,8% in più rispetto al trimestre precedente (l’aumento congiunturale maggiore). Spiegano all’Ipr Marketing che i mutui sono stati inclusi nell’indagine perché influiscono moltissimo in questo momento sul potere d’acquisto. L’inflazione falcidia maggiormente il Sud: un dato che emerge dal sondaggio e che coincide con le rilevazioni dell’Istat. Gli intervistati nel Sud e nelle Isole lamentano per ogni categoria di beni tassi d’inflazione più alti fino a quattro punti rispetto a quelli delle altre aree geografiche.

*La Cgia di Mestre La Cgia di Mestre ha elaborato i valori del carovita regione per regione ed è fotografata una situazione allarmante per le regioni del Nord, dove in Veneto e Lombardia le famiglie arrivano a spendere anche tremila 198 euro soltanto per le spese vive. In Puglia si passa da duemila e 16 euro di un anno fa alle attuali duemila e 111 euro: una perdita di quasi cento euro al mese. Nella nostra regione il conto dei rincari di luce, gas, costi di abitazione, spese alimentari, lievitano del 4,7 per cento sempre secondo l’analisi della Cgia resa nota il 10 settembre.

Bisogna, però, obiettivamente riferire che l’ufficio studi dell’associazione artigiani veneti basa i suoi calcoli per l’anno in corso sul presupposto che le abitudini di spesa siano rimaste invariate rispetto al 2007, nonostante l’aumento dei prezzi. Mentre così non è visti i dati sui consumi diffusi dall’Istat e Unioncamere che fanno emergere, invece, come le famiglie hanno cominciato ad essere più avvedute. Nel dettaglio la Cgia indica l’aumento medio italiano della spesa in 113 euro. Numerose sono le regioni che restano ancora al di sotto di questo dato e fra queste c’è la Puglia.

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Complessivamente per tute le famiglie italiane, gli elementi che hanno fatto aumentare le voci di spesa mensili sono le stesse: elettricità, combustibili, trasporti, con un valore medio di 827 euro al mese. Seguono gli alimentari e le bevande (493 euro), e i trasporti (388 euro). Le spese meno onerose riguardano i tabacchi (23 euro al mese) e l’istruzione (25 euro). Sull’andamento dell’inflazione, proprio il Governatore della Banca d’Italia, ha lanciato l’allarme quando ha ribadito che l’aumento dei prezzi ha già ridotto del tre per cento il reddito disponibile delle famiglie italiane e frenerà del due per cento in media i consumi entro fine anno.

*Le Associazioni dei Consumatori La Codacons afferma che l’inflazione reale è almeno <<il doppio di quella registrata dall’Istat, e si aggira attorno al 7-8%>>. E continua <<il dato davvero sbalorditivo è quello relativo alla pasta, i cui prezzi ad ottobre fanno segnare un +32%, mentre i prezzi del pane registrano una brusca frenata. Questa è la prova che nella formazione dei prezzi al dettaglio qualcosa non va. Siamo in presenza di speculazioni che hanno un peso fortissimo sulle tasche delle famiglie, che spenderanno a fine 2008 la bellezza di 3,4 miliardi di euro in più, circa 140 euro a famiglia, solo per l’acquisto di pane e pasta>>.

L’Adusbef e la Federconsumatori denunciano un “crollo” drastico della domanda dovuto alla riduzione del potere d’acquisto delle famiglie delle famiglie e alla crisi economica.

L’ANDAMENTO DELLA INFLAZIONE

Variazione mensile

2007 2008

Ott Nov Dic Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott

+0,3 +0,4 +0,3 +0,4 +0,2 +0,5 +0,2 +0,5 +0,4 +0,5 +0,1 -0,3 0,0

Fonte: Istat, Stime provvisorie

*I dati Istat di novembre 2008 L’allarme sui consumi lo lancia anche l’Istat con le sue rilevazioni, pubblicate il 23 gennaio 2009. A novembre 2008 le vendite al dettaglio sono scese subendo una perdita complessiva del 3% rispetto allo stesso mese 2007: per gli alimentari la riduzione è stata dell’1,3, per i non alimentari del 4%. A ottobre si era registrato un -0,7%. Su base mensile novembre indica una flessione dello 0,2%. Il dato negativo pesa soprattutto sulle piccole imprese commerciali, le botteghe di quartiere, i negozi a conduzione familiare e con pochi addetti. Le imprese che operano su superfici limitate, infatti, hanno venduto il 4,3% in meno. Un dato che scomposto in quello misurato sul numero di addetti registra: per le imprese fino a due addetti il calo è stato del 4,8%, per quello da 3 a 5 del 3,9%. E’certo che debolezza strutturale all’interno del sistema distributivo non aiuta a pararsi dai colpi della crisi. C’è però una novità non certo positiva nell’ultima rilevazione Istat, anche le tipologie commerciali che, nei mesi precedenti, avevano dimostrato una tenuta, cominciano a risentire l’impatto negativo delle vendite. Infatti, nell’insieme la grande distribuzione arretra dello 0,8% e tutte le tipologie all’interno di questa area perdono terreno: le vendite sono calate dello 0,2% negli ipermercati, dello 0,8% nei supermercati, dell’1,4% negli hard discount e del 2,5% nei grandi magazzini. L’unico segno positivo, fermandoci a questa realtà, è dato dalla vendita degli alimentari negli iper (+0,3%), indice che i consumatori preferiscono acquistare quello che mettono in tavola dove più facilmente possono usufruire di sconti e promozioni. Si acquistano, però, meno prodotti di profumeria e per la cura della persona (-4,8%) e meno libri, giornali e riviste (-5,2%).

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E’ alta la preoccupazione gridata dalla Confesercenti che chiede al governo di non dirottare tutte le attenzioni sul settore dell’auto. Il rischio di veder chiudere altre migliaia di imprese dopo le 52 mila del 2008 è molto concreto, secondo la organizzazione degli esercenti, tant’è che la loro previsione è la perdita di 150 mila posti lavoro, cifra che può ancor più gonfiarsi in assenza di interventi rapidi. Per l’associazione dei consumatori Codacons <<considerato che i dati sul commercio al dettaglio incorporano sia la dinamica delle quantità che dei prezzi e che a novembre l’inflazione era stata del 2,7%, si tratta di una situazione ancora peggiore rispetto a quella che appare. I consumi – aggiunge – sono letteralmente crollati, confermando le nostre stime di novembre, giudicate all’epoca allarmistiche e fantasiose dai commercianti>>. Il calo dei prodotti a domanda meno rigida, come quelli non alimentari, che registrano un crollo del 4%, dimostra che <<gli italiani, avendo finito i soldi, hanno deciso di rinviare il consumo di beni superflui, modificando le proprie abitudini di acquisto>>. Ancora, per il Codacons <<i piccoli negozi, quindi, se non vogliono continuare a perdere clienti a favore della grande distribuzione devono abbassare i prezzi del 20%>>.

*Confcommercio Le Previsioni sui consumi dell’Ufficio Studi della Confcommercio ci dicono che la contrazione dei consumi a fine anno supererà l’1% (tra l’1,2% e l’1,5%). Gli ultimi dati sulla composizione del “carrello della spesa”, confermano che c’è una ricomposizione del mix verso il basso, con più acquisti di convenienza, marche private.

Non si tratta – è sempre la Confcommercio che parla – solo di consumi alimentari e casa, ma anche di prodotti dell’abbigliamento, viaggi, vacanze. Vi è anche qualche segnale di rallentamento importante per la telefonia, sia hardware che software. Un quadro complessivo difficile. Quando si dice però che l’inflazione svuota il carrello non si dice una cosa esatta: a luglio l’inflazione italiana si è attestata al 4,1%, stesso dato dell’inflazione europea, mentre la crescita in Italia nel primo trimestre 2008 è stata appena dello 0,3% contro il +2,2% Ue: questo significa che il problema italiano non è l’inflazione ma la crescita. Mentre i consumi continuano a scendere. Negli ultimi dodici mesi è aumentata da 6,39 euro a 6,77 euro (+5,95%) la spesa per una dieta giornaliera da 2300 calorie, quantitativo compatibile con le esigenze di un uomo adulto. Un tasso di crescita fortemente superiore a quello dell’indice Istat dei prezzi al consumo per la collettività (+3,8% da settembre 2007 a settembre 2008). La crescita maggiore dei prezzi è quella della pasta (+24,91%), seguita da latte (+9,59%), riso (+9,01%) e pane (+8,63%). Incrementi inferiori al tasso di inflazione, invece, per l’insalata (+3,48%), l’acqua minerale (+2,41%), lo zucchero (+1,04%) e l’olio extravergine di oliva (+0,06%). La spesa media giornaliera per l’alimentazione di un uomo adulto, poi, varia tra i diversi capoluoghi di regione: la più cara è ad Aosta (7,69 euro), la più economica a Napoli (5,76).

I soldi in tasca sono pochi e la gente non compra più. Ma non si rinuncia solo al superfluo o,ovviamente, ai beni di lusso, ma si comincia a consumare meno anche sui beni di prima necessità, come il cibo, il pane, la pasta. Dopo il calo registrato ad agosto, anche a settembre l’Indicatore dei consumi di Confcommercio (Icc) registra una flessione dello 0,4% in termini di quantità acquistate, <<segnando così il settimo segno meno consecutivo da marzo 2008 e confermando quindi il permanere di un forte ridimensionamento dei consumi da parte delle famiglie>>. Nel complesso dei primi nove mesi del 2008, l’Icc mostra una riduzione dell’1,9% a fronte del +1,1% registrato nell’analogo periodo del 2007. Considerato però che i prezzi, nello stesso periodo, hanno registrato un aumento del 2,7%, la variazione tendenziale dei consumi da gennaio a settembre di quest’anno registra un +0,8%.

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Il 7 novembre, intanto, Mister Prezzi incontra i responsabili dei maggiori gruppi industriali e della grande distribuzione per affrontare la questione dell’aumento vertiginoso del prezzo della pasta di semola di grano duro arrivato ad ottobre a +32%.

Mr. Prezzi, che è già intervenuto sulla filiera cerealicola e in particolare sul pane, ha così sfruttato per la prima volta i nuovi poteri e le nuove funzioni attribuitagli dal decreto legge 112 di giugno.

Il 7 e l’8 novembre cinque dei principali gruppi di produzione della pasta (che coprono circa i due terzi del mercato) incontreranno singolarmente Antonio Lirosi al ministero dello Sviluppo economico per fare il punto e verificare le motivazioni dei rincari. Subito dopo, l’11 novembre, sarà la volta della grande distribuzione organizzata.

Nel 2008 i consumi familiari di pasta sono stagnanti con un calo dello 0,2% nelle quantità acquistate anche per effetto dei rincari è quanto emerge da una analisi della Coldiretti. Ma, al momento, la Barilla non prevede ritocchi al ribasso del prezzo della pasta. E’, in sintesi, quanto emerso dall’incontro che Barilla ha avuto con il garante per la Sorveglianza dei prezzi (Mister Prezzi).

*Politecnico – Omidaulab - Sunia Da Foggia a Taranto quasi la metà dei redditi più bassi (inferiori ai 1.200 euro mensili) va via per pagare la pigione di casa. Sintomo della crisi in atto. Gli osservatori avevano lanciato l’allarme sull’impennata degli affitti. Si è verificato esattamente come avevano detto. Il Politecnico di Bari, l’Omidaulab e il sindacato unitario inquilini e assegnatari (Sunia) in collaborazione con il Consorzio universitario Universus e il Centro italiano studi di economia meridionale (Cisem) hanno elaborato l’andamento statistico di questo impazzimento dei canoni locativi. Il 79% d’aumento in quattro anni registrato ad Andria, è un caso di rilevanza nazionale. Maurizio D’Amato, direttore scientifico dell’Omidaulab e curatore della ricerca decreta <<il fallimento>> della filosofia stessa della legge 431 (quella post equo canone) sui canoni concordati. Altro che abbattimento, il mercato ha preso il sopravvento. Anzi il mercato è stato cannibale. E i contratti d’affitto concordati non esistono. Misure a sostegno delle povertà (vecchie e nuove) si sostanziano nella necessità di politiche abitative efficaci. L’idea di fondo si scontra però spesso con le difficoltà degli attori (Stato, Regioni e Comuni) a parlare lingue compatibili. Propone l’assessore regionale all’Assetto del territorio, Angela Barbanente, Sarebbe il caso di inserire un obbligo di legge in base al quale una quota degli oneri di urbanizzazione corrisposta ai Comuni venga destinata a un fondo sull’Edilizia residenziale pubblica>>. Che ci sia un buco nei fondi non c’è dubbio. Anche lasciando le risorse invariate (e non è così perché le ultime manovre finanziarie nazionali hanno tagliato risorse tanto sui piani edilizi a favore degli sfrattati, quanto sui fondi di sostegno agli affitti per le famiglie indigenti), con le fasce di povertà che si allargano il problema si aggrava. Il segretario regionale del Sunia ribadisce che ormai un affittuario su quattro, su tutto il territorio regionale, fa domanda di accesso al contributo per poter sostenere le spese. L’assessore alla Casa,del Comune di Andria, che pure può vantare l’idea di mettere in atto il più imponente programma di riqualificazione urbana d’Italia, non nasconde i problemi: <<Nonostante tutti i nostri sforzi – dice –vista la crisi in atto, la domanda di alloggi popolari e a canone sostenibile resta superiore all’offerta>>. E l’offerta tende a frustrare le attese giacché, rivela la ricerca Politecnico-Sunia-Omidaulab, gli aumenti incidono in maniera preponderante proprio su quelle fasce sociali che non possono permettersi di pagare.

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*L’Osservatorio Findomestic Banca L’Osservatorio di Findomestic Banca il 13 gennaio ha reso noto i risultati di una indagine sul consumo dei beni durevoli in Puglia e nel Centro-Sud dell’Italia.

Dall’analisi dell’Osservatorio emerge che nel 2008 il reddito medio pro capite è cresciuto in linea con la media nazionale: dal 4.5 per cento in Calabria; del 4,4 in Puglia e in Campania; del 4,3 in Basilicata e in Sicilia. Ma il dato percentuale non dà un’idea corretta: infatti, il reddito medio dei cittadini calabresi è di 13.594 euro, quello dei pugliese 13.867 e dei siciliani di 13.416. Questo spiega perché la spesa per beni durevoli, in questi tempi di crisi, è calata. E anche perché le percentuali più basse della media nazionale (la contrazione su tutto il territorio nazionale si attesta intorno all’8 per cento) non costituiscano un indice di maggiore benessere o fiducia, piuttosto di una minore capacità d’acquisto anche prima dell’acuirsi delle difficoltà economiche. In termini assoluti il reddito medio nazionale è infatti pari a 18.422 euro Nel dettaglio, secondo i dati dell’Osservatorio Findomestic Banca, la regione meridionale dove si è evidenziata la maggiore riduzione della spesa per consumi durevoli è la Sicilia, con un meno 7,6 per cento. Nel 2008 anche la Calabria ha avuto una contrazione del 6,1 per cento, mentre la Puglia la spesa generale per consumi di beni durevoli ha segnato una diminuzione del 5,1 e in Basilicata del 5 per cento. In Campania il calo è stato più contenuto: 4 per cento.

Vediamo ora i beni durevoli che hanno subito una più consistente flessione. In tutto il Sud, rispetto al 2007, sono scese vertiginosamente le vendite di automobili nuove. Calo del 10,5% in Basilicata; dell’11,7 in Campania; del 12,9 in Puglia; del 13,1 in Calabria e in Sicilia del 16,8. Va anche male per gli elettrodomestici ‘bruni’, cioè quelli destinati all’intrattenimento (tv, registratori, impianti stereo) le cui vendite subiscono una riduzione dell’8,3 in Basilicata, del 5,9 in Calabria, del 5,1 in Sicilia e del 4,4 in Campania. Nelle stesse regioni è appena migliore il bilancio degli elettrodomestici ‘bianchi’ da cucina, frigoriferi, lavastoviglie, lavatrici Abbiamo già visto che in Puglia il reddito pro-capite è arrivato a 13.867 euro che è più della media nazionale e superiore alla media del Mezzogiorno. E’ diminuita del 5,1% la spesa generale per consumi di beni durevoli (dato nazionale -8%), ma in compenso la Puglia è la prima regione in Italia nel comparto motoveicoli (+1,6%, mentre il dato nazionale è negativo) e il mercato dell’auto usata è pari al 96% di quello dell’auto nuova.

Bari e la sua provincia, sempre secondo l’Osservatorio, continua ad occupare il primo posto in Puglia per reddito pro-capite (14.124 euro) e si conferma prima provincia per volumi di spesa. L’incremento maggiore (+4,7%) del reddito pro-capite lo registrano Bari e Brindisi; anche Taranto ha mostrato una crescita del reddito superiore alla media nazionale (+4,4%), raggiungendo i 14.107 euro di reddito pro-capite. Tuttavia, sottolinea l’Osservatorio Findomestic, resta un ‘gap’ di 4.556 euro tra il reddito medio pugliese e quello nazionale.

Le famiglie italiane, secondo il rapporto Findomestic, stanno affrontando la crisi tagliando sulle spese di tutti i giorni. E’ questo il rimedio scelto dal 64% delle famiglie italiane per far fronte alle difficoltà economiche. Il 50% delle famiglie pensa invece che rinunciare alle vacanze o più in generale alle spese attinenti al tempo libero possa essere un rimedio alternativo, mentre il 34% cerca lavori extra. Il 21% delle famiglie italiane decide di rateizzare i picchi di spesa/spese impreviste. <<A metà dell’anno 2008 – dice Findomestic – la produzione teneva ma noi abbiamo registrato un calo di 6 punti rispetto all’anno scorso, non si vedono sintomi di ottimismo. Durante i momenti di crisi la propensione al consumo e all’indebitamento cala. Non si vedono per il 2009 situazioni che possano invertire la tendenza>>.

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PUGLIA

Valori in milioni di euro

2007 2008 Var. % 08/07

Auto nuove 1.058 921 -12,9%

Auto usate 904 886 -2,0%

Motoveicoli 104 106 1,6%

Elettrodomestici bianchi + piccoli 217 215 -0,8%

Elettrodomestici bruni 231 220 -4,6%

Mobili 921 910 -1,2%

Informatica famiglie 52 52 0,2%

Durevoli 3.487 3.310 -5,1%

Reddito pro capite (in euro) 13.278 13.867 4,4%

Nota: Per elettrodomestici bianche + piccoli si intendono lavatrici, frigoriferi, frullatori etc.

Fonte: Prometeia - Findomestic

*La Federdistribuzione Intanto, secondo un’indagine di Federdistribuzione, per il 2009 le famiglie italiane risparmieranno da 410 a 2.000 euro. Alla base di questi benefici ci sono il calo del costo delle materie prime e gli interventi del governo. Comune a tutte le 28 milioni di famiglie sarà il risparmio medio di 410 euro, l’1,1% dei consumi totali, per il calo dei prezzi di carburante (-273), farmaci (-62) e bollette energetiche (-85). Grande risparmio per le famiglie, 1,8 milioni secondo le stime, che hanno acceso un mutuo a tasso variabile: la caduta dei tassi rispetto al 2008 fa ipotizzare infatti un beneficio medio di 1.917 euro. Lo studio di Federdistribuzione analizza poi i benefici medi derivanti dagli interventi del Governo. Il bonus per le famiglie a basso reddito, variabile da 200 a 1.000 euro, dovrebbe interessare a regime 8 milioni dei nuclei, con una media di 300 euro, mentre la social card ne dovrebbe fornire a 1,8 milioni di famiglie circa 480 euro in più.

*Qual’è la verità sui consumi A fronte di una affermazione del ministro dell’Economia che, da un osservatorio certamente autorevole e privilegiato, osserva che a Natale i consumi hanno retto, vi sono quelle di due grosse associazioni dei consumatori (Adusbef e Federconsumatori) che, invece ritengono che vi è stato un piccolo disastro: acquisti in calo del 20%, Né sarebbero andati meglio i saldi: la riduzione, rispetto al 2007, è stata a doppia cifra, sempre secondo le due associazioni. Dice, ancora, il presidente della Confcommercio <<la crisi c’è e morde>> ma per i saldi <<non c’è stato il crollo>>.

Come si può osservare stime e dichiarazioni divergenti e, in alcuni casi, anche contraddittorie. Certo la verità cambia da regione a regione e da una categoria merceologica all’altra. Esempio sono i dati della Findomestic, più sopra riportati, che mettono nello stesso capitolo ‘spese durevoli’ l’acquisto di auto nuove e auto usate e, a seguire, motoveicoli; elettrodomestici ‘bianchi’ e ‘bruni’, informatica per le famiglie. Ebbene il calo c’è stato, e anche alto, se si considerano regioni come il Piemonte e il Veneto, Al Sud, di contro, il livello delle spese durevoli, storicamente più basso, i cali percentuali sono abbastanza contenuti e, di conseguenza, naturalmente inferiori alla media. E’ giusto allora ascoltare i responsabili delle imprese, depositari dei bilanci, per riequilibrare il giudizio. Roberto Messina, presidente della Federlegno Arredo, l’associazione degli industriali de mobile e del legno, confessa che fino a quattro-cinque settimane addietro era più ottimista. La

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situazione però oggi è cambiata: <<I nostri associati ci dicono che nel comparto del mobile c’è stato un calo dei nuovi ordini compreso fra il 10 e il 20%. Ma se ci spostiamo nel comparto del legno per l’edilizia la situazione è tragica: -50% rispetto all’anno scorso>>. Ecco perché la Federlegno lancia un Sos al governo e chiede che <<venga almeno ridotta al 10% l’Iva per la giovani coppie che mettono su casa>>.

Per il vero non mancano aziende che stanno utilizzando la crisi per procedere ad un deciso cambiamento.

L’Euronics, numero due italiano nel settore dell’elettronica di consumo, che ha chiuso il 2008 con un aumento dei ricavi stimato attorno al 3% e pari a circa 1.850 milioni di euro. Ebbene, alcuni dei prodotti venduti dalla catena come i notebook (+14%) o le macchine digitali reflex (+19%) hanno fatto boom. Hanno avuto una considerevole crescita gli smartphone (+70%) mentre calala vendita dei cellulari tradizionali (-12%), di lettori Mp3 (-20%) e di computer desk-top (-20%). Non solo, il gruppo ha investito in comunicazione e nel servizio al cliente. Ha lanciato una campagna pubblicitaria che ruota attorno al clain <<Euronics contro l’abbandono del cliente>>. E non è finita, ha potenziato il suo call-center, composto esclusivamente da dipendenti del gruppo che conoscono bene sia i prodotti che i clienti. E’ poi il consiglio che lancia Federico Sassoli de Bianchi, il presidente dell’Upa, l’associazione dei grandi utenti pubblicitari, che invita a sfruttare il momento attuale per trovarsi avvantaggiati quando arriverà la ripresa. Un obiettivo raggiungibile se si attua un convinto investimento in comunicazione. Le Coop, numero uno italiano della grande distribuzione, sono tanto convinte di questa operazione che stanno per lanciare una poderosa campagna per rassicurare i consumatori: <<Da una parte la crisi, dalla tua parte ci siamo noi>>.

