IL SACRO MONTE SIGNIFICATO, VALORE, IDENTITÀ DI ...SIGNIFICATO, VALORE, IDENTITÀ DI UN LUOGO...

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49 LOMBARDIA NORD-OVEST 2005 I SACRI MONTI Le auto sfrecciano sulle autostrade della valle coi finestrini aperti per la calura estiva o con gli sci sul tettuccio per raggiungere d’inverno i campi di neve. Pochi badano a quei mon- ti che, in lontananza, rivelano sulla vetta la massa bianca di un santuario. Eppure verso quelle mete, che spesso sono raggiungibili solo attraverso un percorso terminale a piedi, si muove un flusso continuo di persone le quali, pur nel differente abbigliamento, custodiscono nel cuore gli stessi sentimenti degli antichi pellegrini. L’espressione ‘sacri monti’, in verità, per la Bibbia è ambigua. Da un lato, certo, c’è “il monte santo, altura stupenda, gioia di tutta la terra”, come canta il Salmista (48, 3), esaltando IL SACRO MONTE DI VARESE: SIGNIFICATO, VALORE, IDENTITÀ DI UN LUOGO Gianfranco Ravasi Luigi Zanzi Paolo Zanzi fotografie di Carlo Meazza

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I SACRI MONTI

Le auto sfrecciano sulle autostrade della valle coi finestrini aperti per la calura estiva o con gli sci sul tettuccio per raggiungere d’inverno i campi di neve. Pochi badano a quei mon-ti che, in lontananza, rivelano sulla vetta la massa bianca di un santuario. Eppure verso quelle mete, che spesso sono raggiungibili solo attraverso un percorso terminale a piedi, si muove un flusso continuo di persone le quali, pur nel differente abbigliamento, custodiscono nel cuore gli stessi sentimenti degli antichi pellegrini.

L’espressione ‘sacri monti’, in verità, per la Bibbia è ambigua. Da un lato, certo, c’è “il monte santo, altura stupenda, gioia di tutta la terra”, come canta il Salmista (48, 3), esaltando

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fotografie di Carlo Meazza

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Sion, il colle gerosolimitano del tempio. D’altro lato, però, le ‘alture’ sacre, in ebraico bamôt, sono aspramente contestate perché esse ospita-vano i santuari cananei, ove si celebravano culti pagani immorali, nettamente condannati dalle Sacre Scritture.

Questo, però, ci fa comprendere come sia universale l’idea di scegliere la vetta di un monte – che sembra toccare il cielo, consi-derata la residenza divina – come sede in un tempio, segno dell’incontro tra l’uomo, che proviene dalla bassura della valle, cioè dal suo limite, dalla sua oscurità e dal male, e Dio che rifulge nei cieli immacolati del suo mistero e della sua trascendenza. Si pensi solo all’Olimpo dei Greci, al monte Meru induista, al Fuj-yama giapponese, al K’un-lun dei taoisti cinesi, al Qaf musulmano e così via. I famosi templi mesopotamici a gradoni, detti ziqqurat, erano l’evidente riproduzione architettonica di un monte sacro e sul loro vertice era posto un santuarietto per la divinità, sulla scia di quella concezione che è riflessa anche nel celebre sogno di Giacobbe: “Una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo. Ed ecco, gli angeli di Dio salivano e scendeva-no su di essa” (Genesi 28, 12).

I monti sacri cristiani hanno, però, la loro maggior diffusione nel Cinque e Seicento, nel cuore della stagione che aveva registrato la frattura della Chiesa occidentale attraverso la Riforma protestante. Il loro scopo, come per altro è attestato dalla presenza in alcuni di essi della figura di san Carlo Borromeo, era dunque quello di un rilancio missionario e istituzionale della Chiesa cattolica, quasi ricorrendo a una serie di bastioni o fortezze sacre. Ma tale fi-nalità, pur presente, non deve oscurare le altre ragioni più profonde e anche più antiche che giustificano questa costellazione di santuari posti soprattutto sui monti dell’Italia setten-trionale.

