Il rendiconto di gestione 2014 di SIAE evidenzia debiti ... · cinque mesi mancanti dovrebbero...

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torna al sommario 1 MAGAZINE n.118 / 15 23 SETTEMBRE 2015 Scandalo VW: l’elettronica che sa mentire Il mondo si indigna per lo scandalo che ha investito Volkswagen in questi giorni: proprio loro, i rigorosi tedeschi, beccati nel “taroccare” le centraline elettroniche per far ottenere presta- zioni eccellenti nei benchmark e nei controlli ad autovetture che evidentemente così eccellenti non sono. Al di là degli evidenti interessi in gioco nella specifica vicenda e della chiara volontà degli informatori americani nell’affossare il motore diesel, nel quale al di là dell’oceano non hanno né tradizione né eccellenze, quello che emerge è che il controllo digitale ed elettronico permette una “programmabilità” che, se usata dolosamente, è in grado di aggirare test e benchmark. Davvero niente di nuovo per chi vive il mercato dell’elettronica di consumo: da molti anni, anche da prima dell’avvento dell’elettroni- ca digitale programmabile, i progettisti realizza- no apparecchi pensati (anche) per ben figurare sotto test, a prescindere dalle reali prestazioni nell’uso di tutti i giorni. O addirittura si inventano condizioni particolarissime in cui fare i test per ottenere risultati, o più che altro numeri, che ben poco hanno a che spartire con la realtà. Fu il caso, diversi anni fa, della potenza degli amplificatori: contavano solo i watt e bastava sparare un numero grande a piacere per risultare commercialmente vincenti; anzi, chi non lo faceva, rischiava di essere scartato dal mercato, malgrado prodotti spesso eccellenti. Così sono nati e si sono diffusi i watt DIN e poi addirittura i watt PMPO o i watt musicali, valori non confrontabili tra loro e ovviamente in crescita esponenziale rispetto ai watt “veri”; e ancora misure fatte solo a 1 KHz e non su tutto lo spettro o con distorsioni ammesse anche del 10%. Sempre ammesso che le dichiarazioni delle aziende, poi, corrispondessero a vere e proprie misure e fossero fedeli ai numeri in esse ottenuti. Più avanti arrivarono le follie relative ai rapporti di contrasto dei TV e alle mille metodologie di misurazione inventate per ottenere numeri da favola su display che a occhio nudo apparivano irrimediabilmente sbiaditi. I circuiti “speciali” inseriti solo nel momento della misurazione, i comportamenti “dinamici” delle elettroniche, le metodologie on/off e così via: migliaia di stratagemmi per ottenere contrasti da 1.000.000:1 su TV che forse arrivavano a 1000:1, se aiutati. E questo non fatto dai marchi di serie B ma da tutti i principali produttori, compresi di irreprensibili giapponesi e i potenti coreani. Lo stesso dicasi per il comportamento dei TV con i principali segnali test: per anni i produttori di TV hanno richiesto alle redazioni tecniche - anche a noi - informazioni sulle metodologie di prova e sui segnali test utilizzati; guarda caso una o due generazioni dopo arrivavano TV magari non così belli ma che su quei segnali test fornivano prestazioni eccellenti: semplicemente era stato aggiunto un sistema di riconoscimento del segnale test con corrispondente modifica del comportamento dell’elettronica per ovviare temporaneamente al problema. Né più né meno di quanto ha fatto Volkswagen con le sue centraline. Negli ultimi anni abbiamo assistito poi, tra le altre cose, all’adattamento di alcuni smartphone Android ai principali benchmark: processori e software che “pompano” artatamente le presta- zioni, noncuranti dei consumi di batteria, quando riconoscono l’esecuzione del benchmark per poi ritornare a performance ben meno entusiasman- ti nella vita di tutti i giorni, nella quale la durata della batteria conta. Vinilmania: ecco come nasce un disco 33 giri Visita alla Phono Press di Settala L’unica azienda italiana che ancora stampa dischi “alla vecchia maniera” LG OLED 55EG960 È il TV del futuro? In prova il primo OLED di LG con pannello Ultra HD Enjoy: “Noi italiani più creativi, anche nel car sharing” Renzi vuole colpire i big del web: “Dal 2017 la Digital Tax” 04 23 SIAE raddoppia la copia privata: oltre120 milioni 02 35 38 05 IOS 9: ecco perché conviene aggiornare Huawei Mate S Salto di qualità Roomba 980 il robot “smart” Il nuovo iRobot si connette alla rete Wi-Fi, mappa tutta la casa e si comanda (anche) con un’app 26 32 E così via, fino alle auto-certificazioni relative alle classi energetiche degli elettrodomestici: gli apparecchi in classe “A+++ -50%” oramai si sprecano e viene davvero il sospetto che queste certificazioni vengano auto-erogate con troppa facilità e qualche trucco di troppo; addirittura con il rischio che il progetto del prodotto venga cali- brato più per rispondere alla procedura formale di misura della classe energetica che per essere davvero efficiente ed efficace nella vita reale. Insomma, di “centraline taroccate” nel mondo dell’elettronica di consumo ce ne sono centinaia di milioni, forse miliardi, ben più degli 11 milioni di veicoli Volkswagen coinvolti dallo scandalo che scalda le pagine dei giornali di questi giorni. Il caso Volkswagen, con il suo clamore mediatico, dovrebbe mettere in guardia anche i colossi dell’elettronica: in certi mercati, quello USA soprattutto, la “falsa testimonianza” sui dati di targa, quando diventa conclamata e occupa le prime pagine dei giornali, è ritenuta dolo grave e viene punita prima dalla borsa, che reagisce in pochi minuti, e poi, nei mesi a seguire, anche dai consumatori. Con il danno collaterale ma non trascurabile di far percepire all’opinione pubblica l’elettronica come strumento destinato principalmente a “taroccare” le prestazioni. Va detto chiaramente: il rischio dell’esplosione di una bolla “dati taroccati” nell’elettronica di consumo c’è ed è probabilmente più rilevante di quanto non si pensi: il necessario richiamo alla “moralità” ai produttori è doveroso, anche se probabilmente destinato a cadere nel vuoto. Da parte nostra, continueremo a fare le misure degli apparecchi, applicando i principali benchmark come supporto ai nostri test; ma non smettere- mo di chiedere ai nostri lettori di fidarsi soprattut- to della nostra esperienza e del nostro “fiuto” da utenti esperti: certi numeri, per mille motivi, non sono (più) buoni indicatori della realtà. Gianfranco GIARDINA IN PROVA

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MAGAZINEn.118 / 1523 SETTEMBRE 2015

Scandalo VW: l’elettronica che sa mentire Il mondo si indigna per lo scandalo che ha investito Volkswagen in questi giorni: proprio loro, i rigorosi tedeschi, beccati nel “taroccare” le centraline elettroniche per far ottenere presta-zioni eccellenti nei benchmark e nei controlli ad autovetture che evidentemente così eccellenti non sono. Al di là degli evidenti interessi in gioco nella specifica vicenda e della chiara volontà degli informatori americani nell’affossare il motore diesel, nel quale al di là dell’oceano non hanno né tradizione né eccellenze, quello che emerge è che il controllo digitale ed elettronico permette una “programmabilità” che, se usata dolosamente, è in grado di aggirare test e benchmark. Davvero niente di nuovo per chi vive il mercato dell’elettronica di consumo: da molti anni, anche da prima dell’avvento dell’elettroni-ca digitale programmabile, i progettisti realizza-no apparecchi pensati (anche) per ben figurare sotto test, a prescindere dalle reali prestazioni nell’uso di tutti i giorni. O addirittura si inventano condizioni particolarissime in cui fare i test per ottenere risultati, o più che altro numeri, che ben poco hanno a che spartire con la realtà.

Fu il caso, diversi anni fa, della potenza degli amplificatori: contavano solo i watt e bastava sparare un numero grande a piacere per risultare commercialmente vincenti; anzi, chi non lo faceva, rischiava di essere scartato dal mercato, malgrado prodotti spesso eccellenti. Così sono nati e si sono diffusi i watt DIN e poi addirittura i watt PMPO o i watt musicali, valori non confrontabili tra loro e ovviamente in crescita esponenziale rispetto ai watt “veri”; e ancora misure fatte solo a 1 KHz e non su tutto lo spettro o con distorsioni ammesse anche del 10%. Sempre ammesso che le dichiarazioni delle aziende, poi, corrispondessero a vere e proprie misure e fossero fedeli ai numeri in esse ottenuti.

Più avanti arrivarono le follie relative ai rapporti di contrasto dei TV e alle mille metodologie di misurazione inventate per ottenere numeri da favola su display che a occhio nudo apparivano irrimediabilmente sbiaditi. I circuiti “speciali” inseriti solo nel momento della misurazione, i comportamenti “dinamici” delle elettroniche, le metodologie on/off e così via: migliaia di stratagemmi per ottenere contrasti da 1.000.000:1 su TV che forse arrivavano a 1000:1, se aiutati. E questo non fatto dai marchi di serie B ma da tutti i principali produttori, compresi di irreprensibili giapponesi e i potenti coreani. Lo stesso dicasi per il comportamento dei TV con i principali segnali test: per anni i produttori di TV hanno richiesto alle redazioni tecniche - anche a noi - informazioni sulle metodologie di prova e sui segnali test utilizzati; guarda caso una o due generazioni dopo arrivavano TV magari non così belli ma che su quei segnali test fornivano prestazioni eccellenti: semplicemente era stato aggiunto un sistema di riconoscimento del segnale test con corrispondente modifica del comportamento dell’elettronica per ovviare temporaneamente al problema. Né più né meno di quanto ha fatto Volkswagen con le sue centraline.

Negli ultimi anni abbiamo assistito poi, tra le altre cose, all’adattamento di alcuni smartphone Android ai principali benchmark: processori e software che “pompano” artatamente le presta-zioni, noncuranti dei consumi di batteria, quando riconoscono l’esecuzione del benchmark per poi ritornare a performance ben meno entusiasman-ti nella vita di tutti i giorni, nella quale la durata della batteria conta.

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E così via, fino alle auto-certificazioni relative alle classi energetiche degli elettrodomestici: gli apparecchi in classe “A+++ -50%” oramai si sprecano e viene davvero il sospetto che queste certificazioni vengano auto-erogate con troppa facilità e qualche trucco di troppo; addirittura con il rischio che il progetto del prodotto venga cali-brato più per rispondere alla procedura formale di misura della classe energetica che per essere davvero efficiente ed efficace nella vita reale.

Insomma, di “centraline taroccate” nel mondo dell’elettronica di consumo ce ne sono centinaia di milioni, forse miliardi, ben più degli 11 milioni di veicoli Volkswagen coinvolti dallo scandalo che scalda le pagine dei giornali di questi giorni. Il caso Volkswagen, con il suo clamore mediatico, dovrebbe mettere in guardia anche i colossi dell’elettronica: in certi mercati, quello USA soprattutto, la “falsa testimonianza” sui dati di targa, quando diventa conclamata e occupa le prime pagine dei giornali, è ritenuta dolo grave

e viene punita prima dalla borsa, che reagisce in pochi minuti, e poi, nei mesi a seguire, anche dai consumatori. Con il danno collaterale ma non trascurabile di far percepire all’opinione pubblica l’elettronica come strumento destinato principalmente a “taroccare” le prestazioni.

Va detto chiaramente: il rischio dell’esplosione di una bolla “dati taroccati” nell’elettronica di consumo c’è ed è probabilmente più rilevante di quanto non si pensi: il necessario richiamo alla “moralità” ai produttori è doveroso, anche se probabilmente destinato a cadere nel vuoto. Da parte nostra, continueremo a fare le misure degli apparecchi, applicando i principali benchmark come supporto ai nostri test; ma non smettere-mo di chiedere ai nostri lettori di fidarsi soprattut-to della nostra esperienza e del nostro “fiuto” da utenti esperti: certi numeri, per mille motivi, non sono (più) buoni indicatori della realtà.

Gianfranco GIARDINA

IN PROVA

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MAGAZINEn.118 / 1523 SETTEMBRE 2015

MERCATO Il rendiconto di gestione 2014 di SIAE evidenzia debiti verso gli aventi diritto stabilmente sopra i 900 milioni di euro

SIAE deve quasi un miliardo agli aventi diritto La Copia Privata raddoppia: oltre i 120 milioniLa chiusura del rendiconto SIAE è in leggero attivo solo grazie agli interessi maturati sul capitale non ancora distribuito

di Gianfranco GIARDINA

Stiamo andando verso un netto raddoppio dei com-

pensi per copia privata raccolti dalla SIAE, anche ben

oltre le previsioni della stessa SIAE. A poco più di un

anno dall’introduzione delle nuove (e fortemente au-

mentate) tariffe del compenso per copia privata, e a

pochi giorni dalla pubblicazione del rendiconto di ge-

stione SIAE 2014, è ora di tracciare qualche bilancio.

La questione può sembrare puramente tecnica e per

addetti ai lavori: lo è, per quello che riguarda i grandi

interessi ad essa collegati. Ma il fatto che a pagare

siano, più o meno consapevolmente, i cittadini, ne fa

una questione di forte interesse pubblico: milioni e

milioni che escono dalle tasche degli utenti di tecno-

logia completamente a prescindere dal fatto che, con

i loro apparecchi, facciano uso o meno di contenuti

tutelati da diritto d’autore. Lo scorso anno abbiamo

pubblicato una corposa inchiesta sulla copia privata

e in particolare su quello che succede ai compensi,

decine di milioni di euro, dopo la raccolta: criteri e

tempi di ridistribuzione e dinamiche, anche finanzia-

re connesse. I percorsi e le logiche di ridistribuzione

sono occhio e croce gli stessi; quello che è cambiato

pesantemente è l’ammontare dei compensi, istituti

con il “decreto Franceschini” a luglio del 2014.

Di seguito i compensi per copia privata (valori al netto

di IVA) applicati dallo scorso anno su alcuni dei prin-

cipali prodotti:

Smartphone (32 GB o più) 5,20 €

TV con funzione PVR 4,00 €

PC fissi o portatili 5,20 €

Hard disk 1 TB 20 €

Qui la lista integrale di tutti i compensi

Come previsto, la raccolta per “copia privata” raddoppiaLe nuove tariffe, seppur con un mercato dell’elettronica

pressoché fermo, stanno portando introiti doppi nelle

casse della SIAE: già nel bilancio preventivo 2015 SIAE

aveva previsto un netto incremento, con una raccolta

stimata di 117,5 milioni di euro contro i 67,1 milioni del

bilancio 2013, l’ultimo che non tenesse conto delle

modifiche delle tariffe introdotte con il decreto Fran-

ceschini. In realtà, la situazione a consuntivo sarà an-

cora più rosea per gli aventi diritto: SIAE stessa stima

di andare oltre il proprio preventivo raggiungendo e

probabilmente superando i 120 milioni di euro. Que-

sta previsione è decisamente realistica: infatti SIAE,

secondo i dati che la Società stessa ci ha rivelato, ha

già messo a segno incassi sul fronte copia privata per

ben 80 milioni di euro nel periodo gennaio-luglio 2015,

con una media, quindi, di quasi 11,5 milioni al mese. I

cinque mesi mancanti dovrebbero portare quindi nelle

casse SIAE più o meno altri 50 milioni di euro e più,

con un raccolta lorda per copia privata che potrebbe

quindi attestarsi intorno ai 130 milioni. Proprio il doppio

di quanto raccolto nell’ultimo anno di vecchie tariffe:

non sbagliavamo, quindi, quando, più di un anno fa par-

lavamo di “prelievo doppio” in virtù delle tariffe fissate

dal Ministro Franceschini. Il valore di raccolta per copia

privata riportato nel rendiconto di gestione 2014 della

SIAE, pari a 77,8 milioni, non risente interamente del-

l’aumento delle tariffe: queste sono entrate in vigore

nel luglio scorso; le dichiarazioni dei produttori/impor-

tatori sono trimestrali; poi, con normali tempi ammini-

strativi SIAE emette le fatture corrispondenti e queste,

con normali tempi contabili, vengono saldate. Questo

ha fatto sì che solo gli ultimissimi pagamenti dell’anno

si riferissero alle nuove tariffe.

L’andamento della raccolta per copia privata degli ulti-

mi anni è indicato nel grafico qui riportato:

Un andamento il cui trend è in fortecrescita, malgrado

la raccolta 2015 sia probabilmente sottostimata: mai,

neanche negli anni in cui gli utenti facevano realmen-

te un po’ di copia per uso privato, la raccolta aveva su-

perato gli 85 milioni di euro. Che lo faccia, sfondando

e andando ben oltre quota 100 milioni, ora che farsi

una copia privata (e legale) di un contenuto è quasi

impossibile, oltre che inutile, è un fatto decisamente

notevole e che evidenzia tutte le fragilità del decreto

Franceschini.

