Il silenzio

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Alle mie sorelle, per tutto il bene che mi vogliono © Copyright Dicembre 2010

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Alle mie sorelle,

per tutto il bene

che mi vogliono

© Copyright Dicembre 2010

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Francesca Draisci

IL SILENZIO Romanzo

Prefazione di Leonardo Tartaglione

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PREFAZIONE

Francesca Draisci è una giovanissima studentessa di 14 anni che, animata da molteplici interessi culturali, si applica con impegno e passione nei diversi campi del sapere e che ha già ottenuto importanti successi, come il Primo posto alle Olimpiadi di matematica a Foggia e un buon piazzamento a quelle svolte alla Bocconi di Milano. Adesso esordisce nella Narrativa con questo bel romanzo “Il Silenzio”, un lungo racconto che, pur con i suoi limiti, si legge volentieri e fin da principio si rivela interessante nel contenuto, semplice e scorrevole nella forma. “Il Silenzio” è la storia di Lara, una ragazza che vive con inquietudine gli anni della sua adolescenza vicino ad un padre che pensa soltanto al suo lavoro e ai suoi affari, che la trascura, non la capisce e non le dedica neppure un po’ di affetto e di conforto che possano aiutarla a superare il dolore e la tristezza di essere rimasta da piccola, solo a sei anni, orfana di madre. Il mistero che avvolge la morte della mamma, la scoperta della verità e il deprimente, malinconico stato d’animo per l’odioso comportamento del padre rappresentano i punti focali di tutto l’impasto narrativo della vicenda, sono quasi certamente, tra i tanti, i momenti più forti e più delicati del romanzo, quelli che, con una serie di flashback, di apprezzabile spessore psicologico, rimbalzano spesso nella mente e nel cuore della ragazza e che segnano il suo difficile cammino, fatto di ricordi, di amarezze, di riflessioni, sempre alla ricerca di risposte ai suoi perché, sempre alla ricerca di un affetto paterno che manca e che non si manifesta mai.

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L’ unico affetto di madre lo trova nella sua governante Iris e l’autrice lo dice e lo mette bene in evidenza quando scrive “… in questo periodo in cui aveva un forte bisogno della madre o di una figura femminile, si rivolgeva solo ed elusivamente a Iris, con cui aveva un bellissimo rapporto”. Anche la sua amica Bea e la madre di questa le vogliono bene, ma a Lara non basta per uscire fuori dal tunnel della sofferenza, uno stato d’animo che la rende irrequieta, fragile, e la spinge a tuffarsi con le sue incertezze in alcune brevi avventure amorose che le procureranno altre delusioni. Soltanto quando incontrerà e sposerà l’uomo della sua vita e assaporerà la gioia di essere diventata mamma di una bella bambina, soltanto allora avrà la sensazione di sentirsi meglio, quasi la certezza di poter vivere una vita normale, tranquilla e che poi, invece, rischia di mettere in pericolo quando con estrema leggerezza tradisce la fiducia di suo marito. A questo punto la consapevolezza, per Lara, di aver ricevuto dei grossi torti, ma di averne fatto alche Lei agli altri. Solo adesso si rende conto che, più del padre, sono stati il suo dolore e la sua tristezza il vero ostacolo che le impediva di essere se stessa. Alla luce di tutto questo, l’unica carta che Lara sceglie di giocare è quella del silenzio, una scelta che ognuno di noi potrà valutare giusta o sbagliata, se è da rifiutare in nome di una ferrea, impietosa legge morale o da accettare in nome della solidarietà e del perdono. Comunque sia, se la protagonista del romanzo usa la carta del silenzio per difendere la famiglia, il matrimonio e il suo diritto alla felicità, noi ci auguriamo che la nostra brava e giovanissima autrice di questo racconto usi la carta del fermo

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proposito di dare, con più consistenza, voce e corpo alle sue potenziali, evidenti capacità di scrittrice e di offrirci opere letterarie sempre più belle e avvincenti, in modo da vederla entrare con successo e con umiltà e saggezza nel meraviglioso mondo della Letteratura. Con questo augurio, che conclude la mia modesta prefazione, mi piace congedarmi dalla cara e brava Francesca Draisci che ha ancora molta strada da fare, sapendo che i dovuti meriti si acquisiscono in campo, anche se gradualmente e con la prospettiva di continui miglioramenti. Ai lettori il compito di esprimere un giudizio sulla validità di quest’opera, un giudizio, speriamo positivo come il mio, che sia anche e soprattutto per l’autrice un attestato di fiducia e di sprono a continuare in meglio su questa strada.