Ricordiamo due di queste ragioni. La prima è quella di rendere disponibile al fedele in mi-niatura l’arduo se non impossibile pellegrinag-gio a Gerusalemme e ai suoi monti santi: Sion, il Calvario, ma anche il monte degli Ulivi e, in Galilea, il monte delle Beatitudini e quello del-la Trasfigurazione. Non per nulla uno dei più celebri santuari, quello di Varallo, si configura come una ‘nuova Gerusalemme’, secondo quan-to spiegava il suo ideatore, Bernardino Caimi: “ut hic Jerusalem videat qui peragrare nequit”, “perché possa vedere qui Gerusalemme chi

In 1605, the Catholic request for a mountain road leading to Santa Maria del Monte, flanked by certain constructions whose interiors should illustrate the Christian teaching, was fulfilled. Thus was born the Varese Sacro Monte, a wonderful human work which, in its four cen-turies of existence celebrated in 2005, has always welcomed the pilgrims who have gone there to pray.

The Varese Sacro Monte forms part of simi-lar works lying along the whole length of the Alpine foothills, designated a Heritage of Hu-manity by Unesco. As Monsignor Gianfranco Ravasi reminds us, this immense work was especially focused during the sixteenth and seventeenth century, following the split in the

western Church ensuing from the Reformation. The work was thus a missionary and institu-tional boost to Catholicism, having recourse to what were almost holy fortresses or strong-holds. However, there was also the intention of facilitating devotion to Mary and of making available to the faithful a miniature of the ardu-ous if not impossible pilgrimage to Jerusalem and its holy hills.

Lying to the north for those going towards the Alps or coming from Milan, the Varese Sacro Monte, together with the Sanctuary of Saronno and the “Tuscan-style oasis” of Cas-tiglione Olona with its Masolino frescos, forms one side of an extraordinary artistic triangle that points straight to the heart of Europe.

Alla pagina precedente:Veduta aerea del Sacro Monte di Varese: il tratto terminale della Via Sacra con la XIV Cappella e il borgo di Santa Maria del Monte.

A fronte:In successione: il Terzo Arco di Sant’Ambrogio, l’XI Cappella della Resurrezione e, sullo sfondo, la XII Cappella dell’Ascensione.

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non vi si può recare in pellegrinaggio”. I ‘mi-steri’ cristiani che le cappelle dei Sacri Monti di Varese o di Varallo e di altri santuari, come il Calvario di Domodossola, propongono sono, così, una vera e propria riedizione dal vivo del-l’esperienza vissuta da Gesù a Gerusalemme, soprattutto nella sua faticosa ascesa al colle del Golgota.

In tal modo, anche oggi chi ha ormai l’oc-chio smaliziato dagli effetti televisivi non può rimanere indifferente di fronte all’emozionante, affollata e intensissima scena che gli si presenta innanzi una volta entrato nella cappella della Crocifissione di Varallo. In questi santuari, infatti, si voleva offrire una sorta di catechesi visiva, di forte impatto emotivo, destinata a continuare in nuove forme la tradizionale Bi-blia pauperum, cioè quella Bibbia dei poveri e degli illetterati i cui fogli di pietra, di vetro, di affresco erano squadernati nelle chiese delle città e dei paesi. Si riconduceva, così, il cuore della fede cristiana entro un orizzonte che, da un lato, era quotidiano perché faceva parte della terra in cui si viveva, ma, d’altro lato, era alonato di luce perché si era sul monte santo, staccato dalla pianura ove scorrevano le strade polverose dell’esistenza feriale e lavorativa.

