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IL RINASCIMENTO Nascita degli stati moderni, in particolare con le monarchie nazionali di Francia, Inghilterra e Spagna, caratterizzate da un forte accentramento del potere.

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IL RINASCIMENTO

• Nascita degli stati moderni, in particolare con le monarchie nazionali di Francia, Inghilterra e Spagna, caratterizzate da un forte accentramento del potere.

• Ritorno alle Humanae litterae, con una riscoperta degli studi dell’Antichità classica, da cui sorse un movimento, indicato con il nome di Umanesimo, caratterizzato dall’affermazione della centralità dell’uomo, contro i dogmatismi e l’unità enciclopedica medievale.

• Dall’Umanesimo si sviluppò il “Rinascimento”, un periodo storico caratterizzato da un rinnovamento culturale e scientifico improntato sul rifiuto del sapere rinchiuso nei dogmi medievali.

• E’ in questo periodo che ebbero grande sviluppo le scienze esatte ed applicate, il cui maggior rappresentante fu Leonardo da Vinci.

• Un grande ruolo nella diffusione della cultura e nell’avanzamento delle scienze si deve all’invenzione della stampa, avvenuta alla metà del XV secolo ad opera di Johann Gutenberg, e poi diffusasi rapidamente in diverse città europee, permettendo la circolazione capillare di testi ed opere.

• Ritorno agli antichi, con un lavoro di lettura filologica degli autori classici, in primis di Galeno.

• Spirito di revisione critica e di rinnovamento che riguardò innanzitutto l’anatomia, con un’opera di correzione costante della tradizione galenica attraverso la diffusione della pratica settoria e lo studio diretto del corpo umano.

• Spostamento dell’attenzione degli anatomisti dall’organismo sano a quello malato, con la nascita dell’anatomia patologica.

• Progressi meno eclatanti nel campo della chirurgia, disciplina che venne accorpata, almeno nelle università, alla cattedra di anatomia, con la nascita della figura del chirurgo anatomico.

• Patologia ancora sostanzialmente legata all’umoralismo.

• Medicina magica e astrologica attraversa trasversalmente tutto il periodo.

LA MEDICINA RINASCIMENTALE

• Fine del XV: processo di rinnovamento negli studi anatomici, anche dal punto di vista iconografico.

• Gli artisti dell’epoca mostrano di avere buone conoscenze di anatomia.

• Leonardo da Vinci, tra i suoi molteplici interessi, coltivò anche lo studio approfondito del corpo umano e del suo funzionamento, eseguendo egli stesso dissezioni di cadaveri e rappresentando ciò che vedeva in una serie di disegni di straordinaria bellezza. L’opera di Leonardo non ebbe riflessi sulla medicina del tempo, in quanto i suoi disegni furono conservati negli archivi senza essere divulgati tra i contemporanei, e vennero riscoperti solo intorno alla metà del XVII secolo.

• All’inizio del XVI secolo l’anatomia nelle Università si insegnava ancora basandosi sul testo di Galeno, oppure i lettori più all’avanguardia seguivano l’Anatomia di Mondino.

• Tra l’opera di Mondino de’ Liuzzi e la grande rivoluzione dell’anatomia operata da Andrea Vesalio alla metà del secolo si collocano alcune figure che ne hanno preparato la strada, facendo piccoli, ma fondamentali, passi verso la comprensione del corpo umano.

L’ANATOMIA NEL RINASCIMENTO

Il vero riformatore dell’anatomia nel XVI secolo è considerato Andrea Vesalio (1514-1564), nome italianizzato di Andreas van Wesel, che per primo osò mettere in discussione l’autorità galenica, fino ad allora accettata come dogma.

Nato a Bruxelles da una famiglia legata da generazioni alla tradizione medica, studiò discipline classiche a Lovanio, per poi trasferirsi nel 1533 alla Facoltà di medicina dell’Università di Parigi.

Nel 1536, a causa dell’invasione della Francia da parte di Carlo V, fu costretto a tornare a Lovanio, dove continuò la pratica settoria; infine si trasferì a Padova, dove ottenne la cattedra di Anatomia e Chirurgia a soli 23 anni. Qui iniziarono gli anni della più intensa attività anatomica di Vesalio.

Nel 1538 pubblicò a Venezia le Tabulaeanatomicae sex, create a scopo didattico per gli studenti, nelle quali sono ancora contenuti alcuni errori di Galeno, come la suddivisione del fegato in cinque lobi, la presenza della rete mirabilearteriosa alla base del cervello, e la suddivisione dello sterno in sette segmenti.