SIAE vive dei “propri interessi”Il rendiconto di gestione 2014, pubblicato da qualche

giorno, dà una fotografia generale della SIAE presso-

ché analoga a quelle degli ultimi anni: la Società degli

Autori ed Editori sarebbe in grave deficit se non aves-

se i proventi finanziari, ovverosia le rendite del capita-

le investito in banche, fondi, obbligazioni e titoli. Infatti

il margine operativo di SIAE vede un rosso di quasi

27 milioni di euro, stabile rispetto allo scorso anno:

la società perde quindi stabilmente diverse decine di

milioni di euro nella sua gestione tipica, l’intermedia-

zione di diritti. E aggiunge poi altre perdite per attivi-

tà straordinarie. SIAE nel corso del 2014 ha ottenuto

una remunerazione finanziaria dei fondi investiti pari

al 3,27%, un tasso che molti italiani vorrebbero poter

avere sui propri risparmi. Questo ha fruttato interessi

Cosa sono i compensi per copia privataPer chi non lo sapesse, la copia privata è il diritto che un consumatore ha di copiare un contenuto legittima-mente acquistato (e quindi tassativamente non pirata) su altri dispositivi di sua proprietà. I contenuti copiati non possono essere ceduti a terzi a nessun titolo, anche non oneroso. Per poter avere questo diritto (che però è sempre più difficile esercitare perché può essere svolto solo nel rispetto delle misure di protezione anticopia) il consumatore è tenuto al pagamento di un compenso che grava non sui contenuti stessi (almeno quelli copiabili) ma su supporti e apparecchi. Per semplicità di gestione, il compenso viene versato a SIAE da chi importa o produce i prodotti assoggettati, che poi carica quest’onere sulla filiera a valle (con incremento di IVA e margine del canale distributivo) fino ad arrivare a consumatore finale. SIAE si occupa, oltre che della raccolta, anche della ridistribuzione di questi compensi, sottratti i propri costi, seguendo alcune indicazioni di legge (per esempio sulle percentuali tra diverse categorie di aventi diritto) e stabilendo autonomamente altri parametri di ripartizione (come per esempio l’incidenza di quota audio e di quota video e così via).

segue a pagina 03

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MAGAZINEn.118 / 1523 SETTEMBRE 2015

attivi per oltre 35 milioni di euro ai quali vanno somma-

ti altri 5 generati da plusvalenze su vendite di titoli in

portafoglio. Più di 40 milioni che raddrizzano ancora

una volta il bilancio SIAE, che posta nel 2014 un utile

prima delle tasse di circa 5 milioni (3,5 dopo le tas-

se). Senza proventi finanziari staremmo parlando di un

passivo di 35 milioni capace di spingere SIAE verso

l’ennesimo commissariamento.

Il baco dei “debiti verso aventi diritto”Ma come fa SIAE a realizzare proventi finanziari così

cospicui? Ovverosia, dove prende il capitale che in-

veste e che ha fruttato 40 milioni nel 2014? Semplice,

il capitale investito, in larga parte, non è di SIAE ma

degli “aventi diritto” e si compone principalmente di

diritti d’autore prelevati e in attesa di ridistribuzione.

La cifra “monstre” dei debiti verso gli aventi diritto ha

oramai stabilmente superato i 900 milioni di euro at-

testandosi nel 2014 a 912 milioni di euro; di questi 147

fanno capo alla gestione della copia privata: tenuto

conto della raccolta media delle ultime gestioni, si

tratta di una cifra in attesa di distribuzione pari a oltre

due anni di raccolta. Di certo ci sono motivi “tecnici”

per questi ritardi, oltre che molti accantonamenti lega-

ti a ricorsi vari e che sarà possibile sbloccare solo più

avanti. E se nell’ultimo anno i debiti verso gli aventi di-

ritto per i diritti d’autore “tradizionali” sono un po’ sa-

liti, va riconosciuto a SIAE di aver leggermente ridotto

quelli relativi alla copia privata, scesi di circa 4 milioni

(il 2,6%); da circa quattro anni, in ogni caso, i debiti per

copia privata si mantengono nell’intorno dei 140-150

milioni, come si può vedere nel grafico qui sotto:

I debiti totali verso gli aventi diritto, che comprendono

al proprio interno anche quelli per copia privata, hanno

avuto un andamento pressoché piatto, come si vede

in questo grafico che mostra sia quelli derivanti dalla

gestione della copia privata che quelli della gestione

dei diritti d’autore primari.

Si tratta in pratica di un valore che sfiora il miliardo di

euro e che si ritrova pressoché intatto nell’attivo di

bilancio in investimenti in fondi, titoli e disponibilità

liquide. Da SIAE ci fanno sapere che sono stati fatti

pagamenti in capo alla copia privata per oltre 100 mi-

lioni nel corso dell’anno, ma evidentemente i proventi,

aumentati più che proporzionalmente, hanno tenuto

stabili i debiti verso terzi. Con il previsto raddoppio

degli introiti da copia privata, è presumibile pensare

che a regime, cioè in un paio d’anni, possano raddop-

piare anche i circa 150 milioni debiti di SIAE verso gli

aventi diritto, portando il livello di indebitamento verso

gli aventi diritto di SIAE a sfondare il tetto del miliar-

do di euro. Questo vuol dire per SIAE poter contare

su proventi ancora più alti in interessi attivi: nel corso

del 2014, i 147 milioni di debiti verso aventi diritto per

copia privata, hanno reso quasi 5 milioni di interessi,

stando al rendimento medio ottenuto da SIAE; un valo-

re, che – come dicevamo – non potrà che raddoppia-

re, a meno che SIAE non snellisca e acceleri le proprie

procedure di contabilizzazione e ridistribuzione, che

evidentemente – lo dicono i numeri – sono ancora

molto lente. Sicuramente più lente delle procedure di

incasso: i crediti riferibili alla copia privata a fine 2014

non arrivano al milione di euro, lo 0,65% dei corrispon-

denti debiti verso gli aventi diritto. Insomma, una SIAE

che sembra veloce a incassare, con crediti pendenti

inferiori all’1% della raccolta, ma molto più lenta nel ri-

distribuire, con debiti verso gli aventi diritto al 200%

della raccolta.

I costi di SIAE sulla copia privata Spese a piè di lista, ma costanti con l’aumento della raccoltaOltre a fare propri i chiari vantaggi finanziari derivanti

dalla permanenza per un paio d’anni dei proventi per

copia privata nelle proprie casse, la SIAE applica una

trattenuta sulla raccolta che rimborso dei propri costi.

La trattenuta viene fatta in via preventiva su base for-

fettaria, con un prelievo intorno al 6% per l’anno 2014

(circa 4 milioni e 600mila euro), ammontare che co-

munque viene poi conguagliato sulla base dei costi

realmente sostenuti per la gestione della copia priva-

ta. Infatti in SIAE esiste – ci dicono dall’amministrazio-

ne - una precisa contabilità analitica relativa alla sola

copia privata, che poi determina a piè di lista, quale

sarà il costo che SIAE tratterrà sui proventi lordi. Da

SIAE ci spiegano che le nuove tariffe introdotte dal

decreto Franceschini portano a un raddoppio degli

introiti pur senza incidere considerevolmente sui costi

assoluti di raccolta, che restano sostanzialmente gli

stessi. Per questo SIAE prevede che, una volta andati

a regime i nuovi livelli di tariffazione, i costi di gestione

di SIAE possano attestarsi su una media del 3% del-

la raccolta lorda e non più del 6%, mantenendosi a

livello assoluto sempre intorno ai 5 milioni di euro. Un

atteggiamento corretto quello di SIAE nell’applicazio-

ne dei propri costi, che quindi non dovrebbero salire

con il raddoppio del prelievo, seppur la logica del “piè

di lista” a consuntivo non stimoli certo la società ad

attivare comportamenti virtuosi e di maggior efficien-

za. Viene da chiedersi, piuttosto, perché la contabilità

separata che SIAE ha già in casa relativa alla copia pri-

vata non possa essere resa pubblica: da SIAE ci fanno

sapere che non sussiste alcun obbligo, né di legge né

statutario, legato alla pubblicazione della contabilità

separata per i compensi da copia privata (c’è invece

per altre fattispecie, come per esempio, la bollinatura

dei supporti). Considerato che parte dei proventi per

copia privata che SIAE intermedia sono destinati a en-

tità terze e scollegate da SIAE stessa (come Univideo,

Nuovo Imaie, Fimi e così via), la pubblicazione della

contabilità separata della copia privata sarebbe un ge-

sto di trasparenza sicuramente apprezzabile.

Le restituzioni per gli usi professionali Non si sa a quanto ammontanoFino allo scorso anno SIAE ha sempre messo a bilancio

come voce separata la consistenza di un fondo rischi

per le restituzioni per usi professionali dei compensi

per copia privata. Questo fondo, con l’analisi degli in-

crementi e dei decrementi, permetteva di stimare con

buona approssimazione l’ammontare delle richieste

di rimborso da parte di utilizzatori professionali che,

a norma di legge, non devono essere assoggettati ai

compensi per copia privata. La SIAE negli anni scor-

si ha aumentato considerevolmente l’ammontare del

fondo e di conseguenza anche dei proventi da copia

privata trattenuti in attesa di eventuali richieste di rim-

borso, che ammontano a fine 2014 a oltre 25 milioni

di euro. I corrispondenti rimborsi per usi professionali,

secondo le nostre stime dello scorso anno, erano però

decisamente contenuti, sotto il milione di euro all’an-

no. In quest’ottica le cifre accantonate da SIAE appaio-

no quantomeno sovradimensionate.

Nel rendiconto di gestione 2014, SIAE ha modificato

la classificazione di bilancio di questo aspetto, azze-

rando il fondo rischi per restituzioni usi professionali e

annegandolo in un fondo rischi vari non meglio detta-

gliato, rendendo di fatto impossibile anche la stima da

parte nostra delle effettive restituzioni per usi profes-

sionali sulla base dei dati di bilancio. L’amministrazione

di SIAE, da noi interpellata, non è stata in grado per le

vie brevi di comunicarci l’ammontare delle restituzio-

ni per usi professionali, ma non è da escludere che il

dato ci venga comunicato: nel caso ne daremo imme-

diata notizia.

Il dibattito sulla copia privata resti aperto e venga resa pubblica la contabilità separataL’anno prossimo i conti SIAE vivranno un momento di

forte discontinuità perché andranno a regime le nuove

tariffe dei compensi per copia privata: e proprio la co-

pia privata, ipotizzando il resto della raccolta dei diritti

d’autore sostanzialmente stabile, finirà per pesare per

circa il 20% del totale dei diritti intermediati da SIAE.

Una cifra importante, con una pletora di aventi diritto in

cascata in uno o due passaggi successivi, che muove

molti interessi e che meriterebbe – come abbiamo det-

to – la pubblicazione della contabilità separata.

Qualche perplessità invece la desta l’industria del-

l’hardware: tanta comunicazione fatta nei periodi su-

bito precedenti all’approvazione dei nuovi compensi

segue a pagina 04

MERCATO

SIAE: rendiconto 2015segue Da pagina 02

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MAGAZINEn.118 / 1523 SETTEMBRE 2015

per copia privata si è trasformata, ancora una volta,

in un assordante silenzio. Eppure le argomentazioni

sollevate dall’industria per osteggiare un aumento dei

compensi sono ancora valide e sostenibili; e, ora che

i consumatori pagano (quasi sempre senza saperlo) i

nuovi compensi, lo sdegno dei produttori sembra es-

sere sparito. Allo stesso modo stupisce non vedere più

attive le associazioni dei consumatori: sull’argomento

non tornano più, anche se le storture del nuovo regime

tariffario a confronto con la continua evoluzione dello

scenario tecnologico verso lo streaming audio e video

(ora arriva anche Netlix) sono sotto gli occhi di tutti. Il

tavolo di lavoro congiunto tra SIAE e le associazioni

dei consumatori (Federconsumatori prima e Adusbef

dopo) tanto pomposamente annunciato quasi un anno

fa come un’apertura verso la trasparenza della gestio-

MERCATO

SIAE: rendiconto 2015segue Da pagina 03

ne della copia privata, non sembrano

aver prodotto alcunché, ammesso

che siano mai stati convocati. Lo

stesso dicasi per il tavolo comune

tra SIAE e AIRES, l’associazione dei

retailer, anch’esso oggetto di annun-

ci e comunicati stampa: non si hanno

tracce di alcun lavoro su questo fron-

te. Noi continueremo, anche se quasi

da soli, con pacatezza e il consueto

rigore, a informare sullo stato dei

prelievi per copia privata: 120 milioni

di euro, due euro a testa all’anno per

ogni cittadino, neonati e anziani com-

presi, che gli italiani stanno pagando

senza saperlo per avere un diritto

che in larghissima parte non esercita-

no. E che, anche se volessero, quasi

sempre non potrebbero esercitare.

Un momento della firma dell’accordo tra Rosario Trefiletti di Federconsumatori e Gino Paoli, allora Presidente di SIAE.

MERCATO Le multinazionali che fanno utili in Italia dovranno pagare le tasse nel nostro Paese

Renzi: “Dal 2017 in Italia la Digital Tax” Stangata in arrivo per i colossi del webL’Europa potrebbe però anticipare tutti con una soluzione già entro il prossimo anno

di Roberto PEZZALI

L e multinazionali devono pagare

le tasse dove fanno gli utili. Una

frase sentita tante volte in relazio-

ne al delicatissimo tema dell’elusione

fiscale, e a quanto pare finalmente ci

si avvia verso una soluzione. Soluzio-

ne che potrebbe essere europea, se

l’Europa farà in fretta, oppure italiana. Il

presidente del Consiglio Renzi ha infatti

annunciato l’arrivo dal 1 gennaio 2017

di una nuova “Digital Tax” che andrà a

colpire le multinazionali che, sfruttando

l’attuale legislazione, spostano i guada-

gni all’interno di paradisi fiscali evitando

di pagarle nei paesi dove la tassazione

è più elevata.

“I grandi player dell’economia digitale e

mondiale, che per me sono dei miti, per-

ché Apple è bellissima e Google è bel-

lissima – ha dichiarato Renzi - hanno un

sistema che gli permette di non pagare

le tasse nei luoghi dove fanno business.

Stiamo aspettando da due anni che ci

sia una legge europea e attenderemo

anche tutto il primo semestre del 2016,

ma dal 2017 immaginiamo una Digital

Tax che vada a far pagare le tasse nei

luoghi dove fanno business. Non si arri-

verà a cifre straordinarie e non baste-

ranno a risollevare l’economia, ma la

Digital Tax è una questione di giustizia”

Difficile capire quale soluzione vor-

rà adottare il Governo, anche perché

Renzi parla di una soluzioone tutta

nuova: viene in mente la proposta di

legge presentata qualche mese fa alla

Camera dai deputati di Scelta Civica

Giuseppe Quintarelli e Giulio Cesare

Sottanelli, che prevede una ritenuta alla

fonte del 25% sulle transizioni digitali

e il recupero di circa 2/3 miliardi sulla

base di 11 miliardi di imponibile. L’Italia

ha provato più volte a introdurre una

sorta di regolamentazione fiscale per

multinazionali come Amazon e Apple,

ma tutte le volte le proposte sono state

respinte in quanto il tema sarebbe da

affrontare a livello europeo: il deputa-

to del PD Francesco Boccia aveva ad

esempio presentato un emendamento

alla legge di Stabilità per la reintrodu-

zione dell’obbligo di partita iva per chi

vende servizi pubblicitari in Italia, emen-

damento poi respinto.

Ora, Europa o non Europa, la Digital Tax

si farà, anche se uno dei grossi bersagli

europei ha pensato bene di adeguarsi

prima di essere colpita. Amazon, più

volte al centro di indagini per questioni

legate proprio all’elusione fiscale, dal

1 maggio 2015 ha infatti aperto partita

iva italiana e ha iniziato a pagare tutte le

tasse sui beni venduti tramite i suoi sto-

re di e-commerce, emettendo regolare

fattura italiana.

Apple acquisisce Mapsense per mappare i big dataApple fa ancora parlare di sé per l’acquisizione di Mapsense, una startup di San Francisco che si occupa di fornire strumenti di sviluppo per elaborare big data geolocalizzati provenienti da varie fonti, aggregan-doli e rendendoli visivamente fruibili su mappe. Secondo indiscrezioni, Apple avrebbe sborsato una cifra tra i 25 e i 30 milioni di dollari per portare nel proprio quartier generale il team di 12 esperti guidati dall’ingegnere Erez Cohen, fondatore di Mapsense.La piattaforma di sviluppo cloud based rilasciata da Mapsense lo scorso maggio aveva subito attratto l’interesse di clienti in vari ambiti tra cui quello finanziario, governativo e naturalmente pubblicitario, anno-verando nella lista anche aziende della Fortune 500, la classifica stilata dalla nota rivista che include le 500 maggiori imprese statunitensi per fatturato. Siamo ormai abituati ad acquisizioni del genere da parte delle big company, che sfruttano le poten-zialità della open innovation per far proprie idee e competenze esterne al fine di ottenere rapidamente un vantaggio competitivo. Ma nel caso di Apple, probabilmente, si sta cercando di colmare il ritardo accumulato sui servizi di geolocalizzazione rispetto alla concorrenza.