Parlavamo di due ragioni che stanno alla radice dei sacri monti. La seconda è quella ‘devozionale’ nel senso più nobile del termine. Essa ha come punto di riferimento soprattutto Maria. Pensiamo, ad esempio, a quella ‘fabbri-ca del rosario’ che è il nostro Sacro Monte di Varese ove i ‘misteri’ di questa popolarissima pratica orante esprimono in modo fragrante la pietà di una comunità, la sua speranza, anche il realismo della sua storia e persino il suo fol-clore. Così accade anche a Oropa o a Crea, ove si ha un vero e proprio progetto processionale nell’accesso al santuario, e in tanti altri sacri monti noti e meno conosciuti. In realtà attra-verso il rosario ci si raccordava alla dimensione precedentemente descritta, quella della vita di Cristo e dell’annunzio evangelico.

In questa luce, anche se spesso gioielli ar-tistici e storici, degni della tutela che a molti

di essi ha assegnato l’Unesco riconoscendoli come ‘Patrimonio mondiale dell’umanità’, i sacri monti sono soprattutto segni di una fede incarnata e come tali devono essere custoditi. Non sono, quindi, musei o mete turistiche (pur rispondendo anche a questi requisiti): essi sono espressione di preghiera, di vita, di con-versione, di fiducia. Anche l’automobilista che corre sull’autostrada verso la vacanza potrebbe, allora, compiere una deviazione e ascendere, accanto ad altri pellegrini, su quel colle verso il santuario, nel silenzio interrotto solo dai canti e dalle orazioni. Forse sentirebbe affiorare den-tro di sé quella sensazione che provava l’antico pellegrino ebreo di Sion: “Alzo gli occhi verso i monti: da dove verrà il mio aiuto? Il mio aiuto è dal Signore che ha fatto cielo e terra” (Salmo 121, 1-2).

mons. Gianfranco Ravasi

QUATTROCENTO ANNI: PER UNA RISCOPERTA DEL SACRO MONTE

Nell’anno del quattrocentesimo anniversario dell’avvio della sua costruzione (tra l’autunno del 1604 e la primavera del 1605) Varese ha riscoperto l’eccellenza e l’importanza del ‘suo’ Sacro Monte; quel Sacro Monte divenuto poi ‘di’ Varese, ma che un tempo era ‘sopra’ Varese, in quanto il borgo varesino costituiva soltanto una delle tante comunità che popolavano i pia-nori collinari ai piedi del monte di Velate, che culminava a cono con l’antico borgo fortificato di Santa Maria del Monte, strettamente con-nesso al Santuario di eletta e grande tradizione ‘ambrosiana’, un piccolo villaggio popolato anche da addetti alla vigilanza e al servizio di quel tempio sacro dove erano ospitate reliquie che chiamavano i popoli circonvicini a compie-re processioni votive.

Non si vuol dire che il Sacro Monte fosse, prima di quest’anno, ignorato dalla cittadinanza di Varese, si vuol solo dire che, forse, mai come in quest’anno si è venuta evidenziando, attraver-so molteplici e adeguate manifestazioni, tutta la

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complessa pregnanza di significati storico-cul-turali che tale opera monumentale ha compor-tato nella sua storia e tuttora comporta.

Anzitutto, con riguardo al monte di Velate, si è ritrovata una precisa consapevolezza di quanto tale eminenza montana fosse rilevante, fin dal IV secolo d.C., per la definizione, al co-spetto dell’intera Europa, della ‘diocesi ambro-siana’, in quel tempo insinuata tra le Alpi quasi in coincidenza con il limes romano, divenuto frontiera lungo la quale nuove popolazioni ‘bar-bare’ si avvicinavano alla civiltà del mondo ita-lico-mediterraneo, trovandosi così all’incontro con l’evangelizzazione ‘cristiana’ (interpretata dal vescovo Ambrogio, con altissima statura di un ‘santo’ e insieme di titolare di un ruolo istituzionale che egli sapeva interpretare con la dignità e la fermezza di un console romano).

