Il reportage/1 100 - cronachedigusto.it · Foto archivio CdG Alessandro Fucarini, ... manus. Tanto...

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1 Il reportage/1 Il palato del produttore Tredici big del vino si raccontano Il reportage/2 L'altro Nebbiolo Valtellina, tra le vigne la fatica si fa bellezza L'intervista: Massimo D'Alema: "Il buon bere è di sinistra" La nuova classifica dei personaggi più influenti nel mondo del vino tra chi sale, chi scende, chi entra e chi esce 100 TheWine List Power MAGAZINE

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Il reportage/1Il palato del produttoreTredici big del vinosi raccontano

Il reportage/2L'altro NebbioloValtellina, tra le vignela fatica si fa bellezza

L'intervista:Massimo D'Alema:"Il buon bereè di sinistra"

La nuova classificadei personaggi più influentinel mondo del vinotra chi sale, chi scende,chi entra e chi esce

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Supplemento a Cronachedigusto.it del 21 marzo 2015

giornale on line di enogastronomia

Direttore responsabileFabrizio Carrera

Coordinamento redazionaleGiorgio Vaiana

Testi di Francesca Ciancio,Daniela Corso, Elisa Costanzo,

Annalucia Galeone, Andrea Gori,Francesca Landolina, Bianca Mazzinghi,

Geraldine Pedrotti, Francesco Pensovecchio, Maria Antonietta Pioppo,

Alessandra Piubello, Emanuele Scarci

Foto archivio CdGAlessandro Fucarini, Vincenzo Ganci

Progetto grafico e impaginazione ConsoleDesign - Palermo

TipografiaPoligrafica Industriale

via Argine, 1150 80147 Napoli

Direzione, redazione, amministrazionevia Isidoro La Lumia, 98 - 90139 Palermo

tel. +39 091 [email protected]

Autorizzazione del tribunale di Palermonumero 9 del 26/04/07

Concessionaria per la pubblicitàPublisette, via Catania 14, 90141 Palermotel. +39 091 7302750 • [email protected]

Numero chiuso in redazioneil 13 marzo 2015

MAGAZINE

La Wine Power List pp. 8-33

La Wine Power List 2014 pag. 35

Vinitaly, al via edizione da recorddi Elisa Costanzo pp. 38-39

Mantovani: “Più presenza di buyer” pag. 40

Stevie Kim: “I cinesi produttori? Sarà un bene pag. 41

La Vinitaly Academy: gli ambasciatori del vino pag. 42

L'esordio. La Fivi tra gli stand di Veronadi Maria Antonietta Pioppo pag. 43

Antonio Galloni: "Negli Usa vale il brand" pag. 44

Il palato è tutto?di Francesca Ciancio pp. 46-49

Barolo, Etna, Campania:

territori del domani pp. 50-51

Export: la Cina non è vicinadi Bianca Mazzinghi pag. 53

Gallo Nero: il marchio si difende nel mondodi Giorgio Vaiana pp. 56-57

Il legame suolo-vino e i luoghi comunidi Attilio Scienza pag. 58

Certificazioni Doc, ci pensa Valoritaliadi Alessandra Piubello pp. 60-62

Trentodoc, una maxi degustazionedi Francesco Pensovecchio pp. 63-65

Il reportage. L’altro Nebbiolo di Francesca Ciancio pp. 66-69

Il personaggio. Diego Cusumano pp. 70-71

L'azienda. Il vino della Capitale pp. 72-73

Il personaggio. Albano Carrisidi Annalucia Galeone pp. 74-75

Il personaggio. Alberto Tasca d'Almerita pp. 76-77

L'azienda. Frescobaldi e la Toscanadi Andrea Gori pp. 78-79

Il personaggio. Salvo Foti racconta l'Etnadi Francesca Landolina pp. 80-81

I territori. La Sicilia e il futuro pp. 82-83

Il personaggio. Massimo D'Alemadi Emanuele Scarci pp. 84-85

Il personaggio. Il sommelier di Heinz Beckdi Daniela Corso pp. 86-87

Scenari. "Mondo dell'olio in difficoltà"di Geraldine Pedrotti pp. 90-91

Sol&Agrifood, eccellenze in mostra pp. 92-93Expo, seimila operai al lavoro pp. 94-95

Bio-Mediterraneo, tutto sul Cluster pp. 96-97

SOMMARIO

informazione pubblicitaria

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Se la figura dell’enologo non brilla in generale quest’anno nella nostra classifica, Riccardo Cotarella continua a brillare per il suo prestigio personale e le

sue realizzazioni in bottiglia, sul campo e nei palazzi che contano. Dove non arrivano i suoi vini (in molti presenti ad Expo in un modo o nell’altro e comunque carichi di allo-ri e riconoscimenti) arrivano il suo carisma e la sua longa manus. Tanto da farne oggi il personaggio più influente del vino italiano. E su più fronti. A lui si rivolgono indu-striali, politici e personaggi dello spettacolo per realizza-re un vino e in genere non restano delusi: solo negli ultimi mesi abbiamo assistito al debutto dei vini di Bruno Vespa e Massimo D’Alema oltre che quelli di Gianmarco Moratti che hanno convinto molti scettici. Anche dal punto di vista professionale, per Cotarella è sta-to un anno di successi, in quanto a dicembre è stato eletto nuovo Presidente dell’Union Internationale des Oenolo-gues, a Bordeaux a fianco di Serge Dubois che assume la vicepresidenza in rappresentanza degli enologi francesi. L’Union Internationale des Oenologues venne fondata a Milano nel 1965, ma ha sede a Parigi e rappresenta a li-vello mondiale le associazioni nazionali di categoria dei tecnici vinicoli, oltre 20.000 tecnici che operano in 12.000 aziende. Riccardo Cotarella è diventato il secondo italiano nella storia ad assumere questa carica dopo Ezio Rivella; è un’associazione al 70% europea, ma conta quasi altret-tanto nel resto del mondo.Il futuro prossimo si chiama Expo 2015 dove è presidente del Comitato scientifico del padiglione Vino, un ruolo di potere, ma anche di responsabilità che non potrà che raf-forzare il suo ruolo di promotore e comunicatore di grandi vini italiani nel mondo. Dentro Expo Riccardo Cotarella su-pervisionerà la realizzazione di alcuni percorsi: uno sarà emozionale e riguarderà la storia e la realtà odierna del vino italiano con l’impianto di un piccolo vigneto dove si svolgeranno varie attività dimostrative di pratiche agro-nomiche. Il secondo sarà più simile ad un museo del vino italiano, ma strutturato come un percorso veloce, legato alle sensazioni. La sua missione a Milano sarà quindi quel-la di presentare l'Italia dei vini, le sue storie, le sue at-tualità senza soffermarsi sulle Docg più note o quelle più ricche e famose, portando al centro il territorio e la natu-ra che vede nascere i vini italiani, il tutto in un contesto multimediale piuttosto innovativo dove la sua immagine dovrebbe apparire il meno possibile ma restare come ga-rante della qualità complessiva del lavoro svolto. Onestamente non ci vengono in mente molte altre figure in Italia che possano pensare di gestire un lavoro simile se non appunto lui...

RiccardoCotarella

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Rispettoall'anno scorsouna quindicinadi new entrye altrettantipersonaggiin uscita.Pochissimiancoragli under 40

I profili della classifica sono stati redattida Fabrizio Carrera e Andrea Gori

Wine Power ListIn classifica cambio al vertice

e più comunicatori

Fabrizio Carrera

Rieccoci con la Wine Power List. Per il secondo anno il magazine di Cronache di Gusto pubblica la

classifica dei cento personaggi più in-fluenti del vino italiano. E lo fa metten-do in evidenza chi sale e chi scende, chi entra e chi esce rispetto al 2014.Continua così la nostra idea di voler scattare un'ampia fotografia sulla map-pa del potere del vino. Potere in senso ampio e senza virgolette. Perchè è in-dubbio che certi ruoli o qualche peso specifico dettato dall'autorevolezza o dall'esperienza possa cambiare in un senso o nell'altro le strategie del vino italiano sia negli aspetti produttivi che in quelli commerciali e di interesse gior-nalistico. E anche questa volta il lavoro sulla classifica lo offriamo al Vinitaly e

a tutti i suoi innumerevoli partecipan-ti, dal produttore all'appassionato, dall'importatore al giornalista. Quali novità nella Wine Power List di quest'anno? Intanto balza agli occhi un nuovo numero uno, Riccardo Cotarella. Dopo le nuove cariche dell'ultimo anno e le sue innegabili capacità professio-nali oltre all'essere l'interfaccia del mondo del vino che conta non poteva-mo che assegnargli il posto più alto del podio. Complessivamente ci sono una quindicina di nuovi ingressi che confer-mano quanto la mappa del potere sia di-namica e per niente statica. E per ogni personaggio in classifica un triangolino indica la posizione dell'anno scorso.Altra considerazione. A consultare la classifica non sfugge che i personaggi under 40 presenti si contano sulle dita di una mano. A guidare questa new ge-neration c'è il ministro Maurizio Marti-

na esponente di un governo guidato da un quarantenne come Matteo Renzi. E ancora qualche giovane comunicatore, qualche sommelier enfant prodige che contribuiscono ad abbassare la media. Alla fine un po' pochi per la verità ma certamente un segno. Perchè come è facile immaginare la conquista del po-tere richiede esperienza e determina-zione. Anche la presenza femminile si difende bene con alcune new entry.E occhio a chi guarda dall'estero per-chè anche questi ultimi, a modo loro, esercitano un potere sulla capacità del nostro vino di penetrare nei mercati internazionali. Anche quest'anno non vogliamo immaginare che il quadro sia esaustivo. Se qualcuno vorrà segnalar-ci clamorose assenze lo ascolteremo. E valuteremo.Per quest'anno è tutto.Buona lettura.

Il reportage/1Il palato del produttoreTredici big del vinosi raccontano

Il reportage/2L'altro NebbioloValtellina, tra le vignela fatica si fa bellezza

L'intervista:Massimo D'Alema:"Il buon bereè di sinistra"

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La nuova classificadei personaggi più influentinel mondo del vinotra chi sale, chi scende,chi entra e chi esce

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AngeloGaja

La boutade di candidarlo come Pre-sidente della Repubblica si stava rivelando quasi un’ipotesi realisti-

ca nelle settimane precedenti l’elezione del Capo dello Stato ed è significativo di quanto forte sia il suo carisma e la rico-noscibilità della sua figura anche oltre l’ambito del vino. E non è un caso se Le Roj è stato scelto da Marcello Masi per inaugurare la trasmissione televisiva di Rai 2 dedicata ai “Signori del Vino”, il format finanziato dal Ministero del-le Politiche Agricole per rilanciare la conoscenza del vino alle porte di Expo 2015. Pochi giorni prima lo avevamo incon-trato dal Papa dove ha consegnato di persona al Santo Padre le insegne di sommelier onorario, lui solo tra le cen-tinaia di produttori presenti. Ma non uno dei produttori che si sia lamentato del fatto che fosse lui Gaja piuttosto che

un altro a farlo. Segno che se il mondo del vino italiano fosse una squadra, An-gelo sarebbe il capitano indiscusso. In tempi di nuova comunicazione e cambio di paradigmi e schemi resiste con l’uto-pia, a quanto pare in realtà possibile, di non avere un sito web aziendale e di co-municare solo con lettere aperte, per la verità meno frequenti di un tempo. Fre-quenta sia i vari G8 del vino in giro per il mondo che eventi più piccoli, ma sem-pre con la stessa brillantezza e classe. Dal 1967 sulla breccia, ha ancora forza ed energia e soprattutto credibilità per ricordare che è “importante che si torni a parlare di vino in tv. Anche se questo è un momento in cui non mi sembra si debba aver timore che se ne parli troppo poco: lo si fa sui quotidiani, sulle riviste specializzate o no, su internet, nelle di-verse associazioni come l'Onav o l'Ais. Lo facciamo noi produttori quando ri-

ceviamo clienti e appassionati in canti-na". Sulla bocca di altri, queste parole potrebbero suonare di scherno o altez-zose, ma non nel suo caso. Sulla comu-nicazione del vino sembra avere sempre le idee più chiare di tutti tornando a suddividere il mondo di chi parla di vino in due categorie: quelli che mettono il naso nel bicchiere capaci di illustrare tutte le caratteristiche del vino e quelli che il naso lo mettono anche fuori, che raccontano un vino. Nessun dubbio su quale delle sue categorie preferisca... sempre convinto che se il "dentro il bic-chiere" è importante, il "fuori", il ter-ritorio da cui nasce un vino, la storia di un produttore, l'andamento dei merca-ti, lo è forse anche di più. Parole su cui fondare la comunicazione del vino e il suo racconto nel prossimo futuro dopo anni di eccesso di analisi e dettagli che spaventano il consumatore.

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La grande cantina nel Chianti Classi-co troneggia, attirando sempre più clienti  e resiste anche ai terremoti

(addirittura due nell’arco di 6 mesi con un epicentro vicinissimo): emblematico di come la famiglia Antinori proceda spedita per la sua strada di investimenti

per il futuro e per le prossime genera-zioni di vino italiano. L’impegno nel Chianti Classico è risultato determinan-te per le ottime performance della de-nominazione e anche il progetto Gran Selezione sembra aver portato ulteriore lustro all’azienda. Investimenti impor-

tanti sono stati fatti nelle aziende in Franciacorta, nella distribuzione degli Champagne Perrier Jouet che comin-ciano a popolare le carte dei ristoranti più esclusivi e importanti della peniso-la e a Bolgheri dove la Tenuta Guado al Tasso rappresenta un laboratorio a cie-lo aperto che ogni anno vede nascere nuovi vini che riscontrano un successo immediato. L’annata 2010 per il Barolo Prunotto appena venduta e la 2010 per il Brunello di Montalcino Pian delle Vigne vogliono dire tanto fieno in cascina per l’immediato futuro, mentre dal punto di vista comunicativo le lezioni preziose che vengono impartite nei convegni in giro per il mondo contengono una visio-ne strategica impressionante per lun-gimiranza e spirito pratico. Il Solaia è uno dei pochi vini italiani che spicca sul serio nelle aste internazionali insieme al Tignanello dando alla tenuta di San Casciano un prestigio unico nel mondo contribuendo a rafforzare l’immagine del marchio italiano del vino più forte in assoluto. La presenza all’Expo sarà importante perchè l’Italia ha sempre bisogno di persone come Piero Antinori a garanti-re per lei presso i mercati più importanti del mondo. Ulteriore e possibile nuovo grande risultato proprio per la nuova cantina, unica opera italiana seleziona-ta da una grande commissione interna-zionale che ha scelto le 5 opere più rap-presentative in Europa per il Premio di architettura contemporanea dell’Unio-ne Europea, assegnato ogni due anni a opere realizzate nel biennio preceden-te. L’annuncio del premio e relativa ce-rimonia di premiazione è fissato per l’8 maggio al Mies van der Rohe Pavillion di Barcellona. Sarebbe un riconoscimento prestigioso dato per la prima volta ad una cantina: in lizza ci sono il Danish Maritime Museum di BIG – Bjarke Ingels Group, a Helsingør, la Philarmonic Hall di Szczecin, in Polonia, di Barozzi / Vei-ga, e lo Saw Swee Hock Student Centre, LSE, a Londra, degli irlandesi O’Donnell + Tuomey.

PieroAntinori

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GianniZonin

Se qualche anno fa Vinitaly poteva identificarsi solo con la fiera primaverile oggi il marchio assume un valore attivo ogni mese dell’anno tra iniziative all’e-

stero e rimandi italiani in varie forme dalla maratona HackWine ai vari interventi in collaborazione con enti pubblici e privati su tutto il territorio nazionale, non ul-timo l’attesissimo padiglione ad Expo 2015. La consegna del Grand Awards of Merit durante i 30 anni del Gala Italia a New York lo scorso febbraio è stato il giusto riconosci-mento per il contributo dato con Vinitaly alla promozione e al successo del vino italiano nel mondo, un successo pari a oltre 1,3 miliardi di dollari di esportazioni lo scor-so anno quando appunto trent’anni fa valevano solo 44 milioni di dollari. Un export promosso in maniera indi-retta con la fiera, ma da qualche anno il focus di Vinitaly è sempre più l’estero con Vinitaly International, manife-stazione che organizza appuntamenti durante l’anno in varie città con risultati più che tangibili che vanno ben oltre le centinaia di migliaia di operatori in arrivo ogni anno a Verona, di cui 28 mila solo dagli Stati Uniti. Nel prossimo futuro immediato il ruolo centrale (e quasi in solitaria) di rappresentare il vino italiano a Expo è stata una straordinaria mossa che ha rafforzato ulteriormente la sua rappresentatività agli occhi del vino italiano.

Archiviato con successo il passaggio storico del ruo-lo di Ad al figlio Domenico, anche giocando il ruo-lo di presidente onorario, Gianni riesce sempre a

mantenersi al centro dell’attenzione del mondo del vino nonostante la prospettata riforma delle Banche Popolari lo ha distratto dagli affari vinicoli. Ma nulla si può eccepi-re quando ci si accorge che il miracolo del Prosecco porta anche la sua firma perchè con 20 milioni di bottiglie Zonin rappresenta la più grande produttrice privata della tipo-logia. È anche merito suo e del lavoro di squadra con le istituzioni se il pasticcio dei diritti di reimpianto è stato gestito senza strascichi in una zona delicata come quel-la veneta e friulana. Grandi sono stati gli investimenti in immagine aziendale che guadagna posizioni verso l’alto soprattutto all’estero. Le cantine sul territorio italiano lavorano in maniera distinta, ma ben coordinata con il gioiello Castello d’Albola nel Chianti Classico che presen-ta alcuni tra i vini più convincenti di una denominazione mai sazia di riflettori. In Sicilia grande lavoro su Inzolia e Nero d’Avola per molti versi pionieristico e addirittura in Puglia Masseria Altemura è tra le venti new entry della classifica di Wine Spectator con Opera Wine. Il fatturato veleggia attorno ai 160 milioni di euro con l’obiettivo di arrivare a 200 nel medio periodo.

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Lo scorso Vinitaly rappresentò il battesimo nel mondo del vino per il Ministro che ci ha preso gusto a bazzi-care questo ambiente, probabilmente imbeccato da

Matteo Renzi che ha sempre avuto un debole per la pro-duzione vinicola e la capacità di muovere l’elettorato e di fungere come facilitatore in molti processi. Lo abbiamo visto sempre presente nei momenti essenziali e sempre pronto ad ergersi in difesa del made in Italy. Come bilan-cio del suo periodo da Ministro, possiamo annoverare al-cuni successi e qualche istanza non raccolta soprattutto nei confronti del Movimento turismo del vino. Ottime le mosse nella risoluzione della delicata impasse sulla tra-sferibilità interregionale dei diritti di impianto. Bene l'avvio del decreto #campolibero anche se gli applicativi non si vedono ancora. Altri impegni presi accolti molto bene sono stati quelli su Expo, fondi Ocm promozione. Ancora da risolvere la questione dell’Imu Agricola, ma di certo non lascerà che sia questa a intaccare il suo presti-gio e influenza nel settore. Il 2015 inoltre sarà l'anno del nuovo Testo unico, quello nato dalla mediazione raggiun-ta in questi mesi dalla filiera con una forte collaborazione tra Governo, Parlamento e organizzazioni di categoria. Verona sarà proprio l'occasione per fare insieme il punto delle cose fatte.

MaurizioMartina

PaoloDe Castro

La questione delle quote latte che scadranno defini-tivamente a fine marzo 2015 metterà a dura prova la sua capacità di tutelare il made in italy agroalimen-

tare. Negli ultimi mesi tanto lavoro con gli sviluppi del negoziato del partenariato transatlantico su commercio e investimenti (Ttip) in Spagna e soprattutto un rinno-vato impegno (a parole) per la difesa delle indicazioni geografiche, tutela dei consumatori e riduzione barrie-re commerciali. Di certo un anno sotto pressione da cui potrebbe uscire molto più forte, ma anche un impegno grande per lui e per il suo staff che già deve far fronte al ridimensionamento delle ambizioni di De Castro di di-ventare Commissario Europeo per l'Agricoltura. Di certo non ha giovato il ruolo per l’Italia in istituzioni chiave per l’Unione Europea. Ci sarebbe insomma un discreto timore che l’agricoltura italiana possa diventare troppo forte in Europa perchè la forte vocazione agricola del nostro pa-ese è sempre molto sottoutilizzata e in costante diminu-zione. Un’Italia più forte in Europa in agricoltura vorreb-be dire un’Italia molto più importante a livello europeo in generale e non tutti i paesi “agricoli” europei sarebbero disposti a concederle un ruolo maggiore. In tutto questo De Castro è stato senz’altro positivo e capace di tenere l’I-talia al banco delle potenze europee da tenere d’occhio.

Ph. Vincenzo Ganci

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Giovanni Mantovani

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SandroBoscaini

RiccardoRicci Curbastro

Attilio Scienza

Riconfermato di recente, con poche alternative, in Federdoc continua a marciare spedito. Federdoc, in-

fatti, vuole ampliare la propria rappre-sentanza in vista dei crescenti impegni nazionali ed internazionali della filiera vitivinicola Doc: per farlo Riccardo Ric-ci Curbastro ha voluto tenersi accanto Chianti Classico e Prosecco. A livello Eu-ropeo e mondiale continua la battaglia per il suffisso web “.wine” a supporto del commissario europeo all'Economia digitale, Guenther Oettinger con il suo ruolo nell’intergruppo vino guidato da Herbert Dorfmann. Obiettivi personali e di Federdoc, il miglioramento delle strutture ed una formazione specia-listica del personale e una revisione dell’ampiezza delle Doc in Italia arri-vate a 521: solo 76, però, producono il 90% del vino Doc. A livello aziendale, l’azienda Ricci Curbastro in Franciacor-ta continua a raccogliere premi e rico-noscimenti per una tipologia di vino, lo spumante, traino per le nostre esporta-zioni anche grazie ai metodo classico. Uno dei pochi se non l’unico italiano che crede e opera per il mondo del vino italiano nella sua interezza e non solo per interesse più diretti e personali.

La città di Satricum nell’Agro Pon-tino torna alla luce dopo una sua intuizione di anni fa; a Venezia tor-

na il vino e la coltivazione dell’uva; in Abruzzo l’interesse per il vitigno Monte-pulciano risale; a Milano viene ripianta-ta e torna alla vita la Vigna di Leonardo da Vinci avuta come pagamento per il Cenacolo. Dietro ogni grande scoperta o riscoperta del vino italiano c’è sempre un ruolo importante per Attilio Scienza. Il suo modo di operare ha fatto scuola e in tanti lo stanno imitando, ma rima-ne unico per il fiuto di nuove eclatanti scoperte e riscoperte nonchè per le ca-pacità divulgative adatte sia al grande pubblico che agli esperti. Coraggioso e determinato, anche quando annuncia che il Montepulciano è un vitigno tra i 5 più importanti al mondo, si ha l’im-pressione che si stia dedicando davvero a troppi progetti e ricerche per essere credibile su tutti. Di certo però quando parla non lo fa mai a caso e non le man-da a dire in quanto a stimoli e provoca-zioni. Di recente è stato molto critico sulle Anteprime del Vino sottolineando come siano un evento da ripensare. An-che per lui l’Expo sarà un bel banco di prova e molti lo aspettano al varco.

Anno importante e che sarà for-se considerato storico per Masi.  Mentre si prepara l’ingresso in

borsa insieme al Gruppo Alcedo già azionario del gruppo, si sono aperti  i primi Wine Bar targati Masi nel mondo. La quotazione a Piazza Affari dovrebbe arrivare entro il 2016 e sarà fatta insie-me all’azionista Alcedo, ma Sandro Bo-scaini manterrà saldamento il controllo della Masi che ha chiuso il 2013 con ri-cavi a 64,5 milioni, Ebitda 18,7 e un uti-le netto di 7,8 milioni, con un export al 92% di cui un interessante 12% dal seg-mento duty free e travel transportation. Il 73% della società è sempre in mano a Sandro Boscaini con i fratelli Bruno e Mario e i figli Alessandra e Raffaele. Sandro Boscaini è inoltre il nuovo presi-dente di Federvini al posto di Vallarino Gancia per il triennio 2014/2016. Per il commendatore Boscaini la guida di Fe-dervini significa dover giocare un ruolo strategico nuovo e diverso con tanta re-sponsabilità in più, ma anche una pos-sibilità di spostare l’attenzione sui vini italiani all’estero. In arrivo quindi un riassestamento degli equilibri e delle politiche sul vino sia nei Palazzi romani che a Bruxelles.

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17EmilioPedronLo scorso anno la nascita di Bertani Domains suscitò grande attenzione e del resto parliamo di 3,3 milioni di bot-tiglie su 44 mercati esteri che valgono 20 milioni di fatturato ripartito su sei aziende vitivinicole in Toscana, Veneto e Marche. Ha suscitato clamore l’an-nuncio di non produrre il “Classico” con la difficile vendemmia 2014 e tutte le polemiche e discussione che sono se-guite dimostra quanto sia bravo a tene-re alta l’attenzione sul gruppo che per altri versi è meritevole per saper pun-tare sui giovani in cantina e in campo.

20GiovanniGeddes da FilicajaLa grande rivoluzione che attende Fre-scobaldi passa anche dalla sua capaci-tà di suggerire strategie e prospettive come si è visto ad Ornellaia. Ma in re-altà Geddes non solo è protagonista in un questo particolar re-boot di Fresco-baldi, ma avrà anche un ruolo diverso in Ornellaia dove non ci sarà più la figura di General Manager di Leonardo Raspini e sarà quindi chiamato a maggiori re-sponsabilità e visibilità. Intanto Mar-chesi de’ Frescobaldi chiude il 2014 con un fatturato in crescita a 85 milioni di euro.

19OscarFarinetti

22MarilisaAllegriniL’azienda di casa va alla grande nono-stante una produzione di vini Amarone in netta diminuzione a causa di un'an-nata molto difficile. Impegno anche per le Famiglie dell’Amarone e per la Italian Signature Wines Academy (Iswa), grup-po che riunisce cinque storiche azien-de: Allegrini (Veneto), Feudi di San Gregorio (Campania), Fontanafredda (Piemonte), Marchesi de' Frescobaldi (Toscana) e Planeta (Sicilia). Tra i primi passi l’accordo quadro di collaborazio-ne tra l'Università IULM e la Iswa per le attività di ricerca, formazione e stage.

18RuenzaSantandreaNata a Faenza, dal 2005 è presidente del gruppo cooperativo dell'Emilia Ro-magna Cevico, un colosso della vitivi-nicoltura nazionale, responsabile del settore vino di Legacoop nazionale, è nel settore cooperativo dal 1981 e dal-lo scorso novembre aggiunge ai suoi incarichi e responsabilità anche la pre-sidenza di Legacoop Romagna. Difficile trovare un manager con tanta cono-scenza e potere nel mondo cooperativo del vino soprattutto emiliano-roma-gnolo che è in volume il più importante d’Italia.

21Franco ManzatoL'assessore all'agricoltura del Veneto si è messo in grande evidenza nella tor-mentata vicenda delle aree e diritti di impianto del Prosecco Doc in vista del regime delle autorizzazioni che entrerà in vigore nel 2016. Manzato vuole che siano le Regioni a gestire il processo controllando la regolarità delle transa-zioni dei diritti d’impianto, verificando che tutto avvenga in modo coerente alla normativa e vigilando sulla validità del titolo. Una modalità di lavoro che gli darebbe un grande potere decisio-nale per i prossimi mesi.

È il suo momento per vari motivi. Eataly ormai si avvia a diventare un player glo-bale con nessun precedente in Italia. Se Slow Food si avvicina ad Autostrade e Benetton, dall’altro lato Oscar rilancia con la prossima quotazione in borsa e le nuove aperture italiane (Forlì e poi Trieste e Verona) e soprattutto all’este-ro in India, Francia e Inghilterra. Stan-no per scadere i 10 anni di tempo da lui sempre indicati come orizzonte del suo impegno in questo settore, ma davve-ro tutto si deciderà a Expo2015. Manca ancora il tassello Vino.

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11Domenico Zonin

Ha una marcia in più il Direttore Gene-rale del colosso Caviro (32 cantine as-sociate). Non nasconde che il mercato del vino sia particolarmente insidioso, ma con l’annata 2010 in cantina del Brunello di Montalcino e la tenuta degli altri marchi in Gdo le prospettive non sono certo fosche. Investimenti tec-nologici importanti che hanno portato ad utilizzare vinacce, potature e residui della vinificazione per produrre sostan-ze usate dall'industria farmaceutica ed alimentare e anche per le centrali a biomasse.

14Carlin PetriniSempre più lontano dal Vinitaly. Sem-pre più influente nel mondo del vino. Il presidente internazionale di Slow Food fa sentire la sua autorevolezza non ap-pena ci sia bisogno di intervenire. Come per l'assurda questione delle etichette dove non era possibile indicare prove-nienze geografiche, vicenda poi risolta. Non perde occasione neanche per sfer-zare la categoria dei produttori. A loro, durante il Salone del Gusto, ha chiesto di fare sistema con tutta l'agricoltura. Perchè il futuro è comune. E chi sta me-glio deve anche aiutare chi sta peggio.

La notizia dell’anno è la sua nomina ad amministratore delegato della Zonin. Ma non ha perso tempo ad intervenire nei dibattiti più scottanti del momento come quello sul Testo Unico del vino e sulle quote di impianto in Veneto e in Italia. Come presidente di Unione ita-liana vini è riuscito a inserire il Simei tra gli eventi che riceveranno i finan-ziamenti dal ministero dello Sviluppo economico per il potenziamento del comparto fieristico italiano. I rapporti con il Palazzo e il ministro Martina sem-brano funzionare. Per quanto tempo?

16LucaBianchiA capo del Dipartimento delle politiche competitive della qualità agroalimenta-re, Luca Bianchi controlla l'attuazione delle politiche dell'Ocm vino in Italia, in particolare per tutto ciò che riguarda la promozione. Un budget annuale che supera i cento milioni di euro. Inutile dire che parliamo di uno degli uffici più strategici per il futuro del vino italia-no. Oggi il consolidamento dell'export deve tutto agli ingenti fondi comunitari a disposizione. L'efficienza degli uffici di un dipartimento come questo è fon-damentale.

12FabioMaccariI numeri non sono tutto. Sebbene in questo caso siano positivi. Qui di im-portante registriamo la rara capacità di gestire una grande azienda trasforman-dola senza scossoni. È il caso di Mezza-corona che ha cambiato pelle, talvolta uomini, e anche strategie. In modo fel-pato. Merito del direttore generale che da qualche anno sta nella plancia di co-mando di questo colosso trentino. Poi mettiamoci anche un numero. Quello del fatturato 2014 che si è chiuso a 171 milioni, più 5 per cento, e una leggera crescita in Italia. Non è poco.

15CorradoCasoliSempre primo in Italia per fatturato e giro d’affari, il Gruppo Italiano Vino conta oggi 352 milioni di euro di fattu-rato realizzati per il 70% all’estero, un colosso della cooperazione che detiene 15 diverse cantine in 11 regioni italia-ne. La nomina di Roberta Corrà, prima donna a livelli così elevati in un gruppo del vino, gli ha dato lustro e mostrato che c’è fiducia nel futuro e nelle sfide che verranno anche se di preciso non è chiaro in quali direzioni specifiche abbia intenzione di muoversi il colosso enoico italiano.

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29MarcelloLunelliIl 2014 ha visto il lancio in grande stile delle Tenute Lunelli, il marchio che rac-chiude la produzione di tre aziende in Trentino Alto Adige, Toscana e Umbria. Il core business rimane però ovviamen-te ancora la spumantistica, ma il fatto che finalmente il marchio Lunelli cam-peggi in bella evidenza anche sugli altri investimenti effettuati dal 2000 in poi ha una certa rilevanza. Lo scorso anno l'accordo con Bisol sembrò un trampo-lino di lancio per una maggior diffusio-ne mondiale delle bollicine di entrambi, ma dopo l'annuncio nessuna notizia.