E’ vero che la situazione del largo consumo è completamente diversa. <<A dicembre il crollo nelle vendite dei prodotti alimentari nella grande distribuzione non c’è stato>>, lo dice Vincenzo Tassinari presidente del consiglio di gestione Coop Italia, <<le vendite si sono ridotte dello 0,1% e per quanto ci riguarda Coop ha fatto meglio: +2,1%. Certo se consideriamo i consumi alimentari nel loro complesso il 2008 chiude con una flessione più consistente stimata fra lo 0,6% e lo 0,8%>>. Come si può interpretare tutto questo. Lo spiega Tassinari: nel 2008 le vendite dei prodotti a marchio Coop sono cresciute del 14-15%. Al contrario, sempre nei supermercati delle cooperative, si registra una riduzione di 4 punti per le grandi marche. Avverte: non si tratta di un fenomeno legato solo al prezzo (anche se i listini delle ‘marche commerciali’ sono più bassi del 20-25%). Il cambiamento è più profondo e coinvolge anche altri settori. Mentre, ad esempio, i segnali che provengono dall’abbigliamento tradizionale non sono buoni (-3,4% in novembre) assistiamo al successo del fast-fashion. Alessandra Bombardini, vice presidente del Center Gross di Bologna che ospita 300 aziende del pronto moda è convinta che l’affermazione del prodotto non svanirà. Dice: <<Soprattutto il “pronto alla stanga”, cioè il prodotto che in due giorni arriva in tutta Italia sta andando fortissimo. Ma anche il fast fashion più tradizionale va alla grande>>. Secondo l’Osservatorio congiunturale del fast-fashion, infatti, il settore ha chiuso il 2008 con una crescita del 7% e nel 2009 l’aumento sarà del 5%. Non ci sono i consumi finali, ma anche quelli intermedi. I tessuti: il 95%, forse più, viene venduto ai produttori di abbigliamento. E se già gli abiti non vanno sono guai. Lo sa bene Luciano Donatelli, presidente della Fondazione Biella The Art of Excellence, che da anni supporta l’immagine dei tessuti e dei filati biellesi nel mondo. Lui è preoccupato: <<I segnali che provengono dal mondo della distribuzione non sono buoni. Da metà ottobre le vendite di abbigliamento sono inchiodate. E anche i saldi sono andati male>>.

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I filati di Biella, uno dei distretti più solidi del Made in Italy, non hanno risentito della crisi. <<Purtroppo i guai arriveranno nel corso del 2009>>, osserva il presidente della Fondazione, <<quando subiremo i contraccolpi imposti dallo stop che sta subendo l’industria dell’abbigliamento. Al Pitti, – continua il presidente – ma non solo al Pitti, gli ordini dei negozi per la prossima stagione stanno subendo cali del 20% o anche del 30%. E’inevitabile che ne risentano anche le tessiture e le filature>>. Secondo Donatelli da una parte bisogna sperare che la crisi sia breve e dall’altra evitare che venga stritolato il tessuto delle piccole e piccolissime aziende specializzate che detengono buona parte delle competenze del distretto. Dice: <<Per fortuna le imprese maggiori hanno capito e non ‘tirano il collo’ ai terzisti>>.

Le regioni dove le spese durevoli sono scese di più e di meno

Nord Sud

Piemonte -12,9 Campania -5,2

Trentino Alto A. -10,9 Puglia -5,9

Veneto -10,7 Basilicata -5,9

Friuli V.G. -10,6 Molise -7,3

Emilia-R. -10,4 Calabria -7,5

Fonte: Affari & Finanze di ‘la Repubblica’

*La media dell’anno si è fermata al 3,3% Il 2008 si è caratterizzato per una inflazione parecchio movimentata. I prezzi sono volati su e giù: le materie prime all’inizio e la recessione alla fine hanno comportato questa fluttuazione. Solo nell’agosto del 2008, rispetto allo stesso periodo del 2007, il costo della vita aveva toccato il 4,1 per cento, ma a dicembre si è stabilizzato sul 2,2, tanto da dare come risultato medio del 2008 il 3,3 per cento e, secondo l’Isae, tutto lascia pensare che nel 2009 la discesa continuerà. Abbiano già accennato che il prezzo delle materie prime e la caduta dei consumi hanno giocato un ruolo preponderante. Benzina e pasta hanno favorito la salita, la riduzione delle bollette energetiche soprattutto ne hanno favorito la discesa. Dicono gli uomini del Governo che, proprio per quest’ultimo fattore nel 2009 le famiglie spenderanno meno rispetto ai picchi del 2008.

Gli utenti sono, per il vero, di altro avviso. Dice, ad esempio, la Coldiretti che il costo della vita e la crisi hanno già modificato il bilancio alimentare delle famiglie: <<In pratica, per acquistare le stesse quantità di cibo gli italiani hanno dovuto spendere 5 miliardi in più: un aumento al quale non c’è giustificazione>>. Le associazioni dei consumatori contestano sia il dato riassuntivo dell’inflazione (3,3) che il possibile miglioramento futuro. Per Adusbef e Federconsumatori l’inflazione media del 2008 è del 5,9 per cento. E’ vero – ammettono – che nell’ultima fase dell’anno il dato risulta in discesa ma solo per via <<della forte contrazione dei consumi che ha peggiorato la condizione sociale delle famiglie>>. I capitoli che più hanno inciso sul potere d’acquisto – costi energetici ed alimentari – non stanno registrando come dovrebbero <<l’avvenuta diminuzione dei prezzi internazionali delle materie prime, come petrolio e grano. I sindacati condividono tale lettura e invitano a non abbassare la guardia e a praticare una politica anti-crisi che guardi soprattutto alle classi di reddito medio-basse. Per i commercianti, invece, il vero scoglio resta quello dello sviluppo. Dice l’ufficio studi della Confcommercio: <<Il dato di dicembre conferma tre elementi di analisi, l’inflazione non è più un problema dell’economia italiana. L’Italia è in linea con il resto dell’Europa, che registra una diminuzione dei prezzi delle materie prime e di quelli energetici che gradualmente si stanno trasferendo ai prezzi al consumo. Il vero nodo dell’economia, dunque, è il persistere della bassa crescita e della domanda>>.

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*Commissione europea – Eurostat Nella seconda “Pagella annuale dei mercati” diffusa, dalla Commissione europea, negli ultimi giorni di gennaio 2009, l’Italia si conquista una posizione mediana. La percentuale di produttori i cui prodotti sono stati richiamati, cioè ritirati dal mercato perché difettosi, per esempio, è del 22%, quasi in linea con la media europea. Il punto critico appare quando il cliente tenta di farsi rimborsare o riparare un prodotto difettoso, di ottenere una riduzione del prezzo o di cancellare il contratto di acquisto, dicono i dati Ue, solo i consumatori della Bulgaria e della Romania sono trattati peggio di quelli dell’Italia. Mentre solo il cliente di Malta sta peggio di noi, quando deve esercitare il diritto di recesso entro un termine di tempo prefissato. Come si èletto una vera debacle. Forse è anche per questo che solo due consumatori su cinque ha fiducia nelle istituzioni, molto al di sotto della media europea.

Tutto abbastanza bene per gli altri Paesi della Ue e per l’Italia: prodotti casalinghi e servizi come le telecomunicazioni e le assicurazioni. La commissaria europea per la protezione dei consumatori dice: <<Ma in tutta l’Europa ciò che non funziona sono i servizi energetici e bancari, e i trasporti>>.

La ricerca svolta da Eurostat sui prezzi al consumo ci riserva un’altra amara sorpresa. L’Italia, per almeno quattro prodotti alimentari base, è fra i sei-setti Paesi più cari d’Europa, e in alcuni casi sta ai primissimi posti. Per esempio, il burro: il prezzo italiano è battuto solo da quello ungherese (prezzi del giugno 2008). L’olio in Italia costa quanto in Gran Bretagna e di più che in Spagna o in Portogallo, Paesi non certo più ricchi di uliveti e di frantoi. Per la carne bovina non congelata, solo la Svizzera (ma è fuori dalla Ue, non conta) è più cara di noi. E perfino per il caffè, patrimonio nazionale, l’Italia è più cara del Portogallo o della Spagna.

IL CONFRONTO

Prezzi aggiornati al giugno 2008, per mille grammi di prodotto

Patate Gelati

Irlanda 1,56 Repubblica Ceca 6,76

ITALIA 0,94 ITALIA 6,59

Spagna 0,90 Austria 5,75

Finlandia 0,74 Lussemburgo 4,51

Repubblica Ceca 0,68 Romania 4,49

Caffè Burro

Malta 19,78 Ungheria 2,14

Gran Bretagna 11,38 ITALIA 1,99

Romania 10,40 Cipro 1,97

ITALIA 9,18 Danimarca 1,91

Lussemburgo 9,09 Romania 1,74

Nota: I prezzi più alti che si pagano per alcuni alimenti di largo consumo nei 27 Paesi dell’Ue: l’Italia è sempre fra i 5

Paesi nelle classifiche di vari prodotti

Fonte: Eurostat

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*Sempre l’Istat L’Istat il 23 febbraio ha confermato che i prezzi sono in contrazione sull’onda sempre più lunga di una recessione che sta mettendo in difficoltà il mercato.

I dati provvisori, infatti, indicano che nel mese di gennaio 2009 l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (comprensivo dei tabacchi) ha registrato una variazione di -0,1% rispetto al mese di dicembre 2008 e una variazione di +1,6% rispetto allo stesso mese del 2008. Si torna così ai livelli di agosto 2007. Al netto dei tabacchi – sono queste sempre le considerazioni dell’Istat – l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività ha presentato nel mese di gennaio 2009 una variazione mensile pari a -0,1% e una variazione tendenziale di +1,6%.

A livello di settori – continua l’Istituto di statistica – nel mese di gennaio gli aumenti mensili più significativi sono stati rilevati per il comparto dei “Servizi sanitari e spese per la salute” e per “Altri beni e servizi” (in entrambi i casi gli aumenti mensili sono stati del +0,2%). In crescita anche i prodotti alimentari e bevande analcoliche, l’abbigliamento e calzature e il settore dei mobili, articoli e servizi per la casa (per tutti un +0,1%). Per le singole voci di spesa, l’Istat segnala alcuni rallentamenti interessanti di alimentari di base, che però su base annua continuano a marcare aumenti incredibili. Un esempio per tutti, nel comparto alimentare si registra il rallentamento della crescita annuale dei prezzi di pane e cereali, passata dal +7,8% di dicembre al +7% di gennaio. In particolare il prezzo del pane risulta diminuito dello 0,1% rispetto a dicembre, con un aumento del 2,7% rispetto al 2008 (+3,4% a dicembre). Moderati aumenti congiunturali si registrano al contrario per i prezzi delle carni (+0,1%), il cui tasso tendenziale è sceso nell’ultimo bimestre dal +2,8% al+2,6%. Aumenti su base mensile (+0,1%) si sono avuti inoltre per i prezzi del gruppo “Latte, formaggi e uova” che tuttavia determinano un significativo rallentamento del tasso annuale (dal +4.7% di dicembre al +4% di gennaio). Il prezzo del latte intero fresco, poi, si riduce lievemente (-0,1%) su base mensile e aumenta del 4,3% sull’anno (in flessione rispetto al 5,7% di dicembre), mentre quello dei formaggi cresce dello 0,1% su dicembre e del 3,8% sull’anno. Aumenti congiunturali si verificano anche per i prezzi del gruppo “Pesci e prodotti ittici” (+0,8% rispetto a dicembre) che tuttavia fanno registrare un tendenziale pari al 3,1% in calo dal +3,5% del mese precedente. Non si può non considerare come all’interno della filiera alimentare, esista un meccanismo speculativo che non può essere supinamente accettato, in quanto a subirne le conseguenze sono le famiglie italiane. Inoltre, se si continuerà così, c’è chi calcola che si trascineranno dietro, anche per il 2009 un maggior costo per l’alimentazione di circa 500 euro all’anno.

I CAPITOLI DI SPESA

Variazioni % gennaio 2009 su gennaio 2008

Prodotti alimentari e bevande analcoliche +3,8 Trasporti -1,6

Bevande alcoliche e tabacchi +3,2 Comunicazioni -3,3

Abbigliamento e calzature +1,6 Ricreazione, spettacoli e cultura +0,6

Abitazione, acqua, elettr. E combustibili +4,1 Istruzione +2,2

Mobili, articoli e servizi per la casa +2,2 Servizi ricettivi e di ristorazione +1,8

Servizi sanitari e spese per la salute +0,8 Altri beni e servizi +2,5 Fonte: Istat

*Federalimentare La Federalimentare, nel presentare il bilancio 2008 dell’industria del settore, rileva che da due anni i consumi dei prodotti alimentari sono in calo e le vendite si sono fermate nell’anno in discussione

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sul +1,0%. E’ vero, i prezzi alimentari al consumo (lavorato+fresco) hanno oscillato in media attorno al +5%, anche se in chiusura d’anno sono scesi sotto il +3%. Ciò significa, lo dice la Federalimentare, che l’incremento del fatturato delle vendite alimentari dell’1% non ha coperto l’inflazione, per cui i volumi 2008 hanno ceduto. In questo contesto la grande distribuzione ha mantenuto in media tre punti di scarto sul trend delle vendite dei piccoli esercizi. Hanno accelerato, continua l’analisi di bilancio, ancora “hard discount”, “primi prezzi” e “promozioni”, il che suggerisce le affermate tendenze “low cost” nella spesa degli italiani. Un altro dato poco confortante è quello che riguarda le previsioni del 2009 con i consumi in calo del 2-3%.

Secondo la Federalimentare a risentirne maggiormente saranno i prodotti “premium” e quelli dop e igp. Ormai il consumatore cerca un rapporto qualità-prezzo conveniente. C’è però da dire che, nonostante tutto, proprio in un periodo di crisi pesante per i mercati internazionali, l’industria alimentare riesce a tenere meglio rispetto agli altri settori dell’economia e ha segnato nel 2008 un calo contenuto della produzione dell’1,5%, incrementando, d’altra parte, il fatturato del 5,7% pari a 120 miliardi di euro. Tutto ciò non attenua le preoccupazioni per una crisi che si allarga e, secondo le previsioni dell’associazione confindustriale, non mancherà di impattare sull’anno 2009. Dopo un anno in cui l’export alimentare italiano ha ancora conseguito positivi risultati (+10% in valuta), la stima per il 2009 è una frenata del 2-3% in valuta e del 4-5% in quantità. Conclude la Federazione degli alimentaristi, che sull’export ‘Made in Italy’ pesa anche quel rilancio del protezionismo di beni e capitali interni che si intravede sui mercati internazionali e che potrebbe appunto far soffrire le economie orientate all’export come quella italiana. Per questo si sollecita lo sblocco dei 52 milioni di euro per la promozione dell’agroalimentare che devono essere dati a Buonitalia.

*Le vendite e i consumi secondo l’Istat Per l’Istat, a dicembre 2008 le vendite del commercio fisso al dettaglio hanno registrato una flessione dell’1,9% rispetto allo stesso periodo del 2007. La variazione negativa deriva dalle diminuzioni dello 0,8% delle vendite di prodotti alimentari e del 2,7% di quelle di prodotti non alimentari. A dicembre 2008,l’indice destagionalizzato delle vendite al dettaglio ha segnato una variazione congiunturale nulla.

La variazione tendenziale negativa dell’1,9% segnalata a dicembre 2008 è il risultato di flessioni che hanno riguardato sia la grande distribuzione (-0,7%), sia le imprese operanti su piccole superfici (-2,9%), La riduzione tendenziale delle vendite verificatasi in dicembre risulta più contenuta nella grande distribuzione rispetto alle piccole imprese, sia per i prodotti alimentari, sia per quelli non alimentari. Nel complesso, nel 2008, il valore del totale delle vendite ha registrato, rispetto alla media del 2007, una variazione negativa dello 0,6%. Le vendite della grande distribuzione hanno subito un aumento dell’1% mentre quelle più piccole hanno conosciuto una flessione del 2%. Prendendo in considerazione lo stesso periodo, le vendite di prodotti alimentari sono aumentate dello 0,7% mentre le vendite non alimentari sono diminuite dell’1,6%. A dicembre 2008 il valore delle vendite ha registrato flessioni del 2,9% nelle piccole e medie imprese e dell’1% nelle grandi imprese. Nella media dell’anno 2008 il valore delle vendite è diminuito, rispetto al 2007, del 2,2% nelle piccole imprese, dell’1,6% nelle medie imprese; è aumentato dello0,4% nelle grandi imprese.

Relativamente al valore delle vendite di prodotti non alimentari a dicembre 2008 tutti i gruppi di prodotti hanno registrato variazioni tendenziali negative. La maggiore entità di flessione ha riguardato i gruppi elettrodomestici, radio, tv e registratori e altri prodotti (gioiellerie, orologerie) con un -4,1% per entrambi i gruppi, mentre le variazioni negative più contenute sono state raggiunte per i gruppi dotazioni per l’informatica, telecomunicazioni, telefonia (-0,5%) e prodotti farmaceutici (-1,4%). Nella media del 2008 tutti i gruppi di prodotti non alimentari hanno subito, rispetto all’anno precedente, variazioni negative. Le più significative sono state registrate dal gruppo

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elettrodomestici, radio, tv e registratori (-2,5%), quelle più contenute hanno riguardato il gruppo prodotti farmaceutici (-1%) e i gruppi dotazioni per l’informatica, telecomunicazioni, telefonia e generi casalinghi durevoli e non durevoli (-1,4%).

*Ufficio Studi di Confcommercio Non certo ottimiste risultano le valutazioni dell’Ufficio Studi di Confcommercio in relazione alla spesa per consumi delle famiglie pugliesi. Se questa era attestata sul +1,9% tra il 1996 e il 2000, ha avuto un forte rallentamento tra il 2001 e il 2007 (+0,3%) e per il periodo 2008-20010 è stimata in netta frenata (-0,9%), valori che sono peraltro inferiori a quelli nazionali. Ad esempio, è inferiore la spesa delle famiglie per abitante, in linea comunque col dato del Mezzogiorno.

Consumi delle famiglie in termini reali variazione % media annua

1996-00 2001-07 2008-10

Foggia 1,9 0,3 -0,8

Bari 2,0 0,4 -0,9

Taranto 1,9 0,3 -0,8

Brindisi 1,9 0,3 -0,9

Lecce 1,8 0,4 -0,8

PUGLIA 1,9 0,3 -0,9

Sud 2,4 0,4 -0,6

ITALIA 2,5 0,7 -0,4

Fonte: Elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat

Le nuove povertà *La Cgia di Mestre Nella seconda metà di agosto la Cgia (Confederazione Generale delle Imprese Artigiane) di Mestre ha presentato uno studio prendendo in esame l’indebitamento medio delle famiglie italiane. A cinque anni dall’adozione della moneta unica europea i debiti delle famiglie si sono praticamente responsabilità, sempre secondo lo studio: i mutui da pagare, i finanziamenti per ristrutturare casa, i prestiti per l’acquisto di automobili o di altri beni, senza dimenticare i consumi sempre più alti. Il debito medio complessivo per famiglia ha toccato nel dicembre 2007 ben 15.765 euro con un incremento rispetto al 2002 del 93%. Guardiamo ora i dati che si riferiscono alla Puglia. Bari è la provincia più indebitata e con i suoi 12.931 euro si posiziona, in Italia, alla 52esima posizione, seguita da Taranto 73esima con 11.763 euro, Brindisi 83esima con 9.551 euro, subito dietro Foggia con 9.426 euro e Lecce, fanalino di coda della regione, con un 95esino posto e con un indebitamento medio di 8.158 euro. Chiarisce la Cgia: <<Le città maggiormente indebitate sono quelle che al tempo stesso fanno registrare anche i livelli di reddito più elevati. Non è da escludere che tra questi “indebitati” vi siano anche delle famiglie appartenenti alle fasce sociali più deboli. Tuttavia, appare evidente che la forte esposizione in queste realtà, soprattutto a fronte di significativi investimenti immobiliari, ci deve preoccupare relativamente>>. In termini di debito assoluto nei confronti degli istituti di credito e degli istituti finanziari quindi le città meridionali sono indietro nella classifica delle 103 province stilata dalla Cgia.

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Se si passa ad esaminare la tendenza registrata negli ultimi cinque anni, ovvero da quando è entrato in vigore l’euro, l’ottimismo lascia spazio alla preoccupazione. <<Altra cosa è quando analizziamo la variazione di crescita registrata negli ultimi anni. Nei primi posti abbiamo molte città del Sud. Ciò sta a significare che questo aumento è probabilmente legato al perdurare della crisi economica che ha indotto molte famiglie a ricorrere a prestiti bancari per affrontare questa difficile situazione. L’onda lunga dell’euro e delle speculazioni legate all’introduzione della moneta unica, soprattutto al Sud, pesano fortemente sul menage domestico. Sono moltissime le province in tutto il Paese che hanno in sostanza raddoppiato il loro indebitamento: in 20 hanno avuto una crescita superiore alla media e le poche province che si collocano in coda alla classifica vedono un increnento di non poco entità, cioè circa del 50%, con un minimo al 42,45% (Bolzano). Per le pugliesi, Taranto è la prima, all’ottavo posto, con una crescita preoccupante del 102,34%, un debito più che raddoppiato. Segue Brindisi al 23esimo posto con un più 91,49%; il capoluogo della Capitanata è 32esimo con un incremento dell’83,43% e dietro c’è Bari con l’80,69%. Ultimi tra le pugliesi Lecce con una crescita del debito, più 60,85%, che la pone all’86esimo posto, con un risultato quindi di gran lungo positivo rispetto alle altre province della regione.

Chi ha fatto ricorso al credito degli istituti bancari in misura abbastanza contenuta sono le famiglie residenti nella provincia di Isernia, che sono indebitate per 7.119,83 euro, quelle di Reggio Calabria per 7.099,05 euro, di Benevento per 6.951,66 euro e di Vibo Valentia per 6.769,92 euro. Il maggiore indebitamento si registra a carico dei nuclei familiari della provincia di Roma dove la media raggiunge quasi 22mila euro. Seguono: Milano (21.321 euro), Lodi (20.593 euro), Reggio Emilia (20.138 euro) e Rimini (20.060 euro).