Leonardo Tartaglione

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IL SILENZIO

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Era un sabato. Uno come tanti altri. O forse no. Forse per Lara non era così. Forse questo sabato non l’avrebbe potuto trascorrere con le sue compagne per divertirsi come tutti i sabati. No! Questo era decisamente un giorno speciale che, nonostante lei fosse contraria, la portava a rinunciare a tutti i suoi impegni. Per un unico, ma valido motivo: un matrimonio. Odiava i matrimoni, quelle lunghe mangiate che duravano ore intere. Nonostante ciò, da semplice ragazza, immaginava ogni volta come e quando si sarebbe sposata.

Lara era la damigella. Tutto ciò la metteva un po’ in imbarazzo: aveva solo tredici anni compiuti, ma sapeva che la sposa aveva scelto lei per un motivo. Si sposava sua cugina, la sua fantastica cugina, una compagna con cui era cresciuta, nonostante la differenza di età.

Lara era una ragazza fra le tante e come tante, ma non proprio. Una fanciulla nell’età adolescenziale: è così che la definiva la professoressa di Storia dell’Arte durante i colloqui. Aveva perso la mamma solo a sei anni. Suo padre non parlava mai di questo argomento. Le aveva detto solo che era molto bella e che con il lavoro da carabiniere che faceva correva dei rischi. Ma a Lara non era mai sembrato sincero. Da quando la mamma non c’era più, lui aveva chiamato una governante che potesse occuparsi della figlia: si chiamava Iris e non era italiana. Veniva dalla Svizzera, ma l’italiano lo parlava bene. Era stata anche la governante di sua madre, della quale, nonostante le suppliche di Lara, non aveva mai raccontato molto. Qualche

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volta Lara aveva pensato di recarsi in biblioteca alla ricerca di giornali che potessero parlare della morte di sua madre, ma tante volte ci aveva rinunciato, come se all’improvviso non le importasse più nulla. Poi un giorno, decisa a tutto, era finalmente entrata. Aveva trovato i giornali e da ognuno aveva tagliato gli articoli che le interessavano per conservarli poi tutti. Aveva poi messo tutti quegli articoli in una cassettina: quando avesse trovato la forza di aprire quella scatola, allora li avrebbe letti. Non si fidava del padre. Era come se, quell’unica volta in cui le aveva parlato della mamma, avesse mentito. Si capiva dagli occhi. Lara conosceva abbastanza bene suo padre per capire quando diceva le bugie o la verità. Quella volta anche la stessa Iris aveva capito. Secondo Lara, anche Iris sapeva molto di più. Ma nessuno le voleva dire niente. E lei, con il passare del tempo, non era più certa di volerlo sapere.

Viveva in una casa grande e spaziosa, ma non abbastanza. Le sue compagne erano tutte figlie di ricconi e avevano case gigantesche dove festeggiavano in continuazione. Sergio Kiara, a Torino, era un importante giudice, uno di quelli che se ne stanno tutto il giorno nel loro ufficio e che a pranzo e a cena rimangono silenziosi a pensare come risolvere i casi più difficili e più impegnativi.

Quando la mamma era morta e Lara doveva iniziare la scuola elementare, Sergio aveva scelto la più prestigiosa, nonostante la sua famiglia non fosse tra le più ricche. Aveva promesso alla moglie il meglio per sua figlia. E così aveva fatto proseguire gli studi di Lara nella scuola media più importante. Ora che veniva il momento di scegliere il liceo, non aveva proposto nulla: sapeva che era la figlia a dover scegliere. Con il tempo diventava sempre più silenzioso e taciturno e Lara, in questo periodo in cui

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aveva un forte bisogno della madre, si rivolgeva solo ed esclusivamente a Iris, con cui aveva un bellissimo rapporto.

Quel giorno di Aprile Lara avrebbe dovuto trovarsi a scuola, tra le compagne, ad attendere ancora una volta che la professoressa facesse l’appello e, dopo tanti nomi, chiamasse lei che cominciava ad assopirsi sul banco. Ma non era a scuola. Da quando la mamma era morta e prima che Sergio si decidesse a prendere una governante, Lara passava ore e ore con sua cugina, anche lei figlia unica, ma più grande di dieci anni. Alba era figlia della sorella della madre ed era la sua cugina preferita. Quando Lara dovette accettare di non avere più la figura materna, Alba aveva sedici anni ed era già una donna bella e fatta, ma aveva comunque accettato di stare accanto alla cuginetta che stava vivendo un brutto periodo. Insieme parlavano spesso di matrimoni, nonostante la tenera età di Lara. E proprio quel giorno, Alba si stava sposando. Lei era bellissima. Lui era un ragazzo normale, alto e carino che stava donando a sua cugina la felicità. Erano in chiesa, pronti a pronunciare il fatidico sì. Ma accadde l’imprevedibile. Quando il sacerdote pronunciò la classica domanda ad Alba, dopo averla fatta a Christian, la donna esitò un momento. Tutti nella chiesa rimasero col fiato sospeso. Alba guardò negli occhi la cugina. Quella a cui voleva tanto bene. Sentiva che era l’unica in quella chiesa a capirla. Si stava sposando. Sembrava così bello ed entusiasmante. E lo era stato fino ad un attimo prima. Ma improvvisamente nel cuore di quella donna comparvero i dubbi, le perplessità, le paure. Sentimenti a cui non aveva mai dato importanza prima di allora. Dopotutto aveva solo ventitré anni. Era ancora una ragazza. Aveva mille sogni e mille idee nella testa. Era giusto o sbagliato sposarsi a soli ventitré anni?