31RenzoCotarellaLa corazzata Antinori procede spedita nel suo processo di allargamento dei mercati, ma soprattutto nell’aumento del prezzo medio per etichetta a partire dal Santa Cristina fino a salire al Solaia. Con la mezza rivoluzione qualitativa, ovviamente verso l’alto, nella tenuta di Guado al Tasso si prospetta un testa a testa per il vino bandiera della casa per via dei nuovi investimenti a Bolgheri. Modello per tanti enologi ed ammini-stratori per come sa delegare i lavori in cantina pur tenendo sotto controllo la qualità complessiva della proposta.

30GiorgioMercuriIl presidente di Fedagri Confcoopera-tive e dell’Alleanza delle Cooperative Agroalimentari guarda ad Expo con fiducia ribadendo il ruolo importante delle cooperative. Sponsorizzando Ca-scina Triulza, il Padiglione della Società Civile, si è impegnato ad organizzare eventi   per ciascuna delle nove filiere cooperative per comunicare la distinti-vità dell’impresa cooperativa e ribadir-ne le caratteristiche uniche. I numeri sono sempre ottimi e crescono meglio dei settori di riferimento, ma ancora sono troppo legati al Nord Italia.

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26Paolo PaneraiNonostante i suoi vini continuino a mietere successi come il secondo posto nella classifica dei vini più premiati per il Sodi di San Nicolò 2011 da Castellare di Castellina, le altre aziende sembrano ancora ferme ad un modello di business e di vino primi anni 2000. La partner-ship con i Rothschild sul mercato inter-nazionale pare stia funzionando. Senza contare che quest’anno con Milano e l’Expo al centro del mondo le sue atti-vità editoriali che hanno sede proprio in città riceveranno un boost notevole ben spendibile in vari settori.

La crisi della Russia ha creato non pochi problemi ad un’azienda in cui il fattu-rato pesa per il 90% sul totale e che è ancora molto incentrata sulle bollicine dolci. Ma non c’è preoccupazione sul futuro immediato dall’alto del fatturato a 159 milioni di euro. L’export del resto tira e rispetto a tante altre aziende l’e-sperienza della Fratelli Martini è gran-dissima e trarrà vantaggio dal generale miglioramento delle esportazioni ita-liane auspicato dall’effetto Expo. Spese in vista per l’ampliamento “green” del-lo stabilimento di Cossano Belbo.

28GiuseppeLiberatoreIl direttore di uno dei Consorzi Docg più attivi e potenti d’Italia è anche molto impegnato in Federdoc. L’ultima “Leo-polda” è stato il solito grande succes-so di pubblico, operatori e giornalisti coinvolti nell’assaggio delle ultime an-nate del Gallo Nero che ha visto salire le vendite del 5% nel 2014 su una base già molto ampia. Il Consorzio Chianti Clas-sico sarà anche l'unico autorizzato dal Ministero a portare ad Expo il progetto «Gallo Nero Expo a Radda in Chianti». Molto importante anche il lavoro sul fronte Olio.

24GianniSalvadoriDopo le Anteprime Toscane si guarda in avanti verso Expo dove la Toscana inten-de giocare un ruolo da protagonista. Il 2014 è stato un anno molto positivo per l’enologia toscana che ha visto tornare la produzione ai livelli record del 2009. Molto appropriato quando ripete che “ogni nostro vino (toscano, ndr) è un perfetto ambasciatore del ‘buon vivere toscano’, che significa grande qualità agroalimentare, deliziosa gastrono-mia, perfetto legame con il territorio, una storia millenaria e l’esaltazione della bellezza, dell’arte della cultura”.

27Roberto MoncalvoCom'è naturale che sia, il vino rappre-senta solo uno degli aspetti del mondo agricolo che la Coldiretti osserva, valu-ta e tutela. Ma è indubbio che il lavoro di questa organizzazione professionale non passa inosservato, soprattutto su alcuni versanti: quello della difesa dei piccoli viticoltori; quello della salva-guardia del made in Italy, anche a costo di azioni clamorose; quello della lotta all'agropirateria, piaga irrisolta della nostra Italia. Ce n'è quindi abbastanza per ritenere importante il lavoro della Coldiretti.

25GianniMartini

23EnricoZanoniIl presidente del colosso Cavit (11 can-tine consorziate, 4.500 soci, 65 milioni di bottiglie per il 70% esportate in 60 Paesi) è anche sempre molto impegna-to nel rilancio del Trentodoc con una attività di promozione battente per accrescere la conoscenza e la reputa-zione del marchio in Italia e all'estero. Il Trentodoc ha importanti spazi di cre-scita ma nonostante il tema “bollicine di montagna” sia di per sè intrigante e vincente, fa ancora fatica. L’esperien-za in materia di spirits di Zanoni fa ben sperare ma la partita è in salita.

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38CarloFerriniIl recente exploit di uno dei suoi clien-ti più famosi, ovvero Casanova di Neri e il 100/100 da Parker per il Tenuta Nuova Brunello di Montalcino 2010, ne riverdisce i fasti e ribadisce per chi lo credeva fuori dai moderni trend di vini più freschi e gracili. Sta diversificando i suoi lavori conseguendo ottimi risultati a Frascati con il Poggio Verde di Pallavi-cini e operando cambiamenti in azien-de storiche come Fonterutoli, Tenuta San Leonardo, Pollenza. Più low profile di un tempo, ma è anche vero che il la-voro dell’enologo è cambiato.

41RobertoLuongoPotrebbe - dovrebbe - essere l'anno dell'Ice, il nostro istituto per il com-mercio estero, da due anni diventa-ta Agenzia, perché il 2015 è l'anno di Expo. E quale occasione migliore per fare conoscere al mondo la bravura del-le aziende agroalimentari italiane? Ep-pure fino ad oggi sembra che tutto vada avanti un po' in sordina. Lungaggini burocratiche? Esigue risorse? Si vedrà. Ma è certo che ci aspettiamo un ruolo di prim'ordine per l'Ice nei centottanta giorni in cui l'Italia sarà ombelico del mondo. Almeno per l'agricoltura.

43MelDickSe il Paese che consuma più vino sono gli Stati Uniti, molto lo si deve a quest’uomo, vice presidente della Sou-thern Wine and Spirits e direttore della sezione Wine. Gestisce la più grande distribuzione americana in maniera salda e continua, ma sembra cedere progressivamente il comando a figure più giovani e moderne, fondamentali per espandere il mercato americano in termini di prezzo medio di vendita. E siamo anche certi che negli Usa assi-steremo nel mondo degli importatori a novità consistenti.

39AngiolinoMauleDeterminato e rigoroso, Angiolino tira dritto con la sua VinNatur che al mo-mento sembra l’associazione di vini naturali più in forma: non solo l’evento annuale in concomitanza con il Vini-taly, ma anche l’espansione a Genova, Roma e altre importanti piazze italiane. Dal 2006 con 65 aziende, oggi siamo a 150 con molti giovanissimi produttori tra i 25 ed i 40 anni che stanno dando una nuova spinta al cambiamento del vino italiano senza contare le numero-se e valide collaborazioni universitarie sempre più centrate.

42EugenioSartoriLe barbatelle che escono da Rauscedo oggi sono quasi 60 milioni e ogni anno aprono nuove vie e nuove potenzialità per i viticoltori italiani spesso indiriz-zati nei loro impianti proprio dai tecnici di questi vivai. I nuovi mercati che sem-bravano promettenti come la Cina, il Paese che impianta più vigneti al mon-do, si sono però fermati in favore di vi-vai propri e difficilmente si orienteran-no in futuro sulle produzioni italiane facendo così perdere una prospettiva per questa grande azienda di cui Sarto-ri è il direttore generale.

40StevieKimLa dinamica Stevie moltiplica gli even-ti attorno a Vinitaly e Verona Fiere e in pratica da sola riesce a tenere viva l’attenzione su Verona per tutto l’anno con i progetti innovativi con H Farm e il grande impegno in Oriente. A dispetto dello scetticismo degli inizi, si sta rive-lando un prezioso punto di riferimento e quest’anno si gioca anche la carta Expo. E adesso c'è anche il suo zampi-no con la creazione di Vinitaly Interna-tional Academy, l'ultima iniziativa che vuole essere una sorta di scuola per creare ambasciatori del vino italiano.

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32GianniBrunoAnno di grande esposizione mediatica e di molte sfide per Vinitaly e quindi ipe-rattività per il suo brand manager. Non solo il padiglione Expo ma anche alcune interessanti conferme e rilanci come il Padiglione Vinitalybio, con la consue-ta enoteca e gli incontri b2b iniziati a dicembre con Wine2Wine. Sarà anche il quarto anno per Vivit, salone dei vini artigianali e si sta impegnando nel se-guire da vicino i negoziati Ttip, strate-gici per il vino italiano e Vinitaly stesso che fondano il proprio successo sugli acquisti americani.

35MaurizioZanellaL’ultima aggiunta alla serie impressio-nante per qualità dei suoi Franciacorta, ovvero il Dosage Zero da Pinot Nero pre-sentato in contemporanea in tre annate diverse è stato un successo mediatico e di riconoscimenti mai visto prima nella regione. La sponsorizzazione dell’Expo potrebbe essere la ciliegina sulla torta della sua presidenza al consorzio Fran-ciacorta che si aspetta dall’esposizione internazionale la sua finora troppo ri-mandata consacrazione internazionale nel mondo delle grandi bollicine meto-do classico.

Da circa tre anni ha uno degli incarichi più delicati per le prospettive dell'agri-coltura italiana. Giuseppe Blasi infatti è il Capo del Dipartimento delle politiche europee e internazionali e dello svilup-po rurale che, tradotto dal burocratese, vuol dire, tra le altre cose, il controllo su fondi comunitari che secondo l'ul-timo esercizio ammontano a circa 330 milioni di euro. Si comprende facilmen-te la delicatezza e l'importanza del ruo-lo. Sarà importante capire come l'Italia gestirà i fondi in questi anni. E quanti benefici andranno al mondo del vino.

37EnricoViglierchioCastello Banfi continua ad essere il rife-rimento internazionale e nazionale per il Brunello di Montalcino, svolgendo un ruolo importante di traino per tutta la denominazione. Come altri grandi a Montalcino, l’annata 2010 finalmente davvero a cinque stelle, ha significato un aumento della qualità media soprat-tutto sul Brunello annata che si presen-ta quest’anno sugli scaffali a prezzo in-variato, ma di qualità molto più alta del solito. Grandi investimenti “invisibili” in tecnologia gestionale e in cantina con un occhio rivolto al bio.

33FrancescoLiantonioDallo scorso maggio Francesco Lian-tonio è stato chiamato alla presidenza di Valoritalia che controlla il settanta per cento delle Doc italiane. Ormai ri-conosciuto il ruolo di leader di Valori-talia nel settore della certificazione, gli obiettivi futuri si chiamano settore del volontario e del biologico. Per non parlare della sburocratizzazione del sistema, punto dolente del vino italia-no, ma vero campo di prova per le sue ambizioni visto che il biologico rappre-senta solo una piccola fetta del vigneto Italia.

36StefanoZanetteIl Prosecco tira sempre di più e neanche il possibile pasticcio delle zone da im-piantare tra Friuli e Veneto sembra aver messo in crisi Stefano Zanette che anzi è stato anche provvidenziale nel siste-mare la situazione dei 15% della produ-zione Doc stoccata per errore, un guaio in realtà ereditato dalla precedente ge-stione. Sempre grande lo stile con cui gestisce i rapporti con le due Docg vi-cine e il carattere sovraregionale della Doc che comincia ad essere un punto di forza notevole che sta portando ad un apprezzamento sul mercato delle uve.

34GiuseppeBlasi

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44SergioZingarelli

47ArturoZilianiGrande il suo lavoro nel portare il Fran-ciacorta all’Expo e costanti i progressi di notorietà del marchio Franciacorta da quando Berlucchi ha fatto diven-tare Docg la sua Cuvée Imperiale. Le cronache enologiche parlano anche di notevole successo per le recenti linee di prodotto ‘61 e Palazzo Lana testimonia-no un’azienda in salute per non parla-re della grande e attesa svolta bio che farebbe tremare i polsi a molte aziende spumantistiche, ma non a loro. Segno di un dinamismo con pochi eguali nel panorama enologico del Belpaese.

Il Conegliano Valdobbiadene si va im-ponendo sul mercato come riferimento sicuro per la qualità del Prosecco con un nome che comincia a diffondersi anche in ambienti altolocati. Conferma del grande lavoro di coesione interna portato avanti nel suo mandato di pre-sidente. La candidatura a patrimonio Unesco è finalmente realtà grazie al lavoro di lobby in regione ed è una par-tita che sta giocando finora benissimo. Nel 2015 sarà significativa la presenza all'Expo 2015 con il progetto regionale "Gusto Veneto" con 3 mesi di Rassegna.

49Nicolò Incisadella RocchettaMadonna che beve Sassicaia in trasmis-sione da Fazio a "Che tempo che fa" è la riprova che l’unico nome al comando del vino di lusso italiano è il suo. Nelle aste le conferme si susseguono e i prez-zi salgono sempre di più. Investire in Sassicaia è diventata una certezza qua-si come investire in Drc, a parte il fatto che è ancora alla portata di molti. Per Sotheby’s è il marchio che cresce di più in valore ogni anno e le due aste di Bo-laffi e Pandolfini durante Expo a Milano a maggio vedranno questo vino prota-gonista assoluto della scena.

45NinoCalecaSulla plancia di comando dell'agri-coltura siciliana c'è da appena cinque mesi. Troppo pochi per tracciare bilanci e tentare di giudicarne l'operato. Tut-tavia due tre cose le possiamo definire. Nino Caleca, da buon penalista presta-to alla politica, non perde occasione per ribadire il concetto della legalità. Che nel nostro Paese forse non è mai troppa. E poi è già consapevole di quan-to il vino sia il fiore all'occhiello della Sicilia. Dunque un asset da difendere. E soprattutto da rilanciare in ogni occa-sione. Non è poco.

48BruceSandersonWine Spectator non smuoverà i prezzi e il settore come i voti di Robert Parker, ma la sua azione in Italia è continua e in costante ascesa come copertura gior-nalistica. OperaWine al Vinitaly è ogni anno più attesa e l’offerta si sta diversi-ficando con altri eventi in programma. Un’attenzione sempre maggiore all’Ita-lia con i road show itineranti in Usa te-stimoniano quanto WS punti sul nostro paese e sui mercati attuali e futuri del vino. Complice, teniamo a dire, anche gli ingenti investimenti commerciali di consorzi e cantine verso il giornale.

46InnocenteNardi

La sua presidenza del Consorzio Chianti Classico sta mietendo successo media-tico e anche sul mercato le vendite ri-prendono a salire con la Gran Selezio-ne che per adesso si sta rivelando una mossa azzeccata. L’azienda di famiglia, Rocca delle Macie, dopo aver beneficia-to sotto la guida di Giovanni Landi di un notevole aumento qualitativo si lancia nella distribuzione puntando su Cham-pagne, altre Doc toscane come Bolghe-ri per sfruttare al meglio l’imponente forza vendita. E ad aprile si vota per il nuovo presidente. Sarà riconfermato?

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Il gruppo Lavis punta a rilanciare la propria azienda in Chianti Classico e per adesso è riuscita a piazzarlo in eventi importanti come la consegna dei pre-mi Nobel a Stoccolma ma le incognite sul futuro del vino trentino tra fusioni (come quella prospettata con Cavit) e delicati equilibri sta mettendo a dura prova la sua leadership. Da mettere a bilancio la “rinascita” di Canaletto, una piattaforma con sede a New York, per promuovere i marchi Fine Wines del Gruppo trentino, e non solo, nei merca-ti nordamericani, Far East e Russia.

56MarcoZanoni

59Arturo StocchettiNon solo l’impegno e le nuove sfide territoriali e promozionali del Soave sempre più variegate e azzeccate, ma anche un ruolo strategico importante per la promozione del vino italiano nel mondo in qualità di presidente dell’U-nive che riunisce 21 consorzi Veneti, il comparto più in salute e potente del vino italiano. Primi obiettivi gli Stati Uniti, ma soprattutto un grande padi-glione da coordinare all’Expo 2015 lo mettono in pole position tra i nomi da tenere d’occhio per quest’anno a livello internazionale per il nostro vino.

58GiorgioPinchiorriMolti dei visitatori di Expo decideranno di passare almeno un giorno anche a Fi-renze e la cantina di Giorgio Pinchiorri sarà là ad aspettare tanti nuovi consu-matori e appassionati di vino con dispo-nibilità economiche ingenti. Accanto a questo, aumentano i progetti sul cate-ring di alto livello e non c’è evento di presentazione di un vino in Italia che possa fare a meno di passare (ancora) per le sue mani. In cucina Italo Bassi e Riccardo Monco sono due sicurezze che in pochi si possono permettere di man-tenere come fa Giorgio.

61JoskoGravnerAssenza, più acuta presenza. Citiamo il poeta Attilio Bertolucci per racconta-re di questo produttore italo-sloveno. Sempre più lontano da fiere e manife-stazioni pubbliche, sempre più sfug-gente. Ma tutto questo non attenua né l'autorevolezza del personaggio, né l'attenzione della critica enologica di tutto il mondo verso i suoi vini partico-lari e fuori dal comune. Ci piace l'idea inoltre di essere sempre più concen-trato verso i vitigni autoctoni di quella terra di mezzo che sono le colline gori-ziane con l'influenza di tre culture.

57GianlucaBisolL’operazione Venissa ha portato anco-ra una volta alla ribalta Bisol e i suoi vini spumanti contribuendo a sollevare l’interesse attorno alla laguna. Oltre al crescente successo in termini di nume-ri e di prezzo dei suoi Prosecco dovuto all’intelligente strategia sui mercati orientali ci sono gli sforzi sui Colli Eu-ganei, territorio di cui sentiremo par-lare presto, con il lancio di Maeli e il Fior d’Arancio, varietà autoctona molto promettente. Insomma, ci aspettiamo novità scoppiettanti da uno che col marketing si dà del tu.

60Monica LarnerI due 100/100 al Brunello di Montalci-no nell’annata delle meraviglie 2010 (prima volta per la Docg) hanno dato una scossa mai vista prima al territorio toscano e dimostrato quanto il cambio di guardia al timone di Wine Advocate per l’Italia sia stato azzeccato malgra-do le previsioni. Monica si muove con impegno e grande sforzo di copertura del territorio italiano a partire dal Sud e dalla Campania con una strategia che pare vincente e alternativa a quella di Wine Spectator che punta su nomi più consolidati. Coraggiosa e lungimirante.

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50VittorioMorettiBellavista e Terra Moretti in genere crescono lentamente ma in maniera co-stante e il radicale cambio di look dei Franciacorta sta conquistando sempre più favori anche se Petra e altre attivi-tà del gruppo sono ancora ferme ad un passo prima della consacrazione defini-tiva. A Vinitaly la sua omonima Cuvèe con la nuova veste rosso-arancione, annata 2006 aprirà la fiera ad Opera Wine e la sinergia con il Teatro alla Sca-la continua in un sodalizio prestigioso che rappresenta un biglietto d’ingresso importante presso l’alta società.

53MicheleChiarloLa collina storica per la Barbera di La Court è diventata un parco e un teatro perfetto per grandi celebrazioni come quella appena svolta dei 150 anni del Gianduiotto. Altre iniziative di co-bran-ding hanno avuto successo come quella con le penne Aurora, ma dal punto di vista enoico l’azienda pare aspettare un momento più propizio per continuare la sua crescita. Resta il fatto che siamo in uno dei territori del vino italiano oggi più autorevoli in assoluto e questo, im-maginiamo, aiuti non poco. Le prospet-tive dunque non mancano.

55BrunoCerettoÈ la cantina tristellata d’Italia. Con En-rico Crippa, lo chef, sempre in grande forma. E il Duomo di Alba diventa così il palcoscenico dove vengono lanciati di continuo nuovi prodotti commercializ-zati con una distribuzione sempre più attiva e agguerrita per l’importazione del nostro Paese di prodotti di livello assoluto francesi, tedeschi e spagnoli. Anche il comparto food e pasticceria macina utili che vengono spesso rein-vestiti in vino e mercati emergenti gra-zie ad un impegno familiare molto ben coordinato.

51Chiara LungarottiSempre più chiare le idee alla testa del gruppo Lungarotti fortemente radicato in Umbria, ma soprattutto tra i pochi a vendere ancora molto e bene in Italia. Undici milioni di bottiglie di cui un 30% all’Estero con ben presidiati i mercati Uk e Usa, si punta ancora all’Europa e al rilancio del Sagrantino su cui la fa-miglia ha coraggiosamente puntato, con successo notevole, ma non sconta-to fino ad oggi. E tra i recenti successi anche avere ospitato i Master of Wine nel tentativo di trovare un italiano che possa far parte del prestigioso circuito.

54CostantinoCharréreTra le figure più ieratiche del vino ita-liano, Costantino Charrére incarna uno stile nella vita di tutti i giorni e nella produzione dei suoi vini tra le monta-gne valdostane che potrebbe essere preso ad esempio da molti suoi colle-ghi. Senza fronzoli, incisivo e visiona-rio, è stato uno dei fondatori della Fivi, la federazione vignaioli indipendenti, oggi tra le associazioni che più sono scese in campo per difendere i diritti e le scelte delle piccole cantine di quali-tà. E Charrére ha sempre dimostrato di lavorare nell'interesse comune.

La partita è grande, la sfida altrettan-to. Ma immaginiamo che tutto questo sia per Antonio Rallo adrenalina pura. Lasciata la presidenza di Assovini Sici-lia dopo un triennio condotto in manie-ra brillante (basti pensare a quanto è cresciuto il bilancio dell'associazione) adesso la scommessa si chiama Con-sorzio Doc Sicilia. Si parte da zero e se qualcuno si aspetta già i risultati è costretto a ricredersi. Ci vorrà tempo. Intanto, massiccio investimento pro-mozionale in Usa e tecnici al lavoro per modificare il disciplinare.

52AntonioRallo

Ph. Fabio Gambina

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68IanD'AgataMai sulle prime pagine ma sempre nei luoghi che contano. Dopo aver conclu-so la sua collaborazione alla Guida Vini in collaborazione con Comparini si è dedicato anima e corpo a Vinitaly e alle sue nuove iniziative come quella della formazione dei comunicatori del vino Italiano e soprattutto il padiglione di Expo2015 che nasce sotto la sua consu-lenza. E abbiamo poi le collaborazione e i tour all’estero e il Collisioni Festival, un grandissimo successo con rigore e profondità enoica. Grazie a lui il vino italiano respira aria internazionale.

70AntonioCapaldoDa azienda nota soprattutto per i vini in grande distribuzione dall’imbattibi-le rapporto qualità prezzo ad azienda innovativa e fortemente dedita alla ri-scoperta e rivalutazione dell’Irpinia e le sue potenzialità con il coinvolgimen-to di maestranze e tecnici di respiro internazionale: un’operazione che sta dando frutti interessanti e soprattutto con ritorni in termini di fatturato molto promettenti non solo in Italia. Feudi di San Gregorio così rinsalda il suo ruolo di azienda del Sud Italia riferimento di qualità.

69MatildePoggiIn lista di arrivo il Testo unico sul vino italiano che dovrebbe sancire un ini-zio di sburocratizzazione per i piccoli vignaioli che rappresenta un successo anche della Fivi di cui è presidente e del suo operato. Inoltre per la prima volta al Vinitaly c’è uno spazio tutto dedicato ai soci della Federazione con 53 aziende presenti sugli oltre 900 totali (ancora pochi comunque). È soprattutto grazie a lei se è stata scongiurata l'applicazio-ne di un regolamento comunitario che vietava di menzionare in etichetta re-gione o provincia di produzione.

75 73 7662DonatellaCinelli ColombiniL’annata 2010 porta in casa Colombini vini di livello assoluto e muove anche la Doc Orcia, non più tanto cenerento-la delle denominazioni toscane, grazie anche al suo lavoro puntuale di presi-dente del Consorzio. Una denominazio-ne infatti che ora conta pure sull'erga omnes. Nuove sinergie come quella con il comparto del Cristallo toscano e l’at-tenzione sempre costante alle donne del vino (di cui è vicepresidente nazio-nale) proiettano Donatella ancora in un ruolo di primo piano tra i protagonisti del comparto.

La statua dedicata al vino all’Expo avrà le sue fattezze e la sua voce ed è testi-monianza di quanto impegno Caprai abbia profuso nel mondo, ma sopratut-to in Italia dove un vino difficile come il Sagrantino si è imposto al pubblico e vende in maniera sorprendente. Ha ge-stito benissimo operazioni territoriali complesse sia culturali che ricreative e il co-branding di famiglia con Cruciani ha generato un interesse oltre i soliti ambienti aumentando il valore del mar-chio che si sta dedicando con lungimi-ranza anche al comparto dell’olio.

63Christian MarchesiniRieletto per la seconda volta come pre-sidente, si siede sulla poltrona della se-conda Doc più grande e produttiva del Veneto con un giro d’affari in crescita ma anche con alcune grane da affron-tare. Se da un lato c’è la marcia di avvi-cinamento al “biodistretto”, dall’altro ci sono le tante questioni che gene-rano attriti e divisioni con le Famiglie dell’Amarone: oltre la zonazione (cru e sottozone) e l’estensione della Doc ci sono le questioni sull’uso dello Stelvin e il problema del successo crescente del Ripasso. Amarone cannibalizzato?

65VitoVarvaroUn bilancio 2014 che chiude con un piccolo saldo positivo, circa il 5 per cento sull'anno precedente. E quin-di siamo quasi a quota 50 milioni di euro. Ma la cifra più significativa per il colosso Settesoli, la cantina sociale di Menfi, nella Sicilia occidentale, è quello riguardante il volume del vino confezionato che oggi rappresenta oltre la metà del fatturato. È vero, si può fare ancora di più ma già questo risultato colloca la cantina presieduta da Vito Varvaro tra le più importanti del Sud Italia.

67Luca CuzziolL’ingresso di Benetton e di Bruno Pail-lard nel mondo della distribuzione ita-liana nell’operazione Cuzziol Grandi Vini è stato un colpo da maestro raf-forzando il potere commerciale della distribuzione e rilanciandone velleità internazionali. La sfida di porre Cuzziol come riferimento non solo distributivo, ma anche culturale è potenzialmente alla sua portata con i capitali freschi a disposizione grazie al nuovo assetto societario. Tanto da farne la società di importazione e distribuzione più in vi-sta del momento.

66DanieleCernilliNell'era digitale la scommessa di Doctor Wine, il nomignolo con cui si presenta ai suoi lettori, ha superato la prova. La sua guida uscita per i tipi di Mondadori lo scorso autunno non è passata inos-servata, checché ne dicano i suoi de-trattori. Mentre resta indiscussa la sua conoscenza del vino e la sua capacità di degustare bottiglie su bottiglie, Cernilli nell'ultimo anno ha anche accresciuto la sua autorevolezza in campo interna-zionale. Non male per chi con civetteria lo voleva in pensione a bersi i vini della sua, immaginiamo, ampia cantina.

64MarcoCaprai

Ph. Lauren Mowery

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77FabrizioNardoniGoverna le politiche agricole di una delle regioni del vino più importanti d'Italia. Quella Puglia che è sempre più attenzionata dai media di tutto il mon-do e che riscuote consensi con i suoi vini irripetibili altrove grazie a un terri-torio e a un clima che regalano unicità. L'assessore Nardoni è anche un atten-to presenzialista delle manifestazioni chiave, in tutte le occasioni dove poter promuovere il vino della sua regione. C'è tuttavia chi teme che un possibile rimpasto di giunta guidata da Niki Ven-dola potrebbe coinvolgerlo.

80FrancescoFerreriÈ diventato presidente di Assovini Si-cilia dopo la decisione di Antonio Rallo di accettare la guida del consorzio Doc Sicilia. La sua elezione non era sconta-ta. Ma è riuscito a mettere d'accordo le varie anime dei produttori siciliani che fanno parte di questo raggruppa-mento ormai fondamentale per l'ex-port. Catanese, uno dei proprietari di Valle dell'Acate, vocazione politica non troppo celata, Ferreri sta dimostrando buone capacità nel tessere rapporti e nel delineare strategie per migliorare l'immagine della Sicilia.

79JancisRobinsonAbbiamo visto produttori sbavarle at-torno per un giudizio sul proprio vino. E questo basta per tracciare l'immutato peso specifico di una delle giornaliste più quotate al mondo. Chi pensa che abbia trascurato l'attenzione verso l'Italia è costretto a ricredersi. Un suo tour sull'Etna e il suo appello a salva-guardare il vigneto ad alberello non è passato inosservato, ancor prima che arrivasse l'Unesco. E dal suo sito e dal Financial Times continua a racconta-re con puntigliosa professionalità un mondo che ama per davvero.

82DonatoLanatiPrestigio mai intaccato e sempre in primo piano nelle candidature tra gli enologi riconosciuti a livello mondiale, sconta il calo di interesse nella figura dell’enologo e il fatto che il clamore dei testi approntati ai tempi di Brunellopo-li non abbia portato l’interesse sperato verso il laboratorio Enosis. Ma l’impe-gno a 360 gradi soprattutto girando il mondo in maniera costante prima o poi lo ripagherà. Intanto i vini prodotti con la sua consulenza restano quasi sempre capisaldi di qualità e di appeal fra tutti i consumatori più attenti.

78Marco SabellicoCon Gianni Fabrizio ed Eleonora Gueri-ni firma la Guida ai vini più importante d’Italia. Che mantiene il prestigio e ri-lancia con una serie di iniziative come le Anteprime Fiere del Vino in giro per enoteche della penisola, con una serie di programmi televisivi e iniziative edi-toriali che giustifichino i roboanti claim di Paolo Cuccia. L’Associazione Italiana Sommelier al “Gran Galà Vitis 2014” dello scorso novembre gli ha assegnato il premio “L'arte del Comunicare” men-tre i roadshow continuano nella loro marcia attorno al mondo.

81Giancarlo GariglioFabio GiavedoniSlow Wine ormai è una realtà consoli-data nel panorama delle guide e dei siti di settore in Italia e non solo. L'ultimo anno poi è stato ricco di iniziative e af-fermazioni. Dal numero di copie vendu-te che sembrerebbe proiettare la pub-blicazione di Slow Food tra le prime in Italia all'accordo con la Fisar, ritenuto strategico per affermare ancora di più il credo vitivinicolo dell'associazione di Bra. I curatori della guida, instancabili negli assaggi e nella ricerca di novità significative, possono ritenersi più che soddisfatti.

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71Franco MariaRicciIl divorzio con l’Ais ha indebolito non poco il suo prestigio anche se la ge-stione dell’operazione Papa è stata un colpo da maestro con la consegna al Santo Padre delle insegne della Fis (ma la foto col Papa esiste?). Sempre legato ai soliti grandi nomi (Cotarella e Gaja più Vespa e Masi del Tg2) pare più impacciato nell’affrontare le sfide della nuova comunicazione, ma il numero di servizi e il prestigio della squadra dei suoi sommelier Roma è intaccato. Sa-prà la Federazione sommelier imporsi a livello nazionale?

74GiuseppeMartelliLa figura dell’enologo non è più sfolgo-rante come un tempo e il grande ruolo e la visibilità di Riccardo Cotarella, alla presidenza dell'Assoenologi, lo hanno messo un po' in ombra. Pur tuttavia Martelli occupa altri posti di rilievo nel mondo della politica del vino. Non ulti-ma la riconferma per altri tre anni come presidente del Comitato Vini Dop ed Igp. Ovvero l'ufficio che oggi gestisce le procedure preliminari per la creazione di nuove denominazioni o per le modi-fiche disciplinari. Insomma, sempre un ufficio strategico.

Il mancato passaggio di potere ai figli e l’età che avanza lo rendono in apparen-za più debole per le sfide del futuro con Coop che gli ha soffiato l’appalto del supermercato del futuro in casa all’Ex-po, ma le nuove aperture in roccaforti storiche in Toscana e sotto l’appennino sono indizi che ancora il vecchio leo-ne sa ruggire. Anche quest'anno non possiamo non inserirlo nella nostra classifica perché rappresenta un canale commerciale importante per il vino ita-liano anche se ovviamente non è lui a occuparsi degli acquisti del vino.