Coinvolti in affollate partecipazioni di mol-teplice provenienza dalla pianura ‘insubrica’ alle varie manifestazioni svoltesi sul monte, i cittadini di Varese hanno compreso quanto tale Santuario e tale Sacro Monte (che è stato ideato e costruito nel XVII secolo a servizio delle processioni di pellegrini che salivano al Santuario) costituiscano un traguardo sim-bolico nell’orizzonte del paesaggio montano che si profila verso settentrione allo sguardo di chi s’incammini verso le Alpi provenendo da Milano, attraversando il sito ‘mariano’ del Santuario di Saronno, con il ‘miracolo’ delle figurazioni d’angeli musicanti di Gauden-zio Ferrari, e l’‘oasi toscaneggiante’ in riva all’Olona del cardinale Branda Castiglioni, popolata dalle storie ‘misteriche’ mirabilmente effigiate da Masolino.

Il pontefice Giovanni Paolo II affacciato alla balaustra della Fontana del Mosè, in occasione del pellegrinaggio compiuto al Sacro Monte di Varese il 2 novembre 1984.

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Il monte di Velate, dunque, va inteso come uno di tali tre vertici costituenti uno straordi-nario triangolo che punta nel cuore d’Europa dall’alto di tre monumenti d’arte che rivendi-cano alla capacità iconografica della cattolicità uno dei momenti di più intenso dialogo in-tellettuale tra varie voci della cristianità nella storia europea.

Si è riscoperta in sito la grande valenza del gran ‘teatro montano’ (con le parole perfet-tamente mirate di Giovanni Testori): si sono rivissuti i momenti ‘francescani’ (risalenti a san Francesco, ideatore del Presepe), nonché quelli risalenti alle ‘sacre rappresentazioni’ (le proces-sioni di teatranti con un ‘carro di Tespi’ munito di pannelli costituenti i luoghi deputati per la

recita ‘al vivo’ di misteri della storia di Cristo), nonché quelli proprî dei rosarî processionali recitati da comunità oranti che si facevano pel-legrine in luogo proprio, trovandosi impedite a recarsi nei lontani Luoghi Santi, caduti in mano ‘infedele’.

Si è riscoperta l’altissima fattura dell’opera architettonica del genius loci Giuseppe Berna-scone, detto ‘il Mancino’, che ha ideato e rea-lizzato, quale unico architetto del Sacro Monte, una sorta di Trattato in opera dell’architettura sacromontana, non solo facendosi interprete delle più raffinate versioni architettoniche dei maestri milanesi impegnati nel transito dal ma-nierismo al neo-classicismo al barocco – dal-l’Alessi al Tibaldi ecc. –, ma anche facendosi

Cristo alla colonna, particolare del gruppo di statue di Martino Retti (1609), nella VII Cappella della Flagellazione.

Cristo incoronato di spine, particolare del gruppo di statue di Francesco Silva (prima del 1623), nell’VIII Cappella.

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interprete, più che mai innovativo e creativo, di nuove prospezioni del paesaggio architettonico nel paesaggio naturalistico, con esaltazione del mirabile paesaggio di laghi e colline che allietano Varese in maniera così distintiva e singolare da farne il centro paradigmatico della regione ‘insubrica’.

Si è riscoperto, infine, last but not least, an-che il grande valore ‘sacrale’ che residua oggi incorporato in tale monumento, il cui valore d’arte è stato giustamente inteso degno della più alta tutela da parte dell’uomo che, come un secondo ‘Mancino’, si è fatto interprete del suo restauro, monsignor Pasquale Macchi, proprio perché ha saputo intuire in tale opera d’arte il veicolo di un messaggio di ‘pietà’ che invi-ta tuttora a una meditazione orante qualsiasi visitatore riesca a non rimanere indifferente al potente richiamo della storicità di Cristo che proviene dalla contemplazione dei ‘misteri’ delle cappelle.

