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Università degli Studi di Catania Facoltà di Giurisprudenza 2007 Matteo Maria Mutarelli Il ruolo potenziale dei diritti sociali fondamentali nel Trattato costituzionale dell’Unione Europea WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.INT – 54/2007

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Università degli Studi di Catania

Facoltà di Giurisprudenza

2007

Matteo Maria Mutarelli

Il ruolo potenziale dei diritti sociali fondamentali nel Trattato costituzionale dell’Unione Europea

WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.INT – 54/2007

© Matteo Maria Mutarelli 2007 Economia – Università degli Studi di Napoli Federico II [email protected]

ISSN – 1594-817X Centro Studi di Diritto del Lavoro Europeo “Massimo D’Antona”

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WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".INT – 54/2007

Il ruolo potenziale dei diritti sociali fondamentali nel Trattato costituzionale dell’Unione Europea*

Matteo Maria Mutarelli Università degli Studi di Napoli Federico II

1. Premessa ......................................................................... 2

2. Sull’opportunità di una indagine che valorizzi il carattere normativo del modello sociale dell’Unione europea..................... 3

3. L’adesione dell’Ue alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo............................................................................10

4. L’incorporazione e la rinnovata posizione dei diritti fondamentali..........................................................................................14

5. L’ambito di applicazione della Carta di Nizza dopo la transizione costituzionale. .....................................................................17

6. L’impatto dei nuovi diritti sociali fondamentali nella definizione del modello sociale europeo...................................................27

6.1..................................................................................27

6.2..................................................................................30

6.3..................................................................................33

* Il presente lavoro, con i necessari adattamenti, è in corso di pubblicazione sul numero 3/2007 della Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale.

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1. Premessa

La Dichiarazione in occasione del cinquantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma1, esplicitando l’obiettivo di dare all’Unione europea una base comune rinnovata entro le elezioni del Parlamento europeo del 2009, rappresenta la chiusura, sostanziale se non formale, del periodo di riflessione avviato a seguito dell’esito negativo delle consultazioni referendarie svoltesi nel 2005 in Francia e in Olanda per la ratifica del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa. Il rilancio del tema della riforma istituzionale dell’Unione europea, pur nelle incertezze che allo stato – in attesa di eventuali indicazioni provenienti dai prossimi Consigli europei – ne avvolgono il processo, riavvia una discussione bruscamente interrotta e consente di ritornare ad esaminare il Trattato costituzionale attraverso un’indagine più vicina all’amniocentesi che all’analisi autoptica2.

In tale prospettiva sembra rinnovarsi anche la centralità del dibattito sulla dimensione sociale dell’Ue prefigurata dal Trattato costituzionale, da un lato per il rilievo che essa ha assunto nel percorso conclusosi con le bocciature referendarie3, da un altro per la sempre più diffusa consapevolezza che l’ambizione di erigere un compiuto ordinamento europeo da affiancare a quelli degli Stati nazionali non può prescindere dalla definizione di un più avanzato modello sociale

1 Firmata a Berlino dai Capi di Stato e di Governo il 25 marzo 2007. 2 Di ormai inutile «autopsia della Costituzione» aveva parlato B. Trentin, Contributo, in G. Ferrara, M. Pallini, B. Veneziani (a cura di), Costituzione europea: quale futuro?, Roma, 2006, 151 ss., mettendo in guardia dall’«illusione che la Costituzione come tale possa un giorno, sia pure in forme modificate, risorgere in un periodo breve». Sull’importanza di proseguire lo studio del nuovo Trattato, nonostante le bocciature referendarie, aveva invece insistito J. Ziller, La ratification des Traités européens aprés des référendums négatifs: que nous disent les précédents danois et irlandais?, in Riv. it. dir. pub. com., 2005, 359 ss., 375: «Si le Traité établissant une Constitution pour l’Europe, signé à Rome le 29 octobre 2004 ne devait finalement pas être ratifié, il est vraisemblable qu’une partie de son contenu soit reprise plus ou moins rapidement sous une autre forme: un ou plusieurs traités amendant les traités actuels. Dans une telle perspective, il sera essentiel de connaître et comprendre la portée des textes tels qu’ils figurent dans le traité, ses protocoles et annexes, ne fût-ce qu’à fin de proposer des améliorations à leur formulation». 3 V., ad es., J.M. Dehousse, O. Lafontaine, P. Larrouturou, C. Salvi, Renégocier le traité, sinon l’Europe va dans le mur, in Le Monde, 14 maggio 2005. Che il «no» al Trattato costituzionale sia stato indotto (anche) dalle preoccupazioni di ordine sociale dei cittadini francesi ed olandesi è valutazione diffusa: cfr., in tal senso, il commento editoriale What now?, in Comm. Mark. Law Rev., 2005, 905 ss.; per un attendibile riscontro demoscopico v. il rapporto, commissionato dalla Commissione europea e svolto da Eurobarometer, Quelle Europe? La construction européenne vue par les Français, Bruxelles, 2006, spec. 17-18 e 20-22.

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continentale4, da un altro ancora per le sollecitazioni – quanto meno in chiave “omissiva” – poste dal recente Libro verde sulla modernizzazione del diritto del lavoro5.

2. Sull’opportunità di una indagine che valorizzi il carattere normativo del modello sociale dell’Unione europea.

Ai fini di una valutazione della dimensione sociale dell’Unione europea disegnata dal Trattato costituzionale, l’analisi non può che prendere le mosse dai valori e dagli obiettivi che vengono posti a fondamento dell’ordinamento comunitario.

Ai valori è dedicato l’art. I-2 Tc, il quale – accanto a libertà, democrazia, Stato di diritto e rispetto dei diritti umani (già menzionati tra i principi dell’Unione dall’art. 6.1 TUE) – pone dignità umana e uguaglianza. Il secondo alinea dello stesso art. I-2 Tc, contiene, poi, un innovativo riferimento alla solidarietà ed alla parità tra uomini e donne, nell’ambito del diverso elenco che enumera le caratteristiche della società europea6. Non può disconoscersi l’importanza delle novità introdotte, che specificano ed arricchiscono i principi ordinatori fondamentali dell’Ue. Va

4 Cfr. G. Zagrebelsky, Introduzione, in Id (a cura di), Diritti e Costituzione nell’Unione Europea, 2003, Roma-Bari, XI-XII, secondo cui il progetto europeo, non essendo l’Europa un ideale in sé e per sé, potrà acquisire valore nella misura in cui riesca ad affermare un modus vivendi europeo differenziato dalle forze omologanti della globalizzazione, nonché J.H.H. Weiler, La Costituzione dell’Europa, Bologna, 2003, il quale, con riferimento alle prospettive di una “costituzionalizzazione” sovranazionale delle tradizioni di solidarietà sociale, osserva che «è proprio questo tipo di impegno che può dare alla Costituzione europea propulsione politica rendendola fonte di identità e identificazione» (625). Nello stesso senso F. Bano, L’«Europa sociale» nel Trattato costituzionale, in Riv. giur. lav. prev. soc., 2005, I, 821 ss., il quale, partendo dal presupposto che la necessaria costruzione di una identità europea differenziata attribuisce alla Costituzione europea il compito di andare oltre la ridefinizione tecnica ed efficientistica dell’integrazione comunitaria, chiarisce bene come «la componente sociale [sia] un connotato fondamentale di tale differenziazione» (823). 5 Commissione delle Comunità Europee, Modernizzare il diritto del lavoro per rispondere alle sfide del XXI secolo, COM (2006) 708 def., del 22 novembre 2006, su cui v. il documento elaborato e sottoscritto da un nutrito gruppo di studiosi italiani, I giuslavoristi e il Libro Verde, in www.lex.unict.it/eurolabor/news/doc_libroverde.pdf. 6 Hanno così trovato attuazione i suggerimenti emersi in sede di lavori preparatori (gli atti dei diversi gruppi di lavoro sono tuttora reperibili al sito www.european-convention.eu), sia pure in forma differenziata (la «sottile distinzione» tra le due diverse elencazioni è evidenziata da S. Sciarra, La costituzionalizzazione dell’Europa Sociale. Diritti fondamentali e procedure di soft law, in Quad. cost., 2004, n. 2, 281 ss., nonché in WP CSDLE Massimo D’Antona, n. 24/2003 – da cui sono tratte, qui come altrove, le citazioni –, 11) e parziale (il Gruppo XI (Europa sociale), infatti, aveva raccomandato l’inserimento tra i valori fondativi anche della giustizia sociale: cfr. la Relazione finale, parr. 6-11).

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tenuto presente, infatti, che i valori dell’Unione non costituiscono delle mere aspirazioni, ma fissano le condizioni essenziali per l’adesione e per la permanenza degli Stati membri7: la violazione di questi valori può dare l’avvio al procedimento sanzionatorio previsto dall’art. I-59 Tc8, con conseguente sospensione di alcuni significativi diritti derivanti dal Trattato9. Dignità umana, uguaglianza e solidarietà10 rappresentano, dunque, le nuove coordinate che, accanto a libertà e democrazia, devono essere garantite, sempre e comunque, entro i confini geografici dell’Unione. La perentorietà di una tale affermazione, tuttavia, è destinata a declinare verso il condizionale: se in tal senso grava sugli Stati membri un obbligo generale (non circoscritto cioè all’attuazione del diritto comunitario: il campo di applicazione dell’art. I-2 Tc, infatti, prescinde dai limiti di efficacia imposti alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea11 incorporata nella Parte II del Trattato12), appare arduo prefigurare situazioni nazionali talmente gravi e persistenti da

7 L’art. I-58.1 Tc, infatti, stabilisce: «L’Unione è aperta a tutti gli Stati europei che rispettano i valori di cui all’art. I-2 e si impegnano a promuoverli congiuntamente». 8 Tale procedimento corrisponde a quello introdotto nell’art. 7 TUE dal Trattato di Amsterdam, che, com’è noto, è stato attivato per la prima (ed unica) volta nel c.d. caso Haider nei confronti dell’Austria. Su quella vicenda, v. L.S. Rossi, La reazione comune degli Stati membri dell’Unione europea nel caso Haider, in Riv. dir. int., 2000, 1 ss. Sulle modalità e le sanzioni del procedimento, anche alla luce delle modifiche apportate al TUE dal Trattato di Nizza, v. B. Nascimbene, Le sanzioni ex art. 7 TUE, in A. Tizzano (a cura di), Il Trattato di Nizza, in Quad. Dir. Un. eur., 2003, n. 2, 30 ss., pubblicato anche in Dir. Un. eur., 2002, n. 1. 9 Compreso, si noti bene, il diritto di voto nel Consiglio da parte del rappresentate del governo dello Stato membro interessato. 10 Quest’ultima, beninteso, ove non si interpreti la distinzione tra i valori compresi nel primo e nel secondo alinea dell’art. I-2 Tc nel senso per cui solo la violazione dei primi, in quanto valori su cui «si fonda» l’Ue, dovrebbe considerarsi idonea a determinare la responsabilità dello Stato membro ai sensi dell’art. I-59 Tc. 11 Proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 dai rappresentanti del Consiglio, del Parlamento europeo e della Commissione. La bibliografia sulla Carta di Nizza è sconfinata. Con specifico riferimento alle problematiche relative ai diritti sociali, per la dottrina giuslavoristica v. E. Ales, Libertà e “uguaglianza solidale”: il nuovo paradigma del lavoro nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in Dir. lav., 2001, I, 111 ss.; G. Arrigo, La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Prime osservazioni, ivi, 191 ss.; M.V. Ballestrero, La costituzionalizzazione dei diritti sociali, in S. Scarponi (a cura di), Globalizzazione e diritto del lavoro. Il ruolo degli ordinamenti nazionali, Milano, 2001, 89 ss.; R. Del Punta, I diritti sociali come diritti fondamentali: riflessioni sulla Carta di Nizza, in Dir. rel. ind., 2001, n. 3, 335 ss.; S. Giubboni, I diritti sociali fondamentali nell'ordinamento comunitario. Una rilettura alla luce della Carta di Nizza, in Dir. Un. eur., 2003, 325 ss.; G. Orlandini, Il diritto di sciopero nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, in Dir. lav. rel. ind., 2001, 649 ss.; M. Roccella, La Carta dei diritti fondamentali: un passo avanti verso l' Unione politica, in Lav. dir., 2001, 329 ss.; S. Sciarra, Diritti sociali. Riflessioni sulla Carta europea dei diritti fondamentali, in Arg. dir. lav., 2001, 391 ss. 12 Sugli effetti di tale incorporazione v. infra.

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determinare la legittimità, ovvero il consenso politico necessario, per una applicazione concreta del meccanismo sanzionatorio in materia sociale.

Analogamente può osservarsi in relazione agli obiettivi generali dell’Unione, enumerati dall’art. I-3 Tc. La norma, se posta in raffronto con gli obiettivi individuati dai vigenti art. 2 TCE e art. 2 TUE, rappresenta indubbiamente un allargamento degli orizzonti sociali dell’Ue: al par. 3, infatti, trovano inedito spazio i riferimenti all’«economia sociale di mercato»13, alla «piena occupazione» ed al «progresso sociale» (primo alinea), alla «giustizia sociale» ed alla «solidarietà tra le generazioni» (secondo alinea). Tuttavia, è assai problematico definire quanto queste innovazioni possano rivelarsi effettive sul piano del riequilibrio tra dimensione sociale e dimensione economica dell’Unione europea. Gli obiettivi sociali, nei termini in cui sono formulati, conservano un contenuto decisamente incerto14, specialmente a fronte del ben diverso grado di precettività di altre formulazioni: basti pensare al fatto che il mercato interno rimane retto da una concorrenza libera e non falsata (art. I-3.2 Tc), e che la stabilità dei prezzi viene platealmente “costituzionalizzata” (art. I-3.3 Tc), conformemente «al principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza» eretto a suprema linea guida per le politiche economiche e monetarie dell’Unione15.

Dalla riformulazione dei valori e degli obiettivi comunitari, dunque, non sembra possa trarsi l’immediata evidenza di una automatica ridefinizione del rapporto tra dimensione economica e dimensione sociale. Ne deriva la necessità di misurare valori ed obiettivi sociali del Trattato nel contesto complessivo delle novità introdotte: «la volontà di misurare la politica economica sugli effetti che essa produce sia sul welfare che sul mondo del lavoro»16, ovvero «l’intento di porre un più stretto legame tra Europa economica e sociale, contrapponendo ai principi del mercato e della concorrenza delle linee-guida tese alla definizione di politiche per il riequilibrio socio-economico»17, non possono desumersi che dall’esame delle complessive innovazioni in materia sociale, prendendo in

13 Sebbene immediatamente aggettivata come «fortemente competitiva». 14 Per un approfondimento critico di questi aspetti, v. G. Maestro Buelga, I diritti sociali nella Costituzione europea, in Riv. dir. sic. soc., 2006, 89 ss., spec. 118-119. 15 Come si preoccupa di ribadire per ben due volte, ed anche con riferimento agli obiettivi di cui all’art. I-3 Tc, l’art. III-177 Tc con il quale si apre il Capo II (Politica economica e monetaria) della Parte III. 16 B. Veneziani, La Costituzione europea, il diritto del lavoro e le icone della solidarietà, in G. Ferrara, M. Pallini, B. Veneziani (a cura di), Costituzione europea: quale futuro?, Roma, 2006, 9 ss., 30. 17 I. Viarengo, Costituzione europea e politica sociale comunitaria, in Guida lav., 2005, n. 17, 28 ss., 32.

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considerazione le effettive competenze sociali e gli strumenti a disposizione dell’Ue.