La responsabile del Movimento dei consumatori pugliesi ritiene <<che la prima causa dell’indebitamento delle famiglie è l’aumento esponenziale di prezzi e tariffe, ma a questo dato bisogna aggiungere anche l’aumento delle spese per beni superflui e non necessari che, da una nostra ricerca, risulta riguardare almeno per il 12 per cento delle famiglie>>. Aggiunge: <<Il minore indebitamento delle famiglie meridionali è da mettere in relazione anche al minor costo della vita che si registra nelle regioni del Mezzogiorno>>.

Tuttavia, la maggiore crescita del debito delle famiglie, avvenuta tra il 1° gennaio 2002 sino al 31 dicembre 2007 appartiene a Napoli che in questi 5 anni è cresciuta del 116,36%. Segue Reggio Emilia con un aumento del 116,11%, Piacenza con 116,09% e Chieti con il 115,68%. Chiude la classifica Potenza con il 46,46% e, come abbiamo già detto Bolzano con il 42,45%. (1)

INDEBITAMENTO DELLE FAMIGLIE ITALIANE AL 31/12/2007

Cifre in Euro Impieghi [per famigl.]

Cifre in euro Impieghi [per

famig.]

1 Roma 21.949,94 97 Agrigento 7.537,59

2 Milano 21.321,68 98 Enna 7.195,54

3 Lodi 20.593,26 99 Avellino 7.177,19

4 Reggio Emilia 20.138,44 100 Isernia 7.119,83

5 Rimini 20.060,99 101 Reggio Calabria 7.099,05

6 Modena 19.929,18 102 Benevento 6.951,66

7 Trento 19.927,17 103 Vibo Valentia 6.769,92

Fonte: Cgia Mestre

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INDEBITAMENTO DELLE FAMIGLIE PUGLIESI

Cifre in Euro Impieghi [per famigl.]

52 Bari 12.931,26

73 Taranto 11.763,63

83 Brindisi 9.551,00

84 Foggia 9.426,47

95 Lecce 8.158,59

Fonte: Cgia Mestre

*L’8° Rapporto sulla povertà della Caritas dal titolo significativo “Ripartire dai poveri”, elaborato dalla Caritas e dal Centro studi Zancan denuncia una realtà drammatica. Oltre 15 milioni di persone che devono quotidianamente affrontare enormi difficoltà economiche con un reddito inferiore ai 600 euro al mese o poco più, comunque meno della metà del reddito medio, dimenticate da <<anni di disinteresse da parte dei politici per chi è in difficoltà>>. E in Italia che si scopre con sempre più anziani soli e poveri al nord e famiglie con tre figli che, soprattutto al sud, vivono al limite della sussistenza, con i giovani costretti a crescere con un futuro segnato da minori opportunità. <<L’Italia non è il posto dell’uguaglianza e nemmeno quello delle opportunità>>. C’è bisogno di iniziative adeguate per risolvere una situazione definita <<strutturale, radicata nell’incapacità di dare risposta al problema. Lotta alla povertà, promozione del mezzogiorno, garanzia dei livelli essenziali dei servizi e delle prestazioni sociali in tutta Italia, tutela della non autosufficienza, integrazione degli immigrati, accesso all’abitazione. Sono le priorità che devono impegnare Parlamento e governo per ridurre la vulnerabilità del Paese>>. La realtà è che in Italia <<più di altri Paesi europei vi sono grandi differenze fra chi vive in un discreto benessere, chi tutti i giorni lotta per non oltrepassare la soglia della povertà e chi dentro la povertà ci sta da tempo e non intravede nulla di nuovo nel futuro>>. Sono in aumento, più di 200 mila i frequentatori delle mense della Caritas; nel 2008, rispetto allo stesso periodo del 2007, i pignoramenti sono aumentati del 17%. Insignificante, ad esempio, è stato l’effetto dell’abolizione dell’Ici, <<non è una strategia di lotta alla povertà, perché i poveri sono stati ignorati>>. Le categorie più a <<rischio povertà>> sono le famiglie con anziani (soprattutto se non autosufficienti) e quelle con tre o più figli. Un terzo di queste vive al Sud. <<Il quinto delle famiglie con i redditi più bassi percepisce solo il 7,0% del reddito totale mentre il quinto delle famiglie con il reddito più alto, percepisce il 40,8% del reddito totale>>. Accuse concrete supportate, nel dossier, da cifre, statistiche che disegnano un paese dove si spende poco in assistenza sociale, un diciassettesimo rispetto alla Gran Bretagna, un nono rispetto alla media europea. E, là dove quello che si spende non raggiunge gli obiettivi. <<Se infatti Germania o Norvegia riescono con i loro interventi – che puntano più sui servizi che sui semplici trasferimenti monetari – a diminuire il rischio di povertà fino al 50 per cento, l’efficacia delle nostre politiche è minima solo il 4%. Siano uno degli ultimi paesi europei a non avere un piano organico contro la povertà>>. La povertà in Italia esiste. E’ una realtà drammatica. Ma non è sul tavolo dei governi. Il fatto che un italiano su quattro è povero o rischi di diventarlo pare non interessare. Quello che chiede la Caritas sono culture politiche adeguate e non <<misure settoriali o palliativi>>. Tra le proposte avanzate quella di trasformare in servizi reali una parte dei 47 miliardi che l’Italia destina ogni anno all’assistenza sociale (in indennità di accompagnamento e assegni

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familiari), affidando le negoziazioni alle associazioni e ai sindacati di categoria e la gestione agli enti locali.<<Devono farci riflettere in modo approfondito>> e richiamano a una <<grossa responsabilità>> chiunque <<ricopra autorità di governo all’interno della nostra società perché affrontino con equilibrio e maturità la situazione di crisi>>.

I POVERI TRA CHI HA FIGLI

2005 2006

Con un figlio minore 10,1 10,3

Con due figli minori 17,2 17,2

Con tre o più figli minori 27,8 30,2

Almeno un figlio minore 14,1 14,4

I POVERI TRA CHI HA PIU’ DI 65 ANNI

2005 2006

Nord 5,8 8,2

Centro 7,9 6,9

Mezzogiorno 23,5 22,9

ITALIA 11,7 12,6

L’ALLARME DELLA CARITAS

7,5 milioni le persone ufficialmente sotto la soglia di povertà

15 milioni le persone considerate ad alto rischio

LE MISURE Di quanto si riduce l’impatto della povertà grazie alla spesa per la protezione sociale

del 50% in Svezia, Danimarca, Olanda, Germania, Irlanda

del 4% in Italia e Grecia

I DATI ISTAT

13% degli italiani è povero, con meno di 500 – 600 euro al mese

LA SPESA PER LE PRESTAZIONI SOCIALI

366.878 milioni di euro nel 2007 (66,3% per le pensioni)

IN RAPPORTO AL PIL

PREVIDENZA 15,8%

SANITA’ 6,2%

ASSISTENZA SOCIALE 1,9%

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*Istat A mettere l’accento sulla povertà è anche l’Istat, con i dati diffusi il 4 novembre. Secondo l’Istituto di statistica sono oltre 2,5 milioni le famiglie povere (più precisamente 2.653.000, pari all’11,1%, pari al 12,9% della popolazione totale). Le persone che vivono in condizioni di ristrettezza economica sono 7.542.000, il 12,8% dell’intera popolazione. In Puglia, come in tutto il Mezzogiorno, il dato si raddoppia e raggiunge il 22,5%, in crescita dello 0,4% rispetto all’ultima rilevazione. In Sicilia l’incidenza della povertà è drammatica (27,6 per cento contro il 3,3 del Veneto). Sempre secondo lo studio il 4,9% delle famiglie sono considerate particolarmente povere (circa un milione 170 mila persone) con un livello di spesa mensile di molto inferiore rispetto alla linea di indigenza. L’Istat identifica una <<soglia di povertà relativa>> che varia a seconda del numero dei componenti del nucleo familiare: è pari ad una capacità di spesa di poco meno di 600 euro mensili per una persona che vive da sola e arriva a 1.607 euro per quattro persone e a 2.367 per sette o più componenti la famiglia. Rispetto all’anno precedente la situazione è rimasta pressoché invariata dal momento che, anche nel 2006 le famiglie povere erano l’11,1%. Solo le famiglie toscane hanno registrato un miglioramento delle loro condizioni di vita in un anno. Mentre in tutta Italia ci sono diverse famiglie, il 3,7% di quelle oggi considerate non povere, a rischio indigenza, pari a quasi 900 mila nuclei familiari. Per tornare al Sud, qui la povertà relativa si conferma maggiormente diffusa, dove l’incidenza è quattro volte superiore a quella del resto del Paese; tra le famiglie più ampie in particolare con tre o più figli soprattutto se minorenni. Rimangono invariate, dice l’Istat, le caratteristiche tipiche della povertà italiana: l’indigenza colpisce soprattutto il Sud, le famiglie numerose, le persone con bassi profili professionali, gli anziani e le famiglie monogenitore.

La presenza di minori poveri in Italia è superiore a quella registrata in altri paesi. L’incidenza di povertà è del 14% tra le coppie con due figli e del 22,8% tra con quelle con almeno tre.

In generale, l’81% delle famiglie italiane è considerata non povera, il 4,2% si situa poco al di sopra della linea di indigenza, il 3,7% è praticamente a rischio, mentre l’11,1% di nuclei considerati poveri possiamo avere un 2,7% poco al di sotto della <<linea di povertà>>, il 3,5% un gradino ancora più basso e il 4,9% di <<sicuramente poveri>>.

Questi dati sono sconfortanti anche perché in presenza della ormai conclamata congiuntura economica in netto peggioramento è facilmente ipotizzabile che, se non si interviene su questo terreno in maniera efficace, il numero dei poveri è destinato ad aumentare, in particolare quando gli effetti della stagnazione-recessione saranno pienamente dispiegati.

I NUMERI

Incidenza % 2006 Incidenza % 2007

Abruzzo 12,2 13,3

Molise 18,6 13,6

Campania 21,2 21,3

PUGLIA 19,8 20,2

Basilicata 23,0 26,3

Calabria 27,8 22,9

Sicilia 28,9 27,6

Sardegna 16,9 22,9

MEZZOGIORNO 22,6 22,5

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Centro 6,9 6,4

Nord 5,2 5,5

ITALIA 11,1 11,1

I DATI PER RIPARTIZIONE GEOGRAFICA (%)

2005 2006 2007

SUD 24,0 22,6 22,5

ITALIA 11,1 11,1 11,1

Centro 6,0 6,9 6,4

Nord 4,5 5,2 5,5

Fonte: Dati Istat

*Bollettino statistico della Banca d’Italia

In tutti i modi il Bollettino Statistico della Banca d’Italia ci fa sapere che le famiglie italiane sono meno ricche. Tra il primo e il secondo trimestre 2008 la crisi si è mangiato 54 miliardi di euro che era nelle loro disponibilità e tra il secondo trimestre 2007 e il secondo del 2008 sono stati bruciati 265 miliardi. Più analiticamente: il valore delle azioni si è ridotto di 55 miliardi; in un anno il calo della consistenza è stato di oltre 305 miliardi di euro; i Fondi Comuni di Investimenti segnano una riduzione di 15 miliardi; anche la voce assicurazioni, tra un trimestre e l’altro, perde 8 miliardi.

Si affermano, invece, i titoli di Stato. A giugno avevamo 741 miliardi di quelli a medio-lungo termine (circa 21 in più rispetto al trimestre precedente. Anche i biglietti, le monete e i depositi a vista crescono di 14 miliardi. Segno che gli italiani preferiscono anche i contanti. In totale, nel secondo trimestre il totale delle attività è stato pari a 3.500.542 miliardi di euro rispetto a 3.540,020 del primo trimestre sempre del 2008. e ai 3.764.632 del secondo trimestre del 2007. Vi è un ritorno all’indebitamento, sempre secondo la Banca d’Italia. Dopo la lieve inversione di tendenza che si era verificata nel primo trimestre dell’anno, nel periodo marzo-giugno 2008 le passività sono tornate a crescere attestandosi a quota 643.888 miliardi di euro. L’incremento è di poco superiore ai 2 miliardi di euro, ma l’indebitamento delle famiglie supera i livelli di fine 2007, quando era a quota 643.421 miliardi di euro.

L’incremento, trimestre su trimestre, è sia per i prestiti a breve termine, passati dai 55.666 miliardi di gennaio-marzo 2008 a 56.028 di aprile-giugno, che per quelli a medio-lungo termine.

Uno studio di Adusbef e Federconsumatori calcola in 12.827 euro annui gli effetti diretti (andamento dei titoli azionari e perdite di prodotti finanziari cosiddetti tossici) e indiretti (caduta del Pil, aumento delle rate dei mutui a tasso variabile, aumento dei costi d’investimento delle imprese e ricaduta sui prezzi di beni).

La ricchezza finanziaria delle famiglie

in miliardi di euro

II trim. 2007 II trim. 2008 Differenza %

Totale 3.765 3.500 -7,0%

Azioni e partec. 1.105 799 -27,6%

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Quote fondi comuni 290 206 -28,9%

Biglietti e depositi 946 1.016 +7,4%

Titoli a breve termine 31 34 +9,7%

Tit. a medio-lungo term. 673 742 +10,2%

Fonte: la Repubblica

I debiti delle famiglie

II trim.2007 II trim. 2008 Differenza %

Totale 623 644 +3,4%

di cui

Prest. A breve termine 54 56 +3,7%

Prest. A medio lungo term. 452 468 +3,8%

Fonte: la Repubblica

*Ancora la Caritas

La situazione con l’entrata dell’inverno diventa sempre più drammatica, la conosce bene la Caritas che deve far fronte ad un’esplosione mai vista prima. Spiega una responsabile, Roberta Molina: <<Dobbiamo distinguere la povertà classica dei senza fissa dimora da quella di nuovo tipo che non è dei singoli ma dei nuclei familiari, a volte anche due stipendi>>. Quindi la povertà del ceto medio che scivola lentamente verso uno stato di bisogno. Persone con un tetto sulla testa, ma strangolati dalle rate del mutuo. O con sulle spalle un prestito e una finanziaria che batte cassa. Fino al crack. Fino a rientrare nella categoria dei ‘nuovi poveri’. Allora, donne sole con figli, uomini rimasti senza occupazione a ridosso dei 50 anni. E ancora precari, anziani che si ritrovano a dover mantenere con la loro pensione i figli adulti in difficoltà, o persone che hanno affrontato spese impreviste per una malattia. <<I nuovi poveri li riconosci perché vengono all’inizio del turno di distribuzione del cibo o quando stiamo per chiudere – e ciò che riferisce un operatore – di modo da non mettersi in fila: hanno paura di essere visti>>. Basta stare fuori alla porta di uno dei centri per vederla, sentirla. Ci tiene a vestire, è pulito. Poi è un attimo: con uno scatto improvviso entra dentro la mensa. Vedono questo posto come l’ultimo stadio. Così prima tentano di ottenere pacchi famiglia o la tessera per entrare negli empori di solidarietà. A Sant’Egidio, per inquadrare la situazione usano un parametro: <<Prima distribuivamo più pacchi ai senza fissa dimora rispetto alle famiglie ‘normali’, ora è il contrario>>. Ma è la crescita delle telefonate ai centri di ascolto a dare agli operatori sociali un’ulteriore idea delle dimensioni che sta assumendo il fenomeno. In questo caso la richiesta è semplice: soldi. Nient’altro.

*L’Adoc, Centro Interdipartimentale di ricerca sull’etica economica, la Comunità di Sant’Egidio, l’Istat, l’Ocse E’ l’Adoc (Associazione nazionale per la difesa e l’orientamento dei consumatori) a darci un quadro della situazione: da una indagine sul mercato del Monte dei pegni a livello nazionale ha evidenziato un incremento medio dal 2001 ad oggi del 7% l’anno. Per non parlare degli affari che ultimamente stanno realizzando i negozi di compravendita di oro usato. A Roma negli ultimi tempi ne sono sorti decine. Alcuni dei proprietari di questi esercizi ammette di non aver avuto mai tante offerte di argenteria, ori, porcellane, ma anche alcune pellicce. Insomma: i beni di famiglia. La compravendita è l’ultima strada. Dopo c’è solo il Superenalotto. Ed è vero, i dati parlano chiaro:nel primi dieci

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mesi del 2008 il giro d’affari dei giochi si è attestato attorno ai 40 miliardi di euro, circa il 160% in più rispetto a cinque anni fa. Comunque, il posto più frequentato resta il Monte dei pegni, perché il vantaggio del Monte sono i soldi, subito e senza compromettersi con finanziarie poco trasparenti. E il clima non cambia nelle nostre realtà territoriali. Sono gli operai, i metalmeccanici e le maestranze delle imprese edili, e i precari: i nuovi poveri. Uomini di età fra i 30 e i 35 anni che con il contratto rinnovato ogni tre o sei mesi hanno provato a mettere su famiglia: affitto da pagare e figli da crescere ed oggi, con la crisi in atto, messi di fronte ad una cruda realtà: la non rinnovabilità del contratto.

Il problema è che l’esercito di quanti fanno fatica ad arrivare alla fine del mese è pericolosamente in crescita. Pochi trovano il coraggio di sedere alle tavole della carità. Tanti reputano più dignitoso ritirare i pacchi con generi di prima necessità e bussano alle porte delle circoscrizioni per chiedere aiuto.

A Bari città, secondo uno studio del Centro interdipartimentale di ricerca sull’etica economica e aziendale, i poveri sarebbero oltre 23 mila. Questi dichiarano un reddito lordo di 10mila 390 euro.

In aumento anche a Taranto il numero dei poveri. Entrano nella schiera di famiglie in difficoltà anche i disoccupati e i cassintegrati del sistema produttivo: dall’Ilva, indotto, comunale e dell’Arsenale. Oltre mille gli indigenti assistiti dalla Caritas diocesana. Sfuggono alle stime, invece, i poveri quotidianamente gestiti dalle parrocchie e centri di accoglienza di Taranto e provincia. Un dato, tuttavia, emerge preoccupante tra gli operatori del settore: l’aumento dei poveri tra le famiglie con redditi anche fino a mille euro, che non arrivano a fine mese e ,quindi, anche tra gli operai in regime di cassa integrazione.

Con lo scivolamento della soglia di povertà verso quelle fasce fino a ieri economicamente autosufficienti, sono cambiate anche le richieste di aiuti e le risposte degli operatori.

Tra i bisogni in crescita anche gli aiuti economici per il pagamento di bollette ed affitti domestici. Dice don Massimo Caramia, vice parroco della S. Pio X: <<Con i recenti provvedimenti di cassa integrazione è aumentato notevolmente il numero di persone in difficoltà. Diversi si rivolgono alle nostre strutture in cerca di un alleggerimento dei prostrati bilanci familiari. Ma i casi sono tanti e diversi>>. La Comunità di Sant’Egidio ha presentato il 18 dicembre l’edizione 2009 della guida “Dove mangiare, dormire, lavarsi” a Roma (realizzata per aiutare ad orientarsi le persone che vivono in condizioni di disagio sociale). Un quadro preoccupante quello tratteggiato, facendo parlare i numeri. Quest’anno (2008) sono aumentati del 4,1% i furti nei supermercati italiani. Nel resto d’Europa l’aumento è stato dello 0,8%. E’ un dato che chiarisce, senza equivoci, quanto sia grave l’emergenza sociale nel nostro Paese. Ladri per necessità vista l’inarrestabile corsa dei prezzi di beni alimentari essenziali come il pane e la pasta. Secondo il rapporto della Comunità, la povertà vera, concreta, vissuta dalla gente comune va ben al di là di quel più 4,1% di inflazione certificato dall’Istat. L’inflazione ‘percepita’ è doppia: pari all’8%, come conferma anche la Banca d’Italia.

I più colpiti in primo luogo gli anziani e le famiglie monoreddito con almeno tre figli. La soglia di povertà per una famiglia di due persone corrisponde a una spesa media mensile di 986,35 euro. E’ facile scivolare al di sotto e andare ad ingrossare l’esercito dei poveri. Sono sette milioni e mezzo quelli già accertati. Ma quelle a rischio sono 884 mila, un altro milione e mezzo di persone. Un dato particolarmente pesante nel Mezzogiorno.

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La denominazione ‘credito al consumo’ serve solo a salvare il decoro. La sostanza è la stessa anche se i sistemi sono vari e, a volte, sofisticati: dalle ‘carte opzione’ prepagate o a pagamento rateizzato, al bancomat, dalla tradizionale carta di credito a quelle revolving e co-branded. L’anno scorso si è toccato 93,8 miliardi di euro. Debiti contratti non soltanto, come un tempo, per l’auto o il mutuo per la casa. Oggi ci si indebita anche per procurarsi beni di prima necessità, per pagarsi cure mediche impreviste o per mandare i figli all’università. Per l’Istat, una famiglia su tre ha difficoltà economiche, una su due vive con meno di 1.900 euro e, nel 14% dei casi, non arriva a fine mese. Ben l’8% del reddito è destinato al pagamento dei debiti. E torna una paura antica, quella del pignoramento. L’anno scorso nei tribunali si è registrato un aumento del 17% delle pratiche di pignoramento di immobili. Un effetto della crisi dei mercati finanziari e dell’aumento repentino dei tassi variabili sui mutui. I tribunali oggi devono smaltire 130 mila esecuzioni immobiliari. Non se la passano meglio gli inquilini: la morosità è la causa dell’80% degli sfratti (dati dell’Unione Inquilini). Sono 200 le famiglie che, ogni giorno lavorativo, devono lasciare quella che per anni è stata la loro abitazione.

L’effetto ‘crisi dei mercati finanziari’ è pesantissimo: sono ben 21 mila le nuove procedure di sfratto iscritte dallo scorso gennaio.

In caduta libera i consumi: per l’ottavo mese consecutivo registrano un calo del 2,1%. Ciononostante nessuno pare poter rinunciare al cellulare e soprattutto al ‘Superenalotto’. Tanti italiani pensano che non resti altro da fare che tentare la fortuna. L’aumento è addirittura del 230%. L’Ocse afferma che in Italia crescono le disuguaglianze. Più che in altri paesi europei si allarga la forbice tra ricchi e poveri. Aumenta anche la paura. Per il Censis, quasi 12 milioni di famiglie italiane (il 48,8%) si considerano a rischio di default. Il timore di essere travolte dalla crisi finanziaria oggi è percepito da un italiano su due. Paura della disoccupazione, come minaccia e come realtà, paura per il futuro dei figli. La sente il 38,8%degli occupati e il 64,7% dei lavoratori flessibili, il54,1% degli operai e il 44,3% di chi ha meno di trent’anni. In tanti (il 71,1% degli italiani) vedono a rischio il tenore di vita raggiunto e temono che la crisi eroda i risparmi. La paura, spesso, si trasforma in <<paura dell’altro>>, dell’immigrato.

