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    Il sistema monetario internazionale : dall’approccio egemone a quello multivalutario. Ilrenmimbi come nuova moneta internazionale

    di Gian Cesare Romagnoli – Università Roma Tre

    Estratto da: Marzovilla O., Romagnoli G.C. (a cura di), Il sistema monetario internazionale:dall’approccio egemone a quello multivalutario , (forthcoming).

    1. Introduzione p.1 -Parte I : 2.L’approccio egemone: ledominant monies p.3-2.1 Caratteristichee vantaggi del paese che emette valuta di riserva internazionale p.3-2.2 La sterlina e il dollaro p.5-3. Il dollaro p.9-3.1 Dalla crisi di Bretton Woods a lla nascita dell’euro p.9 -3.2 Lo status del dollaro

    p.13-3.3 Squilibri correnti e benign neglect p.17-3.4 Le responsabilità della Federal Reserve p.24- 4.Euro, Yen e Sterlina p.25-4.1 Il ruolo dell’euro p.25 -4.2 Lo yen p.34-4.3 La sterlina p.35 - Parte II :5. La Cina: una nuova protagonista dell’economia mondiale p.36-5.1 Il miracolo economico cinese

    p.36-5.2 La crescita degli investimenti esteri e l ruolo dei Sovereign wealth funds p.45-5.3 Un nuovomodello di sviluppo e il rallentamento della crescita economica cinese p.50-5.4 Gli effetti della crisicinese sull’economia reale mondiale p. 53-6. La strategia cinese: il renmimbi, nuova monetainternazionale p.56-6.1 la bolla finanziaria cinese e e manovre di politica economica per contrastarla

    p.56-6.2 Il renmimbi: nuova valuta internazionale p.59-6.3 Le sfide mondiali cinesi p.67-6.4 Larisposta americana: il TPP e il TTIP p.67-6.5 Il ruolo degli altri BRICS p.71 - Parte III : 7. BrettonWoods II e i suoi rischi p.76-7.1 Il sistema monetario odierno e le sue debolezze p.76-7.2 Le tensioni

    geopolitiche e valutarie attuali p.82-7.3 Una nuova guerra delle valute p.85- 8. Le ipotesi di riforma per un sistema monetario internazionale multivalutario p.91-8.1 La “stagnazione secolare” p.9 1-8.2

    Dal Piano Keynes alla New International Clearing Union p.98-8.3 Nuovi DSP per una riforma del sistema monetario internazionale p.100- 9. Conclusione p.109-Riferimenti bibliografici p.113.

    1. Introduzione

    Un sistema monetario internazionale (s.m.i.) è un sistema di pagamenti internazionali. Esso è datoda un insieme di regole e norme, definite da trattati internazionali e integrate da convenzioni e usiaccettati dai paesi che ne fanno parte, riguardanti i criteri di regolamento dei pagamenti internazionali,il grado di stabilità dei tassi di cambio fra le valute dei paesi membri e gli aiuti finanziari fra banchecentrali o Stati in caso di crisi di bilancia dei pagamenti. L'utilità e la necessità di un s.m.i. aumentanocon la dimensione degli scambi commerciali fra i paesi e quindi con la specializzazione produttivainternazionale, che aumenta la ricchezza delle nazioni1. L'iniziativa per la creazione di un s.m.i. nascegeneralmente dal paese economicamente e politicamente dominante nell'economia mondiale(l'Inghilterra nel caso del tallone aureo, gli Stati Uniti nel secondo dopoguerra con il gold exchange

    standard ), che ha il maggior interesse a mantenere questa posizione. Come conseguenza i sistemimonetari internazionali sono generalmente ''asimmetrici'', nel senso che un paese assume il ruolo diguida con il vantaggio di trasferire sugli altri paesi membri quasi tutto l'onere dell'aggiustamento dei

    1 Di fatto ai benefici statici e dinamici del commercio internazionale si associano anche costi rappresentati soprattuttodalla dipendenza produttiva (Romagnoli, 1979).

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    di crescita eccezionali del Pil e degli investimenti esteri finanziati dalle ri serve in dollari accumulatedurante decenni di surplus corrente della bilancia dei pagamenti ma che ha recentemente cambiatomodello di sviluppo: da quelloexport led a quello trainato dalla domanda interna di consumi. Questo passaggio, che ha dato luogo prima al rallentamento della crescita economica cinese e piùrecentemente allo scoppio di una bolla finanziaria e immobiliare, seguita da alcune piccolesvalutazioni della sua moneta, ha avuto effetti negativisull’economia mondiale, sia per i paesiemergenti che per quelli avanzati ed ha dato luogo a diverse letture in cui campeggiano le ambizionieconomiche e geopolitiche della Cina. Tra queste, il riconoscimento dello status di monetainternazionale al renmimbi, è stata una delle principali aspirazioni di Pechino. La terza parte prendele mosse dalle debolezze del s.m.i. attuale basato sul peg tra renmimbi e dollaro cui si addebital’instabilitàdei mercati finanziari che ha dato luogo prima a tensioni valutarie sui mercati e poi a unaguerra delle valute. Si esaminano, infine, alcune ipotesi di riforma del s.m.i. nel contesto di una“stagnazione secolare” che potrebbero favorire il passaggio da un approccio sostanzialmenteegemone a uno multivalutario maggiormente differenziato rispetto a quello attuale, soprattutto al finedi affrontare la minaccia dirompente di un possibile crollo del valore del dollaro.

    2. L’approccio egemone: le domi nant moni es

    2.1 Caratteristiche e vantaggi economici del paese che emette valuta di riserva internazionale

    Alla moneta si riconoscono tradizionalmente tre ruoli: unità di conto, mezzo di scambio, depositodi valore. La moneta conferisce a chi la crea il potere del signoraggio che è tanto maggiore quanto più ampia l’area che utilizza tale moneta.Questa capacità ulteriore estende la sovranità nazionale,

    influenza la volontà politica di altri paesi costringendoli a fare cose che non avrebbero fatto altrimenti.Diviene, in breve, un segno di potere internazionale (Strange, 1994; Cohen, 2006; Helleiner, 2009).Strange (1971) ha identificato quattro tipi di monete internazionali:top, master, neutral andnegotiated currencies . La prima, esemplificata dal dollaro, porta con sé un privilegio esorbitante,ravvisato da Charles De Gaulle, dovuto alla leadership mondiale del paese emittente spiegata sia dafattori militari che economici, la seconda è la valuta di un’area dominata territorialmente, la terza,esemplificata dal franco svizzero, è tipica di un paese che, indipendentemente dalla sua dimensioneterritoriale, emette una valuta stabile e attraente nei momenti di turbolenza sui mercati valutari, laquarta, infine, è la valuta di un paese che ha perso, in parte, potenza politica e militare e induce il suouso attraverso aiuti economici o tecnologici, protezione militare, capacità diplomatica. Questaclassificazione è flessibile, pertanto una moneta può assumere caratteri diversi nelle varie aree planetarie. Pertanto il dollaro è unatop currency in parte dell’Asia e dell’America Latina ma unanegotiated currency nei BRICS. L’euro èuna top currency in Europa e in Nord Africa, ma unaneutral o negotiated currency altrove. Prima della crisi, diversi paesi, tra cui Cina, Brasile, Federazione russa,Libia, Iraq, Iran, Venezuela,avrebbero visto volentieri il dollaro e l’euro comenegotiated currencies (Otero-Iglesias, 2012).

    La letteratura teorica ha esplicitato, in maniera consolidata, le condizioni da soddisfare perché unavaluta assuma lo status di moneta internazionale (Helleiner, 2008; Marzovilla, 2009; De Grawe,2013). Le principali sono tre: fiducia, liquidità e rete di scambi internazionali. La letteratura empiricaha inoltre identificato le caratteristiche di un'economia che permettono ad una valuta di diveniredominante (Eichengreen e Matieson, 2001; Chinn e Frankel, 2008) anche se esse non sono tutte

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    esempio il famigeratoSmoot-Hawley Tariff del 1930 che acuì la Grande Depressione. Ci sono moltistudiosi che tracciano un collegamento tra il crollo del commercio internazionale e la guerra. Il grandeeconomista francese Frédéric Bastiat disse che “quando le merci non attraversano le frontiere, lofanno i soldati.” Il sociologo Ralf Dahrendorf, riferendosi ai paesi dell’Europa centro-orientale, dopoil crollo dell’Unione Sovietica, disse, rivolgendosi agli europei occidentali:“O vi prenderete le loromerci o vi prenderete loro”. Se non è possibile acquisire pacificamente i beni prodotti all’esterodicui si ha bisogno, nasce la tentazione di invadere quei territori per derubarli. Così, una valuta accettataquasi universalmente può essere vitale sia per la pace nel mondo sia per la prosperità mondiale.

    Uno dei vantaggi chiave di emettere valuta internazionale è quello di poter denominare le proprie passività sull'estero nella propria valuta e quindi di potersi indebitare ad un tasso inferiore di quelloche si ottiene sulle proprie attività sull'estero (Rogoff 1998, Papaioannu 2007). Il fatto che le attivitàfinanziarie siano considerate come una riserva sicura di valore fa sì che gli operatori siano disposti arinunciare ad una parte della remunerazione, o meglio del premio per il rischio, pur di disporre deivantaggi e delle caratteristiche qualitative intrinseche della valuta di riserva.

    Un paese che ha ambizioni di emettere valuta internazionale dovrebbe anche farsi carico dimantenere un valore il più possibile stabile nei confronti delle altre divise. In particolare, due sonogli elementi critici da tenere sotto controllo: uno riguarda il livello di inflazione, che deve esseretenuto ad un livello basso e stabile, l'altro concerne il grado di indebitamento del paese, sia internoche estero.Anche il fatto di avere una banca centrale credibile, che in caso di crisi eserciti anche ilruolo di prestatore di ultima istanza, è un fattore determinante nella scelta della valuta di riserva. Icomportamenti dei paesi che hanno mantenuto la sovranità monetaria, a partire dalla Federal Reserve(Fed), al contrario di quelli dell’Eurozona, davanti alla crisi 2007-2009, ne sono stati esempi evidenti.

    Al tempo stesso l'emissione di valuta di riserva internazionale presenta anche alcuni punti disvantaggio come ad esempio quello di dover accettare una variabilità più pronunciata nella domandadella propria valuta rendendo più arduo per la banca centrale il compito di controllare gli stockmonetari nel caso in cui quest'ultima decida di intervenire sul mercato dei cambi. Inoltre il paese cheemette valuta di riserva si dovrebbefare anche carico dell’onere di operare non solo per il perseguimento dei propri obbiettivi macroeconomici interni ma anche di agire in modo tale damantenere gli equilibri dei mercati mondiali.