Il Titolo III della Parte I, relativo alle Competenze dell’Unione, dopo aver stabilito alcuni principi generali in ordine all’esercizio ed alle categorie delle competenze (artt. I-11 e I-12 Tc), individua tra i settori di competenza concorrente tra Unione e Stati membri la «politica sociale, per quanto riguarda gli aspetti definiti nella parte III» (art. I-14.2, lett. b)). Ponendo attenzione a tale parte, deve rilevarsi come le basi giuridiche di intervento dell'Unione, ovvero lo spazio affidato alla competenza legislativa comunitaria in materia di politiche sociali, rimangano praticamente invariate. Per convincersene è sufficiente scorrere le disposizioni del Trattato costituzionale parallelamente a quelle corrispondenti dei trattati vigenti18. La delusione per un tale risultato è inevitabile ove si consideri che l'art. III-210 Tc, il quale ribadisce tutte le esclusioni attualmente contemplate dall'art. 137 TCE19, finisce per porsi in aperto contrasto con la Parte II del Tc (costituita dalla Carta approvata a Nizza), dato che le esclusioni riguardano profili di rilievo centrale nell’ambito dei diritti sociali fondamentali in quella sede enunciati; al riguardo si è condivisibilmente osservato come tale contraddizione venga «definitivamente sancita e costituzionalizzata come specifico tratto “identitario” del diritto del lavoro dell'Unione europea»20. Anche il ricorso al voto a maggioranza qualificata in seno al Consiglio resta assoggettato ai limiti previgenti, secondo quanto stabilito dal par. 3 dell'art. III-210 Tc, il quale d’altro canto ribadisce la possibilità di ricorrere alla passerella interna con le stesse modalità e negli stessi settori già individuati dall’attuale art. 137 TCE21. Assai modesti, peraltro, appaiono i meriti della 18 Per tutti, v. sul punto B. Veneziani, La Costituzione europea, il diritto del lavoro…, op. cit., spec. 35-50, nonché S. Giubboni, Lavoro e diritti sociali nella “nuova” Costituzione europea. Spunti comparatistici, in Dir. lav. merc., 2004, 557 ss. 19 Che, com’è noto, non si applica alle retribuzioni, al diritto di associazione sindacale e al diritto di sciopero. 20 Così S. Giubboni, Lavoro e diritti sociali…, op. cit., 565. 21 La previsione, dunque, non ha determinato alcuna estensione diretta della regola della maggioranza qualificata né ha liberato il tema della sicurezza e protezione sociale dei lavoratori dall’esclusione della passerella interna (di cui all’art. III-210.1, lett. c)), “accanimento”, quest’ultimo, che può solo spiegarsi con le preoccupazioni degli Stati membri circa la salvaguardia della propria autonomia impositiva. D’altro canto merita di essere segnalato come il Tc assoggetti la materia della sicurezza sociale alla procedura legislativa ordinaria (e quindi alla regola della maggioranza qualificata) quando essa viene in rilievo sotto il profilo del coordinamento dei regimi legali nazionali, come stabilito dall’art. III-136 Tc, inserito nella Sezione II (Libera circolazione delle persone e dei servizi) del Capo I (Mercato interno) di cui alla nuova Parte III. In questo caso l'intervento normativo sovranazionale è funzionale (piuttosto che ai diritti dei lavoratori) alla garanzia della libera circolazione del fattore lavoro nel mercato interno, da realizzarsi appunto tramite il coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale degli Stati membri: l'estensione della regola

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previsione, che ha comunque evitato gli arretramenti che sarebbero derivati dalla necessità di dover ricorrere anche in ambito sociale alle procedure di revisione costituzionale previste dalla parte IV del Trattato per rendere operative le passerelle22. Una considerazione a parte merita la norma contenuta nell’art. III-122 Tc che, inserita tra i precetti di applicazione generale destinati ad essere integrati in tutte le politiche comunitarie e in tutti gli interventi strutturali (Titolo I della Parte III), ha riformulato la disposizione relativa ai servizi di interesse economico generale già contenuta nell’art. 16 TCE. La nuova formulazione, nel ribadire la necessità che questi servizi operino in base a principi e condizioni che consentano loro di assolvere i propri compiti, precisa che tali principi e condizioni (in particolare quelle economiche e finanziarie) vengano stabiliti dalla legge europea, introducendo così una nuova base giuridica (ovvero una nuova competenza comunitaria) idonea a sviluppare una vera legislazione europea dei servizi di interesse generale23. Le potenzialità sociali di una tale innovazione, tuttavia, potrebbero restare imbrigliate dal fatto che il campo di applicazione della norma è definito in modo da non poter interagire con la stringente disciplina comunitaria in materia di concorrenza e di aiuti di Stato, come si preoccupa di chiarire l’incipit «fatti salvi gli artt. […] III-166, III-167» (corrispondenti agli artt. 86 e 87 TCE attualmente in vigore)24.

Anche le politiche occupazionali dell’Unione non risultano significativamente rafforzate. La Strategia Europea per l’Occupazione25 viene riproposta nel Trattato costituzionale agli artt. da III-203 a III-208 Tc senza alcuna innovazione sostanziale. In questo modo, anche per il

della maggioranza qualificata e della procedura legislativa ordinaria alla sicurezza sociale dei lavoratori migranti, pertanto, va considerata un riflesso della disciplina sulla libertà di circolazione. Anche in questo (limitato) settore, peraltro, il par. 2 dell’art. III-136 Tc attribuisce ad ogni membro del Consiglio un potere di veto in grado di determinare la sospensione della procedura, nel caso in cui sospetti (!) che l’adozione dell’atto possa comportare una lesione di «aspetti fondamentali del suo sistema di sicurezza sociale, in particolare per quanto riguarda il campo di applicazione, i costi o la struttura finanziaria, oppure ne alteri l’equilibrio finanziario». 22 Artt. IV-443, IV-444 e IV-445 Tc, su cui, per una sintetica ma efficace disamina, v. J. Ziller, La nuova Costituzione europea, II ed., 2004, Bologna, 54-58. 23 Cfr. la Relazione finale del Gruppo XI, par. 32. 24 Al riguardo, però, v. le diverse considerazioni di C. Vigneau, La Costituzione europea nella prospettiva dell’Europa sociale: progressi dalla portata incerta, in Dir. lav. merc., 2006, 123 ss., 134-135. Per una ampia trattazione delle problematiche relative ai servizi pubblici nel quadro evolutivo dell’Unione europea, v. C. Iannello, Poteri pubblici e servizi privatizzati. L’«idea» di servizio pubblico nella nuova disciplina interna e comunitaria, Torino, 2005. 25 Per una sintetica disamina delle origini e dei caratteri di questa specifica politica comunitaria, sia consentito il rinvio a M.M. Mutarelli, L’occupazione in Europa: politiche e procedure di una strategia evolutiva, in G. Ferraro (a cura di), Sviluppo e occupazione nel mercato globale, Milano, 2004, 393 ss.

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futuro, la SEO sembra destinata a rimanere subalterna rispetto alle politiche ed ai risultati economici26, senza che a contrario possano essere invocate la nuova aspirazione comunitaria alla «piena occupazione» o la generale necessità di una coerenza tra tutte «le varie politiche e azioni» di cui all’intera Parte III27. Peraltro, oltre che dall’art. III-117 Tc, che su un piano generale si limita a dichiarare l’impegno dell’Unione di tenere conto nell’attuazione delle proprie politiche ed azioni «delle esigenze connesse con la promozione di un livello di occupazione elevato»28, la «credibilità»29 degli impegni comunitari in materia di occupazione è ridimensionatata dall’art. I-15 Tc, il quale – dedicato con qualche ambiguità letterale al Coordinamento delle politiche economiche ed occupazionali – si limita a ribadire i poteri dell’Unione in materia, guardandosi bene dal porre su di un piano unico il coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri con quello delle politiche per l'occupazione: la necessità di una coerenza interna tra le politiche intraprese dall’Ue in tali settori risulta brutalmente aggirata, come esplicitato dalla formulazione stessa della norma che dedica il par. 1 alle politiche economiche ed il par. 2 alle politiche occupazionali, senza preoccuparsi di determinare alcuna connessione tra le due previsioni30.

A fronte della stasi sia delle politiche sociali comunitarie che di quelle occupazionali, la definizione di un progetto sociale dell’Unione non pare davvero potersi rinvenire negli strumenti di implementazione (intrinsecamente neutrali) che ne caratterizzano le procedure ancillari: il dialogo sociale e il metodo aperto di coordinamento. Quanto al primo, nonostante il ruolo delle parti sociali possa risultare rafforzato da una attenta lettura delle pertinenti disposizioni del Trattato31, esso – strutturalmente, nel contesto normativo europeo32 – è inidoneo comunque a travalicare i limiti e le funzioni dei modelli di governance, orientati alla gestione ed alla costruzione del consenso (nell’ottica della

26 Come deriva dalla necessità, transitata nell’art. III-204 Tc, della coerenza con gli indirizzi di massima per le politiche economiche. 27 Così testualmente (e genericamente) prevede l’articolo di apertura di tale parte (art. III-115 Tc). 28 Degradando il riferimento alla piena occupazione contenuto nell’art. I-3 Tc. 29 G. Ferrara, Il fallimento del Trattato costituzionale europeo come occasione per rilegittimare un’Europa sociale, in G. Ferrara, M. Pallini, B. Veneziani (a cura di), Costituzione europea…, op. cit., 93 ss., 105. 30 Restano, pertanto, evase le ragioni di fondo della menzione paritetica (l’intitolazione dell’articolo è decisamente fuorviante) sottolineate dal Gruppo XI nei lavori preparatori (cfr. parr. 48-50 della Relazione finale). 31 Per tutti, v. B. Veneziani, Il ruolo delle parti sociali nella Costituzione europea, in Riv. giur. lav. prev. soc., 2006, I, 471 ss. 32 In proposito è obbligato il rinvio a A. Lo Faro, Funzioni e finzioni della contrattazione collettiva comunitaria, Milano, 1999.

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sussidiarietà orizzontale) piuttosto che al rafforzamento e all’espansione dei diritti attraverso le forme proprie del conflitto sociale33.

Quanto al MAC, poi, la sua mancata “costituzionalizzazione”34 recide alla base le controverse prospettive di una estensione di quel modello alla decisiva e delicata materia dei diritti sociali fondamentali35, non parendo sostenibile36 (e nemmeno auspicabile), al riguardo, soppiantare l’assenza di una disciplina organica con interpretazioni estensive degli artt. I-15 e I-48 Tc37.

Se competenze e strumenti d’intervento sociali dell’Unione europea si presentano con caratteristiche sostanzialmente immutate rispetto all’assetto comunitario (pre)esistente38, le aspettative di un più avanzato riconoscimento della cittadinanza sociale europea vanno riposte

33 In quest’ordine di idee, cfr. le osservazioni di B. Veneziani, op. ult. cit., spec. 478-483, il quale rileva come il Trattato costituzionale non solo non abbia definito un vero sistema di relazioni industriali idoneo a costituire uno strumento di integrazione sociale positiva (mancandone il necessario presupposto, ovvero il riconoscimento dei diritti sindacali transnazionali), ma come non abbia nemmeno incrementato la gamma delle possibili competenze delle parti sociali o rafforzato la natura strutturale del dialogo sociale. 34 Nonostante la progressiva espansione a settori diversi da quello di originaria elezione (SEO) ne avesse connotato nel recente passato il crescente «trionfo» (così S. Sciarra, La costituzionalizzazione dell’Europa Sociale…, op. cit., 6), accompagnato dal benevolo sguardo della dottrina (cfr. i contributi raccolti in M. Barbera (a cura di), Nuove forme di regolazione: il Metodo Aperto di Coordinamento delle politiche sociali, Milano, 2006) e dall’interessato incitamento delle istituzioni comunitarie e nazionali (in chiave critica, v., da ultimo, E. Ales, Dalla politica sociale europea alla politica europea di coesione economica e sociale. Considerazioni critiche sugli sviluppi del modello sociale europeo nella stagione del metodo aperto di coordinamento, in WP CSDLE Massimo D’Antona, n. 51/2007), la formalizzazione istituzionale del MAC – di fatto già applicato in numerosi settori con alcune significative variazioni (per un esame d’insieme v. J. Kohl, T. Vahpahl, The “Open Method of Coordination” as an Instrument for Implementing the Principle of Subsidiarity?, in WP CSDLE Massimo D’Antona, n. 62/2005) – non ha trovato spazio nel Trattato costituzionale: una mera «allusione» (J. Ziller, La nuova Costituzione, op. cit., 185) al metodo aperto di coordinamento è contenuta nell’art. I-15.3 Tc, che si limita a stabilire che «l’Unione può prendere iniziative per assicurare il coordinamento delle politiche sociali degli Stati membri», mentre l’art. III-213 Tc, modificando l’art. 140 TCE, si è limitato ad integrarne le disposizioni prevedendo iniziative della Commissione nel solco del coordinamento aperto (cfr. I. Viarengo, Costituzione europea…, op. cit., 32-33). 35 S. Sciarra, La costituzionalizzazione dell’Europa Sociale…, op. cit., 15-19. V., al riguardo, le osservazioni (non esenti da una condivisibile cautela) di S. Giubboni, Lavoro e diritti sociali…, op. cit., 570. 36 Come invece sembra ritenere C. Pinelli, Diritti e politiche sociali nel progetto di Trattato costituzionale europeo, in Riv. dir. sic. soc., 2004, 477 ss., 486. 37 Per un approfondimento delle implicazioni dell’art. I-48 Tc, dedicato a Le parti sociali e il dialogo sociale autonomo, v., ancora, B. Veneziani, Il ruolo delle parti sociali…, op. cit., spec. 483-488. 38 Come non manca di rilevare B. Veneziani, La Costituzione europea, il diritto del lavoro…, op. cit., 42, «sono transitati nella riforma la logica ed il senso della trama normativa precedente con una numerazione aggiornata».

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altrove, valorizzando39, del legame tra appartenenza individuale e ordinamento giuridico europeo, la dimensione normativa40, e indirizzando l’indagine verso quella parte della riforma operata dal Trattato costituzionale che rappresenta, in tal senso, «il pregio maggiore dell’intera operazione»41: il riconoscimento dei diritti fondamentali (anche sociali) derivante dall’incorporazione della Carta di Nizza nella Parte II del Trattato costituzionale42.

3. L’adesione dell’Ue alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Nell’esaminare la portata delle innovazioni apportate dal Trattato costituzionale in termini di diritti sociali e le principali questioni che esse aprono, va chiarita l’importanza delle previsioni contenute nel par. 2 dell’art. I-9 Tc43, disposizione che affronta il controverso rapporto tra Ue e CEDU44. Tale questione, a volte ingiustamente sottovalutata dalla dottrina che si è occupata specificamente di diritti sociali, merita di essere in questa sede richiamata in considerazione della possibile rilevanza in

39 Cfr. C. Pinelli, Diritti e politiche sociali…, op. cit., 487. 40 Come parte essenziale del discorso della cittadinanza emerso nell’epoca contemporanea: v. P. Costa, Civitas. Storia della cittadinanza in Europa, Roma-Bari, 1999-2001. 41 Così G. Arrigo, I diritti sociali fondamentali nell’ordinamento comunitario, in Dir. lav. merc., 2005, 275 ss., 279. 42 Sul tema, cfr. G. Bronzini, La costituzione europea e il suo modello sociale: una sfida per il Vecchio continente, in Dem. dir., 2003, 174 ss. 43 L’art. I-9 Tc, intitolato Diritti Fondamentali, stabilisce nei suoi tre paragrafi alcuni principi generali ai fini della definizione del rango e dell’estensione della tutela dei diritti fondamentali nell’Unione europea. L’opportunità di tale disposizione, che manifesta una visione unitaria dei diritti fondamentali, è di tutta evidenza ove si consideri che tali diritti risultano menzionati in più luoghi del Trattato: oltre al Preambolo, fanno ad essi riferimento alcuni Titoli della Parte I e l'intera Parte II (anch’essa dotata di un proprio Preambolo, che riproduce integralmente – ed inspiegabilmente – quello della Carta approvata a Nizza), con significativi riferimenti, specialmente in materia sociale, anche nella Parte III. Rinviandosi infra l’esame dei parr. 1 e 3, va qui rimarcata la collocazione della norma nel contesto del nuovo Trattato: i diritti fondamentali (uniti alla cittadinanza dell'Unione nello stesso Titolo II) si collocano tra Definizione e obiettivi dell'Unione (Titolo I) e Competenze dell'Unione (Titolo III), in una posizione assai significativa ove si consideri che gli Stati membri conferiscono all’Unione le competenze necessarie a conseguire gli obiettivi comuni, ed è proprio in relazione all'esercizio di queste competenze che la tutela dei diritti fondamentali costituisce non solo un limite (negativo) ma anche una modalità (positiva) per il conseguimento degli obiettivi generali di cui all’art. I-3 Tc (su cui v. infra). 44 Per una ampia e articolata analisi del quale si rinvia a P. Manin, L’adesione dell’Unione europea alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in L.S. Rossi (a cura di), Il Progetto di Trattato-Costituzione. Verso una nuova architettura dell’Unione europea, Milano, 2004, 255 ss.

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ambito sociale dei diritti e delle libertà tutelate dal Consiglio d’Europa45, nella prospettiva della loro integrazione nell’ordinamento giuridico comunitario46. Infatti, pur essendo la CEDU prevalentemente rivolta alla protezione di libertà e diritti civili c.d. di prima generazione, l’impatto di tale documento non è del tutto irrilevante in materia sociale47: da un lato è possibile identificare norme prescrittive di contenuto sociale in forma diretta, come l’art. 4 della CEDU (che proibisce la schiavitù e il lavoro forzato) o l’art. 11 (libertà di riunione e di associazione, anche sindacale); da un altro, non vanno sottovalutate le ricadute, sia pure in via indiretta, del principio di non discriminazione (art. 14 CEDU) e, soprattutto, del diritto di proprietà garantito dall’art. 1 del Protocollo 1 della CEDU, che ha rappresentato in più di una circostanza la base normativa per tutelare diritti a prestazioni economiche in materia previdenziale48; infine, parimenti significativi sono i casi in cui la CEDU può offrire una protezione occasionale ad istanze di carattere sociale49.