76SilvanaBallottaIl tramite per le cantine con i fondi pre-visti dall'Ocm per la promozione nei Pa-esi extraeuropei. Ma non solo. Contatti di livello in Estremo Oriente, sinergie con riviste internazionali autorevoli come la Revue du vin de France. Spazia a 360 gradi l'attività della Business and Strategies, di cui Silvana Ballotta è te-sta e cuore, visione e voglia di spostare sempre più in là i traguardi. Dalla sua parte l'acquisizione in cinque anni di 400 aziende con un volume complessi-vo di 100 milioni di bottiglie. Aspettarsi dell'altro è naturale.

72AntonelloMaiettaLa nuova Ais “Milanocentrica” per adesso ha partorito una rivista e una guida nonchè una comunicazione fo-tocopia di quella Bibenda e i malumori in associazione non sono pochi, segno che lo strappo con Roma e Ricci deve essere ancora del tutto digerito. Ma la sua leadership è sempre forte e forse si tratta solo di una fase di ovvia transi-zione, i numeri sono ancora (e molto) dalla sua parte. Cruciale pertanto sarà il ruolo che l’Associazione svolgerà in occasione di Expo dove peraltro gio-cherà in casa.

75DanielaMastroberardinoSe in Irpinia il prestigio aziendale è sal-vo con la conferma da Opera Wine sul-la scena internazionale, il suo ruolo di presidente del Movimento Turismo del Vino per adesso non ha portato sostan-ziali novità nella comunicazione del territorio. Ma con Expo tutto il compar-to dovrà farsi trovare pronto per gesti-re il potenzialmente interessantissimo nuovo flusso di visitatori. E in prospet-tiva quella dell'enoturismo è ritenuta una strada maestra per fare ripartire i consumi interni e far conoscere ancora di più il nostro vino nel mondo.

73BernardoCaprotti

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83LucianoFerraroDa blog outsider a riferimento naziona-le e internazionale per la promozione del vino italiano il passo è stato gran-de, ma gestito con fermezza e rigore. In aumento lo spessore e l’originalità de-gli articoli e della scelta dei temi tratta-ti, acquisisce competenza e risonanza ad ogni uscita riuscendo a riportare il Corriere della Sera a riferimento della comunicazione del vino italiano con molte iniziative cartacee con alte diffu-sioni. Non ultima una guida dedicata ai vini protagonisti di Opera Wine per un accordo inedito con Wine Spectator.

86AntoninoDi GiacomoL'Irvo è l'istituto fondato in Sicilia oltre cinquant'anni fa (si chiamava Vite e Vino) ed è stato uno dei motori del rinascimento enologico dell'Isola. Oggi tra spending review e sgambetti vive una fase difficile. Eppure svolge un ruolo delicato come quello della certifi-cazione delle Doc, in forte crescita con l'avvio della Doc Sicilia. Di Giacomo, commissario straordinario, ha evita-to fino ad oggi il peggio. Costruendo le basi politiche per rafforzare il ruolo della ricerca e della certificazione. Un errore sottovalutarlo.

85MarcoSimonitLa grande visibilità nei Signori del Vino su Rai2 lo consacrano comunicatore di razza che è riuscito a sdoganare un argomento tecnico come la potatura presso le masse molto di più che al-tri professionisti nel mondo del vino. Grande impegno nella comunicazione innovativa e una costante attenzione ai temi nuovi e complicati, coraggio e lungimiranza e grandi risultati all’este-ro su vigneti dove in pochi hanno messo le mani a partire dai vigneti più presti-giosi in Francia. Per noi uno dei pochi italici del vino conosciuti all'estero.

88LuigiMoioDopo il ruolo importantissimo nel ge-nerale aumento qualitativo dei vini del sud e dell’Irpinia in particolare, si sta ritagliando sempre più spazio nella di-scussione sui temi caldi del vino di oggi dall’uso di solforosa alla mineralità al ruolo del paesaggio nel successo dei vini italiani. Soprattutto con gli ultimi interventi al di fuori della sua regione d’elezione, la Campania, ha dimostrato di portare un’idea fresca e attuale del panorama vinicolo italiano e saper dire la sua in molte circostanze in maniera mai banale.

84MarioFregoniSempre prestigiosi i suoi ruoli onorifici e indiscusse le sue competenze, tan-te le sue idee e intuizioni che stanno avendo successo come la ricerca e la rivalutazione della viticoltura insulare. Ma sempre più spesso i progetti tra-scendono il suo ruolo e la sua figura che non appare centrale come un tempo. In realtà non per demerito suo ma piutto-sto per il fatto che la sua maggior spe-cializzazione ovvero le Doc hanno perso molto del loro appeal e interesse e la sua proposta di inserire la menzione Italia su tutte le Doc è stata disattesa.

87FrancoBernabeiUno degli enologi artefici della rivolu-zione qualitativa degli anni ‘90 del vino italiano nonostante non sia più così in vista come un tempo in realtà ha tantis-sime sue aziende presenti in un modo o nell’altro a Expo2015 a dimostrazione di quanto sia ancora sulla breccia. Tan-ti i premi raccolti molti anche per uno sforzo green più elevato del passato. Tra le sue attività e zone di influenza da considerare il ruolo del figlio che si sta ritagliando uno spazio strategico in tante aziende promettenti in territori non molto battuti dai colleghi.

Ph. Fucarini

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95AndreaSegréPer la Fondazione Edmund Mach di San Michele all'Adige parte una nuova era. Andrea Segré è il nuovo presidente. Cinquantaquattro anni, triestino, è un docente universitario a Bologna dove insegna politica agraria internazionale. Esperto di lotta agli sprechi alimentari, tema molto attuale, Segré si ritrova a guidare uno degli enti più autorevoli in fatto di ricerche e sperimentazioni. Tutti temi a cui si aggrappa sempre di più il mondo del vino, suggestionato da nuove conoscenze e dai cambiamenti climatici.

98LucaMartiniDopo un anno in cui l'ombra di Gardini campione del mondo sommelier lo ha sovrastato nonostante non fosse più in carica, Luca si sta prendendo il suo spa-zio e allargando la sua influenza. Intan-to con il locale Blend4 a Varese insieme ad Ivano Antonini che sta raccogliendo entusiasmi e pubblico, poi continuando la sua attività di broker internazionale di grandi bottiglie, la consulenza per Ferragamo e il Borro, uomo simbolo del vino toscano alle ultime Anteprime e non ultimo una collaborazione promet-tente con il grosso player Wineverse.

97Denis PantiniIn un mondo fatto di tante parole e pochissimi numeri Denis Pantini aiuta a decifrare meglio problemi e prospet-tive. Perché lui è il project leader di Wine Monitor, osservatorio che lavora proprio per quantificare tutto quanto ruota attorno al vino. Consumi, tenden-ze, investimenti, tutte direttrici assolu-tamente utili per produttori e addetti ai lavori. In un recente lavoro sul futuro del vino italiano nel mercato interno ha tracciato due ipotesi: una risalita mo-desta o la caduta libera. Speriamo che si avveri la prima.

100Sebastianode CoratoFresco di riconferma come presidente di Mtv Puglia potrà così continuare a gestire una serie di iniziative che stan-no aiutando non poco il vino pugliese ad essere conosciuto nel resto d'Italia e nel mondo. Affiancato da validi colla-boratori de Corato gestisce tra l'altro buona parte delle missioni del vino per conto della Regione, forse caso unico in Italia. Questo a conferma della validità dei progetti fin qui intrapresi, dove è sempre forte il legame vino-territorio. E per il prossimo triennio ci aspettiamo nuovi traguardi.

96LucaGardiniIl fenomeno BiWa all’estero pare fun-zionare e il giro d’affari attorno alle rubriche che segue sulle pubblicazioni della Gazzetta dello Sport e in tv con Sky lo hanno fatto ancora più cono-scere al grande pubblico, ma è indub-bio che il suo prestigio personale sia in calo agli occhi di molti produttori circa le sue capacità di promuovere il vino. Si regista infatti qualche mugugno. L’E-noscuola aperta a Firenze non ha fun-zionato come si pensava e le aperture all’estero ancora sono solo annunciate. Resta il talento. Che va salvaguardato.

99MarcelloMasiCon la collaborazione di Franco Maria Ricci e la supervisione di Paolo Laucia-ni e i soldi del Ministero delle Politiche Agricole è entrato nel mondo del vino insieme a Rocco Tolfa con la trasmis-sione “I Signori del Vino”. Un viaggio affascinante e ricco di spunti, ma che sa di occasione sfruttata a metà con un ritmo che stenta a decollare. La scelta delle cantine è ineccepibile e di sicuro ha presentato al grande pubblico alcu-ne tecniche di allevamento della vite grazie a Simonit che con le sue appari-zioni alza la qualità della trasmissione.

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89EnzoVizzariLa guida Vini Espresso pare in affan-no, ma ogni anno si rivela un prodotto ineccepibile per rigore e profondità di analisi. Tanto il lavoro per coinvolgere sponsor di livello e tenere alto la po-sizione del gruppo nel comparto vini-colo. Ma anche un inalterato prestigio internazionale che lo portano a seder-si su tavoli di assoluta fama mondiale come dimostrano le recenti operazioni con Borgogna e Bordeaux. Ed in ogni caso una conoscenza di uomini e terri-tori che lo proietta tra i profondi cono-scitori del mondo del vino.

92AlessandroDettoriEsponente di spicco del vino naturale italiano ottiene quest’anno un ricono-scimento del grande valore e risonanza che riscuotono i suoi vini all’estero con l’ingresso ad Opera Wine e con un gran-de ruolo durante l’ultimo ritrovo dei Master of Wine a Firenze. Perché piace a tanti il suo modo di interpretare il terri-torio. A molti la sua presenza ad Opera Wine sembrerà un tradimento della sua vocazione di piccolo, ma in realtà è la dimostrazione di quanto la vera Sarde-gna e il vero Cannonau possano ancora dire sui mercati di tutto il mondo.

Schivo e lontano dai riflettori, ma sem-pre saldo al comando di ViniVeri che si presentano alla fiera annuale quanto mai agguerriti e saldi sui loro principi con una data strategicamente posizio-nata prima di Vinitaly. Il tema dell’an-no è attualissimo e finirà di certo sotto i riflettori: la trasparenza dell’etichetta è un argomento vicino ai consumatori molto più di tante altre battaglie per il bio e la certificazione. Ma la strada per arrivare al risultato si presenta piena di ostacoli. Qui si apprezza la determina-zione e la voglia di non mollare.

94HelmutKoecherMerano è sempre Merano e il Wein Fe-stival vale sempre il viaggio nonostante la proposta di anno in anno sia sempre la stessa. I tentativi di allargare il suc-cesso della manifestazione in Italia e all’Estero per ora rimangono tali e non dà l’impressione di voler proporre qual-cosa di nuovo. Discreti i risultati del Roma Food and Wine festival e stabili le performance della manifestazione di Milano in concomitanza con Identi-tà Golose. Per novembre 2015 previste a Merano novità tecnologiche interes-santi. Staremo a vedere.

90HansTerzerLa presentazione della sua ultima cuvée Appius con l’annata 2010 in etichetta insieme alla sua firma è il coronamento dei tanti anni di lavoro a San Michele Appiano, ma anche un punto di lancio del futuro della sua azione come eno-logo e direttore di una delle cantine sociali più importanti d’Italia, ovvero quell'Alto Adige che sembra avere re-sistito bene ai morsi della crisi. Pochi come lui sembrano aver capito il senso del vino bianco italiano e il rango che gli spetta nelle gerarchie mondiali del-la categoria.

93William (Bill)TerlatoIl padre del successo del Pinot Grigio sulle tavole americane sembra cedere il passo sul mercato nei confronti di altre varietà e altre tipologie di vino mentre il prezzo medio delle bottiglie di questo varietale pare in calo. Le ultime ag-giunte si chiamano Nino Franco Rustico Prosecco, Cusumano e Protea dal Sud Africa nonchè altre aziende california-ne e dimostrano che l’interesse verso le nuove scoperte non si è però esaurito. Anche se la presenza di nuovi compe-titor rende tutto meno fluido e meno scontato di un tempo.

91GiampieroBea

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1. Piero Antinori

2. Paolo De Castro

3. Angelo Gaja

4. Gianni Zonin

5. Maurizio Martina

6. Riccardo Cotarella

7. Giovanni Mantovani

8. Attilio Scienza

9. Corrado Casoli

10. Riccardo Ricci Curbastro

11. Domenico Zonin

12. Felice Assenza*

13. Lamberto Vallarino Gancia*

14. Sergio Dagnino

15. Fabio Maccari

16. Gianni Martini

17. Enrico Zanoni

18. Paolo Panerai

19. Carlin Petrini

20. Giorgio Mercuri

21. Luca Garavoglia*

22. Giovanni Geddes da Filicaja

23. Marilisa Allegrini

24. Marcello Lunelli

25. Roberto Luongo

26. Sandro Boscaini

27. Franco Manzato

28. Emilio Pedron

29. Eugenio Sartori

30. Gianni Salvadori

31. Renzo Cotarella

32. Roberto Moncalvo

33. Oscar Farinetti

34. Gianni Bruno

35. Giuseppe Liberatore

36. Dario Cartabellotta*

37. Enrico Viglierchio

38. Maurizio Zanella

39. Carlo Ferrini

40. Marco Zanoni

41. Mel Dick

42. Angiolino Maule

43. Mario Fregoni

44. Stevie Kim

45. Stefano Zanette

46. Sergio Zingarelli

47. Fabrizio Nardoni

48. Arturo Ziliani

49. Innocente Nardi

50. Vittorio Moretti

51. Michele Chiarlo

52. Antonio Rallo

53. William (Bill) Terlato

54. Chiara Lungarotti

55. Christian Marchesini

56. Nicolò Incisa

della Rocchetta

57. Bruno Ceretto

58. Costantino Charrére

59. Franco Maria Ricci

60. Giuseppe Martelli

61. Daniela Mastroberardino

62. Sergio Soavi*

63. Vito Varvaro

64. Giorgio Pinchiorri

65. Thomas Matthews*

66. Marco Caprai

67. Donatella Cinelli Colombini

68. Bernardo Caprotti

69. Luca Gardini

La Wine Power List del 201470. Josko Gravner

71. Gianluca Bisol

72. Daniele Cernilli

73. Matilde Poggi

74. Donato Lanati

75. Ian D'Agata

76. Antonio Capalbo

77. Vittoria Cisonno*

78. Valerio Frascaroli*

79. Antonello Maietta

80. Marco Sabellico

81. Monica Larner

82. Diana Bracco*

83. Fulvio Mattivi*

84. Massimo Sagna*

85. Leonardo Lo Cascio*

86. Helmut Koecher

87. Giorgio Calabrese*

88. Giancarlo Gariglio

Fabio Giavedoni

89. Enzo Vizzari

90. Gianfranco Soldera*

91. Hans Terzer

92. Silvana Ballotta

93. Luciano Ferraro

94. Franco Bernabei

95. Alessandro Dettori

96. Luigi Moio

97. Marco Simonit

98. Giampiero Bea

99. Manuela Casaleggi*

100. Denis Pantini

* Non presenti nella classifica del 2015

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Il Vinitaly come cartina tor-nasole della ripresa dell’e-conomia italiana. Parole di Gianni Bruno, brand manager della manifestazione fieristi-ca veronese.«Occasione importantissima – sottolinea Bruno – per ca-pire lo stato di salute dell’e-conomia italiana». Bruno, però, è ottimista: «L’econo-mia del vino, in generale sta avendo una buona ripresa. Lo dimostrano le aziende che co-minciano a raccogliere i frutti dei loro investimenti. Ma non solo. Perché ci sono notevoli investimenti sia sul fronte della comunicazione che nel settore della promozione».«Vedo grande impegno da parte di tutti, sia dalle azien-de cha dalle regioni – dice Bruno -. Si tratta di un appun-tamento importantissimo per loro. Ed i numeri confermano l’importanza di questa mani-festazione».Per Bruno «il Vinitaly dura 365 giorni, perché dal 25 marzo comincia il nostro la-voro di promozione all’este-ro, un vero aiuto all’economia italiana in questo specifico settore».Ma il Vinitaly smuove un in-dotto incredibile: «Ogni anno la capacità ricettiva di Verona e dei comuni limitrofi aumen-ta sempre di più – conclude Bruno -. Segno che la manife-stazione funziona, ma soprat-tutto che attrae. Tanto che abbiamo siglato un accordo con le ferrovie tedesche che distribuiranno i nostri volan-tini sui loro treni per invitare i visitatori a servirsi della fer-rovia per raggiungere la fiera. D’altronde siamo a cinque mi-nuti a piedi dalla stazione di Verona centrale”.

G. V.

Gianni Bruno: L'economiadel vinoè in ripresa

zionati dal Gambero Rosso. Un altro tasting walk around chiude Vinitaly il 25 marzo, con “Le perle d’italia”, un viaggio spumeggiante tra le bollicine italiane a cura dell’Associazione Italia-na Sommelier, che festeggia con que-sto evento i suoi 50 anni. Grandi vini a Tasting ex… press, con le proposte delle più importanti riviste interna-zionali di settore. Tra i protagonisti di quest’anno Abrau Durso lo champagne degli zar, il Nebbiolo nelle sue diverse sfumature, il carattere unico dei vini ungheresi, lo champagne con il fascino dei blanc de blancs, il Riesling Kabinett (un vino da dispensa), nove grandi rossi a confronto e gli Smaragd dell’Austria. A cura di Ais le degustazioni Barolo e Brunello di Montalcino, viaggio al cen-tro del terroir. Il Ministero degli esteri sloveno cofinanzia la degustazione Wi-nes of Slovenia. A cura della Vinitaly international Academy infine quattro seminari-degustazione. Tra i tasting in calendario nel Padiglione Vininter-national (Pad. I), la presentazione del Pisco peruviano, dei vini spagnoli della regione di Castilla y Leon, dello Cham-pagne Jeeper, dell’Armagnac, dei vini di Nuova Zelanda, Slovenia, Australia e Sud Africa e la degustazione “solo Pinot nero e Riesling no limits”.Dedicata ai blogger la seconda edizione della degustazione Young to Young, or-ganizzata in collaborazione con Marco Gatti e Paolo Massobrio.La grande cucina sceglie Vinitaly. Quest’anno si tinge di rosa il Ristoran-

te d’autore, al primo piano Pala Expo, con la presenza di quattro chef donne, una diversa per ogni giorno di Vinitaly. Inoltre, per chi vuole sfruttare al massi-mo i tempi della propria visita a Vinitaly dedicando poco tempo al pranzo, i più grandi chef italiani dell’associazione Jeunes Restaurateurs d’Europe pro-pongono qualità ed innovazione dei piatti e velocità di servizio con il Self Service d’Autore al 1° Piano Galleria dei Signori – Pad. 10-11. Nel padiglione Sol&Agrifood sarà invece attivo il Risto-rante Goloso. Cresce poi la ristorazione presente nel padiglione di Enolitech, che per l’occasione rinnova il nome in Bistrot Enolitech. Garantito un servizio rapido e di qualità, grazie alla collabo-razione rispettivamente con Taste of Roma e Taste of Milano, con menu a la carte in un ambiente originale allestito da L’Officina delle Idee 3.0 e gli arredi in cartone di Kubedesign.In contemporanea a Vinitaly, andrà in scena anche Sol&Agrifood il meglio del-la produzione oleicola e agroalimentare italiana, degustazioni e cooking show, convegni e incontri b2b.L’offerta espositiva di Sol&Agrifood propone anche importanti novità e new entry come Cheese Experience e A Taste of Coffee, oltre all’ampliamento dello spazio riservato alle birre e alle diver-se iniziative ideate intorno al mondo dell’olio extravergine di oliva. Al via an-che Vinitaly and the City, il Fuori Salone serale di Vinitaly dedicato al popolo dei wine lover. Elisa Costanzo

Lo scorso Vinitaly (Foto Ennevi Veronafiere)

Quattro giorni di grandi eventi, rassegne, degustazioni e wor-kshop, mirati all’incontro delle

cantine espositrici con gli operatori del comparto, per spingere il sistema vitivi-nicolo italiano ad una dimensione sem-pre più globale.Un’edizione speciale di Vinitaly, la 49esima, quella in programma a Verona Fiere, accompagnata, come di consue-to, da Sol&Agrifood ed Enolitech. Ed è proprio sulla sinergia che da sempre contraddistingue le tre manifestazioni che punta Verona Fiere per valorizzare, in chiave business, l’unico appunta-mento fieristico a livello internazionale in grado di fornire una visione d’insie-me dell’intera filiera vitivinicola e di quella olivicola, rappresentate in tutti i passaggi produttivi. Quello che sta partendo è un Vinitaly fortemente pro-iettato al business, all’incontro con de-legazioni e missioni commerciali prove-nienti sia da mercati maturi, sia da aree in forte o potenziale sviluppo, con un calendario di incontri b2b (business-to-business), seminari e degustazioni professionali in grado di dare risposte

concrete per le strategie commerciali del settore enologico.Vinitaly 2015 perno essenziale per la promozione all’estero.«L’inserimento delle fiere all’interno del Piano Straordinario per il Made in Italy - spiega Ettore Riello, Presidente di Veronafiere e di Aefi l’Associazione Esposizioni e Fiere Italiane - che pre-vede, nel 2015, 48 milioni di euro per il potenziamento del comparto, rap-presenta per Veronafiere un’ulteriore opportunità di sviluppo della propria

piattaforma di servizi alle imprese, che attraverso le proprie rassegne opera da molti anni in qualità di vero e proprio partner per l’internazionalizzazione di tantissime aziende sui mercati esteri». Per Vinitaly 2015 tutto questo si è tra-dotto in un aumento degli investimenti del 34% rispetto al 2014 per la realiz-zazione di un articolato piano di inco-ming che, oltre a quanto predisposto direttamente da Veronafiere, vede la fondamentale interazione con tutto il sistema delle istituzioni: Mise, Mipaaf, Agenzia ICE e progetti europei.I numeri di Vinitaly 2015.Oltre 4.000 gli espositori e 91.000 i metri quadri occupati che diventano 100.000 con Sol&Agrifood ed Enoli-tech, i saloni dell’agroalimentare di qualità (con la parte dedicata all’olio extravergine di oliva realizzata in col-laborazione con Unaprol) e dei mezzi tecnici per la filiera del vino e dell’olio che si svolgono in contemporanea.Le grandi degustazioni organizzate.Il primo giorno degustazione in mo-dalità walk around dei vini della Guida Tre Bicchieri, con i migliori vini sele-

Vinitaly edizione 49Occhi puntati sull'Expo...rt

anche quest'annonumeriimponentiprevistetante degustazionitra rieslinge vini ungheresi

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Stevie Kim:i cinesi produttori?Sarà un bene anche per noiIl  vino  italiano  raccoglie  gran-

de  successo  negli  Usa  e  in  Eu-ropa,  ma  fatica  ad  arriva-

re  sui  mercati  asiatici.  Il  moti-vo? La scarsa capacità dei produttori ita-liani  di  fare  squadra.  A  raccontar-lo  è  Stevie  Kim,  managing  direc-tor  di  Vinitaly  International,  la  se-zione  dedicata  all’Export  della  ma-nifestazione in scena a Verona.«Come Vinitaly stiamo investendo mol-to sulla Cina anche se si tratta di un mercato molto difficile. Un duro lavoro ma penso che ne valga la pena e che nel tempo si verificherà lo stesso fenomeno che ha caratterizzato in passato il mer-cato americano».In che senso?«Fino a poco tempo fa anche gli ame-ricani non conoscevano il vino, predili-gendo invece bevande alcoliche come i cocktail e la birra. Questo fino a quan-do i californiani non hanno iniziato a produrre loro stessi vino e pian piano il suo consumo è iniziato a crescere. Oggi gli americani bevono soprattutto vini californiani ma stanno, nello stesso tempo, acquisendo una maggiore co-noscenza del prodotto e questo li sta spingendo a provare ed apprezzare vini anche da altri Paesi, in primis quello italiano che ancora adesso detiene il primo posto».Cosa ha favorito con il vino italiano in Usa, rispetto magari ad altri prodotti provenienti da altre nazioni, come ad esempio la Francia?«È normale che una persona che abbia imparato ad apprezzare il vino, anche se solo prodotto localmente, poi sia più predisposta a cercare ed apprezza-re anche il vino italiano. Una volta ac-quisita una conoscenza di base l’Italia si presenta poi come il Paese che offre la maggiore selezione in termini di va-rietà e di prezzo. Penso che questo fe-

nomeno si ripeterà anche in Cina dove i cinesi stanno in questi anni comincian-do a produrre localmente vino spesso ricavato da vitigni francesi bordolesi o burgundi. È una mia convinzione che tra 5-10 anni i cinesi sapranno apprez-zare maggiormente il vino e vorranno cominciare ad assaggiare qualcosa di nuovo, come il vino italiano».E come si deve preparare l’Italia per penetrare i mercati asiatici?«L’Italia dovrà essere pronta e per farlo deve creare degli ambasciatori del vino italiano. Ma lo deve fare ora, non fra 5 anni. Per quanto riguarda poi le no-stre attività in Cina come Vinitaly Inter-national, come vi siete organizzati? In tutto il periodo che va dal mese di ot-tobre fino ad aprile 2015 con Expo Tour China abbiamo portato avanti un tour di promozione di Expo 2015 con lo scopo di favorire l’incoming all’esposizione Universale di Milano. Abbiamo accom-pagnato il tour in 8 città diverse, Bei-jing, Changsha, Fuzhou, Guangzhou, Chongqing, Shanghai, Zhengzhou e Jinan, con i vini italiani di produttori già presenti in Cina e grazie al supporto

degli importatori locali. Abbiamo quin-di potuto agire da ponte anche a livello territoriale riunendo importatori, sta-keholder e produttori per creare una rappresentanza italiana, riunita dalla wine list di Vinitaly, in un showcase col-lettivo».E che riscontro avete avuto?«Un intervento di questo tipo è molto importante perconsolidare l’immagine del vino italiano in Cina: molte delle tappe sono state e saranno in città di seconda o terza fascia dove la popola-zione locale non è mai venuta in con-tatto con il vino italiano. Si è trattata quindi di una campagna di sensibilizza-zione molto forte ed impattante, porta-ta avanti attraverso una comunicazione che spesso ha fatto leva sui social media locali, infatti Youtube, Facebook, Twit-ter e anche Google sono spesso oscurati in Cina. È quindi di fondamentale im-portanza portare i cinesi sul territorio italiano e far loro conoscere Vinitaly, che attraverso la disposizione dei pa-diglioni offre la sensazione di compiere un viaggio attraverso le diverse Regioni d’Italia». E. C.

Lo scorso Vinitaly (Foto Ennevi Veronafiere)«La manifestazione che sta per partire rappresenta il punto di arrivo di un’in-

tensa attività di incoming, che abbiamo realizzato e potenziato con l’impor-tante supporto del Mise, dell’Italian Trade Agency, Ice e anche grazie al Mi-paaf. L’unione delle forze ci ha permes-so di coinvolgere buyer e delegazioni di operatori selezionati da tutto il mondo, con un incremento dell’investimento finanziario del 34% rispetto allo scorso anno. E siamo certi che questo lavoro sinergico porterà i suoi frutti e sarà fun-zionale a consolidare il valore del vino italiano nel mondo». Il 2014 è stato difficile per varie congiunture interna-zionali, ma il sentiment delle aziende è positivo, come risulta da un’indagine di Vinitaly su 30 tra le realtà enologiche più importanti. Si tratta di un panel scientificamente non rappresentativo, ma certamente significativo per il vo-lume d’affari espresso, complessiva-

mente circa 2 miliardi di fatturato, e per la dinamicità imprenditoriale. Ne è emerso che nel 2014 si è registrata una crescita del fatturato delle cantine ita-liane pari al 5% rispetto al 2013 e, dato importante, il 55% di queste esprime fi-ducia per il 2015; il 35% in questi primi due mesi ha già avuto riscontri positivi e il 5% prevede un anno molto positi-vo. «Abbiamo imparato che di questi tempi è difficile fare previsioni e che i numeri cambiano velocemente, specie alla luce dei repentini e imprevedibili cambi negli assetti geopolitici interna-zionali che possono avere effetti diretti sul comparto, ma è indiscutibile - ag-giunge Mantovani - che il settore viti-vinicolo italiano mostra la sua vivacità e capacità di crescita». E la 49ª edizione di Vinitaly è stata proprio pensata per permettere a produttori e operatori di amplificare al massimo le opportunità che si stanno delineando e per crearne di nuove. Incontri b2b sono stati or-

Il dg Mantovani:quest'anno più risorseper incrementare i buyer

ganizzati tra i buyer delle delegazioni ospitate e le aziende espositrici all’in-terno dell’International Buyer Lounge. Un grande convegno, richiesto da con-sorzi di tutela, aziende vitivinicole e altre realtà del settore, approfondirà invece il tema delle trattative Ittp, Trat-tato Transatlantico sul commercio e gli investimenti con gli Usa. A questo, si aggiungono i focus su Hong Kong, Cina, Usa, Russia, Brasile, Australia.  «La fi-ducia sulla qualità delle iniziative di Vi-nitaly è confermata dal consolidamento oltre quota 4.000 del numero di esposi-tori e della superficie occupata sopra i 91 mila metri quadrati - afferma il diret-tore generale - che diventano 100 mila con Sol&Agrifood ed Enolitech, i saloni dell’agroalimentare di qualità, con la parte dedicata all’olio extravergine di oliva realizzata in collaborazione con Unaprol, e dei mezzi tecnici per la filie-ra del vino e dell’olio che si svolgono in contemporanea». E. C.

Degustazione di vino lo scorso Vinitaly (Foto Ennevi Veronafiere)

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Per la prima volta sarà presente a Vini-taly una collettiva di 56 aziende vitivi-nicole aderenti alla Fivi (Federazione italiana vignaioli indipendenti). La Fivi è un'associazione di aziende vitivinico-le (convenzionali, biologiche e biodi-namiche) che svolgono al loro interno tutto il ciclo dalla raccolta dell'uva alla commercializzazione del vino prodotto con le proprie uve, con lo scopo di rap-presentare la figura del viticoltore di fronte alle istituzioni, promuovendo la qualità e l'autenticità dei vini italiani. La Degustazione di questi vini è in pro-gramma il 24 marzo (Sala Argento – Pa-laexpo, ingresso A2, piano -1). Si tratta di un appuntamento che, con rigore scientifico, vuole dare risposte alle domande più frequenti di chi si ap-proccia a questi vini o di chi è scettico.A parlare grandi esperti del mondo del vino italiano e internazionale. Parla an-che Matilde Poggi, presidente della Fivi,

Federazione Italiana Vignaioli indipen-denti. «Siamo orgogliosi di presentarci tutti sotto il nome  Fivi - spiega la Poggi - i nostri soci desideravano uno spazio che li potesse identificare alla Fiera del Vinitaly e noi li abbiamo assecondati anche se si trattava di una richiesta al di fuori della nostra norma istituziona-le. Il nostro spazio sarà un'occasione importantissima per incontrare buyer, addetti ai lavori, appassionati e anche per tutti coloro i quali aspirano a far parte della nostra federazione. E, a tal proposito vorrei sottilinerare che i no-stri numeri crescono ogni anno di più. Oggi abbiamo 900 associati e diversi po-tenziali soci in tutta Italia. Ovviamente non ci siamo posti limiti di crescita e siamo pronti ad affrontare tutte le pro-blematiche burocratiche per semplifi-care il nostro lavoro giornaliero. Sono contenta di vedere in Fivi una parteci-pazione di giovani prodottori che mal-

grado le difficoltà resistono e portano avanti con tenacia la loro missione. È il caso della Sicilia dove ci sono tantissimi vigneron giovani e intraprendenti che ho avuto modo di conoscere in occasio-ne del nostro ultimo consiglio straordi-nario che si è svolto in via eccezionale a Marsala. Vi erano tra gli altri quindici vignaioli della Sicilia Occidentale. Mi ha colpito il loro entusiamo e la loro grande forza di andare avanti. E questa giovane partecipazione è indice di un grande rinnovamento siciliano. Tor-nando sul nazionale, concludo dicendo che il Vinitaly è per noi Vignaioli Indi-pendenti una vetrina molto importante se non addirittura indispensabile. Cer-tamente quest'anno la vicinanza con il Prowein ci ha messo un po' in difficoltà, ma siamo sempre motivati a partecipare perchè è una Fiera rivolta in primis al trade».