Anche qua parlano i numeri: gli stranieri, per un quinto del totale, cioè 500.000 persone, sono minori nati e cresciuti in Italia. <<E poi gli immigrati – dice il rapporto della Comunità di Sant’Egidio – pagano regolarmente, più degli italiani, le tasse. Il loro contributo all’erario e di due miliardi di euro, mentre cinque miliardi sono quelli versati all’Inps. Il 10% di richiesta di mutuo per la casa è avanzata da immigrati. Tutti segni importanti di integrazione. Questa è l’Italia con cui occorre fare i conti>>.

Ma il più grande paradosso di oggi è che il figli sono <<un fattore di povertà. In proposito la Comunità invoca un <<piano Marshall>> che contemporaneamente sostenga le famiglie e favorisca una rapida integrazione degli immigrati. La parola passa al governo e alle istituzioni. La <<solidarietà fantasiosa di chi è impegnato ad alleviare le povertà vecchie e nuove da sola non può bastare>>. *Anche i ricchi piangono

A prestare attenzione ad una intrigante inchiesta del Corriere Economia, pubblicata il 3 novembre, nel Mezzogiorno non se la passano bene neanche i ricchi.

Nel 2006 i super ricchi con residenza al Sud (ci si riferisce alle famiglie con un patrimonio finanziario, immobili esclusi, superiore ai 500mila euro) possedevano una totale disponibilità economica di 138 miliardi di euro (il 16,9% della complessiva ricchezza italiana); l’anno successivo tale patrimonio si sarebbe attestato a 147,4 miliardi (16,9%) per poi crollare ai minimi del triennio a

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131,9 miliardi (17,6%). L’Associazione italiana private banking (Aipb) ha indagato quello che gli analisti hanno definito “High net worth individual”, rilevando che nel 2008 si è attestato a 779 miliardi di euro, facendo segnare un -6% rispetto agli 829 miliardi di rilevati a consuntivo nel 2007. Nel 2006 la ricchezza complessiva era pari a 818 miliardi di euro. Avverte l’Aipb che fin dal 2004 non si avvertiva una diminuzione del mercato. Il risultato è da addebitarsi, senza dubbio, alla turbolenza in atto sui mercati finanziari, determinando una svalutazione degli asset dei clienti non compensata <<dall’entrata di nuovi clienti e dalla generazione di nuove ricchezze dell’economia reale>>. Ma guardiamo ora ai risultati dell’indagine per le regioni del Mezzogiorno.

La Campania raccoglie 44 miliardi di euro che rappresentano il 5,7% della ricchezza nazionale. Napoli raccoglie più della metà della ricchezza della regione. La Basilicata quest’anno raccoglie 5,2 miliardi di euro di capitali privati che sono lo 0,6% della ricchezza nazionale. La più ricca provincia è Potenza con 3 miliardi di euro (il 63,4% della ricchezza della Basilicata), Matera segnala 1,7 miliardi (36,6%). La Calabria raccoglie un totale di 14,8 miliardi di euro (sempre di capitali privati) che, a livello nazionale, corrisponde al 2% della ricchezza. La città più ricca, Cosenza con 5,3 miliardi. La Sicilia raccoglie 36,6 miliardi, pari al 4,7% della ricchezza nazionale. Palermo è la città più ricca con 9 miliardi di euro (24,4% della regione), seguono in ordine Catania e Messina La Puglia raccoglie, sempre nel 2008, 31,8 miliardi di euro che sono il 4,1% della ricchezza nazionale. Bari è la città più ricca con 13,7 miliardi di euro che corrispondono al 42,9% della ricchezza regionale. Seguono: Lecce con 5,8 miliardi (18,2% della regione), Foggia 5,2 miliardi (16,3), Taranto 4,3 miliardi (13,5%) e Brindisi con 2,9 miliardi (9,0%). In Italia le famiglie dei super ricchi sono pari a 594 mila, che segnano un -15% delle 694 mila che si contavano il 2007. Nel 2006 erano 703 mila. La distribuzione della ricchezza per le altre regioni vede la Lombardia, con il 24,6% della ricchezza, al primo posto anche se accusa una lieve flessione rispetto al 2007 (25,1%). Seguono: Lazio (10,7%), Emilia-Romagna (9,5%), Piemonte (8,3%), Veneto (8,1%), Toscana (6,7%), Marche (2,7%), Friuli-Venezia Giulia (2,8%), Liguria (2,6%), Sardegna (1,8%), Abruzzo (1,7%), Umbria (1,3%), Valle d’Aosta (0,2%).

Da questi dati si evince che, messi insieme: Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte, Friuli-Venezia Giulia e Liguria raggiungono una percentuale di ricchezza private che risulta essere superiore al reddito percentuale prodotto (il Pil), mentre la situazione è opposta nel resto d’Italia. LA DISTRIBUZIONE DELLA RICCHEZZA NEL 2008 (Italia 779,1 miliardi di euro)

REGIONI Ricchezza in miliardi di euro

Perc. rispetto alla ricchezza nazionale

Basilicata 4,7 0,6

Calabria 14,8 2,0

Campania 44,0 5,7

Puglia 31,8 4,1

Sicilia 36,6 4,7

Fonte: Nostra elaborazione su dati Aipb

Province Ricchezza regionale in miliardi di

Perc.rispetto alla ricchezza

Province Ricchezza regionale

Perc.rispetto alla ricchezza

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euro regionale regionale

Matera 1,7 36,2 Brindisi 2,9 9,0

Potenza 3,0 63,8 Foggia 5,2 16,3

Catanzaro 3,0 20,2 Lecce 5,8 18,2

Cosenza 5,3 35,8 Taranto 4,3 13,5

Crotone 1,3 8,7 Agrigento 3,1 8,4

Reggio Cal. 4,0 27,0 Caltanissetta 2,0 5,4

Vibo Valentia 1,1 7,4 Catania 7,9 21,5

Avellino 3,5 7,9 Enna 1,1 3,0

Benevento 2,3 5,3 Messina 4,8 13,1

Caserta 6,0 13,6 Palermo 8,9 24,3

Napoli 23,5 53,4 Ragusa 2,4 6,5

Salerno 8,7 19,7 Siracusa 3,0 8,2

Bari 13,7 43,0 Trapani 3,4 9,2

Fonte: Nostra elaborazione su dati Aipb

LA BORSA *L’andamento della Borsa Diamo, per arricchire di informazioni questo lavoro, uno sguardo all’andamento della Borsa nel corso del 2008. Lo riteniamo utile e necessario perché la Borsa è certo una fotografia della finanza e dell’economia ma anche una spia che certifica quanto gli italiani avvertono ormai da mesi: la recessione c’è e i numeri delle quotazioni nel 2008 ne evidenziano le enormi proporzioni. Infatti, quando si ha a che fare con dimezzamenti del valore dei titoli, se non peggio, si parla non di cifre astratte ma di una smisurata quantità di ricchezza che è stata bruciata nel corso dell’anno. E non è azzardato pensare che una tale riduzione di valore non solo nelle tasche degli investitori istituzionali, ma anche dei comuni cittadini detentori di azioni, non può che avere pesanti conseguenze nella vita di tutti i giorni. E l’emergenza non è finita, visto che la Consob ha esteso fino alla fine di gennaio il divieto di vendita allo scoperto. Ma vediamo queste cifre, facendoci aiutare da ‘Il Sole 24 Ore’.

<<Il protagonista dei listini e in particolare della Borsa di Milano – che in 12 mesi ha perso il 40,5% del valore – è stata l’esasperata oscillazione degli indici, specchio del nervosismo che domina tra gli investitori. Da un valore, quasi fisiologico, del 12,5% del 2007, la volatilità quest’anno è esplosa ad oltre il 30%>>.

In questo clima era naturale l’imprevedibilità dell’esito di ogni seduta, e ciò ha condizionato i movimenti speculativi e la classifica finale dei titoli quotati.

Il massimo annuale dell’indice storico della Borsa di Milano è stato raggiunto mercoledì 2 gennaio 2008, a quota 28,406, mentre il minimo annuale è stato stabilito venerdì 5 dicembre fino a 13.935 punti. Ed ancora la variazione positiva più elevata (+8,26%) è stata raggiunta lunedì 13 ottobre, quella negativa (-9,24%) venerdì 10 ottobre, nel pieno del ciclone partito dagli Usa con la crisi dei mutui subprime. Il mese con la miglior performance è stato aprile (+6,29%), quello con la peggiore ottobre (-17,04%). Nel secondo semestre le acque sono state agitatissime, e sempre ottobre è stato il

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mese più volatile della storia del mercato italiano, con un livello di 69,1% (giugno il mese meno volatile con 12,1%). Su 336 aziende quotate sui mercati di Borsa Italiana solo sette hanno chiuso l’anno in rialzo e che <<tra questi ci sono soprattutto società della ‘old economy’ come la Bastogi e la Landi Renzo, impresa specializzata nella produzione di impianti a gas>>.

E che l’eccessiva volatilità e la fortissima speculazione abbiano condizionato l’andamento dei mercati lo suggerisce il Vix, l’indice che è arrivato a toccare quota 80 a livello mondiale, il che ha preoccupato non poco i regulator della Borsa. In Italia, come abbiamo già accennato, la Consob ha vietato lo short selling con prestito titoli, cioè la vendita allo scoperto con intento ribassista. Ma ciò non è bastato: Piazza Affari ha chiuso l’anno con una capitalizzazione dimezzata (-49%) e con un valore complessivo sceso a 372 miliardi, pari a circa un quarto del Pil nazionale. Stesso destino per gli scambi (-4,6%) e il mercato si è concentrato solo su poche aziende: i più attivi sono stati UniCredit (con 5,4 milioni di contratti per un controvalore di 163,2 miliardi di euro), Fiat (con 4,6 milioni e 127,65), Eni (4 milioni e 155,62), Intesa Sanpaolo (con un controvalore di 82,75 miliardi di euro) e Enel (con un controvalore di 77 miliardi di euro). Non tutto negativo però: gli Etf, le azioni che replicano gli indici di Borsa (permettendo di comprarsi un intero listino con un solo strumento) hanno conosciuto un successo; il Mot (mercato delle obbligazioni) è salito e ancor più i mini-futures.

Gli Etf hanno confermato la loro bontà anche sul versante delle ammissioni (con 8 nuovi prodotti immessi sul mercato); il Mot ha visto scambiarsi 93 titoli di Stato e 276 obbligazioni con 49 debutti e 48 revoche. Le tre peggiori società dell’S&P-Mib sono state: Seat Pagine Gialle (-78,4%), UniCredit (-60,5%) e Geox (-67,8%). <<Una manciata di titoli è sopravvissuta al disastro: i ‘magnifici sette’, però, non sono né titoli da cassettisti, né azioni in mano al pubblico risparmio: pochi infatti si immaginerebbero che a svettare su Piazza Affari, con un rialzo del 47%, sia stata la Bastoni (vecchia conoscenza di Borsa essendo la holding della famiglia Cabassi)>>. Il settore più gettonato dalla speculazione è stato l’immobiliare, non a caso il secondo miglior titolo, Nova Re (+41,7%) appartiene a quel settore. E come sempre molta speculazione: così si spiega il +12,5 del club di calcio SS Lazio.

In questo clima di debacle quasi generale le azioni pugliesi non potevano che chiudere il 2008 con un segno negativo, peggio rispetto al listino di Piazza Affari. Il risultato peggiore spetta alla holding florovivaistica di Molfetta Ciccolella, le cui azioni hanno perso nel 2008 il 74,4%, da 2,86 a 0,732 euro. Non molto meglio è andata per le azioni di Apulia Prontoprestito che hanno evidenziato a fine 2008 un passo all’indietro del 65,2% chiudendo l’anno alla quotazione di 0,31 euro raggiunta a fine marzo 2006.

Per la società di information technology Exprivia il calo delle quotazioni nel 2008 è stato pari al 52,4%, da 1,81 a 0,86: si è trattato, in pratica, di un ritorno ai livelli di inizio 2007, prima dell’acquisizione della Svimservice. Valore delle azioni quasi dimezzate anche per la Natuzzi, quotate a New York, con un calo nel 2008 del 47,9%.

In sostanza la Puglia in Borsa vale meno della metà rispetto all’inizio del 2008. Un quadro generale desolante, più ottimista il Presidente di Confindustria Puglia, relativamente almeno alle quattro aziende pugliesi quotate in Borsa.

<<Queste società – dice – sono il fiore all’occhiello dell’economia della regione, non è un caso che siano quotate in Borsa. Ma la crisi internazionale non risparmia assolutamente nessuno. Io non farei

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drammi le società quotate sono i nostri punti di forza e di riferimento e la loro capacità di inserirsi nei mercati internazionali è il miglior testimone di una abilità non comune nel gestire l’impresa. A Confindustria – aggiunge – risulta che le aziende in questione vadano bene quindi il tonfo delle quotazioni è dovuto quasi esclusivamente all’influsso della crisi globale. A parte Natuzzi, che comunque sta compiendo sforzi immani per riposizionarsi sul mercato, sono aziende giovani e non subiscono flessioni consolidate nel tempo>>. <<La via d’uscita – per il presidente di Confindustria Puglia – è continuare a lavorare e ad impegnarsi mettendo in campo tutte le professionalità e le capacità che le imprese pugliesi hanno dimostrato di possedere in questi anni migliorando la produttività e l’organizzazione interna. Le aziende del Sud spesso hanno doti inespresse che tirano fuori nei momenti più difficili. Questo è il momento di farlo>>. <<Ci stiamo impegnando – conclude il presidente – nella creazione dei distretti perché è uno dei mezzi di difesa migliori per i settori industriali. Una politica più armonica è indispensabile per aiutare le aziende in difficoltà e creare legami tra imprese e territorio>>.

ALTI E BASSI SUL LISTINO Performance 2008 al 29 dicembre – In percentuale

I migliori I peggiori

Bastoni 47,9 Cell Therapeutics -99,4

Nova Re 41,7 Eutelia -91,3

Landi Renzo 38,9 Risanamento -86,8

Ansaldo Sts 18,7 Aedes -86,6

Lazio 12,5 Omnia Network -86,5

Ergo Previdenza 12,3 Fiat Prv -83,8

Gas Plus 6,1 Pirelli % C. Real estate -83,5

Fonte: Borsa italiana

QUANTO VALE IL MERCATO

Capitalizzazione in miliardi di euro

1999 727

2000 818

2001 592

2002 458

2003 487

2004 581

2005 681

2006 777

2007 731

2008 372

Fonte: Borsa italiana

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I più scambiati

Controvalore in milioni di euro

UniCredit 163.247

Eni 155.562

Fiat 127.649

Intesa Sanpaolo 82.757

Enel 77.004

Telecom Italia 49.755

Generali 45.462

Saipem 22.524

Tenaris 19.936

Atlantia 14.666

STMicroelectronics 14.012

Banca Popolare 13.746

Finmeccanica 12.860

Mediobanca 12.144

Mediaset 11.004

Fonte: Borsa italiana

*Gli indici mondiali ribassano Dopo aver iniziato il 2009 in modo positivo, gli indici mondiali hanno ripreso a ribassare. Le perdite delle principali borse internazionali hanno raggiunto il 10%. Gli indici, in alcuni casi, hanno addirittura superato i minimi del 2000. Il dato più negativo è che il ribasso non sembra destinato ad esaurirsi.

I titoli di Stato a lunga scadenza sono rimasti piatti, come il petrolio e molte materie prime. Anche le principali divise si sono mantenute in relativo equilibrio, a parte l’euro che ha perso oltre il 5 per cento sul dollaro. In proposito, per offrire un panorama preciso e tecnicamente valido, ci è sembrato opportuno raccogliere, dal Corriereconomia della fine di gennaio, le autorevoli opinioni di due dei massimi esperti dell’andamento delle borse: Enrico Nicoloso, responsabile di Websim.it e Lorenzo Marconi, consulente di Intra Private Banking, nonché i risultati della ricerca tra le società di gestione di risparmio, condotta da Morningstar, principale società indipendente di rating di fondi comuni d’investimento. Dice il primo: <<Graficamente i principali indici internazionali sono ormai ad un passo dai minimi della banda di oscillazione descritta negli ultimi 4 mesi. La Borsa italiana, in cui pesano molto i finanziari, è scesa addirittura sotto tale soglia. Ora, l’elevato ipervenduto di breve potrebbe far scattare in qualsiasi momento violente ricoperture. Tuttavia, la continua e reiterata vulnerabilità non sembra destinata ad essere riassorbita in tempi brevi>>. Tra gli indici settoriali europei spiccano le perdite dei bancari (-20%), degli assicurativi (-15%) e delle auto e degli industriali (-10%). Mentre si sono salvati per ora i classici difensivi (alimentari, farmaceutici).

Una situazione che preoccupa anche Lorenzo Marconi: <<Ci sono livelli tecnici che vanno monitorati con grande attenzione: 16 mila punti per l’S&P Mib, oggi poco sopra i 17 mila 730 punti

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per l’S&P 500, oggi a 820 e 7.350 per il Dow Jones oggi 8.120. Se queste soglie dovessero essere violate, e nel caso di Piazza Affari siamo davvero molto vicini, allora si aprirebbero spazi di ribasso che potrebbero estendersi al 30 per cento>>.

La crisi attuale, che ormai in molti mettono sullo stesso piano del crac degli anni Trenta, impone quindi un’analisi storica che per la Borsa di Milano parte dall’indice Mibtel.

Dice Nicoloso: <<In questo scenario è tecnicamente plausibile per il Mibtel la ricerca di una nuova base intorno ai 13.000/12.500 punti, ovvero in corrispondenza dei massimi raggiunti nel periodo 1987/1997. Eventuali rally, assumerebbero consistenza e sostenibilità soltanto sopra area 16 mila. Se invece l’area 13 mila non dovesse tenere il target per un mercato Orso sarebbe posto a 9 mila punti, il 45 per cento sotto i prezzi attuali>>. <<Sono scenari impressionanti – prosegue Marconi – ma se guardiamoli sottostante degli indici, ovvero le società, allora la situazione appare meno preoccupante. Se da un lato continuiamo a consigliare di stare fuori dai finanziari, non vanno invece trascurate aziende che vantano un forte posizionamento competitivo: Buzzi, Unicum, Bulgari, Priysmian, Enel>>.

Marconi segnala anche Fiat, che a un prezzo 3,4 euro, ovvero sotto i valori nell’era pre-Marchionne, si presenta molto sottovalutata: <<La notizia dell’alleanza con Chrysler che, a costo zero, aprirà il mercato Usa, non ha cambiato di una virgola l’umore del mercato. Si tratta di una situazione molto simile a quella della bolla del 2000 quanti tutti rincorrevano i prezzi. Ieri al rialzo e oggi al ribasso>>.

Per la ricerca, di cui inizialmente abbiamo accennato, anche i gestori vedono grigio sul futuro delle Borse mondiali, ma promuovono i bond governativi europei, considerati un porto sicuro per affrontare le tempeste che ci accompagneranno per tutto il 2009. E’ quanto emerge dalla ricerca della Morningstar effettuata su un campione di 29 società di gestione del risparmio di diritto italiano a cavallo della settimana che va dall’8 al 16 gennaio.

Il 28% dei gestori interpellati si aspetta un ulteriore calo delle Borse rispetto ai livelli correnti, anche se una maggioranza del 55% prevede listini stabili, con qualche possibilità di ripresa nella seconda metà dell’anno. Approvati, in questo clima di ribassi generalizzati, soltanto i titoli appartenenti ai comparti difensivi, tra cui i farmaceutici, le telecom e i beni di consumo.

Una selezione dei titoli per una scommessa in Piazza Affari

1

Società Settore Prezzo P/le ‘09

(stima)

Performance da inizio anno

al 22/1

Min a 1 anno

Max a 1 anno

Eni Energia 16,42 13,16 27,36 7,07 -1,43%

Saipem Energia 11,22 9,76 30,96 7,1 -4,82%

Tenaris Energia 7,66 6,15 24,39 5,07 5,91%

Autogrill Distribuzione 4,73 4,72 10,75 10,8 -11,87%

Prysmian Industria 9,62 6,2 19 6,95 -13,33%

X

Luxottica Beni di consumo 10,94 10,7 19,9 10,9 -13,65%

Geox Beni di consumo 4,14 3,6 10,43 10,54 -5,10%

Fiat Industria 3,9 3,8 15,77 6,6 -15,03%

Enel Utilità 4,21 7,30 8,28 6,62 -7,00%

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Generali Assicurazioni 5,79 16,64 29,52 8,8 -7,80%

2

Unicredit Bancario 1,29 1,26 5,06 4,2 -26,20%

Intesa Bancario 2,13 2,01 4,9 6,3 -15,90%

Telecom Telecom 1,06 0,71 1,52 9,8 -8,00%

Italcementi Cementiero 7,36 7,2 14,58 9,1 -18,20%

Bulgari Lusso 3,37 3,32 8,25 10,5 -23,60%

Nota: Il segno 1 indica i titoli che dovrebbero fare meglio del mercato, l’X quelli che dovrebbero muoversi in linea con il listino, il 2 quelli per una scelta contraria e rischiosa puntando sulle società più bastonate.

Fonte: Corriereconomia

I FONDI POR Non sembri estranea alla tematica di questo Dossier la trattazione sull’utilizzo dei Fondi Por. La polemica che si è scatenata sugli eventuali ritardi della Regione Puglia nella rendicontazione dei fondi comunitari 2000-2006 e sull’avanzamento degli impegni e della spesa dei fondi 2007-2013, con il rischio di perdita di circa 2.160 milioni di euro. Non sono poca cosa, in questi tempi, poi, se corrisponde al vero la trascuratezza denunciata. Si tratterebbe di un vero e proprio attentato alla non certo florida economia del territorio. Ma andiamo con ordine. I consiglieri regionali dei gruppi di minoranza reclamavano, in ottobre, una convocazione monotematica dell’Assemblea regionale per permettere una discussione sui fondi Por perché <<allarmati per le notizie di stampa che vogliono la Puglia ultima tra le Regioni italiane nel tasso effettivo di realizzazione ed ai rischi di perdita di 2.160 milioni>>. L’assessore, in risposta alla richiesta dei consiglieri di minoranza, inviava al Presidente dell’Assemblea una copia della tabella di sintesi dei Por 2000-2006 alla data del 31 dicembre 2007 contenuta nella relazione annuale 2007 del ministero dell’Economia e una copia della relazione sullo stato di attuazione del Por Puglia al 30 settembre 2008. Non solo, ma che già al 31 dicembre 2007 la percentuale del rapporto pagamenti-contributo pubblico era del 76% (in valore assoluto la cifra da rendicontare era di 1.270 milioni), mentre al 30 settembre 2008 la percentuale è salita all’85% e la cifra residua è di 729 milioni. L’assessore attribuiva l’inutile allarme ad un articolo de Il Sole-24 Ore che riportava il rapporto percentuale tra pagamenti ed impegni, informazione che, secondo l’assessore, era di nessun valore ai fini del disimpegno automatico.