45 Sul tema, per tutti, v. ora H. Collins, The Protection of Civil Liberties in the Workplace, in Mod. Law Rev., 2006, 619 ss. 46 La Corte di Giustizia con riferimento all’assetto della Comunità e degli Stati membri non ha mancato di preconizzare per tempo, insieme alle implicazioni istituzionali, anche le conseguenze sul piano normativo derivanti da tale integrazione: v. Corte di Giustizia, Parere del 28 marzo 1996, n. 2/94, in Racc., 1996, I-1763 ss., parr. 34-35. Negli ultimi anni, peraltro, la Corte di Giustizia si è trovata a dover valutare la legittimità di comportamenti degli Stati membri imposti dalla necessità di rispettare i diritti sanciti nella CEDU ma in aperta violazione delle previsioni del Trattato; per una fattispecie attinente al diritto di sciopero, v. Corte di Giustizia, sentenza del 12 giugno 2003, causa C-112/00, Eugen Schmidberger, Internazionale Transporte und Planzüge c. Austria, in Racc., 2003, I-5659 ss., spec. punti 69-81, in Riv. giur. lav. prev. soc., 2004, II, 157 ss. (con esaustivo commento di V. Brino, La Corte di Giustizia europea e il processo di valorizzazione dei diritti fondamentali: la libertà d’espressione e di riunione come limite ad una libertà fondamentale del Trattato), nonché in P. Mengozzi (a cura di), Casi e materiali di diritto comunitario e dell’Unione europea, IV ed., 2006, 630 ss.; il caso è anche esaminato da G. Facenna, Freedom of Expression and Assembly vs. Free Movement of Goods, in Eur. Hum. Rights Law Rev., 2004, 73 ss. 47 V., ad esempio, la giurisprudenza analizzata da G. Cinelli, La tutela dei diritti sociali nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in Riv. dir. sic. soc., 2006, 731 ss. Più in generale può osservarsi come, nell’interpretazione della CEDU sviluppata recentemente dalla Corte di Strasburgo, sia possibile rilevare una crescente tendenza ad un approccio integrato sui diritti civili, idoneo a ricomprendervi esplicitamente contenuti sociali sul presupposto dell’inviolabilità, in ogni circostanza e rapporto, della dignità umana. Per alcune interessanti riflessioni in tal senso, originate dall’esame di una recente pronuncia della Corte, v. V. Mantouvalou, Work and private life: Sidabras and Dziautas v Lithuania, in Eur. Law Rev., 2005, 573 ss. 48 Su cui v. A. Ojeda Avilés, La «proprietà delle pensioni» nel diritto europeo e i suoi riflessi nel diritto spagnolo, in Riv. dir. sic. soc., 2003, 117 ss. 49 Per fare qualche esempio tratto dalla casistica più recente, l’art. 13 della CEDU, che attribuisce il diritto ed un ricorso giudiziale effettivo, ha consentito di sanzionare il mancato pagamento dei crediti retributivi di un lavoratore in una procedura fallimentare, v. Corte

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Ebbene, l'art. I-9.2 Tc dichiara che l'Unione «aderisce» alla CEDU, espressione che, pur non conseguendo in via automatica l’adesione, non solo dota le istituzioni comunitarie di un indispensabile strumento normativo50, ma risolve anche – in via definitiva – l’altalenante dibattito circa l’opportunità di una partecipazione dell'Unione alla CEDU51. Senza entrare nel merito delle soluzioni ai numerosi problemi di natura tecnica tuttora persistenti52, va evidenziato come l’effettiva adesione dell’Ue alla CEDU determinerebbe un incremento della tutela dei diritti fondamentali attraverso l’estensione, alle istituzioni dell’Ue, del controllo giudiziale specializzato ed esterno garantito dalla Corte di Strasburgo (il quale si aggiungerebbe – senza sostituirlo – a quello garantito sul piano interno dalla Corte di Giustizia53). Troverebbero adeguata soluzione, altresì, i problemi connessi, da un lato, al progressivo trasferimento di competenze all’Unione da parte degli Stati membri – i quali, si è osservato, «potrebbero ritenersi liberati da taluni obblighi derivanti dalla loro partecipazione alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in quanto non più in grado di controllare il rispetto dei diritti umani nelle materie

europea dei diritti dell’uomo, ricorso n. 15535/02, sentenza 2 febbraio 2006, Chizzotti/Italia, mass. in Dir. com. int., 2006, n. 2, 73-74; l’art. 6 della CEDU, che riconosce il diritto ad una ragionevole durata dei processi, ha consentito di sanzionare il ritardo nella reintegrazione di un lavoratore illegittimamente licenziato, v. Corte europea dei diritti dell’uomo, ricorso n. 23878/02, sentenza 29 settembre 2005, Strungariu/Romania, mass. in Dir. com. int., 2005, n. 6, 94. 50 La Corte di Giustizia, nel Parere del 28 marzo 1996, n. 2/94, cit., nonostante le sollecitazioni provenienti da parte della dottrina e dalle istituzioni europee, aveva escluso che la Comunità potesse aderire alla CEDU, in quanto tale possibilità, non prevista dal Trattato, avrebbe dovuto essere esplicitamente riconosciuta da una modifica del Trattato stesso. 51 Nella formula usata nel progetto di Trattato trasmesso dalla Convenzione europea il 18 luglio 2003 si utilizzava, invece, l’espressione «l'Unione persegue l'adesione» alla CEDU. Nonostante il mutamento terminologico non sembri comportare alcuna conseguenza pratica, la nuova formulazione appare idonea ad escludere ogni residuo dubbio circa l’adesione dell’Ue alla CEDU, e dunque eventuali margini di azione per ritardare l’adesione (si spinge a configurare un vero e proprio obbligo di condotta a carico delle istituzioni comunitarie P. Manin, L’adesione dell’Unione europea alla Convenzione…, op. cit.; nello stesso senso, significativamente, v. la Nota introduttiva a Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, Senato della Repubblica, Roma, 2004, XXII, curata dal Servizio Affari internazionali – Ufficio dei rapporti con le istituzioni dell’Unione europea ). 52 Anche dopo la modifica all’art. 59 della CEDU operata dall’art. 17 del Protocollo n. 14 adottato il 12 maggio 2004, tali problemi non possono ritenersi risolti (in senso contrario, invece, J. Ziller, La nuova Costituzione…, op. cit., 72), come si evince dal rapporto dello Steering Committee for Human Rights, Study of Technical and Legal Issues of a Possibile EC/EU Accession to the European Convention on Human Rights, doc. DG-II(2002)006 del 28 giugno 2002). 53 E concorrerebbe, peraltro, a ridurre le diversità dei contenuti, in materia di diritti fondamentali, tra Stati aderenti al (solo) Consiglio d’Europa e Stati membri dell’Unione europea, agevolando l’armonizzazione anche giurisprudenziale.

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trasferite»54 –, dall’altro alla crescente esigenza di consentire alla stessa Ue di difendere direttamente la legittimità dei propri atti dinanzi ai giudici di Strasburgo55. A fronte di tali vantaggi, i possibili inconvenienti dell’adesione non sembrano poter costituire fondate preoccupazioni56. Non pare, innanzitutto che l’adesione dell’Ue alla CEDU (e le conseguenti possibilità di intervento della Corte di Strasburgo) possa determinare la fine del potere esclusivo della Corte di Giustizia di pronunciarsi sulla validità degli atti comunitari e dunque un indebolimento dell’autonomia del diritto comunitario in generale57: la Corte di Strasburgo, infatti, pur avendo il potere di accertare la violazione dei diritti umani previsti dalla CEDU, non acquisterebbe il potere di annullare atti comunitari o sentenze della Corte di Giustizia, in ordine alle quali ogni decisione resterebbe di competenza delle istituzioni dell’Ue in sede di esecuzione della sentenza58. In secondo luogo, non pare che l’adesione alla CEDU possa 54 Così U. Villani, I diritti fondamentali tra Carta di Nizza, Convenzione europea dei diritti dell’uomo e progetto di Costituzione europea, in Dir. Un. eur., 2004, 73 ss., 111. 55 Allo stato attuale, infatti, la Corte di Strasburgo, ancorché formalmente adita con ricorsi diretti contro Stati membri dell’Ue, non ha escluso la propria competenza a sindacare atti e situazioni derivanti dall’ordinamento comunitario: v. Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza del 4 luglio 2000, Guérin Automobiles c. i 15 Stati dell’Unione europea; Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 23 maggio 2002, SEGI e altri e GESTORAS Pro Amnistia c. Germania, Austria, Belgio, Danimarca, Spagna, Finlandia, Francia, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Olanda, Portogallo, Regno Unito e Svezia (in entrambe le circostanze, tuttavia, la Corte ha potuto evitare di pervenire ad una pronuncia di condanna dichiarando i ricorsi irricevibili). Peraltro nella causa n. 56672/00, Senator Lines c. i 15 Stati membri dell’Unione europea, proprio per consentire un embrionale diritto di difesa alle istituzioni comunitarie, la Corte di Strasburgo ha autorizzato la Commissione Ue a presentare osservazioni scritte (v., sul caso, E. Bergamini, L’intervento amicus curiae: recenti evoluzioni di uno strumento di common law fra Unione europea e Corte europea dei diritti dell’uomo, in Dir. com. sc. int., 2003, 181 ss.). Non vi è dubbio, nella prospettiva di un probabile incremento dei procedimenti rivolti a sindacare la legittimità di atti riferibili all’Ue, che l’adesione di quest’ultima alla CEDU consentirebbe una piena partecipazione ai processi innanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, con l’esperibilità di tutti i mezzi di difesa disponibili. 56 Come emerge chiaramente dai lavori del Gruppo II (Carta europea dei diritti fondamentali). Per una sintesi del dibattito sviluppatosi nel Gruppo II, unitamente ad una valutazione critica dei risultati, v. S. Gambino, Diritti fondamentali europei e Trattato Costituzionale, in Pol. dir., 2005, 3 ss., spec. 28-48. 57 Anche «dopo l’adesione, la Corte di Giustizia continuerebbe ad essere l’unico arbitro supremo delle questioni relative al diritto dell’Unione e della validità degli atti dell’Unione stessa; la Corte europea dei diritti dell’uomo non potrebbe pertanto essere qualificata un tribunale superiore, ma piuttosto un tribunale specializzato che esercita un controllo esterno sugli obblighi di diritto internazionale dell’Unione derivanti dalla sua adesione alla CEDU. Lo status della Corte di Giustizia sarebbe analogo a quello attuale delle Corti costituzionali o delle giurisdizioni supreme nazionali rispetto alla Corte di Strasburgo». Così la Relazione finale del Gruppo II. 58 Il dibattito sul punto può forse spiegarsi come l’effetto di una inconsapevole trasposizione a livello comunitario delle diverse esperienze nazionali maturate in ambito CEDU,

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comportare una alterazione del riparto di competenze tra Unione e Stati membri59. Da un lato, infatti, l'art. I-9.2 Tc si preoccupa di precisare che «l'adesione alla CEDU non modifica le competenze dell'Unione definite nella Costituzione», sottolineando quindi che la tematica della tutela dei diritti fondamentali non sconfinerà dai limiti dell’esercizio delle competenze delegate; dall’altro il problema della possibile ingerenza, in materia, della Corte europea dei diritti dell’uomo – nel caso in cui ad essere sindacato fosse un provvedimento di uno Stato membro di cui non possa escludersi prima facie la doverosità sul piano del diritto comunitario – può risolversi alla radice attraverso l’istituzione di un meccanismo di condanna in solido dello Stato membro e dell’Unione europea, lasciando a questi ultimi la ripartizione tra loro delle (solidalmente accertate) responsabilità60.

4. L’incorporazione e la rinnovata posizione dei diritti fondamentali.

Come anticipato, nella Parte II del Trattato costituzionale – per una decisione della Convenzione europea per certi versi inevitabile61, per

sembrando la soluzione opposta a quella qui prefigurata un riflesso dell’approccio monista tipico di alcuni ordinamenti. 59 Problema ben presente sia nei lavori del Gruppo II della Convenzione europea che in quelli della Conferenza intergovernativa: il Protocollo n. 32, relativo all'art. I-9.2 Tc e allegato al nuovo Trattato di Roma, precisa, all'art. 1, che l'eventuale accordo relativo all'adesione dell'Ue alla CEDU dovrà preservare «le caratteristiche specifiche dell'Unione e del diritto dell'Unione», con particolare riferimento alla determinazione dei «meccanismi necessari per garantire che i procedimenti avviati da Stati terzi [...] siano indirizzati correttamente, a seconda dei casi, agli Stati membri e/o all'Unione». Sotto altro profilo, poi, va evidenziato come il richiamato Protocollo, all’art. 2, stabilisca che l'accordo di adesione dovrà «garantire» pienamente la salvaguardia delle deroghe e delle particolari situazioni degli Stati membri derivanti dai vari protocolli addizionali alla CEDU e dalle riserve a questa apposte. Sui problemi relativi al riparto di competenze ed ai connessi rischi di sovrapposizione tra Corte di Strasburgo e Corte di Lussemburgo, v. S.P. Panunzio, I diritti fondamentali e le Corti in Europa, in Id. (a cura di), I diritti fondamentali e le Corti in Europa, Napoli, 2005, 3 ss., e L.M. Diez-Picazo, Le relazioni tra Unione europea e Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ivi, 267 ss. 60 Secondo la proposta (c.d. meccanismo del secondo convenuto), avanzata dal giudice della Corte europea dei diritti dell’uomo Marc Fischbach e discussa nei lavori del Gruppo II della Convenzione europea (Doc. CONV 295/02 WG II 10, del 26 settembre 2002). Una simile previsione ben potrebbe essere inserita in un protocollo addizionale all’atto dell’effettiva adesione dell’Ue alla CEDU. 61 Cfr. J. Ziller, La nuova Costituzione…, op. cit., 71-72, che rileva: «non era […] il caso di rimettere mano a un testo che, oltre ad essere il risultato di lavori approfonditi, nasceva, soprattutto, come frutto di delicati compromessi […]. Quale che sia, dunque, l’opinione che si ha di questo o quell’articolo della Carta, bisogna comprendere che per la Convenzione l’opzione rispetto al testo già esistente era di prenderlo o lasciarlo».

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altri sorprendente62 – è stata incorporata per intero la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea approvata a Nizza. In questo modo ha trovato soluzione il problema della natura giuridica dei diritti fondamentali riconosciuti nel catalogo: prima della sua integrazione nel Trattato, infatti, la Carta di Nizza risultava essere stata semplicemente proclamata, sia pure in forma solenne, dalle principali istituzioni europee, con un atipico procedimento di approvazione idoneo a configurare nulla più di un accordo interistituzionale63. La posizione esterna della Carta e la mancanza di un qualunque collegamento con i Trattati avrebbero dovuto rappresentare argomenti sufficienti ad escludere alla radice un qualunque effetto normativo delle sue disposizioni64. Così, tuttavia, non è stato, e la discussione sul valore giuridico del documento è proseguita in conseguenza del fatto che, da un lato, alcune istituzioni comunitarie si sono riferite alla Carta nella loro attività65, dall’altro il valore ricognitivo della Carta ha manifestato una insospettabile66 forza attrattiva, determinando l’utilizzazione delle sue disposizioni – sia pure in chiave prevalentamente interpretativa – in numerosi procedimenti giurisdizionali67. Si è così evidenziato il rischio di un incremento delle

62 S. Giubboni, Lavoro e diritti sociali…, op. cit., 571. 63 Cfr. K.J. Jacqué, La Charte des droits fondamentaux de l’Union européenne: présentation générale, in L.S. Rossi (a cura di), Carta dei diritti fondamentali e costituzione dell’Unione europea, Milano, 2002, 79 ss. 64 V. almeno U. De Siervo, L’ambigua redazione della Carta dei diritti fondamentali nel processo di costituzionalizzazione dell’Unione europea, in Dir. pub., 2001, 33 ss., 45-46; V. Angiolini, Carta dei diritti dell’Unione europea e diritto costituzionale: incertezze apparenti e problemi veri, ivi, 923 ss., 926; G. Ferrara, La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea: un atto giuridicamente non identificabile, in Atti della giornata di studio in memoria di Paolo Barile (Firenze, 25 giugno 2001). 65 Oltre al Parlamento europeo, che utilizza la Carta come base per le sue revisioni annuali della situazione dei diritti fondamentali nell'UE, il Consiglio compie spesso riferimenti alla Carta nei propri atti e la Commissione considera la Carta come un documento vincolante per la propria attività ed ha anche istituito procedure interne per garantirne la conformità (cfr. Comunicazione della Commissione, Applicazione della Carta, SEC 380/3, del 13 marzo 2001). In recente e significativa controtendenza, però, v. il Regolamento CE n. 168/2007 del Consiglio, del 15 febbraio 2007, che istituisce l’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali, il quale, all’art. 3, prevede che nello svolgimento dei suoi compiti l’Agenzia dovrà fare riferimento ai diritti definiti nell’art. 6.2 TUE e non a quelli riconosciuti dalla Carta di Nizza. 66 Ma non per tutti: v. A. Spadaro, Sulla “giuridicità” della Carta europea dei diritti: c’è ma (per molti) non si vede, in G.F. Ferrari (a cura di), I diritti fondamentali dopo la Carta di Nizza. Il costituzionalismo dei diritti, Milano, 2001, 257 ss. 67 V., tra i più recenti, Corte di Giustizia, sentenza 13 marzo 2007, causa C-432/05, Unibet (London) Ltd, Unibet (International) Ltd c. Justitiekanslern, punto 37; Corte di Giustizia, sentenza 27 giugno 2006, causa C-540/03, Parlamento c. Consiglio, punto 38. Sul tema G. Bisogni, G. Bronzini, V. Piccone (a cura di), I giudici e la Carta dei diritti dell’Unione europea, Taranto, 2006 (ivi anche un completo elenco dei provvedimenti della Corte di

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incertezze applicative della Carta, sottoposta ad un processo selettivo occasionale e frammentario legato di volta in volta alle esigenze argomentative degli organi giurisdizionali, privo di linearità sia negli esiti che nel metodo. Il Trattato costituzionale risolve nel modo più radicale questa insicurezza giuridica sui diritti fondamentali68: l’incorporazione della Carta di Nizza nella Parte II del Tc, non solo conferisce una efficacia giuridica piena ai diritti fondamentali riconosciuti del catalogo, ma li eleva al rango di norme primarie dell’ordinamento comunitario, in posizione del tutto equiordinata con le altre disposizioni del Trattato.