    In sintesi, per capire se una moneta è il fulcro del sistema rispetto alla posizione subalterna dellealtre valute, si sono rivelati utili strumenti semplici e diretti come l'analisi delturnover valutario sulForex7 oppure l'andamento nel tempo delle riserve detenute dalle banche centrali.

    2.2 La sterlina e il dollaro Nel corso della storia, una moneta ha sempre prevalso sulle altre come valuta di riferimento del

    s.m.i. e non va trascurata la capacità del paese emittente di valuta internazionale di difendere il proprio status anche con l'uso della forza. Come testimoniano gli imperi, nella storia sono rari i tentativi diintrodurre un’unione monetaria senza ricorrere alla forza delle armi. Da più di duemila anni, la monetaè uno degli strumenti principali della sovranità usato dai detentori del signoraggio per finanziare le proprie spese con una forma di “tassazione senza rappresentanza politica” come la chiamavano i

    7 Il foreign exchange market , detto più comunemente Forex, è il più grande mercato valutario del mondo, in termini divalore delle transazioni, e include gli scambi che avvengono tra importanti istituzioni bancarie, banche centrali,speculatori valutari, imprese multinazionali, governie altri mercati finanziaried istituzioni.

    https://it.wikipedia.org/wiki/Governohttps://it.wikipedia.org/wiki/Mercati_finanziarihttps://it.wikipedia.org/wiki/Mercati_finanziarihttps://it.wikipedia.org/wiki/Governo

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    protagonisti della rivoluzione americana del 1776 (Romagnoli, 2013,27). Non è un caso che le duevalute internazionali per eccellenza degli ultimi due secoli, la sterlina ed il dollaro, siano statesostenute dagli eserciti e dalle flotte più grandi, potenti e temuti del mondo, come era avvenuto negliimperi precedenti. I paesi militarmente avanzati possono dunque offrire una ulteriore garanzia asostegno del valore della propria valuta.

    Il rapporto tra moneta e potenza emerge chiaramente da un confronto storico tra le grandi moneteimperiali degli ultimi due secoli: dollaro e sterlina. Nel corso del XX secolo la sterlina è statasostituita, come prima moneta internazionale, dal dollaro statunitense. Non è stato un processo senzadifficoltà. Gli Stati Uniti erano divenuti la prima economia del mondo ormai nell’ultimo quartodell’Ottocento. Ma l’Inghilterra e il suo impero resistevano come principali fornitori e intermediaridi capitali. Londra continuò ad assolvere questo ruolo fino a quando fu possibile richiamare capitalida intermediare. La prima guerra mondiale introdusse i controlli del movimento dei capitali per farlirestare nelle economie nazionali. In retrospettiva storica, il mancato sorpasso del dollaro sulla sterlina

    all'inizio del '900 può essere attribuito alla mancanza di un istituto centrale negli Stati Uniti chegarantisse le suddette funzioni. Infatti, se l'economa americana aveva già superato quella britannica,lo stesso non si poteva dire del sistema finanziario, in cui spiccava l’assenza di una banca centraleche ne garantisse il corretto funzionamento e prevenisse eventuali crisi dei mercati finanziari. La Fednacque invece nel 1913, come portato della crisi economica del 1907.

    Fino al 1914, la sterlina fu la principale valuta di riserva, grazie alla dimensione del commerciointernazionale britannico e all’indiscusso primato dellaCity quale mercato dei capitali. Londra usò la primazia internazionale del pound per fare credito,in primis agli Stati Uniti in pienoboom demografico e infrastrutturale, usando le risorse guadagnate dalla perla dell’impero, l’India, tramitela concentrazione delle produzioni primarie. Il surplus del commercio estero indiano non erareinvestito nell’economia locale, ma convogliato dai viceré inglesi nellaCity londinese e da quiredistribuito, sotto forma di investimenti, all’America emergente. In parte serviva a finanziare leguerre di Sua Maestà, come quella anglo-boera. Questo circuito finanziario, che aveva a Londra ilsuo fulcro, e nella sterlina il veicolo, aveva dunque un’impostazione coloniale prettamenteottocentesca. La madrepatria sfruttava la sua principale colonia (l’India) per finanziare, a interesse,lo sviluppo della sua principale ex colonia (gli Stati Uniti). Quando Washington divenne il grandecreditore mondiale (durante e dopo il primo conflitto mondiale) e Londra perse progressivamente ilsuo status di potenza finanziaria, commerciale, navale e, da ultimo, coloniale (dopo il 1948), siaffacciò un nuovo paradigma. Il dollaro non fu usato per travasare ricchezza da una regione all’altra,

    esigendo una “tassa” di transito nella veste degli interessi pagati alle grandi banche londinesi.Piuttosto inondò il mondo intero occidentale ( prima e dopo il crollo dell’URSS) come contropartitadelle crescenti importazioni statunitensi dal resto del globo. Il risultato è stataun’indiscussa centralitàmonetaria pagata al prezzo di un alto deficit commerciale, a sua volta sostenuto anche da unindebitamento pubblico e privato reso possibile proprio da questo signoraggio. Nonostante la fine diBretton Woods, il dollaro è riuscito a conservare un ruolo centrale. A riprova che la forza di unavaluta è data in primo luogo dalla potenza economica e politico-militare che il suo emittente è ingrado di esprimere, ma anche dell’uso che ne fa. In quest’otticaè tornato utile il paragone con lasterlina.

    Uno dei maggiori sostenitori della teoria che la valuta dominante del sistema venga scelta perragioni geopolitiche, piuttosto che di natura prettamente economica, è stato Adam Posen (2008, 93).

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    Dalla sua analisi emerge come, sebbene per molti paesi sarebbe stato più consono mantenere un pegcon l'euro o addirittura con lo yen o il renmimbi, in virtù del fatto che gli scambi con l'estero sono principalmente indirizzati verso i paesi, che emettono quelle monete, con conseguentesincronizzazione degli shock , la maggior parte di essi sono stati riluttanti ad abbandonare un cambiofisso con il dollaro e a smettere così di sostenere il deficit con l'estero americano. Posen ha sottolineatocome alla base della scelta della valuta di riserva vi siano principalmente delle ragioni geo-strategichee di sicurezza nazionale dei vari paesi coinvolti. La Germania Ovest ed il Giappone ne sono stati gliesempi storici più eclatanti, almeno fino alla creazione dell’euro. Ma anche quello della Francia, conDe Gaulle che nel 1966 uscì dalla Nato per controversie con gli Stati Uniti e il Regno Unito, o lafirma del Trattato di Maastricht (per la nascita dell’euro) subito dopo l’implosione dell’UnioneSovietica ne sono esempi importanti. Sembra dunque evidente, da questi esempi storici, come leragioni geopolitiche abbiano avuto, nel corso degli anni, una importanza fondamentale nell'ergere ildollaro quale valuta dominante. La maggior parte dei paesi che ospitano truppe americane sul propriosuolo sono quelli che hanno scelto,de iure o de facto , un cambio fisso con il dollaro. Dal Giapponealla Corea del Sud e all'Arabia Saudita, i maggiori finanziatori degli Stati Uniti sono quelli che piùdipendono da essi per la propria difesa nazionale. In questa ottica si può comprendere meglio comel'ascesa della Cina sia vista con sospetto e con preoccupazione dalle autorità americane. La Cina nonè legata agli Stati Uniti da alcun vincolo militare, anzi essa può essere percepita sostanzialmente comeun paese rivale, sia economicamente che politicamente.

    Prerogativa della valuta dominante è quella di influenzare fortemente i tassi delle altre valute edal tempo stesso ricevere una quantità limitata di feedback . Sia la Gran Bretagna del XIX secolo, siagli Stati Uniti durante il periodo di Bretton Woods hanno potuto godere di tassi d'interesse a lungotermine inferiori rispetto a quelli degli altri paesi, confermando dunque uno degli elementicaratteristici della dominanza delle rispettive valute. Questa esperienza si è interrotta nel periodo1995-2008 ma è inaspettatamenteripresa negli anni successiva all’ultima crisi. Il vero elemento didifferenziazione che emerge tra la dominanza della sterlina e del dollaro è però un altro. La GranBretagna, per tutto il lasso di tempo che la sterlina è stata la valuta di riferimento del sistema, era un paese con una enorme capacità di generare un consistente surplus di partite correnti. Nel periodo trale due guerre mondiali la posizione sull'estero britannica iniziò a declinare diventando negativa nel1931. È in questo periodo che di fatto inizia la transizione con il dollaro che, lentamente mainesorabilmente, si approprierà del ruolo di valuta di riserva internazionale. Nel periodo 1960-1971,gli Stati Uniti risultano anch'essi un paese con un lieve surplus di partite correnti ma con una bilancia

    dei pagamenti negativa già a partire dal 1958 (Bordo, 1992). Tramite questo deficit della bilancia dei pagamenti, gli Stati Uniti fornivano la liquidità necessaria al funzionamento del Nel sistema. Cosìfacendo però hanno perduto credibilità come debitore affidabile nei confronti del mondo, dando luogoal noto dilemma di Triffin (1960)8. Un solo anno di deficit di partite correnti, il 1971, ha fatto crollareil sistema a cambi fissi (Alessandrini, Fratianni, 2009a).

    La seconda economia mondiale del XIX secolo, la Cina, era poco aperta agli scambi con l’estero:la sua moneta, ancorata all’argento quando il resto del mondo aderiva al gold standard , era pocoscambiata sui mercati: mancavano le condizioni per farne una moneta di riserva. Tra le due guerremondiali, il dollaro si affiancò alla sterlina come valuta di riserva, in un mondo diventato multipolare,

    8 Si tratta del dilemma fra finanziamento dei commerci mondiali con riserve in dollari (l'unica strada percorribile dalmomento che la produzione aurea era insufficiente) e il venir meno della fiducia nella convertibilità del dollaro in oro.

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    nel quale la Cina non trovò spazio. A Bretton Woods, Keynes combatté, senza successo, una battagliafuori tempo per la creazione di una valuta internazionale, ilbancor che, nella sua visione, avrebbelimitato lo “strapotere” del dollaro conservando un ruolo alla sterlina. Dopo il 1945, all’egemoniaeconomica, politica e militare degli Stati Uniti si accompagnò il quasi totale monopolio del dollaroquale mezzo di pagamento internazionale e, dunque, moneta di riserva. Il “privilegio esorbitante” deldollaro, denunciato e combattuto da De Gaulle, era radicato nella struttura stessa dell’economiamondiale della quale gli Stati Uniti costituivano ben il 40 per cento.