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Sospirò. Si voltò dalla parte dei suoi genitori. Lei amava tanto quell’uomo che aveva già pronunciato il suo sì, ma non era pronta a legarsi per sempre. Solo ora si accorgeva di questo. Passò ancora qualche secondo. Poi, Alba, senza pronunciare parola, si allontanò da Christian, posò il bouquet nelle mani della madre e guardò di nuovo Lara. Si voltò e s’incamminò verso l’uscita della chiesa. Tutti gli invitati rimasero in silenzio. Poco dopo cominciò il vocio. Iniziarono tutti a discutere, a riflettere. Christian rimase immobile. La donna che tanto amava, improvvisamente, non lo voleva più.

Lara uscì. In un angolo nascosto c’era la sposa che piangeva. Si allontanarono insieme, l’una accanto all’altra. Passò il pomeriggio. Sedute su una panchina trovarono le parole per riempire le loro ore. Quando la sera Lara tornò a casa, il padre non aprì bocca. “Ben tornata”, avrebbe forse voluto dire, ma il fiato non gli uscì ed esausto, si diresse verso la sua stanza, lasciandola sola.

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Quella mattina Lara si svegliò molto presto. Dovevano essere

le cinque e mezzo o le sei al massimo. Fuori dalla finestra si vedeva un sottile strato di luce che indicava che il sole era pronto per vivere una nuova giornata. Quando era piccola e la mamma era ancora viva e si svegliava così presto, si alzava e correva verso il lettone nella stanza da letto, dove le braccia calde e dolci della madre la coccolavano. Ma ora che lei non c’era più, non aveva il coraggio di andare dal papà: immaginava che si sarebbe arrabbiato per averlo svegliato e non avergli fatto godere quelle poche ore di sonno di cui disponeva. E poi avrebbe dovuto tenersi per tutto il giorno quel viso imbronciato che le dava fastidio. A parte che non vedeva quasi mai il padre durante il giorno. Lui le diceva che aveva tanto da lavorare e che questo era un periodo critico. Ma Lara non ne era del tutto certa. Passava i suoi pomeriggi con Iris oppure usciva con le sue compagne. Non si era mai immaginata un’adolescenza così. Era lei a trovarsi in un momento critico, con i primi amori, con le sue incertezze e ogni volta che cercava il padre, lui non c’era. Era come se lo facesse apposta, come se cercasse in tutti i modi di evitare la figlia perché lei avrebbe voluto delle spiegazioni. Lara ormai si era abituata a parlare solo con Iris. In quella casa, quando c’era il padre, regnava un silenzio inimmaginabile.

Si alzò dal letto. Odiava rimanere lì senza far niente. A pensare. La sua vita era quella e non poteva cambiarla. Il padre si sarebbe alzato di lì a poco, intorno alle sei e mezzo. Avrebbe fatto colazione in fretta. A volte non la faceva proprio. Si scusava dicendo che Iris non cucinava più come una volta. E poi volava

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via e tornava la sera tardi, verso le 22:00. Altre volte si faceva mezzanotte prima di vederlo. Negli ultimi tempi Lara rimaneva in piedi fino a quando il padre tornava, appoggiava il cappotto sul divano e poi si recava nel suo studio dove rimaneva per molto tempo. A Lara dava fastidio tutto ciò. Non era giusto. Si sentiva un’orfana. Quelle poche volte che a scuola c’erano i colloqui o le riunioni, supplicava il padre di andarci. Lui le diceva: “Vediamo, non so”, ma poi non ci andava mai. Era sempre Iris a fare il ruolo di “genitore” per Lara.

- Lara! Qualcuno la chiamò da dietro. Si girò. Era Iris, doveva

immaginarlo. Ormai la voce del padre era del tutto assente. Inutile sognare di vederlo o di sentirlo come un tempo, quando c’era la mamma… Quando c’era la mamma era tutto diverso, troppo diverso.