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MAGAZINEn.118 / 1523 SETTEMBRE 2015

MERCATO Faccia a faccia con Giuseppe Macchia, il manager ENI a capo di Enjoy, il servizio italiano di car sharing delle “500 rosse”

Enjoy: “Italiani più creativi, anche nel car sharing”Un’attività a regime dopo meno di due anni dal lancio, che sta aumentando gli investimenti e progettando una crescita continua

di Gianfranco GIARDINA

P rosegue il viaggio di DDay.it nel mondo del car

sharing, l’esempio più lampante e rivoluzionario

di come si possano combinare, potenziandole,

alcune tecnologie che – prese a se stanti – diamo ora-

mai per scontate: la geolocalizzazione, il telecontrollo,

l’accesso dati in mobilità, il tutto tenuto assieme e po-

tenziato dagli smartphone e dalle app. Non a caso, a

due anni dalla sua introduzione, il car sharing è entrato

prepotentemente nelle abitudini degli abitanti delle cit-

tà coperte ed è senza dubbio la fattispecie di “sharing

economy” più popolare e di successo.

Dopo aver incontrato Gianni Martino, amministratore

delegato di Car2Go, il primo player ad aver lanciato il

servizio, abbiamo intervistato Giuseppe Macchia, Vice

President Smart Mobility di Eni, praticamente il “capo”

di Enjoy. Con lui abbiamo trattato una serie di temi

come la sostenibilità del servizio e le sue prospettive,

senza evitare le questioni legate alle recenti polemiche

sul “caso Milano”.

DDay.it: Come sta andando? Possiamo trarre qualche bilancio dopo quasi due anni dal lancio?Giuseppe Macchia: “A me piace parlare utilizzando

i numeri, perché sono dati inequivocabili e oggettivi,

sui quali non si possono fare troppo voli pindarici. Da

non più di mezz’ora (10 settembre 2015, momento del-

l’intervista, ndr), abbiamo superato i 200mila iscritti a

Milano e stiamo per raggiungere i 350mila complessi-

vi. Tutto questo in soli 20 mesi di attività su Milano, uni-

ca città già a regime; dopo aver aperto Roma a giugno

2014, che sta andando a regime; e poi con altre due

città, Firenze a novembre 2014 e poi Torino ad aprile di

quest’anno, che sono ancora in fase di lancio. Credo

che si tratti di numeri letteralmente impressionanti e

credo non possiamo che esserne molto contenti”.

DDay.it: Di questi 350mila iscritti, quanti sono attivi, ovverosia hanno già fatto dei noleggi?Macchia: “Stiamo parlando di oltre il 75%, quindi un nu-

mero molto elevato. Se una persona si iscrive a un ser-

vizio lasciando dei dati molto importanti, che non sono

solo quelli anagrafici ma sono quelli della patente e di

una carta di credito o prepagata, evidentemente signi-

fica che è interessata al servizio e che prima o poi lo

utilizzerà. Il tasso di conversione, che non è al 100%, è

legato solo al fatto che alcuni iscritti ancora non hanno

avuto l’occasione di utilizzare il servizio per la prima

volta; dopo che lo si prova, l’utilizzo generalmente di-

venta molto frequente”.

DDay.it: in passato avevate espresso la previsione di raggiungere con Enjoy il break even nel 2016: è un obiettivo ancora attuale?Macchia: “Quello che possiamo dire è che stiamo con-

tinuando a fare sviluppo, e quindi nuovi investimenti:

è evidente che il break even si sposta leggermente in

avanti…”

DDay.it: Milano, che gode di una situazione più stabi-le, lo raggiunge?Macchia: “Milano sta andando oltre ogni previsione e,

se presa come entità a sé stante, possiamo dire che ha

raggiunto il suo break even. È chiaro che comunque

Milano va inserita in un business che vede anche le

altre città e l’introduzione di nuove modalità operative

con i relativi investimenti. Per esempio, rispetto ai no-

stri competitor, abbiamo introdotto lo scooter sharing,

che è molto interessante per i clienti ma determina

degli investimenti importanti che possono allungare i

tempi di rientro. Però ci teniamo molto all’offerta com-

binata auto e scooter perché ci mette in condizione di

pensare anche a città più piccole o a centri storici in

cui sarebbe impensabile attivare il servizio tradiziona-

le con le masse critiche necessarie”.

DDay.it: A questo proposito, come sta andando l’esperienza dello scooter sharing, anche se per ora la flotta è di qualche decina di mezzi?Macchia: “Il numero dei noleggi al momento non lo

rendiamo pubblico, ma lo divulgheremo presto. Quel-

lo che posso dire è che in questo momento a Milano

è stata attivata metà della flotta prevista, flotta che

completeremo arrivando a 150 scooter entro la fine di

settembre. I numeri sono più che incoraggianti, siamo

molto contenti”.

DDay.it: Qualche utente ha sollevato alcune perples-sità legate all’igiene: i caschi in dotazione passano di testa in testa…Macchia: “Questo è un punto sul quale abbiamo la-

vorato tantissimo. I caschi vengono igienizzati ogni

volta che lo scooter viene pulito e manutenuto dai

nostri incaricati; addirittura c’è una squadra specifica

che si occupa degli scooter. E poi ci sono delle cuf-

fiette mononuso da indossare prima del casco, per

evitare il contatto diretto della testa con il rivestimen-

to interno…”

DDay.it: Qualche cliente ogni tanto segnala la man-canza delle cuffiette…Macchia: “Non ho mai avuto segnalazioni in tal senso.

Volendo essere positivi, se le cuffiette sono finite è per-

ché lo scooter è stato tanto noleggiato. Scherzi a par-

te, se i clienti che non trovano la cuffietta segnalano il

problema al nostro call center ci mettono in condizione

in intervenire al più presto con una nuova fornitura”.

DDay.it: Anche nel caso degli scooter, si tratta di un noleggio a flusso libero, ovverosia nel quale si può la-sciare il mezzo ovunque, purché all’interno dell’area operativa?Macchia: “Esattamente. Noi abbiamo replicato quello

che avviene con le auto utilizzando gli scooter. In que-

sto caso possiamo dire che i mezzi a due posti ce li ab-

biamo anche noi, oltre alle 500 che sono a 4 posti…”

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MAGAZINEn.118 / 1523 SETTEMBRE 2015

DDay.it: Anche a 5 posti nel caso della 500L. A questo proposito, la scelta della 500L da dove nasce? Non è più complicato gestire un parco disomogeneo?Macchia: “Quando siamo partiti a Milano, le 500L fa-

cevano già parte della flotta iniziale. Le abbiamo inse-

rite quasi per fare un esperimento. Il test dal punto di

vista del cliente è andato molto bene. Non escludiamo

di ripeterlo nelle città dove potrebbe avere senso un

mezzo più grande. Certamente c’è un tema anche di

costi: passare dalla 500 alla 500L richiede investimen-

ti aggiuntivi non banali; tra l’altro noi abbiamo deciso

di non variare la tariffa… In ogni caso stiamo facendo

delle valutazioni.”

DDay.it: Veniamo ora alle novità sul fronte del car sharing dettate dalle modifiche tariffarie introdotte a Milano ad agosto da Car2Go e resisi necessarie – a dir loro – per riequilibrare la disposizione della flot-ta, troppo concentrata nella cintura periferica della città. La domanda più generale è questa: il modello di car sharing a flusso libero su Milano, con le regole del bando di Milano, sta in piedi o no e a quali con-dizioni?Macchia: “Noi pensiamo che il modello possa stare in

piedi. Milano ha fatto una scelta diversa da quella del-

le altre città, vincolando l’area operativa. Ma Milano

è anche la prima città nella quale abbiamo iniziato e

in cui abbiamo il maggior numero di iscritti. Un dato

inequivocabile è che più aumenta in numero di iscrit-

ti e più la distribuzione delle auto all’interno del ter-

ritorio avviene in maniera omogenea. È evidente che

c’è un tema di ‘ricentro’: quello che afferma Martino

di Car2Go è corretto, non possiamo dire che non ci

sia un effetto ‘centrifugo’. Però noi abbiamo l’idea di

lavorare insieme al Comune per cercare di mitigare

questo effetto, per esempio dotando il centro di una

serie di stalli dedicati al car sharing, per i mezzi di tutti

i gestori, dove poter far rilasciare con più semplicità

e più agevolmente la vettura, determinando così una

rotazione più alta…”

DDay.it: Buona idea. L’avete proposta al Comune? E cosa dice?Macchia: “Certamente l’abbiamo proposta. E il Comu-

ne si è mostrato aperto. Abbiamo la grande possibilità

di fare le cose insieme alla Pubblica Amministrazione

per una volta in maniera positiva. Il problema c’è ed è

un problema per tutti: anche per il Comune è un pro-

blema se ci sono poche auto in centro. Noi vogliamo

sederci a un tavolo con tutti gli attori in campo per con-

tribuire a definire nuove regole condivise che risolvano

il problema senza creare discriminazioni. Le discrimi-

nazioni non fanno bene al mercato…”

DDay.it: Secondo Car2Go finché non si tocca l’area operativa o quantomeno la si rende non più obbliga-toria, non ci sono altre soluzioni…Macchia: “Per come la vediamo noi, l’area non era

un problema insormontabile prima; lo è ancor meno

adesso che abbiamo usufruito, come tutti gli altri ge-

stori, della riduzione del 4% (legata all’estensione del

servizio anche a qualche comune dell’hinterland, ndr),

che ci ha permesso di tagliare delle zone che erano

inutili e che non portavano valore aggiunto al servizio.

Noi per esempio abbiamo fatto un’operazione molto

importante per aumentare la disponibilità di auto, sem-

plicemente modificando il sistema di prenotazione: il

tempo di prenotazione gratuito del veicolo è recente-

mente passato da 30 a 15 minuti, portando un bene-

ficio enorme in termini di aumento della disponibilità

delle auto…”

DDay.it: È arrivata anche qualche lamentela?Macchia: “Forse la prima settimana, ma una quantità

davvero ridotta. Quando le persone hanno capito che

avevamo fatto i conti in maniera tale da favorirli e non

sfavorirli, le lamentele sono sparite. E, a parità di flot-

ta, i noleggi sono aumentati. Adesso stiamo facendo

l’esperimento sull’area metropolitana, con l’estensione

ad alcuni comuni dell’immediato hinterland di Milano:

non possiamo ancora dire come stia andando, serve

un po’ di tempo per le valutazioni. Certo è che se non

si è disposti a provarci, non si potranno mai avere dei

dati su cui basare la strategia del futuro. Noi riteniamo

che un cliente della periferia di Milano non sia diverso

da un altro del centro di Milano, come neppure da uno

dell’area metropolitana”.

DDay.it: OK, ci sembra di capire che sentiate il proble-ma molto meno di Car2Go…Macchia: “Beh, ma noi abbiamo fatto anche delle scel-

te strategiche che ci difendono un po’. Per esempio,

parliamo del caso molto frequente di persone che

dalla periferia prendono una macchina per passare

la serata in centro: molto spesso, se noleggiano con

Enjoy, decidono di mantenere la macchina in sosta e

di non rilasciarla. In fondo le nostre macchine portano

4 persone, che possono dividersi la spesa, e abbiamo

messo a punto delle tariffe per la sosta assolutamente

convenienti (6 euro/ora, ndr): in questo modo i clienti

non fanno viaggi a senso unico e mantengono il siste-

ma in equilibrio. Per questo spesso la sera sulla mappa

si vedono poche macchine in centro, ma in realtà le

macchine ci sono, con i nostri clienti che ne mantengo-

no in possesso per essere certi di rientrare verso casa

quando vogliono”.

DDay.it: Voi comunque fate delle operazioni di riposi-zionamento della flotta?Macchia: “Sì, le facciamo, anche se in quantità limitata,

dati i costi correlati. Per esempio il riposizionamento

accade quando facciamo il carburante alle macchine,

di fatto cerchiamo di far coincidere le due operazioni,

portando poi le vetture in punti strategici per la fascia

oraria.”

DDay.it: Certo, perché nel caso di Enjoy sono i vostri operatori a fare il rifornimento, non i clienti…Macchia: “Sì, per il momento lo facciamo noi… Anche

perché l’occasione è buona non solo per riposizionare

e fare il pieno, ma anche per fare la pulizia e la manu-

tenzione necessaria. Sfruttiamo in tal senso le strutture

che abbiamo sul territorio, come le EniStation”.

DDay.it: L’aumento della flotta che avete annunciato di recente è finalizzato a mitigare l’imperfetta distri-buzione delle vetture sul territorio o per sostenere l’area che si è estesa ad alcuni comuni dell’hinter-land?Macchia: “C’è tutto dentro. È evidente che se ci muo-

viamo con i trend di crescita che stiamo sperimentan-

do, dobbiamo anche supportarli, altrimenti finisce che

i clienti si trovano davvero senza le macchine: questo

è un tema. L’altro è quello legato all’estensione del-

l’area operativa. Ma va detto che quando termineremo

l’aumento previsto della flotta, avremo aumentato la

densità media di veicoli per chilometro quadrato, che

è il vero elemento di differenziazione. Il cliente deve

trovare le nostre macchine nel raggio massimo di 400-

500 metri: questo è quanto noi desideriamo”.

DDay.it: L’esperienza dell’utente Enjoy, sin dall’inizio, è nettamente superiore a quella della concorrenza, dato che ci si iscrive interamente online, senza biso-gno di andare in un punto fisico, e l’iscrizione è del tutto gratuita. Car2Go ha affermato a DDay.it che questa procedura non si potrebbe fare per motivi normativi: bisognerebbe riconoscere fisicamente il possessore della patente… Vi risulta?Macchia: “Quando l’ENI si muove, lo fa sempre in

maniera molto ligia alle regole. Noi abbiamo fatto le

nostre verifiche perché sapevamo di rompere una bar-

riera dematerializzando il processo di iscrizione. L’ab-

biamo fatto a ragion veduta e si è rivelata una scelta

vincente. Noi abbiamo un contratto standard firmato

con la Motorizzazione Civile, che è l’ente preposto al-

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MERCATO

Intervista a Giuseppe Macchia - Enjoysegue Da pagina 05

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MAGAZINEn.118 / 1523 SETTEMBRE 2015

l’emissione, alla verifica, al controllo e alla sospensio-

ne delle patenti e sicuramente i nostri controlli sono

ferrei, perché li facciamo direttamente e in tempo

reale sul database della Motorizzazione Civile. Quin-

di il fatto che non ci sia l’intervento di un operatore,

che potrebbe anche sbagliarsi, è per noi garanzia di

maggiore sicurezza. Ciò detto, il regolamento di Enjoy

parla molto chiaro: chi lo vìola, per esempio guidando

una macchina senza essere intestatario del noleggio,

ne risponde civilmente e penalmente”.

DDay.it: Ma quindi non esiste una normativa o una legge che impone il riconoscimento di persona di chi noleggia un veicolo?Macchia: “A noi non risulta alcuna normativa in me-

rito. Quello che possiamo dire è che la nostra pro-

cedura rispetta tute le regole; anche perché siamo

ENI e saremmo dei pazzi a operare fuori dalle regole.

Ciò posto, se qualsiasi cittadino si impossessa della

tessera di un competitor come Car2Go, sale in mac-

china e fa cose pazze, non è la stessa identica cosa?

E questo anche se l’intestatario è stato riconosciuto

di persona…”.

DDay.it: Ci permetta di ragionare per assurdo: i vo-stri competitor, che appartengono anch’essi a gruppi importanti e in qualche caso hanno già lunga espe-

MERCATO

Intervista a Giuseppe Macchia (Enjoy)segue Da pagina 06

rienza nel car sharing, come mai non hanno pensato a fare come voi, con il database della Motorizzazione e così via? Lo capisce anche un bambino che è mol-to meglio una procedura di iscrizione interamente online…Macchia: “A mio avviso la risposta è molto semplice.

Il vantaggio di essere stati ‘follower’ è stato quello di

poter analizzare quanto già fatto da altri sul mercato

e cercare di fare anche una cosa migliore. I due fat-

tori chiave di successo di Enjoy, al di là del prezzo più

basso e della macchina migliore, sono la procedura di

registrazione completamente online e la totale assen-

za di una card. In questo modo abbiamo creato una

totale rottura con i modelli esistenti di car sharing…”

DDay.it: Non a caso Car2Go ha attivato una procedu-ra di inizio noleggio senza card…Macchia: “Certo, dopo di noi. Car2Go non fa quello

che facciamo noi sulla registrazione probabilmente

perché loro operano in oltre 30 città di tutto il mondo

e dovrebbero modificare a livello centralizzato il loro

sistema; inoltre, con nostra grande sorpresa, la Mo-

torizzazione italiana mette a disposizione un servizio

che in Europa non c’è, almeno, dalle nostre verifiche

non l’abbiamo ritrovato, neanche in Germania…”

DDay.it: Questa è una buona notizia per la nostra agenda digitale…Macchia: “Dirò di più: per questo servizio noi abbia-

mo fatto i complimenti alla Motorizzazione. All’epoca

ci dissero che con questo servizio, che è erogato a

molte società, come gli autonoleggi tradizionali, la

Motorizzazione realizza dei ricavi che ne fanno l’unico

o uno dei pochi enti pubblici in attivo”.