    Ricerche recenti hanno mostrato che il gold standard classico può essere considerato un sistemamolto più decentrato se paragonato ai sistemi monetari che si sono poi susseguiti nei periodisuccessivi (Alessandrini, Fratianni, 2009a) e si può affermare che il dollaro abbia assunto il ruolo divaluta di riserva in una maniera molto più accentrata rispetto alla sterlina di fine XIX secolo. Il sistemadi Bretton Woods9 era imperniato sul dollaro, attorno a cui gravitavano soprattutto le monete ad essogeograficamente più prossime, come quelle latinoamericane. Queste avevano tuttavia una banda di

    oscillazione relativamente ampia, essendo tali paesi incapaci di sostenere un cambio rigido con ildollaro. Le divise che hanno sostenuto il sistema sono state quelle europee. Il sistema non era perfetto:già prima del 1971, quando Richard Nixon sospese la convertibilità del dollaro in oro, vi erano statele rivalutazioni del marco tedesco e le svalutazioni della sterlina britannica. Con loSmithsonian

    Agreement del dicembre successivo, Germania, Belgio, Canada Stati Uniti, Francia, Italia, Giappone,Olanda, Regno Unito e Svezia abbandonarono il sistema di cambi fissi e aprirono il “ballo dellevalute”. Tuttavia,a posteriori , stupisce che un assetto monetario ancorato alle riserve d’oro delleBanche centrali abbia tenuto per quasi trent’anni in un mondo che, dal miracolo economico europeo,ha visto espandere il commercio internazionale e con esso gli scambi di valute.

    Seguendo la concettualizzazione di Cohen (2006), il potere monetario a livello macroeconomicosi manifesta con la capacità di un paese di evitare il costo degli aggiustamenti degli shocks orinviandolo10 o spostandolo su altri paesi. Per conseguire questo scopo il paese deve possedereautonomia e influenza. La prima, che secondo Cohen precede la seconda, si manifesta attraverso lascelta delle politiche economiche. La seconda, attraverso la capacità di imporre ad altri paesicambiamenti nelle loro politiche economiche. Ciò può avvenire sia direttamente, imponendo la propria volontà nelle scelte, che indirettamente attraverso lainstitution building che promuove idee eweltanschaung .

    L’euro, al contrario del dollaro, ha mostrato al mondo (Asia, Africa, America Latina, MedioOriente) il successo potenziale di un modello di regionalizzazione monetaria basato su adesioni pacifiche e volontarie contrapposto a quello unico egemone a livello mondiale (Marzovilla,Romagnoli, 2013; Marzovilla, 2016a). Il consolidamento dell’euro nel suo primo decennio di vita hasuggerito una possibilità reale di orientare il s.m.i. verso un approccio veramente multivalutario che potesse includere anche il renmimbi. La posizione di Zhou Xechouan e la recente inclusione delrenmimbi nel basket dei DSP sono tributari dell’esperienza dell’euro. Ma l’euro è stato

    9 Il sistema di Bretton Woods, in vigore dal 28 luglio 1944 al 15 agosto 1971, era basato, da un lato, sulla convertibilitàdel dollaro in oro consentita a tutti i governi membri (non ai singoli cittadini e alle imprese), garantita dal governo degli

    Stati Uniti e dalle sue enormi riserve auree (circa 25 miliardi di dollari nel 1949, scese poi a circa 11 miliardi nel 1971) edall'altro sui cambi fissi, ma aggiustabili in caso di ''squilibrio fondamentale'' della bilancia dei pagamenti (Tullio, 1994).10 Gli Stati Uniti hanno accumulato deficit correnti dalla fine deglianni ’70 senza sopportare costi di aggiustamento e ciòha consentito ai suoi cittadini di consumare al di là delle loro risorse.

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    non ha mantenuto il suo impegno preso a Bretton Woods e il FMI non ha cercato di costringerla adetenere abbastanza oro da onorare il rimborso della valutain circolazione a $35 l’oncia. Durante glianni ’60 gli Stati Uniti finanziarono la guerra in Vietnam e la guerra alla povertà con l’emissione didollari non coperti da oro.

    Peraltro gli Stati Uniti decisero,durante gli anni ’50 e ’60, di partecipare a conflitti finanziariamenteassai dispendiosi che impedirono di gestire l’equilibrio tra dollari e riserve auree12. Come Charles DeGaulle che, consigliato da Jacques Rueff e sospettoso della tenuta del dollaro, ordinò, nel 1965, alMinistero delle Finanze ealla Banca Centrale francesi di convertire in oro l’intero portafloglio dicirca 2,3 miliardi di dollari, molti paesi emularono l’affondo di De Gaulle spingendo Washington aun passo dal collasso. Il volume di dollari in circolazione superò la capacità degli Stati Uniti dirimborsarli a 35 dollaril’oncia. Dopo essere stato usato come moneta di scambio e di riserva per oltreventianni, il dollaro aveva perso il legame con l’oro. E gli Stati Uniti abbandonarono il gold standard .Tuttavia il dollaro si trovava ancora come moneta di riserva di molte banche centrali, poiché serviva

    ancora a saldare i conti commerciali internazionali. Non c’era altra valuta che potesse competere coldollaro, nonostante il fatto che fosse “slegato” dall’oro.

    Il sistema di Bretton Woods collassò principalmente per tre ragioni (Bordo 1992). Per prima cosa,due crepe minacciavano il sistema dall'interno. La prima era che il paeseleader si era esposto ad unacrisi di convertibilità in oro, dovendo esso fornire al mondo la liquidità necessaria, tramite i proprideficit di bilancia dei pagamenti, in modo da permettere al s.m.i. di funzionare e, al tempo stesso, farsì che non sorgessero dubbi sulla sua effettiva capacità di convertire i dollari in circolazione in oro(Triffin 1960). Il secondo difetto endemico era da ricercarsi nel fatto che il sistema, in cui le paritàerano aggiustabili si era trasformato; i tassi di cambio era di fatto fissi precludendo così aggiustamentiufficiali tra i paesi in surplus e quelli in deficit. La terza ragione, che viene spesso evidenziata, è chela politica monetaria statunitense, a partire dalla seconda metà degli anni '60, sia stata inappropriata per il ruolo di valuta cardine attribuita al dollaro. L'aumento della spesa pubblica, trainato dalla guerradel Vietnam, aveva comportato una politica inflazionistica che aveva favorito il collasso del sistema.I paesi in surplus, la Germaniain primis , ma anche il Giappone, erano riluttanti sia ad accumulareingenti riserve di dollari sia a rivalutare la propria moneta, che avrebbe penalizzato le proprieesportazioni. Per questo, si può pensare che la politica guns and butter di Lyndon B. Johnson, percreare consenso durante la guerra del Vietnam, siastato l’antecedente della politica dei sub primemortgages di George W. Bush jr. durante le guerre in Afghanistan e in Iraq. La pressione di stamparedenaro è venuta dalla politica sia per ilwelfare state sia per la guerra. Entrambe rappresentano attivitàche consumano capitale; non sono “investimenti” che possono garantire un rendimento. In unambiente con “moneta pegno”, dove l’offerta di moneta non può essere inflazionata, viene a galla lavera natura della guerra e delwelfare state . La utilizzazione di una“moneta pegno” pone un limitenaturale alla quantità di fondi che una società è disposta a dedicare ad essi. Ma in un contesto di fiatmoney , sia la guerra sia ilwelfare state possono espandersi nel breve periodo in modo incontrollato, perché le conseguenze negative si fanno sentire solo più tardi e il legame tra la spesa e il danno chearreca all’economia è poco conosciuto.

    12 Se nel 1944, essi possedevano19.500 tonnellate di oro (circa l’80% delle riserve auree mondiali), dopo aver raggiuntoun massimo di di 20.500 tonnellate nel 1957, le riserve auree erano scese a 8500 nell’agosto del 1971. Da allora sarebberorimaste pari a circa 8.200 tonnellate.

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    Nei primi anni ‘70, il dollaro subì un forte declino, ma fu salvato grazie al sostegno dei paesiesportatori di petrolio con la prospettiva di elevarne il prezzo. Nel 1971, Nixon ordinò unilateralmentela cancellazione della convertibilità diretta del dollaro degli Stati Uniti con l’oro chiedendocontemporaneamente ai paesi produttori che gli scambi di petrolio fossero denominati in dollari. Daquel momento il controllo sul commercio di petrolio divenne la priorità della politica estera diWashington. Unione Sovietica e Cina si rifiutarono, allora, di candidare le rispettive monete econtinuarono a usare il dollaro per i loro commerci13. Abbandonato l’oro, Washington aveva collegatoil dollaro alla risorsa energetica strategica per eccellenza che è così divenuta la base del nuovo s.m.i.14.

    L’abbandono graduale dell’oro a favore della denominazione degli scambi petroliferi ha attiratosul dollarol’interesse del mondo intero. Per la prima volta, sostrato di una valuta non era più unmetallo prezioso, ma la credibilità del governo statunitense che se ne sarebbe servito per accrescerela propria influenza e sottrarre ricchezza al resto del mondo. I due shock petroliferi del 1973-74 e del1979-80, l'enorme crescita della spesa pubblica in molti paesi, le politiche ''reaganiane'' degli inizi

    degli anni‘80 e la crisi del debito dei paesi in via di sviluppo (pvs) avevano contribuito in misurasignificativa a trasformare un sistema, che pur con i suoi difetti era sempre un sistema, quasi in un''non-sistema'' (Tullio, 1994). Esso ha portato a disavanzi senza precedenti delle partite correnti dimolti paesi, incluso quello che emetteva la valuta di riserva15. Oltre ai pericoli protezionistici derivantidalle eccessive oscillazioni dei cambi, e inflazionistici o deflazionistici derivanti dall'assenza diregole riguardanti la creazione di liquidità internazionale, esiste un terzo problema: quello del debitoestero di numerosi pvs. Esso incrina la stabilità del sistema bancario internazionale e rallenta losviluppo economico mondiale per effetto delle politiche restrittive che i paesi indebitati sono costrettia seguire.