Ai precedenti assessori, oggi consiglieri, ricordava che al 31 dicembre 2004 la cifra da rendicontare era di 3.300 milioni e la percentuale di utilizzo dei fondi comunitari del 29,56%.

Pertanto era lo stesso assessore a sollecitare il Presidente per stabilire la seduta del Consiglio in modo che si potesse riferire, nel dettaglio, la reale situazione.

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OBIETTIVO 1 – ATUAZIONE FINANZIARIA FONDI POR

Valori in milioni di euro al 31 dicembre 2007

Regioni

Obiettivo 1

Contributo

Locale

Impegno

Totale

Pagamenti

Locali

%

impegni

%

pagamenti

Calabria 4.036,40 4.098,32 3.221,08 102% 80%

Campania 7.748,18 8.231,24 5.886,70 106% 76%

Molise 469,48 543,35 396,52 116% 84%

Puglia 5.232,35 6.003,53 3.962,25 115% 76%

Sardegna 4.258,56 4.056,26 3.202,00 95% 75%

Sicilia 8.459,90 9.559,81 6.380,79 113% 75%

Basilicata 1.696,08 2.036,15 1.330,92 120% 78%

Totale 31.900,95 34.528,66 24.380,26 108% 76%

Sopravveniva, nell’ultima settimana dell’ottobre scorso, l’allarme dell’UE che rendeva ancora più intricata la querelle. *Il Dossier della Commissione bilancio europea Il Dossier sullo stato della spesa delle Regioni relativa alla nuova programmazione comunitaria, approntato dalla Commissione bilancio europea sui fondi strutturali, spiegava che a quasi due anni dall’avvio, l’Italia ha sinora dichiarato pagamenti per appena 144 milioni, cioè lo 0,3% degli stanziamenti a disposizione, a fronte di un ritmo di spesa che avrebbe dovuto essere di circa 6 miliardi l’anno. Dunque, vigendo la regola N+2 (ovvero la possibilità per le regioni di spendere i fondi entro la fine dei due anni successivi), al 31 dicembre 2009 potrebbe scattare il ‘disimpegno automatico’ di quelli non spesi nella prima annualità. Dalle tabelle, diffuse dal Dossier, sulla base di quanto recepito dalla Commissione europea, la Puglia sul nuovo Feser 2007-2013 ha speso zero. In proposito, il presidente della delegazione italiana in Commissione chiariva che le Regioni sono ancora impegnate nella certificazione dei fondi 2000-2006 e anche in questo caso – in base alle domande di pagamento ricevute dalla Commissione europea al primo ottobre 2008 – la Puglia risulterebbe in ritardo, anzi ultima in Italia: appena 1 miliardo e 721 milioni spesi sui sei assi delle regioni obiettivo 1, col 34,4% della spesa totale ancora da certificare entro dicembre.

*Il Sole 24 Ore Del resto l’analisi de Il Sole-24 Ore, già richiamata, non si discostava da quanto affermato dal Dossier: la Puglia con impegni per 6,5 miliardi e pagamenti per 4,3 miliardi (66,9% il tasso di realizzazione dei progetti di spesa) vedrebbe andare perduti almeno 2,1 miliardi di euro del Por 2000-2006, risorse che dovrebbe restituire a Bruxelles subito dopo la scadenza di fine anno.

*La reazione dell’assessore Anche di fronte ai dati del Dossier reagisce l’assessore partendo dalle affermazioni del quotidiano economico che, a suo dire, sono sbagliati perché rapportano il rischio disimpegno dei fondi coi progetti di spesa che sono sempre superiori, per tutela, al complesso delle risorse. Il confronto va fatto, aggiunge, con la quota pubblica. Al 30 settembre – certifica il ministero del Tesoro – su 5,2 miliardi di quota pubblica (6,6 miliardi gli impegni) la Puglia ha pagamenti per 4,4 miliardi: la Regione, cioè, ha attuato l’85,9% dei fondi con appena 729 milioni di euro (14%) di pagamenti da

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rendicontare entro fine anno. Al 31 dicembre 2007, aggiunge, la Puglia era già al 76% dell’attuazione. Le tabelle del ministero del Tesoro confermano le cifre diffuse dall’assessore al Bilancio, resta da capire come mai a Roma risulta che la Puglia deve rendicontare il 14% della spesa complessiva mentre a Bruxelles alla stessa data (1° ottobre 2008) risulta che la Puglia deve ancora certificare il 34,4% della spesa. Non c’è che da incolpare le lentezze burocratiche.

Nello stesso giorno, il 5 novembre, in cui l’assessore al Bilancio illustra l’andamento della spesa dei fondi comunitari, Bruxelles annuncia la sospensione dei pagamenti in sette programmi relativi al 200-2006, di cui due riferiti all’Italia: uno per la Puglia e l’altro per la Calabria. La sospensione dei pagamenti, precisa Bruxelles, non implica la perdita dei finanziamenti ma la necessità di chiarimenti e di una loro eventuale riallocazione; per la Puglia si tratterebbe di un problema formale rilevato nel sistema di controllo che ha portato al blocco dei pagamenti Ue per il Fondo europeo di sviluppo regionale. Irregolarità, però, che potrebbero fermare l’accelerata assicurata dall’assessore al Bilancio all’Assemblea consiliare. Ma il responsabile del Bilancio è certo che non ci sarà alcun disimpegno automatico delle risorse europee <<la cifra – ha detto – residua da rendicontare entro il 31 dicembre è di 606 milioni di euro, pari all’11,65% e che le informazioni raccolte dall’Autorità di gestione presso i soggetti attuatori permettono di effettuare un pronostico positivo sulla chiusura di programma>>. Ha ammesso, comunque, qualche criticità nell’utilizzo dei fondi, soprattutto per <<l’eccessiva frammentazione degli interventi, pure in parte giustificata dalla drammatica carenza di risorse ordinarie che portano ad usare i Fondi come sostitutivi e non addizionali>>, ma ha anche sottolineato che la Puglia è la regione che ha utilizzato di meno i cosiddetti progetti coerenti, quelli cioè con obiettivo attinente a quelli programmati e che consentono di recuperare fondi a rischio disimpegno. In proposito ha rivolto l’invito a rileggere la relazione del ministro del Tesoro nella quale si riconosce la virtuosità della Puglia e la bassa percentuale utilizzata di progetti coerenti. Quanto al futuro, ha presentato i dati relativi all’andamento della spesa della programmazione 2007-2013 per quanto riguarda i diversi Fondi: Fesr (Fondo europeo sviluppo regionale); Feasr (Fondo europeo agricolo per la sviluppo rurale) e Fse (Fondo sociale europeo).

Per il Fesr sono state avviate operazioni per 622 milioni di euro, con l’obiettivo di rendicontare 450 milioni entro la fine del 2009. La procedura prevede che la rendicontazione delle spese avvenga nei due anni successivi all’assegnazione dei fondi. L’assessore ha anche ricordato che la Commissione europea ha approvato il Quadro strategico nazionale (al quale fanno riferimento i Programmi strategici regionali) nel luglio 2007 e da quel ritardo ne sono derivati altri. <<Una accelerazione alle dinamiche di spesa potrebbe venire dalle elaborazioni progettuali delle ’10 Aree Vaste’ in cui è stata divisa la Puglia. Tali elaborazioni dovevano essere consegnate alla Regione entro il mese di settembre>>. L’assessorato è in attesa delle proposte di Foggia, della Murgia, di Taranto, Brindisi e Casarano. Hanno provveduto Bari, la Valle d’Itria, Lecce, Barletta e i Monti Dauni.

I bandi di gara già pubblicati e finanziabili con il Fesr riguardano: il rafforzamento tecnologico a sostegno della domanda delle imprese (12 milioni di euro); il potenziamento dei distretti socio-sanitari (30 milioni); le infrastrutture sociali e socio sanitarie (31,9 milioni); la valorizzazione dell’economia turistica (57,5 milioni); il potenziamento delle ferrovie locali (375 milioni); il marketing territoriale per l’internazionalizzazione delle imprese e dei sistemi produttivi (28,5 milioni); i piani integrati di sviluppo urbano (70 milioni per la riqualificazione delle periferie); l’assistenza tecnica dell’attuazione del programma operativo (18 milioni).

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Il Feasr è stato approvato dalla Commissione europea nel febbraio del 2008. La dotazione finanziaria pubblica del Fondo (che dovrà presentare la prima rendicontazione al 31 dicembre 2010) è di 1.480 milioni di euro per il 2007-2013.

A fronte di una spesa pubblica di 360 milioni, la spesa rendicontata alla stessa data è stata stimata in 243 milioni circa.

Il 23 ottobre 2007 è stato pubblicato sul Bollettino ufficiale della Regione l’avviso pubblico per la selezione dei documenti strategici presentati dai Gal (Gruppi di azione locale) che intendono candidarsi a realizzare le strategie di sviluppo rurale attraverso “l’attuazione dell’impostazione Leader”. Ai Gal saranno assegnati 279 milioni di euro, pari al 18,85 per cento dell’intero fondo del Piano strategico regionale per lo sviluppo agricolo. Per quanto riguarda il Fse, l’assessorato alla Formazione professionale ha definito una intesa con le Province per trasferire loro le funzioni in materia. Ha quindi pubblicato bandi con i quali sono state impegnate risorse per 60 milioni circa.

Altri fondi per 5 milioni e mezzo, ha concluso l’assessore, sono stati messi a disposizione di interventi a sostegno dell’offerta formativa sperimentale destinata ad allievi che abbiano concluso il primo ciclo di studi. Infine due diversi interventi sono stati attivati per garantire la formazione continua; il primo (10 milioni e 700 mila euro) destinato alle imprese; l’altro destinato a lavoratori occupati che vogliono accrescere le proprie competenze professionali (3 milioni e mezzo di euro).

*La dura replica dell’opposizione Attenta ma dura la replica delle opposizioni che hanno ricordato che al 31 dicembre 2005 la Giunta Vendola si ritrovò sul piatto d’argento il 96% degli impegni di spesa e <<dopo tre anni e mezzo si presenta in Consiglio con una spesa effettiva dell’88,3%>>. Quanto al 2007-2013, <<la giunta è già in ritardo, entro il 31 dicembre 2008 vanno rendicontati i primi 500 milioni di euro e siamo a zero>>, <<già nel 2007 per la prima volta i livelli di spesa sono stati più bassi dell’1% rispetto al crono-programma. Oggi la Puglia sta già perdendo 3200 miliardi di vecchie lire>>.

POR 2000-2006

Esecuzione finanziaria al 29 ottobre 2008

Piano finanziario

Pagamenti da rendicontare alla

chiusura del Programma

Fondi Quota pubbl. Impegni

(risorse pubbl)

% Pagamenti

(risorse pubbli)

% %

A B B/A C C/A D D/A

FESR 3.443.654.000 4.599.899.712 133,58 3.012.269.737 87,47 431.384.263 12,53

FSE 877.460.285 1.044.601.766 119,05 818.572.905 93,29 58.887.380 6,71

FEOGA 814.007.334 992.562.139 121,94 717.242.359 88,11 96.764.975 11,89

SFOP 70.810.708 72.742.171 102,73 51.284.319 72,42 19.526.389 27,58

Totale Fondi

5.205.932.327 6.709.805.787 128,89 4.599.369.319 88,35 606.563.008 11,65

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Fondi comunitari 2007-2013 destinati alla Puglia

in milioni di euro

Fesr 5.238

Feasr 1.480

Fse 1.279

*La commissaria UE alla Politica regionale Una conferma dei risultati ottenuti all’interno di una complessiva buona performance dell’insieme delle regioni meridionali veniva direttamente dalla commissaria Ue alla Politica regionale Danuta Hubner. In sostanza commentava la commissaria: una decisa copertura di rete che consente ad un numero sempre crescente di cittadini di poter usufruire della banda larga per lo scambio di informazioni attraverso internet, una crescita significativa dei territori serviti da servizi di raccolta differenziata dei rifiuti con annessa dotazione di impianti destinati allo smaltimento e al riutilizzo dei materiali di risulta con conseguente chiusura dei cicli senza ricorso alle discariche e poi nuovi collegamenti ferroviari e viari. Il bilancio dei risultati ottenuti, diceva sempre la commissaria, grazie alla politica di coesione dell’Unione europea conferma Puglia e Basilicata tra le regioni che nel settennio 2000-2006, più hanno mostrato segnali in controtendenza rispetto all’andamento complessivo dell’economia italiana al punto da far registrare in Puglia una crescita del Prodotto interno lordo per un valore superiore a quello nazionale. Spiega la signora Hubner, che la già citata politica di coesione ha consentito di creare ben 20 mila nuove imprese (compresi 202 avvii) in tutto il bacino di riferimento del Mezzogiorno d’Italia. <<Le regioni dell’Italia meridionale – ha voluto sottolineare la commissaria Ue – hanno recentemente ottenuto risultati migliori rispetto alla media italiana in termini di crescita del Pil. E tuttavia hanno perso terreno rispetto alla media Ue. Nel corso dell’attuale esercizio finanziario 2007-2013 la politica di coesione le aiuterà a investire di più nei settori dei servizi ad alta intensità di conoscenza, per sviluppare ulteriormente infrastrutture e servizi pubblici e, soprattutto, migliorare la capacità d’innovazione>>.

*L’Eurispes e le “occasioni mancate” La Sicilia è la prima nella classifica, stilata dall’Eurispes, per le “occasioni mancate”. Infatti, 9,9 miliardi di euro, pari al 28% dei fondi destinati al Mezzogiorno è a rischio restituzione. Il 31 dicembre 2008, segnala l’Istituto di ricerca, <<è scattata la restituzione automatica a Bruxelles delle risorse stanziate dall’Unione europea per lo sviluppo locale nelle regioni del Mezzogiorno>> e a giugno 2008 risultavano ancora inutilizzati e, dunque, a rischio restituzione, 2,9 miliardi in Sicilia, 2,2 in Campania e 2,1 in Puglia. <<Per gli anni 2007-2013, la dotazione di fondi strutturati italiani – è sempre il rapporto a riferirlo – è pari a 59 miliardi e 413milioni di euro. L’Italia è il terzo principale beneficiario, dopo Polonia e Spagna, dei fondi europei della politica di coesione. L’Unione europea erogherà al nostro paese circa 28 miliardi di euro, ai quali sono da aggiungere 31,4 miliardi di cofinanziamento nazionale>>. Secondo l’Eurispes, <<regioni come Puglia, Campania, Calabria, Sicilia e Basilicata si contenderanno la parte più consistente, con 43,6 miliardi, visto che sono le regioni appartenenti all’obiettivo convergenza; mentre le restanti regioni si divideranno i rimanenti 15,8 miliardi>>.

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Il rapporto ricorda inoltre che negli ultimi mesi l’Italia ha destinato il 34,9% delle risorse (20,7 miliardi) a progetti legati a ricerca e innovazione; il 32% alla tutela dell’ambiente e al clima; il 13,9% alle reti di trasporto e Tic; il 7,3% all’istruzione e il 6,7% all’energia.

La spesa delle Regioni nel 2007, è stato di oltre 233,4 miliardi di euro, con una spesa media per regione di 10,6 mld di euro. Il primato della spesa pubblica, comprensiva delle risorse destinate alla gestione corrente, alla gestione in conto capitale, al rimborso di prestiti e alla contabilità speciale, spetta alla Lombardia, che, con 42,4 miliardi di euro, ha concentrato un quinto (18,2%) della spesa complessiva, Veneto ed Emilia-Romagna, al secondo e terzo posto hanno sostenuto, nello stesso anno, una spesa complessiva, rispettivamente di 17,7 mld di euro (7,6% del totale) e di 17 mld di euro (7,3% del totale), oltre la metà rispetto alla Lombardia. Valori superiori alla media nazionale (10,6 mld di euro) sono stati registrati in altre otto regioni, tre delle quali nel centro Italia (Toscana con 14,5 mld, Lazio con 14 mld, Marche con 10,8 mld), tre nel Sud e Isole (Campania con 16,6 mld, Puglia con 16,1 mld, Sicilia con 12,4 mld) e due del Nord-Ovest (Piemonte con 11,1 mld, Liguria con 10,9 mld).

Le iniziative della Regione per fronteggiare la crisi Il Governo regionale ha affrontato, il 17 ottobre, i problemi connessi alla crisi economica-finanziaria in atto, approntando un pacchetto di interventi intesi a fronteggiare i possibili effetti sull’economia pugliese del crac che sta colpendo i mercati internazionali. L’operazione dovrebbe permettere di immettere in circolo una liquidità stimata in circa 800 milioni di euro. I punti cardini sono: procedure di legge più veloci; 50 milioni di euro a un fondo di garanzia per le piccole imprese; bandi entro l’anno a favore dell’industria per 450 milioni di euro e sostegni alle donne e ai giovani.

Si tratta, per ora, di una bozza di lavoro che la regione intende concertare con tutti gli attori dell’economia, dalle università alle categorie professionali, da Confindustria ai sindacati, con l’obiettivo di <<blindare l’economia reale dalla tempesta che sta travolgendo i mercati>>. Secondo la Regione <<la crisi non è congiunturale, segnerà un’epoca e ciò che serve sono misure d’urto. Per attuare politiche anti-cicliche è necessario immettere liquidità, sostenere i redditi e rilanciare i consumi>>. Quindi misure strutturali con cui <<ridare ossigeno ad un sistema economico e sociale che rischia di restare in apnea per molto tempo>>, accelerando gli strumenti che sono già previsti dalla programmazione economica del governo regionale. Si instaurerà il <<tavolo di semplificazione>> con cui monitorare l’andamento delle leggi ed evitare tutti gli ostacoli che si frappongono tra la programmazione e l’attuazione. Tutte le macro-aree della Regione vi lavoreranno. Quindi il sostegno alle pmi: 50 milioni di euro del fondo di garanzia che inietterà linfa nell’accesso al credito per le piccole imprese. Questo intervento dovrebbe far superare le difficoltà che si pongono nel rapporto tra banche e piccole imprese nella definizione dei finanziamenti. L’operazione, secondo la giunta regionale, dovrebbe generare investimenti per un miliardo di euro. Altri 50 milioni di euro saranno destinati all’autoimprenditorialità, alle imprese “rosa” e all’occupazione giovanile. Al fondo diretto si accompagnerà un orientamento delle ingenti risorse previste dal Fondo sociale europeo: si sta lavorando su un meccanismo di aiuto diretto alle donne che, ad esempio, hanno difficoltà a rientrare nel mercato del lavoro dopo la maternità. Così come scatterà la formazione prima delle assunzioni nei settori dove è più alto il tasso di lavoro stagionale e alle famiglie più bisognose potrebbe arrivare un rimborso per le spese sostenute per l’asilo nido. Sull’ingente partita dei fondi europei che saranno liberati dal Por 2007-2013: si chiederà, d’intesa con tutti i presidenti di regione, al governo che le spese per investimenti non siano contabilizzate

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nel Patto di stabilità. Saranno accelerati i bandi relativi a contratti di programma puntando sull’innovazione. Una parti di 450 milioni di euro. La terza ‘gamba’ del piano, quella che punta sulla spesa corrente. Si vuole anticipare tramite cassa quei fondi che sono ancora iscritti in competenza perché bloccati dalle procedure, in particolare a favore della sanità. L’obiettivo di ridurre i tempi di pagamento ai fornitori. <<Su 6,5 miliardi di bilancio sanitario al meno il 10%, tra 6 e 700 milioni, non è ancora arrivato come flusso di cassa. Contiamo di accelerarne l’iter, così come per i 272 milioni di ‘premio’ statale per non aver sforato il Patto di stabilità>>. L’assessore al Bilancio ha spiegato: <<Poiché la Puglia ha una cassa virtuosa è possibile immettere nel sistema economico una liquidità di 700-800 milioni di euro circa. Prepareremo questa operazione attraverso una variazione di bilancio che ci permetterà di anticipare di anticipare alcuni su fondi non ancora effettivamente presenti nella cassa della Regione perché non trasferiti dal ministero dell’economia o dal fondo sanitario nazionale: in particolare nel settore sanità saranno pagati i fornitori in attesa con una spesa di 50o milioni di euro>>.

Altro settore beneficiario degli interventi i trasporti: dalle variazioni di bilancio arriveranno circa 60 milioni, di cui 28 destinati alle persone e il resto alle aziende di trasporto.

Le reazioni degli imprenditori sono state complessivamente positive perché le azioni messe in campo dalla Regione affrontano un bisogno di prima necessità e sono tempestive. A questo punto ritengono che al mondo delle imprese e agli organismi istituzionali spetta ora il compito di fare sistema. L’attivazione dei distretti, d’altra parte, è una buona strada perché nella logica di filiera e nella capacità di aggregazione si ritiene stia la soluzione per un utilizzo razionale e intelligente dei fondi spesso invece sofferente per una caduta a pioggia, non sempre caratterizzata da trasparenza. Ma più importante di queste misure è il sostegno istituzionale che le banche vorranno dare alle imprese in termini non più straordinari, ma ordinari. E’ importante non avere defezioni di investimento e non allontanare la propensione al rischio d’impresa. In altre parole ciò che è stato fatto va bene, ma sarebbe ancora meglio un’azione sistematica nei confronti delle banche.