DDay.it: Quindi, con un servizio digitale non solo si aumenta il servizio al cittadino, che può iscriversi al car sharing da casa sua, ma aumenta anche la soste-nibilità della macchina pubblica…Macchia: “Assolutamente sì. Noi abbiamo anche chie-

sto di avere questo servizio a livello europeo, per

controllare anche i dati delle patenti estere, in modo

tale da estendere a questi clienti il nostro servizio. Gli

italiani hanno dimostrato ancora una volta di essere

più fantasiosi e flessibili; e di cercare delle soluzioni

che andassero oltre il concetto del ‘si è sempre fatto

così’”.

DDay.it: E la questione dei neopatentati? È vero che un neopatentato può iscriversi a Enjoy, salvo poi, in teoria, guidare senza copertura assicurativa?Macchia: “Non mi risulta, dato che il collegamento con

il database della Motorizzazione ci permette di avere

il dato della prima emissione della patente. Stiamo

comunque facendo delle verifiche. In ogni caso il fatto

di richiedere la patente da almeno un anno aveva un

tema iniziale di sicurezza, delle persone e delle mac-

chine, oltre che una valenza sul fronte assicurativo.

Stiamo lavorando anche su questo aspetto: credo che

elimineremo a stretto giro anche questo vincolo”.

MERCATO Una fonte del ministero smentisce categoricamente la possibilità di una tassa per Netflix e soci: nessuno la vuole

Tassa del Governo su Netflix? Falso: ecco cosa succederà “Vogliamo che investano in Italia”. Ecco quali sono i veri piani per il rilancio del cinema e delle produzioni italiane

di Roberto PEZZALI

N essuna tassa di scopo per gli

operatori video che vorranno in-

vestire in Italia, anzi, ci sarà pure

agevolazione fiscale per le aziende che

realizzeranno produzioni di respiro inter-

nazionale. Fonti del MiSE ci hanno infatti

confermato che le notizie apparse su al-

cuni quotidiani sono totalmente prive di

fondamento, frutto probabilmente della

lettura di una sola parte del documento.

La parola “Tassa di scopo”, presente ef-

fettivamente all’interno del documento

intitolato “Rafforzamento del settore au-

diovisivo”, era riferita esclusivamente alle

soluzioni scelte in Francia e in Germania.

In Italia, ci assicurano, l’ipotesi è stata

scartata da tutti coloro che hanno parte-

cipato alla riunione ai margini del Festival

del Cinema di Venezia, broadcaster inclu-

si: tutti, da Rai a Mediaset, non ritengono

giusto tassare gli operatori stranieri che

investono in Italia, sarebbe sufficiente

che pagassero le tasse nel Paese dove

operano. Il piano per rivitalizzare le pro-

duzioni italiane però c’è, ed è ambizioso e

pure condivisibile: in Italia si produce tan-

to e si esporta poco, soprattutto perché

le nostre produzioni non sono appetibili

sul mercato internazionale. Il mercato è

avido di serie TV, eppure sono poche le

serie italiane che piacciono all’estero: per

ogni stagione di Gomorra che viene pro-

dotta, ci sono almeno 20 serie in stile “Ca-

rabinieri” e “Elisa di Rivombrosa” che un

pubblico streaming-oriented difficilmente

potrebbe guardare e apprezzare.

“Produciamo tanto per massimizzare gli

ascolti tra i sessantenni” – aggiunge la

nostra fonte – “è ora di cambiare”. Ecco

perché il Governo ha intenzione di age-

volare fiscalmente le aziende e i produt-

tori che realizzeranno opere pensate per

un mercato globale, nella speranza che le

case di produzione locale possano attrar-

re i investitori internazionali alla ricerca di

contenuti esclusivi. “Netflix non va tassa-

ta, va accolta a braccia aperte perché se

inizia a investire in Italia ne giova tutto il

settore” – conclude. Tra le indicazioni dei

Governo ci sono anche alcuni vincoli le-

gati alle licenze e ai diritti: oggi vengono

concesse troppe deroghe a chi dovrebbe

destinare, secondo una delibera euro-

pea, il 10% della propria programmazione

a opere di natura europea e nazionale.

Queste deroghe non ci saranno più: Di-

sney, che non riesce ad arrivare al 10% e

ha ricevuto una deroga da Agcom, dovrà

investire per produrre contenuti da noi,

in Europa. La vendita dei diritti deve pre-

vedere inoltre una distribuzione globale:

troppe opere vengono vendute per esse-

re tenute nel cassetto o trasmesse solo

su un canale, senza sfruttare i mezzi che

la tecnologia oggi mette a disposizione.

Tra le proposte del documento ci sarebbe

quindi anche una sorta di “accordo” tra

broadcaster e committente per spingere

un’opera alla massima valorizzazione.

A fare da esempio per la rinascita delle

produzioni italiane ci sarà la Rai: ai nuovi

vertici infatti il Governo ha imposto una

internazionalizzazione delle produzioni,

missione condivisa anche dal nuovo di-

rettore della Rai Antonio Campo Dall’Or-

to. Basta fiction per vecchi, se vogliamo

crescere serve un prodotto migliore.

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MAGAZINEn.118 / 1523 SETTEMBRE 2015

MERCATO Intervista a Liu Tibin, presidente di Changhong, azienda cinese che vuole conquistare il mercato dei TV in Italia

Changhong: “Tra 10 anni saremo come Samsung”Changhong è presente ora in Italia con un proprio ufficio che cura direttamente la distribuzione sul territorio nazionale

di Roberto PEZZALI

D opo Haier, Hisense e TCL arriva in Italia anche

Changhong, azienda cinese di elettronica di

consumo con sede a Mianyang. Changhong è

una azienda storica, nasce nel 1958 e oggi genera un

fatturato di $ 15,1 miliardi di dollari (2014), dispone di

12 centri di produzione, 5 centri di R & D, e 35 filiali

in Cina, con prodotti e servizi che arrivano in oltre

100 paesi. Changhong è presente ora in Italia con un

proprio ufficio che cura direttamente la distribuzione

sul territorio nazionale, appoggiato per l’assistenza

post-vendita da una serie di centri sparsi sul territo-

rio. Quali sono le prospettive di crescita e la strategia

l’abbiamo chiesto a Liu Tibin, Presidente e General

Manager di Changhong e a Chaim Ning, Managing

Director per l’Europa.

DDay.it: Mercato italiano: che aspettative avete e obbiettivi avete? Dove volete arrivare?Chaim Ning: “Ci siamo posti un obbiettivo a lungo

termine, l’espansione in Europa è parte della nostra

strategia di espansione globale. Potrebbero volerci

dieci anni per diventare come Samsung, ma ci arrive-

remo, l’obiettivo è quello.”

DDay.it: Il vostro nome, Changhong, è forse quello che suona più orientale di tutti tra i vari brand di elettronica di consumo che arrivano dalla Cina, si pensi ad Haier, Hisense, TCL. Terrete il vostro nome o sceglierete un altro brand?Liu Tibin: “Per voi europei la pronuncia è difficile, lo

sappiamo, ma a terremo questo nome perché riflette

il nostro brand. (In Cina si chiama Sichuan Changhong

Electric ndr). Anche Samsung suonava orientale ed

era difficile da pronunciare 20 anni fa, quindi aveva-

no lo stesso problema. Ora le cose son cambiate. Ab-

biamo anche un altro brand , Chiq, che useremo per

alcune categorie di prodotti “smart”.”

DDay.it: Prezzi bassi e supermercati o prodotti Pre-mium in superfici specializzate che possono compe-tere con Samsung, LG o Sony?

Ning: “Changhong è uno dei marchi più grandi in

Cina, se siete stati all’Ifa avete visto la nostra line up.

L’obiettivo è competere sulla gamma medio alta, an-

che con prodotti Premium.”

DDay.it: Abbiamo visto che avete anche l’OLED cur-vo Ultra HD...Ning: “Si, abbiamo l’OLED, abbiamo i TV curvi, ab-

biamo TV con le stesse funzioni di Samsung e LG

e si vedono con la stessa qualità. Abbiamo anche

funzioni speciali come “TV Anywhere”, che abbiamo

sviluppato appositamente per l’Europa. Agli europei

piace lo sport, e con TV Anywhere puoi guardare in

cucina o a letto la TV con il tablet o lo smartphone

sfruttando il Wi-fF.”

DDay.it: Avete tanti centri di sviluppo, ma centri de-sign? Non pensate sia utile averne uno in Italia?Ning: “Tutto il design viene fatto in Cina, gli uffici

marketing locali danno indicazioni su quali sono ten-

denze e preferenze dei vari mercati.”

DDay.it: Avete tre categorie di prodotti, TV, smar-tphone e elettrodomestici. Gli smartphone sono il

mercato più duro, la TV è medio dif-ficile, gli elettrodo-mestici forse sono quelli più semplici. Su cosa punterete?Ning: “Il TV è il nostro prodotto di punta, abbiamo

usato il TV per sviluppare canale e marchio in Euro-

pa. Adesso arriveranno anche tutti gli altri prodotti.

Siamo davvero grandi, sapete? Siamo la più grande

azienda di compressori per elettrodomestici in tutto il

mondo, forniamo i compressori per frigoriferi a Bosch,

Indesit e a tante altre aziende.”

DDay.it: Tutti gli altri brand cinesi si sono alleati o hanno comprato brand occidentali noti, TPV ha Phi-lips, Hisense ha Loewe, TCL ha Thomson. Ci sono sul mercato tanti brand liberi, avete obiettivi di ac-quisizione?Ning: “Lo abbiamo detto, terremo e vinceremo con

Changhong. E in Europa puntiamo a vendere per il

prossimo anno 1.5 milioni di pezzi, aiutati anche da

una grande campagna pubblicitaria.

Liu Tibin, Presidente e General Manager

di Changhong.

Uno dei TV OLED Changhong recentemente esposto alle principali fiere di settore. Uno dei modelli LED lanciati negli ultimi anni.

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MAGAZINEn.118 / 1523 SETTEMBRE 2015

ENTERTAINMENT Un modo per vedere tutto il calcio italiano

Su SkyOnline c’è il ticket “Calcio” Vedi tutto a 19 €, anche SkySport24

di Roberto PEZZALI

I l ticket Squadra del cuore, 99 euro all’anno per seguire le partite di Juventus,

Milan, Inter, Roma, Napoli, Lazio, Fiorentina e Genoa, ha avuto successo, e Sky

prova il raddoppio. Di fianco ai due ticket Cinema e Intrattenimento, disponibili

a 9,99 euro al mese senza vincoli, arriva la nuova offerta Calcio a 19,99 euro. Il

prezzo è ovviamente legato al costo più alto dei diritti, ma va detto che questa

offerta permette di vedere, Champions esclusa, il resto del calcio italiano. Il ticket

darà, infatti, accesso a tutte le partite della Serie A e della Serie B, che Sky ha

in esclusiva, oltre a quelle di Europa League di Lazio, Napoli e Fiorentina. Chi

acquista il pacchetto avrà accesso anche ai due canali SkyTG 24 e SkySport 24,

opzione questa che dà valore a un’offerta che oggi è unica. È la prima volta infatti

che un servizio OTT propone un ticket mensile senza vincoli legato allo sport: Sky

aveva finora venduto i singoli eventi o il season pass. Ricordiamo che SkyOnline

non è fruibile solo su tablet, console, PC e smartphone: usando lo SkyOnline TV

Box infatti (clicca qui per leggere la prova) si possono guardare i canali come se

fosse un normale TV, ovviamente in streaming e senza parabola o antenna. Pur-

troppo lo SkyOnline

TV Box non è as-

sociato all’offerta

Calcio: si può acqui-

stare a 49 euro con

dentro tre mesi di

cinema o intratteni-

mento oppure a 99

euro insieme all’of-

ferta “Squadra del

Cuore”.

Premium Online alla prova ChampionsL’offerta Premium Online parte da 9 € per le serie TV e si arriva ai 40 del pacchetto completo che include anche la Champions di Roberto PEZZALIPremium Online, l’offerta Mediaset Premium destinata al pubblico che vuole fruire dei contenuti tramite Internet senza decoder e antenna, è partita. Infinity è incluso in tutti i pacchetti, quindi anche in quello base Serie TV che parte da 9 euro. Il pacchetto Cinema costa 10 euro al mese e comprende Infinity, quin-di tutti i contenuti più freschi in alta definizione. Il pacchetto all-inclusi-ve che include Serie TV, Cinema e Calcio (la Champions) è venduto a 40 euro. E a proposito di Cham-pions, il grande debutto di Media-set non è andato male: la macchina tecnica ha funzionato alla perfe-zione, non solo come affidabilità ma anche come qualità. Abbiamo guardato la partita in streaming per vedere se ci fossero gli stessi pro-blemi avuti da SkyOnline alla pri-ma di campionato e effettivamente Premium non ha tradito le promes-se di chi ha pagato il pacchetto completo, tradizionale o Online. Nessuna interruzione, un ritardo tutto sommato ridotto rispetto alla diretta (è streaming, non si può far nulla) e una qualità di visione buona anche su un grande scher-mo. L’adaptive streaming funziona bene, qualche calo in determinati istanti di picco ma per il resto tan-ta definizione, paragonabile per appagamento a quella del canale HD tradizionale. Meno brillanti gli ascolti: Mediaset parla di “record”, con 1.019.000 spettatori globali per le partite di Champions trasmesse su Premium e 800.800 spettatori per Manchester City - Juventus, eppure nel 2013, quando la Cham-pions non era esclusiva Premium, Copenaghen - Juventus face regi-strare 837.590 spettatori, mentre lo scorso anno Sky con Juventus - Malmoe toccò i 1.013.584.

di Gianfranco GIARDINA

È ufficiale: il numero 104 di Sky va a

RAI 4. Così il quarto (e finora deci-

samente in secondo piano) canale

dell’emittente pubblica accede a una

posizione sul telecomando decisamen-

te interessante, almeno in relazione ai

quasi cinque milioni di famiglie abbo-

nate al gestore satellitare. La conferma

arriva dopo giorni di dibattito pubblico

sull’opportunità o meno da parte del

canale pubblico di aderire all’offerta di

Sky a occupare uno degli spazi lascia-

ti liberi da Mediaset che ha deciso di

interrompere le trasmissioni in chiaro

via satellite. Il problema starebbe nel

fatto che la RAI, secondo quanto indi-

cato dall’Agcom, dovrebbe richiedere

un equo corrispettivo per la ritrasmis-

sione dei propri canali da parte di Sky

ma l’unico modo per raggiungere un

accodo è stato con uno scambio “alla

pari”: RAI dà Rai4 a Sky e Sky cede uno

dei posti più ambiti sul telecomando

dello SkyBox. RAI, in questo caso, so-

stiene che il corrispettivo starebbe pro-

prio nella possibilità, con questa nuova

esposizione, di aumentare sensibilmen-

te la raccolta pubblicitaria. Mediaset,

da parte sua, replica che la discesa dei

propri canali dalla numerazione Sky non

ha apportato alcuna erosione ai suoi

ascolti (abbastanza vero salvo per qual-

che discesa nella fascia pomeridiana).

Mediaset anzi conferma di aver messo

a segno dei “più” rispetto ai periodi pre-

cedenti. Inoltre, il comunicato Mediaset

fa notare come Sky Uno e Fox, canali

che hanno preso il posto di Canale 5

e Italia 1, non abbiano avuto altro che

ascolti “zerovirgola”, come li chiama

l’emittente di Cologno Monzese: “Un

tasto non fa un canale”, conclude Me-

diaset nella sua nota di cui riportiamo

uno stralcio: “Gli ascolti ottenuti negli

ultimi due giorni dai nuovi canali ai tasti

105 e 106 non sono minimamente para-

gonabili a quelli delle reti trasmesse in

precedenza: ieri il canale al tasto 105

(presente anche alla posizione 108) ha

registrato complessivamente lo 0,07%

in prima serata e lo 0,12% nelle 24 ore, e

la rete al tasto 106 ha ottenuto lo 0,18%

in prima serata e lo 0,22% nelle 24 ore.

Come è evidente dai risultati “zerovir-

gola”, un tasto non fa un canale.” Ora

sta a RAI e al suo nuovo direttore ge-

nerale Campo dall’Orto dimostrare che

la scelta è stata vincente e che il pa-

linsesto di Rai4 può essere migliorato.

Se mancheranno interventi importanti

sul palinsesto, gli auspicati ascolti non

ci saranno e la conseguente extra-rac-

colta pubblicitaria neanche. Il temerario

direttore generale RAI su questa scom-

messa si gioca la poltrona: la Corte dei

Conti, in mancanza di cospicui introiti

pubblicitari, non potrà che interpretare

questa mossa come un regalo pubblico

a Sky; e a quel punto pioverebbero in-

terrogazioni parlamentari e mozioni di

sfiducia.