    All'indomani della fine del sistema di Bretton Woods, il mondo si ritrovò in uno scenario del tuttoinedito con l'adozione di un sistema di cambi flessibili. Il tentativo del dicembre 1971 di ristabilire icambi fissi fra le principali valute con gli “accordi smithsoniani” fallì nel febbraio-marzo 1973,quando le principali valute furono lasciate fluttuare più o meno liberamente16. Da allora il s.m.i. si èsfaldato lasciando il posto a un grado di cooperazione fra le politiche economiche dei principali paesiassai variabile nel tempo, a una gestione comune delle situazioni di crisi con il contributo del FMI, acambi molto instabili, a consistenti deviazioni dei cambi dai livelli di equilibrio e a disavanzi delle

    13 Un’inerzia globale che, nell’ottobre del 1973, consentì agli Stati Uniti di ottenere dai membri dell’Opec che la venditadi greggio sarebbe stata effettuata in dollari.14 Nel 2014, sebbene la quota statunitense sul Pil mondiale non superasse il 22%, l’80% dei pagamenti internazionali èavvenuto in dollari. 15 Per quasi trenta anni, gli Stati Uniti hanno avuto grandi disavanzi correnti, in media superiori al 3% del Pil. Il deficitstatunitense di parte corrente si è contratto solo negli ultimi anni da 1,4 migliaia di dollari (il massimo raggiunto nel 2009)a 438 miliardi nel 2015 (FRED Economic Data St. Luis).16 Per quanto riguarda la flessibilità dei cambi dopo il 1973, si credette dapprima, sotto l'influenza di autorevoli contributiaccademici, tra gli altri, quello di Milton Friedman (1951), che essa potesse conciliare il raggiungimento degli obiettivieconomici interni (bassa inflazione, piena occupazione) con quelli esterni (equilibrio delle bilance dei pagamenti).L'esperienza mostrò, invece, che in assenza di sufficiente coordinamento delle politiche economiche fra i principali paesi,le oscillazioni dei cambi risultavano troppo elevate e tali da mettere in serio pericolo la libertà degli scambi internazionali,uno dei presupposti della crescente prosperità economica del periodo post-bellico e la stessa sopravvivenza dell'industria,in particolare negli Stati Uniti e nel Regno Unito nella seconda metà degli anni‘70. Nonostante i pericoli insiti nelle

    eccessive deviazioni dei cambi dal livello di equilibrio, le svalutazioni si rivelarono molto efficaci nel ridurre i disavanzicorrenti, soprattutto se accompagnate da adeguate misure di contenimento della domanda aggregata. Nel caso degli StatiUniti il forte deprezzamento del dollaro, a partire dal 1985, ebbe successo, anche se agì lentamente. Altrettanto avvennein Italia dopo il settembre 1992, quando la lira si svalutò del 30% circa rispetto al marco tedesco (Tullio, 1994).

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    partite correnti senza precedenti. I cambi fissi vennero progressivamente abbandonati, anche nelleforme dicurrency board e di dollarizzazione quando si cominciò a capire che molte delle crisivalutarie che ebbero luogo tra gli anni '70 e '80, specialmente in America Latina, erano da attribuirsi principalmente ad attacchi speculativi contro valute che non erano più in linea con i fondamentalidell'economia, causando, di conseguenza, gravi perdite di ricchezza ai paesi colpiti. Vari tentativi e proposte di riportare un certo ordine nel sistema dei cambi si sono susseguiti da allora, come adesempio il Serpente Monetario in Europa, ma senza mai dar luogo ad assetti stabili e duraturi,soprattutto a causa della asimmetria nel sostenimento degli oneri di aggiustamento degli squilibri.Una proposta d'introdurre regole che garantissero una maggiore stabilità dei cambi, ma senza tornareall'eccessiva rigidità di Bretton Woods, fu quella delle ''zone obiettivo''17, proposta che ha sempretrovato l'opposizione di principio degli Stati Uniti e del Regno Unito per il timore delle conseguenze politiche di un riequilibrio dei conti pubblici (Williamson, 1986).

    Dopo la svalutazione del dollaro concordata al Plaza Hotel nel 1985, l'atteggiamento statunitensemutò ancora con gli accordi del febbraio 1987, detti del Louvre. Con essi i principali paesiindustrializzati si impegnarono a coordinare più strettamente le loro politiche economiche al fine dimantenere i cambi stabili intorno ai livelli raggiunti a quella data. Ma gli accordi del Louvre sonorimasti solo un primo, fragile passo verso un s.m.i. basato su cambi più stabili. Fa eccezione il SistemaMonetario Europeo (SME), un accordo regionale, formalmente simmetrico, entrato in vigore nelmarzo 1979, che ha registrato un notevole successo nello stabilizzare i cambi e l'inflazione, all'internodell'Europa, fino alla crisi dei cambi del settembre 1992. Questo sistema prevedeva che le valuteeuropee dovessero oscillare intorno ad una parità prefissata rispetto alle altre valute e che le autoritàcentrali fossero in grado di intervenire sul mercato per mantenere queste parità. Ovviamente non vierano interventi sul mercato dei cambi nei confronti di valuteextra SME. Tolto questo caso fortunato

    che, tra alti e bassi, alla fine degli anni '90 ha portato alla creazione della nuova valuta europea, l'euro,i restanti tentativi di sistemi monetari a cambi fissi hanno riguardato paesi di secondaria importanzao si sono conclusi in maniera disastrosa per chi li ha adottati, come nel caso eclatante delcurrencyboard argentino dal 1991 al 2002. Unica, ma significativa eccezione, tra i sistemi a cambi fissi, negliultimi 20 anni, è stato quello tra il renmimbi e il dollaro.

    Tra Stati Uniti e Cina esiste, dal 1995, un regime di cambio a fluttuazione controllata compatibilecon il mantenimento di un tasso di cambio reale sottovalutato della moneta cinese. Questo s.m.i.,indicato come Bretton Woods II18, da una parte, ha generato sufficiente competitività di prezzo avantaggio delle esportazioni cinesi che agirebbero come motore di crescita sufficiente ad assorbire lamanodopera proveniente dalle zone rurali che altrimenti rimarrebbe disoccupata, dall’altrahaconsentito agli Stati Uniti, che si sono specializzati su science based goods di acquistare a buonmercato beni ormai non più prodotti all’interno. L’investimento delle riserve ufficiali, causato daBretton Woods II, consente oltre a un ruolo di self insurance anche quello di produrre rendimenti peri paesi creditori emergenti. Questa politica isola la crescita dalla domanda interna privilegiando quellaestera. In tal caso il ciclo tra economie emergenti e paesi industrializzati aumenta la sua correlazioneesponendo i primi al rischio di recessione importata dai secondi. Paradossalmente il rischio

    17 Esse consistono in una banda larga (fra ±5 e ±10%) intorno a parità centrali aggiustabili al variare dell'inflazione e dialtre variabili macroeconomiche fondamentali.18 Nella letteratura, questo sistema viene chiamato anche Flexible Dollar Standard o Pacific Dollar Standard.

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    finanziario viene ridotto da una maggiore esposizione nei confronti dell’estero generata da unamaggiore interdipendenza commerciale. Ildecoupling 19 rimane, quindi, un semplice miraggio.

    All'inizio del XXI secolo lo scenario è mutato con l’ingresso dell'euro sullo scenario planetario.Questa nuova moneta, di cui si sono dotati alcuni paesi europei in sostituzione delle vecchie divise

    nazionali, è divenuta presto il più serio rivale del dollaro per laleadership valutaria internazionale(Alessandrini, Fratianni, 2009a). Ciò è avvenuto soprattutto a causa di alcune scelte delle varieamministrazioni che hanno continuato a indebolire la posizione statunitense, ormai da oltre unventennio, un debitore netto nei confronti del mondo.

    3.2 Lo status del dollaro

    Il dollaro è stata la valuta dominante nel periodo di Bretton Woods, sia per quanto riguarda le riservedetenute, sia per la sua denominazione deltrade , ma ciò era prevedibile se si considera che il dollaroera l'unica valuta convertibile con l'oro. Sorprendentemente ha continuato ad esserlo anche dopo ilcrollo del regime a cambi fissi, anche se non era in grado di conservare il suo valore nel tempo neiconfronti di altre valute, perchénon c’era concorrenza. Naturalmente anche fattori non economicisono entrati nella domanda di dollari, dal momento che gli Stati Uniti erano il protettore militare ditutte le nazioni occidentali contro i paesi comunisti.

    Il dollaro non solo è sopravvissuto, ma per un certo periodo ha rafforzato addirittura la sua posizione20. Alla fine del 2015, il dollaro rappresentava il 64,0% delle riserve delle banche centrali(a fronte del 21% in euro) e risulta, quindi, essere la valuta più scambiata sul mercato dei cambi equella più usata per la fatturazione da parte delle aziende (IMF, 2015). Il dollaro rimane ancora oggi

    la valuta dominante del s.m.i. e il segno più chiaro di questo status è dato dal fatto che è ancora lavaluta maggiormente utilizzata nel mercato del petrolio. Tuttavia, c’è unanew view (Chitu L.,Eichengreen B., Mehl A., 2014a),secondo la quale i rendimenti crescenti di scala nell’utilizzazionedi una valuta non sono così forti come è stato ipotizzato in passato (Frankel, 2009)21 e ciò lasciasupporre che, se non si tiene conto della forza militare degli Stati Uniti, anche in un mercatoomogeneo come questo, ci possa essere spazio anche per altre valute internazionali. D’altra parte, in precedenza, questi scambi sono stati denominati contemporaneamente in diverse valuteinternazionali.

    Il dollaro è sopravvissuto alla fine di Bretton Woods ma lo scenario attuale è veramente un caso uniconella storia. Il paeseleader del sistema, gli Stati Uniti, è anche un debitore netto con l'estero

    19 La parola è venuta di moda per contestare il vecchio detto secondo cui quando gli Stati Uniti starnutiscono il resto delmondo si prende un raffreddore, economicamente parlando. Oggi, con l'impetuosa crescita dei Bric, il resto del mondonon è più così strettamente legato alla buona salute dell'economia americana. Il resto del mondo ha fatto undecoupling .20 Nel 1977,esso rappresentava circa l’80% delle riserve valutarie contro il 56% per cento del 1965. Tuttavia, negli anni’80,la quota del dollaro è scesa gradualmente fino a un minimo del 48% (1990). Essa è poi r isalita nel decennio successivo per l’accumulazione di riserve in dollari da parte dei paesi emergenti e dei pvs (Galati e Woolbridge, 2006). Un nuovomassimo locale fu raggiunto nel 2001 (70,9%) mentre nel 2010 si è avuto un nuovo minimo (Romagnoli, 2013).

    21 Un filone rilevante della letteratura economica spiega che il dominio attuale del dollaro è da ricercarsi principalmente nelle suenetwork externatilities ovvero nell'incremento di efficienza che hanno i mercati, in termine di

    diminuzione di costi di transazione, quando si adotta una singola moneta per regolare gli scambi internazionali. Secondoquesti economisti, il fatto che il dollaro sia ancora così usato può dipendere dal fatto che lo è stato negli ultimi 60 anni eche la transizione verso un'altra valuta, se eventualmente ci sarà, sarà per forza di cose lenta.