In tal senso rilevano anche i parr. 1 e 3 dell’art. I-9 Tc. Il primo, infatti, afferma che l'«Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali che costituisce la parte II». La norma chiarisce il senso della successiva incorporazione e conferma, insieme all’art. I-6 Tc69, la natura della Carta come parte integrante del diritto primario dell’Unione, qualunque fosse il suo status prima dell'adozione del Trattato costituzionale70. Peraltro è da osservarsi come, in considerazione del rinvio recettizio che la norma dispone, la recisa formula adoperata sarebbe risultata di per sé idonea a troncare il dibattito relativo all’efficacia giuridica della Carta di Nizza anche qualora quest’ultima fosse rimasta in posizione esterna rispetto al Trattato71. Proprio il fatto che la norma, invece, si riferisca alla Carta ormai incorporata, consente di evidenziarne un aspetto di natura simbolica: anticipando il valore della Carta già nella Parte I del Tc, l’art. I-9.1 Tc orienta immediatamente l’interprete verso una lettura delle disposizioni del Trattato opportunamente coordinata con i diritti fondamentali elencati nella Parte II, prevenendo in tal modo le necessità ermeneutiche di una loro considerazione sistematica. Poiché i diritti fondamentali della Carta di Nizza, in sostanza, concorrono pienamente a definire l’assetto normativo primario dell’Ue, essi vengono richiamati in una collocazione capace di esprimere plasticamente la loro posizione equiordinata con le altre norme del Trattato.

Una conferma della nuova e preminente posizione dei diritti fondamentali riconosciuti dalla Carta, anche in relazione ad altre fonti,

Giustizia e del Tribunale di Primo Grado, nonché dei pareri degli Avvocati Generali, che hanno compiuto riferimenti alla Carta di Nizza, 69 ss.). 68 Cfr. U. Villani, I diritti fondamentali…, op. cit., 85. 69 Tale norma, che definisce il diritto dell’Unione, nell’individuare le fonti comunitarie dotate di forza preminente rispetto al diritto degli Stati membri, si riferisce genericamente al Trattato costituzionale, e dunque anche alla sua Parte II. 70 Cfr. G. Arrigo, I diritti sociali fondamentali…, op. cit., 282. 71 Secondo l’alternativa proposta, avanzata da Commissione delle Comunità europee, Comunicazione sulla natura della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, COM (2000) 644, 11 ottobre 2000, di inserire un richiamo alla Carta nell’art. 6 TUE.

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può trarsi, poi, dalla disposizione contenuta nell’art. I-9.3 Tc. Con riferimento ai diritti fondamentali garantiti dalla CEDU e dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, infatti, tale norma specifica che essi «fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali». La formulazione adottata, nonostante rappresenti la ripetizione letterale di quanto già affermato all’art. 6, par. 2, TUE, pare potersi interpretare in modo diverso dalla mera riproposizione delle acquisizioni comunitarie in materia di diritti fondamentali. Nel contesto dell’art. I-9 Tc, infatti, la norma esplicita una diversificazione tra la posizione gerarchica riconosciuta ai diritti fondamentali inseriti nella Parte II del Tc, e quella attribuita ai diritti fondamentali previsti da cataloghi non incorporati (ovvero CEDU – ma solo prima dell’auspicata adesione – e Costituzioni degli Stati nazionali): questi ultimi, al contrario dei primi, sembrano destinati a rimanere confinati nell’alveo dei principi generali, cui è possibile ricorrere solo in via subordinata72 o, al più, sussidiaria73. In questo ordine di idee, dunque, ai diritti fondamentali riconosciuti nella parte II del Trattato si deve riconoscere un rilievo prioritario rispetto a quei principi generali dell’ordinamento comunitario da tempo individuati e riscontrati nella giurisprudenza della Corte di Giustizia74, con conseguente conferma del nuovo carattere primario della Carta75.

5. L’ambito di applicazione della Carta di Nizza dopo la transizione costituzionale.

L’acquisizione di piena efficacia giuridica da parte della Carta di Nizza non riesce, di per sé, a risolvere tutti i problemi relativi all’individuazione dei concreti effetti, nell’ordinamento comunitario, dei diritti fondamentali riconosciuti nella Parte II del Tc. I diritti fondamentali, infatti, risultano richiamati e incorporati nel Trattato insieme a tutti i limiti disposti dalle c.d. clausole orizzontali della Carta (artt. II-111–II-114 Tc, corrispondenti agli artt. 51–54 del catalogo, peraltro oggetto di ulteriori

72 Nella gerarchia delle fonti dell’ordinamento comunitario, i principi generali vengono prevalentemente inseriti ad un livello intermedio tra le norme primarie stabilite dai Trattati e gli atti adottati dalle istituzioni. V., sul punto, G. Gaja, Introduzione al diritto comunitario, Roma-Bari, 2003, 100. 73 P. Acconci, Quale gerarchia delle fonti nel nuovo diritto dell’Unione?, in Dir. Un. eur., 2005, 253 ss., 263. 74 Ex multis, v. ordinanza del 4 febbraio 2000, causa C-17/98, Emesa Sugar (Free Zone) NV c. Aruba, in Racc., 2000, I-665 ss., spec. punti 8-9; per una pronuncia del Tribunale di Primo Grado, v. sentenza del 20 febbraio 2001, causa T-112/98, Mannesmann-rohren Werke AG c. Commissione delle Comunità europee, in Racc., 2001, II-729 ss., punto 60. 75 Del resto, ad ulteriore conferma, l’art. I-6 Tc omette di compiere alcun riferimento ai principi generali.

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interventi limitativi nella transizione “costituzionale”76), e risulta decisivo, per valutare il possibile ruolo dei diritti fondamentali, misurarne il grado di effettività all’interno dei margini concessi da tali clausole77. Preliminarmente, dunque, all’esame del possibile impatto dei nuovi diritti sociali, è su tali clausole che è necessario soffermarsi.

Al par. 1, l'art. II-111 Tc stabilisce che «le disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzioni, organi e organismi dell'Unione […e] agli Stati membri esclusivamente nell'attuazione del diritto dell'Unione. Pertanto, i suddetti soggetti rispettano i diritti, osservano i principi e ne promuovono l'applicazione secondo le rispettive competenze 76 L’incorporazione della Carta nel Tc ha comportato alcuni nuovi interventi sulle disposizioni generali che ne disciplinano l’interpretazione e l’applicazione, con lo scopo evidente di attenuarne ulteriormente la portata. Tali interventi, che consistono nell’inserimento di un nuovo alinea nel Preambolo della Carta stessa, nella riformulazione del par. 2 dell’art. II-111 Tc (già art. 51.2 della Carta), nell’aggiunta di 4 nuovi paragrafi (parr. 4-7) all’art. II-112 Tc (già art. 52 della Carta), rappresentano in buona parte una sorta di «contropartita del conferimento di valore formale alla Carta» (così G. Arrigo, I diritti sociali fondamentali…, op. cit., 283). Una considerazione a parte merita l’art. II-112.7 Tc, il quale stabilisce che «i giudici dell'Unione e degli Stati membri tengono nel debito conto le spiegazioni elaborate al fine di fornire orientamenti per l'interpretazione della Carta dei diritti fondamentali». La precisazione ripropone in veste normativa l’indicazione aggiuntiva inserita nel Preambolo della Carta ed è accompagnata da una dichiarazione iscritta all'Atto finale che riporta le spiegazioni elaborate sotto l'autorità del Presidium della Convenzione europea. Invero, il Presidium della Convenzione che ha redatto la Carta aveva pubblicato tali spiegazioni avvertendo tuttavia esplicitamente che «esse non hanno valore giuridico e sono semplicemente destinate a chiarire le disposizioni della Carta». Il che, paradossalmente – una volta che la Carta ha assunto valore giuridico, – non sarebbe più vero (in questi termini A. Tizzano, Prime note sul progetto di Costituzione europea, in Id. (a cura di), Una Costituzione per l'Europa. Testi e documenti relativi alla Convenzione europea, in Quad. Dir. Un. eur., Giuffrè, 2003, 23). Il richiamo alle spiegazioni, esplicitamente volto ad indurre un'interpretazione guidata di ciascuna disposizione della Carta, è apparso immediatamente un maldestro «tentativo di mettere la sordina alle potenzialità innovative scaturenti […] dall’inserimento della Carta nel Trattato costituzionale» (così S. Giubboni, Verso la Costituzione europea: la traiettoria dei diritti sociali fondamentali nell’ordinamento comunitario, in Riv. dir. sic. soc., 2004, 489 ss., 501). Nonostante dell’efficacia giuridica di una disposizione di tal fatta si possa ampiamente dubitare (sul punto v. le condivisibili considerazioni di M. Cartabia, I diritti fondamentali e la cittadinanza dell’Unione, in F. Bassanini, G. Tiberi (a cura di), La Costituzione europea. Un primo commento, Bologna, 2004, 57 ss., 72; nonché di C. Pinelli, F. Barazzoni, La Carta dei diritti, la cittadinanza e la vita democratica dell'Unione, in F. Bassanini, G. Tiberi (a cura di), Una Costituzione per l'Europa. Dalla Convenzione europea alla Conferenza Intergovernativa, Bologna, 2003, 37 ss., 40; per una più ampia riflessione, anche in chiave storica, A. Gardino Carli, Il legislatore interprete. Problemi attuali in tema di interpretazione autentica delle leggi, Milano, 1997), le spiegazioni del Presidium offrono comunque un punto di vista interno ai lavori delle Convenzioni e dunque, soprattutto in assenza di interpretazioni giudiziali, non è senza utilità una loro considerazione, almeno in questa sede, al fine di verificare la portata normativa delle clausole orizzontali della Carta. 77 Cfr. A. Ferraro, Le disposizioni finali della Carta di Nizza e la multiforme tutela dei diritti dell’uomo nello spazio giuridico europeo, in Riv. it. dir. pub. com., 2005, 503 ss.

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e nel rispetto dei limiti delle competenze conferite all’Unione nelle altre parti della Costituzione». La formulazione della norma, di là dalla differenziazione tra diritti e principi che introduce78, impone una immediata compressione del campo di applicazione della Carta in un duplice ordine di limiti. Da un punto di vista soggettivo, infatti, essa si rivolge alle istituzioni comunitarie ed agli Stati, escludendosi che destinatari delle prescrizioni possano essere i cittadini: l’efficacia della Carta per questi ultimi resterebbe pertanto vincolata alla dimensione esclusivamente verticale. Dal punto di vista oggettivo, poi, gli Stati membri risultano tenuti al rispetto della Carta non in ogni segmento delle proprie attività ma «esclusivamente nell'attuazione del diritto dell'Unione». Questa precisazione, in particolare, rappresenta un significativo ostacolo ai fini della definizione dell’impatto sugli ordinamenti nazionali dei diritti sociali riconosciuti dalla Parte II del Tc, costituendo il principale fondamento delle interpretazioni che escludono l’attitudine della Parte II a costituzionalizzare, sia pure parzialmente, un vero modello sociale europeo79.

La disposizione successiva (par. 2) salvaguarda la delimitazione delle competenze di Unione e Stati membri, preoccupandosi di chiarire con la formulazione più esplicita possibile che la «Carta non estende l'ambito di applicazione del diritto dell'Unione al di là delle competenze dell'Unione, né introduce competenze nuove o compiti nuovi per l'Unione, né modifica le competenze e i compiti definiti nelle altre parti della Costituzione»80. La norma ha una duplice valenza: essa, infatti, oltre ad escludere qualunque alterazione, da parte della Carta, dell’equilibrio tra Unione e Stati membri sancito nel Trattato, sembra voler prevenire ogni effetto di sconfinamento della Carta anche internamente, per così dire, all’ambito delle competenze attribuite all’Unione. In questo senso può leggersi non solo la duplicazione di affermazioni che sembrano implicarsi necessariamente81, ma anche la menzione, accanto alle «competenze»,

78 Su cui si tornerà infra. 79 Come si vedrà infra, tuttavia, è possibile adottare un angolo visuale che non precluda completamente l’efficacia della Carta all’interno degli ordinamenti nazionali. 80 Questa norma risulta parzialmente modificata rispetto al testo originario della Carta di Nizza, che all'art. 51.2 non conteneva alcuna precisazione circa l'impegno della Carta a non estendere l'ambito di applicazione del diritto dell'Unione al di là delle competenze dell'Ue, e conferma il ruolo strumentale dei diritti fondamentali nonostante il loro formale riconoscimento tra le norme primarie del diritto dell’Ue. In sostanza, l’incorporazione della Carta non è sufficiente a determinare la necessità di una attuazione nazionale dei diritti in quella sede riconosciuti se non per i settori che siano di competenza comunitaria. 81 Se non sovrapporsi: è evidente, infatti, che competenze nuove per l’Unione europea rappresentano necessariamente una modifica di quanto stabilito nei Trattati a detrimento delle competenze degli Stati nazionali.

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dei «compiti». Quest’ultimo termine, in particolare, inteso come un richiamo agli obiettivi dei Trattati82, poteva ritenersi – nel contesto preesistente all’incorporazione della Carta di Nizza, non anche in quello successivo – contenere una puntualizzazione di grande rilevanza proprio in materia sociale83, comportando l’esclusione della possibilità di far riferimento alle norme e ai principi contenuti nella Carta per garantire una autonoma attitudine implementativa alla dimensione sociale in tutte le attività dell’Ue. Così, tuttavia, non è più: la revisione degli obiettivi generali dell’Unione, operata dall’art. I-3 Tc, ha comportato un ampliamento degli orizzonti sociali dell’Ue idoneo a ricomprendervi – almeno in questo limitato senso tutto interno alle competenze comunitarie – il rispetto e la promozione dei diritti sociali riconosciuti nella Carta proprio in virtù della genericità (per altri aspetti criticabile84) delle nuove previsioni.

Per quanto attiene alla disciplina della portata e dell’interpretazione della Carta è opportuno circoscrivere l’analisi alle sole disposizioni che assumono rilievo per i diritti sociali85.

Il par. 1 dell’art. II-112 Tc stabilisce che le limitazioni ai diritti, consentite esclusivamente «nel rispetto del principio di proporzionalità» e «laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui», debbano «essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà». Tale statuizione impone una riserva di legge e, in considerazione di tutte le condizioni che

82 Al fine di attribuire un distinto rilievo esegetico alle «competenze» e ai «compiti», infatti, è possibile riconoscere l’autonomia della dimensione quantitativa delle problematiche relative al riparto di «competenze» rispetto alla dimensione qualitativa: le competenze attribuite possono essere esercitate in modo assai diverso in funzione dei diversi «compiti» (o, appunto, obiettivi) perseguiti. 83 Oltre che, naturalmente, su un piano più generale, in quanto la Carta avrebbe visto ridimensionata quella «attitudine a conformare i poteri pubblici e a limitarli», valorizzata in dottrina come effetto del processo di positivizzazione: G.F. Ferrari, I diritti tra costituzionalismi statali e discipline transnazionali, in Id. (a cura di), I diritti fondamentali…, op. cit., 1 ss., 58. 84 V. supra. 85 Infatti, i parr. 3 e 4 dell’art. II-112 Tc si limitano a stabilire, per il caso in cui la Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla CEDU o risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni, la necessità di interpretare i diritti in conformità a tali fonti. In campo sociale, invero, non pare verosimile ipotizzare il rischio di collisioni normative tra la Carta e questi strumenti, dal momento che in quest’ambito la Corte di Giustizia è decisamente riluttante a ricorrere alle tradizioni costituzionali comuni e, quanto alla CEDU (che, come si è già detto, può assumere una incidenza sociale diretta, indiretta o occasionale), l’art. II-112.3 Tc chiarisce che la sua applicabilità – a quanto pare anche dopo l’adesione dell’Ue preconizzata dall’art. I-9.2 Tc – non impedirebbe comunque la prevalenza dei più ampi diritti sociali espressamente sanciti dalla Carta.