Iris cominciò a dirigersi verso di lei. Il passo veloce, ma in modo da non svegliare il padre. Iris era sempre stata protettiva, di una protezione materna. Aveva sempre sognato di avere un figlio, ma non ci era mai riuscita. E non si era mai sposata. Ormai cominciava a mostrare le prime rughe. I nonni l’avevano assunta quando la madre aveva dieci anni. Quando poi era morta, l’avevano licenziata. Ma dopo poco era ritornata. Sul suo viso si vedevano tutti insieme gli anni di lavoro e di sacrificio che aveva vissuto, senza mai uno svago o un divertimento. Lavorava in Italia per mandare i soldi alla sua famiglia in Svizzera. Non osava mai chiedere qualcosa per sé. Era una gran brava donna, su questo non c’era dubbio, e sapeva voler bene alle persone.

- Se tuo padre ci scopre qui in piedi ci ammazza! - disse sotto voce.

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Per la prima volta Lara fece caso alla sottile voce della donna. Non si era mai accorta prima che potesse essere così bella e chiara. Pensò all’ansia che formicolava nel corpo di Iris, al terrore se da lì a poco il padre si fosse svegliato e avesse scoperto che loro due erano lì. Ma in fondo, che male c’era? Lui non glielo poteva impedire. Per una volta avrebbe voluto vedere come si arrabbiava. Cominciava a fremere, addirittura voleva svegliarlo. Voleva fargli capire che in quella casa non era mai stato solo, ma che aveva una figlia che aveva bisogno di lui. Non poteva negarle l’aiuto.

- Non ci scoprirà - aveva poi detto. - Ma come fai ad esserne certa? - Se ci beccherà, cosa ci potrà fare? Dopotutto non può

vietarmi anche di alzarmi prima del previsto. In fondo aveva ragione. Non c’era alcuna cosa per cui sentirsi

in colpa. Poi Iris la guardò ancora negli occhi, un’altra volta. Leggeva la tristezza di una ragazza che si sentiva senza padre, che aveva creduto che la vita fosse diversa. Cercava nei suoi occhi la conferma di ciò che aveva detto. La trovò. Poi si voltò e scese giù per le scale, andando in cucina a preparare la colazione.

***

- Allora, Lara, hai pensato cosa fare per il tuo compleanno? La voce dell’amica rimbombò nell’aria, nonostante la

confusione dei ragazzi. Lara era fuori, nel cortile della scuola, insieme a Beatrice, la sua compagna del cuore. In un primo tempo non ascoltò neanche ciò che l’amica diceva. Poi tornò in sé e cominciò a riflettere. Beatrice la guardava perplessa. Non

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sapeva come interpretare lo sguardo dell’amica. Bea era una ragazza come lei, forse più fortunata, molto fortunata. Aveva entrambi i genitori che le volevano un mare di bene e aveva anche altre due sorelle, Paola di otto anni e Cinzia di cinque. Viveva in una villa grandissima, dove però, a volte, rimaneva sola con le sorelle. Il padre era un importante chirurgo e di soldi ne guadagnava tanti. La madre era un’infermiera. Bea diceva che i suoi genitori si erano conosciuti in ospedale: un posto magnifico per le storie d’amore. E anche lei voleva incontrare l’uomo della sua vita in un posto come quello. Coloro che lavorano lì sono sempre i più sensibili e dolci.

Lara non credeva a queste cose. Forse perché non aveva ancora capito cosa voleva fare della sua vita. Un giorno forse avrebbe compreso quello che le diceva la sua amica. Ma non ora. Ora aveva da riflettere su altre cose.

- Lara, ci sei? Nuovamente sembrò che il suono si propagasse nell’aria. Lara

non sapeva se rispondere o tacere. In fondo il silenzio le piaceva. Le dava la sicurezza che nessuno avrebbe mai capito ciò che provava e non l’avrebbe mai tradita. Bisognava usarlo solo nel modo giusto.

Ma forse adesso non era il caso di giocarsi questa carta. Avrebbe risposto. Bea era solo un’amica. E gli amici, quelli veri, non ti tradiscono, anche se non sono come il silenzio.

- Sì, forse sì. Il suono della risposta fu chiaro. Bea si sentì sollevata.

Cominciava a credere che l’amica si sentisse male. Non era mai stata così.

- Stai così per tuo padre? - chiese.

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- Chi? Mio padre? No. Se fosse per mio padre, dovrei stare così per tutta la vita. Oramai non credo più in lui. E non gli chiederò più niente. Tanto non mi ascolta...