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    d’interesse sul debito, oltre a una svalutazione del dollaro, anche se non è da una ripresa delleesportazioni che gli Stati Uniti si aspettano la ripresa dellaloro economia. Alla base c’è il dollarocome moneta di riserva e la credibilità del sistema politico statunitense. Secondo le aspettative dellaFed, poiché costrette dalle contingenze, negli anni successivi le principali potenze economichemondiali avrebbero finanziato la ripresa statunitense e ridimensionato, paradossalmente così, le proprie ambizioni sorte nel contesto della crisi finanziaria. Questa previsione si è dimostrata corretta.Preoccupati dal possibile deprezzamento del dollaro e dall’implosione dell’euro, tra il 2009 e il 2013,la Cina, il Giappone e le economie del G20, dal Brasile alla Turchia, fino al Messico, hanno acquistatoquantità ingenti di dollari sul mercato valutario. A provocare questa reazione sono state motivazionidi natura semi-mercantilistica. Le nazioni acquirenti volevano frenare il rafforzamento delle propriemonete, causato dall’afflusso di capitali stranieri in cerca di rendite superiori a quelli del debitostatunitense, che rischiava di danneggiare le esportazioni. Allo stesso tempo, hanno accresciuto leloro riserve ridotte dagli interventi connessi ai salvataggi imposti dalla crisi, per impedire che ladebolezza del dollaro ne erodesse il valore. La poderosa acquisizione ha innesca un circolo viziosofunzionale agli interessi degli Stati Uniti. Le banche centrali acquistano il 65% delle obbligazionifederali presenti sul mercato e gli interessi pagati sono crollatidal 4 all’1,5%. Nonostante abbianocreato materialmente la crisi finanziaria mondiale, i titoli americani sono così rimasti il più sicurodegli investimenti23. L’ampia classe media fa del paese la destinanzione naturale dell’exportinternazionale, Wall Street è tuttora la piazza finanziaria più rilevante del pianeta e il mercato deldebito pubblico statunitense, con i suoi 30.000 miliardi di dollari, il doppio di quello giapponese, il primo al mondo per importanza. Questa capacità di attrazione delle risorse finanziarie è dovuta aragioni di tipo militare, giuridico e politico. Talassocrazia inarrivabile, gli Stati Uniti sono rimastiimmuni dagli sconvolgimenti globali che hanno causato. Così, mentre la crisi finanziaria di secondo

    livello frantuma l’UEM e mentre il Giappone è costretto a spendersi per rafforzare le valute straniere,tra il 2009 e il 2013 si riversa negli Stati Uniti pressoché la stessa cifra emessa nelle prime due fasidel QE, Washington non ha speso un soldo per rivitalizzare la propria economia. Hanno provvedutoa questo amici e nemici, economie avanzate e paesi emergenti. Dopo una flessione della domandaregistrata in concomitanza con la nascita dell’euro, tra il 2008 e il 2012, la quantità di dollari presentefuori dei confini nazionali aumenta, invece di diminuire. Gli effetti sull’economia statunitense sononotevoli. Il soccorso all’economia statunitenseha successivamente provocato la reazione dellecancellerie internazionali, da quella brasiliana a quella tedesca, da quella indiana a quella cinese, chesi sono resi finalmente conto che il QE ha giovato soprattutto agli Stati Uniti mentre ha avuto uneffetto deleterio sul resto del pianeta (praticamente un gioco a somma zero in anni di bassa crescitamondiale). Paesi con un reddito pro capite assai basso hanno finanziato, in cambio di interessi quasinulli, i consumi dei cittadini statunitensi. Nel 2013, la situazione peggiora ulteriormente per i paesiemergenti. Il 22 maggio 2014, l’annuncio della progressiva riduzione del QE rende nuovamenteattraenti i titoli di Stato americani agli investitori privati. In meno di due mesi, le Borse dei principali pvs perdono quasi mille miliardi di dollari, mentre crolla quello delle valute locali (Quiao, 2015).Sebbene iltapering 24 fosse ritenuto inevitabile, i governi colpiti si sono scagliaticontro l’insularità

    23 La solidità delle istituzioni statunitensi e larule of law (anche se riferita alla normativa interna piuttosto cheinternazionale) garantiscono il rispetto delle transazioni e l’inviolabilità dei capitali.Anche se vi sono stati casi di sequestri

    temporanei, i governi stranieri si aspettano che, pure in tempi avversi, Washington non confischerebbe le loro proprietà.24 Con il terminetapering si indica la progressiva riduzione degli stimoli monetari concessi da una banca centraleall’economia (o al sistema bancario) del proprio Stato, che rientra progressivamente all’interno di un sistema economicoindipendente.

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    Fonte: Congressional Budget Office

    Seguendo la tradizionale relazione che sussiste in un’economia aperta: S – I = NXdove S indicano i risparmi, I gli investimenti e NX le esportazioni nette, il surplus/deficit di partite

    correnti che presenta un paese è equivalente alla differenza che c’è tra il risparmio nazionale, sia pubblico che privato, e gli investimenti. Se il risparmio nazionale eccede gli investimenti il paese inquestione si troverà in una situazione di surplus di partite correnti, viceversa un risparmio nazionaleinferiore alla quota degli investimenti provocherà un disavanzo di partite correnti e la necessità per il paese di finanziare questo eccesso di investimenti utilizzando risparmio e capitali esteri. Nel caso diun sistema monetario a cambi fissi, il surplus/deficit di partite correnti si tramuta in unaccumulo/decrescita di riserve ufficiali. Ma i dollari sono valuta di riserva.

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    Mentre gli investimenti privati aumentavano negli Stati Uniti, la quota di risparmio privato sul PILè rimasta pressoché invariata. Questa differenza tra investimenti e risparmio privato è stata finanziataattirando capitali dall'estero ed incrementando il proprio deficit di conto corrente27. Gli Stati Unitisono in una situazione ditwin deficit in cui ad un consistente deficit della finanza pubblica si associaanche un deficit nei conti con l'estero. Da una situazione in cui questi squilibri dipendevano principalmente daelevati investimenti, si è passati ad una in cui ad una diminuzione di quest’ultimi,fisiologica dopo lo scoppio di una bolla, è seguita una diminuzione ancora più marcata del risparmio,sia privato che pubblico. Il deficit di conto corrente attuale è quindi da attribuirsi al basso livello dirisparmio. La differenza non è solo numerica: un'elevata spesa per investimenti può lasciar presupporre in futuro redditi maggiori oppure un significativo aumento della produttività cosa chedifficilmente accade quando l'incremento è dovuto alla crescita della spesa pubblica militare. Al di làdei giudizi qualitativi che si possono dare sulle variazioni del saldo di parte corrente, una cosaaccomuna entrambi i tipi di deficit ovvero il loro bisogno di trovare finanziatori sul mercato deicapitali esteri per poter essere colmati. Gli Stati Unitil’anno trovato nellaRPC.

    L’ampliamento degli squilibri di parte corrente hanno assunto una dimensione tale da esseredefiniti squilibri globali. Questi vengono motivati in due modi. Secondo alcuni analisti, essi riflettonol’esito ineludibile della diversa struttura demografica delle economie avanzate rispetto a quelleemergenti: questa è una delle ragioni del saving glut mondiale di Bernanke. Secondo altri analisti, glisquilibri sarebbero causati dalla politica diexport led growth praticata dalla Cina e dagli altriBRICS28.

    Se i bassi tassi d'interesse hanno facilitato i consumi a discapito del risparmio delle famiglieamericane, creando i presupposti per una corsa all'indebitamento, più sottile è il meccanismo che siannida nella scelta di collocare gli investimenti in un settore piuttosto che in un altro. I bassi tassi

    d'interesse hanno certamente favorito lo sviluppo di quei settori come ad esempio quello dei beninon tradable , come ad esempio l'edilizia, a discapito dei beni commerciati internazionalmente, i cosiddettitradable . Questo fatto, coniugato alla grande concorrenza internazionale delle merci asiatiche a bassocosto, ha fatto sì che l'industria manifatturiera americana sia stata pesantemente ridimensionata daBretton Woods II (Obstfeld, Rogoff, 2005). Un eventuale aggiustamento del deficit di conto correnteamericano sarà tanto più facile da fronteggiare quanto più l'economia americana sarà in grado disostituire i beni importati dall'estero con quelli prodotti tra le mura domestiche. Siccome questa

    27 Durante gli anni '90, il deficit delle partite correnti è stato in parte contenuto dal fatto che il deficit della finanza pubblicaamericana si è mantenuto su livelli bassi, anzi registrando un surplus negli anni '97,‘98 e ‘99. È negli anni

    dell'amministrazione Clinton che si comincia ad innescare la bolla speculativa dellanew economy e dei titolidotcom e ilboom di investimenti ha finanziato il comparto delle aziende del settore tecnologico. Con l'inizio del nuovo millennio loscenario, economico e politico è mutato rapidamente. La nuova amministrazione repubblicana guidata da Bush vieneeletta nel novembre del 2000 e contemporaneamente scoppia la bolla speculativa, legata ai titoli dellanew economy ,trascinando gli Stati Uniti in una breve, quanto lieve, recessione. L’amministrazione decide però di agire massicciamentea sostegno dell’economia tramite un congruo taglio fiscale per rilanciarei consumi interni. Contemporaneamente la Fed,allora guidata da Alan Greenspan, decide di intraprendere una politica monetaria fortemente espansiva. Queste duemanovre hanno dato il via a due tendenze: la finanza pubblica degli Stati Uniti passa nel giro di poco tempo da unasituazione di sostanziale equilibrio ad una di accentuato deficit mentre i bassi tassid’interessehanno spinto le famiglie adiminuire il risparmio, già storicamente molto basso rispetto a quello di altri paesi, in maniera consistente e a ricorreresempre più al debito per finanziare l’acquisto di beni durevoli e non. Nel frattempo, avvienel’attentato alle torri gemelledi New York dell'11 settembre 2001. Gli interventi militari che ne sono seguiti, in Afghanistan prima e in Iraq poi, hanno peggiorato sia il deficit della finanza pubblica che quello delle partite correnti, che proprio ad inizio degli anni 2000

    comincia ad aumentare in maniera significativa.28 Il mondo si è così diviso tra creditori (Cina, Russia, Indonesia, Iran, Arabia Saudita, Africa nord-occidentale e sud-occidentale, Venezuela) e debitori (America del Nord, Centrale e Latina, Europa, Turchia, India, Sud-Est asiatico,Australia).

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    capacità negli anni è venuta meno, in mancanza di una dinamica inflazionistica rilevante nei paesiesportatori, l'aggiustamento dovrà invece prevedere una diminuzione più marcata dei consumi internied un aumento molto forte del prezzo dei beni d'importazione in seguito ad un deprezzamento deldollaro. O, in alternativa, il ritorno al protezionismo, che peraltro già viene invocato.

    Il deficit crescente statunitense di parte corrente ha posto alla letteratura economica, da oltre diecianni (Obstfeld, Rogoff, 2005), la domanda sulla misura della svalutazione del dollaro necessaria alriequilibrio attraverso un aumento delle esportazioni statunitensi e sulle ripercussioni che questoaggiustamento imporrebbe all’Europa e all’Asia. Qualsiasi sia lo scenario ipotizzato, emergono rischi per i mercati finanziari e per la stabilità economica e finanziaria in generale. Tali rischi sono legatisia all’ammontare del deficit statunitense che ad altri fattori. Tra questi il tasso eccezionalmente bassodi risparmio negli Stati Uniti (1%), favorito dalla bolla immobiliare prima della crisi del 2007-2009,il deterioramento della finanza pubblica, la dipendenza crescente dell’economia statunitense dallescelte delle banche centrali cinese e dei paesi produttori di petrolio che sono politicamente instabili.