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detta ai fini della legittimità di interventi limitativi dei diritti riconosciuti nella Carta, se ne può valutare «il livello di resistenza»86, in conformità con «le acquisizioni più avanzate del pensiero costituzionalistico degli ordinamenti liberaldemocratici»87. In particolare, la definizione della misura in cui è consentito al legislatore restringere la portata dei diritti e delle libertà, ovvero la necessità di dover rispettare comunque il «contenuto essenziale» delle disposizioni della Carta, è volta ad evitare l’utilizzo regressivo di tale clausola limitativa generale da parte del legislatore, impedendo che ne possa risultare travolto il senso stesso del riconoscimento della natura fondamentale dei diritti elencati nella Carta di Nizza88. Da questo punto di vista, invero, non è tanto al legislatore che la norma in esame conferisce discrezionalità89 quanto alla Corte di Giustizia90, cui in ultima analisi spetta il compito di circoscrivere un concetto giuridico dai contorni piuttosto incerti91. Quanto al problema della dimensione – comunitaria o nazionale – della «legge» abilitata ad imporre limitazioni ai diritti fondamentali, l’incorporazione della Carta nel Trattato sembra sciogliere questo nodo. Se nel contesto della Carta il riferimento alla «legge», testualmente non conforme al sistema delle fonti comunitarie, poteva interpretarsi come una delega (anche) ai legislatori degli Stati membri (con i conseguenti rischi di interventi restrittivi nazionali potenzialmente idonei a compromettere il significato del riconoscimento di diritti fondamentali vincolanti a livello europeo), all’interno del Trattato costituzionale (che introduce un nuovo sistema delle fonti comunitarie92) esso pare più coerentemente riferibile alle nuove leggi europee ed alle nuove leggi quadro europee, depotenziando le contrarie argomentazioni lessicali.

Oltre al par. 2 dell’art. II-112 Tc, il quale, stabilendo che i diritti riconosciuti dalla Carta «per i quali altre parti della Costituzione prevedono disposizioni si esercitano alle condizioni e nei limiti ivi definiti»,

86 A. Manzella, Dal mercato ai diritti, in A. Manzella, P. Melograni, E. Paciotti, S. Rodotà, Riscrivere i diritti in Europa. Introduzione alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, Milano, 2001, 41 ss., 44. 87 Così G.F. Ferrari, I diritti tra costituzionalismi…, op. cit., 59. 88 Cfr. T. Groppi, sub Art. 52, in R. Bifulco, M. Cartabia, A. Celotto (a cura di), L’Europa dei diritti. Commento alla Carta di diritti fondamentali dell’Unione europea, 351-356. V. però le diverse valutazioni di U. De Siervo, L’ambigua redazione…, op. cit., 51; nonché G. Ferrara, La Carta dei diritti fondamentali…, op. cit. 89 Così, invece, A. Pace, A che serve la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea? Appunti preliminari, in Giur. cost., 2001, 193 ss. 90 La cui quarantennale giurisprudenza in materia di diritti fondamentali, tuttavia, sembra offre sufficienti garanzie. 91 In questi termini P. Caretti, I diritti fondamentali nell’ordinamento nazionale e nell’ordinamento comunitario: due modelli a confronto, in Dir. pub., 2001, 939 ss., 946. 92 V., in particolare, gli artt. I-33 ss. Tc.

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si limita ad esplicitare una connessione con le altre parti della Costituzione già desumibile in via interpretativa93, rilievo specifico per i diritti sociali rivestono alcune nuove disposizioni aggiunte in fine a tale articolo.

In particolare il par. 5 della norma precisa la differenziazione tra diritti e principi già introdotta dall’art. II-111.1 Tc, prevedendo che le disposizioni della Carta che contengono i secondi «possano essere attuate da atti legislativi ed esecutivi adottati da istituzioni, organi e organismi dell'Unione e da atti di Stati membri allorché essi danno attuazione al diritto dell'Unione, nell'esercizio delle loro rispettive competenze» e possano «essere invocate dinanzi a un giudice solo ai fini dell'interpretazione e del controllo della legalità di tali atti». La norma, che ribadisce anche i limiti della portata delle disposizioni della Carta in relazione al riparto di competenze tra Unione e Stati membri già sancito dall’art. II-111 Tc94, è evidentemente volta a sminuire il significato del riconoscimento dei diritti sociali fondamentali. Tuttavia gli effetti restrittivi che dalla disposizione possono scaturire non vanno enfatizzati95. Innanzitutto, infatti, la demarcazione tra diritti e principi che la norma sancisce non è sovrapponibile a quella, peraltro assai controversa96, tra diritti civili di libertà e diritti sociali97. La disposizione, infatti, non compie

93 Non pare, invero, che alla disposizione si possa attribuire (la responsabilità e) «la funzione di organizzare la compatibilità subalterna al mercato dei diritti sociali», né che essa dimostri l’assenza di una «autonomia normativa» dei diritti sanciti nella Carta (come invece ritiene G. Maestro Buelga, I diritti sociali…, op. cit., 120), in quanto i limiti all’efficacia dei diritti sono strutturalmente connessi alla limitatezza degli obiettivi e delle competenze comunitarie: l’Unione europea non è un ordinamento a fini generali e la tutela dei diritti fondamentali (in quanto tali) non rientra tra i suoi compiti. 94 Ovvero «per segnare limiti il più possibile precisi alla dottrina dell'incorporation», così C. Pinelli, Appunto sulle proposte di modifica alle clausole orizzontali della Carta dei diritti in discussione presso la Convenzione europea, in www.associazionedeicostituzionalisti.it. 95 Cfr. M. Rusciano, Il diritto del lavoro di fronte alla Costituzione europea, in Riv. giur. lav. prev. soc., 2006, I, 891 ss., 903-905. 96 Sul punto v. C. Salazar, I diritti sociali nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea: un “viaggio al termine della notte”?, in G.F. Ferrari (a cura di), I diritti fondamentali…, op. cit., 239 ss., spec. 242. 97 A tal proposito è noto come si confrontino due tesi. Secondo una prima opzione, solo ai diritti civili apparterrebbero quei caratteri di essenzialità connessi ad un ordinamento democratico senza aggettivi, mentre i diritti sociali ne connoterebbero gli aspetti economici (Stato sociale). I diritti sociali, cioè, dipenderebbero dall’attuazione pratica del legislatore, vincolato dalle contingenti esigenze di bilancio (v., ad es., L. Mengoni, I diritti sociali, in Arg. dir. lav., 1998, 1 ss., 2, secondo il quale «mentre i diritti di libertà sono diritti prestatali riconosciuti come mezzi di difesa all’individuo contro il potere politico, i diritti sociali sono diritti positivi a prestazioni pubbliche, discrezionalmente concessi in risposta a pretese emergenti dalla società civile». Nello stesso senso G. Lombardi, Diritti di libertà e diritti sociali, in Pol. dir., 1999, 7 ss.; M.P. Monaco, Mercato, lavoro, diritti fondamentali, in Riv. giur. lav. prev. soc., 2001, I, 299 ss., 311, che definisce i diritti sociali come «diritti

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alcun riferimento a tali categorie98 ma, per così dire, le attraversa perpendicolarmente. Ora, volendo attribuire alla norma un contenuto precettivo che vada oltre la mera riproposizione di concetti scontati alla luce delle esperienze costituzionali nazionali (ovvero che le norme della Carta che non conferiscono una posizione giuridica soggettiva immediatamente azionabile hanno bisogno di un intervento regolamentare o legislativo di attuazione)99, il primo alinea della norma sembra avere la limitata funzione di sgombrare il campo dalla costruzione, in capo alle istituzioni comunitarie e nazionali, di un vero e proprio obbligo giuridico di attuazione dei principi della Carta100. Tali istituzioni, sembra voler significare la norma, dovranno attuare il contenuto dei principi sociali solo ove esse emanino una specifica regolamentazione della materia che ne costituisce l’oggetto. In questo

corrispondenti a un dovere di prestazione da parte dello Stato»). Contro questa concezione, che determina la degradazione dei diritti sociali a mere aspettative compromettendone la natura di elementi del patrimonio giuridico soggettivo dei cittadini, é stata sostenuta l’impossibilità, su un piano rigorosamente giuspositivo, di definire a priori elementi di differenza strutturale tra diritti civili e diritti sociali: se questi ultimi «dipendono, nella concreta realtà, dall’organizzazione dello Stato, […] è pura illusione pensare che lo stesso non sia vero anche per i diritti di libertà» (M. Mazziotti, I diritti sociali, in Enc. dir., Milano, 1964, vol. XII, 806). Da un lato, infatti, qualunque tra i più classici diritti di libertà (come la libertà dagli arresti, la libertà di manifestazione del pensiero, il diritto alla difesa) non potrebbe esplicarsi senza una disciplina pubblica che «ne impedisca la riduzione a mera apparenza» ovvero che intervenga per «l’apprestamento di mezzi concreti per il suo esercizio, epperciò si risolve in un diritto a prestazione» (M. Luciani, Sui diritti sociali, in Dem. dir., 1995, fasc. 4-1994/1-1995, 545 ss., 565, il quale sottolinea come ciò non venga facilmente percepito solo perché quelle prestazioni sono talmente connesse al concetto stesso di Stato di diritto da venire comunemente considerate sue precondizioni naturali). Dall’altro, la struttura tipica dei diritti di libertà si può riconoscere in una moltitudine di diritti pure unanimemente considerati sociali, come il diritto alla salute e, con maggiore evidenza intuitiva, la libertà sindacale e il diritto di sciopero, ma anche il diritto alle ferie, al riposo, a condizioni di lavoro eque e sane, alla giusta retribuzione. Il riconoscimento positivo di tali diritti ne comporta l’immediata applicabilità, che si sostanzia nell’obbligo di assicurarne il rispetto da parte di tutti i cittadini senza che l’ordinamento debba predisporre specifici interventi organizzativi di attuazione, se non con le stesse modalità previste per i diritti di libertà (v., in merito, A. Baldassarre, Diritti sociali (voce), in Enc. giur. Treccani, Roma, 1989, 30-32, che distingue tra diritti sociali di libertà, diritti sociali incondizionati e diritti sociali condizionati, precisando, comunque, come nemmeno questi ultimi possano essere visti come meri principi programmatici indirizzati alla discrezionalità del legislatore ma conservino la struttura di veri e propri diritti quando espressamente garantiti da una fonte superiore alla legge). 98 Così come le spiegazioni elaborate dal Presidium. 99 V., sul punto, M. Rusciano, Il diritto del lavoro…, op. cit., 904; V. Onida, Il problema della giurisdizione, in E. Paciotti (a cura di), La costituzione europea. Luci e ombre, Roma, 2003, 132 ss. 100 Questa lettura valorizza uno spunto offerto in tal senso da O. De Shutter, La garanzia dei diritti e principi sociali nella «Carta dei diritti fondamentali», in G. Zagrebelsky (a cura di), Diritti e Costituzione nell’Unione Europea, Roma-Bari, 2003, 192 ss., 193-194.

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senso può leggersi il secondo alinea dell’art. II-112.5 Tc, il quale sembra, anche alla luce delle spiegazioni elaborate in proposito dal Presidium, escludere che dalla Carta possano derivare degli obblighi prestazionali diversi o ulteriori rispetto a quelli discrezionalmente assunti dalle istituzioni nazionali o comunitarie che si siano attivate per l’attuazione dei principi sociali. Conseguentemente ne risulta smussata la dualità di regime tra i diritti e i principi sociali: se, ai fini della sindacabilità giudiziale di una norma, i diritti possono essere invocati ogni qual volta vi sia un atto comunitario o nazionale di attuazione del diritto dell’Unione, non v’è ragione di ritenere che lo stesso non sia vero anche per i principi101. Per questi ultimi, qualora vi sia un atto comunitario o nazionale che ne costituisca una diretta ed organica attuazione volta ad attribuire ai cittadini determinate prestazioni, vale però la precisazione per cui essi possono essere invocati solo al fine dell’interpretazione o del controllo della legalità di tali atti ma non al fine di introdurre giudizialmente ulteriori prestazioni102. Definita la portata normativa della disposizione, assai incerto rimane comunque il suo ambito di applicazione. Quali norme della Carta costituiscono veri diritti e quali meri principi103? Le spiegazioni dell’articolo in questione predisposte dal Presidium non provano nemmeno a fornire una elencazione delle norme della Carta da includere nell’una o nell’altra classe104, ma si limitano a citare, a titolo esemplificativo, gli artt. II-85, II-86 e II-97 Tc come espressivi della categoria dei principi. Le norme richiamate (rispettivamente dedicate ai diritti degli anziani, all’inserimento dei disabili e alla tutela dell’ambiente) presentano, in effetti, formulazioni

101 In questi termini S. Giubboni, Lavoro e diritti sociali…, op. cit., 573, che aggiunge: «In realtà, una volta costituzionalmente affermati, anche i principi sociali fondamentali non possono non essere sempre e comunque rispettati e osservati – in sede interpretativa – dal giudice dinanzi al quale siano invocati». 102 In sostanza la dualità di regime tra diritti e principi sembra essere stata dettata ai redattori della Carta dalla preoccupazione di arginare le potenzialità creative della Corte di giustizia ed i connessi rischi di un gouvernement des juges nel delicato settore delle erogazioni sociali. Cfr., sul punto, S. Gambino, Diritti fondamentali europei…, op. cit., 38. 103 Va peraltro notato come contro la possibilità di una classificazione delle norme della Carta nelle categorie dei diritti e dei principi militino, da un punto di vista letterale, il fatto che pressoché tutte le disposizioni siano formulate in termini di diritti nonché, da un punto di vista sistematico, il principio di indivisibilità intorno al quale è organizzata la Carta («l'affermazione che i valori sui cui l'Unione si fonda sono indivisibili, oltre che universali, non è compatibile con quella che alcuni dei diritti che da tali valori discendono corrispondano a principi liberamente disponibili dal legislatore», così C. Pinelli, F. Barazzoni, La Carta dei diritti, la cittadinanza e la vita democratica dell'Unione, in F. Bassanini, G. Tiberi (a cura di), Una Costituzione per l'Europa…, op. cit., 39). 104 Elencazione cui, invece, il Presidium non si è sottratto nell’individuazione delle disposizioni della Carta che devono ritenersi aventi una portata ed un significato identici ai corrispondenti diritti sanciti dalla CEDU (art. II-112.3).

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talmente generiche da impedire all’interprete di identificare un qualsivoglia contenuto positivo; inoltre, il fatto che l’esemplificazione proposta sia accompagnata dalla ulteriore precisazione che le due categorie dei diritti e dei principi possono sovrapporsi, in quanto «in alcuni casi è possibile che un articolo della Carta contenga elementi sia di un diritto che di un principio» sembra sollecitare l’interprete a considerare, ai fini dell’operazione classificatoria, il contenuto delle disposizioni caso per caso. Sembrerebbe di poter affermare, allora, che i diritti soggettivi immediatamente azionabili rientrino nella prima categoria, mentre le norme che dettano degli orientamenti talmente generali da non consentire l’individuazione di un preciso contenuto precettivo (soggetti, condizioni, natura ed entità della tutela) nella seconda. In tal modo, tuttavia, resta inevaso il principale problema: le disposizioni che configurano delle situazioni giuridiche soggettive ben definite – ma che per essere azionate hanno comunque bisogno di un intervento di attuazione da parte del legislatore – sono diritti o principi105? Anche per queste ultime, nonostante in alcuni casi la formulazione predefinisca in modo dettagliato il contenuto degli interventi comunitari e nazionali di attivazione, vale l’esclusione dell’obbligo di attuazione legislativa ovvero della possibilità di estensione giurisprudenziale? Sembra chiaro, a questo punto, che una risposta a tali interrogativi potrebbe essere data solo dalla Corte di Giustizia, col risultato paradossale che a quest’ultima resterebbe attribuito il compito di definire il campo di applicazione di una norma preordinata proprio a limitare la discrezionalità e i rischi di indebite ingerenze da parte dei giudici.