Maria Antonietta Pioppo

L'esordio della Fivi:“Daremo voce tra gli standai vignaioli indipendenti”

Bottiglie in rassegna in uno stand (Foto Ennevi Veronafiere)

Cosa è la ViaSi chiama Via, Vinitaly international academy, ed è il progetto educativo di Vinitaly international. Obiettivo: forma-re 50 ambasciatori e profondi conosci-tori del vino italiano. I candidati, comunicatori, educatori, sommelier autentici e giornalisti di spic-co provenienti da tutto il mondo, sono stati individuati in base ai curriculum, privilegiando il livello di partenza. Molti

Vinitaly Academy:“I nostri ambasciatoriper conquistare i mercati”

Approfondire la conoscenza di vi-tigni, vini e territori italiani in tutto il mondo, questo l’obiettivo

di Vinitaly International Academy, polo scientifico-didattico di Vinitaly lancia-to, per la prima volta, nel febbraio del 2014. Ne parliamo con Ian D'Agata, uno dei curatori dell'iniziativa.C’è carenza di informazione e cultura specifica? «Direi di sì. In un Paese dove quasi tutti, produttori e giornalisti inclusi, ancora oggi parlano di Corvina e Corvinone come di due cloni, quando i primi stu-di evidenziando che non è così, sono

del lontanissimo 1993, risultati poi ri-baditi più volte, ad esempio nel 2003, c’è qualcosa da migliorare. E il lavoro di insegnamento e divulgazione che tutti noi abbiamo davanti è difficile, lungo e faticoso, seppure affascinante».Come si può quindi raggiungere que-sto obiettivo?«Le strategie messe in atto sono diver-se. Nel frattempo abbiamo organizzato degustazioni molto tecniche, i cosid-detti Executive Wine Seminars, incontri didattici con professionisti del settore. A questo si aggiungono confronti tra vini italiani e di altre nazioni, lancio del corso di certificazione per Ambasciato-ri e Esperti Via, creazione di convegni scientifici a Wine 2 Wine, dove non si beve nulla, ma si ascolta e si impara per due giorni e molto altro ancora».Chi sono e come vengono selezionati i partecipanti alla Vinitaly Internatio-nal Academy?«Gli studenti scelti per provare a pas-sare l'esame del Corso di certificazione Via sono comunicatori, educatori, som-melier autentici, giornalisti di spicco nei propri Paesi. Hanno inviato tutti un curriculum molto dettagliato e solo in base a quello sono stati selezionati».Quali sono questi requisiti?

«Ad esempio, avere iniziato o comple-tato il corso Wset, o il lavorare come Chief Corporate Wine Buyer di tutti gli Shangri-La hotels nel mondo. Quello che abbiamo privilegiato è il livello di partenza dei partecipanti, che è dav-vero alto. Molti inoltre sono anche stu-denti del corso Master of Wine”.Che prove devono superare gli allievi per diventare “ambasciatori del vino italiano nel mondo”? «È previsto un esame scritto, 100 do-mande a scelta multipla. Chi lo supera con 75% diventa ambasciatore, chi ot-tiene il 90% ha inoltre la possibilità di diventare un Expert Via, ma deve supe-rare anche un esame orale di degusta-zione di otto vini italiani alla cieca».Quali le opportunità per queste figure che andate a formare?«L’obiettivo è creare un club interna-zionale di appassionati e conoscitori di vino italiano. Solo i nostri experts potranno insegnare gli Executive Wine Seminars e saranno coloro che ci rap-presenteranno ai massimi livelli in tut-to il mondo. Gli Ambasciatori possono guidare delle Masterclass a un livello di didattica più semplice. L'idea di base è anche quella di creare delle opportunità di lavoro». E. C.

sono studenti del corso Master of Wine. Il percorso formativo, che prevede ore di lezione pratica e teorica, degustazioni guidate e alla cieca, è poi seguito da un esame scritto costituito da 100 doman-de a scelta multipla.Chi lo supera con 75% diventa amba-sciatore, chi ottiene il 90% ha inoltre la possibilità di diventare un Expert Via, ma deve superare anche un esame orale di degustazione di otto vini italiani alla cieca. Obiettivo è creare un club inter-nazionale di appassionati e conoscitori

di vino italiano. Ma solo gli experts po-tranno insegnare agli executive wine se-minars e saranno coloro che rappresen-teranno la Vinitaly Academy ai massimi livelli in tutto il mondo.Gli ambasciatori, con un grado di pre-parazione inferiore, saranno, infatti, soprattutto delle figure mediatiche, di supporto alla Via e al vino italiano, ma che comunque conosceranno i prodot-ti molto bene e possono guidare delle Masterclass a un livello di didattica più semplice.

Dall'Oriente per degustare

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Antonio Galloni:tra i brand e i territorinegli Usa vale di più il primoAntonio Galloni ha avuto una ge-

niale intuizione. Forse dovuta alle esigenze del momento ed

alla “lite”, se così possiamo definirla, con Robert Parker ed il suo “The Wine Advocate”. I due scelgono, più o meno in maniera consenziente, di separarsi. Si parla anche di tribunali di mezzo, per la vicenda relativa al report sui vini del-la Sonoma Valley (California), che poi Galloni ha pubblicato sul suo sito, in-vece che sulle pagine a pagamento del Wine Advocate. Tant'è. Galloni non si perde d’animo e fonda, insieme alla mo-glie Marzia, Vinous. Si tratta di un modo nuovo e più multimediale di approcciar-si al mondo del vino. Il successo di Vi-nous, Galloni lo deve anche al nugolo di collaboratori che gli orbitano intorno, molto preparati, che riempiono il sito ogni giorno con nuovi contenuti. Antonio recensisce i vini del Piemonte, Toscana ed il resto del Nord Italia oltre alla Borgogna, Bordeaux, Champagne, Napa Valley, Sonoma Coast, Santa Bar-bara e Santa Cruz Mountains. Gli Usa oggi sono il primo Paese al mondo per consumi. Il merito di que-sto primato lo si deve ai vini califor-niani e comunque prodotti negli Usa? O un merito lo hanno anche i Paesi europei?«Entrambi. Sicuramente il vino ame-ricano pesa molto. I piú grandi vini americani sono quasi tutti bevuti negli Usa, hanno poco mercato per l’export. Allo stesso tempo, l’Italia e la Francia giocano ruoli importanti nel mercato americano».Come viene percepito il vino italiano negli Usa? Ha più forza il brand o il territorio?«Il vino italiano è percepito molto bene perché è abbinato ad un approccio all’a-limentazione che è sempre più ricerca-to; in specifico la dieta Mediterranea focalizzata sulla qualità della materia

prima. Al livello top sicuramente conta di più il brand. Non so quanti consuma-tori sanno che il Masseto è un vino fatto a Bolgheri o che Gaja è un’azienda pie-montese. Però, appena scendi, conta molto il territorio e la storicità».Il lavoro di critica enologica ha anco-ra molto peso negli Usa? Il punteggio resta sempre il modo più efficace per comunicare un vino?«La critica enologica sicuramente ha un ruolo importante da sviluppare, ma va interpretato con i valori di oggi. A Vinous, vediamo il nostro come un la-voro di formazione ed educazione, con grande rispetto per la diversità dei vini e le opinioni de nostril lettori. Il mon-do dove il critico si rivolge alle persone come fosse su un palco è una cosa del passato. Noi a Vinous vogliamo che il lettore sia partecipe, non spettatore. Il punteggio dovrebbe sintetizzare una recensione ben scritta che descrive un vino nel presente ma con la consape-volezza ed un livello di esperienza che tiene conto del passato, che considera

il contesto. Troppo spesso, i grandi vini vengono ridotti ad un semplice punteg-gio, e questo è molto pericoloso, per-ché si dà troppa importanza ai numeri senza capire quello che c’è dietro».La Cina per il vino italiano diventerà mai un mercato di riferimento?«Probabilmente la Cina e gli altri mer-cati orientali avranno una grande cre-scita, ma prima bisogna che ci siano canali per la distribuzione che sono ben definiti e che funzionino. Bisogna fare attenzione ai mercati emergenti, ma è molto pericoloso seguire le mode, so-prattutto quando i mercati storici han-no ancora potenzialità di sviluppo. In questo momento, con il dollaro forte, se fossi un produttore di vino italiano punterei molto sugli Usa».Ci indichi i tre territori del vino in Italia su cui sente di scommettere nel breve futuro. Possono essere grandi classici. Ma anche territori emergenti.«Sicuramente il Chianti Classico ha delle grandi potenzialità, soprattutto visto il cambiamento climatico che fa-vorisce zone in collina ed in altitudine. Il Sangiovese ha dimostrato di avere le possibilità di dare grandi vini che pos-sono invecchiare a lungo. In Campania, il Taurasi è un vino interessantissimo per la sua complessità. Qui mancano dei produttori che sono disposti a fare co-noscere il vino in tutto il mondo, come hanno fatto gli Antinori, i Ceretto, i Gaja e le altre famiglie italiane nelle generazioni precedenti. La Sicilia ha al-meno due grandi rossi: Il Nero d’Avola, che è capace di tantissime sfumature ed il Nerello Mascalese, che presenta caratteristiche di grande finezza ed eleganza. Il Piemonte rimane l’unica regione italiana che è in grado di pro-durre consistentemente vini rossi che possono tranquillamente competere con i più grandi vini del mondo, perciò è il modello da seguire». F. C.

Antonio Galloni

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ratezza, non annusavano calici! E per favore non parlatemi di vini da medi-tazione. Immagino la scena: seduto su una poltrona accanto a un camino e con la moglie che suona il violino. Se voglio meditare leggo Sant'Agostino. Non è politicamente corretto? Il vizio porta al piacere, non all'analisi».Beppe Caviola, enologo e proprietario di Ca'Viola a Dogliani, in provincia di Cuneo, ha avuto la fortuna di occuparsi di tante altre realtà vitivinicole in giro per l'Italia. «I sensi sono il mio stru-mento di lavoro e con essi la memoria olfattiva. Ricordo, comparo, colgo asso-nanze e divergenze. Certo, ho anche un laboratorio per le analisi da dove esco-no tanti numeri, ma questi non sono la verità. Capita non di rado che l'assag-gio di un gran vino non corrisponda a parametri analitici positivi: in questo caso mi fido più dei sensi che delle cifre. Il vino va consumato per il gusto che dà, non certo per i numeri. Personalmente credo anche nella dote innata: 20 anni fa produttori già importanti come Elio Altare dicevano che avevo un buon pa-lato. Il resto poi l'ha fatto l'esperien-za e gli investimenti: per capire il vino bisogna bere bene e quindi spendere».L’azienda di Angelo Gaja si trova in Piemonte, a Barbaresco in provincia di Cuneo. «C’è una fascia di consumato-ri che, più che con i sensi, con vista-naso-palato, beve invece con la testa, con atto di condivisione di valori. E così sulle etichette è una fioritura dichiara-ta o sottintesa di: naturale, biologico, biodinamico, vero, libero, sostenibile, sano, buono, pulito, giusto, certificato, etico, senza (SO2, pesticidi, chimica, manipolazioni…). Già Luigi Veronelli sosteneva di preferire i vini contadini ai vini industriali. Bartolo Mascarello, padre del Barolo e personaggio di gran-de spessore, rischia di venire ricordato assai più per le etichette che portavano la scritta “No barrique, No Berlusconi”, una originale intuizione di marketing. È il vino artigiano quello che trae il maggiore giovamento dalla condivisio-ne: i consumatori più sensibili cercano un’identificazione nel produttore “spo-sandone” il progetto. La degustazione organolettica non perderà di valore, ma

non sarà la sola a dettare le scelte del consumatore».Renato De Bartoli, è siciliano, come la sua azienda, che si chiama Marco

De Bartoli ed è a Marsala in provincia di Trapani. «Credo di essere la persona meno appropriata per parlare di sensi: fumo ogni giorno i miei sigari toscani, bevo caffè amaro, non sopporto dolcez-ze e morbidezze. Il mio gusto va solo in un senso ed è quello dei vini secchi, ta-glienti, affilati. Non sopporto e quindi non bevo ciò che è aromatico, esotico, profumato. Quando ero un neofita, an-che io avevo un gusto che oggi definirei banale, quello per vini larghi, piacioni, fighetti. L'acidità e la tannicità sono arrivate dopo e ho scelto loro. Il fumo esaspera le durezze e forse anche per questo non mi piacciono i vini dolci. Poi c'è la tavola: non amo bere i miei vini, come quelli degli altri, lontano da lì. E qui indubbiamente il palato prende il sopravvento, ma come momento di go-

Leonildo Pieropan

LuigiCataldi

Madonna

Gianfranco Fino

Beppe Caviola

Il reportage

Angelo Gaja:ci sono

consumatoriche per fortuna

bevonocon la testa

La bocca ha la sua espressione idiomatica, il naso no. Eppure il senso del gusto passa per essere

il “parente povero” dell'olfatto. Questo ha una sua autonomia, il primo fa fati-ca a conquistarsela. Analiticamente è più corretto dire che la bocca svolge un lavoro di sintesi e di valutazione di un equilibrio complessivo. Quando inge-riamo, quattro sono le sensazioni che abbiamo: amaro, dolce, salato e acido. C'è anche una quinta, l'umami, ma la sua conoscenza è molto più spiccata in Oriente. È corretto anche specificare che il palato ha una sua fisiologia, con la cavità orale e la lingua conosciute nel dettaglio. Il “gusto” invece, come lo intendiamo noi, altro non è che un aro-ma colto dall'olfatto. Si parla infatti di “aromi di bocca”, ovvero le sensazioni retronasali che nascono dopo la deglu-tizione. Il palato coglie ciò che è ma-terico, la struttura, il corpo del vino; a esso appartengono le sensazioni tattili. Ci consente di “masticare” il vino.Ma che rapporto hanno i produttori di vino con il palato? Il gusto del vino ha la meglio, ha la peggio sull'olfatto o sono imprescindibili? Lo abbiamo chiesto a tredici di loro. E le risposte, come i loro vini, non sono tutte uguali.«Parto da un'altra distinzione: quella tra vino tecnologico e vino emozio-nale – dice Paolo Cianferoni, azienda Caparsa che si trova a Radda in Chianti in provincia di Siena - Il secondo è ar-

tigianale e vede il coinvolgimento reale dei sensi, quella che io chiamo un'inti-mità degustativa. I consumatori meno attenti fanno scelte in base al prezzo di un'etichetta e si limitano a ingurgitare il vino. C'è poi una fetta di pubblico, che per fortuna sta crescendo, che al contrario predilige vini emozionali che hanno voglia di farsi scoprire. Le emo-zioni che suscitano variano a seconda dell'età, dell'umore, dell'occasione. Parlo dei cambiamenti di chi assaggia e della bevanda stessa: può esserci cor-rispondenza o divergenza, ma è li che nasce il confronto. Nulla sarà piatto o scontato. Spesso odio il mio vino, tal-volta lo amo. Ma è così perché cambia.

Con il mio enologo, Federico Stederi-ni, lavoriamo soprattutto sull'analisi sensoriale, perché ritengo che se c'è il naso, c'è anche tutto il resto. Il palato invece ha a che fare più con la cultura contadina da cui provengo, quella del Chianti, quella godereccia, del vino ser-vito in tavola, complementare al cibo».Per Gianfranco Fino, dell’omonima azienda a Sava in provincia di Taranto «alla bocca qualcosa riesco a perdona-re, al naso proprio no! Credo dipenda dal fatto che ho a che fare con il vino fin da ragazzino, dai miei studi di eno-logia e dalla mia attività di degustatore di oli. Ho una vera e propria repulsione nei confronti dei difetti. Anche il fatto di lavorare su un vitigno come il Primiti-vo di Manduria, mi ha spinto alla pulizia e all'armonia estreme. Il corpo del vino e le sensazioni tattili che regala, non sono stati penalizzati, ma con loro oggi c'è una rinnovata bevibilità. L'anali-si gusto-olfattiva per me è un mezzo, dove il fine è l'equilibrio, che significa anche corrispondenza naso/bocca, co-erenza tra ciò che senti e ciò che bevi».Luigi Cataldi Madonna, azienda Catal-di Madonna ad Ofena, in provincia de L’Aquila, preferisce il palato all’olfatto. E di gran lunga. «Mi piace il verbo “in-ghiottire”, mentre la preminenza del “sentire” ha allontanato i giovani dal vino. Questo spiegare il vino con odo-ri e sensazioni lo ha reso difficile, in-comprensibile, qualcosa di elitario. La piacevolezza e il divertimento del bere passa attraverso la bocca, non il naso. Bacco, Dioniso bevevano con scelle-

Il palato è tutto? Uno strumento di lavoroamato e odiato dai produttori

Francesca Ciancio

tredici "big" del vino hanno espresso il loro parere:chi fuma e non "sente" più niente, chi assaggia tuttofin dall'acino e chi ribalta le analisi dei laboratori

Paolo Cianferoni

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formaggi più rari della Terra. Erano gli anni in cui dormivo a casa di Luigi Vero-nelli, per il quale la corrispondenza na-so-bocca era tutto. Ma non era un “ma-trimonio di convenienza”, bensì, come diceva lui, un “marriage d'amour”, ov-vero quando un cibo e un vino che s'in-contrano sanno raccontare una storia. Poi c'è la memoria: prima che nascesse, il mio Faro Palari lo avevo già in testa e volevo che assomigliasse ai pomerig-gi da ragazzo, quando con il motorino in giro sentivo l'odore del mare. Vole-vo che il mio vino ricordasse lo iodio. E credo di esserci riuscito».Saverio Lo Leggio, dell’ azienda Milaz-zo a Campobello di Licata in provincia di Agrigento si definisce un talebano del gusto. «Di solito scelgo i sapori medi-terranei. La mia abitudine al piacere del palato inizia più di trent'anni fa, quan-do ero studente universitario a Urbino. Con un gruppo di amici organizzavamo trasferte gastronomiche in Umbria e in Romagna. Ricordo ancora i due vini che mi impressionarono, un Chianti Classi-co di Castello di Ama e una Barbera di Coppo. La passione del vino non nasce in Sicilia quindi, ma l'ho poi riposta nell'azienda di mia moglie, Giuseppina Milazzo che è il vero talento della fami-glia. Ha una dote innata per sentori e sapori, e non a caso è lei che da anni si occupa dei tagli: sua è l'ultima parola».Mariateresa Mascarello, dell’azienda Bartolo Mascarello a Barolo in provincia di Cuneo non si è mai posta il problema. «I sensi mi servono a capire chi lavora in modo artigianale e chi no. Capire il

vino è un po' come scrutare una perso-na: succede empiricamente, non certo attraverso analisi di laboratorio. Una delle domande classiche che mi fanno è “quanto dura la macerazione del Neb-biolo?” Io rispondo che dipende dall'as-saggio delle masse. La standardizzazio-ne è nemica dei sensi. La descrizione delle sensazioni gusto olfattive di un vino le lascio volentieri ad altri e credo dipenda dal fatto che sono cresciuta in un ambiente dove il bere e il mangiare erano qualcosa di cui godere».Francesco Spadafora, dell'azienda Spadafora a Palermo, spiega che si trat-ta solo di allenamento: «Si comincia da piccoli, quindi dal cibo, non certo dall'alcol. È la memoria olfattiva che devi portarti dietro per tutta la vita. Il vino arriva dopo e ciò che trovi nel

E se vi dicessi che il palato, inteso come gusto personale, come idea-le estetico della sensibilità di cia-scuno, non esiste? O almeno non esiste per come viene normalmen-te inteso? Certo, sarebbe grossa, e implicherebbe ricordare e citare alcuni argomenti che hanno più a che fare con il pensiero filosofico che non con l’esercizio dell’analisi sensoriale pura e semplice. Perché il palato è solo uno strumento, come il cacciavite per il meccanico, poi bisogna utilizzarlo per diven-tare qualcosa di diverso da un sem-plice classificatore di sensazioni. Il capitolo di apertura della Feno-menologia dello Spirito di Hegel, libro di estrema difficoltà, tratta proprio di questo. Dice più o meno Hegel che la certezza sensibile, cioè quella conoscenza che ci deri-va solo dai sensi, apparentemente sembra la più ricca, in realtà si tra-sforma nella più povera. Perché se resta come semplice “data base” di sensazioni, dà luogo ad una co-noscenza dove ogni cosa è uguale all’altra. Ognuna ha lo stesso va-lore e si risolve in un’elencazione senza alcun valore conoscitivo. E’ necessario un intelletto gerarchiz-zatore, che determini i valori, che

dia un senso alle differenze e ricer-chi cosa è più o meno importante, cosa è più o meno preferibile. Ma l’intelletto, l’intelligenza, non è immediatamente sensoriale. Deri-va dalla propria conoscenza, dall’e-sperienza, dalla tecnica. Perciò il palato, il mio e quello di ciascuno di voi, non può avere troppa impor-tanza. Deve solo funzionare bene, il resto lo fanno altri elementi. Nella valutazione dei vini gli aspet-ti importanti sono le capacità di classificazione e di valutazione in funzione della tipologia. Giudicare un Barolo o un Passito di Pantelle-ria implica utilizzare parametri di-versi, per fare un esempio sempli-ce. Ma la relativizzazione va anche oltre. Esistono diverse espressioni di annate, diverse per collocazio-ne dei vigneti, anche all’interno di una singola area vitivinicola. Il palato va educato a cogliere tutto questo, ad essere lo strumento che fa capire se c’è o meno coerenza organolettica in quel vino, se c’è o meno aderenza alle caratteristi-che che ci si dovrebbe attendere. E se non c’è una conoscenza precisa, sperimentale, scientifica e cultura-le, non c’è palato che tenga.

Daniele Cernilli

Il gusto personale non esiste

bicchiere è solo l'atto finale; si inizia dall'uva, dal mosto, dal vino nuovo. Molto fa la famiglia, quanto è “enoga-stronomicamente” curiosa. Per pata-tine e ketchup ci siamo passati tutti, ma ora mia figlia ventenne mi chiama per sapere come faccio le marinature. I miei sensi li ha cambiati la campagna: il vino sì, ma anche le erbe aromatiche, gli spazi aperti, il vento. E poi ci sono le rivelazioni: un anno e mezzo fa mi sono operato al naso per dei polipi. Dopo la convalescenza mi si è aperto un mondo: stentavo a riconoscere anche i miei vini e così la mia memoria gusto-olfattiva ha conosciuto una nuova vita. Per me conta molto il dilettarmi come cuoco, dove gioco molto con i sapori in contra-sto. Il vino invece va assecondato: è lui che deve dirmi cosa vuol far sentire”.Francesco Spadafora

Mariateresa Mascarello

duria, non di analisi».Leonildo Pieropan, dell’azienda Piero-pan di Soave a Verona non sa scegliere tra naso e bocca: «Credo che il palato approfondisca ciò che ha già compreso l'olfatto. I miei sensi tendono a sce-gliere la semplicità. Non mi piacciono le cose invadenti e di conseguenza ne-anche i vini che lo sono. Sono portato a scegliere ciò che è basico, elegante, ciò che non sovrasta, ma che predilige l'armonia e l'equilibrio. Anche durante i pasti, mi piace bere vini “facili” che accompagnino il cibo e non lo coprano. Ho sempre capito poco anche le descri-zioni organolettiche dei vini, non ne colgo il fine».«La degustazione organolettica vince sull'analisi chimica, non c'è storia – dice Francesco Valentini, dell’azienda Valentini a Loreto Aprutino, in provincia di Pescara - Me ne rendo conto a ogni vendemmia, durante la quale l'uva pas-sa in rassegna attraverso tutti i cinque sensi: la osservo in controluce, guardo i vinaccioli, sento – ecco l'udito - come si rompe in bocca, perché dal rumore che fa capisco il grado di maturazione, e penso ai maestri cioccolatai che fanno la stessa cosa con le tavolette di ciocco-lato; la tocco per coglierne lo spessore. Solo lo zucchero – che pur valuto con i sensi – è controllato dal mostimetro. Nove volte su dieci i parametri analiti-ci mi danno ragione e se non è così do ascolto all'istinto e all'esperienza. Chi mi conosce dice che ho un laboratorio in bocca, ma questo approccio non è solo il mio, ma di tutta la squadra che

io e la mia famiglia abbiamo formato negli anni: i vendemmiatori di Valenti-ni assaggiano un grappolo alla volta e le più brave sono le donne, dotate di un'attitudine superiore. L'ossessione della tecnologia non mi appartiene: fino all'imbottigliamento, tutto si svol-ge in maniera artigianale. Solo prima di mettere in bottiglia cerco conferma dalla chimica. Il vino, poi, non va spu-tato, perché la sensazione retronasale è fondamentale: è lì che c'è l'anima del vino e deve entrarmi dentro se voglio capirlo. Comunque, se devo scegliere, dico il naso. Quando nacque mio figlio, la prima cosa che feci fu annusarlo, per-ché temevo che me lo potessero scam-biare. Memorizzando il suo odore, lo avrei riconosciuto tra mille».Luigi Mojo, enologo e proprietario di Quintodecimo a Mirabella Eclano in pro-vincia di Avellino preferisce parlare di flavour: «È la somma del gusto, dell'o-

dore e dell'aroma retronasale che si ha quando si introduce qualcosa in bocca. L'olfatto rende senza dubbio piacevole la vita degli uomini, ma se parliamo di vino, credo che questo debba puntare all'equilibrio gusto-olfattivo, a zero sbavature. Pensiamo all'Aglianico, un uva che non ha una quantità impor-tante di molecole aromatiche chiave, tant'è, che in fase di produzione, l'as-saggio con il naso otturato, perché ciò che conta è la purezza che mi restitui-sce in bocca. Inoltre è un'uva tannica, quindi tattile che può darmi sensazioni di astringenza. L'armonia la immagi-no come un cerchio costruito intorno a quattro punti: dolce, amaro, salato, acido, le quattro sensazioni percepite dal palato. E si inizia in campo, assag-giando gli acini durante la vendemmia. Un progetto enologico di qualità preve-de un intervento minimale, ma prima di tutto dico ai miei studenti (Mojo è do-cente presso l'Università Federico II di Napoli, ndr) che il vino, prima di farlo, bisogna averlo in testa. La mia osses-sione è la pulizia olfattiva».Salvatore Geraci è titolare dell’azienda Palari a Santo Stefano Briga, una pic-cola frazione di Messina: «Palato e ol-fatto hanno preso forma negli anni '70 quando partivo da Messina per andare a Samboseto da Peppino e Mirella Canta-relli, l'osteria dove mangiavamo i piatti della tradizione bevendo Romanée Con-ti; oppure a Maleo da Franco Colombani, vice campione del mondo dei sommelier e oste perfetto che affinava gli Auric-chio non paraffinati come se fossero i

Luigi Mojo:la mia

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olfattiva

Da sinistra Saverio Lo Leggio, Giuseppina Milazzo con il figlio Giuseppe dell'azienda Milazzo. A destra Francesco Valentini

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In Cina si ragiona per punti. Durante le riunioni, ma anche semplici chiacchierate, manager

e sottoposti iniziano elencando sulla lavagna una serie di argomenti, uno dopo l`altro, preceduti da un numero o un trattino. Del resto anche i leader di questo Paese si sono sempre ingegna-ti nel trovare slogan e frasi concise più opportune per veicolare messaggi. Procedendo dunque alla cinese, l`anno appena concluso potrebbe essere così riassunto:- calo complessivo delle vendite dei vini importati; - generale revisione delle strategie di vendita e marketing;- crollo o stallo dei grandi nomi e cresci-ta di realtà più piccole; - voglia di conoscere il settore in au-mento;- italiani insoddisfattiIl 2014 si è confermato un anno di tran-sizione in cui più o meno tutti gli opera-tori in gioco hanno provato a cercare di capirci qualcosa. In seguito alle misure di austerità del governo, molti grandi nomi sono en-trati in crisi; le società cinesi per prime, C&D per esempio, colpite dal crollo del-le vendite di baijiu (distillato cinese). I grandi big che prima dominavano il mercato degli alcolici si sono ridimen-sionati in numero o area di competenza, sempre attenti a trovare nuovi investi-tori; Summergate è stata addirittura venduta. Sono nate realtà più piccole e specializzate, che si ritagliano fette di mercato tra i privati e i club, magari affiancando le vendite dirette ad atti-vità educative o locali di proprietà. Le dimensioni restano troppo piccole per influenzare il mercato o accontentare i

produttori, ma sono pur sempre nuovi investimenti in un settore che genera interesse. Nonostante infatti il consumo sia anco-ra molto debole, se non nullo in molte aree del paese, cresce a poco a poco la voglia di conoscenza. Le università spe-cialistiche hanno sempre più iscritti, scuole e corsi privati si moltiplicano. Molti media innovativi che comunicano attraverso i social network si sono or-mai affermati; i giornalisti e sommelier cinesi girano le cantine di tutto il mon-do aggiornandoci quotidianamente con foto su WeChat. A Shanghai, forse la città più attiva dopo HongKong, ogni giorno ci sono incontri e degustazioni interessanti; spesso sono alla cieca e comunque sem-pre molto pedagogiche, guidate dalla tabella Wset nella descrizione di ogni vino, a confermare appunto la voglia di apprendere più che di godersi il bic-chiere. I produttori locali intanto sperimenta-no, i terreni vitati aumentano e sia in

La Cina non è vicinaItalia e Francia export in calo

vigna sia nel bicchiere il Cabernet lascia qualche spazio anche ad altri varietali.Per quanto riguarda i vini importati, la Francia, che sempre domina, è il paese che ha sofferto di più le nuove politiche, a vantaggio degli stati con accordi bila-terali più favorevoli. Tra questi soprat-tutto il Cile, con tasse d`importazione a 1,4% nel 2014 e addirittura zero nel 2015, e l`Australia, che fino al 2019 be-neficerà della stessa misura. In questo contesto, l`unica costante è il malcontento dell`Italia del vino. È dif-ficile trovare qualcuno realmente soddi-sfatto del mercato cinese. Dopo qualche bruciatura, tutti sembrano adesso più cauti e guardinghi. Ma se da un lato è prudente muoversi con più sicurezze, dall`altro il rischio è continuare a re-stare dietro a chi ogni giorno ci prova e questo paese lo sperimenta davvero. Se il 2014 è stato l`anno dell`analisi, il 2015 deve essere quello delle decisioni. Chi aspetta di capirci troppo, non par-tirà mai.

Bianca Mazzinghi

molti grandi nomi sono entrati in crisi dopo le misuredi austerità imposte dal governo. sono nate realtàpiù piccole che si stanno ritagliando fette di mercato

Degustazione di vini al Vinitaly (Foto Ennevi Veronafiere)

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se è ovvio che la federazione non potrà mai produrre e vendere vini, però que-sto marchio, in un secondo momento poteva essere venduto o ceduto». La Corte di giustizia europea si è pro-nunciata in favore del Consorzio con una sentenza che ha fatto storia «e che viene utilizzata ancora oggi per i nostri ricorsi», spiega la Gori, riconoscendo il Gallo Nero come marchio di notorietà nel mondo. Usa, Cina e Francia sono i Paesi in cui il marchio del Consorzio è sempre scopiazzato. Almeno i tentativi di scopiazzarlo sono di più. «La cosa su cui dobbiamo stare particolarmente attenti – spiega l’avvocato – è la ripro-posizione di un marchio già analizzato e bocciato sotto mentite spoglie. Que-sto avviene molto spesso in Cina, dove giocano con i loro nomi complessi e spesso simili, credendo di farla franca. Una volta in Romania abbiamo scovato un marchio identico a quello nostro. Sarebbe opportuna un po’ di fantasia, quantomeno, ma non hanno fatto nem-meno lo sforzo», scherza la Gori.Il brand “Italia” attira molto, ma so-prattutto, spiega la Gori, l’”Italian sounding”, ossia il commercializzare un determinato prodotto con un nome tipicamente italiano o che richiami al nostro Paese. Si pensi al Parmesan, per esempio. «L’agroalimentare italiano è bersaglio ogni giorno di questi tentati-vi di frode – spiega l’avvocato -. L’Italia ha un appeal fortissimo, la sua storia è

talmente affermata che i prodotti che riportano un nome italiano si veicola-no meglio. Purtroppo siamo soggetti privati che devono sostenere parecchie spese dal punto di vista legale per tu-telare i diritti d’immagine del proprio marchio. Da questo punto di vista, cre-do che sarebbe necessario un interven-to ed un sostegno di tipo pubblico, che potrebbe dare maggiore protezione». Il consumatore, però, non può e non deve cadere in errore. Quando acquista un vino del Consorzio deve avere la cer-tezza che si tratti di una bottiglia ori-ginale. «Intanto deve sempre leggere e guardare con attenzione la fascetta di Stato che viene apposta su tutte le bottiglie – dice l’avvocato – poi nella bottiglia è presente un numero di se-rie. Se inserito, all’interno del nostro sito, riporta il nome dell’imbottiglia-tore e dei dati analitici del vino. Inoltre il marchio, che ha subìto un restyling nel 2013, viene apposto sul collo della bottiglia o sul retro-etichetta solo dopo una nostra autorizzazione ed il logo deve rispettare certi parametri. Falsifi-carlo è davvero molto complesso».