    A queste vulnerabilità si aggiungono la rigidità dell’economia europea, il modello di sviluppogiapponese centrato sulle esportazioni, la suscettibilità delle economie emergenti ad ogni segnale divolatilità e, infine, il fatto che le controparti nelle transazioni internazionali di attività finanziarie sonosempre più costituite da compagnie di assicurazione,hedge funds e altri intermediari finanziari non bancari e non regolati29. Al di sopra di tutto ciò, si pongono i rischi geopolitici e la minaccia diterrorismo internazionale che sono cresciuti in modo consistente a partire dal 2001. Se qualche forte

    shock di domanda per la domanda internazionale di beni statunitensi dovesse innescare un processograduale di riequilibrio della bilancia commerciale statunitense, i problemi si limiterebbero ai tassi dicambio, al fallimento di qualche istituto bancario e non bancario e a recessioni non gravi in Europa ein Giappone. Ma, dati gli altri fattori di rischio, da un decennio gli economisti continuano araccomandare agli Stati Uniti di non rinviare le politiche di riduzione degli squilibri30. Tali misuredovrebbero invertire il processo di formazione di risparmio, attraverso una contrazione del deficit pubblico federale,affrontando i problemi posti ai fondi pensione dall’invecchiamento della popolazione e quello del finanziamento della sanità. Solo una crescita della produttività del resto delmondo confinata alla produzione dinon traded goods potrebbe agevolare questo tipo diaggiustamento. È essenziale, inoltre, che l’Asia abbia un atteggiamento responsabile nell’accettare lasua parte di peso dell’aggiustamento altrimenti l’eliminazione di metà dello squilibrio correntestatunitense, dovuto a shifts di domanda, in presenza di un peg delle valute asiatiche con il dollaro,comporterebbe una rivalutazione difficilmente tollerabiledell’euro.

    In sintesi lo squilibrio corrente statunitense è una spada di Damocle che pende sull’economiamondiale. Ma per quanto riguarda questo problema, gli ultimi Presidenti della Fed (Alan Greenspan

    29 Secondo Mc Kinsey Global, anche i Swf sono stati parte attiva nel processo dibust che ha condotto alla più grandecrisi finanziaria ed economica del secondo dopoguerra. Infatti i Swf condividono con glihedge funds e i private equity

    funds , il ruolo di power brokers . L’abbondanza di credito statunitense ha favorito operazioni finanziarie di vario tipo,oltre ai consumi delle famiglie (anche in case di proprietà) che, a loro volta, richiedevano quantità crescenti di esportazionidai paesi asiatici la cui produzione richiedeva una quantità corrispondente di energia esportata dai paesi del Golfo. Isurplus di questi due ultimi attori globali venivano poi trasferiti negli Stati Unitiattraverso l’acquisto di debito pubblico

    statunitense, contribuendo ad alimentare ulteriormente la disponibilità di credito a condizioni vantaggiose e a sostenerenel tempo un meccanismo che produceva squilibri sempre maggiori.30 Roubini e Setser (2004) avevano previsto conseguenze ancora peggiori dovute all’innalzamento consistente dei tassid’interesse mondiali nel caso in cui il dollaro perdesse il suo ruolo di moneta di riserva.

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    e Ben Bernanke) hanno palesemente riposto la loro fiducia in un processo dibenign neglect 31. GliStati Uniti sono stati capaci, finora, di continuare a pagare tassi di rendimento sulle loro passivitàminori di quelli guadagnati sulle attività finanziarie da loro possedute nel mondo. Ciò è stato dovutoalla detenzione di enormi quantità diTreasury Bills nelle riserve ufficiali delle banche centrali, alruolo centrale del dollaro come moneta internazionale e al fatto che gli Stati Uniti posseggono unaquota di attività straniere in azioni e obbligazioni ad alto rischio molto maggiore di quella che glistranieri detengono in attività finanziarie statunitensi. Ma la questione è se tutto ciò può continuarein presenza di deficit correnti grandi e persistenti perché questa situazione può essere consideratagravemente distorsiva nella equa ed efficiente allocazione mondiale tra risparmio ed investimento(Roubini, 2005).

    L’eliminazione completa dello squilibrio comporterebbe variazioni dei tassi di cambio tali dagenerare pressioni per l’adozione di misure protezioniste nei confronti di un Asia che non abbandoniil peg con il dollaro davanti a una riduzione della domanda di capitali a prestito da parte degli StatiUniti. La svalutazione del dollaro migliorerebbe la posizione finanziaria estera degli Stati Uniti(infatti tutte le sue passività sono in dollari mentre solo metà delle sue attività lo sono32), ma non porterebbe al riequilibrio del conto corrente a causa della scarsa possibilità di sostituire le merciimportate. Inoltre un innalzamento, anche moderato, dei tassi d’interesse sulle sue obbligazioni,durante il processo di aggiustamento, cancellerebbe facilmente il guadagno associato allasvalutazione (Obstfeld, Rogoff, 2005).

    La contrapposizione del debito crescente statunitenseall’accumulazione di riserve cinese èmotivata dal timore di perdite in conto capitale (per la banca centrale e per i Swf cinesi) nel caso diun deprezzamento del dollaro. Il terrore finanziario mantiene quindi un equilibrio molto instabile cheespone le due potenze a un rischio crescente. Questo problema è ancora più grave per gli Stati Unitiin quanto laleadership politica è fortemente interconnessa con la fiducia che il mercato esprime neiconfronti della moneta emessa dal paeseleader . La minaccia, anche solo velata, di smettere difinanziare il deficit di conto corrente americano obbliga l'amministrazione americana a muoversi con prudenza ogni qual volta si deve esporre su argomenti spinosi per le autorità cinesi. Un esempiorecente di quanto pesa l'opinione cinese si è avuto al momento del salvataggio del 2008 da parte delTesoro americano dei due colossi erogatori di mutui Freddie Mac e Fannie Mae in cui i Swf cinesiavevano investito una quota considerevole (Lossani et a., 2013).

    31Si può dire che un’applicazione dibenign neglect fu anche quella che portò al crollo degli accordi di Bretton Woods

    attraverso la disattenzione statunitense al dilemma di Triffin e all’inazione del FMI nei confronti dei paesi eccedentari (Germania e Giappone). Conbenign neglect era stata indicata anche la politica di Reagan che, seguendo i consigli diMartin Feldstein durante il suo primo mandato, aveva lasciato innalzare i tassi di interesse, e quindi la domanda e il valoredel dollaro, simbolo della prosperità statunitense, fino al 50% su marco tedesco, sterlina, yen, e franco francese, nei primianni‘80, senza preoccuparsi della crisi di crescita imposta al resto del mondo e all’Europa e al Giappone in particolare.Con l’accordo del Plaza (settembre, 1985), a New York, Francia, Regno Unito, Germania, Giappone e Stati Unitidichiararono il dollaro sopravalutato sullo yen e sul marco tedesco, ma a febbraio del 1987, i ministri delle finanze deglistessi paesi si riunirono di nuovo al Louvre, a febbraio del 1987, e concordarono che, nel frattempo, il dollaro si eradeprezzato abbastanza.

    32 Quando il dollaro si deprezza nei confronti delle altre valute, oltre che far guadagnare competitività alle merci prodotte dagli Stati Uniti, migliora anche la posizione netta sull'estero. Ciò avviene perché lo status di valuta

    internazionale del dollaro permette agli Stati Uniti di emettere le passività nella propria valuta e di detenere attivitàsull'estero nelle valute locali. Questa considerazione lascia presumere che gli Stati Uniti siano ben poco interessati ad unariforma di un sistema monetario che limiti la loro capacità di emettere la principale valuta di riserva internazionale.

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    Il credito cinese, vantato soprattutto nei confronti degli Stati Uniti, si è trasformato da tempo inun’arma diplomatica. Per la Cina il vantaggio politico è dato dal dissolvimento delle molteplicitensioni dovute al rispetto dei diritti civili, al Tibet, a Taiwan, alla minaccia nucleare nordcoreana,alle emissioni di CO233. Il potere finanziario può diventare così una vera e propria arma diplomatica.Le condizioni per cui questo si verifichi sono che: a. i paesi investitori/creditori devono esseresufficientemente grandi rispetto al paese in cui si investe (target country ); b. i paesi investitori nondevono essere economicamente interdipendenti con iltarget country ; c. soprattutto non devono esserei suoi alleati politico-militari. Il caso dei Medici insegna. Queste condizioni non sono soddisfatte dai paesi del Golfo. I legami economici tra Stati Uniti e Cina sono di tale dimensione che nel tempo si èvenuto a creare un equilibrio di terrore finanziario. Questa mutua interdipendenza riducesensibilmente il potenziale politico dei Swf cinesi. Dopo la crisi, finanziaria, i paesi del Golfo hannoriorientato i loro investimenti (inclusi quelli dei Swf), prima solo sui mercati esteri, verso attività realiinterne volte a creare infrastrutture per lo sviluppo. La compresenza delle tre condizioni invece ponei paesi creditori, in particolare la Cina, nella condizione di esprimere le proprie ambizioni planetarie,come l’introduzione del renminbi nel basket dei DSP34 o la creazione di istituzioni economicheinternazionali concorrenti con quelle di Bretton Woods (FMI, BM, WTO). La conseguenza ultima èquindi la riduzione della capacità di controllo esercitata dalle grandi potenze occidentali sulla

    governance mondiale. Il passaggio dal G8 al G20 ne è stato un esempio.

    La stabilità del dollaro dipende, in definitiva, dalla volontà dei cinesi di continuare a finanziare ildeficit di partite correnti statunitense. Ma più il paese finanzia questo disavanzo, più il suo stock diriserve valutarie in dollari aumenta esponendolo ancora di più al rischio di consistenti perdite in contocapitale nel momento in cui decidesse di fermare o comunque ridimensionare il flusso di capitaliverso gli Stati Uniti. La posizione delle autorità cinesi non è dunque facile. Proseguire nella politicadi cambio fisso e sottovalutato implica dei costi, sia in termini di inflazione attesa (ma questo costo èmarginale in tempi di deflazione) che di perdite in conto capitale, decisamente ingenti. D'altro cantol'abbandono del peg renmimbi-dollaro comporterebbe la rivalutazione della moneta cinese sui mercatie la perdita di competitività internazionale delle merci cinesi con pesanti ricadute sul tasso di crescitae su quello di occupazione interno35.