L’esperienza maturata con la pratica dissettoriaportò tuttavia Vesalio ad un atteggiamento sempre più critico nei confronti dell’anatomia galenica, che si palesò nella sua opera fondamentale De umani corporis fabrica (noto anche come Fabrica), pubblicato a Basilea nel 1543.

Il frontespizio dell’opera di Vesalio mostra le novità rispetto alla pratica settoria in uso fino a quel momento:

• il maestro è sceso dalla cattedra per stare in mezzo agli studenti

• opera di propria mano, senza demandare l’apertura del cadavere al demonstrator

• gli animali, simbolizzati dal cane a destra e dalla scimmia a sinistra, vengono esclusi dalla dissezione

• i due assistenti medievali, l’incisore e l’ostensore, sono stati relegati sotto il tavolo settorio

La rottura proposta da Vesalio era dunque prima di tutto metodologica, poiché egli unificò in un’unica figura ciò che prima era svolto da tre persone distinte, il lettore, il dimostratore e l’ostensore.

Vesalio condusse un’opera di rivisitazione sistematica dell’anatomia galenica, che venne esposta nella Fabrica, anche attraverso l’utilizzo di raffigurazioni estremamente realistiche che arricchivano il testo, mostrando le diverse parti del corpo umano sezionato.

Vesalio conduceva autopsie quotidianamente, mostrando la corrispondenza dei disegni anatomici con quanto verificava tramite la dissezione, e questa esperienza diretta lo portò a comprendere che Galeno aveva sezionato solo animali e che quindi molte sue osservazioni non potevano essere valide per il corpo umano.

Vesalio corresse diversi errori del galenismo:

• riconobbe che la mandibola era costituita da un solo osso

• lo sterno era suddiviso in tre segmenti

• mise in dubbio la pervietà del setto intervetricolare del cuore, dal momento che non era riuscito a vedere “pori”, anche se non si sentì di negare il passaggio del sangue da un ventricolo all’altro, sostenendo che questo avveniva grazie alla potenza divina (tuttavia nella seconda edizione del testo, risalente al 1555, la convinzione dell’inesistenza di perforazioni nel setto divenne più ferma

• un elemento fondamentale della fisiologia galenica, che venne riconosciuto come un errore da Vesalio, fu la rete mirabile arteriosa, posta alla base del cervello, la cui esistenza nell’uomo fu decisamente negata nella Fabrica e riconosciuta come struttura caratteristica degli ungulati

• respinse il concetto che i nervi fossero cavi

La pubblicazione della sua opera, che rivoluzionava l’anatomia mettendo in discussione l’autorità galenica fino ad allora unanimemente accettata, lo espose a violente critiche da parte dei colleghi.

Fu probabilmente questa ostilità a spingere Vesalio, l’anno successivo alla pubblicazione della Fabrica, il 1544, ad abbandonare la ricerca scientifica e a trasferirsi in Spagna come medico personale di Carlo V (1500-1558) e poi di suo figlio Filippo II (1527-1598).

Morì sull’isola di Zante, durante il ritorno da un pellegrinaggio in Terra Santa, nel 1564.

L’intuizione del piccolo circolo fu ripresa e approfondita da un anatomista italiano, Realdo Colombo (1516-1559), che era allievo di Vesalio e gli succedette nella cattedra di Padova, anche se solo per un anno, per poi insegnare a Pisa nel 1545 e passare infine a Roma nel 1548.

Anatomico di grande rilievo, acquisì una notevole esperienza dedicandosi alla dissezione, che illustrò nel De re anatomica, pubblicata nel 1559.

Attraverso la vivisezione sui cani Colombo arrivò a descrivere il piccolo circolo: tagliando la vena polmonare di un cane nel punto più lontano dal cuore osservò che non conteneva aria, ma bensì sangue di tipo arterioso, che definì “sottile e brillante”;

inoltre confermò che non vi erano fori nel setto del cuore, sostenendo quindi che il sangue andava dalla parte destra del cuore a quella sinistra passando attraverso i polmoni.

Colombo non giunse ancora al concetto di circolo polmonare, poiché rimase ancorato alla teoria galenica secondo la quale il sangue venoso era attratto e utilizzato dalle diverse parti del corpo.

La chirurgia nel Rinascimento rimase legata al galenismo, e fu ostacolata anche da non indifferenti difficoltà pratiche, come la suppurazione delle ferite, le emorragie e il dolore connesso agli interventi.

La formazione di pus a seguito dell’intervento chirurgico continuò ad essere ritenuta inevitabile ed utile (pus bonumet laudabile); perciò la diffusione stessa della chirurgia comportò un aumento delle infezioni post-operatorie.