Giorgio VaianaCarlotta Gori

Vigneti a Radda in Chianti, cuore produttivo

del Consorzio Gallo Nero

Nessuno tocchi il Gallo Nero. Sem-bra quasi una parodia di un film, o di una canzone. Eppure il Con-

sorzio Chianti Classico “Gallo Nero” ha al suo servizio uno stuolo di avvocati capitanati da Carlotta Gori, a caccia dei furbetti, di chi, cioè, utilizza il marchio del Gallo Nero in maniera impropria. Il Gallo Nero, come marchio, è stato re-gistrato in tutta Europa, ed in 28 Paesi extra Ue. Dal 2006, gli avvocati coor-dinati da Carlotta Gori sono in peren-ne contatto con gli uffici marchi, che inviano settimanalmente le possibili registrazioni che potrebbero generare confusione nel consumatore. Un lavoro “pauroso”: «Non so nemmeno quantifi-care quanti marchi abbiamo analizzato in questi anni – dice la Gori – centinaia e centinaia». Il Consorzio ha esercitato 60 opposi-zioni, cioè ha contestato la possibile registrazione, o richiesto la cancella-zione, di marchi simili al Gallo Nero. In 38 casi, la risposta è stata positiva; 16 i casi ancora in fase di discussione; 6 hanno avuto esiti negativi, «ma solo per la rinuncia a procedere da parte del Consorzio – spiega la Gori -, perché abbiamo valutato che il nuovo marchio non poteva, in effetti, fare concorrenza al nostro Consorzio».Il Gallo Nero è un marchio molto “senti-to” in Toscana. Soprattutto ai fiorenti-ni, perché richiama alla memoria la bat-taglia fra Guelfi e Ghibellini, la disputa

per il territorio tra Firenze e Siena. «La leggenda vuole – racconta la Gori – che i due cavalieri delle opposte fazioni si sarebbero dovuti incontrate in un de-terminato posto, partendo dai rispet-tivi campi, all'alba, al canto del gallo. I fiorentini, però, lasciarono digiuno il loro gallo nero, che cantò molto presto, dunque, perché affamato. Il cavaliere di Firenze, così, partì prima e ai fiorentini

come emblema e simbolo del prodot-to», spiega la Gori. Il consorzio, ogni anno, investe parecchi soldi sia per il rinnovo dei marchi registrati in tutti i Paesi che come spese legali. «Nei Paesi in cui è presente il marchio Gallo Nero esercitiamo il controllo dei marchi che vogliono essere registrati e spetta a noi, e solo a noi, l’ultima parola. Ogni marchio viene valutato caso per caso».Il Consorzio, infatti, non solo valuta l’aspetto del Marchio stesso, ma anche il produttore che lo vorrebbe registra-re. «Se la richiesta arriva da un grosso produttore di vino francese, chiaro che la nostra sarà un’opposizione immedia-ta – spiega la Gori – mentre se il mar-chio è di un produttore di qualcosa che non c’entra niente con il vino non ci opporremo». In pratica lo studio lega-le analizza i casi distintamente, e cioè può capitare che ci sia un'attività non attinente al mondo del vino che abbia registrato un marchio con il Gallo.Eppure, la memoria ricorda la “batta-glia”, vinta per altro, contro la fede-razione francese rugby, che aveva ap-posto sulle maglie il Galletto nero. La storia di questa "guerra per il marchio" fece rapidamente il giro del mondo e nessuno osava quantomeno fare delle ipotesi su come si sarebbe conclusa la vicenda. «Noi avevamo semplicemente richiesto alla federazione di togliere la registrazione per quel che riguarda la classe 33, cioè la classe vini. Perché,

I marchi e la tutelaCosì il Chianti Classicodifende il Gallo Nerocarlotta gori guida le azioni legali. "la nostra lotta rivolta soprattutto verso quei loghi che possono generareconfusione". in pochi anni esercitate sessanta opposizionie in 38 casi ha vinto il consorzio. i consigli ai consumatori

La battaglialegalecontro

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toccò molto più territorio dei senesi». Il Consorzio nacque nel 1924 e fu pre-sto identificato con questo marchio, che divenne collettivo negli anni ’60. Il simbolo del Galletto caratterizza, or-mai, tutto il territorio di produzione del Chianti Classico «e viene riconosciuto

58

La progressiva tendenza alla standardizzazione dei vini come conseguenza dell’impostazione

produttiva delle viticolture del Nuovo Mondo, basata sulla coltivazione di po-che varietà ubiquitarie e di un’enologia “di correzione”, esige una maggiore conoscenza e valorizzazione delle fon-ti della qualità, per poter ottimizzare il rapporto interattivo tra il vitigno e l’ambiente di coltivazione, con adegua-te scelte varietali e agronomiche.Il tema dei rapporti suolo-vino è pur-troppo intriso di luoghi comuni, tra cui quello della “mineralità” (descrittore che viene attribuito all’assorbimento di

alcuni minerali dal suolo) rappresenta forse l’esempio più emblematico.Per sfuggire a questa tentazione in questo volume sono stati utilizzati i risultati di circa quarant’anni di speri-mentazioni condotte in numerose zone viticole italiane dai ricercatori del disaa dell’Università di Milano e del Centro di ricerca per la viticoltura (Cra-vit) di Conegliano Veneto. Lo scopo di queste ricerche, chiamate zonazioni, è stato valutare il ruolo dei fattori del model-lo viticolo (pedoclima, vitigno, tecnica colturale) sulla qualità del vino per mi-gliorare il livello dell’interazione tra il vitigno e l’ambiente.L’opera ha intenti divulgativi, con l’am-bizione di costituire un testo di accessoa quella parte della conoscenza, piutto-sto trascurata dalla tradizione scientifi-ca italiana, che coinvolge la scienza del suolo e la cultura del vino. È indirizzata a coloro che, nel desiderio di scopri-re le ragioni profonde e spesso ancora

in parte misteriose della qualità di un vino, abbiano bisogno di comprende-re quali siano le origini, lontane nel tempo, dei suoli viticoli italiani e quale influsso abbiano sulle caratteristiche del vino. Si rivolge quindi a una pla-tea di lettori molto vasta, che dispo-ne peraltro di una base culturale poco omogenea sui temi trattati. Per questi motivi si è scelto di usare un linguaggio semplice, una ricca iconografia e alcuni approfondimenti specifici che illustra-no alcuni aspetti fondamentali della geologia e della pedologia. La prima parte del volume delinea gli aspetti ge-ologici del territorio italiano, il clima, le forme della vite e descrive i criteri di degustazione comparativa. A seguire, nella sezione dedicata ai vini d’Italia, si analizzano nel dettaglio gli aspetti fisico-chimici ed evolutivi dei suoli dei vari territori indagati, in relazione alle rocce madri e alla pedogenesi, si evi-denzia il contributo del paesaggio (le caratteristiche morfologiche del vigne-to e i caratteri vegetazionali a esso cir-costanti), dell’andamento climatico e della tecnica colturale sulla risposta dei vitigni coltivati, attraverso la descrizio-ne sensoriale dei vini prodotti. Corrado Dottori, in un’espressione che trasuda umanesimo, dà la misura dell’intima co-munione tra l’uomo e l’ambiente nella produzione del vino.I vini sono come le persone: [...] vini permalosi, orgogliosi, superbi, mode-sti, eleganti, raffinati, ieratici [...] Vini tragici e vini comici. E poi, sì, ci sono i vini che hanno fatto il lifting e i vini che sono come mamma li ha fatti. Ecco perché ogni vino assomiglia a chi lo produce.

Attilio Scienza

Il legame suolo-vino"Sfatiamo i luoghi comuni,soprattutto la mineralità"

Si chiama "Atlante geologico dei vini d’Italia" il nuovo lavoro del professore Attilio Scienza edito da Giunti Editore. Il volume sarà presentato al Vinitaly.Di seguito la presentazione scritta dal professore Scienza, docente di viticoltura presso l’università di Milano.

Tra argilla e calcare, il suolo di un vigneto siciliano

6160

«Per le Do e Ig di nostra competenza il costo dell’attività di controllo e certi-ficazione è molto basso, basti pensare che l’azienda ha un’incidenza per ogni litro imbottigliato di circa 1-2 centesimi per i vini Do, mentre per i vini Ig solo di pochi millesimi di euro a litro. Ritengo che questi importi siano un ottimo inve-stimento, paragonandoli alle garanzie che offriamo ai produttori e ai consu-matori».Cosa state facendo per alleggerire la burocrazia nelle aziende?«Stiamo lavorando alla “dematerializ-zazione” dei registri di cantina. Già a partire da aprile sarà operativo per le aziende il nuovo sistema informatico di Valoritalia (Dioniso) che permetterà alle aziende di velocizzare e semplifica-re, mediante un collegamento diretto con il gestionale informatico, tutte le comunicazioni da trasmettere, miglio-rando anche la gestione dei dati. Dare-mo inoltre la possibilità di conoscere e controllare in tempo reale le effettive giacenze che risultano in carico ai no-stri uffici ed evitare eventuali errori e/o omissioni di comunicazione».Avete riservato una parte del vostro sito ai dati periodici su Do e Ig, su che

base sono stati redatti?«Riteniamo fondamentale rendere pubblici i dati ricavati dalle attività di controllo, fornendo uno strumento di grande utilità per tutti gli operatori del settore. Sul nostro sito internet istituzionale è possibile trovare sia tabelle di ciascun vino DO e IG (che mettono in relazione il prodotto imbottigliato e certificato per ciascun trimestre dell’anno), sia delle tabelle più dettagliate dove annual-mente è possibile mettere a confronto

anche i dati di superficie, di produzione rivendicata, di prodotto riclassificato, di prodotto declassato, di prodotto cer-tificato esportato all’estero e quanto prodotto è ancora giacente presso le cantine (come “atto” o già certificato a Denominazione di Origine)».Le norme stanno al passo delle tecno-logie o queste ultime sono più avanti?«Parlando di norme mi viene da pensare alle molteplici circolari e note di chia-rimento che vengono emanate dal Mi-nistero Politiche Agricole Alimentari e Forestali con frequenza quasi costante. Le norme tentano di stare al passo delle tecnologie che inevitabilmente sono un passo avanti. La scommessa è avere la capacità di modificare le norme per ot-timizzare i risultati delle tecnologie po-sitive, ma anche limitarne gli eventuali danni e abusi».La vostra presenza manca in Trentino Alto Adige, Basilicata, Campania, Si-cilia, Molise, Abruzzo, Liguria: come mai? «L’assenza di Valoritalia in queste re-gioni di certo non è voluta, ma dipende dalle scelte fatte dai Consorzi di Tutela e della filiera vitivinicola che hanno la facoltà di scegliere autonomamente da

Stiamolavorando

per eliminarei registri

in cantinaIl nuovosistema

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ad aprile

Prelievi di uve per campionamenti

Lucio Monte

Francesco Liantonio, quarant’anni, barese, dal maggio 2014 è il presi-dente di Valoritalia, struttura nel-

la quale già da anni era vice presidente. Una carica che ricoprirà fino alla prima-vera del 2017. Liantonio è anche vice presidente di Federdoc, presidente del Consorzio vini Castel del Monte e di Tor-revento, l’azienda vinicola di famiglia. L’organismo istituzionale Valoritalia nasce nell’agosto 2009 dalla collabo-razione tra Csqa Certificazioni e Feder-doc, in risposta alla normativa europea sull’obbligo della terzietà nel sistema dei controlli per la certificazione dei vini di qualità. Nel 2012 allarga la sua compagine societaria a Unione Italia-na Vini. Attualmente espleta le proprie attività di controllo e certificazione su 178 Denominazioni di Origine (46 Docg e 132 Doc) e 41 Indicazioni Geo-grafiche. Gli ettolitri imbottigliati del-le Do, sottoposti a controllo nell’arco del 2014, sono stati 7.581.247, mentre quelli imbottigliati delle Ig sono pari a 4.704.687 ettolitri. Numeri che atte-stano Valoritalia come il principale or-ganismo di controllo nazionale nel set-tore vitivinicolo, tanto da certificare il 70% del vino italiano a denominazione. Le 28 sedi operative sono dislocate su 12 regioni, con un organico di oltre 200 collaboratori tra dipendenti e co.co.co, senza contare gli ispettori esterni e i membri di commissione.Quali sono i principi di Valoritalia e

come siete organizzati?«I soci di Valoritalia e particolarmente Federdoc hanno creato una società di servizi non finalizzata a produrre utili ma a garantire un’attività fondamen-tale per il settore vitivinicolo e per i consumatori ai costi più bassi possibili. Naturalmente chi amministra ha l’ob-bligo di mettere la società in sicurezza economica e finanziaria, quindi tarif-fari e quote sono rapportati ai costi effettivi e a una corretta marginalità. I soci non intervengono nella gestione del sistema dei controlli, che è total-mente in capo ai consiglieri delegati e ai funzionari preposti. Il dipartimen-to regolamentato (vino e biologico) è organizzato in sedi periferiche facenti capo al centro operativo di Asti. Ogni ufficio controlla le Do e Ig di un terri-torio. Tutte le sedi sono organizzate in modo identico ed operano con le mede-sime procedure, garantendo uniformità di approccio su tutto il territorio nazio-nale. Per ogni regione o per più regioni è nominato un coordinatore. L’insieme dei coordinatori costituisce il Gruppo di Coordinamento, il vero Direttore collet-tivo di Valoritalia che assume le decisio-ni non di competenza del consigliere o dei singoli responsabili di sede, e dà gli indirizzi, istituisce e aggiorna le linee guida, i manuali qualità e altro. Il Grup-po di Coordinamento è anche il garante dell’uniformità operativa tra le varie re-altà. Vi sono poi le strutture tecniche e amministrative di supporto.».Ad oggi come sta andando Valoritalia?«Se prendiamo in considerazione l’atti-

Certificazioni Doc,ci pensa ValoritaliaLiantonio: “Lievi segnalidi ripresa dai vini a marchioˮ

vità di certificazione dei vini Do e Ig, di-rei piuttosto bene. Infatti analizzando i dati dell’anno solare appena trascorso, sia del prodotto certificato sia dell’im-bottigliato, ci sono addirittura segni positivi rispetto al 2013, indice che il comparto vitivinicolo reagisce bene alle difficoltà dei mercati e alla crisi».Quanto pesa per un’azienda la certifi-cazione in termini economici?

Alessandra Piubello

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Una tipologia. Una Doc. Un territorio. Forse il più aspro tra quelli vocati per produrre bollicine. Trentodoc è questo. Con la prospettiva di migliorare le proprie perfomance in

giro per l'Italia e soprattutto all'estero. Ne sa qualcosa il con-sorzio presieduto da Enrico Zanoni che raggruppa 41 cantine per complessive 60 milioni di bottiglie. Abbiamo assaggiato 18 etichette in una degustazione orizzontale che ci ha consentito un'ampia fotografia su un territorio e una tipologia di cui sen-tiremo parlare sempre più spesso a dispetto di chi pensa che lo spazio per le bollicine italiane nel nostro Paese e nel mondo sia già stato conquistato da altri competitor.

trentodoc, degustazione con 18 etichette

Zeni - Maso Nero, Brut Riserva 2009È uno Chardonnay vendemmiato nel 2009 e sboccato a novem-bre del 2014, dunque con una permanenza di almeno 4 anni sui lieviti. Il vigneto Zaraosti, esteso poco più di tre ettari, è posto alle pendici del Monte Corona presso San Michele all’Adige. Il colore è giallo paglierino intenso, il perlage fine e persistente. Al naso fragranti aromi di lieviti, agrumi, baccello di vaniglia. Bocca composta, di buona struttura.

Casata Monfort - Brut Riserva 2008I vigneti sono situati ad un’altitudine tra i 400 e i 650 metri in parte sulle colline di Trento e più specificatamente nelle frazioni di Meano, Vigo Meano e Cortesano e di Pergine Valsugana. Il terroir è misto, porfirico e franco sabbioso. Il 2008 è ottenuto da uve Chardonnay 80% e Pinot Nero 20% con una maturazione di 45 mesi sui lieviti. Colore giallo intenso tendente all’oro, per-

lage robusto. Naso maturo con note verdi ed erbacee. In bocca è teso, finale leggermente amarognolo.

Cembra, Cantina di Montagna - Oro Rosso, Dosaggio ZeroCi troviamo in Val di Cembra oltre 600 metri di altitudine su suoli franco-sabbiosi di origine porfirica. Da uve 100% chardonnay, lavorato in acciaio, non dosato, il vino resta sui lieviti per oltre 60 mesi. Il colore è giallo paglierino con un bel perlage fitto e consistente, fine la bollicina. Al naso fieno e fiori bianchi. Bocca asciutta, essenziale. Finale pulito.

Moser – Brut 51,151Nome e numeri qui hanno una storia, scanditi da Francesco Mo-ser, trentino, classe 1951. Questo nostro straordinario ciclista stabilì a Città del Messico il 19 gennaio 1984 il record dell’ora portandolo, appunto, a 51 km e 151 metri. Ma Francesco Mo-ser ha numeri anche nel vino. Questo Brut è fatto da Chardon-nay 90% e Pinot nero. Il vino affina in legno e, dopo la presa di spuma, resta sui lieviti per almeno 24 mesi. La sboccatura è di ottobre 2014. Il colore è giallo paglierino con riflessi oro, fine il perlage. Al naso fiori bianchi, crosta di pane, è leggermente speziato. In bocca è secco e piacevolmente sapido. Nel finale spiccano le note citriche.

Pedrotti – Brut 2009Azienda storica che opera dal 1901. Oggi Donatella e Chiara Pe-drotti conducono l’azienda di famiglia ubicata presso il comune di Nomi. Il Brut millesimato 2009 è ottenuto per il 90% da uve

Le bottiglie di Trentodoc degustate

Francesco Pensovecchio

chi farsi controllare e certificare».Come stanno andando le certificazioni volontarie in tema di sicurezza, quali-tà e sostenibilità? «Valoritalia in effetti offre anche le certificazioni di prodotto e di sistemi, in tema di sicurezza alimentare e qua-lità, sostenibilità, salute e sicurezza nei luoghi di lavoro ed energia. A queste si aggiungono le certificazioni innovative come Biodiversity, Vegan (ad esempio la certificazione del vino Vegano, svi-luppata con l’associazione Vegetaria-na Italiana) e Gestione gas serra. Allo stato attuale le aziende certificate non sono molte, ma contiamo di crescere rapidamente, considerando che l’atten-zione da parte delle aziende su questi temi è sentita. Sicuramente insieme al biologico il tema della sostenibilità è uno dei settori in cui cercheremo di in-vestire nei prossimi anni».E la certificazione nel biologico, come procede?«Il biologico è la nostra sfida del mo-mento, stiamo puntando molto su que-sto comparto. Allo stato attuale abbia-mo all’incirca 450 aziende, numero che riteniamo importante se teniamo conto che il 2015 sarà il primo vero anno di at-tività del settore».Cosa è stato fatto sui vini varietali?«Allo stato attuale la certificazione dei vini varietali è molto semplificata rispetto a quella dei vini Do e Ig, infatti è previsto solamente un control-lo documentale sulla correttezza dei cari-chi di prodotto, senza l’obbligo di procede-re a fare delle visite ispettive in loco. Per dare comunque dei numeri, nel 2014 ab-biamo certificato ol-tre 500.000 ettolitri, soprattutto in Emilia Romagna, Veneto e Piemonte. Penso che questo sistema vada migliorato, perché i numeri che si hanno a disposizione sono nettamente inferiori rispetto alla realtà commercializzata».Che tipo di analisi svolgete nei vostri

laboratori?«Ad ogni campione prelevato si eseguo-no di routine le analisi chimico-fisiche per determinare l’acidità fissa, l’acidità volatile, gli zuccheri riduttori, il titolo alcolometrico volumico ed effettivo, l’estratto non riduttore, l’anidride sol-forosa e, per i vini frizzanti e spuman-ti, anche la pressione per determinare l’anidride carbonica. Tuttavia per veri-ficare il livello qualitativo dei dati nei

rapporti di prova li sottoponiamo a delle verifiche incrociate mediante dei campioni civetta».Nel corso degli anni avete ritoccato i vostri listini?«Le quote del piano dei controlli negli anni sono state rimodulate al ribasso sulla base dei reali quantitativi pro-dotti dalla Denominazione. Inoltre nel 2012 abbiamo ereditato dalle Camere di Commercio l’attività di certificazione (prelievo, analisi e degustazione) dove abbiamo potuto offrire alle aziende servizi più competitivi e costi di certi-ficazione più bassi rispetto al passato, grazie alle sinergie delle nostre diverse sedi operative. Il mandato non è quello di fare business, ma di dare un servizio al costo vero».Qualche numero sui campioni analiz-zati e quelli bocciati. Nel corso del 2014 Valoritalia ha pre-levato un totale di 46.734 campioni, per un quantitativo di prodotto pari a 7.973.394 ettolitri di vino, con una media dei volumi per partita di circa 171 ettolitri a campione. Dall’attività di certificazione è emerso che 1.425 campioni sono stati giudicati non ido-nei per le analisi chimico-fisiche ed organolettiche (pari a 164.145 ettoli-tri, circa il 3% sul totale dei campioni prelevati). È da evidenziare che il giu-

dizio di non idoneità è rilasciato sulla base del non raggiungimento dei requisiti minimi imposti dai singoli disciplinari di produzione. Ritengo di non dover trascurare tale dato: si tratta di prodotto che le aziende ritengono comunque idoneo per la commercializzazione e pronto per essere immes-so sul mercato.Mentre per quanto ri-guarda l’attività ispettiva effettuata a sorteggio possiamo affermare che nel 2014 su un numero di 2.074 campioni di pro-dotto atto e certificato imbottigliato prelevati in cantina, ben 139 campio-ni sono stati giudicati non idonei alle analisi chimico fisica e organolettica e/o

con problemi all’etichettatura.

il biologico È la nostra sfida del momento.abbiamo 450 aziende, ma questo sarà un anno fondamentale

Vini in attesa di certificazione

Bollicine di montagna

A rappresentare il territorio un consorzio con41 cantine e una produzione di 60 milioni di bottiglie

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colore è giallo paglierino con riflessi verdolini, il perlage fitto e persistente. Bel naso, spiccano le mote floreali e la frutta a pol-pa bianca. In bocca è sapido, soffice, lungo. Eccellente la beva.

Letrari – Brut Riserva 2008In Vallagarina, presso Borghetto all’Adige e Nogaredo, le bot-tiglie di Leonello Letrari sono una realtà da oltre mezzo secolo. Uno specialista. Numerosissime le tipologie prodotte. Questo millesimato classificato anche con il metodo “Talento” è ottenu-to dall'unione di Chardonnay e Pinot, con permanenza sui lieviti di almeno 36 mesi. Il colore è dorato leggermente carico, fine il perlage. Al naso è appena burroso con crosta di pane, buccia di arancia, vaniglia, crostata alle mele e nocciole. In bocca è rotondo, fresco, vivace.

Maso Martis - Brut Riserva 2007Splendido questo Brut da Pinot Nero e Chardonnay al 30%. Maso Martis si trova a Martignano. Dodici gli ettari coltivati, tutti in biologico, 45.000 le bottiglie prodotte in Trentodoc. Il Pinot Nero viene vinificato in acciaio mentre lo Chardonnay fer-menta e affina in barriques per circa 8 mesi. Successivamente, dopo la presa di spuma, il vino resta sui lieviti per circa 60 mesi. Colore giallo paglierino, le bollicine sono sottili e persistenti. Il naso è intenso, elegante. Riconoscimenti di pera e mela matura, fiori gialli, nocciole tostate. Evolve continuamente nel bicchie-re evidenziando albicocca e pane in cassetta tostato. Vaniglia. In bocca evidenzia un equilibrio magnifico, giocato tra le note sapide e morbide. Nel finale, lungo e persistente, insistono gra-devoli note agrumate. Splendido.

Ferrari - Riserva Lunelli 2006Ormai un classico dell’enologia italiana, la cantina Ferrari – ol-tre una produzione che primeggia nel mondo delle bollicine – sforna anno dopo anno alcune incredibili riserve. Tra queste la Riserva Lunelli, un blanc de blancs trentino ottenuto, appunto, da uve Chardonnay coltivate nei vigneti di Villa Margon sopra Trento. Dopo la prima fermentazione e un affinamento di un anno in botte grande di rovere austriaco, il vino resta per ben 7 anni sui lieviti, ed infine sboccato a metà 2014. Il colore è giallo con riflessi oro, il perlage è fitto, vivo. Al naso frutta fresca e in confettura, tra queste pera, tenui rimandi esotici di mango,

ananas e mousse di agrumi. In bocca è sapido, fresco, equilibra-to, di struttura armonica. Piacevole e molto lungo.

Abate Nero – Brut Domini 2008Nato per gioco da un piccolo gruppo di amici amanti delle bol-licine, il nome rievoca la celebre figura dell’abate di Hautvillers ritenuto, a buona ragione, l’ideatore dello Champagne. Domini, veste bianca e anima nera, è un millesimato blanc de blancs ot-tenuto da uve Chardonnay coltivate e acquistate dalle migliori parcelle di diversi comuni. La lavorazione avviene in acciaio e, dopo la presa di spuma, il vino resta sui lieviti per circa 40 mesi. Il 2008 è stato sboccato nel 2014. Il naso è fragrante con fini sentori di albicocca, nespola e mandarino. In bocca è sapido, elegante, perfetta la risposta delle bollicine al palato. Tra i mi-gliori di questa degustazione.

Bellaveder - Brut Riserva 2010L'azienda si trova a Maso Belvedere, nel Comune di Faedo. Il vi-gneto si estende per poco più di sette ettari in un corpo unico attorno alla cantina. Il Brut riserva è ottenuto da Chardonnay fermentato in parte in acciaio, in parte in legno, e affina per 40 mesi sui lieviti. Dopo la sboccatura resta in affinamento per ulteriori 4 mesi. Il colore è giallo paglierino con riflessi oro.Al naso sentori di lievito e frutta a polpa bianca. In bocca è fre-sco, appena acerbo, eppure cremoso.

Altemasi – Brut Riserva Graal 2006Linea top di Cavit, Altemasi utilizza per la Riserva Graal le mi-gliori uve provenienti da elevate aree collinari presso le colline di Trento, Altopiano di Brentonico e Valle dei Laghi, situate tra i 450 e i 600 metri di altitudine. 70% Chardonnay e 30% Pinot Nero. Dopo la presa di spuma il vino rimane sui lieviti per oltre 60 mesi. Sboccato nel 2014 ha un perlage fine e compatto. Il colore è oro. Al naso sentori di mela, miele millefiori e burro di arachidi. In bocca è pieno e austero.

Opera - Brut 2009Nata nel 2006 presso Verla di Giovo, la cantina Opera è frutto di un progetto di recupero della cantina Napoleone Rossi, la più antica in Val di Cembra, fondata nell’800 e chiusa in anni recen-ti. Questo millesimato è ottenuto da uve Chardonnay provenien-ti dalla valle di Cembra. Il colore è giallo paglierino luminoso con riflessi verdi. Naso intenso, floreale, con riconoscimenti di mela, biancospino, zagara e felce. Note di pane tostato e man-dorla. In bocca è netto, sapido, di buon equilibrio. Finale mor-bido.

Dorigati – Methius, Brut Riserva 2009Frutto della collaborazione e dell’amicizia tra Carlo Dorigati ed Enrico Paternoster. Il nome "Methius" proviene da un toponi-mo che ne individua la zona di nascita: Mezzocorona. Infatti, le due borgate site nella "Piana Rotaliana" nel dodicesimo secolo erano: Methius Coronae e Methius Sancti Petri (Mezzolombar-do). Il vino si compone di 60 % Chardonnay e la restante parte a Pinot Nero. La vinificazione è in bianco con fermentazione in barrique dello Chardonnay. Il vino resta sui lieviti per 60 mesi, è stato sboccato ad agosto del 2014. Il colore è giallo paglieri-no con riflessi dorati. Naso floreale in evoluzione, leggermente speziato. In bocca è morbido, pieno, equilibrato.

Raccolta di uve destinate al Trentodoc

Chardonnay, per la restante parte da Pinot Nero. La sboccatura è ottobre 2014. Il colore è giallo carico con riflessi dorati, il per-lage persistente. Al naso è fragrante, personale, mela golden, frutta disidratata, alga. Di media struttura, in bocca è sapido evidenziando una fresca acidità.

Revì - Brut millesimato 2010Il nome Revì proviene da regale, "Re vin", un toponimo della zona di produzione conosciuto per la coltivazione della vite e produzione di un vino di qualità. Paolo Malfer produce presso Aldeno questo Brut da uve Chardonnay e Pinot Nero, affinato per tre anni sui lieviti. Il colore è giallo paglierino con un bel perlage. Al naso profumi primari e floreali, agrumate, con un accenno di pane tostato. In bocca è morbido, minerale, chiude rapidamente.

Wallenburg - Cuvée del Conte Fondatore 2008Un antefatto: alla fine degli anni ‘80 la famiglia veneta Montre-sor esce dai suoi confini per impegnarsi nel recupero conser-vativo di un maso del tardo ‘700, il Jobstreibitzer, da cui si è ricavata una bella locanda con cantina. Conti Wallenburg pren-

de dunque nome dal cofon-datore Enrico di Sarentino Wallenburg. Il colore è gial-lo paglierino con perlage sottile e persistente. Naso delicato, piccoli frutti rossi appena acerbi e crosta di pane con i suoi lieviti. In bocca è morbido e di buona consistenza.

San Michael – BrutUna piccola produzione di bottiglie, poche migliaia, per Corrado Linardi. Varie le particelle ubicate nella Val di Cembra, 80% a Char-donnay, la restante parte a Pinot Nero. La vinificazio-ne avviene in acciaio, cui segue una permanenza sui lieviti di almeno 40 mesi. Il risultato è davvero no-tevole, il colore è giallo paglierino con un perlage fitto e persistente. Il naso è caratterizzato da profumi floreali e di frutta bianca. In bocca è fresco, sapido, di eccellente equilibrio e bevibilità.

Rotari – Rotari Flavio, Ri-serva 2006Rotari Flavio nasce in me-moria del re longobardo Rotari, che assunse storica-mente il titolo onorifico di

“Flavio” per richiamare il prestigio imperiale romano e bizanti-no. È un Brut millesimato a base Chardonnay 100% che resta sui lieviti per oltre 60 mesi. Il colore è giallo oro carico, il perlage fine e continuo. Naso molto intenso, elegante, chiare le note di fiori gialli appassiti, agrumi, croissant, vaniglia e confettura di pesca. Rimandi di nocciole e miele di castagno. In bocca è intenso, pieno, corposo, ma ben bilanciato. La notevole com-plessità non gioca in favore della beva, tuttavia si resta davvero colpiti.