ENTERTAINMENT Finita la “telenovela” di Rai4 che approda a una posizione interessante

È ufficiale: Rai4 sul canale 104 dello SkyBoxL’accordo non prevede corrispettivi da parte di Sky e ciò potrebbere sembrare “strano”

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MAGAZINEn.118 / 1523 SETTEMBRE 2015

ENTERTAINMENT Alta definizione per gli avvenimenti sportivi

Rai Sport 1 è finalmente in HD Lo troviamo sul canale 557

di Roberto FAGGIANO

I l giorno tanto atteso è arrivato, il canale RaiSport 1 in alta definizione è tra noi,

sul numero 557 dei decoder che usano la numerazione “ufficiale” LCN. Ora fi-

nalmente anche l’utente italiano non abbonato alle pay tv potrà vedere con de-

finizione adeguata i maggiori avvenimenti sportivi per i quali la Rai ha acquistato i

diritti. Come suggerito dalla definizione di Rai Sport 1, i canali pubblici dedicati allo

sport rimangono due e si spera che la ripartizione della programmazione tra Sport 1

e Sport 2 sia tale da non far finire sul canale in sola SD avvenimenti degni di nota.

Inizialmente il piano della Rai prevedeva l’accorpamento dei contenuti sportivi in un

solo canale, ma la redazione si è opposta per non penalizzare gli sport minori e gli

avvenimenti locali. Con la partenza di RaiSport 1 HD c’è stata una serie di variazioni

nel collocamento di altri canali Rai. In particolare Rai Sport 1 HD è inserita nel mux 4

accanto a Rai HD, Rai Scuola si è spostata sul mux 3, Rai Storia e Rai 5 passano al mux

2; sarà quindi necessario risintonizzare il televisore per ritrovare i canali di Rai Cul-

tura nelle posizioni

LCN abituali. Ora

attendiamo con

fiducia che venga-

no accesi in tutta

Italia le frequenze

del mux 5 dove

sono trasmessi in

modo sperimenta-

le i canali Rai 2 HD

e Rai 3 HD.

La NASA lancerà un canale TV in Ultra HD Sarà visibile anche via webL’agenzia spaziale statunitense ha annunciato la creazione di un nuovo canale TV in Ultra High Definition Le trasmissioni inizieranno ufficialmente il 1° novembre di Paolo CENTOFANTI

Dopo aver pubblicato su YouTube alcuni video in 4K rea-lizzati a bordo della stazione spaziale internazionale, la NASA ci ha preso gusto e ha deciso di aprire un canale televisivo apposito in Ultra HD. L’agenzia spaziale ha annunciato infatti di aver stretto un accordo con il provider Harmonic per la realiz-zazione di un canale televisivo completamente in 4K da distri-buire tramite tutte le piattafor-me televisive, Internet incluso. Harmonic, secondo il comu-nicato, sta stringendo accordi con operatori di TV via cavo e satellitare, ma il nuovo canale di NASA TV sarà comunque ri-cevibile in streaming, con una banda necessaria di 13 Mbit/s. Per quanto riguarda il discorso di quali saranno i contenuti, la NASA parla di filmati realizzati in 4K sulla stazione spaziale e in altre missioni dell’agenzia, ma ci saranno anche video ri-masterizzati in Ultra HD presenti nell’archivio storico delle vec-chie missioni. L’appuntamento è fissato per il 1 novembre, giorno in cui debutterà il nuovo canale, anche su web.

di Roberto PEZZALI

T ivùsat ha recentemente toccato i

2.5 milioni di tessere attive: sa-

tellite, HD, tanta qualità e anche

molti canali, tra i quali MTV e Cielo.

Cielo e MTV sono canali Sky, e la pay

TV li usa per trasmettere in chiaro gli

eventi sportivi per i quali detiene i di-

ritti, come l’Europa League e la Moto

GP. Sul canale 8 del digitale terrestre

è stato possibile vedere Fiorentina -

Basilea senza essere abbonati a Sky:

un bel regalo per i tifosi, anche se

qualcuno di questi si è trovato un’ama-

ra sorpresa. Sky, infatti, ha oscurato

la partita su tivùsat lasciandola “free”

solo sul digitale terrestre, e la cosa

potrebbe ripetersi anche con la gara

di MotoGP: chi ha l’antenna tradiziona-

le può seguire Valentino Rossi e soci,

chi invece ha scelto tivùsat vedrà una

schermata nera.

Impossibile non collegare, almeno

mentalmente, questa questione con

la decisione di Mediaset di criptare

sul satellite Canale 5, Italia 1 e Rete

4, anche se tivùsat non è una pay TV,

è gratuita e soprattutto non è solo di

Mediaset. Una scelta quella di Sky che

si presta a svariate interpretazioni, ma

pare, secondo le nostre fonti, si tratti

di una scelta puramente commerciale.

Sky ha infatti lanciato il suo ticket “Calcio” su Sky Online, 19 euro al

mese per vedere tutto il calcio, Europa

League inclusa, e vuole spingerlo il più

possibile. Non dimentichiamoci però

che molti dei 2.5 milioni di fruitori del

servizio satellitare gratuito sono perso-

ne che vivono in zone dove la ricezio-

ne del normale digitale terrestre non è

ottimale, e ci immaginiamo che anche

la connettività in quelle zone non sia

qualcosa su cui fare affidamento. Per

loro Sky Online potrebbe non essere

un’alternativa, così come tivùsat non

è stata una scelta libera ma obbligata:

senza non si vede la TV.

Restando in tema di “criptaggi”, ZDF

ci ha confermato che non ha alcuna

intenzione di criptare la trasmissione

delle partite di Champions League tra-

smesse fino ad oggi in chiaro sul satel-

lite (facendo così infuriare Mediaset): Juventus-Borussia Mönchengladbach

del prossimo 21 ottobre sarà quindi vi-

sibile anche per gli abbonati Sky.

Mediaset intanto ha comunicato i

dati di ascolto della seconda giorna-

ta di Champions League: la sfida al-

l’Olimpico tra Roma e Barcellona del

16 settembre è stata vista in diretta

da 826.000 persone (3,25%), che

sommati a quelli del martedì arriva-

no a 2.400.000 spettatori. Secondo

Mediaset è “la migliore performance

calcistica di Mediaset Premium sia

della stagione in corso sia rispetto ai

turni di Champions League trasmessi

nelle precedenti edizioni.”

ENTERTAINMENT La partita è stata trasmessa su MTV, il canale 8 del digitale terrestre

Sky cripta Fiorentina-Basilea su tivùsatUna scelta motivata dalla volontà di spingere il nuovo pacchetto “Calcio” di Sky Online

Video sulla stazione spaziale

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MAGAZINEn.118 / 1523 SETTEMBRE 2015

di Gianfranco GIARDINA

Continua senza sosta il malco-

stume dell’errata formattazione

video, e non solo in TV. Diverse

volte nei mesi scorsi avevamo riporta-

to, con appositi articoli o via Twitter e

Facebook, di messa in onda da parte

delle emittenti (qui un caso di RAI) in “windowbox” (o, termine da noi

preferito, “blackbox”): praticamente

si tratta di immagini dotate sia delle

bande nere sopra e sotto, tipiche del-

la formattazione “letterbox”, che delle

bande nere ai lati tipiche del “pillar-

box”. Insomma, due fastidi in una volta

con immagini incorniciate di nero e

una riduzione pesante dello schermo

utile. L’ultima occasione di “godersi”

una bella cornice nera intorno all’im-

magine è stata la proiezione di Inside

Out in una sala UCI Cinemas. Il nuovo

capolavoro Disney Pixar è in formato

1.85:1 (che quindi lascia fisiologica-

mente spazio ai lati sul classico scher-

mo cinematografico 2.35:1) ed è stato

proiettato correttamente; ma Lava, il

corto che lo precede e che è invece in

Cinemascope, è stato appunto proiet-

tato nello stesso “canvas” del film e

quindi con le bande nere sopra e sot-

to, oltre che con quelle di fianco, per

un effetto finale francamente grotte-

sco, come quello nella foto di apertura

(necessariamente sovraesposta per

far vedere chiaramente le porzioni di

schermo proiettate in nero). Non sap-

piamo al momento se il problema sia

imputabile a Disney (master unico con

i due contenuti e il corto formattato nel

canvas del film) o alla catena UCI Cine-

mas (mancato automatismo di cambio

formato al passaggio tra il corto e il

film): stiamo attendendo alcune con-

ferme in questo senso da Disney, an-

che se le informazioni che

arrivano da diversi spetta-

tori sembrano conferma-

re il problema sul master

predisposto dalla major,

scagionando la singola

sala cinematografica. La

sostanza è che il pubblico

si è dovuto sorbire al cine-

ma una proiezione, alme-

no per quello che riguarda

il corto, su una superficie

di schermo ridotta di circa

il 50% rispetto a quella to-

tale. Pagando però prezzo

intero.

Ma che questa pratica sia

diventata oramai qual-

cosa che molti operatori

ritengono accettabile è dimostrato

anche da quanto accade sugli aerei

intercontinentali Alitalia, quelli con il

sistema di intrattenimento di bordo,

tanto per intenderci. Molti film sul ser-

ver di bordo (e per certo tutti quelli

italiani) sono caricati con un formato

su canvas 4:3, malgrado lo schermo

dei sistemi sia 16:9. Nel caso di Alita-

lia, poi, si aggiungono altri problemi

all’immagine, come il master chiara-

mente interlacciato (chissà perché?) e

deinterlacciato a campi invertiti: così

su tutti i movimenti si vedono i classici

e molto fastidiosi “spettinamenti”. Per

non parlare poi dei sottotitoli impres-

si “obbligatoriamente” sull’immagine

malgrado il sistema di intrattenimento

gestisca la sottotitolazione in grafica

in sovraimpressione, attivabile nella

lingua che si preferisce e solo quan-

do serve. Ovviamente i sottotitoli non

sono caricati nel sistema. Confusione

anche nel catalogo, in cui film dram-

matici vengono catalogati come com-

medie e viceversa. Insomma, verrebbe

voglia di gridare allo scandalo per il

brutto trattamento al quale sono sotto-

posti gli spettatori, in questi casi anche

“paganti”. Ma resta il forte sospetto

che si tratti semplicemente di impre-

parazione tecnica e professionale di

chi confeziona e gestisce i master. Di

certo il fatto di far vedere su schermi

widescreen contenuti widescreen ri-

quadrati è una pratica odiosa che as-

solutamente deve finire: e se questo

articolo può dare una mano in questo

senso, ne siamo solo contenti.

ENTERTAINMENT Il malcostume dell’errata formattazione video non è un problema solo della TV

Immagini con le bande nere tutte attorno Ci cadono anche Inside Out e AlitaliaPurtroppo ancora casi di immagini mal formattate e totalmente riquadrate da bande nere Lo scempio passa al cinema (con il corto che precede Inside Out) e sugli aerei Alitalia

Un esempio di immagine trasmessa su uno scher-mo di un volo Alitalia: come si può vedere l’im-magine del film non riempie affatto lo schermo, già di per sé non generoso.

Un po’ di confusione nella catalo-gazione dei film sui server di bordo degli aerei Alitalia.

Mediaset sorride: chiusi sei siti illegali e abbonamenti in crescitaMediaset ha ottenuto dall’Agcom l’oscuramento di sei siti che trasmettevano partite in streaming della Serie A. Intanto, secondo i primi dati, ci sarebbero già 200.000 abbonati in più da luglio di Roberto PEZZALIMediaset sorride: AgCom ha ac-colto la sua richiesta e ha ordinato la disabilitazione dell’accesso, tra-mite DNS, a sei siti che diffondeva-no illecitamente in diretta le partite del Campionato di calcio di Serie A 2015-2016. I sei siti sono Free-calcio.eu, Calcion.in, Liveflash.tv, Liveflashplayer.net, Webtivi.info, Miplayer.net e Supermariohd-sports.wix. Mediaset si dice “sod-disfatta per le nuove, tempestive misure AgCom che confermano la necessità di tutela contro attività di pura pirateria che nulla hanno a che fare con la libera manifesta-zione del pensiero”, ma è bene ricordare che siamo di fronte a pe-sci molto piccoli e che comunque sarebbe opportuno guardare non solo ai siti ma anche a chi promuo-ve siti e certe soluzioni per guar-dare illegalmente film e partite. Ci riferiamo, ad esempio, a riviste che, per vendere qualche copia, non si preoccupano troppo di spiegare, minuziosamente, come fanno i pirati a vedere una partita senza pagare. In ogni caso Media-set può dirsi soddisfatta anche per gli andamenti degli abbonamenti: nonostante la piaga pirateria sem-bra che da luglio Premium abbia 200.000 abbonati in più, 40.000 dei quali arrivati recentemente per il debutto Champions. Il target era di 500.000 abbonati in tre anni, 2 milioni in totale a fine anno. Siamo a 100.000 abbonati dal traguardo, e a breve partirà anche l’offerta congiunta con Telecom per Pre-mium Online.

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MAGAZINEn.118 / 1523 SETTEMBRE 2015

di Michele LEPORI

C i siamo: le vacanze sono finite, le giornate iniziano

ad accorciarsi e all’uscita in centro con gli amici

inizia a farsi spazio la serata relax davanti alla TV:

Sky lo sa bene, e per la stagione autunnale ha messo

insieme un esercito di nomi davvero importanti. I fronti

sono tre: il primo è quello dei graditi ritorni per le serie

TV di maggior successo che hanno ricevuto luce verde

dalle major televisive americane per una nuova stagio-

ne; il secondo è rappresentato dalle grandi produzioni

esclusive e il terzo sono le grandi star del mondo talent

che negli anni si sono dimostrati l’arma in più per sbara-

gliare la concorrenza.

Sky Uno è la casa delle dirette Si punta su X Factor e MasterchefIl canale di intrattenimento Sky Uno continua la sua

avventura fatta di produzioni originali e celebri format

in onda no stop per 10 mesi: il primo nome è quello di

X Factor, il talent show dei record negli anni scorsi e

che anche in questo 2015 parte col botto mettendo a

segno tre centri alla voce miglior esordio (1.525.000

spettatori medi), miglior permanenza (78%) e raddoppio

del traffico sui social rispetto all’esordio 2014. Numeri

generati dal format, chiaro, ma anche dall’impatto sul

pubblico della nuova formazione in cabina di regia,

rinnovata al 50% rispetto allo scorso anno: Mika, Elio,

Fedez e Skin supporteranno la conduzione di Alessan-

dro Cattelan nella ricerca della nuova popstar italiana,

che quest’anno a sorpresa potrebbe appartenere alle

neonata categoria delle band musicali. Alla prima sera-

ta si affiancherà la conduzione di una striscia giornaliera

condotta da Aurora Ramazzotti, X Factor Daily, che da

ottobre farà il punto della situazione sul procedere delle

selezioni. Il talento davanti a un microfono si affianche-

rà, da dicembre, a quello davanti ai fornelli: il ritorno col

botto è ovviamente quello di Masterchef, l’unico vero

cooking show della TV che vedrà novità in giuria. Ad

affiancare il trio Cracco-Barbieri-Bastianich arriva il due

stelle Michelin Antonino Cannavacciuolo che offrirà

la sua esperienza ai giurati e rappresenterà una sfida

in più per i temerari avventurieri dell’impiattamento.

Nuove sfide anche per i Junior Masterchef, che com-

batteranno in Darsena nella fase iniziale da 40 a 25

partecipanti salvo poi spostarsi in studio per le selezioni

finali: a giudicarne l’operato, una nuova giuria compo-

sta da Bruno Barbieri, Alessandro Borghese e Gennaro

Esposito. Spazio, infine, al talento inteso nel senso più

largo possibile con il ritorno di Italia’s Got Talent e l’at-

tesissima prima stagione italiana di Top Gear. Il format

di Simone Cowell ritornerà in primavera con la giuria di

stelle delle prima stagione rinnovata in blocco: Claudio

Bisio, Frank Matano, Luciana Littizzetto e Nina Zilli tor-

neranno a dirigere casting da tutta Italia supportata, in

day time, dalla striscia condotto da Lucilla Agosti e Roc-

co Tanica. La vera attesa è però tutta per Top Gear Italia

che vedrà impegnati il vicedirettore di Sky Sport non-

ché direttore della redazione motori Guido Meda e Joe

ENTERTAINMENT Sky ha presentato il nuovo palinsesto che vede tanti graditi ritorni ma anche diverse serie TV inedite

Si apre la stagione Sky, serie TV e show in esclusivaI programmi con cui Sky vuole conquistare la prima e la seconda serata della stagione televisiva autunno-inverno 2016

Bastianich, che si dovrà dividere fra grembiule e tuta in

pelle. Con loro un terzo conduttore, ancora segreto: il

format creato dalla BBC ed esportato in 230 Paesi con

quasi 350.000.000 di spettatori sta per avere finalmen-

te un’edizione tricolore.