Le emorragie erano un altro problema connesso soprattutto all’amputazione degli arti, che venne risolto da Ambroise Parè, il quale reintrodusse la tecnica della legatura dei vasi, già conosciuta nell’Antichità. Tuttavia questa tecnica non venne adottata stabilmente prima della fine del XVIII secolo, in quanto richiedeva conoscenze anatomiche precise, e anche perché i fili di sutura utilizzati per questa operazione erano infetti e quindi responsabili di frequenti infezioni e cancrene.Quanto al dolore, l’uso della spongia somnifera (oppio, succo di mandragora, succo di giusquiamo; una spugna assorbiva il tutto, la si faceva asciugare, la si immergeva in acqua e, infine, il malato doveva annusarla). fu presto abbandonato per le sue controindicazioni, e l’effetto analgesico venne affidato all’utilizzo di sostanze alcoliche da parte dei chirurghi empirici, mentre i professionisti consideravano il dolore un problema secondario rispetto alla salute del paziente.

Intervento di trapanazione del cranio

Il più notevole rappresentante della disciplina del tempo è il francese Ambroise Parè (ca. 1510-1592), considerato il padre della chirurgia moderna. Nato da una famiglia molto modesta, apprese i primi rudimenti della materia dai chirurghi-barbieri.

A Parigi lavorò all’Hôtel-Dieu, dove acquisì una notevole esperienza, e divenne Maestro Chirurgo-Barbiere, entrando a far parte della Corporazione dei Chirurghi nel 1536.

Terminata l’esperienza all’Hôtel-Dieu, mise in pratica ciò che aveva appreso al seguito dell’esercito, sperimentando nuove tecniche di cura, come la legatura dei vasi a seguito di amputazione.

Questa tecnica si rivelò più efficace rispetto alla cauterizzazione in voga in quel periodo, ma fu accolta con diffidenza dai colleghi .

Parè introdusse la sostituzione dell’olio bollente, largamente utilizzato per curare le ferite da arma da fuoco, con un unguento più efficace a base di ingredienti molto semplici e meno dannosi, come l’acqua, il tuorlo d’uovo, le essenze di rosa e la trementina.

Inoltre propose nuovi tipi di fasciature e bendaggi, che entrarono nell’uso corrente.

Ritornato a Parigi, entrò nella Confraternita di San Cosma e divenne chirurgo personale di quattro re, Enrico II, Francesco II, Carlo IX ed Enrico III.

Per le novità che apportava rispetto alle tecniche tradizionali e per la sua formazione non accademica, Parè si attirò le gelosie e le critiche dei professori dell’Università di Parigi.

Lasciò una quindicina di opere, tra cui Dixlivres de la chirurgie, La maniere de traicter le playe e Les oeuvres de M. Ambrosie Parè.

Strumenti chirurgici ed arti artificiali da La methode curative des playes, et fractures de la teste humaine di Parè.

L’elvetico Theophrastus PhilippusAureolus Bombastus von Hohenheim, noto con lo pseudonimo di Paracelso (1493-1541), è una delle figure più notevoli del Rinascimento, fondatore di una nuova disciplina, la iatrochimica, che interpretava i processi biologici in termini chimici e proponeva la cura delle malattie attraverso l’uso di sostanze minerali .

Paracelso era anche un alchimista e un astrologo; autore prolifico, ha lasciato un’ottantina di opere, che spaziano dalla filosofia, alla medicina, all’alchimia, all’occultismo, alcune delle quali appartengono però ai suoi allievi.

Questi testi appaiono piuttosto complessi e furono di difficile comprensione anche per i suoi contemporanei; vi si trova un complesso di geniali intuizioni e di strambe affermazioni di tipo astrologico o magico, che rivelano la fusione operata da Paracelso tra scienza e magia.

Egli ruppe nettamente con la tradizione, rifiutando il dogmatismo e le concezioni scolastiche e proponendo una concezione nuova, secondo la quale la medicina doveva essere basata sull’esperienza e non sull’autorità dei medici antichi.

La più grande innovazione introdotta da Paracelso fu l’interpretazione chimica dei processi fisiologici e biologici.

Egli aggiunse ai quattro elementi aristotelici, aria, acqua, fuoco e terra, una triade di principi (tria prima) che sarebbe alla base della formazione e dei cambiamenti della materia, ossia sale, zolfo e mercurio.

Lo stato di salute o di malattia del corpo umano, definito una “fornace anatomica”, sarebbe determinato dall’interazione di tali sostanze.

Le teorie di Paracelso cominciarono a circolare in Europa, suscitando un acceso dibattito, tra chi aderì alle nuove idee e all’interpretazione inchiave chimica della medicina, con l’introduzione di nuove sostanze in farmacologia, e chi invece rimase ancorato alla concezione galenica e considerava Paracelso come un ciarlatano.