Luigi Zanzi

IL SACRO MONTE SOPRA VARESE, ECCELLENZA E IDENTITÀ DI UN TERRITORIO

Le ragioni della memoria si qualificano nel ruolo progettuale capace di futuro. È così che le celebrazioni del quattrocentesimo anno del-l’apertura della ‘fabbrica’ (1604) della Via Sacra che porta al Santuario di Santa Maria del Mon-te sono state promosse per consegnare gli stru-menti affinché il territorio potesse riscoprire, nell’eccellenza dei suoi beni culturali, i valori di quotidiana rigenerazione e promozione. La presa in carico del ruolo storico avuto dal Sacro Monte nonché del conferimento consegnatogli dall’Unesco quale ‘Patrimonio mondiale del-l’umanità’ hanno creato una virtuosa presa di coscienza che si è concretizzata nell’assunzione da parte della Regione Lombardia, del Comu-ne di Varese, della Provincia di Varese e della Fondazione Paolo VI per il Sacro Monte di Varese della partecipazione all’‘Accordo di pro-gramma’ per il nostro territorio, che vede nel

Crocifissione, particolari di una delle Pie donne che assistono la Vergine e, a fronte, del Cristo crocifisso, statue di Dionigi Bussola (1660-70) nella X Cappella.

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Sacro Monte il perno e il punto di riferimento.L’eccellenza dell’ambiente naturale, la qualità

artistica dell’architettura del Bernascone non-ché i tesori d’arte delle pitture e delle sculture dedicate alla ‘fabbrica del rosario’ assurgono così a materiale prestigioso e determinante del progetto che l’‘Accordo di programma’ sotto-scrive con l’obiettivo di mettere in relazione operativa le migliori forze del territorio, onde attivarne la crescita e la qualificazione. Investita del carismatico ruolo di Ente di riferimento e d’attuazione del progetto, la Fondazione Paolo VI per il Sacro Monte di Varese, già autrice negli anni Ottanta, con un oneroso e impegna-tivo investimento, del recupero delle Cappelle della Via Sacra, ha promosso, con una serie di riunioni operative coordinate dal Comune, un progetto di individuazione delle strategie opera-tive e delle scelte culturali portanti. Improntato al rispetto e alla promozione che i valori storici intrinseci suggeriscono e reclamano, il progetto si dà un tempo minimo di tre anni, partendo dal 2005, anno di attuazione delle celebrazioni del quattrocentesimo 1604-2004.

Il 2005 è stato l’anno propedeutico della me-todologia del progetto che, svoltosi con grande successo – oltre 9000 presenze verificate –, ha concretizzato una ‘tradizione’ di partecipazio-ne, attenzione e consenso tali da costituire lo ‘zoccolo duro’ su cui impostare le attività fu-ture. Teatro nel Santuario e lungo la Via Sacra, concerti barocchi, conferenze in varie sedi, convegni e seminari interdisciplinari e manife-stazioni didattico-storiche hanno seminato oc-casioni e ‘materiali’ di conoscenza, così che si è rinforzata, rinvigorita e promossa su più ampia scala l’appropriazione del ‘bene Sacro Monte’ da parte del territorio. Varese e il progetto in atto sono pronti oggi per promuoversi in Italia e in Europa.

Riscoperto il ‘bene’ del monumento sacro-montano, il progetto si articolerà nel biennio 2006-2007 su tre livelli portanti che procedono dall’esperienza acquisita e dalle strategie indi-viduate nel 2005.