Grandi serie, grandi storie, grandi star Tutto su Sky AtlanticSerie TV estere e produzioni Sky sono il cuore del-

l’offerta di entertainment “puro” di Sky: c’è spazio per

grandi ritorni come le attesissime seconde stagioni di

The Lefotvers e The Knick a marchio HBO con firme di

David Lindelof e Steven Soderbergh, così come l’altret-

tanto attesissima seconda stagione di Fargo ma con un

occhio di riguardo anche per tante nuove storie da tutto

il mondo. La prima che ci sentiamo di segnalare è la

bellissima (televisivamente parlando) Deutschland 83,

serie TV tedesca trasmessa sul canale USA Sundance

TV e che è stata la vera perla narrativa di un’estate te-

levisiva più sottotono del solito. La storia è quella vera

della crisi diplomatica dei missili americani “Pershing

II”, nel tesissimo quadro politico della Germania Ovest

dell’83, un evento che la grande Storia non conosce

come dovrebbe ma che ha portato il mondo veramente

a un passo dalla guerra atomica: presentata con suc-

cesso all’ultimo Festival di Berlino, la spystory tedesca

ha dalla sua anche una colonna sonora imperdibile per

gli amanti dei mitici anni ’80. Non mancano le produ-

zioni in partnership con le emittenti internazionali, ed

è il caso di The Last Panthers e The Young Pope. La

prima, in partenza il 13 novembre, è una collaborazione

fra Sky Atlantic UK e Canal+ che narra le vicende della

banda di ladri “Pink Panthers” che a inizio ‘900 non si

facevano scrupoli ad orchestrare colpi degni del miglior

Lupin in tutte le più importanti capitali europee, mentre

la seconda arriverà sugli schermi nell’autunno del 2016

e vede coinvolta Home Box Office alla sceneggiatura

di una storia sull’elezione di un Papa, l’immaginario Pio

XIII al secolo Lenny Belardo interpretato da Jude Law.

Sempre in cantiere ci sono le serie TV tratte dal nuovo

romanzo di Saviano “Zero, Zero, Zero” e “Diabolik”, ti-

tolo che si esplica da solo come omaggio al personag-

gio creato dalle sorelle Giussani. Attese su Sky Atlantic

anche la quarta stagione di House of Cards (che non

andrà quindi su Netflix) e l’ultima stagione di Game of

Thrones. Chiude il panorama sulle serie-evento in arri-

vo, Vinyl, il progetto a 4 mani scritto da Mick jagger e

diretto da Martin Scorsese sul rock’n’roll anni ’70 e tutto

il mondo di “sex&drugs” che vi girava intorno nella New

York dell’epoca: imperdibile. È invece già arrivato il pilot

di Texas Rising, progetto stellare di Sky Atlantic con Ray

Liotta e Bill Paxton che riporta il grande western della

tradizione cinematografica a stelle e strisce anche sul

piccolo schermo, narrando le vicissitudini della guerra

d’indipendenza del Texas. Sarà solo l’apripista per una

stagione che vedrà tanti nomi nuovi ma anche i ritorni di

serie TV ormai cult come The Fall, Mozart in the Jungle,

Masters of Sex e Veep.

70 serie TV inedite e 1000 ore di prime visioni per il canale FOXI canali FOX hanno qualche grande ritorno e un paio di

nomi nuovi da lanciare in prima e seconda serata. Primo

in assoluto il sodalizio FOX- Kirkman, che oltre a riporta-

re gli zombie di The Walking Dead in una nuova stagio-

ne che si spera possa riavvicinarsi ai fasti del fumetto,

apre le porte all’altro progetto del visionario fumettista

americano che porta la paura alla sua connotazione più

ancestrale con Outcast. Spiriti, demoni, ed esorcismi

che andranno a completare l’overdose di paura della

seconda serata di FOX assieme a The Whispers, altro

progetto sul tema del paranormale che Steven Spiel-

berg ha portato sugli schermi di tutto il mondo. L’eserci-

to dei sequel vede invece nomi davvero importanti qua-

li Homeland e American Horror Story: Hotel già sulla

bocca di tutti per il casting di Lady Gaga nel ruolo di una

vampira bisex. Stanchi dell’overdose seriale? Non serve

cambiare canale perché FOX è pronta a puntare sugli

appassionati di documentari realizzati grazie alle part-

nership col National Geographic Channel: Breakthrou-

gh ci porterà avanti nel futuro con le invenzioni che

stanno per arrivare, The Story of God sarà un viaggio in

bilico fra fede e scienza sulla voce di Morgan Freeman

e He Named Me Malala ci farà conoscere Malala You-

safzai, la giovane donna Nobel per la pace che i taleba-

ni provarono ad assassinare mentre tornava da scuola.

Tutti i progetti sono prodotti da premi Oscar quali Ron

Howard, Morgan Freeman e Davis Guggenheim.

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MAGAZINEn.118 / 1523 SETTEMBRE 2015

TV E VIDEO Negli Stati Uniti Amazon ha annunciato la nuova Fire TV, costa meno di 100 dollari

Amazon risponde ad Apple con Fire TV 4KBasata su sistema operativo Fire OS 5, integrerà Alexa: l’assistente vocale di Amazon Echo

di Paolo CENTOFANTI

Amazon ha annunciato per gli

Stati Uniti una nuova versione del

set top box Fire TV, che sembra

pensato apposta per rispondere alla

nuova Apple TV, appena presentata. La

novità più grande è che la nuova Fire

TV supporta la riproduzione di conte-

nuti in streaming in Ultra HD. Al lancio il

set top box sarà in grado di riprodurre

i contenuti disponibili in 4K sul servizio

di streaming di Amazon, ma anche tra-

mite l’app di Netflix. tanti i servizi dispo-

nibili per gli utenti statunitensi: Netflix,

Amazon Video, HBO NOW, Hulu, Wa-

tchESPN, SHOWTIME ANYTIME, Sling

TV, STARZ PLAY, ENCORE PLAY, NBC

News, Prime Music, Spotify, Pandora,

Vevo, Plex, A&E, YouTube.com. Come si

può vedere, la stragrande maggioranza

non sono disponibili in Europa, motivo

per cui il prodotto non arriverà in Italia

a breve (anche se ci piacerebbe venire

smentiti al più presto). Novità però an-

che per i contenuti in alta definizione,

con il passaggio alla codifica HEVC, più

efficiente rispetto al più comune H.264,

e che permetterà di ottenere una mi-

gliore qualità di immagine a parità di

banda consumata. La nuova Fire TV,

anch’essa basata su sistema operati-

vo Fire OS 5, integrerà inoltre Alexa,

l’assistente vocale che ha debuttato

sull’Amazon Echo e che offrirà funzioni

avanzate di ricerca di contenuti e di in-

formazioni via web rispondendo alle ri-

chieste in linguaggio naturale. Il set top

box è dotato di Wi-Fi 802.11ac integrato

e di slot per schede microSD per espan-

dere la memoria di 8 GB fino a 128 GB.

E per finire il prezzo: la nuova Fire TV

negli Stati Uniti costerà 99,99 dollari e

sarà disponibile dal 5 ottobre.

TV E VIDEO Disponibile in Giappone, prezzo 118.000 euro

È di Sharp il primo TV 8K in vendita di Paolo CENTOFANTI

Sharp mostrerà al CEATEC di Tokyo in ottobre il suo primo modello di TV con

pannello 8K che sarà effettivamente possibile acquistare, facendone di fat-

to il primo TV 8K al mondo. Denominato LV-85001, il TV non è un prodotto

consumer vero e proprio, quanto più una soluzione per applicazioni commerciali

o business, anche perché a quanto pare sarà disponibile solo su ordinazione. Non

è la prima volta che Sharp mostra uno schermo con risoluzione 8K, ma questo

85 pollici è quanto più vicino a un “normale” TV si sia visto fino ad ora. Il TV suppor-

ta l’HDR, lo spazio colore BT.2020 con segnali a 12 bit, con una risoluzione massima

di 7680x4320 pixel a 120 Hz. Il pannello è di tipo LCD IGZO con retroilluminazione

a LED e Sharp dichiara una copertura del 78% dello spazio colore BT.2020 e co-

munque superiore al DCI-P3. Per poter visualizzare segnali 8K occorrerà utilizzare

tutti e quattro gli ingressi HDMI 2.0 contemporaneamente. Potrete ordinare il vostro

LV-85001 a partire dal 30 ottobre, sempre che abbiate 16 milioni di yen da investire,

pari a circa 118000 euro, e una parete in gradi di reggere gli oltre 100 kg di peso.

Sony e Dolby insieme per portare l’HDR nelle caseSony Pictures Home Entertainment ha scelto il sistema Dolby Vision per offrire contenuti video in 4K e HDR I primi titoli verranno annunciati durante i prossimi mesi di Paolo CENTOFANTI

In attesa che la UHD Alliance fi-nalizzi le specifiche e l’Ultra HD Blu-ray diventi effettivamente disponibile, cominciano ad ar-rivare notizie anche da parte di chi i contenuti poi dovrà concre-tamente produrli e distribuirli. Dopo Fox, che ha annunciato che tutte le nuove uscite saran-no in Ultra HD e HDR, è arriva-ta la notizia che Sony Pictures Home Entertainment ha siglato un accordo con Dolby, per ma-sterizzare le sue produzioni in Ultra HD in HDR in Dolby Vision. Il comunicato al momento non è molto ricco di dettagli: non ci sono annunci di titoli (che ver-ranno rivelati nei prossimi mesi), né su quali piattaforme saranno disponibili i contenuti in Dolby Vision. Sony e Dolby parlano semplicemente di supporti fisici di prossima generazione e piat-taforme di distribuzione digitale, per cui è lecito pensare che Dol-by Vision sarà il formato di HDR scelto oltre che per i futuri dischi Ultra HD Blu-ray, anche per servi-zi come Netflix e Amazon, il che lascia supporre che Dolby Vision rientrerà alla fine anche nelle specifiche della UHD Alliance. Sicuramente ne sapremo di più al CES di Las Vegas.

TV E VIDEO

Tivùsat 2,5 milioni di tessere attivateLa piattaforma Tivùsat sta godendo di un aumento di richieste di attiva-zioni per la sua smartcard, domanda che in realtà è andata crescendo per tutto il 2015, complice la diffusione di sempre più TV con sintonizzatore satellitare integrato degli ultimi anni. E così, Tivùsat ha annunciato il raggiungimento di quota 2 milioni e mezzo di tessere attivate dal debutto del 2009. Tivùsat è nata come piattaforma satellitare per offrire l’offerta del digitale terrestre italiano, là dove il segnale broadcast non arriva. Negli anni, il bouquet satellitare si è allargato, offrendo in esclusiva i tre canali principali RAI in alta definizione, BBC World, Bloom-berg, EuroNews, Arte HD, Superten-nis HD e altri ancora. Ricordiamo che Tivùsat trasmette su satellite Eutelsat Hot Bird 13° e per ricevere i canali occorre l’apposito modulo CAM (con smartcard annessa) che ha un costo intorno ai 99 euro.

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MAGAZINEn.118 / 1523 SETTEMBRE 2015

di Roberto PEZZALI

N ella nostra recensione di iOS 9 non abbiamo

citato una delle funzionalità più discusse e più

pubblicizzate di iOS 9, il “Content Blocker”, quel-

lo che molti inavvertitamente (e erroneamente) hanno

chiamato AdBlock. Lo abbiamo fatto perché l’argomen-

to è delicato, si presta a interpretazioni sbagliate e non

è propriamente una funzionalità di iOS 9, ma solo una

possibilità che Apple ha aggiunto in Safari per iOS 9 e

non vale per gli altri browser che un utente installa.

Quello che dev’essere subito chiaro è che Apple con

iOS 9 non blocca le pubblicità, ma ha solamente inte-

grato in Safari un filtro che, volendo, può essere utilizza-

to per bloccare le pubblicità.

Non solo: “Content Blocker” è molto più potente, per-

mette di oscurare siti interi, eliminare interi elementi da

una pagina web e impedire che vengano eseguiti de-

terminati script come quelli di tracciamento. Una mossa

che ha due obiettivi: il primo è permettere la creazione

di applicazioni che possano privilegiare la privacy, bloc-

care determinati siti e rendere più rapido il caricamento

delle pagine web; il secondo, non dichiarato ma intui-

bile, è mettere qualche bastone tra le ruote a Google,

azienda che fa utili sfruttando la enorme macchina della

pubblicità che ha costruito attorno al web.

La questione è ovviamente delicata e riguarda anche

siti come DDay.it che vivono sulla pubblicità, tuttavia

vedremo come questo “Content Blocker” sia probabil-

mente poco indicato per programmare un sistema che

blocca le pubblicità in modo efficiente e universale, ma

si presta più ad azioni mirate e localizzate.

Facciamo subito una premessa: questo articolo di ap-

profondimento è un po’ tecnico: potrebbe disorientare

chi non ha una infarinatura informatica, ma purtroppo

per spiegare certe logiche di funzionamento non si può

semplificare troppo. Un ad-blocker come il noto Ad-

Block Plus è un enorme filtro con un insieme di regole:

funziona analizzando la pagina web mentre viene ca-

ricata, eliminando tutti gli elementi contenuti nella sua

“blocklist” e rimpiazzandoli con elementi “vuoti”, per

MOBILE Apple ha introdotto in iOS 9 un’estensione per Safari Mobile che può essere usata per bloccare contenuti, tra cui la pubblicità

iOS 9 blocca le pubblicità? Non è così, però... Con “Content Blocker” non si riesce a fare un adBlocker, ma è comunque potente e può seriamente danneggiare Google

non creare deformazioni

nel layout della pagina

web o enormi buchi vuo-

ti. Un lavoro enorme: la

backlist per essere effi-

cace contiene infatti oltre

50000 regole, e oltre a

queste viene anche cari-

cato un foglio di stile che

si occupa di correggere il

layout privato degli ele-

menti pubblicitari. Un ad-

blocker come adBlock

Plus, oltre a rallentare il

caricamento di una pa-

gina, la appesantisce e

soprattutto consuma molte più risorse di sistema: chiun-

que può fare una prova e controllare quanta memoria

richiede un browser con AdBlock inserito e AdBlock

disinserito, verificando che il tool è un vero divora RAM.

Situazione che è destinata anche a peggiorare: più i siti

fanno modifiche per aggirare il blocco più regole dovrà

aggiungere AdBlock, diventando sempre più pesante.

Apple ha approcciato la cosa in modo differente: è pos-

sibile realizzare delle estensioni di app che permettono

di stabilire una serie di regole che vengono compilate

in un file e caricate prima che la pagina venga aperta.

Le estensioni sono legate a una applicazione specifi-

ca e non sono già integrate nel browser: se si installa

l’applicazione chiamata “Blocca Tutto”, all’interno delle

impostazioni di Safari verrà aggiunto l’interruttore per

attivare le regole definite dall’estensione inclusa nel-

l’app. Attivandolo, l’utente da il permesso a Safari di ag-

giungere una serie di principi ai quali Safari si deve at-

tenere ancora prima di caricare la pagina, senza impatti

sulle performance e caricando quindi meno contenuto

di quello che solitamente il browser carica.

iIl team che sviluppa AdBlock ha subito chiarito che

il sistema di Apple non si presta per essere utilizzato

da loro: AdBlock ha troppe regole, alcune delle quali

anche troppo complesse per quello che Apple ha

integrato in Safari. Inoltre, cosa di non poco con-

to, la stessa Apple non permetterà applicazioni

che abusano del sistema: l’obiettivo è migliorare

l’esperienza di navigazione, non peggiorarla.

Per capire meglio come funziona il sistema di Ap-

ple, e quindi per capire anche come mai questo si-

stema può andare a danneggiare soprattutto Goo-

gle, abbiamo creato una estensione che permette

di bloccare le foto su DDay.it. Apple ha realizzato il

sistema di content blocking in modo decisamente

semplice, permettendo a chiunque senza la mini-

ma conoscenza tecnica di realizzare il proprio filtro

anche se poi per caricare un app con il filtro inte-

grato serve comunque l’account “Developer”.

Come abbiamo scritto prima il “blocker” non è una

applicazione, ma una estensione che viaggia con

una applicazione: ogni singolo blocker si trasfor-

ma in un interruttore

nelle impostazioni

di Safari, interrutto-

re che dev’essere

l’utente ad attivare

manualmente.

Creare un Content

Blocker in Xcode,

l’ambiente di svi-

luppo di Apple per

iOS e OSX, è relati-

vamente semplice:

basta creare una

nuova app e ag-

giungere “Content

Blocker Estension”

come target per

l’applicazione.

Xcode crea auto-

maticamente i file

necessari, tra i quali

anche un blocker-

List.json che è l’unico file realmente da modificare se

si vuole fare un filtro semplice. Questo file contiene le

istruzioni per Safari, e questo è il nostro esempio per

togliere tutte le foto da DDay.it:

[ { “action”: { “type”: “css-display-none”, “selector”: “img” }, “trigger”: { “url-filter”: “.dday.it” } }]Siete di fronte ad un file .json, tipo di file molto usato in

ambito informatico: senza entrare nel dettaglio, si può

vedere che questo file definisce il nostro filtro utiliz-

zando azioni e “trigger”. Il trigger è l’elemento che sca-

segue a pagina 16

DDay.it senza immagini.