- Allora perché stai così? - Vedi quel ragazzo lì? Beh, mi sa che ho preso una cotta per

lui. - È fico, ma non abbastanza, non per te. - Sei gelosa ch’io me lo possa prendere? – chiese Lara. - Io? No, ma che dici! Comunque… - Farò una festa al mio compleanno, a casa mia. Mio padre

lavora e Iris avrà la giornata libera. La casa sarà tutta per me. - Invitalo. - Io? Ma che sei pazza! - Dai, su, vai. - Vieni con me? Bea aspettò un attimo prima di rispondere. Non era molto

coraggiosa, ma neanche troppo timida. Sapeva, però, che avrebbe parlato solo Lara. In fondo accompagnarla non era faticoso. Con la testa poi annuì alla ragazza di fronte che tirò un sospiro di sollievo. Poi s’incamminarono verso il ragazzo che momentaneamente era solo in quel piccolo spazio intorno a lui. Stava fumando una sigaretta. Doveva essere più grande di loro, si vedeva dal portamento, dalla statura e dal viso di uomo che cominciava ad avere. Le due ragazze camminarono in modo molto lento, Lara davanti e l’altra dietro. Cominciavano a farsi strada tra i numerosi ragazzi che, immaginando la destinazione, cercavano di tenere gli occhi e le orecchie ben aperti.

Mancavano pochi metri, quando il ragazzo, accortosi delle due, cercò in un primo momento di far finta di non vederle e fece l’atto di girarsi e di andar via. Un “Fermati” fece piombare tutto

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nel silenzio. Il ragazzo si bloccò. Non si sapeva se avesse paura o semplicemente non gradisse la presenza di quelle due vicino a lui. Lara si meravigliò lei stessa. Non aveva mai immaginato che la sua voce potesse essere così forte e chiara. Si sentì in grado di sconfiggere tutto e tutti. Ora però arrivava la parte più delicata. Si girò. Guardò la compagna rimasta indietro impietrita e tutti quei ragazzi che vedendola cominciarono a discutere tra loro, ridando confusione a quel cortile. Poi si diresse verso il ragazzo. Il suono delle sue scarpe sulle minuscole pietre che caratterizzavano il cortile non s’udì neanche. L’attenzione di tutti i presenti si concentrò su quei due per sentire cosa si dicevano.

- Scappi. Perché? Lara inchiodò il ragazzo. Lui si voltò lentamente. Sapeva che

avrebbe dovuto dare una risposta immediatamente. Era perplesso. Forse no. Forse non sapeva cosa rispondere: lasciare che la ragazzina di fronte a lui continuasse il suo giochetto ancora per un po’, rispondere e farla sparire dai suoi occhi o… ascoltare che cosa avesse da dire. Poteva tranquillamente farla finire lì. Ma forse ascoltarla e poi ruggirle contro l’avrebbe spaventata di più e non si sarebbe più permessa di infastidirlo.

- Non stavo scappando. Semplicemente non ti avevo vista. - Queste scuse dille a chi ti crede. Per un momento i due si guardarono come se non sapessero

più cosa dire. Lara non fu più certa se continuare la discussione. Se si fosse tirata indietro, sarebbe diventata lo zimbello di tutto l’Istituto. Ormai doveva affrontarlo. Cercava l’amica, qualcuno che le potesse dare un appoggio. Ma non trovò nessuno. Bea era rimasta indietro. Sicuramente era così. Improvvisamente capì che aveva sbagliato persona. Non era il tipo adatto per lei: uno

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tutto forza e niente cervello. Pensò di tornare indietro, col proposito di non invitarlo più al suo compleanno. E poi, chissà se avrebbe accettato. Comunque ora doveva dirglielo.

Gli porse la mano per una formale presentazione e lui le diede la sua.

- Lara. - Massimo. - Ti va di venire alla mia festa mercoledì? Questo è l’indirizzo

e il numero di telefono. Ci conto. E poi, senza neanche salutarlo, andò via. Bea rimase

stupefatta. Non credeva che l’amica fosse tanto coraggiosa. Quello lì era un tipo tosto. E persuaderlo era difficile. L’unica ragazza con cui aveva stretto amicizia era una della sua stessa classe, una bionda. Si cominciava a credere che di lì a poco si sarebbero messi insieme. In fondo lei era bella e lui le piaceva, anche se si mostrava un po’ perplesso e insicuro. Era proprio per colpa sua se il loro piccolo amore non era iniziato. Se fosse stato per lei, sarebbero stati già fidanzati. Lei era gelosissima. Non accettava che qualcun’altra potesse prenderselo.

Come tutti si aspettavano, non appena Lara andò via, lei si diresse verso il ragazzo su cui ormai si concentravano tutti i discorsi degli studenti. Lo guardò negli occhi come per dire: “Cosa voleva quella?”. Lui le mostrò il biglietto che la ragazzina gli aveva lasciato. Cose da ricchi, pensò la ragazza, guardando quel pezzo di carta. Non poteva permettere che quella fanciulla le rovinasse un lungo lavoro di seducenti attenzioni. Massimo era suo e non poteva farselo scappare. Se lui fosse andato a quella festa, l’avrebbe perso di sicuro. E non poteva rischiare.