Puntualizza l’opinione degli industriali il Presidente di Confindustria-Puglia, svolgendo un’analisi sulla situazione economica pugliese, in occasione di un’intervista alla stampa pubblicata il 6 novembre. Confessa, in premessa, un sua paura, cioè che si stiano sottovalutando i primi segnali di crisi che si avvertono nella regione. La crisi finanziaria globale che nelle Borse brucia migliaia di miliardi di capitali, nelle periferie comincia a far scricchiolare l’economia reale, anche in una realtà come la Puglia indubbiamente in crescita come dimostrano i dati di Pil ed export; una crescita che visto protagonisti le imprese ma anche gli enti locali e le categorie produttive. Secondo il responsabile di Confindustria Puglia, il primo indicatore è il lavoro. Ai disoccupati si aggiungono quei lavoratori che proprio in queste settimane stanno perdendo il posto. Avverto che il suo sfogo non può e non deve essere confuso con l’antico pianto del Sud. L’ing. De Bartolomeo si dice certo che la struttura produttiva pugliese ha le capacità per gestire questa situazione. Quindi gli industriali della regione fanno appello innanzitutto alla pubblica amministrazione. Certo, aggiunge, la Regione ha fatto bene a varare un piano di sostegno all’economia, ma non si può accettare che le risorse siano convogliate solo verso le associazioni consortili, come i Confidi. Tutti devono usufruirne. Il numero degli associati non può essere l’unico parametro, ci sono, ad esempio, gli impieghi.

Gli imprenditori chiedono, inoltre, all’apparato amministrativo pubblico di sbloccare le opere già finanziate. E qui il responsabile degli industriali indica i Fondi comunitari 2007-2013, i contratti di programma o i piani triennali delle opere pubbliche dei comuni o i progetti sull’energia alternativa. Certo, dice, non possiamo che essere favorevoli al lavoro in corso sui distretti, ma se la burocrazia non è al passo, ciò non basterà. E continua col denunciare l’esasperazione degli imprenditori che per tirare su un opificio ci impiegano sette mesi, molto meno di quanto serve per ottenere le autorizzazioni.

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Certo le leggi e il rispetto dell’ambiente fanno parte del valore di una regione. E gli imprenditori non hanno alcun interesse a calpestare leggi, così come non chiedono protezioni ma solo efficienza per sostenere coloro che investono.

Chiude, quindi, il suo appello col chiedere di fare presto perché il tempo perso e la burocrazia passiva rischiano di essere complici di una crisi che, come accennava inizialmente nella sua intervista, si fa già sentire. Contrastanti, invece le opinioni degli economisti. Dice Michele Capriati, consulente della giunta Vendola: << E’ importante mettere in evidenza i dati delle variabili macroeconomiche della Puglia>> e richiama il Pil e l’occupazione che hanno fatto fare un bel balzo alla regione. Un contributo importante a questa evoluzione positiva <<proviene dal fatto che vi è stata in questi due ultimi anni una impennata della spesa pubblica in conto capitale, per gli investimenti e per gli incentivi alle imprese. Elemento attestato dall’ultimo rapporto Bankitalia. Si dimostra che se la Regione vuole, può riuscire ad incidere sulle variabili macroeconomiche. E lo può fare con l’accelerazione della spesa. Fattore, questo, abbastanza sottovalutato fino a poco tempo fa>>. Insomma se si spende bene si riesce ad incidere positivamente sul tessuto economico. <<Finora invece si è sostenuto che le performance delle Regioni, inefficienti sul piano della spesa, dipendevano totalmente dal dato macroeconomico nazionale. Non è così. Le misure predisposte vanno bene. E direi che più che straordinarie, si collocano in continuità con quanto già fatto. Tanto più che andrebbero a riverberare effetti sul 2009, anno di transizione nella spesa dei fondi europei>>. In definitiva, <<le misure della giunta non annulleranno, ma certo smorzeranno gli effetti della crisi>>.

Di tutt’altro avviso Fabio Del Prete, docente di economia dell’Università. Non boccia le decisioni ma non le considera particolarmente efficaci. <<Una Regione che decide di sostenere la spesa e di aiutare la domanda di chi ha scarso reddito, si muove nel giusto. Ma mette in atto misure deboli. Per quante risorse possa mettere in campo, saranno sempre insufficienti, perché la Puglia non è chiusa all’interno di un recinto invalicabile. Aiutare gli operatori interni alla regione non ci garantisce sul fatto che gli effetti si producano nel territorio regionale. L’interscambio tra operatori salta spesso i confini regionali. E dunque l’effetto moltiplicatore, per dirla con Keynes, si può manifestare altrove>>. Nessuna bocciatura dei provvedimenti ma si deve essere consapevoli che la <<manovra non può che essere di modesta entità. Di più: autentiche misure anticicliche potranno essere neppure di carattere nazionale, ma solo di dimensione europea. Alla fine rimarrà solo l’effetto annuncio. Con qualche effetto circoscritto ai diretti beneficiari delle misure>>. E’ vero il Pil con l’occupazione cresce <<Ma poi si dice che non si arriva alla terza settimana. La ricchezza è sempre difficile da misurare>>. Il 14 novembre la Regione vara la manovra anti-crisi che si compone di due regolamenti e sette bandi pubblici che saranno pubblicati a partire dai prossimi giorni. Un pacchetto di finanziamenti a fondo perduto, incentivi e prestiti in grado di spostare in alto l’1,7 per cento del Pil regionale. Secondo la giunta, così la Puglia diventa la regione più attrattiva d’Italia per chi vuole investire. Il regolamento ‘De minimis’ disciplina gli aiuti di minore dimensione nei confronti delle piccole e medie imprese che potranno ottenere finanziamenti a fondo perduto, fino a un massimo di 200 mila euro in tre anni. A disposizione delle aziende di minori dimensioni vi sarà un fondo di garanzia da 50 milioni di euro in grado – secondo le stime dell’assessorato allo Sviluppo economico – di mobilitare prestiti fino a un miliardo di euro. Altri 50 milioni di euro saranno a disposizione per la creazione di nuove micro imprese. Donne, giovani laureati, precari, disoccupati e lavoratori in mobilità avranno una corsia preferenziale per mettersi in proprio. Per i pugliesi in situazioni di disagio la giunta regionale ha approvato un maxi prestito d’onore (fino a 400 mila euro) per coprire le spese sostenute nei primi anni di attività.

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Tra le misure approvate dalla giunta regionale ci sono anche i contributi e gli incentivi a sostegno delle imprese contenute in sette bandi. La novità assoluta, rispetto alla manovra annunciata ad ottobre, è rappresentata dal sostegno alle grandi industrie. Per i giganti pugliesi in difficoltà la giunta ha varato i ‘Contratti di programma’, 130 milioni di euro di risorse per gli investimenti e la ricerca. A sostegno delle piccole medie imprese, invece, sono stati messi a disposizione 88 milioni di euro per i Pia (piani integrati di agevolazione). Altri tre bandi favoriscono l’internazionalizzazione dei consorzi agroalimentari, turistico-alberghieri e manifatturiero. La giunta ha destinato risorse anche allo sviluppo e alla ricerca e al contrasto dell’usura: 770 mila euro saranno messi a disposizione di Confidi e delle fondazioni impegnate nella lotta al racket.

Nelle prossime settimane sarà varato anche un pacchetto di misure anticrisi destinate al settore del Turismo.

Critiche all’intero pacchetto sono arrivate dall’opposizione per voce di Rocco Palese: <<Si tratta di adempimenti normali del programma operativo 2007-2013, che peraltro il governo regionale approva con due anni di ritardo>>.

La manovra anticrisi della Regione

Fondi Pubblici

Regolamento De Minimis 50.000.000

Start-up di microimprese di soggetti svantaggiati 50.000.000

Contratti di programma 130.000.000

Programmi integrati di agevolazione 88.000.000

Aiuti alla ricerca 28.000.000

Sostegno ai consorzi export agroalimentari 3.000.000

Sostegno ai consorzi export turistico alberghieri 3.000.000

Sostegno ai consorzi export manifatturieri 3.000.000

Sostegno ai Confidi e alle Fondazioni 777.000

TOTALE 335.770.000

La Regione, intanto, risponde alle osservazioni della Confindustria Puglia contenute in un decalogo, affermando che sul piatto ci sono gli aiuti alle imprese (bandi e soldi sono pronti).

Per quanto concerne l’avvio entro fine anno dei bandi di Programma 2007-2013, come richiesto dagli imprenditori, precisa che trattandosi degli incentivi alle imprese, la giunta li ha già approvati il 14 novembre; il 21 novembre, il direttore del settore ne ha approntato la modulistica, un centinaio di cartelle. Peraltro, su richiesta della stessa Confindustria si è fissato la data di scadenza delle domande al 19 gennaio. Per i soldi, ci sono già. Pervenute le domande, si attiveranno le procedure negoziali e poi i finanziamenti. Sui tempi, non dovrebbero esserci dubbi. Siamo stati lodati non solo da Confindustria, ma siamo diventati un ‘caso nazionale’. La Puglia sarà la prima Regione ad erogare i finanziamenti alle imprese. Il presidente della conferenza delle Regioni ha consegnato il 20 novembre un dossier a Berlusconi nel quale la Puglia è assunta a modello da imitare. Per i bandi relativi alle opere pubbliche la regione si sta adoperando per accelerare ogni procedura.

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Per il saldo dei debiti delle Asl, con l’approvazione della variazione di bilancio, ci sono 500 milioni di cassa che fluiscono verso le Asl. E, a breve, sarà pronto il regolamento per il fondo di garanzia alle imprese di 50 milioni. Una cifra che nessun’altra Regione ha messo finora a disposizione.

Riguardo al disimpegno degli 800 milioni di fondi residui del Por 2000-2006, intanto sono 600 milioni e non 800. Queste sono le ultime cifre ufficiali fornite dall’assessore al Bilancio. La Regione sarà in grado di rendicontare tutto entro il 31 dicembre. Si assicura, inoltre che, con riferimento agli aiuti alle imprese, si metterà tutto in pagamento e non sarà utilizzata alcuna forma di scorrimento, ancorché Bruxelles autorizza in via del tutto eccezionale. Sappiamo che spendendo tutto si infrangerà, noi come altre Regioni, il patto di stabilità. E, per questo, occorre la deroga da parte del Governo. Il tema è stato proposto più volte. Il Governo è orientato a venirci incontro. Vedremo, questo è poi il punto nodale della discussione dei prossimi giorni.

La giunta non ha perso l’occasione per rispondere al capo gruppo di Forza Italia che ha chiesto di fare come Berlusconi di abbassare le tasse. Ricordiamo al consigliere Rocco Palese che il governo ha saccheggiato il fondo Fas riservato al Sud. Mentre si dimentica che al 2005, solo un terzo del Por era stato speso dalla vecchia giunta. Per le tasse. Si potrà ragionare sull’addizionale Irpef (che grava solo sul 10 per cento dei contribuenti), ma quando il fondo sanitario non sarà sottodotato come oggi. Mentre l’addizionale Irap è stata ampiamente compensata con le agevolazioni fin qui fornite alle aziende. Il 22 novembre il presidente Confindustria Puglia, con un’intervista al Corriere del Mezzogiorno, replica alle osservazioni della Regione. Nel sottolineare che la situazione economica in Puglia ha subito, nelle ultime settimane, un aggravamento drammatico, e ciò non può che sollecitare al più presto azioni reali a sostegno delle imprese. Quello che tiene a chiarire, rispetto alle considerazioni sostenute dalla Regione, che i tempi tecnici di analisi, approvazione e ammissione ai benefici, così come configurati, non sono tali da essere considerati interventi anticrisi. <<Questi sono per incentivi che, per essere attivati, presuppongono disponibilità finanziare proprie delle aziende.

Bisogna comprendere che il sistema della produzione ha scarsità di risorse, aggiunge, perché la reale situazione è che le imprese <<o vantano crediti dalla pubblica amministrazione che non riescono ad incassare, o hanno commesse ma non hanno credito o ne hanno poco. C’è il rischio molto concreto che gli incentivi della Regione possano restare inutilizzati>>. Quello che chiede la Confindustria è una strategia di sistema a Governo, Regione, Enti locali, Banche e Camere di commercio, perché il tempo è decisivo.

E’ vero, continua l’ing. De Bartolomeo, che il Consiglio regionale ha approvato una manovra di bilancio che sposta 500 milioni di euro verso le Asl, ma non vi è ancora la garanzia se è avvenuto o meno l’effettivo trasferimento dalla ragioneria regionale alle aziende ospedaliere e se queste ultime hanno predisposto i pagamenti. Ciò vale anche per la rendicontazione del residuo del Por 2000-2006. Il problema delle imprese interessate è che attendono l’attivazione certa di flussi di cassa perché tutte devono pagare fornitori, stipendi e tredicesime. <<Sotto questo profilo l’asfissia di cassa di una pluralità di soggetti si sta facendo drammatica. Abbiamo sollecitato la Regione a dialogare con le banche, e chiesto attenzione per i Confidi della Confindustria che rappresenta il settore trainante dell’economia locale>>. Il 26 novembre avrà un incontro con il presidente e la giunta regionale, in quella sede si augura, infine, di conoscere le determinazioni degli assessorati competenti per l’accelerazione dei tempi delle opere infrastrutturali. Quello che è certo che le imprese non sono disponibili ad accettare giustificazioni sulle difficoltà burocratiche, vanno all’incontro per ascoltare la soluzione dei problemi, s’intende quelle di competenza della Regione.

*L’incontro tra imprenditori e governo regionale L’incontro tra imprenditori e Governo regionale, preannunciato dall’ing. De Bartolomeo, si è puntualmente svolto. Si è parlato di opere pubbliche, di edilizia, di trasporti. La Confindustria ha

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chiesto soprattutto liquidità per combattere la crisi della domanda. Il governatore avrebbe concordato con gli imprenditori approfondimenti sulle singole questioni per modificare i comportamenti dell’amministrazione e semplificare i procedimenti amministrativi: strozzature burocratiche che richiedono misure non ordinarie. Dovrebbe nascere un ‘gabinetto di crisi ‘ tra imprese e politica. Un atteggiamento che è stato molto apprezzato.

Ma al tavolo di discussione sono stati portati, da parte della Regione, anche fatti per dimostrare alle imprese che ci si sta adoperando per sostenere la spesa.

Il miliardo di euro in infrastrutture di trasporto messo in campo a partire dal 2007: entro i primi tre mesi del 2009 apriranno gli ultimi cantieri per il raddoppio ferroviario della Bari-Taranto e dell’aeroporto di Bari. L’avvio della manovra anticrisi da 355 milioni con la pubblicazione dei primi due regolamenti (aiuti ‘de minimis’ e lo start-up delle microimprese). L’assessore al Bilancio avrebbe assicurato tempi rapidi per il trasferimento dei 500 milioni alle Asl per pagare i fornitori. Impulso all’edilizia (case popolari, riqualificazione urbanistica) con un occhio particolare alla qualità. Si è dato mandato all’assessore ai Lavori pubblici di seguire con particolare attenzione le procedure.

Per entrare nel dettaglio, entro i primi tre mesi del 2009 partiranno lavori per quasi un miliardo di euro. Tra questi ci sono tre opere pronte a partire. E’ in fase di aggiudicazione l’ultimo tratto del raddoppio della Bari-Taranto, un’opera da 120 milioni di euro, programmato da un decennio che non poteva partire perché su quel suolo insisteva un centro commerciale. Anche la colmata di Marisabella pronta ad uscire dall’elenco delle opere incompiute. E’ stata avviata il 25 novembre la gara di 53 milioni di euro per ampliare il porto di Bari. Il cantiere aprirà ad inizio 2009 e andrà avanti per 34 mesi. I primi lavori a partire saranno quelli per la realizzazione del collegamento ferroviario tra la stazione centrale e l’aeroporto di Bari. L’appalto è stato di 75 milioni di euro. Il cantiere aprirà il prossimo 7 dicembre. Quello sulle infrastrutture, assicurano alla Regione, è stato solo il primo dossier che si è presentato agli industriali, nei prossimi giorni si presenterà anche un dettagliato piano casa con tutta la lista dei bandi.

Il Presidente di Confindustria Puglia ha insistito sullo sblocco immediato dei cantieri e la semplificazione delle procedure. In questo momento non è più tollerabile perdere tempo a causa della burocrazia. Il presidente regionale dei costruttori ha proposto, inoltre un fondo di garanzia per i mutui delle giovani coppie che avrebbe incontrato l’immediato accordo dell’assessore al Territorio. Il governo regionale anche sulle procedure ha annunciato un pacchetto di misure per amplificare gli iter autorizzativi. Nel frattempo sono stati pubblicati il 26 novembre sul bollettino ufficiale i bandi ‘anticrisi’ varati. <<Siano in emergenza – ha commentato l’ing. De Bartolomeo – far ripartire il mattone senza dimenticare gli altri settori, ci appare in questo momento la strategia più sensata. Sulle energie rinnovabili che mobilitano investimenti considerevoli (la Puglia è il primo produttore italiano di eolico) la Regione ha disciplinato la materia per dare al settore uno sviluppo regolato. Le imprese hanno chiesto che la legge sia adeguata alle circostanze del momento. La Regione ha assicurato che le misure di tutela saranno interpretate in modo compatibile con lo sviluppo del settore.

Alla fine dell’incontro il presidente di Confindustria Puglia ha dichiarato: <<E’ stato un lavoro produttivo nel senso che è stato improntato sul chiarimento al massimo. Abbiamo programmato di mantenere in vita il tavolo permanente, un tavolo di discussione e di costruzione pure delle decisioni concrete, che sono quelle che occorrono in questi momenti di crisi. Se coniughiamo queste due questioni e se sapremo dare tempestivamente delle risposte puntuali e responsabili, riprenderemo il percorso di crescita che era stato avviato, e che vedeva la Puglia tra le migliori regioni del Mezzogiorno>>.

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*Il portale Internet dell’assessorato allo Sviluppo economico C’è grande attenzione da parte del mondo imprenditoriale se è vero che sul portale internet dell’assessorato allo Sviluppo economico gli accessi hanno registrato nell’ultima settimana un aumento del 50 per cento. Sferzante il commento del capogruppo di Forza Italia: <<Il boom di contatti sul portale dell’assessorato allo sviluppo economico, di cui si fregia l’assessore titolare, è facilmente spiegabile: migliaia di pugliesi (famiglie e aziende) sono alla disperata ricerca di misure straor5dinarie anticrisi e, ovviamente, non le trovano (perché non esistono) quindi continuano a tornare sul portale nella vana speranza di trovarle.>> I provvedimenti annunciati sono semplicemente atti dovuti dal governo regionale e stanziamenti di fondi europei che arrivano con due anni di ritardo. Secondo Palese <<le misure straordinarie sarebbero ben altre e in particolare quelle che Confindustria nazionale ha chiesto e che il Governo Berlusconi sta approvando. Peraltro chiediamo all’assessore Frisullo se gli sia per caso capitato di sentire il redivivo Rutelli a Ballarò: ebbene, Rutelli chiedeva: riduzione della pressione fiscale e, in particolare, Irpef e Irap; stanziamento diretto di aiuti a famiglie e imprese e così via>>.

<<Frisullo – continua Palese – proponga al Governo regionale di fare quello che anche il ‘suo’ Rutelli chiede azzeramento delle tasse regionali aumentate dalla Giunta Vendola dal primo gennaio scorso (Irpef, Irap, benzina, gasolio, rifiuti); eliminazione dei fiumi di sprechi nella spesa sanitaria e discrezionale della Regione Puglia; drastica riduzione di campagne di comunicazione; taglio di assessori esterni, consulenze,incarichi di personale esterno in assessorati, Enti strumentali e aziende partecipate e chi più ne ha più ne metta>>. <<E proponiamo – è sempre Palese che parla – anche alla Giunta Regionale di valutare l’ipotesi di disporre l’anticipazione dei saldi di fine stagione al 19 dicembre, in modo da favorire i consumi e consentire alle famiglie di fare gli acquisti natalizi. Solo se la Giunta Vendola adottasse queste misure,eliminasse gli aumenti delle tasse e destinasse i finanziamenti attualmente sperperati per aiutare aziende e famiglie sarebbe titolata a parlare di misure anticrisi e di manovra anticiclica. Altrimenti i contatti del portale di Frisullo continueranno ad aumentare ma arriveranno anche migliaia di e-mail di proteste e insulti dei cittadini>>.

*Cisl e Cna Puglia Sulla manovra della Regione si pronuncia anche la Cisl Puglia. Il suo segretario generale,in occasione del consiglio regionale pugliese del 1° dicembre, in ordine ai provvedimenti del governo regionale ha rilevato come <<non si tratti di grandi cifre, sono delle somme che dovranno evidentemente essere metabolizzate dalle aziende,dovranno diventare progetti per le piccole e medie imprese, per la ricerca, quindi avranno anche dei tempi di efficacia, di realizzazione non immediati. Per cui – continua Colecchia – sarebbe opportuno anche tentare di mettere in piede un ragionamento più articolato. Noi proponiamo alla Regione di aprire un tavolo con le parti sociali, con il sistema produttivo, proprio per cercare di eventuali ulteriori iniziative, è chiaro che bisognerà intervenire sulle politiche di bilancio per operare in maniera più efficace>>.

Anche la Cna-Puglia ha voluto esprimere il suo giudizio sulla manovra del Governo regionale in una conferenza stampa svoltasi il 19 dicembre. Positivo in sostanza anche se resta però nell’Associazione <<la seria preoccupazione sulla velocità di spesa del pacchetto dei provvedimenti varato a livello regionale e nazionale>>.

Il segretario regionale della Cna-Puglia Pasquale Ribrezzo ha aggiunto: <<Per la prima volta abbiamo una serie organica di provvedimenti immediatamente cantierizzabili e alcuni già in fase di bando. Ora – ha detto con forza – non ci sono più alibi per nessuno. C’è una enorme quantità di risorse immediatamente spendibili, dopo che nel 2007-2008 sono stati spesi 120 milioni di euro per finanziare 5 mila imprese, attivando investimenti per oltre 1 miliardo e mezzo di euro, creando almeno 4 mila posti di lavoro. Dopo aver puntato alla stabilizzazione del sistema creditizio occorre favorire la liquidità del sistema imprenditoriale, compreso quello delle realtà più piccole>>. Ha

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aggiunto poi: <<Le difficoltà sono insomma tante e lo dimostra anche la presenza di un calo del numero d’imprese con una notevole crescita della mortalità>>. <<Con l’incertezza sui tempi di pagamento sale il rischio usura>>, ha avvertito la responsabile Cofidi Puglia: <<Il rapporto con il sistema creditizio sta saltando, tanto che revoche e rientri aumentano, addirittura con il salto di una sola rata>>.

Il segretario provinciale Riccardi vorrebbe vedere <<nettamente diminuire le pendenze nei pagamenti delle forniture: le imprese s’indebitano (e il sistema creditizio abbiamo visto, poi, come ci tratta) per offrire servizi richiesti da pubbliche amministrazioni ed enti locali. Per una piccola-media impresa un problema enorme>>.

A livello nazionale Ribezzo ha spiegato: <<Il decreto 185, approvato dal consiglio dei ministri, recepisce molte delle proposte avanzate dalle associazioni imprenditoriali, Cna in prima fila, ma i dubbi sull’efficacia sono moltissimi, a cominciare dall’ammontare di risorse effettivamente a disposizione e della loro immediata spendibilità>>.