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MAGAZINEn.118 / 1523 SETTEMBRE 2015

tena il filtro: in questo caso si attiva solo su DDay.it, se

avessimo messo un “*” il nostro filtro sarebbe stato ap-

plicato ad ogni sito. Apple permette un controllo granu-

lare sull’elemento che scatena un filtro: può essere un

url ma anche uno script, una immagine o una font, sta

al programmatore scegliere, e in questo caso abbiamo

scelto di filtrare per “url” web. Quando Safari prova a

carica una pagina, se l’indirizzo o un elemento sono

tra quelli che attivano il “trigger”, allora viene eseguita

una specifica azione. iOS al momento ne permette tre:

block, block-cookies o css-display-none. Block non ha

bisogno di molte spiegazioni: il sito o l’elemento che

ha attivato il trigger non viene caricato, Safari ci dice

“pagina inesistente”.

[ { “action”: { “type”: “block” }, “trigger”: { “url-filter”: “*sex*” } }]Questo filtro, ad esempio, blocca tutti i siti che hanno,

all’interno del dominio, la parola “sex”.

Se “block” blocca, “block-cookies” impedisce di scri-

vere cookies (elementi scritti nel browser che permet-

tono di tracciare la nostra navigazione) e “css-display-

none” nasconde un elemento della pagina. Qui, per

sapere cosa nascondere, bisogna indicare anche un

“selettore” usando la sintassi CSS. E’ quello che ab-

biamo fatto nel nostro esempio sopra, dove abbiamo

indicato di nascondere tutti gli elementi di tipo “img”.

Abbiamo provato anche a scrivere un filtro per na-

scondere tutti gli articoli scritti da Roberto Pezzali, ma

purtroppo non è possibile scrivere un selettore così

complesso.

Questo dovrebbe chiarire per quale motivo Content

Blocker non può essere usato per funzionare come

un completo AdBlock: servirebbe riscrivere 50.000 re-

gole, alcune delle quali troppo complesse per essere

gestite con li pochi strumenti che Apple ha messo a

disposizione.

Content Block può essere usato però per bloccare po-

chi elementi mirati, ed è qui che viene subito in mente

Google: il codice di invocazione presente in ogni sito

che usa la pubblicità di Google Adsense è semplice

e universale:

<script async src=”http://pagead2.googlesyndica-tion.com/pagead/js/adsbygoogle.js”></script> <ins class=”adsbygoogle style=”display:inline-block;width:300px;height:250pxdata-ad-client=”ca-pub-xxxxxxxxxxxxxxxx” data-ad-slot=”6440411535”></ins><script> (adsbygoogle = window.adsbygoogle || []).push({});</script>Un filtro come quello scritto qui sotto bloccherebbe

tutta la pubblicità di Google su ogni sito che non sia

DDay.it, uno scherzo non da poco. E allo stesso modo

si possono togliere script di “analytics” per tracciare

le visite: bastano poche righe di codice per tagliare il

tubo della benzina alla macchina dei soldi di Google.

Una mossa che potrebbe infastidire Mountain View:

difficile che Apple voglia fare uno sgarro così grande

una azienda che è allo stesso modo partner e compe-

titor, quindi è probabile che si trovi una soluzione di

qualche tipo. Al momento la situazione è questa, quel-

lo che succederà e quanti lo useranno effettivamente

si potrà capire solo nelle prossime settimane.

[ { “trigger”: { “url-filter”: “googlesyndication.com\\.js” “unless-domain”: “.dday.it” }, “action”: { “type”: “block” } }]Alla fine di questa lunga analisi crediamo si sia capito

che quello di Apple in sostanza non è un AdBlocker,

ma un filtro globale che può essere usato per bloccare

siti e bloccare elementi di determinati siti, tra questi la

pubblicità, ma potrebbe benissimo essere una icona

o un link. Non va bene per fare sistemi universali, ma

può essere usato per definire regole precise.

Le varie app che sono già pronte per sfruttare questa

opzione, come 1blocker o blockr, usano regole per le

opzioni più comuni e permettono un buon grado di

personalizzazione, ma non bloccano tutto.

DDay.it, come sito che vive di pubblicità, è ovviamente

contraria all’utilizzo di sistemi di questo tipo, ma siamo

anche consapevoli che esistono siti dove popup sgra-

devoli sparano musica e video a tutto volume e spes-

so attivano servizi a pagamento su abbonamento.

Una soluzione c’è: se proprio decidete di usate Safa-

ri con un content blocker, dopo aver caricato DDay.

it basta tenere premuto qualche secondo il tasto di

“ricarica” della pagina. Apparirà un menù dove, oltre a

richiedere il sito desktop, si può anche dire a Safari di

caricare quel sito senza Content Blocker, aggiungendo

una eccezione al filtro stesso.

MOBILE

iOS 9 blocca le pubblicità? segue Da pagina 15

di Emanuele VILLA

VLC annuncia il supporto per tvOS,

il nuovo sistema operativo che

equipaggerà le versioni di Apple

TV in arrivo ad ottobre. La famosa app è

però solo l’ultima, in ordine cronologico,

a salire sul carro di Apple TV poiché già

durante il keynote e nelle ore immedia-

tamente successive, Plex e Infuse Pro

annunciavano la presenza sull’app store

televisivo. Per chi non lo sapesse, VLC

è una delle più famose app per la ripro-

duzione di video in quasi ogni formato, e

supporta anche lo stream da e verso mol-

tissimi dispositivi quali iPhone, smartpho-

ne Android, Fire TV ed Android TV: in un

messaggio molto stringato il lead develo-

per Jean-Baptiste Kempf scrive che l’app

è ancora nei primissimi step di creazione

ma “… finalmente abbiamo un codice per

lavorare su VLCKit per tvOS!”.

Interessante notare, al di là dell’annun-

cio in sé di VLC, che molti grandi nomi

dell’intrattenimento smart per tablet e

smartphone abbiano abbracciato pra-

ticamente subito e il nuovissimo tvOS

lasciando indietro semmai le varie piatta-

forme Smart TV che “dall’altra parte dello

schermo” sempre meno utenti tendono a

considerare come fattore determinante

all’atto dell’acquisto di un TV. La nuova

Apple TV, con tanto di store e di suppor-

to da parte della maggioranza dell’indu-

APP WORLD Kempf, papà della popolare app di riproduzione video, annuncia che anche VLC scenderà nell’arena di tvOS

Apple TV a tutto video: dopo Infuse e Plex, arriva VLCÈ solo l’ultimo nome noto ad aggiungersi, dopo quelli di Infuse Pro e Plex. L’ecosistema promette bene: smart TV a rischio?

stria, potrebbe restituire al TV la propria

collocazione tradizionale, assumendo un

ruolo accentratore per tutti i servizi e le

funzionalità smart. Staremo a vedere...

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MAGAZINEn.118 / 1523 SETTEMBRE 2015

di Paolo CENTOFANTI

P er la prima volta un malware riesce

a superare le barriere dell’App Store

per iOS. È successo sull’App Store

cinese, colpendo quasi una cinquantina di

applicazioni, tra cui però anche WeChat,

il servizio di messaggistica molto utilizza-

to anche al di fuori dei confini cinesi. Ma

come è potuto accadere in primo luogo

che uno degli app store più controllati si

sia ritrovato con un malware a piede libe-

ro? L’origine è tutta nel nome del malware

stesso, XcodeGhost: in Cina si è diffusa

infatti, a quanto pare con successo, una

versione non ufficiale di Xcode, la suite

di software di sviluppo necessaria per

programmare applicazioni per l’ambien-

te iOS; secondo le ricostruzioni, i server

ufficiali di Apple sarebbero troppo lenti in

Cina, motivo per cui molti sviluppatori si

sarebbero affidati a canali P2P per scari-

care il software più velocemente, non sa-

pendo di trovarsi tra le mani in realtà una

versione modificata e contenete appunto

il codice malevolo. Le app compilate tra-

mite questa versione di Xcode, denomi-

nata Ghost appunto, hanno superato poi

i controlli dell’App Store, finendo così per

essere distribuite complete

del malware.

La vulnerabilità non è di poco

conto: il codice consente in-

fatti di sottrarre informazioni

dallo smartphone di nascosto

dall’utente, ma anche ai malin-

tenzionati di effettuare attacchi

di phishing aprendo finestre in

popup che chiedono le cre-

denziali, dirottare il sistema di link interno

di iOS e di leggere e scrivere i contenuti

della clipboard (la memoria utilizzata per

il copia e incolla) A causa della popolarità

di alcune app, gli infetti potrebbero essere

centinaia di milioni di dispositivi. Apple è

corsa ai ripari è tolto dall’App Store tutte le

app compilate tramite le versioni sospette

di Xcode. WeChat, dal canto suo, sostiene

che la versione infetta della sua app era la

numero 6.2.5, e che la build attualmente

sull’App Store è già stata ripulita e quindi

teoricamente sicura. Resta un po’ la brutta

figura per Apple, che nonostante tutte le

sue contromisure non si è accorta della

presenza del malware tra le app appro-

vate per la pubblicazione. Di seguito la

posizione ufficiale di Apple: sulla vicenda:

“Apple prende la sicurezza molto sul se-

rio e iOS è progettato per essere affida-

bile e sicuro dal momento in cui accendi

il tuo dispositivo. Offriamo agli sviluppa-

tori gli strumenti più avanzati del settore

per creare grandi applicazioni. Una falsa

versione di uno di questi strumenti è sta-

ta rilasciata da fonti non sicure che po-

trebbe compromettere la sicurezza degli

utenti attraverso applicazioni create con

questo strumento contraffatto. Per pro-

teggere i nostri clienti, abbiamo rimosso

dall’ App Store le applicazioni che sap-

piamo essere state create con il software

contraffatto e stiamo lavorando ora con

gli sviluppatori per assicurarci che stiano

utilizzando la versione corretta di Xcode

per ricostruire le loro app.”

MOBILE Tramite una versione non ufficiale di Xcode, un malware si fa strada sull’app store cinese

Un malware nelle app cinesi di iOS e WeChat lo diffondeTra le app colpite, anche WeChat: i dispositivi infetti potrebbero essere centinaia di milioni

di Emanuele VILLA

P er tornare sulla vetta di un merca-

to competitivo come quello degli

smartphone bisogna innovare.

Sempre e comunque. Lo sa bene Sam-

sung, che dopo aver realizzato il primo

smartphone con display Dual Edge, sa-

rebbe prossima a un passo ancor più

rivoluzionario: lo smartphone con display

pieghevole. In realtà di un prodotto

del genere si parla da mesi e pare che

Samsung lo stia testando col nome in

codice di Project Valley o Project V: pro-

babilmente la lettera indica la principale

funzionalità dell’apparecchio, ovvero la

capacità di piegarsi su se stesso come

fosse un cellulare “clamshell” del 2015.

Tutto ciò sarebbe possibile grazie al di-

splay OLED pieghevole, che a differenza

di quello LG (il P-OLED usato sui G Flex)

potrebbe addirittura ruotare su se stesso

di 180° per permettere allo smartphone

di occupare meno spazio. Fantascienza?

Difficile, visto che la fonte parla anche

di gennaio 2016 come papabile data di

presentazione (CES?) e di due configu-

razioni hardware in fase di test, una con

snapdragon 620 e l’altra con Snapdra-

gon 820, che dovrebbe appunto debut-

tare nei prossimi mesi. In entrambi i casi

troveremo 3 GB di RAM, l’ultima versione

di Android, uno slot microSD e una bat-

teria non removibile.

MOBILE Nome in codice Project V, la lettera indicherebbe la sua funzionalità più appariscente

Lo smartphone Samsung pieghevole arriva a gennaioSarebbe in grado di piegarsi su se stesso fino a 180°, come un moderno cellulare “clamshell”

Project V potrebbe essere questo. Non suggerisce un’idea di grande solidità ma è presto per giudicare.

Chromecast 2 in arrivo insieme a Chromecast AudioGoogle si prepara a lanciare la seconda generazione di Chromecast: cambia la forma e soprattutto arriva anche la versione solo Audio per utilizzare Google Cast Audio con un set di speaker attivi o un impianto audio pre esistente di Roberto PEZZALI

Sta arrivando una nuova versione di Chromecast: sarà più potente, più veloce e più completa. Google dovrebbe presentare questa nuo-va chiavetta nel corso dell’even-to dedicato ai nuovi dispositivi Nexus, insieme ad una seconda dongle destinata ai sistemi audio. Se Chromecast infatti si collega ad un TV tramite HDMI, Chromecast Audio si collegherà ad amplifica-tori e diffusori tramite il classico jack analogico. Le novità riguar-dano soprattutto il wi-fi: Google, vista anche la particolare forma, potrebbe aver inserito un modulo wireless 802.11ac per migliorare la velocità di rete e il livello di con-nessione. Grazie poi alla funzione Fast Play, la chiavetta sarebbe de-cisamente più rapida ad aggan-ciare e riprodurre lo streaming: ora servono circa 5 secondi, con Fast Play il “Cast” dovrebbe es-sere quasi immediato. Secondo la indiscrezioni Google ha anche cambiato la “home”: potrà essere usata per visualizzare foto e noti-zie dai social network. Il secondo modulo che Google ha pronto è invece dedicato all’audio: si chiamerà Chromecast Audio e sarà una piccolo disco con usci-ta analogica: sfruttando Google Cast Audio sarà possibile usare la chiavetta per riprodurre audio in streaming dalle app compatibili, e tra queste finalmente dovrebbe esserci Spotify.

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MAGAZINEn.118 / 1523 SETTEMBRE 2015

Il tablet Fire di Amazon costa meno di 60 euroIl nuovo Fire è il tablet più economico di sempre. Ha schermo LCD IPS da 7 pollici processore quad core e costa 59,99 euro Disponibile dal 30 settembre di Paolo CENTOFANTI

Le indiscrezioni prevedevano il lan-cio di un tablet ultra economico da parte di Amazon per Natale, e in-vece il gigante dell’e-commerce ha deciso di lanciarlo subito. Il nuovo Fire di Amazon sarà infatti dispo-nibile dal 30 settembre e avrà un costo di appena 59,99 euro, nella versione con contenuti promozio-nali in evidenza. Senza pubblicità il costo sarà di 74,99 euro. Ma cosa offrirà Amazon con questo prez-zo? Il nuovo Fire è nel formato da 7 pollici, con display LCD IPS con risoluzione di 1024x600 pixel, e monta un processore quad core da 1,3 GHz, con 1 GB di RAM, 8 GB di memoria storage, Wi-Fi 802.11n, Bluetooth LE e slot per schedine microSD per spandere la memoria fino a 128 GB. Il sistema operativo è la versione 5.0 di Fire OS, nome in codice Bellini, sempre basato su Android, ma completamente per-sonalizzato per integrare in modo nativo tutti i servizi di Amazon. Il tablet è anche dotato di fotoca-mera posteriore da 2 Megapixel e frontale con risoluzione VGA. Non stiamo parlando chiaramente di caratteristiche da top di gamma, ma per un tablet da 60 euro non possiamo nemmeno lamentarci troppo. Per 40 euro in più, rimane comunque in gamma il Fire HD 6, con schermo e processore miglio-ri. Per quanto riguarda la batteria, Amazon parla di un’autonomia di 7 ore in lettura, navigazione web e ascolto di musica.

di Emanuele VILLA

D opo la circolazione di rumor sul

possibile lancio di un tablet Ama-

zon molto diverso dal solito e con

un’interfaccia in stile Android “classico”,

ecco giungere il comunicato ufficiale:

non si trattava di un fantomatico nuovo

tablet con sistema operativo Android

standard ma del nuovo Fire HD, che per

l’occasione è stato presentato in due ta-

gli, da 8’’ e da 10,1’’, di fatto superando i

modelli più piccoli dello

scorso anno, vincolati a

schermi da 6’’ e 7’’. Molto

colorati e con scocca pla-

stica rinforzata, i nuovi Fire

HD sono i tablet più gran-

di di Amazon e sono an-

che più sottili rispetto alle

generazioni precedenti,

con un 7,7 mm di spesso-

re che non è niente male.

In più, sono pensati per

l’impiego multimediale:

entrambi dispongono di display di riso-

luzione HD con aspect ratio di 16:10, pen-

sata per favorire la visione di materiale

cinematografico rispetto alle controparti

4:3. Ma quello che colpisce di più è la

nuova versione di Fire OS, che Amazon

ha chiamato Bellini, che gira su Lollipop

e che - nonostante sia sempre incentrata

sul contenuto più che sulla caratteristica

tecnica - appare davvero rivoluzionata

rispetto alle precedenti. Amazon parla di

oltre 100 modifiche e miglioramenti, Bel-

lini offre un’interfaccia totalmente diver-

sa, con le app in bella mostra e pagine

dedicate a seconda del tipo di contenu-

to; l’interfaccia è pensata per mostrare

con semplicità i contenuti recenti e forni-

re consigli personalizzati a seconda dei

servizi cui si è iscritti e alle preferenze

d’uso del tablet. A livello hardware oc-

corre segnalare il processore MediaTek

quad-core da 1.5GHz e il doppio speaker

con supporto Dolby Audio, ma è anche

importante segnalare il supporto micro

SD fino a 128 GB per i contenuti extra,

la feature Word Runner per semplificare

la lettura, Amazon Underground, Activity

Center, e la doppia fotocamera. Al mo-

mento non abbiamo (ancora) notizie per

il mercato italiano, ma negli USA i prezzi

di listino sono rispettivamente di 149,99

dollari e 229,99 dollari.