Il par. 6 dell’art. II-112 Tc, poi, precisa che «si tiene pienamente conto delle legislazioni e prassi nazionali». La disposizione, nel contesto della definizione a livello comunitario dei diritti civili e sociali fondamentali, sembra rappresentare l’esigenza di salvaguardare il ruolo degli ordinamenti nazionali nello stabilire modalità e condizioni di esercizio dei diritti, ma non sino al punto di costituire un rinvio generale ed assoluto alla potestà normativa degli Stati membri nel definire l’intera portata dei diritti stessi106. In tale ultimo senso, infatti, la norma striderebbe con la ratio della Carta e con la riserva di legge disposta dal par. 1 dello stesso articolo: frantumando la faticosa unità conseguita a livello europeo dai diritti fondamentali sanciti dalla Carta (e in particolare dai diritti sociali) nei mille rivoli delle legislazioni e delle pratiche adottate

105 La risposta è tutt’altro che scontata. Si consideri, al riguardo, il fatto che tra gli esempi di norme che contengono, accanto ai meri principi, un vero diritto, nelle sue spiegazioni il Presidium abbia inserito l’art. II-84, dedicato, appunto, a un classico diritto sociale che richiede l’intervento del legislatore: il diritto alla sicurezza e all’assistenza sociale. 106 Cfr. O. De Shutter, La garanzia dei diritti e principi sociali…, op. cit., 213-214.

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in materia dagli Stati membri, l’art. II-112.6 Tc finirebbe per frustrare completamente il senso stesso della redazione del catalogo. La norma, a ben guardare, sembra comunque immune da tali rischi. La disposizione, infatti, prosegue e precisa: «come specificato nella presente Carta». Pertanto l’art. II.112.6 Tc, al più, dovrebbe interpretarsi come una disposizione volta a riproporre (senza generalizzarla)107 una indicazione già contenuta in numerose norme sociali della Carta, e dunque l’esito del rinvio sarebbe tutt’altro che scontato, rendendosi necessaria una puntuale valutazione, da un lato, delle diverse formule di volta in volta utilizzate, dall’altro, del contesto normativo nel quale esse si collocano, dall’altro ancora, della funzione – “offensiva” ovvero “difensiva” – caso per caso assunta dal diritto invocato, anche in sede interpretativa.

L’art. II-113 Tc, infine, contiene una clausola generale di grande importanza, diretta ad escludere che la Carta possa essere interpretata nel senso di ledere o limitare i diritti riconosciuti, «nel rispettivo ambito di applicazione», da altre fonti internazionali o nazionali, e in particolare dalle Costituzioni degli Stati membri. La norma mira a garantire i livelli di tutela già esistenti nei diversi ordinamenti, assicurando, in pratica, il carattere di «minimo comune denominatore» dei diritti riconosciuti nella Carta e fugando le preoccupazioni che la sua applicazione possa comportare una regressione dei diritti, anche costituzionali108. Non potendo escludersi, nel campo di applicazione del diritto comunitario, la prevalenza del più basso livello di protezione dei diritti offerto dal catalogo rispetto ai diritti riconosciuti a livello costituzionale da alcuni Stati membri – per effetto del principio della prevalenza del diritto dell’Unione – la disposizione «impone di ricorrere ad una interpretazione dei diritti fondamentali protetti dalla Carta che non pregiudichi né sminuisca il significato dei diritti garantito […] dalle Costituzioni nazionali»109.

107 Come emerge con chiarezza, peraltro, dalle spiegazioni del Presidium. 108 In questo senso F. Bano, L’«Europa sociale»…, op. cit., 833; V. Angiolini, Carta dei diritti…, op. cit., passim e spec. 929-930. Nel senso, invece, che la previsione in esame confermi questi rischi, v. D. Zolo, Una “pietra miliare”?, in Dir. pub., 2001, 1011 ss., 1015-1016; U. De Siervo, L’ambigua redazione…, op. cit., 50; in chiave critica v. pure M. Pallini, Il Trattato costituzionale europeo tra valenza simbolica ed efficacia giuridica, in G. Ferrara, M. Pallini, B. Veneziani (a cura di), Costituzione europea…, op. cit., 117 ss., spec. 121-123. 109 M. Cartabia, sub Art. 53, in R. Bifulco, M. Cartabia, A. Celotto (a cura di), Commento alla Carta…, op. cit., 364-365.

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6. L’impatto dei nuovi diritti sociali fondamentali nella definizione del modello sociale europeo.

Esaminato il contenuto delle disposizioni orizzontali che disciplinano l’applicazione e l’interpretazione della Parte II del Trattato, è possibile avanzare alcune considerazioni circa l’incidenza dei nuovi diritti sociali fondamentali110 nell’ordinamento comunitario e negli ordinamenti nazionali. 6.1.

In primo luogo essi rilevano come limiti interni all’incontrollata espansione delle libertà mercantili connessa alla costruzione di un mercato unico pienamente concorrenziale. Lo squilibrio tra la dimensione economica e la dimensione sociale della Comunità, determinato da un lato dalla forza autoapplicativa delle norme del Trattato volte alla rimozione delle barriere al commercio ed alla concorrenza transnazionale, dall’altro dalla mancanza di un catalogo comunitario di diritti sociali giuridicamente vincolante, ha infatti progressivamente superato i confini dell’ordinamento comunitario traducendosi in corrispondenti limitazioni per gli assetti economico-sociali degli Stati membri111. Le straordinarie potenzialità egemoniche del diritto comunitario della concorrenza rispetto ai regimi nazionali di protezione sociale si sono chiaramente manifestate nella giurisprudenza della Corte di Giustizia che, applicando gli artt. 28 ss. e 81 ss. TCE, ha fatto ricorso a nozioni di «misure aventi effetti

110 Ai fini del presente lavoro, non pare necessario soffermarsi dettagliatamente sull’esame del contenuto dei diritti sociali previsti nella Parte II del Trattato, rinviandosi – per quanto non espressamente richiamato – alle esaurienti trattazioni degli Autori citati supra, in nt. 11. 111 Il tema, ampio e suggestivo, in questa sede non può che essere semplicemente evocato. Per un approfondimento, v. gli studi (ormai da considerarsi classici) di G. Lyon-Caen, L’infiltration du Droit du travail per le Droit de la concurrence, in Dr. ouvr., 1992, 313 ss.; P. Davies, Market Integration and Social Policy in the Court of Justice, in Ind. Law Jo., 1995, 49 ss.; S. Simitis, Dismantling or Strengthning Labour Law: The Case of European Court of Justice, ivi, 1996, 1 ss.; M. Poiares Maduro, We, the Court. The European Court of Justice and the European Economic Constitution, Oxford, 1998; Per la dottrina italiana, v. M. Roccella, La Corte di Giustizia e il diritto del lavoro, Torino, 1997; Id., Tutela del lavoro e ragioni di mercato nella giurisprudenza recente della Corte di Giustizia, in Dir. lav. rel. ind., 1999, 35 ss.; M. Barbera, Dopo Amsterdam. I nuovi confini del del diritto sociale comunitario, Brescia, 2000, spec. 49 ss.; P. Ichino, Contrattazione collettiva e antitrust: un problema aperto, in Merc. conc. reg., 2000, 635 ss.; S. Sciarra, Diritto del lavoro e regole della concorrenza in alcuni casi esemplari della Corte di Giustizia europea, in Dir. merc. lav., 2000, 586 ss.; S. Giubboni, Diritti sociali e mercato. La dimensione sociale dell’integrazione europea, Bologna, 2003; G. Orlandini, Sciopero e servizi pubblici essenziali nel processo di integrazione europea. Uno studio di diritto comparato e comunitario, Torino, 2003; V. Brino, Diritto del lavoro e diritto della concorrenza: conflitto o complementarietà?, in Riv. giur. lav. prev. soc., 2005, I, 319 ss.; M. Pallini, Nuova Costituzione economica e tutela del lavoro: profili sistematico-istituzionali, Roma, 2005.

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equivalenti a restrizioni quantitative al commercio tra Stati membri»112 e di «attività d’impresa»113 talmente estese da ricomprendervi normative nazionali volte, direttamente o indirettamente, a protezione di istanze sociali. In tal modo si è evidenziato non solo che la Corte di Giustizia, nell’interpretazione del diritto comunitario, è sprovvista di un sistema assiologico di riferimento che le consenta di operare un diretto bilanciamento tra esigenze di mercato ed esigenze sociali, ma, soprattutto, che la legittimità comunitaria dei diritti sociali riconosciuti negli Stati membri è assoggettata ad una stringente valutazione di merito sulla base della razionalità economica delle previsioni e nei limiti delle clausole derogatorie stabilite nel Trattato stesso, con conseguente traslazione dal livello costituzionale/legislativo nazionale a quello

112 Corte di Giustizia, sentenza del 23 novembre 1989, causa 145/88, Torfaen Borogh Council c. B & Q plc, in Racc., 1989, 3851 ss.; Corte di Giustizia, sentenza del 28 febbraio 1991, causa C-312/89, CGT de L’Aisne c. Conforma, in Racc., 1991, I-997 ss.; Corte di Giustizia, sentenza del 28 febbraio 1991, causa C-332/89, Procedimento penale c. A. Marchandise e altri, in Racc., 1991, I-1027 ss.; Corte di Giustizia, sentenza del 16 dicembre 1992, causa C-169/91, Council of the City of Stoke-on-Trent and Norwich City Council c. B & Q plc, in Racc., 1992, I-6635 ss.; Corte di Giustizia, sentenza del 2 giugno 1994, cause riunite C-69/93 e C-258/93, Punto Casa S.p.a. c. Comune di Capena, in Racc. 1994, I-2355 ss.; Corte di Giustizia, sentenza del 2 giugno 1994, cause riunite C-401/92 e C-402/92, Procedimenti penali c. Tankstation ‘t Heutske vof e J.B.E. Boermans, in Racc., 1994, I-2199 ss.; Corte di Giustizia, sentenza del 20 giugno 1996, cause riunite C-418/93, C-419/93, C-420/93, C-421/93, C-460/93, C-461/93, C-462/93, C-464/93, C-9/94, C-10/94, C-11/94, C-14/94, C-15/94, C-18/94, C-23/94, C-24/94, C-332/94, Semeraro Casa Uno s.r.l. e altri c. Sindaco del Comune di Erbusco e altri, in Racc., 1996, I-2975 ss.; Corte di Giustizia, sentenza del 9 dicembre 1997, causa C-265/95, Commissione c. Repubblica Francese, in Racc., 1997, I-6959 ss.. 113 Corte di Giustizia, sentenza del 10 dicembre 1991, causa C-179/90, Merci Convenzionali Porto di Genova c. Siderurgica Gabrielli, in Racc., 1991, I-5889 ss.; Corte di Giustizia, sentenza del 13 dicembre 1991, causa C-18/88, Regie des Télégraphes et des Téléphones RTT c. GB-Inno BM, in Racc., 1991, I-5941 ss.; Corte di Giustizia, sentenza del 19 maggio 1993, causa C-320/91, Regie des Postes c. Paul Corbeau, in Racc., 1993, I-2533 ss.; Corte di Giustizia, sentenza del 27 aprile 1994, causa C-393/92, Comune di Almelo c. Energiebedrijf Ijsselmij, in Racc., 1994, I-1477 ss.; Corte di Giustizia, sentenza del 23 aprile 1991, causa C-41/90, Höfner e Elser c. Macrotron GmbH, in Racc., 1991, 1979 ss.; Corte di Giustizia, sentenza del 11 dicembre 1997, causa C-55/96, Job Centre II, in Racc., 1997, I-7119 ss.; Corte di Giustizia, sentenza del 17 febbraio 1993, cause riunite C-159/91 e C-160/91, Poucet c. Assurances Générales de France e Caisse mutuelle régionale du Languedoc-Roussillon; Pistre c. Caisse autonome nationale de compensation de l’assurance vieillesse des artisans, in Racc., 1993, I-637 ss.; Corte di Giustizia, sentenza del 16 novembre 1995, causa C-244/94, Fédération française des sociétés d’assurance, Société Paternelle-Vie, Union des assurances de Paris-Vie, Caisse d’assurance et de prévoyance mutuelle des agricolteurs c. Ministre de l’Agriculture et de la Peche, in Racc., 1995, I-4013 ss.; Corte di Giustizia, sentenza del 21 settembre 1999, causa C-67/96, Albany International BV c. Stichting Bedrijfspensioenfonds Textielindustrie, in Racc., 1999, I-5751 ss.

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comunitario della verifica del bilanciamento realizzato tra esigenze del libero commercio ed esigenze sociali114.

L’incorporazione della Carta di Nizza nel Trattato, da questo punto di vista, rappresenta indubbiamente una svolta115.

Con essa, infatti, non solo si ridefinisce e si riempie di contenuti la struttura assiologica della Comunità (nel contesto dei nuovi valori ed obiettivi tracciati dagli artt. I-2 e I-3 Tc), ma si pongono limiti precisi ai rischi (connessi all’integrazione negativa116) di riduzione degli standards di tutela sociale già riconosciuti negli Stati membri. Si tratta, evidentemente, di una funzione difensiva, definita plasticamente «effet d'obstacle»117, dei diritti sociali, rispetto alla quale non operano in senso impediente né l’efficacia verticale della Carta, né la sfasatura tra competenze comunitarie e diritti fondamentali, né la distinzione tra diritti e principi. Quanto ai rinvii alle legislazioni e prassi nazionali, poi, essi sono destinati a rinforzare tale effetto, nella misura in cui impediscono una interpretazione volta a (re)introdurre una soglia (basata sulla Carta) meramente comunitaria di legittimità degli interventi protettivi nazionali118. In questo senso può dirsi che il riconoscimento dei diritti sociali fondamentali non solo restituisce alle esigenze sociali (e al diritto del lavoro in particolare) alcune delle reti di sicurezza che si rinvengono usualmente negli ordinamenti nazionali, ma riconsegna agli Stati membri più ampi margini di sovranità sociale: il riconoscimento, sotto forma di diritti fondamentali, di interessi diversi da quelli sottesi al libero scambio ed alla concorrenza, sottrae la dimensione sociale nazionale alla necessità

114 Determinando, dato il contesto normativo del Trattato, un «naturale» assoggettamento delle seconde alle prime: in questi termini S. Giubboni, Diritti sociali e mercato…, op. cit., 190. Va peraltro aggiunto che il fenomeno evidenziato è potenzialmente (e pericolosamente) idoneo ad investire anche le normative interne di attuazione del diritto comunitario derivato, come dimostra Corte di Giustizia, sentenza 9 dicembre 2004, causa C-460/02, Commissione c. Repubblica Italiana, in Riv. it. dir. lav., 2005, II, 271 ss., con nota di M.M. Mutarelli, Protezione del lavoro vs. protezione della concorrenza nella sentenza della Corte di Giustizia sui servizi aeroportuali: una decisione di grande rilievo motivata in modo insoddisfacente; in Giust. civ., 2005, I, 2592 ss., con nota di V. Brino, Il diritto comunitario e le misure nazionali a sostegno dell’occupazione: un compromesso difficile; in Riv. giur. lav. prev. soc., 2006, II, 40 ss., con nota di M. Pallini, Diritto del lavoro e libertà di concorrenza: il caso dei servizi aeroportuali. 115 Cfr. F. Bano, L’«Europa sociale»…, op. cit., 829-830. 116 F.W. Scharpf, Governare l’Europa. Legittimità democratica ed efficacia delle politiche nell’Unione Europea, Bologna, 1999. 117 A. Lyon-Caen, The Legal Efficacy and Significance of Fundamental Social Rights: Lessons from the European Experience, in B. Hepple (a cura di), Social and Labour Rights in a Global Context. International and Comparative Perspectives, Cambridge, 2002, 182 ss. 118 Sembra possibile, dunque, fornire una risposta rassicurante alle preoccupazioni espresse da M. Pallini, Il Trattato costituzionale europeo…, op. cit., spec. 125-129.

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di una giustificazione con strumenti di razionalità economica estranei alla propria ragion d’essere119. 6.2.

In secondo luogo, i diritti sociali sanciti nel Trattato costituzionale incidono positivamente sull’esercizio delle competenze attribuite all’Unione europea, contribuendo in via diretta a definire i contorni del modello sociale europeo. Le istituzioni dell’Unione, infatti, risultano vincolate non solo, in generale, dai nuovi obiettivi e valori comunitari, ma specificatamente, come si è detto, dalla necessità di dover garantire – in tutte le loro attività e in particolare nell’emanazione di atti normativi – i diritti fondamentali dei cittadini sanciti nella Carta. Le conseguenze dell’incorporazione della Carta, allora, ben si possono apprezzare con riguardo all’esercizio delle competenze legislative comunitarie in materia di politica sociale.