*Aiuti alle famiglie L’assessorato regionale alla Solidarietà sociale il 20 gennaio ha messo a punto ed illustrato un pacchetto di misure tutte destinate alle famiglie e alla prima infanzia per ridurre le tariffe e i costi che le famiglie sopportano in tempo di crisi. Cinque milioni da destinare alle cinquemila famiglie che hanno 4 figli a carico: è questa la prima leva sociale, tengono a precisare alla Regione. Il governo centrale ha ridotto del 40% il fondo sociale nazionale, perciò la Regione conta di avvalersi delle nuove risorse che arriveranno dai bandi del nuovo Por 2007-2013 destinati alle infrastrutture sociali e prima infanzia. Si costituirà un fondo che sarà gestito dai comuni i quali, sulla base delle esigenze legate alle infrastrutture sociali, potranno utilizzarlo nei capitoli che riterranno più opportuno: da uno sconto sui trasporti scolastici al buono-mensa per coloro che utilizzano il tempo pieno (in tutto 4milioni) fino all’abbattimento della Tarsu, la tassa sui rifiuti. Il tutto facendo riferimento alle domande individuali che raccoglieranno. Inoltre la Regione ha annunciato che, ai 12milioni di euro previsti dal bando dell’ottobre 2008 per l’innovazione nelle strutture per l’infanzia, si aggiungeranno risorse del nuovo Por: 400 le domande pervenute. Inoltre, via ai 20milioni di euro per la costruzione di nuovi asili nido privati in tutte le città pugliesi e ai 67 milioni di euro (di cui 17 derivanti dall’accordo triennale col precedente governo nazionale e 50 milioni da fondi comunitari) destinati all’avvio di 140 nuovi asili pubblici. Ciò comporterà si l’aumento del tasso di utilizzo degli asili, da 3 posti ogni 100 bambini a 9 su8 100, sia l’occupazione, prevalentemente femminile, degli educatori: almeno 700 unità saranno impiegate, portando a quota 2000 gli operatori occupati. Si aggiungano le misure allo studio per agevolare le famiglie a basso reddito nella spesa alimentare. Sono in corso contatti con la grande distribuzione per agevolare sconti alle famiglie numerose e la Regione pensa anche di finanziare i gruppi di acquisto solidale. Allo stesso scopo saranno destinate anticipazioni di cassa alle cooperative sociali e sarà modulato una parte del fondo di garanzia sul credito (50 milioni di euro) già previsto dal piano anti-crisi a favore delle piccole imprese che non hanno accesso ai prestiti delle banche.

*Nuovi cantieri Il 20 gennaio il governo regionale ha fatto il punto sull’andamento del piano anti-crisi con le organizzazioni imprenditoriali e le istituzioni locali. L’assessore al Territorio ha illustrato le modalità di scorrimento della graduatoria per i Pirp, piani integrati di riqualificazione delle periferie: si passerà dalle attuali 29 domande beneficiarie dell’intervento ad almeno 80 comuni, nel quale avviare i cantieri per il miglioramento delle zone degradate. Non solo, è stato annunciato lo

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sblocco di 200 milioni di euro destinati alla realizzazione della fogna bianca in altri 100 comuni (che si aggiungeranno ai 120 attuali). Il presidente di Confindustria Puglia ha apprezzato il numero straordinario di interventi, ma ha anche sollecitato una tempistica celere sul fronte del credito bancario alle imprese e delle procedure autorizzative.

L’assessore al Bilancio ha fatto il quadro della semplificazione delle procedure avviata col tavolo ad hoc previsto dal piano, mentre l’assessore allo Sviluppo economico ha illustrato i primi tre bandi, partiti il 19 gennaio e il fondo di 80 milioni per quelle in start-up.

*Protocollo d’intesa con le Banche Popolari e la Federazione delle Banche di credito cooperativo Il 28 gennaio è stato stipulato il protocollo d’intesa della regione con le banche pugliesi: la Popolare di Bari, la Popolare di Puglia e Basilicata, la Popolare Pugliese e la federazione delle banche di Credito Cooperativo, che rappresenta 28 istituti.

Le banche si sono impegnate ad aumentare del 10,6 per cento i prestiti destinati a imprese locali e famiglie per contribuire a superare la grave crisi economica. Tale impegno farà crescere di 1 miliardo e 260 milioni di euro gli impieghi nel corso dell’anno, così che l’intera quota destinata al territorio sardi oltre 13 miliardi di euro. Un ulteriore impegno le banche popolari hanno assunto per definire procedure più trasparenti e standardizzate per poter concedere prestiti a costi inferiori e nel minor tempo possibile, senza per questo diminuire la qualità del credito.

Da parte sua la Regione si è impegnata a pubblicizzare e a sostenere tutte le iniziative e le disponibilità dichiarate dalle banche attraverso interventi di comunicazione istituzionale

Da una parte, quindi, c’è l’impegno delle banche del territorio di destinare la liquidità agli imprenditori e alle famiglie che ne hanno bisogno; dall’altra quella della Regione di inserire il protocollo nell’ambito delle misure anti-crisi che prevede, tra le altre cose, 50 milioni di fondo di garanzia tramite i Cofidi; così anche i clienti più difficili da affidare, con una garanzia in più alle spalle, potranno avere più possibilità di accedere al credito. Scendendo nel dettaglio, i 14 articoli del protocollo evidenziano due programmi, uno dedicato alle imprese, l’altro alle persone. Il “Programma Imprese” punta a garantire che il sistema bancario regionale fornisca un sufficiente stock di impieghi creditizi nei confronti delle imprese e diminuisca i tempi dell’accesso al credito, dunque <<più impieghi in poco tempo>>. Altri obiettivi sono quelli di promuovere l’integrazione dei nuovi strumenti di incentivazione regionale nel catalogo dei prodotti creditizi (<<più credito e più prodotti con i nuovi aiuti della Regione Puglia>>) e favorire lo smobilizzo dei crediti delle pmi nei confronti della Pubblica amministrazione regionale e locale (<<più pagamenti in minor tempo>>). Gli amministratori delle banche locali non hanno fatto mancare, al termine dell’incontro, i loro commenti e le loro considerazioni, dando atto alla Regione di aver dimostrato con questa e altre iniziative di operare nel segno della concretezza, per cui loro non potevano essere da meno. Hanno, altresì, assicurato di mettere subito a disposizione dell’iniziativa 50 milioni di euro, pronti a raddoppiare in caso di bisogno. D’altra parte, il protocollo conviene anche agli Istituti, che rappresentano, perché se cresce il territorio, crescono anche le banche locali. Se l’incertezza del mercato consiglia ai grandi gruppi di attendere, le banche locali si devono muovere garantendo un’attenzione a chi mostra di voler superare concretamente la crisi. Le aziende creditizie autoctone conoscono il sistema pugliese, sia economico che sociale, meglio di altri e il fatto che tutte le banche locali stiano insieme in questa iniziativa è il segno tangibile che hanno piena fiducia nello sviluppo del territorio. Sempre secondo gli amministratori, la crisi non si è ancora manifestata in forma grave dalle nostre parti. Ma è evidente che le difficoltà del sistema economico e sociale si ripercuoteranno sulle banche. Se chi lavora perde lo stipendio avrà difficoltà a pagare mutui e rate

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varie. Le banche si sono impegnate a fare in modo di portare un riparo alla crisi, si intende nel rispetto delle procedure. Il fatto di avere la loro testa qui li permetterà di valutare con attenzione le iniziative da assumere.

*Per i creditori delle Asl L’assessore al Bilancio della Regione Puglia ha presentato il 29 gennaio, in sede di conferenza Stato-Regioni, la richiesta ufficiale per la rimozione dei vincoli di indisponibilità sulla tesoreria degli enti del comparto sanità (Asl e aziende ospedaliere).Ciò per poter pagare i creditori delle Asl. Una disposizione del governo nazionale – è spiegato - <<ha bloccato in parte i pagamenti delle tesorerie delle Asl, creando non pochi disservizi tra i fornitori e i creditori del servizio sanitario regionale (imprese produttive, fornitrice di servizi, fornitori e operatori sanitari), aggravando la congiuntura già estremamente critica e vanificando anche in parte le misure anticicliche predisposte dalla Regione>>. <<Abbiamo chiesto – spiega l’assessore – la rimozione del vincolo di indisponibilità apposto dagli istituti cassieri e un intervento chiarificatore da parte del ministero dell’Economia con una nuova circolare interpretativa utile a chiarire che i tesorieri delle aziende sanitarie dovranno applicare il vincolo di indisponibilità esclusivamente sui conti alimentati dai trasferimenti statali e che invece i finanziamenti regionali dovranno essere immediatamente disponibili per poter essere utilizzati per il pagamento delle spese correnti>>. <<Siamo fiduciosi – ha così concluso l’assessore – che la richiesta della Regione Puglia sia accettata e ci stiamo attivando anche per le vie brevi per l’emissione della circolare ministeriale e siamo pronti anche a formulare la richiesta nella prossima seduta utile della conferenza Stato-Regioni in plenaria>>.

Riepilogo In questo capitolo riprendiamo in mano il critico quadro generale per aggiungervi pennellate che siano ulteriormente in grado – almeno così riteniamo – di cogliere tutti i colori del tunnel che siamo costretti ad attraversare.

All’inizio di questo lavoro siamo ricorsi ad una intervista del prof. Max Otten, rilasciata a Die Zeit, per tentare di chiarire le origini della crisi finanziaria che ha coinvolto i maggiori paesi industriali e non solo. Molte delle cose che riferiremo potranno apparire ripetitive, ma esse, a differenza di come presentate nell’intervista (per naturali ragioni dialogiche), assumeranno dimensioni concrete perché supportate da indici di valore quantitativo

*Le cause della recessione Per il vero nei maggiori paesi industriali era già in corso la recessione. Concorrevano una serie di cause a provocarla (scoppio della bolla immobiliare, aggiustamento degli squilibri Usa), per l’aria euro a quelle si aggiungeva la rivalutazione del cambio. Bisogna, però, subito aggiungere che non vi è stata una reazione omogenea del mercato alla crisi, e non è un caso ma perché alcune economie erano oggettivamente più esposte. Si pensi a quei paesi dove la bolla immobiliare è stata più accentuata, il fenomeno delle costruzioni è maggiore, le banche esercitano un maggiore peso sull’economia. Tra l’altro l’economia mondiale ha subito la crisi finanziaria mentre era impegnata a fronteggiare gravi squilibri nei tassi di risparmio. Si tenga presente che tra il 2002 e il 2007 la crescita mondiale era determinata dai paesi emergenti che poggiavano buona parte delle loro fortune sulle esportazioni verso gli Stati Uniti. La crescita mondiale era, dunque, caratterizzata da forti squilibri. Gli Stati Uniti, da parte loro, sin dalla seconda metà del 2004 sentivano la necessità di contrastare l’inflazione, che sembrava ingovernabile, per riequilibrare i conti con l’estero, tant’è che la FED procedette a progressivi aumenti dei tassi d’interesse che passavano, in relativo poco tempo,

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dall’1% al 5,25%. Questi aumenti e le strette monetarie già a fine 2007 avevano portato l’economia internazionale sull’orlo della recessione. <<L’enorme rialzo del petrolio e delle altre materie prime e la crisi bancaria, congelando il credito e ampliando gli spread sui tassi di mercato, ha rafforzato le spinte recessive, iniziando a deteriorare la fiducia di famiglie e imprese, scossa dai crolli quasi quotidiani delle borse. La caduta della fiducia è diventato crollo dopo il fallimento di Lehman>>. Infatti, per il Centro Studi della Confindustria (che tanto ci aiuta nella ricostruzione che stiamo tentando di fare) l’origine della crisi ha una data simbolo: il 14 settembre 2008, giorno del fallimento di Lehman Brothers. Una bancarotta che ha certamente segnato un salto di qualità nelle difficoltà dei mercati finanziari.

*Il sistema finanziario Abbiamo già detto, trascrivendo l’ormai famosa intervista, che il sistema finanziario è stato affondato dalla eccessiva facilità di concedere mutui subprime da parte di banche e istituzioni finanziarie e dalla vendita incontrollata di originali quanto diabolici strumenti finanziari strutturati utilizzati per la commercializzazione. Tra l’altro i mutui e i prestiti subprime erano erogati a soggetti che avevano una elevata probabilità di non rispettare i vincoli contrattuali. Tra il 2002 e il 2006, i bassi tassi di interesse e l’eccessiva facilità di accesso al credito avevano portato addirittura a triplicare la quota dei mutui subprime sul totale dei mutui concessi (come Otten sottolineava), portandola dal 7% al 26%.

La successiva emissione di titoli (in seguito tacciati per tossici perché il loro rendimento era legato al flusso di interessi dai mutui), con cui le banche trasferivano all’esterno il rischio mentre trattenevano in apparenza elevati i ratio patrimoniali. Tutte condizioni che favorivano incredibili aumenti dei prezzi delle case (tra fine 2002 e fine 2006 +41,6% reale in Usa).

Questo clima incoraggiò le compravendite di abitazioni che raggiunsero vette inimagginabili alla fine del 2005. Dall’agosto 2006, però, i prezzi delle case iniziarono inevitabilmente e rapidamente a scendere. Di conseguenza, l’aumento progressivo dei tassi d’interesse, e quindi del rateo sui mutui a tasso variabile, unitamente alla crisi dell’economia e dell’occupazione nonché al taglio dei redditi produsse inevitabilmente un immediato aumento delle insolvenze e dei pignoramenti, in particolare sui contratti subprime. Indubbiamente la finanza strutturata, che interessava particolarmente il sistema bancario, ha avuto un ruolo decisamente determinante nel generare la crisi.

*Le banche europee Le banche europee, non direttamente coinvolte nel meccanismo infernale dei mutui, apparivano, almeno in un primo tempo, estranee alla crisi, anche perché vincolate dall’accordo di Basilea II. Purtroppo le interconnessioni con i mercati finanziari e monetari americani erano stretti (si pensi ai massicci acquisti di titoli tossici evadendo dai vincoli di Basilea) che hanno finito per colpire anche il sistema bancario europeo. Ciò ha esposto le banche a gravi rischi di liquidità. A questo punto i governi europei e la BCE non si sono potuti sottrarre a intervenire pesantemente sui mercati al fine di salvare gli istituti in crisi e di assicurare iniezioni di liquidità sufficienti al sistema.

L’FMI, nell’ottobre 2008, ha rilevato che le perdite globali sui mutui e i titoli collegati ammontavano a 1,4 trilioni di dollari; la Banca d’Inghilterra le ha raddoppiati a 2,8 trilioni. Gli interventi delle banche centrali, però, non sono state risolutive ai fini della carenza di liquidità generale in quanto non era possibile calcolare esattamente le perdite, né individuare con certezza le istituzioni maggiormente coinvolte.

Nell’area euro, quindi, l’indice economico, tra l’altro in discesa già dalla primavera 2007, è schiantato a novembre 2008, provocando così una pesante caduta del Pil nel quarto trimestre 2008.

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A questo tracollo hanno contribuito, dice il CSC, <<tutte le componenti, dalla fiducia delle imprese manifatturiere a quelle dei servizi e dei consumatori>>.

*Le esposizioni ai fattori di crisi Abbiamo osservato come appaiono diverse le esposizioni ai fattori di crisi, proprio queste diversità hanno spinto ad un generale riallineamento dei tassi di crescita. Certo, con un non omogeneo ridimensionamento della crescita a secondo degli squilibri. Negli Stati Uniti, per esempio, la correzione ha interessatola domanda interna di consumi e gli investimenti. In Europa, particolari manovre hanno dovuto subire Irlanda, Spagna e Regno Unito, dove la crescita era stata più vivace perché legata al settore immobiliare e finanziario. La Germania, dal canto suo, per la sua forte dipendenza dalle esportazioni di beni di investimento ha visto penalizzata la propria crescita dal rallentamento globale. Secondo molti osservatori economici l’Italia ha risentito in minor misura gli effetti della crisi per il minor debito delle famiglie, la maggiore solidità delle banche e le caratteristiche dei mercati di sbocco delle sue esportazioni.

La crisi finanziaria ha poi inevitabilmente contagiato l’economia reale provocando una severa stretta creditizia e il crollo della fiducia. Di ciò ne risentono altri aspetti: la frenata dei paesi emergenti che pure avevano svolto una positiva funzione nella crescita globale; l’indebitamento delle famiglie; la caduta del mercato immobiliare; il debito pubblico che toglie ogni spazio a politiche anticicliche. In Italia, poi, operano alcuni specifici elementi come i colpevoli ritardi nei pagamenti specie da parte della pubblica amministrazione.

*Il credit crunch Bisogna pur dire obiettivamente che il più severo ed accorto credito bancario è una natura ed inevitabile conseguenza della crisi del sistema finanziario. Questa severità si esprime con la richiesta ai debitori di aumentare le garanzie e, molto spesso, di rientrare dalle concessioni creditizie. Per le famiglie ciò rappresenta una minore capacità di spesa che limita, e non poco, i consumi; per le imprese la mancanza di capitale circolante e quindi contrazione dell’attività e aumento dei rischi di insolvenza. Gli effetti della crisi così diventano molto più gravi perché si annullano i vantaggi portati dalla riduzione del prezzo delle materie prime, dalla caduta dell’inflazione e dalla svalutazione dell’euro. Il mutato comportamento delle banche non sono l’unico effetto della crisi internazionale. <<La società Euler Hermes che assicura crediti stima che mediamente un punto di riduzione del Pil comporta un aumento dal 5 al 10% delle insolvenze delle imprese. L’estendersi della crisi dell’economia reale ha quindi l’ulteriore effetto di congelare i pagamenti tra imprese creando un'altra forma di credit crunch. Questo rischio è particolarmente forte in Italia dove, secondo i dati dell’osservatorio Cerved, tutte le imprese con un fatturato inferiore a 50 milioni di euro hanno un rapporto tra debiti e capitale superiore a 1 (1,19 nel 2007), la soglia che sarebbe prudente non superare>>.

Variazione attesa annuale (%) nel numero di insolvenze

2008 2007

Italia 27 -50

Cina 15 10

Regno Unito 8 -15

Stati Uniti 5 50

Giappone 5 6

Spagna 5 4

Irlanda 4 -5

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Francia 0 5

Germania 3 -14

Olanda -4 -13

Fonte: Euler Hermes

*Le contromisure Quali sono le contromisure prese. Le banche centrali e i Governi hanno puntato a ripristinare la fiducia nel mercato interbancario e a salvare gli istituti di credito dal fallimento. Le autorità monetarie hanno immesso imponenti liquidità per compensare l’arresto dei mercati interbancari. Ciò non è bastato a influire sui tassi interbancari che sono poi il parametro di riferimento per i tassi che le banche pongono che per ciò rimangono più alti dei tassi di rifinanziamento. Le banche centrali hanno operato sulla riduzione dei tassi per determinare un abbassamento del costo del denaro per famiglie e imprese. I Governi sono intervenuti con la garanzia sui depositi, la ricapitalizzazione delle banche e la garanzia sulle obbligazioni emesse dalle banche.

Sull’economia reale sono necessari gli interenti di politica di bilancio. A livello europeo, la carenze di coordinamento, delimitate risorse impiegate e il ritardo dell’azione compromettono l’efficacia di questi strumenti e, di conseguenza, il contenimento, la durata e l’intensità della recessione. Ancor peggio in Italia che l’enorme debito pubblico riduce i margini di manovra.

Come uscire dalla crisi Non saremo noi a confezionare ricette che, per l’attuale crisi economico-finanziaria, ha bisogno di un raduno di rianimatori che, fuori da ogni preconfezionata tesi, si misuri con spregiudicata scienza sul globale assetto produttivo, salvaguardando gli equilibri consolidati ma suggerendo gli scarti necessari a ridare ossigeno a un apparato che, in questa occasione, ha subito le scorribande finanziarie. Ci limiteremo a conclusione di questo nostro lavoro, a illustrare alcune ipotesi che, per il prestigio della loro fonte, ha animato il dibattito sul dopo-crisi tra chi sta cercando di risolvere uno dei problemi più gravi della finanza, e non solo, mondiale.

*Soluzione danese Inizieremo con quella definita la “soluzione danese”. Secondo alcuni è proprio qui che si trova la cura ideale per rianimare i mercati dei mutui negli Stati Uniti e in Europa.

Secondo “The Economist” di gennaio 2009, la Danimarca non è stata risparmiata dalla crisi creditizia. La sua economia sta arretrando, i prezzi degli immobili sono in calo e molte piccole banche che avevano erogato prestiti a rischio hanno chiesto aiuti allo Stato. Nonostante tutto, però, gli istituti di credito fondiario continuano a vendere obbligazioni e a erogare mutui a un ritmo analogo al periodo precedente la crisi. Quando una banca di credito fondiario danese concede un prestito, è tenuta a vendere un’obbligazione di valore equivalente caratterizzata da una durata e da un piano di rimborso praticamente identici a quelli del mutuo sottostante. Anche se potrebbe sembrare simile ai modelli di cartolarizzazione usati negli ultimi anni negli Stati Uniti e in alcuni paesi europei, il sistema danese ha due caratteristiche che lo rendono unico. Innanzitutto, gli istituti che emettono le obbligazioni garantite da mutui ipotecari restano responsabili del rimborso dei titoli. In questo modo

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si rimedia a un difetto che si è manifestato con gravi conseguenze nel mercato statunitense dei mutui: le politiche dei prestiti troppo permissive, infatti, sono incoraggiate quando è interrotto il legame tra chi eroga mutui ipotecari e chi assume il rischio di inadempienza.

Il secondo tratto distintivo del sistema danese è la possibilità per i mutuatari di comprare le obbligazioni emesse sul mercato e di usarle per estinguere il loro mutuo. Questa opzione è utile quando l’aumento dei tassi d’interesse (o la riduzione dei prezzi immobiliari) permette di ottenere a prezzi scontati i titoli garantiti dai mutui. Grazie al rimborso di queste obbligazioni i proprietari di casa possono abbattere il debito contratto con la banca. Negli Stati Uniti il prezzo dei titoli garantiti da mutui ipotecari, come abbiamo già visto, era sceso molto al di sotto del valore di equilibrio anche perché non c’è nessun meccanismo che consenta di comprarli a chi potrebbe trarre i maggiori benefici. In Danimarca, invece, se il valore dei titoli garantiti da ipoteca cala, in genere i proprietari di casa sono incoraggiati a comprarli per riscattare il mutuo. Ed è proprio quello che succede nel paese scandinavo.