Mach - Brut riserva del fondatore 2010Questa splendida riserva dedicata dalla Fondazione (prima del 2008, Istituto agrario di San Michele all’Adige) al suo primo di-rettore Edmund Mach, nel 1874 un giovane e brillante assisten-te della stazione di ricerca dell'Istituto enologico e pomologico di Klosterneuburg di Vienna. È prodotto da uve Chardonnay e Pinot Nero di varie selezioni clonali coltivate in un appezza-mento presso Maso Togn a 700 metri di altitudine sulla parte apicale del conoide di Faedo. La fermentazione avviene in parte in acciaio e in parte in barriques. Dopo la presa di spuma, resta sui lieviti per circa 3 anni. Il risultato è davvero piacevole. Il

Vista sui vigneti nelle campagne trentine

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somma, ciò che è apparentemente osti-le può diventare un ottimo “terroir” per vini di qualità. Le terrazze sostenute da muretti a secco per estensione non han-no uguali in Italia. La meccanizzazione è quasi impossibile e per ogni ettaro di vigna ci vogliono dalle 1.200/1.300 ore di lavoro l’anno. Parliamo di 700/800 ettari in tutto, dove è difficile trovare un ettaro a corpo unico. Per mettere as-sieme qualche centinaio di metri qua-drati possono servire anche venti atti notarili di compravendita. Le rocce af-fiorano ovunque, modellate dall’azione abrasiva dei ghiacciai, ritiratisi 10 mila anni fa. Talvolta sono così invadenti che basta un affondo di mano per togliere la poca terra che le ricopre.Poco spazio per non tantissimo vino, ma che ricade per l’80 per cento sotto le denominazioni di origine. Sono poco più di 3 milioni e mezzo le bottiglie pro-dotte. Pochissime se si considera che a inizio ‘900 la Valtellina contava ol-tre 5000 ettari di vigneto, spariti man mano nel corso dei decenni e “man-giati” letteralmente dal bosco. Le due guerre, l’abbandono dell’agricoltura, la fine della vendita dello sfuso in Svizze-ra – per secoli il mercato di riferimento di questa zona – avevano messo in gi-nocchio la produzione. La ripartenza si è data delle regole: più orgoglio e più qualità.Venendo ai vini, la punta di diamante è lo Sforzato di Valtellina Docg, fatto con Chiavennasca e altri vitigni autoc-toni come Pignola, Tossola e Prugnola. “Sfursat” sta per rinforzato e deriva dalla pratica dell’appassimento dell’u-va Nebbiolo, lasciata nei “fruttai” per 3-4 mesi, e successivamente vinificata. L’altra denominazione al vertice è il Val-tellina Superiore Docg, con le sue sot-tozone di Sassella, Valgella, Grumello, Inferno e Maroggia. Da un uvaggio che prevede una quantità di Nebbiolo pari almeno all’ottanta per cento, si ottiene il rosso di Valtellina Doc.La Valtellina del vino è un divenire in verticale, tramandato di generazione in generazione. Un luogo di opportunità e maledizione, dove il Nebbiolo cresce tra le rocce. Se è vero che i vini assomi-

gliano al luogo dove nascono, quelli di Valtellina sono stati per troppo tempo severi, come se raccontassero la fatica necessaria a realizzarli. Mancava una punta di gioia e di dolcezza. Che è arri-vata con le nuove generazioni.Nino Negri. Il passato che punta anco-ra alle novitàLa prima etichetta di cui ha sentito parlare Casimiro Maule, il direttore ge-nerale in azienda dal 1971, è del 1929. L’ultima è uscita nel 2014 e si chiama Sciur. Nei suoi 40 anni e più di servizio ha lavorato con il patron Carlo Negri, si è confrontato con il periodo non felice della proprietà elvetica Winefood, fino al passaggio meno burrascoso alla Giv, la maggiore impresa vitivinicola ita-liana. Ma soprattutto, questo signore trentino alto e garbato, ha visto cam-biare la Valtellina. Fresco di studi a San Michele all’Adige, manco sapeva dove fosse questo pezzo d’Italia. L’impatto fu abbastanza feroce: isolamento e fred-do. Che poi, secondo Maule, sono an-cora le ragioni per cui l’azienda fatica a trovare un suo sostituto, visto che lui è ormai prossimo alla pensione. “Forse spaventa questa valle stretta, ma quan-do impari ad amarla – spiega il direttore – scopri tutti gli orizzonti che ha”. Da montagna a montagna, Maule conosce la riservatezza e la ritrosia delle genti che vi abitano: in parte ciò allontana, ma preserva anche. La nascita del con-sorzio si deve soprattutto alla Nino Ne-

gri che si è spesa per le denominazioni. Oggi, la media dell’età dei consiglieri è tra le più basse d’Italia, intorno ai 35 anni, a testimonianza che il ricambio generazionale c’è, nonostante la fatica del fare vino da queste parti. “Il passo successivo – continua Maule – dovrebbe essere quello di pagare di più l’uva. Un chilo adesso viene venduto a 2,10 euro. È troppo poco: bisognerebbe arrivare tra i 2,50 e i 3 euro”. In questo compu-to rientrerebbero anche le spese per i muretti a secco, un patrimonio di oltre 2.000 chilometri che rischia di sgre-tolarsi a ogni nubifragio. “Per questo motivo – sottolinea Maule - come Nino

Il reportage

La Lombardia, una delle regioni più estese d’Italia, ha una viticoltura abbastanza ridotta. I vini rientra-

no quasi tutti nelle denominazioni di origine e provengono da territori con peculiarità spiccate e molto diverse tra loro. La parte settentrionale coincide con la Valtellina, ovvero rilievi di alta e bassa montagna, scoscesi, con un cinquanta per cento di media di pen-denza e con vette che si avvicinano ai

3.000 metri. La macroarea valtellinese è un striscia di vigneti strettissima, lun-ga 120 chilometri, che va da est verso ovest, seguendo il corso del fiume Adda e protetta a nord dalle Alpi Retiche, a sud dalle Alpi Orobie. E fin qui, un po’ di geografia, che non fa mai male ripassare. In verità, la con-formazione geografica serve a spie-gare tante cose. A partire dalla fatica. L’uomo ha letteralmente “strappato” alla montagna le pendici e ne ha fatto terrazzamenti per piantarci la Chiaven-nasca, come si chiama da queste parti il Nebbiolo. Così il suolo che, in parte

nato dalla degradazione della roccia madre, in parte per riporto dell’agricol-tore nel corso dei secoli, non ha terreni profondi; al contrario, difficilmente su-pera i trenta centimetri di terra. Sotto c’è scheletro e sabbia, che mal tratten-gono l’acqua. Duro, impervio, povero, questo suolo, ma favorito dall’esposi-zione prevalentemente a sud e dai tem-porali estivi. Il concetto di microclima qui diventa didattico: Alpi a Nord e Sud, lo Stelvio a est, il lago di Como a ovest. La valle intera è protetta dai venti fred-di settentrionali e al contempo risente dell’influenza mitigatrice del lago. In-

L’altro Nebbiolo Tra le vigne della Valtellinala fatica diventa bellezza

Francesca Ciancio

Vigneti Ar.Pe.Pe.

Emanuele, Isabellae Paolo Pelizzati Perego

Casimiro Maule

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ficili da fare e quindi più buoni. La fatica può essere bellezza”.Anche per questo motivo è convinto che sul riconoscimento Unesco dei terraz-zamenti vitati si tornerà alla carica: “Ci siamo impantanati per motivi interni. Toccava fare un’esame di coscienza che è mancato. Ora invece è ripartito e pun-tiamo al titolo”. Giura che non farebbe vino da nessun’altra parte: “Può suona-re presuntuoso, ma fare vino qui è come farlo in Borgogna; nessun fazzoletto di terra è identico all’altro; lavoriamo su un solo vitigno come il Pinot Nero, la fa-scia di impianto di eccellenza va dai 400 ai 600 metri di altezza. Ci manca una zonazione completa, ma l’approccio è quello dei Grand Cru”.Fondazione FojaniniA prendersi cura della Valtellina agrico-la c’è anche la Fondazione Fojanini. Il presidente è Claudio Introini, per tanti anni responsabile enologico della co-operativa Enologica Valtellina che ora non c’è più. Presso l’istituto si fanno ricerca, assistenza, didattica, analisi. E tutto ciò lo si fa sui vigneti, come sui frutteti, sulle api, sulla foraggicoltu-ra. “L’agricoltura valtellinese – spiega Introini – è fatta più di passioni che di risultati, perché i territori montani sono abitati da gente caparbia e or-gogliosa, ma dedita alla produzione e

al consumo familiari. Per quanto si sia ridimensionata comunque, la superficie agricola nelle nostre zone rimane pre-ponderante, il che ha fatto da argine a uno sviluppo incontrollato dei settori manifatturieri e industriali. La rarità, poi, di una valle alpina sviluppata da est verso ovest, baciata dal sole tutto il giorno, ha contribuito alla crescita delle colture. Qui, infatti, si sperimen-ta anche l’olivo”. Le colture sono fun-zionali anche al consolidamento dei terrazzamenti, come quelle dei frutti di bosco o delle erbe officinali. La produ-zione di mele Igp sono ormai una voce importante dell’economia con 300 mila quintali l’anno e tra i vigneti continua-

no ad esserci gli orti per le patate e le verze. Sta tornando in auge il grano saraceno: dove finisce la viticoltura inizia, sopra i 700 metri, la produzione cerealicola. Piccole quantità al momen-to che finiscono nei ristoranti tradizio-nali che preparano i pizzoccheri in casa. Per i viticoltori, la Fondazione significa soprattutto monitoraggio e consigli: “Cerchiamo di sensibilizzare – racconta l’enologo – il più alto numero di viticol-tori, non solo coloro che commercializ-zano, ma anche quelli che fanno il vino per sé, perché la salute di un piccolo fazzoletto di terra riguarda tutti. Lo strumento che usiamo è un bollettino di informazioni costantemente aggior-nato. Di base però, mi sento di dire che la Valtellina è un territorio preservato: ogni intervento è manuale, quindi natu-ralmente rispettoso”. Interessanti sono le riflessioni scientifiche sulla Chiaven-nasca: la professoressa Anna Schneider, della facoltà di Viticoltura ed Enologia di Torino, con il contributo della Fon-dazione, ha portato avanti studi sulla progenie del Nebbiolo. L'analisi di sette vitigni originari di Nebbiolo, avrebbero evidenziato che quattro di questi sareb-bero riconducibili alla Chiavennasca. Parlare di certezza genetica è impossi-bile al momento, ma l’ipotesi non è così infondata.

Prevostini:qui è come

fare viniin Borgogna.L'approccio

è quellodei Grand Cru

Le teleferiche del vigneto Ar.Pe.Pe.

Negri abbiamo coinvolto la scuola di muratori di Sondrio: sono tutti ragazzi sotto i vent’anni che stanno imparando un mestiere antico.” La tradizione per l’azienda di Chiuro ha il nome del vino di punta, lo Sfursat 5 Stelle: “Forse non è più di moda come sostengono alcuni – argomenta il direttore – ma per me è uno dei pochi vini italiani che può gio-carsi la partita a livello internazionale. Siamo arrivati in Cina con lo Sfursat e continua ad andare benissimo negli Stati Uniti e in Canada”.Ar.Pe.Pe. The new generation con 150 anni di storia alle spalleI Pelizzati Perego sono la storia del vino in Valtellina, un’azienda nata prima dell’Unità d’Italia e che ha proseguito il suo cammino, nel 1984, con un nuovo nome, Ar.Pe.Pe, l’acronimo di Arturo Pelizzati Perego, il padre degli attuali proprietari, Isabella, Emanuele e Pao-lo. Quest’ultimo vive e lavora a Milano e da’ una mano nella comunicazione. Mente e braccio dell’azienda sono inve-ce Isabella e Emanuele, vitivinicoltori, commerciali, comunicatori a tempo pieno dei loro 13 ettari di Nebbiolo di montagna. Il frontman è lei, Isa, che, prima di dedicarsi totalmente ad Arpe-pe, ha lavorato per la multinazionale degli spirits Diageo, nello sviluppo dei nuovi prodotti. Conosce bene, dunque,

il senso della parola innovazione e, for-se, è anche grazie a quest’esperienza che il loro Valtellina è uscito da quello spazio un po’ severo in cui veniva re-legato questo vino. Tradizione non fa pendant con austerità. Anzi, una certa luminosità che in tanti riconoscono ai loro vini, è figlia di un protocollo di pro-duzione voluto dal padre e ancor prima dal nonno: lunghissimi affinamenti e uso esclusivo di botti grandi. E la scel-ta di non produrre Sforzato: “Abbiamo preferito – spiega Isabella – orientarci verso una vendemmia tardiva, ovvero essiccamento in pianta e non sui gratic-ci, perché offre una lettura più veritiera del territorio”. L’attesa però per Arpe-

pe rimane un fattore fondamentale: “In certe vecchie foto del matrimonio dei miei – era il 1969 – ho visto che gli invitati – ricorda l’imprenditrice - beve-vano riserve del 1961. Mi piace pensare che noi stiamo solo portando avanti una strada già tracciata e che probabil-mente è quella giusta per i vini di Val-tellina”.Mamete PrevostiniMamete è contento dell’aria che tira in Valtellina. La sua azienda ha appena 20 anni, sebbene la sua famiglia pos-sedesse vigneti e un ristorante noto, il Crotasc, uno dei più vecchi crotti della Valchiavenna. Finita l’enologica a Cone-gliano, il ragazzo che ha lo stesso nome del nonno, decide che è arrivato il mo-mento di fare sul serio, sia in vigna che in cantina. Così da produttore, ma an-che da presidente del Consorzio ha vi-sto cambiare le cose. “I vini di Valtellina hanno un appeal che funziona – spiega il produttore – e piacciono perché rac-contano un territorio unico al mondo che dà alla nostra uva, eleganza, bevi-bilità, freschezza. Aggiungi le Alpi, le escursioni in montagna, la salubrità del posto. Ti bevi anche queste cose. Sul di-scorso della fatica abbiamo invertito la marcia: ok c’è e va raccontata, ma deve essere un valore aggiunto, non un fat-tore penalizzante. I nostri vini sono dif-

Maule:l'uva

ce la paganopoco ed abbiamo2.000 chilometri

di murettida gestire

Vigneti Fracia Negri

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Noà, assemblaggio di nero d’Avola 40%, merlot 30%, cabernet sauvignon 30%, e il Sagana, nero d’Avola in purezza. Un anno partito alla grande, con tanto ottimismo? “Senza ombra di dubbio – dice Diego – dopo due anni veramente brutti, sembra che qualcosa di positivo si stia vedendo. Diverso questo inizio dell’anno rispetto allo scorso. Credo che l’effetto traino sia il petrolio basso, la liquidità della Bce, la leva del mercato interno. Perché se le aziende incominciano di nuovo a lavorare all’estero, aumentano i profit-ti e state sicuri che questi soldi verranno reinvestiti”.L'Expo è alle porte, Cusumano che ne pensa? “Fondamentale farsi trovare pronti. Partiamo con l’entusiasmo che portiamo al Vinitaly, dove presen-tiamo un’annata 2014 favolosa ed una chicca, un Cru prodotto sull’Etna che sarà in commercio solo dal 2016. Ed altre sorprese che non posso svelare”.

G. V.

Diego Cusumano

Orcia non è solo vino, Doc peraltro. È un mondo a parte. Pieno di sorprese da sco-prire. Nel cuore della Toscana tra le colli-ne, scolpite da millenni di storia, ci sono 18 città d’arte da scoprire. Dal 2004, il Parco della Val d’Orcia è Patrimonio dell’U-manità Unesco e vanta anche un record: è il paesaggio agricolo più fotografato del mondo.C’è il vino Doc, ma qui si trovano anche al-tre eccellenze: l’olio extravergine, tartufi bianchi, salumi, zafferano, allevamenti bradi di maiali medioevali “Cinta senese”, di buoi chianini il “gigante bianco” amato anche dagli antichi romani, pecore per la produzione di cacio pecorino.La denominazione Orcia è nata il 14 feb-braio 2000 e comprende le varietà Orcia ottenuto da uve rosse con almeno il 60% di Sangiovese e Orcia “Sangiovese” con al-meno il 90% di questo vitigno, entrambe anche nella tipologia “Riserva”. La deno-minazione Orcia comprende le tipologie Bianco, Rosato e Vin Santo. Dal 2013 pre-sidente della denominazione è Donatella Cinelli Colombini. I vini di Orcia Doc ma-nifestano l’impegno e la passione dei pro-duttori che nella stragrande maggioranza fanno tutto direttamente: dalla vigna alla vendita delle bottiglie. In un’epoca di globalizzazione, il vino Orcia è ancora un prodotto familiare, fatto da chi vive in mezzo alle vigne, nel rispetto della natu-ra e con ottime competenze di enologia e viticultura. I numeri sono importanti: 153 ettari rivendicati su una superficie vitata potenziale di 400; 270.000 bottiglie pro-dotte nel 2013; 43 cantine associate al consorzio sulle 70 totali.Le tipologie principali sono vini rossi di notevole struttura, armonia, complessità e capacità di invecchiamento. Grandi vini che hanno l’eleganza di una terra antica e bellissima.Il Consorzio ha ottenuto il riconoscimento Erga Omnes nel 2014 ed ha sede a Rocca d’Orcia.Il vino Orcia è prodotto nelle colline del Sud della Toscana, in 13 comuni: Buon-convento, Castiglion d’Orcia, Pienza, Ra-dicofani, San Giovanni d’Asso, San Quirico d’Orcia, Trequanda e parte di Abbadia San Salvatore, Chianciano Terme, Montalcino, San Casciano dei Bagni, Sarteano e Torrita di Siena.

G. V.

Orcia, quella Doc tutta da scoprire

Il personaggioDiego Cusumano:“La Sicilia ha il fascinodi una donna senza truccoˮ

Diego Cusumano ha la geniale follia di molti “addetti ai lavori” del mondo del vino. In perenne

viaggio. Quasi vivesse sospeso tra ae-rei ed aeroporti, è sempre “a caccia” di cose nuove, di proiezioni, di mercati nuovi da esplorare. Vive più della metà dell’anno fuori dalla sua azienda, che si trova a Partinico, un comune a 40 chilo-metri circa da Palermo. Ma vi fa ritorno spesso, per seguire da vicino le vicende aziendali.Il modello da seguire per Diego sono i francesi, “perché nella parte ‘alta’ del mercato la fanno da padroni. Loro han-no creato una perfetta sinergia tra va-lore del vino e comunicazione”.Giappone, Germania, Svizzera, Inghil-terra, Stati Uniti e Canada sono ormai i mercati che trainano l’export italia-no: “Io non vedo un mercato emergen-te da dieci anni. La Cina ? Un mercato particolare e nuovo, ma non lo ritengo promettente, sebbene valga la pena co-munque essere presenti”.La storia di Diego e del fratello Alberto Cusumano non è cosa recente.L’azienda, in mano al padre, circa 40 anni fa  produceva mosti concentrati destinati al mercato del Nord Italia. Il vino, quello targato Cusumano, è arri-vato solo ngli anni ’80, quando Cusu-mano si rese conto che bisognava guar-dare avanti con lungimiranza, e che la politica delle eccedenze non poteva più avere grande futuro. Iniziò allora a fare selezione, piantando i migliori cloni dei tradizionali vitigni siciliani, come l’inzolia e il nero d’Avola, e mettendo a dimora anche alcuni vitigni interna-zionali, come le syrah, il cabernet sau-

vignon, lo chardonnay. I due fratelli, però, capirono che si poteva e doveva fare qualcosa: puntare ai vini di quali-tà. In modo deciso, moderno, veloce ed efficace. Il risultato non era per nulla scontato. Ma i numeri rivelano che mol-ti obiettivi sono stati centrati. Oggi Die-go e Alberto hanno dalla propria parte un vasto patrimonio di terreni di oltre 400 ettari, distribuito tra sette tenute strategicamente collocate in gran par-

conosciuta a livello planetario dagli Stati Uniti alla Russia. “Siamo presen-ti in 62 paesi nel mondo. La guerra di mercato è spietata e per certi versi, il nostro spazio ci sta stretto – dice Diego - la vera lotta, però, si fa tra Stati Uniti e Canada. Anche la Russia è un merca-to importante, ma sta attraversando una fase delicata. Credo che rimarrà in stand-by anche nel 2016”.La Doc Sicilia, potrebbe fare da traino al “brand” Sicilia nel mondo? “Troppo pre-sto per dirlo – dice Diego -, ma non vo-glio essere né positivo, né negativo. La cosa fondamentale è che non si scriva-no solo tre lettere in etichetta (intende Doc, ndr), ma che si faccia davvero qua-lità da esportare. La Doc , comunque, è un processo lento”.Eppure l'Isola sembra che eserciti già un forte appeal. “Siamo fortunati per-ché la Sicilia è più amata di quanto possiamo immaginare – dice Diego -. Ha molto fascino, un po’ come una bel-lissima donna senza trucco, raccontarla è facile e me ne accorgo quando i miei interlocutori rimangono incantati e stupiti. Possiamo davvero rappresen-tare un altissimo livello di qualità nel mondo”. Ma? “Ma il problema della Sici-lia sono i siciliani che non amano tanto questa terra e che non hanno nemmeno l’interesse di valorizzarla”.Uno dei suoi vini più rappresentati-vi, l’Angimbé, blend di inzolia 70% e chardonnay 30% fresco e strutturato al tempo stesso, è stato collocato da Wine Spectator nel 2004 tra i migliori 100 vini del mondo, e nel 2008 tra le mi-gliori etichette italiane come rapporto qualità-prezzo. I Cru aziendali sono il

"la nostra isola È amata all'estero più di quanto possiamo immaginare". e sulla doc: "si faccia davvero qualità"

I francesinella parte "alta"

del mercatola fanno

da padroni.Stati Unitie Canada

sono i mercatipiù competitivi

La Cina?Basta esserci

te delle aree più vocate alla viticoltura come Alcamo, Monreale, Partinico, Fi-cuzza e Butera dalle quali si origina una produzione di circa 2 milioni 500mila bottiglie annue.La loro giovane azienda nel giro di po-chi anni é diventata un vero e proprio fenomeno di mercato, ed é oggi molto

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vino di Roma nel mondo. Caldani è una famiglia che il legame con la terra ce l’ha nel Dna. Flaminia per esempio, da giovane giornalista metropolitana, ad un certo punto della sua vita si trasfe-risce in azienda. Nel 2013 comincia a seguirne ogni aspetto legato alla comu-nicazione e al marketing e tra una cosa e l’altra, non si stupisce di scoprire una vocazione che in lei c’è sempre stata: la passione per la vita campestre. «Mi sen-to molto legata alla terra. Salto sui trat-tori e ho sempre più dimestichezza con strumenti di lavoro che normalmente si ritengono maschili. Stare in campagna mi dà energia. Non credo di poter tor-nare alla vita cittadina».In effetti, passeggiando lungo quella vallata dal profilo dolce, lambita dal torrente, teatro di infinite battaglie fra Etruschi e Romani per il controllo del vicino Tevere e percorrendo i sei etta-ri del suo vigneto, ci si chiede come si possa pensare di allontanarsi da tutto questo per tornare in città. Sembra di essere in un’altra dimensione. Le vigne di Gelso della Valchetta interpretano l’antica visione agreste e bucolica di Roma.

Dalle vigne ai vini, il Gelso e il LiliumDalle vigne però si passa ai vini. E in un territorio così c’è molto da aspettarsi. Il fiume Valchetta, oltre a caratteriz-zare l’area con un microclima unico,

protegge naturalmente tutta la valla-ta; nel confluire verso il Tevere, scava una sorta di canyon in cui si incanala il vento, che porta via con la sua brezza muffe ed insetti, contribuendo a creare una temperatura mite, ideale alla colti-vazione delle uva. E da una base com-posta da terreno tufaceo e clima mite, unita all’assenza di interventismo in vigna e in cantina, sono nati i primi due vini storici, il Lilium, 100% Chardon-nay dedicato a nonna Liliana, grande appassionata di bianchi, e il Gelso, un blend di Merlot, Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc. La produzione non è cospicua. L’interes-se della famiglia non è mai stato quello di raggiungere grandi numeri. «La vo-glia di far vino per mio padre è inizia-ta davvero per caso. Il vino era per gli amici. Poi ha cominciato a commercia-lizzarlo a Roma e solo negli ultimi anni abbiamo iniziato la vendita all’estero, con risultati sempre più crescenti. Man-teniamo un numero di bottiglie ridotto. In totale sono circa 45.000, ma i nostri vini seguono l’andamento della natura e del clima, per cui le loro quantità sono variabili».

Le novità al VinitalyAl Vinitaly sono presentati due nuovi

tamente naturale e senza aggiunta di solfiti, ma anche in questo caso ci sa-ranno solo 400 bottiglie e 50 magnum. In cantiere invece c’è una piccola pro-duzione di Metodo Classico previsto per il 2020. «La linea di prodotto sta crescendo e a partire dal 2016 iniziere-mo una collaborazione con l’Università della Tuscia per sviluppare anche vitigni autoctoni. Una scelta questa – afferma Flaminia - dettata dalla nostra volontà. Siamo nati negli anni ’90, in cui anda-vano di moda i vitigni internazionali. Ad essi del resto dobbiamo il nostro successo. Oggi però desideriamo scom-mettere pure sui vitigni di Roma, forse più difficili per molti aspetti, ma cre-diamo che la territorialità deve essere espressa fino in fondo. Saremo seguiti dall’enologo Maurilio Chioccia, giunto in azienda nel 2014, che prosegue il la-voro svolto da Graziana Grassini».

Lo sguardo al futuro, tra Romae il mondoRiguardo al futuro cos’altro dire se non che l’azienda dal 2013 è sempre più ri-volta alla crescita. In soli 2 anni sono stati raggiunti risultati interessanti sia a livello mondiale che nazionale; a Roma il vino Gelso della Valchetta si tro-va nei migliori locali e ristoranti. «Sen-za che sia mancata una certa diffidenza iniziale, la ristorazione romana oggi, dopo aver visto e toccato con mano la realtà dei nostri vigneti, considera i vini del Gelso i Gran Cru di Roma», afferma Daniele Lizza. E questo è già il massimo stimolo per poter ambire a divenire am-basciatori del vino romano nel mondo, come i due desiderano. Oggi i vini che nascono in quel Parco archeologico, un tempo terra etrusca, si trovano ovun-que, e in particolare nei paesi emergen-ti del sud est asiatico, ma anche negli Usa, in Belgio, Australia, Svizzera, Bra-sile. La produzione rimane di nicchia. E se ad oggi il 40 % del mercato è italiano e il restante estero, l’obiettivo azienda-le è quello di invertire le due percentua-li. Riguardo ai riconoscimenti da parte della stampa e delle guide di settore, Flaminia e Daniele affermano: «Sono di certo importanti, ma il massimo del-la soddisfazione viene dal sorriso e dal piacere che un consumatore ti confessa di provare bevendo il tuo vino. E a par-tire da questo vogliamo continuare a crescere, per passione». F. L.

la produzionerimane di nicchia"facciamo45.000 bottigliema tutto dipendedall'andamentodel clima"vini, un Cesanese in purezza, frutto di un progetto nato tre anni fa sulle colli-ne del Piglio, dedicato a Marco Caldani, che passava in questi luoghi le estati da bambino, e una bollicina: il primo brut della città di Roma. Quest’ultima novità nasce dall’amore della famiglia Caldani per gli spumanti. Sarà una produzione destinata a piccole quantità. Dal 2013 inoltre è stato prodotto anche un Ca-bernet Sauvignon in purezza, comple-

Flaminia Caldani e Daniele Lizza

Che cosa si prova a vendemmiare in compagnia di cinque asinelli, lungo filari di viti che affiancano la

Tomba dei Leoni Ruggenti, la più antica d’Etruria, dipinta tra il 650 e il 700 a.C.? E quale responsabilità si avverte nel produrre vino alle porte di Roma Nord, nel cuore del Parco di Veio, l’antica città Etrusca, sorta su un altopiano di circa 200 ettari, delimitato a sud dal fosso Piordo e a nord dal torrente Valchetta, l’antico fiume Crèmera? Per scoprirlo, bisogna farselo raccon-tare da chi in quel territorio ha fatto sorgere un’azienda vitivinicola. Stia-mo parlando della famiglia Caldani, proprietaria di Gelso della Valchetta, azienda che prende il nome da un albero di gelso secolare all’interno della pro-prietà e dal fiume Valchetta (ex Crème-ra), confluente del fiume Tevere. A rac-contarci cosa significhi vivere e lavorare questa terra è Flaminia Caldani, figlia del fondatore Marco, insieme a Daniele Lizza, responsabile commerciale. Con i

due giovani, l’azienda, nata nel 1997, si sta innovando e cresce costantemente per raggiungere nuovi orizzonti e nuovi mercati. Tutto ebbe inizio nel 1997. «Gelso della Valchetta è un’azienda nata dalla pas-sione di mio padre – racconta Flaminia – venendo da una famiglia di vivaisti, la sensibilità e l’amore per la terra in lui non sono mai mancati. Ma non è di una

Roma caput viniIn arrivo il primo spumante

terra qualsiasi che parliamo, bensì di un territorio intriso di storia e vocato alla viticoltura; basta scorgere gli affreschi dei resti archeologici per comprenderne la portata. Il senso di responsabilità è forte e si unisce alla nostra passione. Ciò che ne deriva è il massimo rispetto per la natura che ci circonda. Qui, dal mattino alla sera, lasciamo alla natura il compito di svolgere il proprio proces-so naturale. Nelle nostre vigne, l’uomo interviene solo per supervisionare che il tutto avvenga correttamente. Men-tre gli animali sono liberi di vivere allo stato brado e ci tengono compagnia, aiutandoci talvolta, come accade con gli asini, durante la lavorazione della vigna e nel corso della vendemmia, che avviene in modo manuale».Da queste parole, il quadro comincia ad essere chiaro. La responsabilità della famiglia si avverte e così non ci stupia-mo se più avanti nel corso dell’intervi-sta, Flaminia e Daniele svelano l’ambi-zione di divenire ambasciatori del buon

l'aziendagelso dellavalchettapresenteràun bruti vignetinella zona nord

L'azienda

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siglio ai miei colleghi produttori di va-lorizzare sempre le risorse territoriali e puntare sulla qualità. La produzione è seguita con attenzione certosina, dalla vigna alla cantina, sempre con amore e rispetto per la terra, principi a cui sono molto legato”.Mani sapienti ed esperte, seguono tutte le varie fasi della lavorazione, dalla rac-colta delle uve selezionate, favorita dal clima tipicamente indicato per questa produzione, all'invecchiamento nelle botti di rovere.“Mio padre mi ripeteva sempre ‘Se dai alla terra, la terra ti da’. Così ho capito che prima ancora del vino, dalla vigna ti veniva un sorso di saggezza. Siamo sempre in debito con la terra. Sarebbe presuntuoso pensare che dobbiamo noi qualcosa alla terra”. Questa frase è ri-portata sulle etichette delle bottiglie dedicate al padre di Albano, sia nella versione rosso che bianco.Il Don Carmelo rosso è stato il primo vino prodotto. Ottenuto da uve 85% Negroamaro e 15% Primitivo. Quando le uve hanno raggiunto la giusta matu-razione, vengono selezionate, raccolte,

ammostate sofficemente e lasciate fer-mentare a temperatura controllata in modo da non comprometterne il giusto equilibrio tra sapore, colore e profu-mo.  Il Don Carmelo bianco è  ottenu-to da uve 100% Chardonnay prodotte e vinificate in azienda.“La mia azienda è una bella realtà che costa sacrifici – dice Albano -. Devo cantare anche per mantenere la campagna, ho voglia di realizzare ancora nuove cose. Occorre che Albano vada a cantare e Carrisi tra-sformi i frutti in vigna, in ulivi e in tut-to quello che mi circonda. È un atto di amore. Il mio punto di arrivo è ottenere nel mondo del vino gli stessi risultati che ho ottenuto con la musica leggera, cioè un milione e mezzo di bottiglie. I ri-sultati anche per le mie cantine stanno arrivando. È un momento difficile, ma la qualità, alla fine, emerge sempre”.Le etichette storiche sono il Don Car-melo e Platone. Quest'ultimo ha ot-tenuto diversi premi anche in giro per il mondo, tra i più recenti i 5 grappoli della guida Bibenda 2015 per l'annata del 2011 .Platone è un vino ottenuto da uve Ne-

groamaro e Primitivo, prodotte da pre-stigiosi vitigni di 75 anni.  La vendem-mia viene effettuata con circa 15 giorni di ritardo rispetto al normale periodo, dando così la possibilità all'uva di rag-giungere una maggiore maturazione. Il vino ottenuto dopo la fermentazione in silos di acciaio viene affinato per circa otto mesi in barrique. Si presenta con un colore rosso intenso con riflessi vio-lacei.“Nella mia vita - continua  Carrisi - rifa-rei lo stesso percorso, magari evitando qualche piccolo errore grazie all'espe-rienza acquisita negli anni. I miei figli amano la mia, la loro terra. Mi auguro che tutti, facciano loro questa mia pas-sione per il vino. Spesso sono al lavoro direttamente in azienda e se la cavano benissimo”.La tenuta sorge nella zona di Curtipe-trizzi e comprende anche un magnifico agriturismo con camere e suite in stile rustico, un centro benessere con an-nessa piscina immersi nella macchia mediterranea circondati da vigne e uli-vi. L'annesso ristorante-pizzeria Don Carmelo propone i tipici piatti pugliesi.