    Obstfeld (2006) ha suggerito che una graduale rivalutazione della divisa cinese avrebbe avuto unimpatto limitato sulla competitività delle sue esportazioni. Questo studioso ha fatto riferimento, inquesto caso, alle rivalutazioni del marco da parte della Germania Ovest nel sistema di Bretton Woods.Tali rivalutazioni non avevano, infatti, minato la competitività delle merci tedesche consentendo al

    paese di mantenere un ingente surplus di bilancia dei pagamenti anche dopo aver ripetutamenterivalutato il marco (Bordo, 1992). Ma il caso cinese è molto diverso da quello tedesco perché nel primo caso si fa affidamento sulla competitività di prezzo (che è una teoria del prezzo minimo) e nelsecondo sulla competitività tecnologica (che è una teoria del prezzo massimo).

    33 Barack Obama e Hillary Clinton affermarono nella loro campagna presidenziale che “era difficile condurre un negoziatoduro con i cinesi sapendo che essi sono i nostri banchieri”. 34 Da una condizionalità macroeconomica si passerebbe a una condizionalità geopolitica, come il disconoscimento diTaiwan richiesto al Costa Rica per la concessione di un prestito di alcune decine di milioni di dollari.

    35 Per la Cina, il peg (o quasi) con il dollaro è servito a mantenere la competitività internazionale delle sue esportazionie ad attrarre Ide che le hanno consentito di evitare uno stress sul suo fragile sistema bancario.

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    La crisi finanziaria mondiale ha interrotto bruscamente la crescita del mercato internazionale deicapitali che durava dagli anni‘80 con l’intervallo dell’attentato alle torri gemelle. La permanenzadegli squilibri economici mondiali potrebbe verificare un ritorno al protezionismo.

    3.4 Le responsabilità della Fed

    In realtà la Fed ha contribuito, sia prima che durante la crisi 2007-2009, attraverso il QE mirato arivitalizzare l’economia statunitense, a mettere a rischio lo status del dollaro riducendone il potered’acquisto e stimolando le grandi nazioni commerciali del mondo ad utilizzare altre valute.Una perdita progressiva di domanda di dollari come valuta di riserva avrebbe significato che migliaia dimiliardi di dollari detenuti all’esterosarebbero rifluiti negli Stati Uniti, causando o inflazione, orecessione, o entrambe le cose. La quota globale di dollari detenuti dalle banche centrali è attualmenteil 62%, per lo più sotto forma di debito del Tesoro statunitense36. Qualora la domanda estera dovesse

    diminuire la quota diasset denominati in dollari, il Tesoro potrebbe finanziarne la rimborsabilità soloin tre modi: gli Stati Uniti potrebbero aumentare le tasse per r imborsare il debito detenuto all’estero; potrebbero alzare i tassi d’interesse per rifinanziare il loro debito detenuto all’estero; potrebberosemplicemente stampare denaro. La monetizzazione del debito porterebbe ad un’inflazione moltoelevata.

    La Fed trae buona parte del suo potere dal ruolo di prestatore di ultima istanza attraverso leoperazioni di sconto. Le restrizioni sui prestiti e sugli acquisti di titoli hanno contribuito a sostenere,nel passato, la sua indipendenza politica dal Congresso e dalla Casa Bianca. Tuttavia, mentre questi poteri conoscevano un’espansione senza precedenti nel 2008, le limitazioni tradizionali sono venutemeno, rivelandole falle dell’indipendenza della Fed. Nello stesso senso si potrebbe razionalizzarecon la disattenzione della sua vigilanza per la proliferazione dei mutui sub-prime . Durante la crisi, laFed ha sostenuto Wall Street, ovvero le grandi banche, attraverso l’acquisto di titoli sui mutui comecollaterale dei prestiti (la grande preoccupazione di Paul Volcker), e i mercati finanziari, cartelli egrandi società (AIG, American International Group, ecc.), ignorando però le piccole e medie impresee le attività a conduzione famigliare che danno vita alle Main Street di tutto il Paese. Ha mostrato cosìla sua parzialità diventando da prestatore di ultima istanza a intermediario e compratore di ultimaistanza. Goldman Sachs, Morgan Chase, altri giganti finanziari e i Swf si sono lanciati in operazionispeculative all’estero, per esempio scommettendo sul debito sovrano e privato in Grecia, Spagna eItalia (che poi chiedevano di salvare con i soldi dei contribuenti tedeschi), dopo aver aiutato questi paesi a nasconderlo. I critici hanno accusato questo approccio espansivo di sostenere artificialmentei mercati finanziar i, creando nuove bolle e ignorando i bisogni dell’economia reale37, nonché diostacolare la crescita in altri paesi. Il programma della Fed è diventato poi un modello per le altreBanche Centrali (inglese, giapponese e da ultimo europea). La politica alternativa che pure avrebbe potuto essere seguita, senza costi per il governo, attraverso il finanziamento di Main Street, deglistudenti, delle banche statali infrastrutturali, avrebbe sospinto Stati Uniti ed Europa fuoridall’austerità, in direzione di una politica economica più eterodossa keynesiana di pieno impiego.

    36 Le banche centrali detengono il debito fruttifero del Tesoro statunitense piuttosto che i dollari.37 La Fed ha acquistato titoli dalle banche depositandone il prezzo nei conti di riserva da essa detenuti. Ciò vuol dire cheil QE non ha fatto aumentare necessariamente l’offerta di moneta delle piccole e medie imprese.

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    l’effetto debito aveva dominato l’effetto portafoglio (De Grawe, 2013)39. Poi, il cambio risalì fino a1,59:1 (2008) a causa della politica monetaria espansiva statunitense seguita allo scoppio della bollaIct, all’attacco alle Twin Towers e alle guerre control’Afghanistan e l’Iraq.Per quasi un decenniodalla sua istituzione,l’euro ha espanso gradualmente il suo peso nelle transazioni internazionali enelle riserve ufficiali delle banche centrali di tutto il mondo (Romagnoli, 2013). Questo processofaceva intravedere l’affermazione di un mondo bipolare dove, in un contesto sempre più globalizzato,la leadership monetaria sembrava destinata a essere condivisa tra gli Stati Uniti e l’Eurozona. Questatendenza avrebbe potuto dar luogo ad unbasket peg che, anche con l’accordo cinese, servisse daàncora40 ai paesi avanzati e alla maggior parte dei paesi emergenti e dei pvs, consentendo loro diconservare credibilità e fiducia, acquisire flessibilità della loro politica monetaria e di contenere glieffetti del possibile deprezzamento di una delle valute delbasket . In quel contesto, la crescitadell’euro come moneta internazionale sembrava legato essenzialmente allaincapacità degli Stati Unitidi contenere i propri squilibri interno ed esterno. Infatti è incongruo predicare il free trade e poitollerare ildumping monetario ovvero la guerra delle valute.Tuttavia, la presenza dell’euro comealternativa di liquidità internazionale al dollaro rendeva sempre più vicini i limiti della tollerabilitàdel resto del mondo all’indebitamento interno ed estero statunitense e le aspettative di deprezzamentodel dollaro potevano condizionare le scelte delle banche centrali dei paesi emergenti e i portafoglidegli operatori privati41. In tal modo l’euro, nonostante la sua giovane vita, si era già affermato pienamente come seconda valuta mondiale prima della crisi, a breve distanza dal dollaro, sul mercatointernazionale dei capitali.

    Il 20 marzo 2006alcuni canali di informazione davano la notizia che l'Iranavesse in programma diaprire una borsainternazionale del petrolio allo scopo manifesto di scambiare petrolioesclusivamente

    in euro, con un meccanismo per fissare i prezzi denominatooil marker 42

    . In realtà, già nel 2003, l'Iranaveva già iniziato a trattare con i suoi partner europei ed asiatici usando l'euro. La borsa del petrolioiraniana doveva divenire il quartooil marker nel mercato petrolifero internazionale per noncommerciare più il greggio in dollari ma in altre valute come l'euro, yen, renmimbi, rupia. Questainiziativa, pregna di finalità geopolitiche, sarebbe stata una sfida ancora più grave di quella posta daSaddam Hussein che,già nell’autunno del 2000, aveva iniziato a commerciare il proprio petrolio ineuro, ed è stata vista come uno strumento per sovvertire la centralità del dollaro. L’iniziativa delgoverno iraniano, quarto per riserve mondiali di petrolio, di competere con il NYMEX di New Yorke l’International Petroleum Exchange (IPE) londinese, con un meccanismo alternativo di scambio del petrolio basato sull’euro,avrebbe avuto conseguenze importanti43. Inoltre, nel 2007, altri paesi

    39 Durante i primi sei mesi di vita dell’euro (quando tutti si aspettavano un suo rafforzamento), le emissioni di titolidenominati in euro superarono gli acquisti con il suo conseguente deprezzamento sui mercati valutari. In quel momentociò favorì la ripresa delle economie tedesca e francese.40 Una valuta àncora è sia una moneta di riserva che viene detenuta in quantità consistenti da governi e istituzioni sia unavaluta usata per denominare i prezzi dei beni scambiati sul mercato globale. Ciò permette ai paesi che la emettono sia dirisparmiare i costi di transazione sostenuti dai paesi che devono cambiare la loro valuta in quella usata come àncora nelleriscossioni e nei pagamenti sia di ottenere prestiti a tassi di interesse inferiori.41 Già alla fine del 2006 l’ampiezza del sistema finanziario dell’UME, misurata dalla somma del valore dei mercatiazionario e obbligazionario e delle attività delle banche commerciali (53.000 miliardi di dollari), era simile a quellastatunitense (57.000 miliardi di dollari) e decisamente superiore a quella del Giappone (20.000 miliardi di dollari)(Marzovilla, 2009, 39).42

    I tre oil marker allora esistenti, basati sul dollaro statunitense, erano il greggio West Texas Intermediate, il greggionorvegese Brent, il greggio Dubai Crudedegli Emirati Arabi Uniti. 43 Le ragioni di questa scelta strategica iraniana erano molteplici: a) l’uso dell’euro avrebbe facilitato gli scambi conl’Europa, suo principale partner straniero; b) l’indebolimento del dollaro era funzionale all “scontro di civiltà” tra Islam

    https://it.wikipedia.org/wiki/2006https://it.wikipedia.org/wiki/Iranhttps://it.wikipedia.org/wiki/Borsa_valorihttps://it.wikipedia.org/wiki/Petroliohttps://it.wikipedia.org/wiki/Eurohttps://it.wikipedia.org/wiki/2003https://it.wikipedia.org/wiki/Iranhttps://it.wikipedia.org/wiki/Eurohttps://it.wikipedia.org/wiki/Dollaro_statunitensehttps://it.wikipedia.org/wiki/West_Texas_Intermediatehttps://it.wikipedia.org/wiki/Norvegiahttps://it.wikipedia.org/wiki/Brent_%28campo_petrolifero%29https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Dubai_Crude&action=edit&redlink=1https://it.wikipedia.org/wiki/Emirati_Arabi_Unitihttps://it.wikipedia.org/wiki/Emirati_Arabi_Unitihttps://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Dubai_Crude&action=edit&redlink=1https://it.wikipedia.org/wiki/Brent_%28campo_petrolifero%29https://it.wikipedia.org/wiki/Norvegiahttps://it.wikipedia.org/wiki/West_Texas_Intermediatehttps://it.wikipedia.org/wiki/Dollaro_statunitensehttps://it.wikipedia.org/wiki/Eurohttps://it.wikipedia.org/wiki/Iranhttps://it.wikipedia.org/wiki/2003https://it.wikipedia.org/wiki/Eurohttps://it.wikipedia.org/wiki/Petroliohttps://it.wikipedia.org/wiki/Borsa_valorihttps://it.wikipedia.org/wiki/Iranhttps://it.wikipedia.org/wiki/2006

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    dell’Opecavevano proposto di abbandonare il dollaro a favore dell’euro come monetadi scambio del petrolio e solo l’opposizione dell’Arabia Saudita, primo produttore mondiale, aveva potutoscongiurare questo evento. Se il petrolio fosse stato quotato in euro e la moneta americana si fosseindebolita, anche gli Stati Uniti, in prospetiva, avrebbero dovuto acquistarlo in euro e di conseguenzaavrebbero dovuto esportare merci e servizi sufficienti a pagarlo. La moneta unica che, come si è detto,si era già affermata a livello internazionale, anche a causa degli alti livelli di debito interno ed esternodegli Stati Uniti, avrebbe avuto un ruolo importante anche negli scambi petroliferi mettendo a rischiola supremazia del dollaro in questo mercato importante e, di conseguenza, sulla domandainternazionale di dollari e di riserve da parte delle banche centrali di tutto il mondo.