Qualcuno potrebbe sostenere che in questo modo le obbligazioni diventano un investimento poco interessante, ma i fatti sembrano dimostrare il contrario. Gli investitori danesi pensano che il rischio dei titoli garantiti da mutui ipotecari emessi nel loro paese non sia più alto di quello delle obbligazioni di stato. In base alla legge danese, per l’acquisto di una casa non possibile prestare una somma superiore all’80 per cento del valore dell’immobile, e il sistema giuridico agevola le banche nel pignoramento delle case dei debitori insolventi.

Che il modello danese possa funzionare bene anche in paesi con mercati immobiliari meno omogenei non è sicuro, ma i sostenitori del sistema stanno guadagnando consensi. Se è necessario cambiare le cose è il caso di puntare su un modello decisamente migliore di quello attuale.

*I paradisi fiscali Da qualche mese tutti dicono che bisogna riformare i mercati, e nel mirino dei politici sono finiti i paradisi fiscali e i titoli derivati. Non sappiano se basterà così poco per rimettere in carreggiata la finanza mondiale. Molti economisti e con essi Loretta Napoleoni, sono scettici sulle formule proposte fino a oggi. Il problema vero è un altro. Fino a pochi mesi fa, la finanza mondiale ruotava intorno a una stella, il rischio, che si è poi trasformato in un buco nero. La cartolarizzazione l’ha fatta esplodere creando la crisi. Ma nessuno vuole ammetterlo.

<<L’attacco contro i paradisi fiscali – dice la Napoleoni – fa parte di questo inutile tentativo. La riduzione del gettito fiscale è infatti uno dei primi segni negativi della recessione. Se a questo aggiungiamo le consistenti iniezioni di denaro alle banche e le nazionalizzazioni è facile calcolare, che nelle casse dei paesi occidentali, non c’è più molto contante>>.

Per racimolare dell’altro il modo più rapido è mettere le mani sugli evasori. Il principale ostacolo a questa operazione è la definizione di paradiso fiscale. Secondo l’Ocse, che dal 1998 sorveglia l’evasione fiscale, un paese che ha tasse molto basse non è per forza un paradiso fiscale. Sono necessarie altre condizioni: una tassazione solo nominale, il rifiuto di cooperare con altri stati e la mancanza di trasparenza. A questo si deve aggiungere la non collaborazione nella lotta contro il riciclaggio del denaro sporco.

E’ questo della lotta all’evasione fiscale, di certo, un tema popolare. Per l’economista Napoleoni <<Si tratta solo di propaganda: si calcola che in un decennio, a livello globale, sia sfuggita al fisco una cifra compresa tra cinquemila e ottomila miliardi di dollari. Ma sul lungo periodo questa somma non servirà a nulla se sarà sperperata in misure inadeguate, come è avvenuto fino a oggi con le tasse dei contribuenti>>.

Poi giustamente si domanda a che serve regolare i paradisi fiscali europei e americani se quelli mediorientali, asiatici e africani non sono toccati. Per combattere davvero l’evasione fiscale,

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propone l’economista, bisogna metterli fuori legge tutti e proibire ai sistemi finanziari nazionali di intrattenere qualsiasi tipo di rapporto con loro, altrimenti continueremo ad orbitare intorno a niente. <<E’ necessario tornare a un sistema in cui la finanza – prosegue Loretta Napoleoni – svolge un ruolo limitato, di sostegno all’economia reale>>. Negli anni sessanta, che furono quelli del miracolo economico, il settore finanziario rappresentava solo il 4 per cento del Pil americano. Prima che Lehman Brothers fallisse, questa percentuale era raddoppiata. Eppure il gioco finanziario è a somma zero, come ci spiegava il prof. Otten, non crea nulla: ogni guadagno corrisponde a una perdita da qualche parte nell’universo finanziario. <<Questa verità, che tutti gli economisti imparano sui banchi di scuola, negli ultimi quindici anni è stata dimenticata. Si vendevano prestiti e ipoteche come fossero nuovi prodotti alla moda. E chi li produceva, le banche, creava vere e proprie catene di montaggio per soddisfare una domanda insaziabile. E più i cosiddetti prodotti strutturati diventavano popolari, pigli acquirenti si indebitavano, facendo leva sul credito, per acquistarne altri>>.

Nessun politico ha il coraggio di punire questo comportamento perverso che ha portato le banche ad agire come capitalisti senza scrupoli e, nello stesso tempo, come incalliti giocatori d’azzardo. Eppure nessuno osa pronunciare la parola fallimento nel settore finanziario. Secondo gli economisti di questa scuola di pensiero, invece, solo la bancarotta può mettere fine a questo gioco d’azzardo. E contestano chi sostiene che il fallimento delle banche porterà l’economia allo sfacelo, dimenticando che sono stati i salvataggi a trascinare nella recessione, non la scomparsa delle banche d’investimento. Di qui le loro proposte: stampare moneta per sostenere le piccole e medie imprese e le industrie, per trovare lavoro ai disoccupati e ai neolaureati. Potenziare la rete di banche locali, etiche, cooperative, quelle che non hanno giocato d’azzardo, e usarle per immettere denaro nell’economia. I paesi emergenti come l’India e la Cina dovrebbero usare il microcredito come veicolo di sostegno. In sintesi: chi volesse davvero salvare il mondo dalla recessione dovrebbe ragionare come un economista e non come l’appendice dell’alta finanza.

*Le proposte e le analisi Interessanti sono l’analisi e le proposte della Svimez che, per ragioni istituzionali, guarda con particolare attenzione al Mezzogiorno.

Secondo l’Istituto di ricerca, l’incrocio tra la pre-esistente crisi strutturale e la sfavorevole situazione congiunturale hanno prodotto i primi drammatici effetti. La crisi subisce così un’accelerazione dei processi. Ne soffrono molti comparti tradizionali, nel Sud sono una porzione cospicua, che stanno perdendo terreno in termini di competitività: non solo il mobile imbottito, ma anche tessile, moda, abbigliamento, mobile. Tutti comparti, tra l’altro, ad alta intensità di lavoro. Nel 2000 erano il 30% del totale dell’export meridionale, oggi corrispondono a circa il 20%. Pagano la presenza di competitori come Cina e India nel mercato mondiale. I distretti settentrionali sono riusciti a parare il colpo, quelli meridionali ancora no.

Al nord hanno puntato all’upgrade qualitativo. Hanno cercato di collocare il prodotto su una fascia più elevata di mercato, dove riesce ad essere maggiormente tutelato rispetto alla concorrenza che deriva dal basso costo della manodopera. Nel Nord-Est, per esempio, buone performance sono arrivate dagli scarponi da sci o dal tessile tecnologico. Nel Sud è più difficile reagire.

Nel Mezzogiorno sono più lenti i processi di adattamento. Senza dire che i distretti del Sud sono più rarefatti nel numero e non riescono a creare relazioni più strette tra le aziende all’interno del territorio. I difetti di prima e la crisi di oggi si innestano in maniera dirompente.

Gli economisti liberisti sostengono che occorre lasciare dispiegare la crisi, cosicché il mercato ne esca purificato e rafforzato. La verità è però che in tutti i Paesi i piani anticrisi sono di portata

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rilevante. Le analisi più avanzate, anzi, sostengono che proprio un eccesso di laissez-faire sia il fattore scatenante della crisi. Il problema, caso mai, è chiedersi che tipo di intervento attuare. E’ chiaro che non si può mantenere in vita un settore incapace di svilupparsi, occorre mettere a punto azioni che mirino all’upgrade, con innovazioni di processo e di prodotto. E puntare a fasce alte di mercato con interventi pubblici per agevolare le marche, la qualità, i brevetti, il design. Su questo le Regioni possono contare su finanziamenti consistenti derivanti dai fondi Ue. E’ difficile pensare ad una riconversione delle aziende. Sono processi molto complessi. E’ importante non abbandonare i territori a se stessi. Le competenze dei lavoratori creano l’humus territoriale favorevole. E’ più facile sviluppare una qualunque attività produttiva quando il territorio è fertile. E il territorio è fertile se sono tutelate le competenze e la professionalità dei lavoratori. Da questo punto di vista la cultura distrettuale è un bene sociale. Ma oggi c’è qualcosa di più urgente.

Va prestata la massima attenzione all’occupazione. I 1.500 lavoratori di Natuzzi si sommano ad altri numeri negativi. Nel Sud, segnala l’Istat, si sono persi 65mila posti di lavoro nel 2008, seimila in Puglia. Solo una parte di questi sono coperti dagli ammortizzatori sociali, perché molto spesso si tratta di dipendenti di piccole aziende o lavoratori atipici. Occorre perciò un sistema di protezione sociale più ampio dell’attuale. Neppure il recente accordo Governo-Regioni è soddisfacente da questo punto di vista.

La Puglia qualcosa la sta facendo ed è un fatto positivo. Ma occorre agire in fretta se si vuole garantire e mantenere il tessuto sociale.

Concorda sostanzialmente con la Svimez il Presidente di Federlegnoarredo Rosario Messina. Sostiene, infatti, che l’attuale momento deve essere occasione per ripensare alla globalizzazione e riportare il sistema produttivo alla sua base manifatturiera. Arriva a ipotizzare che la crisi possa avere un lato positivo che consiste nella necessità di dover voltare pagina per salvarsi e per rilanciarsi risolvendo problemi ritenuti fino a ora sopportabili o secondari. Auspica che la Pubblica Amministrazione diventi un’alleata dei produttori, che si rafforzi ilo programma di missioni commerciali rendendolo più incisivo e sistemico nonché si sfrutti il Made in Italy per raggiungere la piattaforma di potenziali clienti dell’arredamento italiano in tutti i continenti. Una chiave dello sviluppo in questo senso – aggiunge – può essere la nuova legge sulla casa che permetterà di aumentare le volumetrie che certamente avrà conseguenze positive sulla propensione all’acquisto.

Inoltre ritiene che in Italia in materia di edilizia, urbanistica si possa fare molto. E’ necessario, dice, far tornare l’Italia un museo a cielo aperto, salvaguardando il patrimonio monumentale e cittadino.

Rivolge particolare attenzione al sistema delle piccole e medie imprese, il presidente nazionale di Confcommercio Carlo Sangalli, il quale ritiene che a questa realtà, per superare la crisi e continuare ad essere la spina dorsale del sistema produttivo italiano specie nel Sud, serve un clima nuovo, una rinnovata attenzione da parte del sistema creditizio privilegiando le piccole imprese. Questa attenzione da sola non basta, aggiunge, se non è accompagnata da una politica economica che preveda agevolazioni e misure di sostegno. Allo stesso tempo è necessario un grande impulso alla politica degli investimenti per la realizzazione di infrastrutture e un forte impegno in difesa della legalità.

Il miglioramento delle condizioni di accesso al credito, chiarisce, è condizione essenziale per garantire il superamento della crisi. Bisogna evitare la tagliola dei rientri e, soprattutto, consentire alle imprese, la ristrutturazione del debito. Questo per consentire al sistema Paese di intraprendere la via di una robusta, solida e duratura crescita. E alle banche tocca il compito di sostenere questo percorso. Servono scelte responsabili per evitare che le imprese siano strozzate dalla mancanza di credito, perché la mancanza di credito erogato attraverso i canali ordinari può provocare il ricorso

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da parte degli imprenditori a canali alternativi, non controllati e illegali. Sull’argomento è perentorio, in quanto, secondo il presidente di Confcommercio, questo rischio va evitato nella maniera più assoluta perché legalità e sicurezza sono elementi centrali, valori fondamentali che caratterizzano le piccole e medie imprese e sono il prerequisito di un’economia sana e aperta alla concorrenza. Assicura che Confcommercio da questo punto di vista non intende rinunciare ad essere portatrice di questi valori per contrastare qualsiasi forma di illegalità organizzata e non. Tornando sul tema della crisi, Sangalli mette l’accento sul bisogno di infrastrutture, un bisogno pari a quello di legalità e di sicurezza. Al Sud, dice, la richiesta di strade, autostrade, ferrovie e aeroporti è molto forte soprattutto perché questa debolezza infrastrutturale rischia di far perdere alle Pmi e al Mezzogiorno definitivamente il treno della ripresa quando questa, presumibilmente, ci sarà nel 2010.

In conclusione, la sfida da vincere riguarda il sistema nel suo complesso, e non gli imprenditori da una parte, e le istituzioni e la politica dall’altra. In ogni caso il presidente ritiene che il commercio, il turismo e i servizi costituiscono sia un potente fattore di limitazione al degrado urbano che una concreta opportunità di sviluppo.

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CHI SIAMO

L’associazione “OSSERVATORIO PER LA LEGALITA E LA SICUREZZA – Centro Studi e Documentazione” con sede in Bari alla Via Ricchioni, 1, presso la Circoscrizione “Bari-S.Paolo”, si è costituita con spirito di volontariato, spinta dall’esigenza di dare continuità istituzionale e operativa per 10 anni, come emanazione pugliese (Sicurpuglia), della ben nota Fondazione Cesar-Sicurstrada, che ha cessato la propria attività nel 2008. Presidente è il Prof. Nicola Colaianni, docente universitario. La base sociale è costituita sia da persone fisiche che dalle rappresentanze regionali pugliesi di CGIL, CIA, CNA, LEGA COOP, UIL. Il sodalizio, così come recita la sua denominazione, si occupa di economia sociale, legalità, sicurezza, ivi compresa quella stradale e, per tale motivo, ha acquisito nel tempo un patrimonio di esperienze rivolte alla realizzazione di iniziative, ricerche, studi e approfondimenti, con il supporto di materiale documentale sempre aggiornato e innovato. L’insieme di queste risorse è curato da un gruppo di lavoro altamente specializzato e permette di divulgare, in prima battuta oppure di collaborare, i concetti riguardanti il rispetto delle regole. Il mondo della scuola e in genere quello dei giovani continua a rappresentare l’interlocutore privilegiato. L’Associazione inoltre è partner della Coop “Il Nuovo Fantarca” nella conduzione del neo costituito “Centro Antonino Caponnetto”, nella Circoscrizione “ Poggiofranco” del Comune di Bari. Da oltre sei anni, prima come Sicurpuglia di Fondazione Cesar, attualmente come Osservatorio, è componente la Commissione Valutativa dell’annuale bandi concorso “Il Banco del Cittadino”, organizzato dal XXV Circolo Didattico “Don Lorenzo Dilani-Bari S. Paolo”, individuato dall’USRP come Scuola polo per la Legalità. Dal 21 maggio 2009 ha iniziato la collaborazione tramite un protocollo d’intesa stipulato con il Centro d’Ascolto per le Famiglie e i nuovi centri polifunzionali per Servizi Integrati, relativamente alle sedi S. Paolo, Stanic, Japigia, Torre a Mare. Collabora con l’Assessorato ai Trasporti e Vie di Comunicazione della Regione Puglia, sulla sicurezza stradale. Il Centro-Studi e Documentazione persegue le finalità di monitoraggio in continuo dei fenomeni legati alla sfera dello stato e dello sviluppo economico nonché della legalità. Estrapolando per economia espositiva alcuni significativi lavori svolti in tempi recenti, ricordiamo: “SVILUPPO SUD”, del 2007, che tratta sullo stato dell’economia e della sicurezza nelle regioni meridionali e delle influenze che la criminalità esercita sul loro sviluppo; il RAPPORTO SULL’ECONOMIA PUGLIESE del Gennaio 2008, presentato in conferenza stampa. Il Sole 24 Ore, dorso SUD, ha dedicato un servizio, mettendo a disposizione dei lettori l’acquisizione dell’elaborato attraverso il sito della testata giornalistica. Si precisa che questi lavori sono stati effettuati in vigenza di appartenenza collaborativa a Fondazione Cesar di alcuni degli attuali componenti l’Osservatorio. La produzione, molto più recente, attribuita esclusivamente all’attuale Associazione è costituita dal “DIARIO DI BORDO” 1° semestre 2008 sullo stato della sicurezza in Puglia, divulgato essenzialmente nel blog.. Si tratta di un monitoraggio svolto nella sua fase iniziale tramite la selezione delle testate giornalistiche regionali su episodi di cronaca e su fenomeni riguardanti l’illegalità in genere e la criminalità, distinti per tipologie, a loro volta raggruppate secondo le logiche più generali territorialmente (regionali) o particolari (per provincia).

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IL MATERIALE CONSULTATO - Commissione Europea = Previsioni intermedie - Le Pagelle della Commissione UE 16 dicembre 2008 - Eurostat – Commissione Europea = Pagella annuale dei mercati – gennaio 2009 - Eurostat = First estimates for fourth quarter of 2008 – 05 marzo 2009 - Documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2009/2013 delGoverno - OCSE = Le disuguaglianze - Banca d’Italia = Economie Regionali – L’economia della Puglia 2008 - Bollettino Statistico della Banca d’Italia –Luglio 2008 - Banca d’Italia = Bollettino Economico – ottobre 2008 - Centro Studi Confindustria = Più produttività e meno povertà – Giugno 2008 - Centro Studi Confindustra = Le sfide della politica economica – Autunno 2008 - Centro Studi Confindustria = L’economia italiana nella crisi globale – Dicembre 2008 - Confindustra = Congiuntura flash – gennaio 2009 - Abi – Monthly Outlook = Evoluzione mercati finanziari e creditizi – settembre 2008 - Ufficio Studi Confcommercio = Economia, Mercato del lavoro, e Imprese in Puglia - Ufficio Studi Confcommercio = Le condizioni del mercato del lavoro in Puglia - Ufficio Studi Confcommercio = Le previsioni sui consumi – settembre 2008 - Confcommercio – Format = Ricerca sulle piccole e medie imprese del Mezzogiorno - Ufficio Studi Confcommercio = La spesa per consumi delle famiglie pugliesi - Ufficio Studi Unioncamere = Analisi sulla consistenza degli assegni e cambiali protestati in circolazione nel 2008 - Unioncamere – Prometeia = Le previsioni per il 2009 – 7 novembre 2008 - Unioncamere – OD&M = Domanda di lavoro e retribuzioni nelle imprese italiane – Rapporto 2008 - IFO – INSEE – ISAE = Si inasprisce la frenata – 8 ottobre 2008 - CNEL = Mercato del lavoro – dicembre 2008 - ISAE = Osservatorio Regionale Banche-Imprese – SRM = Congiuntura Mezzogiorno – Rapporto sulle regioni meridionali IV trimestre 2008 - ISAE = La fiducia delle imprese, del commercio, dei servizi e delle costruzioni-novembre 2008 - Rapporto ISAE = Le previsioni per l’economia italiana – 25 febbraio 2009 - Rapporto Svimez 2008 sull’economia del Mezzogiorno – 18 luglio 2008 - Svimez = Previsioni regionali - Secondo Rapporto sulla Puglia curato dall’European House Ambrosetti –novembre 2008 - Nomisma = Quaderni per l’economia – 11 novembre 2008 - Nomisma = Quaderni per l’economia – 9 gennaio 2009 - Ufficio Provinciale dell’Agenzia del Territorio e Osservatorio del mercato immobiliare = Dati sul mercato immobiliare in Puglia - Unicredit Consumer Financing = Analisi sui mutui concessi nell’area meridionale – novembre

2008 - Centro Sintesi di Venezia = Rapporto sull’incidenze delle rate bancarie sui redditi delle famiglie - CRIF ((Centro Rischi Finanziari) = La domanda dei mutui – gennaio 2009 - Rapporto CENSIS sulla situazione sociale del Paese – 5 dicembre 2008 - Servizio Studi e Ricerche di Intesa-San Paolo = Monitor dei distretti – gennaio 2009 - Osservatorio Cassa Integrazione Guadagni = I dati - 22 ottobre 2008 - CISL = Rapporto sull’industria - ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro) = Le previsioni sulla disoccupazione mondiale gennaio 2009 - CENSIS = Rischio povertà

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- Federazione dei Consumatori Puglia = Indagine sui prezzi - IPR Marketing = L’inflazione percepita – settembre 2008 - Osservatorio Findomestic Banca = Indagine sui consumi dei beni durevoli – 13 gennaio 2009 - Federdistribuzione = Indagine sul risparmio delle famiglie italiane – gennaio 2009 - Federalimentare = Bilancio 2008 dell’industria del settore - L’8° Rapporto sulla povertà della Caritas – 4 novembre 2008 - ADOC = Indagine sul mercato del Monte dei pegni – dicembre 2008 - La Comunità di Sant’Egidio = Guida 2009 “Dove mangiare, dormire, lavarsi” 18 dicembre 2008 - Eurispes = Le occasioni mancate - Facoltà di Scienze della Comunicazione – Università di Roma “Sapienza” = Rapporto 2008 sui

lavoratori parasubordinati iscritti alla Gestione Separata INPS – giugno 2008 - Osservatorio del Dipartimento Settori Produttivi CGIL nazionale = Osservatorio sulla cassa integrazione guadagni –Anno 2008 - CGIA di Mestre = L’indebitamento medio delle famiglie italiane – agosto 2008 - Indagine della CGIA di Mestre sulla situazione dei prestiti in Italia – ottobre 2008 - CGIA di Mestre = Ricerca sviluppata nelle Camere di Commercio sulle imprese della Puglia 8 novembre 2008 - CGIA di Mestre = Analisi sull’andamento dell’indebitamento delle imprese italiane - CGIA di Mestre = Analisi dei mercati finanziari – 15 ottobre 2008 - Indagine della CGIA di Mestre sul Made in Italy - CGIA di Mestre = I valori del carovita regione per regione – settembre 2008 - CGIA di Mestre = La situazione del precariato – ottobre 2008 - I dati INPS - dicembre 2008 - Istat sull’export Italia - Istat = Dati sull’export regionale - Istat = Rivelazioni sull’occupazione – 29 settembre 2008 - Istat = I dati sulla riduzione dell’occupazione nell’industria italiana – novembre 2008 - Istat = I dati sull’inflazione - Istat = I dati sulla povertà – 4 novembre 2008 - Istat = I dati sul commercio – dicembre 2008 - Istat = I dati sui consumi -23 gennaio 2009 - Istat = I dati sui prezzi 23 febbraio 2009 - Istat = I dati sulla disoccupazione – marzo 2009 Il Sole 24 Ore e Dorso Sud Il Corriere della Sera La Repubblica La Stampa La Gazzetta del Mezzogiorno – Edizioni Bari, Capitana, Bat, Lecce, Brindisi e Taranto Il Nuovo Quotidiano di Puglia – Edizioni Lecce e Brindisi Il Corriere del Mezzogiorno Puglia Quotidiano di Bari E – Polis Corriere Economia – Mezzogiorno Affari & Finanza La Gazzetta dell’Economia L’Espresso Panorama