Attualmente la disciplina contenuta nell’art. 137.2, lett. b), TCE abilita il Consiglio ad adottare, in una serie di settori sociali – non coincidenti per difetto con quelli di generica competenza concorrente comunitaria stabiliti dal par. 1 dello stesso articolo – atti normativi contenenti «prescrizioni minime applicabili progressivamente». Atteso che il carattere minimale va inteso non in senso contenutistico ma piuttosto come limite di inderogabilità posto al legislatore nazionale120, come 119 Cfr. F. Bano, L’«Europa sociale»…, op. cit., 829-830; S. Giubboni, Lavoro e diritti sociali…, op. cit., 580 ss. 120 Che tali prescrizioni minime debbano essere intese non nel senso dell’intensità della tutela (cioè come protezione sociale essenziale, minimo comune denominatore nei diversi Paesi) ma piuttosto come un limite inderogabile posto ai legislatori nazionali, sembra, in realtà, potersi dedurre già dalla previsione di una loro applicazione progressiva, evidentemente basata sulla preoccupazione di evitare repentine alterazioni regolative in grado di squilibrare gli assetti nazionali. Se la norma si dovesse intendere in senso contenutistico, infatti, non vi sarebbe ragione di prefigurarne una applicazione graduale, non solo perché la gradualità presuppone una dimensione ascensionale incompatibile con una concezione della tutela come plafond minimale, ma anche perché gli Stati non avrebbero ragione di temere alcuna alterazione regolativa (va peraltro rilevato come alla stessa conclusione giunga chi configura l’avverbio “progressivamente” non nel senso di “gradualmente” ma piuttosto come sinonimo della locuzione “nel progresso” o “in una prospettiva di progresso”, cfr. G. Ricci, La direttiva sull’orario di lavoro dinanzi alla Corte di Giustizia: molte conferme ed una sola (superflua) smentita, in Foro it., 1996, IV, cc. 280 ss., c. 288, nt. 20, nonchè G. Arrigo, Il diritto del lavoro dell’Unione europea, vol. I, Milano, 1998, 129. Questa interpretazione, tuttavia, risente della lettura del Trattato nel solo testo italiano: la versione inglese, infatti, si riferisce esplicitamente a «minimum requirements for gradual implementation»). Ogni dubbio al riguardo, comunque, è stato fugato dalla Corte di Giustizia, la quale ha respinto una interpretazione restrittiva statuendo che la norma «non pregiudica l’intensità dell’azione necessaria per assolvere il compito che la disposizione controversa le assegna espressamente» e «non limita l’intervento comunitario al minimo comune denominatore, ovvero al più basso livello di tutela fissato dai diversi Stati membri», Corte di Giustizia, sentenza 12 novembre 1996, causa C-84/94, Regno Unito c. Consiglio, in

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emerge anche dalla previsione – contenuta nello stesso art. 137.4, secondo trattino, TCE – in forza della quale gli atti adottati «non ostano a che uno Stato membro mantenga o stabilisca misure (…) che prevedano una maggiore protezione»121, la norma non garantisce in alcun modo la tutela, sul piano dei contenuti, dei diritti sociali fondamentali. L’attività regolativa del Consiglio, per quanto non debba necessariamente limitarsi ad un contenuto protettivo minimale e per quanto non obblighi gli Stati membri a modificare in senso regressivo la normativa interna, resta infatti sostanzialmente libera negli approdi. Né ad indirizzare contenutisticamente l’esercizio delle competenze legislative in materia sociale può soccorrere la funzionalizzazione, operata dal par. 1 dello stesso art. 137 TCE, agli obiettivi sociali enucleati dall’art. 136 TCE, ovvero «la promozione dell’occupazione, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che consenta la loro parificazione nel progresso, una protezione sociale adeguata, il dialogo sociale, lo sviluppo delle risorse umane atto a consentire un livello occupazionale elevato e duraturo e la lotta contro l’esclusione». Innanzitutto da questa elencazione non è possibile inferire un dovere giuridico, a carico delle istituzioni comunitarie nell’esercizio delle proprie competenze, di garantire alcun diritto sociale. Gli obiettivi, poi, che dalla norma sono posti come equiordinati, possono in concreto rivelarsi non solo divergenti ma addirittura contraddittori, ove si tenga presente (con riferimento, ad esempio, alla promozione dell’occupazione ed al miglioramento delle condizioni di vita e del lavoro) «l’implicazione bidirezionale sussistente fra propensione all’incremento occupazionale e grado di protezione inderogabile del lavoro subordinato, per le rigidità ed i costi crescenti che quest’ultimo comporta per le imprese, man mano che il livello anelastico di tutela si innalza»122. L’art. 136 TCE, pertanto, conferma appieno l’ampia discrezionalità attualmente

Racc., 1996, I-5755 ss., rispettivamente punti 17 e 56. La sentenza richiamata, invero, venne resa in relazione alle disposizioni contenute nel testo previgente (art. 118A TCEE), che tuttavia sono rimaste invariate nelle versioni successive del Trattato. V., sul punto, anche Corte di Giustizia, Parere del 19 marzo 1993, n. 2/91, in Racc., 1993, 1067 ss., nonché in Foro it., 1994, IV, c. 4 ss., con nota di F. Martines, Sulla competenza comunitaria a concludere convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro. 121 Quest’ultima disposizione, invero, sembra raccordarsi in modo lineare con la norma sulle prescrizioni minime, confermando l’interpretazione dell’art. 137, nel combinato disposto dei parr. 2 e 4, come norma che affida agli atti del Consiglio l’individuazione di un livello minimo di tutele inderogabile in peius ma pienamente compatibile con disposizioni di maggior favore previste dalle legislazioni nazionali. In questo senso, U Carabelli, V. Leccese, Libertà di concorrenza e protezione sociale a confronto. Le clausole di favor e di non regresso nelle direttive sociali, in WP CSDLE., n. 64/2005. 122 G. Dondi, Clausole di non regresso nelle direttive comunitarie in materia di protezione sociale: quali condizionamenti per l’ordinamento giuslavoristico nazionale?, in Aa.Vv., Diritto del lavoro. I nuovi problemi. Studi in onore di Mattia Persiani, 2005, t. I, 137 ss., 146.

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a disposizione del Consiglio nell’esercizio delle competenze legislative nei settori sociali123, né in senso contrario può argomentarsi dai riferimenti alla Carta sociale europea del 1961 ed alla Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989, pure in quella sede contenuti: troppo indiretta è la connessione con l’esercizio delle competenze legislative comunitarie, e troppo vaga la lettera della formulazione, che non impone alla Comunità ed agli Stati membri il dovere di rispettare (tanto meno di attuare) i diritti sociali riconosciuti nei cataloghi richiamati, ma solo di tenerli presenti.

L’incorporazione della Carta è, di per sé124, idonea a modificare questa situazione.

Successivamente all’entrata in vigore del Trattato costituzionale, infatti, le istituzioni dell’Unione, pur restando libere di attivare le competenze legislative in materia sociale, se attiveranno tali competenze dovranno esercitarle in conformità ai diritti sociali sanciti nella Carta, i quali per tal via sono idonei a determinare i contenuti minimali degli interventi legislativi comunitari. Questa conclusione dovrebbe valere (almeno) per i (veri) diritti, in considerazione della diversa disciplina dettata per i (meri) principi sociali dall’art. II-112.5 Tc125.

Ove, poi, tale ultima distinzione si interpretasse come un implicito riconoscimento di un vero e proprio obbligo giuridico di attuazione dei (veri) diritti sociali126, se ne dovrebbe desumere una doppia limitazione a carico del Consiglio, vincolato non solo con riferimento al quomodo dell’esercizio delle competenze legislative, ma anche con riferimento all’an. Spingendosi a configurare un obbligo di intervento del legislatore comunitario ogni qual volta un (vero) diritto sociale riconosciuto nella Carta rientrasse nelle competenze legislative comunitarie ma fosse ancora privo di disciplina, affiorerebbe quindi la possibilità, in caso di omesso intervento del Consiglio, di ricorrere in carenza dinanzi alla Corte di Giustizia, ai sensi dell’art. III-367 Tc127. 123 Anzi, «dalla necessità di mantenere la competitività dell’economia della Comunità» (art. 136.2 TCE; art. III-209.2 Tc) sembra di poter desumere un limite in senso contrario, volto cioè a salvaguardare, nell’esercizio delle competenze sociali comunitarie, le performances economiche della Comunità, implicitamente intese in una prospettiva di competizione esterna. 124 Infatti il contenuto degli artt. 136 e 137 TCE è ripreso negli artt. III-209 e III-210 Tc senza sostanziali modifiche, per quanto qui rileva. 125 Come si è detto supra. 126 Secondo la prospettiva problematicamente già avanzata, v. supra. 127 Al fine di innervare di maggiore realismo tale prospettiva, va ricordato come la Corte di Giustizia abbia sanzionato, a seguito di un ricorso in carenza promosso dal Parlamento Europeo, l’omissione da parte del Consiglio dell’adozione di alcuni atti dovuti nell’ambito della politica comune dei trasporti: Corte di Giustizia, sentenza del 22 maggio 1985, causa 13/83, Parlamento c. Consiglio, in Racc., 1985, 1513 ss. Per un rapido esame dei soggetti

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6.3. In terzo luogo deve essere esaminata la capacità dei diritti sociali

riconosciuti nella Carta incorporata nel Trattato di modificare in senso positivo gli ordinamenti nazionali. Si tratta, ovviamente, di un aspetto decisivo ma, com’è noto, anche la dottrina più incline a riconoscere le potenzialità sociali insite nel nuovo Trattato è prevalentemente orientata nel senso di negare alla Carta di Nizza – nonostante le prospettive aperte dalla sua incorporazione nel Trattato costituzionale – una effettiva capacità di incidere in senso progressivo sugli assetti sociali degli Stati membri: troppo alte sono le barriere opposte in tal senso dalle clausole orizzontali, che proprio per questo sono state ampiamente criticate128. Tuttavia non sono mancati tentativi ricostruttivi di segno diverso, volti ad affermare la rilevanza propulsiva del Trattato costituzionale verso la definizione di un assetto sociale europeo in grado di incidere in senso costruttivo sugli ordinamenti nazionali129. Nelle righe che seguono, che si collocano consapevolmente all’interno di una prospettiva volta a esplorare e valorizzare ogni elemento offerto in proposito dal Trattato, si cercherà di fornire qualche spunto di analisi circa le potenzialità dei diritti sociali riconosciuti nella Parte II a positivizzare, sia pure parzialmente, un modello sociale europeo valido anche per gli Stati membri.

Il più rilevante ostacolo, ai fini della configurazione di un impatto dei nuovi diritti sociali europei sugli ordinamenti nazionali, sembra essere costituito dall’art. II-111.1 Tc. Come già si è detto, tale norma, che stabilisce il campo d’applicazione soggettivo ed oggettivo dei diritti sanciti nella Carta, dispone che gli Stati membri risultano tenuti al rispetto della Carta non in ogni segmento delle proprie attività ma «esclusivamente nell'attuazione del diritto dell'Unione»130. Questa precisazione, intesa come volta a restringere l’efficacia della Carta nei confronti degli Stati membri esclusivamente nell’adempimento degli obblighi di esecuzione (in senso stretto)131 connessi alla fase discendente del diritto dell’Ue, è alla

legittimati, dei presupposti oggettivi e dello svolgimento della procedura del ricorso in carenza (attualmente contemplato dall’art. 232 TCE), v. T. Ballarino, Manuale di diritto dell’Unione europea, VI ed., Padova, 2001, 154-158 (ivi ulteriori riferimenti bibliografici). 128 V., ancora recentemente, R. Greco, Il modello sociale della Carta di Nizza, in Riv. giur. lav. prev. soc., 2006, I, 519 ss., spec. 522-523; C. Vigneau, La Costituzione europea…, op. cit., passim. 129 Cfr., in un contesto argomentativo diverso, S. Giubboni, Lavoro e diritti sociali…, op. cit., 582 ss., nonché B. Veneziani, La Costituzione europea, il diritto del lavoro…, op. cit., 74 ss. 130 Già i primi commentatori hanno segnalato le grandi incertezze applicative di una disposizione di tal fatta, date «le difficoltà crescenti di distinguere un diritto dell’Unione da un diritto nazionale, essendo innumerevoli le compenetrazioni tra i due livelli», così A. Manzella, Dal mercato ai diritti…, op. cit., 41. 131 In questo senso, per tutti, v. S.P. Panunzio, I diritti fondamentali…, op. cit., 81 ss.

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base della lettura secondo cui «la Carta dei diritti fondamentali potrebbe servire a contestare la legalità di una norma nazionale soltanto quando si dimostri che essa attua il diritto dell’Unione»132. Della ineluttabilità di una simile interpretazione, tuttavia, si può dubitare. Essa, infatti, non pare coerente con la giurisprudenza della Corte di Giustizia, la quale, definendo la propria competenza ai fini del sindacato delle normative nazionali sul terreno del rispetto dei diritti fondamentali (principi generali del diritto comunitario), ha in numerose occasioni statuito nel senso del superamento del mero ambito delle attività nazionali di esecuzione per abbracciare quegli interventi normativi nazionali che, non costituendo una attuazione in senso stretto del diritto comunitario, producono limitazioni di diritti garantiti nell’ordinamento europeo ovvero, in funzione di esigenze imperative invocate dagli Stati membri, restrizioni a libertà fondamentali garantite dal Trattato133. Inoltre, in più di una circostanza, i giudici di Lussemburgo hanno evocato, pur senza definirne in maniera precisa i contorni, la nozione di «campo di applicazione» del diritto comunitario, così denominando lo spazio entro il quale le normative nazionali restano assoggettate allo scrutinio della Corte in tema di diritti fondamentali, utilizzando una terminologia che si manifesta volutamente più sfumata e maggiormente aperta ad interpretazioni evolutive rispetto allo stretto ambito di attuazione statale degli obblighi comunitari134. Da questo punto di vista, in mancanza di una espressa revisione delle norme del Trattato che individuano le competenze della Corte di Giustizia, il riferimento all’«ambito di attuazione del diritto dell’Unione» introdotto dall’art. II-111.1 Tc sembra inidoneo ad indirizzare i giudici di Lussemburgo entro binari che ne limitino in futuro la tendenza verso la progressiva espansione del proprio raggio d’azione in tema di diritti

132 Così, C. Vigneau, La Costituzione europea…, op. cit., 129. 133 Per un approfondito esame di tale giurisprudenza, v. N. Napoletano, La nozione di «campo di applicazione del diritto comunitario» nell’ambito delle competenze della Corte di Giustizia in tema di tutela dei diritti fondamentali, in Dir. Un. eur., 2004, 679 ss.; A. Ferraro, Il ruolo della Corte di Giustizia delle Comunità europee nell’elaborazione ed evoluzione comunitaria dei diritti fondamentali dell’uomo, in Riv. it. dir. pub. com., 2003, 1355 ss.; J.H.H. Weiler, La Costituzione…, op. cit., 200-213; nonché, naturalmente, K. Lanaerts, Fundamental rights in the European Union, in Eur. Law Rev., 2000, 575 ss., spec. 590 ss. 134 V. Corte di Giustizia, sentenza 18 giugno 1991, causa C-260/89, Elleniki Radiophonia Tileorasi AE (ERT) c. Dimotiki Etaira Pliroforissis e Sotirios Kouvelas, in Racc., 1991, I-2925 ss., punto 42; Corte di Giustizia, sentenza 4 ottobre 1991, causa C-159/90, Society for the protection of Unborn Children Ireland Ltd c. Stephen Grogan e a., in Racc. 1991, I-4685 ss., punto 31; Corte di Giustizia, sentenza 29 maggio 1997, causa C-299/95, Kremzow, in Racc., 1997, I-2629 ss., punti 15 e 16; Corte di Giustizia, sentenza del 18 dicembre 1997, causa C-309/96, Annibaldi c. Sindaco del Comune di Guidonia e a., in Racc., 1997, I-7493, punto 13.