    L’economia americana, fortemente indebitata, dipende dalla domanda internazionale di dollari persopravvivere. Se questa domanda dovesse venire meno, in presenza degli attuali squilibri economicie finanziari mondiali,sarebbe l’annuncio di un disastro per gli Stati Uniti. Per questo, essi sarebberostati l’unico perdente di una manovra che avrebbe, invece, portato vantaggi all’Eurozona eai paesi

    suoi partner commerciali. Infatti gli acquisti di petrolio in euro avrebbero rafforzato ladiversificazione in atto di riserve delle banche centrali dal dollaro all’euro indebolendoulteriormentela valuta statunitense e le sue capacità di importazione mentre quelle di produzione sostitutiva di benisi era giàrarefatta. L’euroavrebbe conseguito un ruolo di moneta internazionale molto maggiore maquesto risultato sarebbe stato legato soltanto alla sua stabilità e alla sua crescita nei mercati finanziarie non alla sua forza militare.

    Prima del fallimento di Lehman Brothers (2008), i progressi compiuti dal processo di integrazionedel mercato finanziario dell’UEM erano stati evidenziati dalle tendenze alla convergenza dei tassid’interesse a breve sul mercato monetario interbancario e dei tassi sui titoli pubblici.L’esplosione

    della crisi ha invece rallentato il processo di internazionalizzazione dell’euro. Diversi fattori hannooperato in tale direzione: i timori delle ricadute sull’Eurozona degli effetti recessivi esercitati dallacrisi sull’intera UE, le difficoltà mostrate dai governi e dalla BCE nell’adottare prontamente risposteunitarie e consistenti, la prevalenza di azioni unilaterali, ineludibili in assenza di situazioni-paeseomogenee e di un governo federale, i vincoli posti dal Patto di Stabilità e Crescita (PSC), inclusal’impossibilità di monetizzazione dei debiti pubblici. Con l’inversione della tendenza suddetta, imercati finanziari hanno migliorato la loro efficienza distinguendo i rischi di solvibilità e di liquiditàdei singoli membri dell’Eurozona incapaci, ormai, di emettere moneta. In questo modo hannocostretto l’intera Eurozona a sopportare una recessione molto più dura di quella attesa, attraversol’ampliamento degli spreads sui titoli di debito nazionali rispetto ai rendimenti dei Bund tedeschi,una politica inedita di rigore imposta ai paesi debitori con i fondamentali più deboli e perdite in contocapitale ai paesi detentori dei loro titoli di debito. Hanno anche inibito gli effetti della politicamonetaria espansiva della BCE aggravando gli shock asimmetrici (Marzovilla, 2009).

    In un clima di insicurezza e di dubbi sulla capacità di reazione dell’UME all’estendersi dellasua crisi,i mercati finanziari internazionali e il dollaro sono tornati a polarizzarel’interesse del resto del mondo ma, a differenza del passato, la logica sottostante al rinnovato interesse non è stata tanto ispirata dallafiducia nell’economia statunitense,quanto dal timore che una fuga improvvisa dal dollaro potesse

    e Occidente rappresentato dagli Stati Uniti, un avversario più potente dal punto di vista militare; c) questo colpo avrebbeconsentito di affrancare l’Opec dalla tutela statunitense e all’Iran di affermare la sua supremazia a livello regionale.

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    comportare rischi ancora più gravi per i creditori che avevano accumulato ingenti attività finanziariein dollari.

    L’Eurozona ha intrapreso, dal 2010, un cammino accelerato di riforma della sua governance al finedi conseguire una coesione fiscale e finanziaria con l’attribuzione di cogenti poteri centrali e

    l’istituzione di forti autorità di controllo e quindi di eliminare gli elementi di debolezza costituiti daideficit di bilancio pubblico e di parte corrente della bilancia dei pagamenti degli stati membri piùdeboli. Ciò si è accompagnato a un approfondimento delle recessioni già in atto in questi paesi, conseri pericoli di perdita del consenso da parte dei governi che si sono fatti carico delle misure diausterità. L’Eurozona si è così trovata ad affrontare prima la crisi finanziaria ed economicainternazionale e poi la crisi di secondo livellodell’euro con l’alternativatra il rispetto del primo pilastro del suo statuto, che impone la stabilità monetaria e garantisce la credibilità della BCE, e ilsuo abbandono,visto che l’Eurozona non ha la posizione di “n.mo paese” ei mercati finanziaridell’Eurozona non erano ancora sufficientemente ampi e integrati. La crisi dell’euro ha portato verso

    la balcanizzazione della finanza europea di cui sono esempi eloquenti la scelta franco-tedescanell’ottobre del 2008 di non adottare strumenti comunitari europei per affrontare la crisi delle banchedell’Eurozona, preferendo soluzioni nazionali, e quella presa a Deauville,nell’ottobre 2010,di far partecipare le banche al taglio del valore del debito greco, decisione che ha scatenato il contagio aglialtri debiti pubblici dei paesidella periferia sud dell’Eurozona(Romagnoli, 2013)44.

    La crisi di secondo livello dell’euro, innescata dalla speculazione sui mercati valutari che hannoinnalzato gli spread sui debiti sovrani di questi paesi, può essere vista come funzionale ad eliminarela competizione dell’euro dalla scena mondiale, mentre l’austerity , che ne è seguita, può essere vistacome la rinuncia a unbenign neglect a favore di una via amara mirata, invece, ad evitare la sua

    completa dissoluzione, non avendo essa ancora acquisito uno status adeguato di moneta di riservanelle principali banche centrali mondiali.La scelta dell’austerità rivela soprattutto la convinzione chei problemi di aggiustamento si affrontino meglio all’interno piuttosto che all’esterno di un’unionemonetaria (Romagnoli, 2015).

    Al fine di considerare gli esiti possibili della crisi dell’euro, in assenza di unione politica europea,si riporta una sintesi delle tesi emerse su questo tema nel corso di un dibattito recente tra alcunieconomisti famosi45. Essi hanno osservato che finora, in Occidente, solo gli Stati Uniti e il RegnoUnito sono usciti dalla recessione originata dalla crisi finanziaria internazionale del 2007-2009,mentre la disoccupazione è rimasta molto alta in gran parte dell’Europa continentale. Lo spread suirendimenti dei titoli pubblici dei PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna) rispetto alrendimento dei Bund tedeschi è cresciuto da allorafino all’estate del 2012, in modo esponenziale,soprattutto per i titoli di stato di quei paesi, a causa degli squilibri di conto corrente (Irlanda, Spagnae Portogallo) e dell’innalzamento del rapportodebito/Pil (Grecia e Italia). Nemmeno i tassi

    44 Una soluzione migliore sarebbe stata quella di rafforzareil coordinamento fra le banche, creando un’assicurazioneunica sui conti che ripartisse il rischio omogeneizzando le attività. Per far questo, però, ci sarebbe stato bisogno di regoleche mettessero gli operatori ingrado di agire come se fossero all’interno di uno Stato federale, seppure formalmenteassente, liberalizzando fusioni, acquisizioni e altre attività “cross border ”. Ma questa politica non è percorribile al di fuoridi una unione politica. Su questo punto,si consenta di rinviare all’analisi compiuta in Romagnoli (2015). 45 Questo dibattito si è svolto nel corso della sessioneWhen will the Eurozone crisis end? tenuta a Boston nell’incontroannuale dell’ American Economic Association il 3 gennaio 2015. Ad essa hanno partecipato Barry Eichengreen, MartinFeldstein, Jeffrey Frankel, Kenneth Rogoff e Dominick Salvatore.

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    d’interesse reale negativi sono stati in grado di far riprendere le economie europee. L’avvicinamentodei tassi d’interesse allo zero ha dato luogo a una trappola della liquidità, piuttosto che alla ripresadella crescita perché il problema cruciale dell’Europa è quello della competitività. Questieconomistivedono solo quattro vie d’uscita possibili dalla crisi dell’euro provocata dai PIIGS: a. laristrutturazione delle economie della periferia sud dell’Eurozona per riguadagnare competitività edevitare che questa esperienza si ripeta in futuro (in altri termini i PIIGS devono smettere di vivere aldi sopra delle proprie possibilità in un mondo globalizzato, visto che la moneta di riserva prevalenteè ancora il dollaro); b. una politica monetaria espansiva attraverso il QE46, anche se non è detto cheesso funzioni in Europa, a causa della concomitante crisi bancaria47 e dei rischi associati ai prestiti intempi di crisi; c. l’assistenza finanziariadelle economie deboli, ma ciò è reso difficile dal fatto chel’UEM, senza l’unione politica, non è unatransfer union (Frankel, 2012); d. un’unione fiscale tra i paesi dell’UEM che consenta riforme espansive48, ma il consolidamento dei bilanci pubblici europeisottende, anche in questo caso, l’accettazione di una sostanziale unione politica. Pertanto, queste vied’uscita dalla crisi valgono solo in linea teorica per l’euro e, secondo questi economisti, hanno scarsa possibilità di realizzarsi in pratica.

    A quasi un anno di distanzadall’incontro di Boston, nel novembre 2015, un altro convegno del Centrefor European Reform, ha affrontato, a Londra, un tema simile“Has the euro been a failure?”con unaconclusione che può essere sintetizzata in sei punti (Portes, 2015, t.d.a):

    Nessuno ha sostenuto che l’euro sia stato un successo; la s