In generale, tuttavia, il suo tentativo di conciliare la medicina con la chimica rappresentò un contributo riformatore di notevole importanza per la disciplina, e la iatrochimica, grazie alla quale iniziò il processo di affermazione della chimica come disciplina scientifica autonoma, trovò molti seguaci.

importanza di Paracelso:

in terapia usò le sostanze minerali, prima ritenute veleni

l’etere come anestetico

utilizzò il laudano (tintura d’oppio) come antidolorifico

l’antimonio come emetico, purgativo

In psicologia sogni naturali (legati all’attività quotidiana)

sovrannaturali (comunicazioni degli spiriti)

in medicina sostenne l’importanza dell’alchimia

in astrologia dal girare delle costellazioni (simili agli uomini)

si ricava la volontà delle stelle

che si riporta agli uomini

preparò amuleti e sigilli per la cura delle malattie

la gotta

l’epilessia

in clinica descrisse la calcolosi

il gozzo

la sifilide

Con il finire del Medioevo l’ospedale era rimasto ancora appannaggio della Chiesa, almeno per quanto concerneva il personale di assistenza ma, nella sua gestione, erano cominciate a subentrare anche le autorità laiche.

A partire dal XV secolo, si verificò un progressivo fenomeno di razionalizzazione, secondo il quale la struttura ospedaliera non era più rifugio indiscriminato per diverse categorie di bisognosi, ma piuttosto luogo di cura per gli infirmi.

Questo fenomeno si esplicò con la creazione degli Ospedali maggiori, grandi istituti che sorsero nel corso del XV secolo, con la volontà di rispondere in modo razionale alle esigenze sanitarie.

Perciò il medico, che in età medievale era assente dall’ospedale, vi fece il suo ingresso, con la funzione di accettazione e smistamento dei malati all’interno dell’istituto.

L’Ospedale del Ceppo di Pistoia

Il grande ospedale rinascimentale era riservato a coloro che, grazie alle competenze di medici preparati nelle università, potevano guarire e rientrare nella una vita attiva.

I pauperes e i malati incurabili, soggetti che non potevano essere riabilitati e non potevano rientrare nella società produttiva, vennero ora esclusi dagli ospedali maggiori, e destinati a strutture minori, più decentrate.

Queste strutture divennero luogo di cura, in cui l’assistenza spirituale, che aveva dominato durante il Medioevo, ebbe un ruolo minore e rappresentarono un campo di esperienza e di approfondimento clinico formidabile per il medico, che aveva l’occasione di verificare la teoria con la pratica al letto del malato.

La scoperta del Nuovo Mondo e le nuove rotte commerciali, che si svilupparono a partire dalla fine del XV secolo, comportarono l’importazione e l’esportazione di malattie che fino ad allora erano rimaste circoscritte a determinate aree geografiche e che, invece, si propagarono colpendo una popolazione “vergine” e perciò particolarmente esposta in quanto priva di difese immunitarie.

Infatti il Rinascimento vide la comparsa di due nuove malattie, la sifilide e il sudore anglico.

Una delle prime descrizioni della sifilide risale al 1495, in occasione dell’assedio di Napoli da parte degli Spagnoli, quando tra i francesi comparve un’epidemia caratterizzata da nauseanti pustole sui genitali, che si diffondevano e si ulceravano, dalla comparsa di bubboni cutanei e da un interessamento degli organi interni e dell’apparato scheletrico con forti dolori ossei. La malattia si risolveva con un’invalidità permanente o con la morte del soggetto colpito.

Le truppe francesi e spagnole, di ritorno in patria dopo la capitolazione della città, diffusero la malattia in Italia, Francia e Germania, cosicché dal 1500 in poi tutta l’Europa ne fu affetta, arrivando fino in estremo oriente attraverso la rete commerciale.

La natura venerea della sifilide fu riconosciuta molto presto, tanto che questa malattia divenne un segno di condotta immorale e si approntarono delle misure volte ad evitare il contagio, come l’astensione dai rapporti con le prostitute.

Fu proprio durante il XVI secolo che la trasmissibilità di alcune malattie, fra cui la tubercolosi, venne riconosciuta, e cominciarono ad essere approntate misure opportune per evitare il contagio.

Fu Girolamo Fracastoro a intuire il concetto di contagio, parlando nel suo De contagione et contagiosis morbis del 1546 di piccolissime particelle, che egli denomina seminaria, le quali passando da un individuo ad un altro trasmetterebbero la malattia.