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È nel cuore del Salento, in un pic-colo comune della provincia brin-disina, Cellino San Marco, dove la

storia ha avuto inizio e continua. Una storia come tante. Uno dei tanti figli del Sud emigrato in cerca di fortuna e di una vita migliore nel Nord dell'Italia.La differenza la fanno una voce unica, calda, potente e quel legame saldo e invisibile che è l'amore per la propria terra, per le proprie origini che spinge a partire per ritornare.Il legame non viene reciso, il ritorno non è saltuario. Anzi si torna per met-tere radici, far crescere la propria prole e fondare un’azienda vitivinicola man-tenendo una promessa fatta tanti anni prima.Lui è Albano Carrisi. La storia dell'arti-sta è nota, quella del produttore vitivi-nicolo spesso sfugge ai più.“Un detto dice il primo amore non si scorda mai. Io il detto lo cambierei, ovvero il primo odio non si scorda mai - racconta Albano -. Io la terra la odiavo perché mio padre mi imponeva di fare il contadino e non mi piaceva. Dopo esse-re partito per Milano, grazie al canto ho

si producono 10 linee di vino, grappa spumante e olio d’oliva”.I vini, rossi, rosati e bianchi sono ri-cavati da vigneti tra i 40 e 75 anni che comprendono il  Primitivo, Negrama-ro,  Salice Salentino,  Chardonnay e Aleatico. Prima i vini pugliesi venivano utilizzati per "tagliare" quelli del Nord che vantavano antiche tradizioni ed erano più conosciuti dei nostri. Oggi la situazione è fortunatamente cambiata.“I nostri vini non hanno nulla da invi-diare a quelli di altre regioni italiane -  dice Albano -, sono tra i più richiesti in campo nazionale e  internazionale. La qualità dei miei vini, più che per la mia notorietà, è riconosciuta per quello che offrono: genuinità e gusto a prescinde-re dal fatto che li produca un cantante. Alcuni portano o ricordano il nome del-le mie canzoni come 'Felicità' o 'No-stalgia', altri si richiamano alla storia della nostro territorio, ispirandosi a personaggi come 'Taras' o ai monaci 'Basiliani'. Il 'Platone' per esempio è dedicato al filosofo che per primo si occupò di vino e disse:'Ogni anno che conta non è un anno che passa'. Con-

AlbanoCarrisi:I miei Platonee Don Carmelo,il sogno di papàe i miei progettiAnnalucia Galeone

scoperto l'amore per la terra. La amo perché mi rilassa. Ho iniziato a produr-re vino nel 1973, ricordo che nacque mio figlio Yari e anche la mia prima bot-tiglia dedicata a Don Carmelo, mio pa-dre. La mia decisione di produrre vino nasce nel rispetto delle tradizioni della mia famiglia, che lo fa da diverse gene-razioni.Quando decisi di trasferirmi a Milano per intraprendere l'attività artistica, promisi a mio padre che sarei tornato per produrre un vino che avrebbe por-tato il suo nome. 'Partirò. Diventerò un cantante e quando tornerò, costruirò una cantina per dedicarla a te gli dissi'. Cosi è stato. La mia azienda è costitui-ta da circa 120 ettari di terreno. Dalle vigne che costituiscono tenuta Carrisi

Il personaggio

"cantoancheper mantenerela campagna"

Albano Carrisi

nella loro interezza e non di un solo prodotto (questo è un salto importan-te). SOStain oggi ha ampliato il livello di collaborazione scientifica coinvol-gendo anche l’università di Palermo e rimanendo sempre aperta a contributi scientifici utili alla causa».Insomma, l’azienda siciliana con vi-gneti sparsi in tutta l'isola da Regale-ali all'Etna passando per Salina, ha gli occhi ben puntati sul futuro, perché «la sostenibilità è un percorso, un processo dinamico nel tempo che tiene conto del progresso e delle esigenze/priorità in-dividuate. Direi che il mondo del vino, quello agricolo o dove comunque il controllo della filiera è ben fatto, è so-stenibile di per sé più di tantissimi altri settori. È anche vero che si può miglio-rare tanto» . Negli ultimi sette anni il mondo del

vino ha visto proliferare decine di pro-getti legati alla sostenibilità, ma forse, l’Italia dovrebbe spingere per un pro-getto unico nazionale. Spesso il con-cetto di sostenibilità viene confuso con produzione biologica. «C’è un'enorme differenza – dice Tasca d'Almerita - la sostenibilità non si occupa soltanto di aspetti di conduzione agricola, ma di tutti gli aspetti di conduzione azienda-le e del loro impatto: sociale, economi-co, architettonico, energetico, ambien-tale. Non pone veti alle altre pratiche di conduzione agricola, ma ne vuole valu-tare bene l’impatto in modo scientifi-co e se il caso adottarle. Anche alcune esperienze della conduzione “biodina-mica” sono prese in considerazione, in-somma tutto ciò che possa contribuire ad una conduzione sana, solidale, che non comprometta le generazioni future

è benvenuta».E se la Sicilia è penalizzata sotto alcuni aspetti (come il confezionamento e la distribuzione), l’Isola riserva gradite sorprese per quanto riguarda la produ-zione sostenibile: «È vero – dice l'ad di Tasca d'Almerita -. I numeri lo confer-mano. E se oggi già siamo sostenibili, domani dovremo essere sostenibilissi-mi».A proposito, ma il consumatore ha ben chiara la differenza di un vino prodotto in modo sostenibile?«Penso che con Expo avremo l’opportu-nità di spiegare bene di cosa si tratti, visto che il tema dell'Esposizione Uni-versale è proprio l’alimentazione nel mondo e la sostenibilità a tutto tondo. Posso solo garantire che il tema è affa-scinante, trattato seriamente da solo poco più di 20 anni. La sostenibilità è utile a valutare le nostre consuetudini di migliaia di anni ad alcune delle qua-li dovremo dire addio. Con ‘SOStain’ stiamo lavorando proprio sulla comu-nicazione semplice, ma esaustiva per il consumatore, dopo 5 anni di ricerca, studio e sedimentazione. Abbiamo le idee più chiare, ma sarà fondamentale un percorso verso la certificazione».

G. V.

Il wine loverconfonde

spessosostenibile

con biologico.C'è un'enorme

differenza.Lo spiegheremo

all'Expocon tavolitematici

Alberto Tasca d'Almerita

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Sostenibilità, vini biologici, la Si-cilia, i progetti per il futuro. Con un occhio di riguardo all’Expo.

Alberto Tasca d’Almerita, amministra-tore delegato di una cantina dal passa-to prestigioso e dal futuro prometten-te, parla a tutto campo. Il suo “chiodo fisso” per adesso è la sostenibilità e di come questa possa garantire un “vino buono” ai consumatori. Anche se, pro-prio in questo periodo, lo stesso Al-berto ha notato un calo di attenzione, da parte del consumatore alla qualità del vino. Un fenomeno, per fortuna, in diminuzione. «La continua ricerca al miglioramento qualitativo, il raggiun-gere eleganza ed equilibri naturali, è il nostro pane quotidiano. Non possiamo prescindere dalla soddisfazione del pa-lato e dei sensi. La vita è troppo breve per bere vini cattivi», dice ricorrendo a una nota citazione.Alberto punta il dito contro quei pro-duttori che abusano della parola "na-turalezza", proponendo «vini che non

esprimono caratteristiche territoriali e tantomeno varietali. Un fenomeno visi-bile anche nel cibo con il trend del bio, organic, naturale, gluten free. Tutti fe-nomeni in crescita e lo saranno almeno per i prossimi 10 anni». Proprio la mancanza di un buon proto-collo sulla sostenibilità fa cadere delle garanzie per il consumatore. «Credo che per motivi geografici la Sicilia sia di per sé una garanzia: il numero di trat-tamenti necessari e normalmente più basso che in altre regioni ed i prodot-ti hanno naturalmente una intensità organolettica unica al mondo. Il con-sumatore è da sempre in evoluzione e sempre più consapevole. Questo è un bene e nostro dovere è rassicurarlo ed essere sempre più trasparenti e leggibi-li, il buono non è nemico del sostenibile e viceversa».Ma Tasca d’Almerita cosa fa per la so-stenibilità?«Abbiamo preso parte a quasi tutti i progetti nazionali, poi dopo uno studio

Obiettivosostenibilità Alberto Tascad'Almerita:“Vini naturali?Piuttosto si rispettiil consumatoreˮ

allargato su esperienze internazionali in collaborazione con le università di Piacenza e Milano e l’azienda Plane-ta abbiamo creato un protocollo che seguiamo da diversi anni, ‘SOStain’. Questo progetto è servito tantissimo ad acquisire conoscenza della materia, a diffondere la cultura in azienda ed a sollecitare tanta ricerca per la creazio-ne di strumenti utili. Il progetto ‘Viva’ ad esempio da noi sollecitato e porta-to avanti dal ministero dell’Ambiente, ha lavorato in chiave nazionale per lo sviluppo di due calcolatori importanti carbon and water foot print oltre che l’elaborazione di un protocollo per la certificazione di prodotto (progetto verticale). Sempre a livello nazionale stiamo partecipando alla stesura di un progetto in grado cioè di valutare e mi-surare il comportamento delle aziende

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Il personaggio

rio, la bellezza, la cultura, l’arte e l’e-nogastronomiaAll’interno di queste zone molto cono-sciute e valorizzate ce ne sono altre, più piccole e meno note, che rappre-sentano piccoli gioielli da scoprire per un turista sempre più ricercato e sen-sibile al patrimonio enogastronomico e ad esperienze uniche, autentiche ed quanto più possibile “personali”.Per questo Frescobaldi ha deciso di mettere al centro della propria imma-gine l’unicità non solo della Toscana, ma delle sue cinque tenute, situate in altrettante aree della Toscana e carat-terizzate da una storia e peculiarità produttive, climatiche e geografiche diverse.A ciascuna delle cinque tenute, Nipoz-zano, Pomino, Castelgiocondo, Casti-glioni e Ammiraglia, abbiamo attribu-ito un’immagine di riferimento e un payoff che ne esprimono l’identità e il carattere.Si parte da Nipozzano, in Chianti Ru-fina, che ha nel proprio Dna l’eternità della Toscana, il suo passato ma anche il futuro. Il concept che le viene attri-buito è perciò “Eternal Toscana”Passiamo poi a Pomino, territorio unico in Toscana, dove i vigneti raggiungono 700 metri di altitudine. Il concept che la caratterizza è” hiddenn jem of Tosca-na” e un volto femminile, che sottoli-nea il carattere e la finezza dei suoi vini

La terza tenuta è l’Ammiraglia, in Ma-remma, inaugurata nel 2011: è la tenu-ta che guarda il futuro, affacciata sul mare e il suo pay off è “Toscana on the move”.Castelgiocondo, a Montalcino, è la te-nuta dove si produce il Brunello omoni-mo, reso unico da questo territorio che da’ un carattere riconoscibile ai vini: The spirit of Montalcino, un concept che evidenzia il legame con uno dei luoghi più conosciuti ed enologicamen-te vocati della ToscanaSi finisce con la Tenuta di Castiglioni, in Val di Pesa, dove la famiglia Frescobaldi iniziò la propria storia di commercian-ti e viticoltori, 700 anni fa: un legame

sottolineato anche dalla frase “Where it all began 700 years ago”».Spesso la Toscana in termini di co-municazione pare avere una marcia in più rispetto a territori di pari o più alto valore enoico, come si spiega questa forza del marchio?«Comunicare la Toscana non significa solo comunicare una regione, ma una storia, un patrimonio turistico, cultu-rale, naturalistico, gastronomico e viti-vinicolo. È questa la forza di quello che non è solo un marchio, ma una destina-zione turistica sempre più apprezzata a livello nazionale e internazionale, che ha saputo rendere i propri territori e i relativi prodotti “protagonisti” di una comunicazione sempre più efficiente».Chi produce vino oggi non può non considerare il concetto di sostenibili-tà, non solo ecologica . Come affronta Frescobaldi questa sfida determinan-te per il futuro?«Da anni Frescobaldi applica a livello agricolo ed enologico i principi della agricoltura integrata e tutte le tenute sono certificate Agriqualità, oltre ad essere – a livello energetico - quasi totalmente autosufficienti per l’ap-provvigionamento di energia da fonti rinnovabili.Frescobaldi ha anche un forte impegno sociale con un progetto legato al peni-tenziario dell’Isola di Gorgona, nell’ar-cipelago toscano.

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La tenuta di Nipozzano

L'azienda

geddesda filicaja:"il nostromarchiocosìcomunicaanchecultura"

Una famiglia da sempre protago-nista del vino toscano che ha saputo creare uno dei marchi più

famosi e celebrati nelle aste interna-zionali come Ornellaia e un vino che si appresta celebrare 20 anni di succes-si con Luce ha centrato tanti obiettivi anche grazie alla guida e consiglio di Giovanni Geddes da Filicaja, ammini-stratore delegato di Frescobaldi che oggi intende ripensare la strategia di comunicazione delle tenute storiche della Rùfina di Nipozzano e Pomino, di Castiglioni, di Castelgiocondo a Mon-talcino e della nuova realtà maremma-

Le colline incantatedella Toscana Frescobaldi e la sua mission: vigneti a misura di turista

te Frescobaldi sono in Toscana, abbia-mo scelto di puntare sul forte legame al territorio. Il payoff che abbiamo definito è “Cultivating Toscana diver-sity” evidenziando la nostra mission di valorizzare le diversità del territorio toscano. Nel payoff la parola Toscana rimane volutamente in italiano, men-tre il resto del testo è in inglese per un apertura internazionale, ma facilmente comprensibile anche in italiano».Molti pensano che la Toscana sia già stata esplorata in tutte le sue sfuma-ture, cosa c'è ancora da scoprire o da riscoprire?«La Toscana è un territorio unico al mondo, capace di promuovere in Italia e all’estero i valori del proprio territo-

na di Ammiraglia.Storia retaggio familiare ma anche pro-iezione verso il futuro utilizzando al meglio il potenziale toscano che pare ancora da sfruttare. All’inizio di un in-tenso percorso di rinnovamento della strategia di comunicazione aziendale facciamo il punto con lui di come si ge-stiscono tante realtà senza perdere di vista i risultati sul campo e sul mercato.Come si passa da "700 anni di gran-di vini toscani" al nuovo mercato del vino di oggi? È uno slogan che è anco-ra attuale per voi?«Frescobaldi è una della famiglie più longeve nel campo del vino in Toscana. La storia rimane pertanto un suo valore fondamentale ma poiché tutte le tenu-

Andrea Gori

La tenuta di Castelgiocondo

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vulcano più alto d’Europa.L’Etna è Eldorado?«L’Etna non è Eldorado. Eldorado è una leggenda. Ma fino a dieci anni fa, qui in pochi, etnei compresi, credevano in questo territorio. Adesso invece è cam-biato tutto. Dell’Etna, tutti ne scrivono, tutti ne parlano, tutti vogliono esserci e produrre il loro vino, tutti ne sanno». Ed è negativo? Quali sono i rischi che si corrono?«Non è negativo. L’Etna si fa pubblici-tà da solo. È Patrimonio dell’Umanità e ogni uomo al mondo sa individuarla in una cartina geografica. Ma oggi il “discorso Etna” è diventato troppo di moda. Tutti vogliono esserci e dimo-strare di essere i più bravi. Ben venga l’arrivo di nuova imprenditoria, e mi ri-ferisco in questo caso a quella del vino, purché ci sia rispetto per convivere con questa terra, senza abusarne». Cosa è minaccioso, secondo lei?«Una cosa sola: l’egoismo che non ci fa capire che dobbiamo cercare di pren-dere meno oggi, per avere la garanzia di un domani. I propositi di chi arriva qui sono buoni. I propri interessi però devono corrispondere a quelli di questo

luogo. Che deve avere continuità. Se l’imprenditoria che giunge su questa montagna si fa aggressiva e competiti-va al massimo, allora il rischio di ‘man-giarsi l’Etna’ e il suo futuro c’è tutto».Quali i rischi allora?«Il rispetto dell’etica. E la coeren-za.  Non possiamo sfruttare il territo-rio. E poi c’è un valore che non va mai dimenticato: l’onestà. Dico sempre che ad un produttore bisogna fare tre do-mande. La prima: “Se questo è il tuo vino, mi fai vedere la vigna?” La secon-da: “Quante viti hai?” La terza: Quante bottiglie fai?”».Il mercato sarà pronto ad assorbire tanti vini etnei?«Nel giro di qualche anno, ci saranno in circolo milioni e milioni di bottiglie che il mercato non potrà assorbire. Il rischio è che possa scendere il prezzo del vino e la sua qualità. Un storia che il vino siciliano, e non solo, conosce già».Premesso che l’onestà e l’etica stanno in chi produce, come vorrebbe diven-tasse l’Etna?«Non voglio che l’Etna sia come dice o come la vuole Salvo Foti. Chi sono io per dire come? Ma mi piacerebbe che ogni

produttore che giunga qui sia, cultu-ralmente ed eticamente,  disposto a rinunciare a profitti immediati. Che ri-spetti la tradizione di questa terra, usi e costumi compresi. Mi riferisco per esempio all’alberello etneo». Quanto è importante il passato della viticoltura etnea?«Il passato ci dà informazioni certe nel tempo.  Sull’Etna ci sono viti che pos-sono durare oltre cento anni. Provato. Si può mantenere quindi questa pratica di coltura, anche se costosa. Ma ne vale la pena per il mantenimento dell’equi-librio con il territorio. Non dobbiamo preoccuparci di spendere di più per la cosa più importante: l’uva. E dobbiamo salvare la biodiversità. Custodirla». L’Etna oggi ha manodopera locale?«In parte sì. Di certo più che in altre zone della Sicilia. E mi auguro che non si introduca manodopera estera, perché la qualità del prodotto dipende molto dal lavoro in vigna e qui c’è gente che questa terra la conosce bene ed è custo-de di una manualità tramandata da pa-dre in figlio. È importante che la mano-dopera resti locale, per tramandare alla nuove generazioni quella conoscenza che non può essere improvvisata».Quindi lei è contrario ad un cambia-mento del sistema ad alberello e della viticoltura sulla Montagna?«A che serve se abbiamo un sistema, quello dell’alberello, che è funziona-le a questo territorio? Consolidato e unico? Non sono poi contrario al cam-biamento, purché sia funzionale e gui-dato dal buon senso. Insomma, non un cambiamento che vada a discapito di qualcuno o di qualcosa. Non un cam-biamento invasivo. Ostinarsi al cambia-mento è sbagliato, così come ostinarsi a privilegiare solo certe zone etnee, per esempio quelle tra Castiglione di Sicilia e Randazzo. Ne esistono altre».L’Etna ha un futuro?«Certo. E anche l’Etna del vino. Qui c’è il mondo e tutto il mondo conosce l’Et-na. Avrà un futuro per mantenere la sua diversificazione. Il solo problema o ri-schio che può nascere è che chi ha gran-di capacità comunicative e potere eco-nomico, potrebbe primeggiare. Ma fino ad un certo punto. I consumatori che amano questo vino, sono sempre più at-tenti e informati. Vogliono conoscerlo nell’anima. Oggi non si accontentano di comprare un’etichetta. Vogliono vedere con i loro occhi. Soprattutto le vigne».

Salvo Foti

Quando si ascolta Salvo Foti, eno-logo etneo,  parlare dell’Etna e del suo territorio, si ha come

l’impressione che lo percepisca come un figlio. Non lo è, in realtà, un figlio. Né suo né di altri. Semmai, Iddu, 'a Munta-gna, è madre e padre, di tutti. E soprat-tutto dei suoi abitanti e dei siciliani. Ma nelle sue parole, si avverte un legame fortissimo e la voglia di prendersene cura, di rispettarla, di darle un futuro e una continuità. E in un momento in

Etna, il successoe le prospettive L’enologo Salvo Foti: non facciamoneun Eldorado per vignaioli improvvisati

cui, più che mai, l’Etna riscuote fasci-no, vive una rinascita e attrae cattu-rando l’attenzione mediatica  di  tutto il mondo, si riflette sui rischi - se ci sono - che questa terra, oggi di moda, insieme ai suoi vini, possa consumarsi nel tempo,  per ingordigia. Insomma, l’Etna è Eldorado, quel luogo dove tutti vogliono arrivare per  prendersene un po’? Quali rischi può correre? Come evi-tarlo? Quale futuro?Ne parliamo proprio con Salvo  Foti, anima de I Vigneri, il gruppo di viticol-tori e di aziende e anch'esso vignaiolo e produttore di vino sulle terre laviche del

soltantodieci anni fanon ne parlava nessunoora tuttivoglionola loro parte

Il personaggio

Francesca Landolina

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tuto su una certificazione è sinonimo di qualità garantita al cento per cento». Qualche giorno fa, Caleca ha incontra-to il commissario straordinario Nino Di Giacomo ed il direttore Lucio Monte: «Una chiacchierata insieme ai dipen-denti che appaiono preoccupati, com’è normale in questi casi – dice Caleca – ma un’occasione per fare il punto della situazione di un istituto storico ed im-portante che la nostra Regione non può far finire così».Poi occhi puntati sull’Europa e sui finanziamenti che verranno eroga-ti alle varie aziende siciliane. Anche quest’anno, i fondi dovrebbero essere tra 50 e 54 milioni di euro.«Una bella somma – spiega Caleca che servirà per tante cose: penso alla ri-conversione dei vigneti, alle ristruttu-razioni delle cantine, alla promozione all’estero».Le misure variano a seconda del capito-lo di bilancio e , comunque, al massimo hanno un’aliquota contributiva del 50 per cento. Questo vuol dire che, una volta approvato il progetto, l’azienda riceva un contributo a fondo perduto della metà della spesa prevista. Pro-mozione dei mercati dei paesi extra Ue, investimenti su nuove cantine e ristrut-

turazione, riconversione dei vigneti, sono i progetti che saranno attivati. Mentre, quest’anno, non sarà attivato il capitolo sulla vendemmia verde.L’assessore Caleca, dal giorno del suo insediamento ha fatto capire di aver preso a cuore il settore vino e, più in generale, il ramo dell’agricoltura sici-liana. Sono tanti gli incontri che Cale-ca ha condotto con gli addetti ai lavori cercando di trovare soluzioni immedia-te a vari problemi.«Credo – conclude Caleca – che questo settore potrebbe rappresentare il vero e proprio rilancio della nostra econo-mia». G. V.

I fondieuropei

servirannoancheper la

riconversionedei vitigni

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Nino Di Giacomo è stato no-minato commissario straor-dinario dell’istituto regionale siciliano vini e oli di Sicilia e spiega le difficoltà dell'Ente.«Non ho trovato una situazio-ne ottimale dal punto di vista economico – spiega -, ma ci tengo a precisare che questi problemi non dipendono as-solutamente dalla precedente gestione».I debiti che si sono accumula-ti, sono venuti fuori da perio-dici tagli imposti dalla Regio-ne Siciliana.«Se pensiamo – dice Di Gia-como – che a fronte di oltre 5 milioni di stipendi, due anni fa l’assemblea regiona-le siciliana deliberava solo 3 milioni, facendo due conti, riusciamo a capire come si sono creati questi buchi di bilancio».Di Giacomo, da quando ha ini-ziato il lavoro di commissario straordinario, ha iniziato la politica dei “tagli”: «Abbiamo rinunciato a tutti i contratti con i giovani e questo mi di-spiace molto; ci siamo liberati di alcuni affitti per delle sedi periferiche, come Alcamo e Milazzo e, per la prima vol-ta, ci siamo impegnati per cercare le sponsorizzazioni». Infatti, la partecipazione al ProWein ed al Vinitaly è sta-ta realizzata a costo zero. Oggi l’Irvo resta comunque un punto di riferimento per il mondo enologico siciliano. «I dipendenti possono stare tranquilli. I progetti futuri sono ormai in cantiere, come ricerche con le cantine e le università”. Intanto arriva-no delle belle notizie. L’Irvo, dopo i vini di Malta, certifi-cherà quelli della Tunisia e la mandorla». G.V.

Il commissarioIrvo:"In futuroaltrecertificazioni"

Un vigneto in Sicilia (foto Fabio Ingrosso flickr.com)

Una sinergia con l’assessorato alle Attività Produttive, la pro-messa di non chiudere l’Irvo,

l’istituto regionale Vino e Olio della Si-cilia ed un fiume di soldi destinato alla promozione all’estero delle aziende, alla riconversione dei vigneti ed alle ristrutturazioni. L’assessore all’Agricoltura della Sicilia Nino Caleca, parla a 360 gradi della sua Isola, del mondo del vino, degli errori commessi in passato e dei progetti fu-turi, a medio e lungo termine. Il primo punto riguarda la somma che arriverà dall'Unione Europea: «Si trat-ta di un fonda da 50-54 milioni di euro che destineremo per vari obiettivi».Il primo, è quello della promozio-ne delle aziende siciliane all’estero. Il mercato galoppa velocemente e le aziende siciliane non vogliono assolu-tamente perdere terreno rispetto alla concorrenza. In particolare in questo momento che il brand “Sicilia” va alla grande, è riconosciuto, apprezzato ed è anche ricercato. «Credo che sia neces-saria, oggi più che mai – spiega Caleca – un’internazionalizzazione del vino».Per Caleca la vera spina dorsale su cui si basa il mondo del vino siciliano, sono gli stessi produttori, non il mondo della

politica: «Sono loro i politici del vino – dice – Compito nostro, semmai, è quel-lo di aiutarli il più possibile, perché in giro, loro, portano il nome della nostra Terra. Vendendo il vino, loro è come se vendessero la Sicilia».Il vino, dunque, come asset strategico dell’Isola e dell’intera economia della Trinacria, ma anche traino per l’aspetto turistico e culturale . «Siamo al fianco dei produttori di qualità, non di certo accanto a quelli improvvisati – spiega l’assessore – Abbiamo deciso di accom-pagnare in questo percorso virtuoso quelli che hanno deciso di aumentare questa qualità, di chi sceglie le certi-

Siciliadel vino:“Dall'Ue54 milioni per vignetied export”

ficazioni. Per questo abbiamo creato i contratti di rete». Si tratta di una vera e propria opportunità per le aziende si-ciliane.«In pratica – senza che nessuno perda la propria identità – dice Caleca – le aziende hanno uno strumento che con-sente loro di ricevere finanziamenti a fondo perduto (in misura del 75 per cento o del 50 per cento, in base al ca-pitolo di bilancio). Uno strumento che ci ha chiesto anche l’Unione Europea».Ma le associazioni? «Rimarranno per noi i nostri interlocutori privilegiati, impossibile non tenere conto di Assovi-ni, Providi e Vitesi».Il pensiero, a questo punto, corre velo-ce sulla situazione dell’Irvo, l’istituto regionale Vino e olio della Sicilia che sta attraversando una fase drammati-ca a causa ditagli alle dotazioni finan-ziarie. «Voglio rassicurare tutti – dice Caleca – l’Irvo non chiuderà. C’è al mo-mento una situazione molto delicata, ma credo che sia una delle eccellenze della Sicilia».Per salvare l’Irvo, occorrono circa 5,2 milioni di euro. L’istituto, ha garantito che non aumenterà le tariffe per le cer-tificazioni del vino, ma come sottolinea Caleca «ricevere l’ok da parte dell’isti-

L'assessoreCaleca:

"Leassociazioni

restanointerlocutoriprivilegiati"

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terreni e impiantati «vitigni non tradi-zionali, preferendo al Ciliegiolo di Narni i francesi Pinot Nero, Cabernet Franc, con un vigneto sperimentale dedicato a Tannat e Marcelan. Abbiamo decisa-mente optato per la novità dei vitigni esteri e i produttori dell’area, pur non mostrando risentimento, ci hanno fat-to capire che gradirebbero il Ciliegiolo. Non escludo che si possa fare, ma certo non ora». Oggi la Cantina La Madeleine conta 15 ettari di terreno di cui sette di vigneto, in collina tra i 250 e 300 metri tra Narni e Otricoli. D’Alema ostenta di-stacco da La Madeleine. «I miei due figli - racconta - sono abbastanza impegna-ti, in particolare Francesco, ma è mia moglie quella maggiormente coinvol-ta». E scherzando dice: «È un buon am-ministratore. Con la sua prudenza tiene

a bada anche le mie follie». In realtà l’ex segretario dei Ds mostra grande pa-dronanza dell’attività imprenditoriale.Dalla Cantina La Madeleine escono: Ne-rosé, uno spumante rosé di Pinot nero metodo classico; Sfide, un vino senza solfiti aggiunti; NarnOt, un rosso impe-gnativo di grande struttura e infine Pi-not Nero La Madeleine, una piccola pro-duzione uscita lo scorso novembre. «Il NarnOt - spiega con precisione D’Alema - lo teniamo 3 anni in cantina, acciaio più 18 mesi di barrique. Il Pinot nero e Sfide sono usciti nel 2012 mentre lo spumante lo teniamo 4 anni sui lieviti». Preciso anche sul listino prezzi. «Il prez-zo in cantina dello spumante - snocciola D’Alema - è di 12 euro; quello del Pinot nero è di 23 euro, il Cabernet Franc è a 20 euro e Sfide a 6,5 euro. Su quest’ul-

Massimo D'Alema

timo il rapporto qualità-prezzo è stata l’arma vincente». Dove vende le sue 40mila bottiglie D’Alema? Soprattutto a Roma, «ma abbiamo un venditore anche in Svizzera e ora ci stiamo affacciando seriamente ai mercati esteri: senza l’ex-port nessuno è in grado di stare in pie-di». Infatti in febbraio La Madeleine è sbarcata in Cina, con una presentazione al Beijin Club di Pechino. Recentemen-te la cantina ha partecipato a Merano Wine Festival e a Vinitaly ci sarà?«Certo - conferma D’Alema - saremo ospiti, per un paio di giorni, di Cotarella, nello stand di Falesco. Il tempo necessario per incontrare i buyer». Poi D’Alema dà anche un giudizio sulla kermesse Vini-taly: «È una manifestazione di grande successo, ma se ci fosse più spazio per i

soli operatori sarebbe meglio».

La passione di Massimo D’Alema per l’e-nogastronomia risale a molti anni fa. «Me ne sono occupato - ricorda l’ex pre-

sidente del Consiglio - quando ero direttore dell’Unità: lanciammo il "Salvagente" e poi un premio dedicato ai migliori ristoranti con Michele Serra e Carlo Petrini. Ma, in genera-le, credo sia incontestabile che la cultura del buon cibo e del buon bere si sia sviluppata nell’area della Sinistra». Poi in tutti questi anni, anche quando D’Alema era preso dalla politica, ha continuato a coltivare un hobby che è poi diventato una passione. Tanto che nel 2008 ha rilevato, nel comune di Narni, in Umbria, la tenuta La Madeleine, in stato fallimentare, un tempo destinata all’alleva-mento di bestiame. La vecchia azienda aveva un grande capannone per l’allevamento dei bovini e un edificio in condizioni precarie cir-condato da terreno argilloso e quasi del tutto privo di vegetazione. «Abbiamo comprato

MassimoD'Alema:“La culturadel buon ciboe del buon bere?È di sinistra”

Emanuele Scarci

l'ex presidente del consiglioracconta la sua scommessa sul vinoe la cantina creata in umbria"ho dovuto fare un mutuo..."

bene - ricorda D’Alema - ma poi abbia-mo dovuto bonificare, compreso la ri-mozione dell’eternit. Alla fine abbiamo investito un milione di euro più il rica-vato dalla vendita della mia barca. Non disponendo del milione di euro ho ac-ceso un mutuo di lungo periodo». I figli di D’Alema, Francesco e Giulia, ne sono i proprietari. Quella zona dell’Umbria non ha tradizione vitivinicola, almeno paragonabile a Montefalco. «Infatti di vigneti non c’era nemmeno l’ombra: siamo partiti dalle barbatelle» ricorda D’Alema. Sotto la guida dell’enologo Riccardo Cotarella, si sono studiati i

Sonopartitoda zero.