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fondamentali: non solo il termine adoperato conserva un grado di ambiguità che impedisce di riferirlo univocamente agli obblighi nazionali di esecuzione in senso stretto135 ma, soprattutto, la potenziale discontinuità tra la nuova nozione (ambito di attuazione) e quella già adoperata dalla Corte di Giustizia (ambito di applicazione) è smentita dalle spiegazioni elaborate in proposito dal Presidium che ha redatto la Carta, le quali, richiamandosi alla giurisprudenza della Corte, finiscono all’opposto per valorizzare la linea di continuità tra le due nozioni136. Certo, svalutando il valore esplicativo delle spiegazioni del Presidium, potrebbe invece sostenersi l’autonomia e la discontinuità della nuova nozione di cui all’art. II-111.1 Tc, con conseguente attitudine di quest’ultima a definire, regressivamente, uno spazio di efficacia dei diritti fondamentali della Parte II meno esteso rispetto a quello sinora tratteggiato dalla Corte di Giustizia nella tutela pretoria dei diritti fondamentali. Non può sfuggire, tuttavia, l’esito paradossale di una tale conclusione: la Corte dovrebbe ritenersi investita di margini di intervento più ristretti per garantire la tutela di diritti fondamentali espressamente positivizzati rispetto a quelli sinora utilizzati per garantire la tutela di diritti dedotti in via interpretativa come principi generali, e ciò a dispetto anche delle indicazioni desumibili dal nuovo art. I-9 Tc, di cui già si è detto. Inoltre non potrebbe nemmeno escludersi una progressiva divaricazione che conduca all’applicazione giudiziale di un duplice regime in parallelo: da un lato i diritti fondamentali riconosciuti nella Carta (nell’ambito di attuazione), dall’altro i principi generali (nell’ambito di applicazione). Dunque, sulla base delle considerazioni sin qui svolte, sembra verosimile ritenere che l’art. II-111.1 Tc non inibirà la Corte di Giustizia dal riconoscere l’efficacia della Carta ove la questione sottoposta al suo esame esuli dagli obblighi nazionali di esecuzione in senso stretto, purché, beninteso, sia possibile affermarne la ricaduta «nell’ambito di applicazione» del diritto comunitario137. 135 Come, pur sostenendo una diversa tesi ricostruttiva, riconosce S.P. Panunzio, I diritti fondamentali…, op. cit., 85-86. 136 Particolarmente significativo è, in quell’ambito, l’esplicito riferimento alle sentenze ERT e Annibaldi. Né a conclusioni diverse può condurre la nuova citazione giurisprudenziale aggiunta dal Presidium della Convenzione europea in sede di aggiornamento delle spiegazioni: pur facendosi - nel brano maliziosamente inserito - riferimento alla esecuzione (e non all’applicazione) del diritto comunitario, è sufficiente scorrere per intero la pronuncia della Corte di Giustizia (sentenza 13 aprile 2000, causa C-292/97, Karlsson, in Racc., 2000, I-2737 ss.) per rendersi conto che l’estrapolata affermazione della Corte non era volta in alcun modo ad avvalorare interpretazioni restrittive del campo di intervento della Corte di Giustizia in materia di diritti fondamentali. 137 In tal senso, peraltro, può leggersi il secondo alinea dell’art II-111.1 Tc, che si ricollega consequenzialmente al primo: «Pertanto, i suddetti soggetti rispettano i diritti, osservano i principi e ne promuovono l’applicazione secondo le rispettive competenze e nel rispetto dei

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In questo senso i margini di manovra a disposizione dei giudici di Lussemburgo sono decisamente ampi, potendosi ritenere che nell’ambito di applicazione del diritto comunitario rientrino tutte le normative nazionali collegate ratione materiae alle competenze comunitarie, ancorché non esercitate138. Se è vero che la Corte di Giustizia non si è spinta sino ad oggi ad una simile affermazione, è anche vero che essa ha sempre evitato accuratamente di pronunciarsi in termini che potessero precludere un tale sviluppo, la cui opportunità o necessità non si è sinora compiutamente manifestata essendo l’area di sovrapposizione tra competenze comunitarie ed esigenze di tutela a livello nazionale di diritti fondamentali comunitari assai ridotta per effetto della limitatezza del catalogo di diritti attualmente riconosciuti a livello europeo e della loro pressoché generale coincidenza con diritti fondamentali ampiamente già garantiti all’interno degli ordinamenti nazionali. Ora, nonostante l’incorporazione della Carta di Nizza non sia idonea a colmare la strutturale assenza (confermata nel Trattato costituzionale) di una autonoma base giuridica a livello comunitario per la tutela dei diritti fondamentali e dunque non sia sufficiente per affermare l’esistenza di un obbligo degli Stati membri di rispettarne in via generale il contenuto, il riconoscimento dell’ampio catalogo inserito nella Parte II del Trattato costituzionale porta con sé una inevitabile estensione proprio di questa area di sovrapposizione, con conseguente ampliamento delle possibilità di intervento da parte dei giudici europei (sia pure) nel pieno rispetto dei limiti delle esistenti competenze comunitarie139: «l’ambito di applicazione della Carta verrebbe così a coprire unitariamente tutte le attività di competenza dell’Unione (…) senza riguardo al fatto che il singolo atto sia imputabile ad una istituzione europea o ad un organo nazionale»140.

limiti delle competenze conferite all’Unione nelle altre parti della Costituzione» (corsivo aggiunto). Il riferimento alle competenze nazionali avrebbe un rilievo pleonastico se il dovere di rispettare le previsioni della Carta dovesse per gli Stati ritenersi limitato all’esecuzione in senso stretto del diritto dell’Unione. 138 È questa la conclusione cui perviene N. Napoletano, La nozione di «campo di applicazione del diritto comunitario»…, op. cit., 702. 139 Si noti come tale prospettiva, da un lato, sia compatibile con le precisazioni contenute nelle clausole orizzontali volte a evitare qualunque effetto di spill over in materia di competenze, dall’altro, non comporti l’adesione alla radicale interpretazione fatta propria dalla Commissione, secondo cui gli Stati membri sarebbero destinatari delle previsioni della Carta nella misura in cui agiscano nella sfera giuridica dell’Unione, con conseguente obbligo di rispettare i diritti ivi sanciti nello svolgimento di tutte le attività riconducibili ai tre pilastri dell’Unione (cfr. Commissione europea, Comunicazione sulla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, COM(2000)559 def. del 13 settembre 2000, parr. 11 e 30). 140 Così M. Cartabia, sub Art. 51, in R. Bifulco, M. Cartabia, A. Celotto (a cura di), L’Europa dei diritti…, op. cit., 349. Cfr. G. Gaja, L’incorporazione della Carta dei diritti fondamentali nella Costituzione per l’Europa, in Dir. uomo, 2003, 6 ss.

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Questa lettura, beninteso ove espressamente fatta propria dalla Corte di Giustizia141, produrrebbe conseguenze particolarmente significative proprio in relazione ai diritti sociali. Infatti, poiché l’art. I-14 Tc individua tra i settori di competenza concorrente dell’Unione quello della politica sociale di cui agli artt. III-209 ss. Tc, immediata efficacia anche a livello nazionale andrebbe riconosciuta a tutti quei diritti sociali – sanciti nella Parte II del Trattato – che ricadono nell’ambito di tali settori di intervento dell’Unione (più estesi rispetto a quelli per i quali è prevista una competenza legislativa in senso stretto, come confermato dall’art. III-210.2 Tc)142. Tra questi, ad esempio, sembrerebbero potersi annoverare il diritto dei lavoratori alla informazione e consultazione (art. II-87 Tc, già art. 27 della Carta di Nizza, rientrante nelle competenze comunitarie per effetto dell’art. III-210.1, lett. e), Tc), il diritto alla tutela in caso di licenziamento ingiustificato (art. II-90 Tc, già art. 30 della Carta di Nizza, rientrante nelle competenze comunitarie per effetto dell’art. III-210.1, lett. d), Tc), il diritto riconosciuto ai lavoratori extracomunitari di lavorare in condizioni di parità rispetto ai colleghi comunitari (art. II-84.3 Tc, già art. 15.3 della Carta di Nizza, rientrante nelle competenze comunitarie per effetto dell’art. III-210.1, lett. g), Tc), il diritto a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose (art. II-91.1 Tc, già art. 31.1, della Carta di Nizza, rientrante nelle competenze comunitarie per effetto dell’art. III-210.1, lett. a) e b), Tc), il diritto a una limitazione della durata massima del lavoro e a periodi di riposo giornalieri, settimanali e a ferie annuali retribuite (art. II-91.2 Tc, già art. 31.2 della Carta di Nizza, rientrante nelle competenze comunitarie per effetto dell’art. III-210.1, lett. b), Tc), il diritto a servizi di collocamento gratuiti (art. II-89 Tc, già art. 29 della Carta di Nizza, rientrante nelle competenze comunitarie per effetto dell’art. III-210.1, lett. c), h) e j) Tc),

141 Nella direzione indagata, le tendenze espansioniste della giurisprudenza comunitaria in materia di diritti fondamentali hanno trovato una conferma nella recente affermazione della Corte di Giustizia, ordinanza del 6 ottobre 2005, causa C-328/04, Procedimento penale a carico di A. Vajnai, punto 13, secondo cui «la Corte non ha tale competenza se la normativa nazionale non si colloca nell’ambito del diritto comunitario e l’oggetto della controversia non presenta alcun elemento di collegamento con una qualsiasi delle situazioni considerate dalle disposizioni del Trattato» (enfasi aggiunta). 142 Ovviamente, anche in tale prospettiva, la sfasatura tra diritti sociali e competenze determinerebbe conseguenze irrimediabili per quei diritti sociali che, pur riconosciuti nella parte II del Trattato, permangono al di fuori delle competenze sociali comunitarie. Come plasticamente ribadisce il nuovo art. III.210.6 Tc, il diritto alla retribuzione, il diritto di associazione sindacale e il diritto di sciopero (sanciti dagli artt. II-91, II-62 e II-88 Tc), sarebbero norme, destinate a permanere su di un piano sostanzialmente velleitario (al riguardo, però, v. le più “possibiliste” considerazioni di B. Bercusson, Contributo, in G. Ferrara, M. Pallini, B. Veneziani (a cura di), Costituzione europea…, op. cit., 135 ss., spec. 137, e B. Veneziani, La Costituzione europea, il diritto del lavoro…, op. cit., 76-78).

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il diritto all’accesso (esteso anche ai lavoratori extracomunitari) a prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali (art. II-94 Tc, già art. 34 della Carta di Nizza, rientrante nelle competenze comunitarie per effetto dell’art. III-210.1, lett. c), h), j) e k), Tc), cui dovrebbe aggiungersi il diritto di accedere ai servizi di interesse economico generale (art. II-96 Tc, già art. 36 della Carta di Nizza, rientrante nelle competenze comunitarie per effetto dell’art. III-122 Tc). Le norme segnalate sarebbero, così, tutte da ritenersi pienamente efficaci a partire dal momento dell’entrata in vigore del Trattato ed idonee, pertanto, a solidificare la struttura di un modello sociale europeo di (necessario) riferimento anche per gli assetti nazionali. In senso contrario non varrebbero i rinvii alle legislazioni e prassi nazionali, ritualmente disposti in numerose disposizioni sociali: ribadendo qui quanto già detto in precedenza, tali rinvii, nel contesto del nuovo Trattato, mutano di senso, rivelandosi inidonei a sganciare gli Stati membri dalle responsabilità conseguenti ai valori (art. I-2 Tc) e agli obiettivi (art. I-3 Tc) dell’Ue, anche in forza dell’obbligo generale di esecuzione imposto dall’art. I-5.2 Tc. In sostanza, per effetto dell’incorporazione della Carta e della sua equiordinazione con le altre parti del Trattato, i riferimenti alle legislazioni e prassi nazionali devono intendersi come una mera salvaguardia delle potestà nazionali di stabilire solo il quantum delle tutele, non già l’an143. Né, sempre in senso contrario, potrebbe argomentarsi dall’efficacia meramente verticale che, come si è visto, caratterizza la Carta dei diritti. Innanzitutto, tale profilo non inficia la diretta azionabilità dei diritti sociali che la Carta garantisce senza ulteriori mediazioni144. Si tratta di quei diritti che per la loro attuazione prescindono dall’interposizione del legislatore nazionale. Tra quelli esaminati appartengono a tale categoria, inerendo a rapporti giuridici istaurati dalla manifestazione libera di autonomia privata, il diritto riconosciuto ai lavoratori extracomunitari di lavorare in condizioni di parità, il diritto a condizioni di lavoro sane sicure e dignitose, il diritto a una limitazione della durata massima del lavoro, al riposo e alle ferie. Pur avendo a oggetto una prestazione positiva, ovvero la condotta di un soggetto diverso dal titolare del diritto, essi afferiscono automaticamente al rapporto considerato dall’ordinamento comunitario e sono, pertanto, direttamente invocabili innanzi al giudice nazionale. Quest’ultimo, data la prevalenza del diritto dell’Unione, dovrà disapplicare la norma nazionale in contrasto e, nell’ipotesi in cui sia altresì necessaria

143 La ricostruzione proposta porta a ritenere che sarà la Corte di Giustizia, ove le tutele promosse al livello nazionale siano tanto ridotte nel quantum da ripercuotersi sull’an, ad individuare – con i consueti canoni di ragionevolezza – il contenuto minimo garantito dalla Carta dei diritti. 144 Cfr. G. Gaja, L’incorporazione della Carta…, op. cit., 6-7.

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la determinazione del contenuto delle prestazioni cui tali diritti danno titolo, potrà anche procedere ad una determinazione delle stesse, nei limiti dell’ordinaria discrezionalità valutativa che l’ordinamento nazionale gli riconosce145. Inoltre, ci si potrebbe spingere sino al punto da ritenere che l’efficacia verticale dei diritti riconosciuti nella Carta non pregiudichi completamente nemmeno l’attuazione dei diritti che invece presuppongono l’intervento del legislatore, come ad esempio il diritto dei lavoratori alla informazione e consultazione, il diritto alla tutela in caso di licenziamento ingiustificato, il diritto a servizi di collocamento gratuiti, il diritto all’accesso a prestazioni di sicurezza sociale. Infatti, salvo a voler disconoscere completamente (nonostante la loro piena incorporazione nel diritto primario dell’Ue ex art. I-9 Tc) il rilievo normativo delle pertinenti disposizioni della Carta (concernenti, come si è visto, materie di sicura competenza comunitaria), tali norme potrebbero ritenersi produttive di un obbligo di attuazione nei confronti degli Stati membri146, non diversamente da quanto accade per le direttive147. La mancata o insufficiente realizzazione di tale obbligo da parte dei legislatori nazionali, quindi, potrebbe ritenersi costituire una violazione del diritto comunitario idonea a fondare, sulla scorta di una robusta giurisprudenza della Corte di Giustizia148, un obbligo risarcitorio dello Stato nei confronti del soggetto danneggiato149.

145 In questi termini S. Giubboni, Lavoro e diritti sociali…, op. cit., 586. 146 Tale prospettazione presenta un indubbio collegamento con il tema, mai sopito nel dibattito giuspubblicistico, relativo alla «responsabilità del legislatore», su cui v. R. Bifulco, La responsabilità dello Stato per atti legislativi, Padova, 1999. 147 Anche a tale ipotesi, infatti, si attagliano le rigorose considerazioni di G. Tesauro, Diritto comunitario, III ed., Milano, 2003, 342: «Che l’attività legislativa sia la massima espressione della sovranità è un dato incontestato e incontestabile. Ma è precisamente nell’esercizio dei poteri sovrani che gli Stati possono procedere e di fatto hanno proceduto a limitare la propria libertà – anche rispetto all’esercizio dell’attività legislativa – attribuendo determinate competenze normative alle istituzioni comunitarie […]. In tale contesto, il legislatore può non essere più titolare di un potere discrezionale assoluto, ma avere, nelle materie ed entro i limiti da esso stesso determinati, obblighi più o meno precisi di legiferare in un modo piuttosto che in un altro. Ebbene, quando questi vincoli non vengono rispettati o vengono in qualche modo compromessi rispetto a quanto prescritto dalla normativa comunitaria, in quanto il legislatore nazionale non osserva un obbligo imposto allo scopo di realizzare diritti in capo ai singoli e dunque impedendo che quei diritti vengano ad esistenza, non c’è ragione di negare il diritto dei singoli ad agire per il risarcimento del danno subito». 148 A partire dalla notissima Corte di Giustizia, sentenza 19 novembre 1991, cause riunite C-6/90 e C-9/90, Francovich e altri c. Repubblica italiana, in Racc., 1991, I-5358 ss.: «Va constatato che sarebbe messa a repentaglio la piena efficacia delle norme comunitarie e sarebbe infirmata la tutela dei diritti da esse riconosciuti se i singoli non avessero la possibilità di ottenere un risarcimento ove i loro diritti siano lesi da una violazione del diritto comunitario imputabile ad uno Stato membro» (punto 33); «La possibilità di risarcimento a carico dello Stato membro è particolarmente indispensabile qualora […] la piena efficacia delle norme comunitarie sia subordinata alla condizione di un’azione da parte dello Stato e,

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di conseguenza, i singoli, in mancanza di tale azione, non possano far valere dinanzi ai giudici nazionali i diritti loro riconosciuti dal diritto comunitario» (punto 34). 149 Tenendo presente, naturalmente, i problemi che si porrebbero ai fini dell’individuazione, nella fattispecie concreta, della sussistenza delle tre condizioni individuate dalla Corte di Giustizia per il sorgere della responsabilità risarcitoria. Per dare attuazione concreta al principio di responsabilità, infatti, è necessario: a) che la norma inattuata implichi l’attribuzione di diritti a favore di singoli; b) che la violazione sia grave e manifesta; c) che sussista un nesso di causalità tra la violazione dell’obbligo a carico dello Stato e il danno subito dai soggetti lesi. In proposito, v. G. Arrigo, Il diritto del lavoro…, op. cit., vol. I, 73-74, cui adde, per gli opportuni chiarimenti anche sull’evoluzione della giurisprudenza, G. Tesauro, Diritto comunitario, op. cit., 334-348, spec. 340-345.