Primo livello: concretizzazione dei progetti in

atto quali l’‘Interreg’ tra Piemonte, Lombardia e Svizzera per la promozione del ‘Sistema dei Sacri Monti Prealpini’, che prevede la realizzazione di un portale internet, di una serie di presenze ai saloni del turismo, la formazione di strumenti agili di promozione didattico-culturale nonché turistica. In questo primo livello, molto impor-tante e significativo è dare attuazione alla scelta della formazione di un Centro Studi Prealpini presso la Villa Baragiola a Masnago. Qui, con l’apporto culturale della Fondazione Paolo VI per il Sacro Monte di Varese e del Centro di ricerche e studi locali dell’Università degli Studi dell’Insubria, sono previsti, oltre a un ‘infopoint’ per il turista/pellegrino, una sala esposizio-ni/conferenze nonché un’aula multimediale di consultazione. Il restauro della Villa Baragiola ha già preso il via in esito alla programmazione attuata dal Comune di Varese con l’adesione dell’‘Accordo di programma’ nel 2004. Al primo livello competono anche tutti quegli interventi che si attueranno attraverso vari progetti tesi a mettere in comunicazione il Sacro Monte con la città, dall’ospitalità offerta dagli esercenti alla realizzazione di strumenti editoriali e di infra-strutture di arredo per la didattica, la segnala-zione e la conoscenza del bene culturale.

Al secondo livello è individuato il calendario di manifestazioni che, articolandosi tra i ‘ma-teriali offerti’ dal Sacro Monte stesso – dalla sua storia religiosa e sociale, dal suo contesto ambientale –, proporrà una ricca offerta cul-turale e di intrattenimento che, improntata sul rigoroso rispetto della dignità del luogo, può costituire una ragione di pregnante attrattività. Un’attrattività che oggi e sempre più in futuro si baserà sulla ‘complessità articolata dell’of-ferta’ cosiddetta, ancora inopportunamente, turistica. In questa offerta sono da coinvolgere le migliori ‘forze’ del territorio che operano: dai servizi di ospitalità a quelli di intratteni-mento, dalla pratica sportiva e di relax a quella di studio e ricerca e così via. Si forma così un cartello, che ci piace prevedere largamente condiviso, capace di trovare risorse umane ed economiche tali da costituire un salto di livello

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Il borgo di Santa Maria del Monte ripreso dal Campo dei Fiori.

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nella comunicazione stessa dell’Insubria. Il logo marchio del Sacro Monte può diventare ambìto riconoscimento di quelle attività che costituiscono eccellenza per il nostro il terri-torio. Teatro, workshop, cinema e scenografia, ricerche e proposte concertistiche a tema, convegni e testimonianze, mostre, didattica e occasioni di svago sono tutti rigorosamente progettati a calendario per il 2006-2007 nel tema del Sacro Monte, patrimonio religioso, culturale e ambientale, dell’Umanità.

Il terzo livello è individuato in un progetto di lavoro rivolto meno all’esterno e alla frui-zione immediata, quanto piuttosto allo studio e alla ricerca sul tema e sulle sue implicazioni attuali e future nelle diverse letture, dalla religiosa a quella laica. Qui la memoria si fa propriamente progetto per il futuro e qui è giusto procedere, da un lato, ancor più rigo-rosamente e, dall’altro, più coraggiosamente investendo sulle nuove generazioni. Se è vero e sacrosanto che il mantenere e il conservare

sono l’essenza stessa del monumento nei suoi aspetti strutturali e d’icona, è altrettanto vero che farsi moderni pellegrini nel percorrere il viaggio verso le future identità nel confronto coi valori antropologici e storici dei sacri monti costituisce la sfida più creativa. Leggere e ri-conoscere la profonda innovazione attuata nel Seicento dai sacri monti significa accogliere un’esortazione a innovare la nostra comunità perché, nell’identità ritrovata nella propria storia, sappia innovarsi per rispondere alle do-mande o, meglio, contrastare l’indifferenza in cui può cadere il più importante monumento del nostro territorio.

Su questi temi si stanno definendo i program-mi alla luce del lavoro fin qui svolto; ricerca, studio, religione, artigianato, arte, tecnologia, scienza si ritrovano ai massimi livelli nel nostro Sacro Monte: ripercorrerli attualizzandoli è missione di sicura eccellenza e identità.

Paolo Zanzi