Mia moglieè quella

maggiormentecoinvoltaed è moltoprudente:

tiene anchea bada

le mie follie

L'intervista

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continua e lo scoprire giornalmente soprattutto delle piccole realtà con cui stupire la nostra clien-tela. Nel corso degli anni, come tutti i degusta-tori, ho assistito ad un’evoluzione nel mio gusto personale: mi piacciono sempre di più i vini che si bevono meglio, meno tecnici, con dietro delle caratteristiche peculiari ed irripetibili in altri ter-roir, come alcuni vini dell’avellinese, dell’Appen-nino centrale, quelli prodotti con i vitigni a bacca rossa sull’Etna o alcuni rossi di Puglia. Non per questo non rimango affascinato dalle grandi bot-tiglie, come alcune rarità toscane di metà degli anni quaranta e piemontesi degli anni settanta, quando in quelle zone la viticoltura non era sta-ta ancora contaminata. Se penso all’estero non posso che prediligere la Borgogna, con sua storia vitivinicola che non smetti mai di approfondire. Ma i vini che continuano ad incontrare maggior-mente il mio gusto sono quelli che riesco a com-prendere appieno, più piacevoli e beverini e pen-so che il trend futuro vada verso questa direzione di vini da bere con semplicità. Per me l’epoca dei vini tecnici è finita».Ti trovi a confrontarti giornalmente con uno dei più grandi chef, non solo in Italia ma sulla sce-na internazionale. Come si arriva alla decisione di un abbinamento con un piatto di Heinz Beck?«Io ed Heinz abbiamo una perfetta intesa sotto tutti i punti di vista. Il concetto dell’esasperazio-ne alla ricerca dell’abbinamento perfetto deve essere superato, così come quello puramente tec-nico tra cibo e vino. Personalmente cerco sempre di proporre al clien-te ciò che può corrispondere al suo gusto, dagli indizi che riesco a cogliere dalla scelta dei piatti e da molti altri aspetti che mi fanno comprendere quali sono le sue esigenze. Heinz è un degusta-re infallibile e ogni volta che esce un suo nuovo piatto ci confrontiamo, scoprendo spesso di avere la stessa idea». Quali vini non possono mancare a La Pergola?«Sicuramente i grandi vini d’annata, vecchie rari-tà e vini blasonati da ricercare in aste o da colle-zionisti privati». Quali sono i vini più richiesti dai clienti de La Pergola e come sono cambiati, in base alla tua esperienza, i gusti dei consumatori negli ultimi anni?«Oggi è più facile muoversi, viaggiare e documen-tarsi ed anche grazie a questo la cultura sul cibo e sul vino è molto cresciuta. Il cliente nella scelta dei vini preferisce scegliere bianchi che non siano eccessivamente alcolici e strutturati e rossi ele-ganti ma con tannini non troppo eccessivi. I gusti si sono affinati nella direzione di vini che piaccio-no quasi universalmente, come i vini dell’Etna, vini rossi di Sicilia e vini di montagna, un connu-bio vincente, per l’eleganza, la freschezza e la mi-neralità. Caratteristiche che oggi convincono di più rispetto alla struttura».

Marco Reitano

Immaginate oltre settantamila bottiglie per tremilacinquecento etichette custodite nella cantina

che per tipologia e qualità dei vini me-riterebbe di essere definita un tempio dell’enologia, all’interno del risto-rante La Pergola del Rome Cavalieri, unico tre stelle Michelin nel panorama capitolino. Da oltre vent’anni a fianco dello chef Heinz Beck, Marco Reitano, che di anni ne ha solo quarantadue ma esperienza e competenza rapportate al prestigioso ambiente in cui si muo-ve con affascinante disinvoltura, può vantare tra i più importanti riconosci-menti, come la nomina a Chevalier de l’Ordre des Coteaux de Champagne, il premio Grand Award di Wine Spectator, l’Oscar come miglior sommelier italiano

nel 2001 e il premio come miglior som-melier della guida Identità Golose nel 2012.Quali aspetti sono per te importanti in un vino e quali zone di produzione e vini preferisci?«Premesso che mi ritengo un uomo for-tunato, sia per la mia professione che per il luogo in cui la svolgo. Lavorare nella cantina de La Pergola, infatti, mi dà la possibilità di assaggiare mol-tissimi grandi vini anche se ciò che mi appassiona maggiormente è la ricerca

MarcoReitano:“Io, nella cantinade La Pergola,così abbinoi viniai nostri clienti”

Il personaggio

parlail sommelierdi heinz beck:"ecco le nuovetendenze"

Daniela Corso

info

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Il Vinitaly, che si svolge a Verona dal 22 al 25 marzo 2015, rappresenta la principale rassegna enologica italiana proponendo il solito mix vincente di presentazioni e degustazioni dove le aziende saranno le protagoniste insieme alla consueta moltitudine di operatori e appassionati del settore.L'Ente Camerale sarà presente al Vi-nitaly per la dodicesima volta conse-cutiva come giusta continuazione ed ulteriore tappa di un percorso di co-municazione e di promozione per le aziende vitivinicole della nostra pro-vincia in modo da rafforzarne l’imma-gine, valorizzare gli ottimi vini della nostra provincia come l'Etna Doc ed esaltarne le principali peculiarità ed identità, e soprattutto per aumentare le opportunità commerciali delle no-

stre imprese attraverso la possibilità di incontri con distributori e buyer na-zionali ed internazionali.La partecipazione all'evento fieristico si tiene nel padiglione 2 Sicilia dove in due isole espositive contigue, per una superficie complessiva di 168 metri quadri, trovano un'ottima col-locazione le 23 imprese partecipanti alla collettiva organizzata dall'Ente Camerale.Il Segretario Generale della Camera di Commercio di Catania, Alfio Pagliaro nell'esprimere piena soddisfazione per la partecipazione delle aziende catanesi alla 49ª edizione della mani-festazione ha dichiarato: «Non dico nulla di nuovo affermando che l'ener-gia che sprigiona l'Etna è racchiusa, in forma enologica, nei nostri vini. La

loro affermazione nel mondo è sì frut-to dell'impegno dei viticoltori etnei, ma si basa sulla peculiarità dei vigneti e del territorio.La Camera di Commercio ha da sem-pre creduto nel binomio impegno e qualità, affiancando le aziende vitivi-nicole in un percorso di affermazione e sviluppo».

Pagliaro: "L'Ente Cameralepunta sulla promozione"

Alfio Pagliaro

Il terroir dell’Etna è stato scoperto, “assag-giato” e giustamente valorizzato anche da appassionati ed esperti del settore spesso lontani migliaia di chilometri dalla nostra “Montagna di fuoco” e finalmente dopo un periodo di sottovalutazione del-la Sicilia da un punto di vista vitivinicolo, stiamo raccogliendo i frutti di tanti anni di duro lavoro. Il vino che si ottiene ha colore rosso ru-bino abbastanza carico, presenta una ottima tannicità accompagnata da sen-sazioni armoniche e gradevoli in cui pre-dominano sensazioni olfattive di fiori e spezie. I vini ottenuti dalla vinificazione di questi vitigni hanno una grande varia-bilità a seconda del versante del vulcano in cui vengono coltivati e sono per lo più destinati a un lungo invecchiamento. Secco, caldo, robusto, pieno, armonico il vino rosso dell’Etna evoca emozioni forti, al palato e alla vista. Delicato e paglierino è, invece, il bianco che privilegia a tavo-la prelibati antipasti di mare e piatti di pesce isolano. Pure i rosati si accostano bene a primi piatti, a secondi di carne e

a formaggi tipici siciliani. Non è solo una questione di mercato, tecnica e affari se le aziende siciliane si dedicano al vino. Nelle botti ai piedi del Vulcano, che an-che quest’anno ha dato spettacolo di sé, è racchiuso il credo di intere famiglie, di appassionati sommelier e di enti pubbli-ci che hanno sposato in modi diversi la passione per i sorsi di qualità. Tra questi la Camera di Commercio di Catania, che al Vinitaly partecipa per il dodicesimo anno consecutivo e che finalmente rac-coglie i risultati di un impegno fatto di scommesse, lavoro di cura dentro e fuori il territorio. I produttori siciliani già da tempo hanno

il merito di programmare le “giuste” eti-chette e di ammodernare attrezzature e tecniche colturali. I passi in avanti passa-no dalla formazione dei dipendenti e dai riconoscimenti nazionali ed internazio-nali che spesso hanno premiato anche l’identikit tipico del vino di montagna. I vini etnei trovano sul Vulcano un terroir variegato, con caratteristiche diverse a seconda delle zone vocate. Il gusto varia se il vino viene prodotto nelle colline del-le pendici nord, orientali, o del versante sud. Oggi i vini dell’Etna sono amati in Italia ed all’Estero. Merito prima di tutto di chi produce, ma anche di chi crede in una promozione, mirata e di qualità”.

Etna, il vulcanodelle eccellenzevitivinicole

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frenarlo. Un esempio, secondo Carica-to, sono le nuove regole sull’etichet-tatura voluta dall’Unione europea. «La bulimia legislativa genera burocrazia e fraintendimenti – sottolinea l’oleo-logo - io sono per l’azzeramento delle troppe leggi esistenti sull’olio da olive. Sono per la creazione di un testo unico esemplificativo, valido per tutti i Paesi. Le norme sull’etichettatura? Servono a poco se non vi è dietro una profonda conoscenza delle materie prime ali-mentari». Un’ignoranza diffusa sulle materie prime e sul loro valore aggiun-to che ha portato al varo della “norma antirabbocco”. Una legge che Caricato definisce lodevole nelle finalità, ma se-gno di un fallimento di fondo. «Le leggi non possono imporre mai cambiamenti di costume – dice lo studioso - serve

un percorso educativo e formativo. Che senso ha imporre qualcosa che poi non viene di fatto compreso? I ristoratori hanno le proprie responsabilità, perché è un atteggiamento poco serio rabboc-care le bottiglie, magari con olio diver-so e nemmeno di qualità. Ma è ancora più grave che in tanti si diplomino nelle scuole alberghiere senza nemmeno co-noscere le materie prime». E, nell’an-no dell’Expo, il mondo dell’olio d’oliva italiano è chiamato a una grande sfida: diventare capofila nel mercato mondia-le. «L’Expo sarà come Disneyland, ci re-galerà sogni destinati a svanire in fretta – afferma - resta una ghiotta occasione per giocare un ruolo da primattore. Sia-mo stati sfortunati: nell’anno dell’Expo non abbiamo olio da proporre. Possia-mo però generare nuove idee».

Le nuoveetichetteservonoa poco

se alle spallenon c'è

una buonaconoscenza

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alimentari

Luigi Caricato90

Un gigante anziano e malato, che negli anni ha rinunciato a met-tere al mondo figli e a investire

sul futuro. Così vede il mondo dell’olio italiano uno dei massimi esperti del settore, l’oleologo e scrittore Luigi Ca-ricato, organizzatore di “Olio Officina Food Festival”, uno degli eventi più im-portanti del panorama dell’olio da olive che si svolge da quattro anni ogni gen-naio a Milano. Parchi olivetati vetusti, senza nuove piantumazioni, politiche assistenzialistiche, corporativismi falli-mentari e un mercato fiaccato, come se non bastasse, da un anno nero che ha visto il crollo del 37 per cento della pro-duzione. «Non sono tuttavia pessimista – spiega Caricato - mi spiace solo che si stia vivendo una fase fortemente criti-ca, e la crisi odierna non è solo quella emersa con l’ultima olivagione: è una

crisi strutturale, frutto di errori gravi e di negligenze di almeno quarant’anni di continuo arretramento sul campo». Nonostante ciò il panorama, secondo l’oleologo, non è poi così disastroso. «Ci sono alcuni operatori che eroicamente sono andati avanti in solitudine e con ottimi risultati – continua – abbiamo tante forze propulsive, generatrici di benessere e di entusiasmo, capaci di te-nere in piedi il sistema, almeno finché tali forze reggono. Dico “finché reggo-no” non perché questi eroi del nostro tempo siano sul punto di lasciare, ma solo per il fatto che le migliori forze in campo anziché essere aiutate in Ita-lia vengono ostacolate». A fermare il cambiamento è anche l’approssimazio-ne di alcune norme nate per aiutare il settore, ma che spesso hanno finito per

LuigiCaricato:“Attenti,il mondo dell'0lioè in sofferenza”

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pensateper aiutare

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Geraldine Pedrotti

l'oleologo e scrittorenon usa mezzi termini.la crisi dovuta a gravi carenzestrutturali e negligenze e puntail dito contro le scuole alberghiere

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cipano a Sol&Agrifood. Numerosi anche i momenti di confronto sulle tematiche più attuali del settore. Aprirà la quattro giorni veronese - alle 16 di lunedì 23 marzo nella sala Polifunzionale - il con-vegno “Tappo antirabbocco e nuova eti-chettatura degli alimenti”, organizzato in collaborazione con Teatro Naturale. Martedì, invece, stessa ora stesso luo-go, si parlerà delle opportunità offerte dai mercati dell’Estremo Oriente con il focus “Esportare olio e food a Taiwan, porta della Cina”, organizzato da Ice e Unaprol. Ma il Sol&Agrifood non è solo business. Spazio anche agli even-ti dedicati ai non addetti ai lavori: tra le iniziative c’è per esempio “Find the fake” (scova l'intruso), minicorso di degustazione riservato ai giornalisti accreditati italiani e stranieri – in pro-gramma da lunedì 23 a mercoledì 25 alle ore 15,30 – che insegna a distin-guere l’olio di qualità dalle imitazioni presenti sul mercato. C’è, poi, l’Oil bar, un vero e proprio angolo tecnologico dell'assaggio in cui il visitatore, attra-verso un monitor touch screen, potrà selezionare e degustare uno degli oli vincitori del concorso internazionale Sol d’Oro emisfero Sud e di Sol d’Oro emisfero Nord e visualizzarne le carat-

teristiche e l’area di provenienza. Tra gli oli disponibili ci sono i vincitori di 3 su 5 Sol d’Oro emisfero Nord di quest’anno, le aziende agricole siciliane La Tonda, Terraliva e Agrestis, tutte provenienti da Buccheri, piccolo centro di duemila anime in provincia di Siracusa. Ma per i visitatori non ci sarà solo l’olio. Sono tantissime, infatti, le iniziative dedi-cate agli altri attori del Sol&Agrifood:

dalla “Cheese Experience” con assaggi e cooking show di formaggi alle degu-stazioni di caffè di “Taste of Coffee”, fino alle birre artigianali, new entry di quest’anno alla fiera veronese, per promuovere un consumo della birra più culturale, legato alla conoscenza e alla qualità delle materie prime e dei siste-mi di produzione.

Ge. P.

Incontri con i big della grande distri-buzione mondiale, degustazioni, focus sulle potenzialità dell’export

in Estremo Oriente, sessioni di cucina, Oil bar, angoli di assaggio interattivi e perfino un minicorso di degustazione che insegna a distinguere il buon olio extravergine di oliva dalle imitazioni presenti sul mercato. Anche quest’an-no l’olio è il grande protagonista del Sol&Agrifood, il Salone internazionale dell’agroalimentare che dal 22 al 25 marzo si svolge in contemporanea al Vinitaly e a Enolitech all’interno del Padiglione C di Veronafiere. Un’agen-da ricca di eventi pensata per presen-tare, soprattutto al visitatore estero,

il meglio delle produzioni oleicole e agroalimentari nazionali e per mettere in contatto diretto offerta e domanda internazionale. Non solo vino, quindi, a Verona: olio, formaggi, caffè, birra e tutto il meglio che l’agroalimentare italiano ha da offrire, messi in vetrina dalle oltre trecento aziende espositrici. Favorire gli scambi commerciali è l’o-biettivo principale del Sol&Agrifood, con particolare attenzione all’export, chiave dello sviluppo di questo settore che vede l’Italia sul podio mondiale dei paesi esportatori. Per questo motivo grande spazio è stato dato agli incon-tri tra produttori e buyer provenienti dai più interessanti mercati al consu-

Sol&Agrifood, eccellenze in mostra

mo, selezionati dagli esperti di Italian Trade Agency-Ice e Veronafiere. Dele-gazioni provenienti da Cina, Giappone, Svezia, Finlandia, Danimarca, Estonia, Lettonia, Francia, Tunisia, Egitto, Rus-sia, India, Portogallo, Romania, Bosnia Erzegovina, Panama, Perù, Singapore, Birmania, Filippine e Uzbekistan par-teciperanno a walk around tasting e incontri b2b organizzati con le aziende olearie espositrici. Grande attenzione viene dedicata anche agli sbocchi com-merciali sul mercato locale: per il quarto anno consecutivo torna il “Gdo Buyers’ Club”, evento finalizzato agli incontri tra i buyer della grande distribuzione italiana e i produttori di olio che parte-

tra cibo, olio e tecnologia occhi puntati sull'exporttavoli tematici ed incontri con produttori e buyere l'iniziativa "find the fake" (scova l'intruso)

Uno stand del Sol (foto Ennevi Veronafiere)

Degustazione di prodotti tipici (foto Ennevi Veronafiere)

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Come garantire la sicurezza all’Expo? Con uno spiega-mento di forze incredibili. Saranno 3.200 gli uomini che si aggiungeranno ai 2.000 già in servizio a Milano per pre-sidiare un’area di 5,2 chilo-metri quadrati, con 4 accessi riservati al pubblico con 225 tornelli, 7 accessi per i veico-li, da dove transiteranno ogni giorno una media di 700 mez-zi, 257 tonnellate di merci e 37 tonnellate di rifiuti. Per questo l’Expo ha chiesto i rinforzi: 1.300 poliziotti, 700 carabinieri, 600 finanzieri e 600 soldati dell’esercito. Oc-chi vigili per evitare qualsiasi rischio e pericolo visto che l’Expo è considerato uno degli obiettivi sensibili. In totale, la gestione della sicurezza dell’Expo costerà 90 milioni di euro, cifra che il Viminale ha già stanziato. Agli ingres-si sta per essere completata l’installazione del metal de-tector. La fascia oraria più temuta è quella notturna, tra le 23 e l’1 di notte, quan-do non ci sono visitatori, ma nell’area comunque è un gran via vai di mezzi con merci e rifiuti da portare via. In que-sto momento la data eviden-ziata con un cerchio rosso, è l’1 maggio, non solo perchè è il giorno dell’inaugurazio-ne, ma anche perché è quella con considerata a maggiore rischio di attentato terrori-stico. A supporto, però, delle forze dell’ordine italiane, ci saranno anche le polizie stra-niere, soprattutto per quei paesi considerati a rischio, come Stati Uniti, Israele, Francia e Gran Bretagna. Per questo, all’interno di Expo sarà predisposta una vera e propria sala di controllo per la sicurezza.

padiglione. «L’idea è nata ad un gruppo di noi – spiega Gatti – e credo che alla fine sia stata determinante per la scelta della giuria di affidarci Expo 2015. Mo-ratti o Prodi? Non so se sia stato uno dei due a pensare al tema "Nutrire il piane-ta". So solo che chi ha lanciato la pro-posta è un genio».Secondo gli addetti ai lavori, proprio la novità del cluster avrebbe determinato la scelta di Milano, «perché – spiega Gatti – i padiglioni geografici, previsti negli altri Expo, secondo noi non ren-devano giustizia ai Paesi che non dispo-nevano di un padiglione proprio». Oggi i Paesi con la maggiori fasi di svi-luppo, sono i più grandi produttori di cibo nel mondo, si pensi al caffè, al riso, ai cereali, al cacao. Queste filiere sono state raggruppate in padiglioni comu-ni. Ed in altri si è scelto un tema, come, per esempio la dieta Mediterranea od il cibo nelle zone aride. In totale i cluster saranno nove.Duecento mila visitatori al giorno la media prevista. Un sistema viario mai collaudato che non preoccupa gli orga-nizzatori. «Ci sarà una stazione dove si fermeranno anche i Freccia Rossa – dice Gatti – due autostrade, grandi parcheg-gi, la metropolitana. Credo che i visi-tatori saranno in grado di arrivare in tranquillità sul sito dell’Expo. Poi sarà compito nostro farli entrare bene». Per

quanto riguarda la ricettività, Milano dispone di 75.000 posti letto, ma se si tiene conto anche dell’Hinterland, questi posti superano i 250 mila. «Molti tour operator che hanno già acquistato i pacchetti viaggio con visita all’Expo ci hanno fatto sapere che i loro clienti hanno scelto di alloggiare fuori Milano visto anche le strutture viarie per rag-giungere la sede dell’esposizione uni-versale – spiega Gatti – una soluzione pratica, ma soprattutto più economi-ca». Gatti non ama parlare di cifre: «La cosa più misteriosa sarà la chiusura del pri-mo giorno e vedere quanti accessi sono stati fatti – dice – poi potremo un po’ tirare le somme e cercare di ipotizzare una cifra finale. Al momento, 20 milioni ci sembrano un buon numero». La Libia non ci sarà, al suo posto forse l’Arme-nia, mentre l'Onu, a differenza dalle voci circolate, rimarrà nel padiglione zero. Attesi ovviamente i big del mon-do: confermati Putin, Hollande e la Mer-kel. Barack Obama difficilmente verrà a Milano (troppo complesso per motivi di sicurezza), forse il vicepresidente od il segretario di Stato americano; sul Dalai Lama nessuna conferma «ma sarebbe il benvenuto», dice Gatti. Infine chiusura della manifestazione affidata al segre-tario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon. G. V.

Per la sicurezzadell'Esposizionepolizie stranieree metal detector

Un cantiere dell'Expo

Seimila operai per finire in tempo. Una vera e propria corsa per Expo 2015. L’1 maggio si avvicina rapidamente ed i ri-tardi accumulati in questi mesi rischia-no di far trasformare l’inaugurazione in una vera e propria beffa per il taglio del nastro in diretta mondiale. Nel cantiere più grande d'Italia ormai si fa la conta dei giorni. E la preoccupazione aleggia anche tra gli addetti ai lavori.Venti milioni di visitatori previsti (cifra sottostimata, secondo noi), 8 milioni di biglietti già venduti, una stazione fer-roviaria, due linee della metropolitana, due autostrade, 144 padiglioni. Numeri che fanno paura. Ma Stefano Gatti, re-sponsabile della divisione partecipanti Expo 2015 è tranquillo. Nonostante l’a-

rea dell’esposizione mondiale sia tutto un brulicare di camion, gru, operai e cemento.«L’85 per cento dei 52 padiglioni co-struiti dagli stessi paesi sono pratica-mente completati – dice Gatti -. Otto sono quelli già completi, altri stanno correndo, ma ci sono meno di due mesi, ce la faremo».All’inizio, ad Expo, avrebbero dovuto la-vorare 4.000 operai. Entro fine marzo, saranno 5.200, mentre poco prima del taglio del nastro dell’inaugurazione se ne conteranno 6.000. Operai che lavo-reranno senza sosta, 24 ore al giorno, sette giorni su sette, senza né sabato né domenica. Il padiglione dell'Italia è naturalmente

quello più di tutti sotto i riflettori. «I ri-tardi accumulati in questi mesi – spiega Gatti – diciamo che sono stati quasi del tutto recuperati. La struttura è quasi completa e già si sta pensando agli al-lestimenti interni. Lavorano qui almeno 150 operaio al giorno».Il cantiere Expo è suddiviso in chi il pa-diglione se lo sta costruendo da sé e chi, invece, attende il completamento dei lavori per cominciare a “mettervi piede”. All’interno dell’area si trova-no operai da tutto il mondo, cinesi, giapponesi, sudamericani. Un cantiere multiculturale. Un po’ come l’idea del cluster, ossia mettere Paesi soprattutto quelli in via di sviluppo con un filo con-duttore simile, all’interno dello stesso

Rush finale per ExpoSeimila operai al lavoronel cantiere più grande d'italia si lavora senza sostacorsa contro il tempo per completare i padiglionie tra i "big" in visita certa la presenza di putin

L'evento/1L'evento/1

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#I NUMERI30 milioni di visitatori previsti148 Paesi espositori3 Organizzazioni internazionali13 Organizzazioni della società civile3 Padiglioni corporate1,1 milioni di metri quadrati l'ampiezza dell'area fieristica a Rho-Pero destinata a ospitare l'evento8 padiglioni espositivi3,7 miliardi di euro la produzione atti-vata per il sistema economico70 mila i posti di lavoro creati in cinque anni36 mila i volontari coinvolti per l'acco-glienza

#INFRASTRUTTUREIL sistema previsto dal progetto è stato notevolmente ridotto in seguito ai ri-tardi accumulati. Per l’autostrada Zara-Expo. Dopo l’interdittiva antimafia, il fallimento dell’azienda Agrideco, lavori a rilento. Per la Rho-Monza si proverà a finire i lavori di rafforzamento: 2 chi-lometri sui dieci previsti e solo in un senso di marcia. La linea 5 della metro a buon punto.

#PADIGLIONILe fondamenta dell’area sono pratica-mente completate. Sul fronte padiglio-ni, positiva la situazione di quelli non nazionali (che sono 53). I ritardi ci que-sti ultimi, infatti, sono notevoli: 4 sono pronti (Bahrein, Repubblica Ceca, Sviz-zera ed Angola); tre sono in clamoroso ritardo. Il Padiglione Italia ha subìto un rallentamento ed anche qui i lavori sono un po’ in ritardo

#OSPITALITA’Ai 75.000 mila posti letto presenti nel capoluogo lombardo, si aggiungono i circa 180.000 posti letto dell’Hinter-land. Ma non mancano le denunce delle associazioni dei consumatori, con i rin-cari dei prezzi degli hotel anche del 300 per cento. Ma il numero delle struttu-re, in ogni caso, rimane notevolmente basso rispetto al numero di visitatori previsti.

#LE ALTRE CITTA’ CHE BENEFICERANNO DI EXPOI turisti verranno a Milano non solo per l’Expo, ma anche per godere di una va-canza nei dintorni. Venezia, Firenze e Roma sono quelle che, secondo gli ad-detti ai lavori, riceveranno un notevole flusso di turisti provenienti dal mondo Expo.

#BIGLIETTIL’ingresso costa 32 euro ed il biglietto vale un solo giorno. Ma sono previsti, sul sito dell’Expo, varie formule, sia per visite di più giorni, che pacchetto con sconti comitive. Gli studenti pagheran-no 22 euro.

#CARTA DI MILANOSarà presentata il 278 aprile per poi essere consegnata ad ottobre, al segre-tario generale dell’Onu. La Carta di Mi-lano è stata realizzata con il contributo i 500 esperti in oltre 40 tavoli tematici. Ma il lavoro, complesso, ha richiesto oltre due anni di tempo. Si divide in 4 macro-aree, che fanno perno sul diritto fondamentale akl cibo ed alla lotta con-tro tutte le disuguaglianze che ostaco-lano questo diritto.

#DOPO EXPO?Nuova bando in vista, forse a giugno, per la valorizzazione di alcune strutture che resteranno dopo la chiusura dell’e-vento. Si parla di una città della scien-za, uffici pubblici del Territorio, strut-ture dell’università statale ed una parte dedicata a Nexpo, il parco tecnologico lanciato da Assolombardia.

L'evento/2 #Expo in pillole

Piazza Gae Aulenti Milano (foto Gaetano Virgallito flickr.com)

Palazzo Lombardia Milano (foto Lorenzoclick flickr.com)

L’unica regione, la Sicilia, capofi-la di un Cluster, un Mar Mediter-raneo che sarà rappresentato in

tutte le sue sfumature, non solo di blu e di azzurro, ma pieno di cultura, cibo, tradizioni, sapori, profumi, colori. Il Cluster Bio-Mediterraneo, forse, è quel-lo più atteso. Di certo, almeno stando alle previsioni, sarà uno di quelli più vi-sitati. Perché, numeri alla mano, è pre-visto che un 10 per cento dei visitatori complessivi dell’Expo, faranno tappa al cluster, cioè circa 2, 2,5 milioni di per-sone.«Numeri spaventosi – dice Dario Carta-bellotta, responsabile unico del Cluster – che ci inorgogliscono e ci fanno ren-dere conto che il progetto che stiamo portando avanti ha un suo valore».Oltre 600 le aziende che hanno aderi-to al Cluster, numeri molto lontani da quelli previsti, che venivano stimati intorno alle 400 presenze di aziende. «Stiamo lavorando – spiega Cartabel-lotta – ad una perfetta complementa-rietà delle attività che si svolgeranno all’interno del Cluster, che vorranno essere la visione della Sicilia e dei suoi territori, ma anche l’integrazione con quei popoli che hanno fatto la storia della nostra Isola e ne sono stati gli ar-tefici. Penso al Libano, i vecchi Fenici. La loro presenza è importantissima nel-la nostra tradizione ed i segni del loro passaggio sono presenti anche oggi da noi, come Mozia, la tonnara di San Vito Lo Capo, Soluto. Faremo un doppio per-corso: identità per noi, integrazione per loro».I lavori del padiglione sono a buon pun-to: «I lavori all’esterno sono in dirittura di arrivo – spiega Cartabellotta -. All’in-terno stanno per iniziare i montaggi dei chiostri, si attendono i forni e poi la zona che sarà dedicata al mercato».

Le zone che non saranno utilizzate sa-ranno riassegnate agli incontri B2b: «La vera novità di questo cluster – spie-ga Cartabellotta - . Il nostro obiettivo è fare in modo che l’Expo si trasformi in export. Cercheremo di assegnare alle aziende un potenziale cliente ed al cliente faremo in modo di fargli trova-re quello che cerca». Per fare questo, il Cluster ha preparato un’apposita piattaforma online, dove saranno “in-crociati” i clienti con le aziende: «Se qualcuno cerca passito, non ha senso fargli fare incontri con chi non lo pro-duce. Perde tempo l’azienda ed anche il cliente, che magari si scoccia. Ecco perché questo lavoro preliminare è fon-damentale«. Ma gli incontri b2b, non saranno incontri “immateriali”. «Asso-lutamente no – spiega Cartabellotta – e su questo punto sono stato molto chia-ro. E ritengo che sarà il nostro punto di forza. Negli incontri B2b, come fossimo in un vero mercato, le aziende faranno assaggiare i loro prodotti, bere i loro vini, così da poter vedere e sentire cosa la nostra Isola sta proponendo in que-

sta esposizione». La responsabilità del Cluster non preoccupa Cartabellotta: «Sono in questo campo da oltre 20 anni -. Ho captato questa occasione della Bio-diversità e credo che far partecipa-re le nostre aziende a questo evento sia una delle soddisfazioni più grandi della mia vita. Certo, errori se ne possono commettere, ma chi non ne fa?»I cluster sono studiati per i aiutare i pa-esi in via di sviluppo, ma Cartabellotta su questo frena: «La Sicilia non deve essere vista come un paese arretrato che va aiutato per far sviluppare la sua economia – dice -. Chi dice questo, for-se, prima di parlare dovrebbe studiare un po’. La Sicilia, con la sua storia, è la sfida più avvincente. La definizione di Brand Mediterraneo, che non riguarda solo i paesi del Cluster, ma altri, come la Francia, la Spagna, Cipro, il Marocco, la Croazia, solo per citarne alcuni, è quella che attira di più. Ed i numeri sono dalla nostra parte. E poi, per fare una citazio-ne enologica, nel brand Mediterraneo, la Sicilia è il gran cru dell’eccellenza».

G. V.

Bio-MediterraneoAl cluster anche eventi "b2b"un sistema on line organizzerà gli incontri specificicon le aziende presenti all'interno del padiglione

Dario Cartabellotta