- Ci andrai? - chiese. - Credo di no.

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La ragazza tirò un sospiro di sollievo. Ma il ragazzo aveva detto “credo”. Non era ancora sicuro. E se all’ultimo momento avesse cambiato idea? Lei, in quelle ore, doveva stare con lui. Solo così sarebbe stata sicura che non ci andava. Lo invitò al cinema, quello stesso giorno, quella stessa ora. Tutti erano impegnati quel giorno lì. Loro due soli. Massimo fece uno sbuffo.

***

Quella sera il padre tornò presto. Lara era già a tavola, ma

stava mangiando ancora il primo piatto. Iris si meravigliò del suo arrivo a quell’ora e cercò di preparare velocemente anche per lui. Sergio fece gli stessi, identici movimenti di quando tornava a casa molto tardi e Lara lo guardò. Entrò, senza neanche dire “Sono a casa” o “ Ciao”. Rimase in silenzio come sempre. Gettò il cappotto sul divano senza metterlo a posto perché la mattina dopo lo avrebbe ripreso. Mise la valigia lì vicino, per non salire al piano di sopra e portarla nel suo studio. A Lara venne improvvisamente in mente che quando la mamma era ancora viva e lui tornava a casa, lei si gettava nelle sue braccia, come per accoglierlo. A lei faceva piacere tuffarsi tra quelle braccia robuste e confortevoli che la sollevavano in aria. Vedeva il volto del padre tutto felice e contento e osservava la madre appoggiata al telaio della porta aperta della cucina. Poi, ogni sera, il padre esclamava: “Che buon odorino!”. Metteva a posto valigia e cappotto e si dirigeva, con la figlia in braccio, verso la cucina. Si sedevano tutti insieme al tavolo e, prima di mangiare, lui e la mamma si davano un bacio lunghissimo. Subito dopo seguiva un piccolo applauso della figlia che gridava: “Evviva gli sposi!”. Le cene erano sempre allegre e Lara

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raccontava al padre, tra un boccone e l’altro, quel che aveva fatto durante il giorno, ciò che aveva colorato all’asilo. Il padre sorrideva sempre e dopo le gridava: “Brava!”. E quando finivano di mangiare si tuffavano sul divano per guardare qualcosa alla televisione. Poi pian piano Lara si addormentava tra il padre e la madre. Insieme la portavano a letto silenziosamente. Tutti e due le davano un bacino sulla fronte e poi chiudevano la porta. Quei ricordi finirono dopo che Lara sentì, nel silenzio, la voce del padre.

- Lara mi senti? Lara scosse la testa. Stava sognando a occhi aperti una realtà

che non avrebbe più vissuto. Le mancava tutto. Sua madre e anche suo padre, che non le parlava mai. Quella sera ci doveva essere qualcosa di fondamentale importanza per avere il coraggio di rompere quell’interminabile silenzio. Annuì con la testa. Non osava discutere con suo padre. Lo ascoltava infilando in bocca, uno dopo l’altro, dei pezzettini di carne tagliata. Pensava a cosa le avrebbe potuto dire, magari che aveva sbagliato in questi ultimi tempi e che voleva tornare ad essere il padre che lei sognava. Ma poi i sogni svanirono quando Sergio iniziò, senza gridare, a dirle qualcosa per cui stava “sprecando” la sua voce.

- Ti va di andare a scuola di… ballo? Lara alzò gli occhi dal piatto, con il boccone ancora in bocca.

Ingoiò e poi iniziò a riflettere. Per un istante diede un’occhiata a Iris che si era girata con i piatti ancora in mano. Poi guardò il bicchiere. Pensò a come fosse difficile crearne uno, con tutte quelle onde. Rifletté sull’acqua e sulla forza di gravità. Cercò di non pensare alla proposta del padre. Non poteva immaginare come fosse stato crudele da parte sua proporle di fare quello.

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Credere che ballare le avrebbe tolto ogni dubbio, che l’avrebbe fatta sorridere nuovamente, quando poi, invece, a casa lo ritrovava sempre con la stessa faccia silenziosa e priva di vita. Come poteva credere che il problema fosse quello? Come poteva pensare prima a quello e solo dopo al silenzio che regnava da troppo tempo in quella casa? Come poteva non essersi accorto che questo non l’avrebbe resa felice, che lei aveva bisogno del suo affetto? Lara aveva bisogno di un padre. Forse lui cercava soltanto di accontentarla. Forse anche lui non riusciva ad essere felice, non riusciva a sorridere, non riusciva a non far vedere alla figlia la tristezza che aveva. Per un momento Lara lo guardò negli occhi. Lo volle fulminare. Lui la guardò. Forse si accorse dell’errore. O forse no. Poi Iris ruppe il silenzio.

- Anche tua madre ballava. Sergio la guardò, come per dire: “Con te facciamo i conti

dopo”. E poi Lara continuò a pensare. Già. Era stato crudele da parte del padre proporle una cosa come quella. Le aveva ricordato la madre. Lara non amava molto ricordare la mamma. Come avrebbe fatto a essere felice ballando, quando ogni suo movimento le avrebbe fatto pensare a sua madre? Come poteva essere felice sapendo che quelle stesse cose le aveva fatte la mamma tempo prima? Come poteva accettare quella proposta?

Ritornò con gli occhi fissi su suo padre. Cominciò a credere che lui non le volesse più bene. Si era sempre rifiutato di parlarle della madre e ora voleva ricordargliela. Cominciò a odiarlo. Cominciò a volerlo uccidere con i suoi stessi occhi. Aveva pensato che lei sarebbe stata felice così, con uno schiocco delle dita. Beh, si sbagliava. Non avrebbe mai ballato. Non avrebbe mai fatto ciò che aveva fatto la mamma prima di sapere cosa le era veramente successo. Sergio abbassò gli occhi sul piatto. Poi

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Lara si alzò, facendo risuonare nell’aria quel rumore fastidioso della sedia che striscia per terra. Lo fece apposta, ma Sergio non ci fece caso. Poi salì le scale e andò a rifugiarsi nella sua stanza.

Poco dopo qualcuno, dall’altra parte, bussò alla sua porta. Era suo padre? No, non era lui. Lara sapeva che mai quell’uomo avrebbe ammesso il suo errore. Era Iris. Non aprì bocca. Aspettò solo che entrasse. E infatti, dopo una nuova bussata, entrò, senza attendere una parola che le dicesse cosa fare. Lara era sdraiata sul letto. A pancia in giù. Iris si avvicinò, lasciando la porta socchiusa e si sedette accanto. Accarezzò la ragazza che si alzò e l’abbracciò, mentre continuava a piangere. Forse Iris non avrebbe mai capito il male che il padre le aveva fatto. O forse, conoscendo la madre, lo sapeva o almeno poteva immaginarlo. Chiuse gli occhi, mentre, in silenzio, le lacrime le scendevano sul volto. Sembrò che in quel momento fosse la mamma ad abbracciarla. E si sforzò perché quel sogno fosse vero. Solo una madre sa davvero consolare una figlia, ma Iris ci riusciva lo stesso e con la stessa intensità di una vera mamma. Nell’aria poi rimbombò la voce del padre che dal piano di sotto chiamò la donna. Questa guardò negli occhi Lara. Passò molto tempo. Poi, dopo che, con una voce ancora più forte, Sergio richiamò la governante, questa si alzò dal letto, chiuse la porta dietro di sé e scese al primo piano.

Al piano di sotto si sentì discutere con animosità. I muri di quella casa non erano molto spessi e questo limitava la privacy di chi ci viveva. Quando Lara finì di pian- gere cominciò a udire più distintamente le parole della strana discussione che inaspriva i rapporti tra Iris e il padre. Non voleva interessarsene. Ma quando le voci si fecero più forti, non riuscì a rimanere un altro secondo in quella stanza. Se il padre se la stava prendendo

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con Iris perché questa era salita a darle il suo affetto per consolarla, lei avrebbe difeso ad ogni costo la donna. Ci era affezionata e le doveva dei ringraziamenti per esserle stata vicino in tutti quegli anni. Si asciugò un po’ le lacrime per evitare che il padre se ne accorgesse, si sciacquò la faccia e silenziosamente scese le scale. Sentiva le voci venire dalla cucina. In un primo momento si disse che forse non era giusto, forse non avrebbe dovuto interessarsi di quelle cose. Non aveva alcun diritto. Magari erano solo discussioni sullo stipendio di quel mese. Forse era così. Ma d’altronde il padre non aveva mai fatto nulla di giusto per la figlia. Non presentarsi ai colloqui, non parlarle più, farle quell’ultima proposta del ballo non era giusto. Lui non avrebbe mai potuto soffrire come la figlia. Era solo il marito di sua madre. Lei era la figlia. Lui non aveva mai provato a mettersi nei suoi panni. Non aveva mai cercato di aiutarla. Era difficile anche per lui, questo è vero. E Lara lo sapeva. Per nessuno era semplice perdere una persona cara. Ma almeno poteva aiutarla. Lei aveva solo sei anni, lui era un adulto. Ora Lara era un’adolescente, lui più che un adulto. Avrebbero potuto sostenersi a vicenda, anche lei avrebbe provato ad aiutare il padre. Ma lui non voleva questo. Il motivo era ancora ignaro alla figlia, anche se sapeva che un motivo ci doveva essere. Un qualsiasi motivo c’era. Il padre non si era mai comportato così prima della morte della madre. Forse lo shock. O forse qualcos’altro di più profondo. Un qualcosa che aveva toccato il cuore, nei suoi luoghi più nascosti.

- Iris! Quante volte ti devo dire che non devi parlare di Agnese a Lara! Lei non deve mai sapere quello che è successo. E le fai male se le ricordi sua madre!

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- Sss! Non gridi, signore. La bambina è di sopra e in questa casa… tutti sentono tutto. E poi, mi dispiace dirglielo, ma è stato lei la causa della tristezza di Lara questa sera. Sapeva anche lei che Agnese ballava e lo sapeva anche Lara. È stato lei a ricordarle di sua madre.

- Io? Iris tu sei impazzita! E poi non mi interessa che Lara ascolti. Tu non hai alcun diritto di fare ciò che io non voglio.

- Guardi che quella bambina l’ho cresciuta io come una figlia perché il padre non c’era. Lara si è sempre confidata con me. E lei? Non è stato una volta ai suoi colloqui, non ha salutato una volta sua figlia. Rifletta.

- Ora basta! Iris sei licenziata! Da te non me l’aspettavo. Per stanotte puoi restare qui, ma domani devi scomparire.

- Lei non può farmi questo. E alla bambina cosa dirà? - Intanto Lara non è più una bambina. Capirà. Deve capire. Da

questo momento basta con le governanti: Lara è già abbastanza grande. Ed io posso fare questo e altro!

Poi silenzio. La voce del padre fece eco nella casa. Lara non poteva credere a quello che aveva udito. Suo padre le aveva fatto anche questo. Lo odiava. Avrebbe voluto farlo sparire. Da dietro la porta tutto era diverso. Era diverso il padre, era diversa la sua vita. Forse non sarebbe dovuta scendere. Forse non avrebbe mai voluto capire perché Iris se ne stava andando. Ma in fondo non era giusto. Non significava niente ciò che aveva detto il padre. Non poteva toglierle anche l’unica persona a cui voleva bene. Non gliel’avrebbe permesso.

Il padre rimase ancora qualche istante in piedi. Iris ricambiava. Nei suoi occhi brillava una luce troppo piccola per essere notata da uno come Sergio. Ma Lara la vedeva. Era la luce di chi era costretto a fare qualcosa che non voleva. Ma doveva

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farlo. Per un momento sembrò che quella storia sarebbe finita con un pianto di Iris. Lei resistette. Non poteva far vedere la sua fragilità al padrone. Lo odiava. Proprio come sua figlia. Cominciava a capire come doveva essere per Lara avere un padre del genere. L’avrebbe separata dalla ragazza. Non ci sarebbe riuscito. Era sicura che lei era da qualche parte su quel piano. Sentiva che era vicina e che aveva sentito tutto. Forse era nel ripostiglio o nel salotto. O dietro la porta. Lara non avrebbe mai permesso che ciò accadesse. O almeno Iris si sforzava di pensare questo. Lara aspettò ancora qualche secondo. Doveva dare l’impressione di essere appena scesa. Poi entrò nella stanza. Iris la vide e sul suo volto comparve improvvisamente un sorriso. Il padre si voltò.

- Tu… - cominciò a dire Sergio verso Lara. - Ho bisogno di Iris. - lo interruppe la figlia – Deve aiutarmi a

scegliere il vestito per il mio compleanno. - Farai quindici anni, Lara. È ora che impari a provvedere da

sola. Anche perché prima o poi Iris se ne andrà. - Ma ora è ancora presto per andarsene, vero? La ragazza cercò una conferma negli occhi del padre che

sembrava indeciso su cosa rispondere. Avrebbe detto la verità o forse le avrebbe mentito? In fondo per quella sera era già abbastanza. Ma non si sentì alcuna risposta nell’aria. Sergio preferì tacere. Adorava il silenzio. Quando non sapeva cosa dire, rimaneva zitto. Il silenzio lo copriva. Nessuno avrebbe mai potuto condannarlo per essere stato zitto. Era la sua carta segreta, da nove anni a questa parte. E Lara aveva imparato a usare bene anche lei quella carta. Conosceva troppo bene suo padre per farsi ingannare proprio da lui. Poi si girò. E cominciò a salire silenziosamente le scale. Iris, di lì a poco, la seguì. Prima di

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uscire dalla cucina guardò negli occhi il padrone di casa. “Ha vinto ancora una volta lei”, cercò di dire. Ma i suoi occhi parlarono al posto della bocca. Quell’uomo sapeva che sua figlia, da sempre sottomessa a lui, non gli avrebbe mai potuto impedire di mettere in atto una sua scelta, una sua decisione.

Poi andò via, lasciando ancora una volta il signor Kiara nel silenzio che tanto amava.