MOBILE Due tablet Amazon della famiglia Fire HD, colorati, resistenti e con display da 8’’ e 10.1’’

Grandi e pensati per il video: ecco i Fire HD AmazonLa versione di FireOS, Bellini, è molto diversa dalla precedente, con modifiche e miglioramenti

MOBILE L’azienda americana Sosche ha presentato una linea di nuovi accessori

Il micro USB double face è realtà: serve un Type C?La particolarità è il connettore micro USB, che può essere inserito in entrambi i versi

di Emanuele VILLA

U n’azienda sconosciuta ai più (Sco-

sche) ha avuto un’idea decisamen-

te brillante: ha reso double face il

connettore micro USB, semplificando

la vita a tutti coloro che possiedono un

dispositivo di questo tipo. Che poi sono

la stragrande maggioranza degli smar-

tphone e tablet Android e Windows, un

mercato da milioni e milioni di pezzi.

Tenendo un attimo fuori il mondo Apple,

che com’è noto offre da tempo questa

possibilità con Lightning - l’altro connet-

tore che può essere inserito in entrambi

i versi è USB Type C, l’ultimo nato della

famiglia. Nonostante gli indubbi vantag-

gi in termini di performance, è peraltro

vero che la sua diffusione non è ancora

capillare (ce l’ha il One Plus 2), specie

su dispositivi come gli smartphone che

sono ancora dominati dalla cara e vec-

chia micro USB. Visto

che ognuno di noi ha

tentato almeno una

volta di inserire il cavo

micro USB al contra-

rio nello smartphone,

l’idea di Scoschse è

quanto meno utile. Si

tratta di un connet-

tore miniaturizzato

di forma esagonale

(che viene chiamato

EZTIP) e con i contatti

al centro e non sulla

base del connettore,

di modo tale da poter

essere inserito in en-

trambi i versi. Insieme alla presentazio-

ne del nuovo connettore è stata introdot-

ta un’intera nuova linea EZTIP dedicata

proprio a sfruttarne i vantaggi: i cavetti

USB/micro USB che possono essere

usati con i comuni smartphone, ma an-

che i battery pack, alimentatori da auto

e altro ancora. Quello che non è certo è

se questi prodotti arriveranno da noi, ma

l’idea è brillante.

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MAGAZINEn.118 / 1523 SETTEMBRE 2015

Corretto il bug WatchOS 2 è finalmente disponibileApple ha corretto rapidamente il bug che ha ritardato il rilascio di WatchOS 2: il nuovo sistema operativo di Apple Watch è finalmente disponibile per il download Le app native sono la novità più importante di Roberto PEZZALI

WatchOS 2 è stato finalmente rilasciato da Apple: dopo un pic-colo ritardo dovuto ad un bug, i possessori di Watch potranno aggiornare lo smartwatch ag-giungendo una delle funzionalità più attese, il supporto alle appli-cazioni native. Se fino ad oggi il legame tra smartphone e smar-twatch era molto saldo, con la parte “logica” dell’applicazione eseguita dallo smartphone, ora con WatchOS 2 alcune app ver-ranno gestite interamente dal processore del Watch.Questo garantirà non solo una maggiore velocità, ma anche la possibilità per sviluppatori di creare applicazioni diverse utiliz-zabili anche quando lo Watch non si trova nei paraggi di un iPhone. Oltre alle app native WatchOS 2 aggiunge anche nuovi qua-dranti, Time Travel, una modalità “Notte” e tante altre piccole mi-gliorie. Nelle prossime settimane metteremo alla frusta Watch con il nuovo OS, che abbiamo pron-tamente installato sul Watch di redazione.

di Paolo CENTOFANTI

I l visore di realtà virtuale per PlaySta-

tion, prima noto come Project Mor-

pheus, costerà come “una nuova

piattaforma di gioco” secondo Andrew

House, il CEO di Sony Computer En-

tertainment, in un’intervista rilasciata a

Bloomberg. Il dispositivo è atteso nella

prima parte del 2016 e, anche se non

si parla di numeri precisi, dalle parole

utilizzate sembra chiaro che potremo

aspettarci un prezzo pari a circa a quel-

lo della PS4 al lancio, intorno ai 400

euro. L’uscita di PlayStation VR sarà ac-

compagnata da una line up di più di 10

titoli, suggerisce inoltre House, riferen-

dosi alla decina di giochi già mostrati

nella varie dimostrazioni del visore

nelle ultime fiere e in particolare al re-

cente Tokyo Game Show. Se il prezzo

fosse confermato, la soluzione di Sony

rimarrebbe comunque competitiva

considerando i requisiti di sistema del

concorrente Oculus Rift, che parlano

di un budget di circa 1500 dollari tra

PC adeguatamente potente e visore

virtuale; Il bundle PlayStation 4 e VR

potrebbe invece posizionarsi abbon-

dantemente sotto i 1000 dollari, specie

alla luce del recentemente annunciato

taglio di prezzo per la console in Giap-

pone (e che ancora non si sa se verrà

applicato anche nel resto del mondo).

GAMING Arrivano le prime indicazioni di prezzo per il visore per la realtà virtuale su PlayStation

PlayStation VR costerà come una consoleSapremo anche cosa aspettarci a livello di titoli per il lancio nel 2016. Il debutto si avvicina

APP WORLD Cambiamento grafico su tutte le piattaforme

Una nuova interfaccia per Deezerdi Paolo CENTOFANTI

I l servizio di streaming Deezer ha annunciato il debutto della sua nuova inter-

faccia grafica, un cambiamento che interesserà tutte le piattaforme su cui è di-

sponibile, e che gli utenti dell’app per iOS potranno provare da subito. Il nuovo

design punta tutto sulla semplicità di utilizzo del servizio riducendo il più possibile

i passaggi per arrivare alla musica che si vuole ascoltare e mette ancora più in evi-

denza i consigli della redazione e i mix tematici.

L’app mobile rinuncia al menù, in favore di una navigazione a tab nella parte inferio-

re che offre un accesso più rapido alle funzioni principali di Deezer. Flow, la playlist

dinamica compilata in funzione delle nostre abitudine di ascolto, continua a rima-

nere in posizione privilegiata in home, mentre nella tab “notifiche”, troveremo le

attività dei curatori musicali a noi affini e degli utenti che seguiamo. Il nuovo design

arriverà anche su web, oltre che su Android, anche se al momento non c’è ancora

una data prevista per il lancio.

MAGAZINE

Estratto dal quotidiano onlinewww.DDAY.it

Registrazione Tribunale di Milanon. 416 del 28 settembre 2009

direttore responsabileGianfranco Giardina

editingClaudio Stellari,

Maria Chiara Candiago, Alessandra Lojacono,

Simona Zucca

EditoreScripta Manent Servizi Editoriali srl

via Gallarate, 76 - 20151 MilanoP.I. 11967100154

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MAGAZINEn.118 / 1523 SETTEMBRE 2015

AUTO La Casa automobilistica tedesca ora rischia tantissimo, anche una multa molto salata

Ecco come Volkswagen “truccava” le autoInserite nelle centraline dei motori diesel destinati agli States due curve di calibrazione Una a basse emissioni che si attiva durante test specifici e una “killer” da usare su strada

di Roberto PEZZALI

C osa ha combinato Volkswagen,

crollata in borsa e costretta a

richiamare negli Stati Uniti oltre

500.000 vetture? Semplice, ha imbro-

gliato inserendo sulle sue vetture un

software in grado di ridurre le emissioni

solo quando le auto venivano analizza-

te in laboratorio. E non siamo di fronte a

un sospetto: Volkswagen ha ammesso

di aver usato il trucco e ora rischia dav-

vero grosso, anche una multa di svariati

miliardi di dollari oltre all’obbligo di ri-

chiamo per 500.000 vetture da rimette-

re in regola il più presto possibile.

Una storia, quella di Volkswagen, che

ha inizio nel 2014, quando una attenta

analisi condotta dall’Università della

West Virginia scoprì che alcuni motori

diesel, su strada, emettevano una quan-

tità decisamente più elevata di ossido

di azoto rispetto al valore registrato in

fase di test e certificazione. Un risultato

che è stato prontamente sottoposto alla

California Air Resources Board, ente

preposto al rilascio delle certificazioni

anti-inquinamento, e che ha dato il via

a una indagine preliminare con la col-

laborazione di Volkswagen, con l’obiet-

tivo di capire per quale motivo i motori

da 2 litri diesel della casa tedesca, in

condizioni di guida su strada, facesse-

ro rilevare emissioni di ossido di azoto

così elevate rispetto ai normali test di

certificazione.

Volkswagen, dopo un periodo di anali-

si iniziale, ha dichiarato alla CARB nel

mese di dicembre dell’anno 2014 di

aver trovato una motivazione tecnica

alle elevate emissioni su strada, sugge-

rendo come soluzione una nuova curva

di calibrazione del motore da caricare

nella centralina tramite update software

per rientrare nei parametri. Una risposta

accolta positivamente dall’ente america-

no, che ha dato il permesso di applicare

la soluzione software il prima possibile.

La Casa automobilistica, a fine 2014, ha

così dato il via a un richiamo sul territo-

rio americano di 500.000 auto, 50.000

delle quali in California, per apportare

le modifiche al software del motore e

ridurre così le emissioni su strada. Tra

le auto richiamate figuravano le Jetta, le

Beetle, le Golf, le Passat e le Audi A3

prodotte dal 2009 al 2015 (dal 2014 per

le Passat). La California Air Resources

Board aveva in ogni caso avvisato VW:

dopo il richiamo avrebbero ricontrollato

e verificato le emissioni di alcune auto

prese a campione, e se durante i test

si fossero riscontrate emissioni elevate

Volkswagen avrebbe dovuto richiamare

nuovamente le autovetture.

I test sono iniziati il 6 maggio di quest’an-

no, e nonostante il richiamo le emissioni

non si sono affatto ridotte: qualche pa-

rametro si è abbassato, ma le emissioni

di NOx, ossido di azoto, sono rimaste

decisamente sopra la media. Un dato

continuava a stonare con quello rilevato

in laboratorio, e che ha spinto la CARB

a effettuare

test specifici

più precisi

adottando su

strada anche

alcuni metodi

usati per la

certificazione

strumentale.

La curva di

calibrazione

modificata da

VW con il se-

condo richiamo ha aumentato effettiva-

mente il dosaggio di AdBlue rilasciato

(un liquido usato nei sistemi catalizzato-

ri che trasforma l’ossido di azoto in in-

nocui azoto e vapore acqueo), ma non

in modo sufficiente per rientrare nei pa-

rametri standard.

Dopo aver inviato i risultati del test a

Volkswagen, la stessa casa tedesca

ha dovuto ammettere l’esistenza nelle

centraline del motore due curve di cali-

brazione, una normale e una che viene

caricata solo se viene rilevato uno speci-

fico pattern, ovvero uno specifico com-

portamento del motore. E guarda caso il

comportamento era quello dei test FTP,

US06 e HWFET usati dalla Carb per

rilasciare le certificazioni. Volkswagen

ha fatto in pratica quello che ha fatto

qualche produttore di smartphone con

alcuni benchmark, ha modificato le pre-

stazioni e ridotto le emissioni dei motori

solo in laboratorio, lasciando invariato il

comportamento su strada.

Una cosa gravissima sia dal punto di

vista etico sia sotto il profilo ambien-

tale, tanto che ora la CARB ha messo

il colosso dell’auto alle strette: deve

richiamare tutte le auto in circolazione

applicando la curva di calibrazione cer-

tificata, anche a discapito di consumi e

prestazioni. La CARB ha inoltre avvia-

to una indagine su tutte le altre auto

prodotte dal 2009 al 2015 con motore

diesel, e probabilmente una inchiesta

simile sarà attivata ora anche in Europa

e in altri Paesi. Utilizzare inoltre soluzio-

ni fuorilegge per passare i controlli sulle

emissioni è considerato negli Stati Uniti

una grave minaccia alla salute pubblica,

e Volkswagen rischia ora una multa a

nove zeri.Il pattern di misurazione; il motore si adeguava di conseguenza

Batteria Bosch raddoppierà l’autonomia delle auto elettricheBatterie per le auto elettriche con più del doppio dell’attuale densità di carica e a costi inferiori Una nuova tecnologia di Bosch che potrebbe arrivare entro 5 anni di Paolo CENTOFANTI

Il freno maggiore alla diffusione di veicoli elettrici è costituito dalle batterie, ancora troppo costose e dall’autonomia limitata rispetto alle tradizionali vetture a combu-stione. Bosch però sostiene di avere una soluzione: una nuova tecnologia di batterie agli ioni di litio che consentirà di realiz-zare celle con più del doppio di densità di carica, il tutto a costi industriali inferiori a quelli attuali. L’innovazione si basa in parte sul know how di Seeo Inc., azienda americana acquisita da Bosch lo scorso mese e specializzata nella produzione di batterie allo stato solido. La tecnologia, che Bosch sostiene potrebbe essere pronta entro i prossimi 5 anni, si basa sullo sviluppo di un nuovo tipo di batteria completamente allo stato solido, in cui l’anodo è composto da litio puro, il che consente di au-mentare la capacità di immagaz-zinamento di carica di una cella rispetto alle soluzioni classiche. L’abbandono di soluzioni liquide in favore di una struttura solida eliminerebbe i rischi di infiamma-bilità delle batterie, migliorandone la sicurezza. Aumentando la ca-pacità delle celle, i pacchi batte-rie diventerebbero più compatti e leggeri e, secondo Bosch, più economici. Bosch ha annunciato di avere già le prime celle basate sulla nuova tecnologia.

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MAGAZINEn.118 / 1523 SETTEMBRE 2015

Il giubbotto Dainese con airbag può salvare la vitaDainese Misano 1000 è il primo giubbotto con airbag completamente “stand alone” di Emanuele VILLA

Dainese ha presentato un giub-botto con l’airbag incorporato, quello che la stessa azienda defi-nisce “il primo airbag stand-alone Dainese per uso stradale”. Si chia-ma Misano 1000 e differisce dalle altre giacche della medesima ca-tegoria proprio per l’elettronica in-corporata. Scopo del giubbotto è quello di rilevare un incidente e di attivare la protezione in una frazio-ne di secondo per attutire il colpo, ma mentre gli altri si basano su kit di sensori da installare sul veicolo, Misano 1000 è “stand alone”, ov-vero si basa sui propri sensori in-terni ed è quindi compatibile con tutte le situazioni e tutte le moto. Il segreto sembra risiedere negli accelerometri interni e nel GPS, che sono alloggiati nel paraschie-na e che, sulla base delle proprie rilevazioni (si parla di 800 misura-zioni al secondo tramite 6 sensori integrati) sono in grado di capire se c’è stato un incidente e/o si è stati disarcionati. Il grosso vantag-gio è l’indipendenza dalla moto: se anche se ne cambiano 2 o 3 in un giorno, la protezione resta sempre attiva. Misano 1000, che presumibilmente ha bisogno di una fonte di alimentazione, si at-tiva con un pulsante sulla chiusu-ra della giacca e dà un feedback visivo tramite un LED laterale. L’airbag è basato su una struttura a microfilamenti e - riportando la comunicazione ufficiale Dainese - “permette un gonfiaggio uniforme di 5 cm su tutta la sua superfice garantendo m a s s i m a protezione e massimo c o m f o r t ”. Sarà dispo-nibile da novembre a 1.499 euro.

di Roberto FAGGIANO

L a BMW serie 7 costa come minimo

88.000 euro ma se volete ascoltare

come si deve non solo il motore ma

anche la musica, è meglio aggiungere

qualche altro migliaio di euro per farvi

montare il nuovo sistema audio B&W. Fi-

nora il marchio inglese aveva realizzato

sistemi audio solo per Maserati e Volvo,

ma ora allarga i suoi orizzonti con le ber-

line bavaresi. Il sistema è particolarmen-

te sofisticato e studiato

su misura per ottenere le

massime prestazioni so-

nore per il conducente

e i passeggeri. Il team di

Bowers & Wilkins ha fat-

to le cose in grande

piazzando addirittu-

ra 16 diversi altopar-

lanti nell’abitacolo,

pilotati da dieci am-

plificatori digitali in

classe D per un totale di 1.400 watt; inol-

tre, è possibile scegliere cinque diverse

curve di equalizzazione per ottenere un

risultato ancora più personale ed esclu-

sivo. Tra i sedici altoparlanti montati ci

sono tre tweeter del tipo Diamond, gli

stessi usati nella serie casalinga 800 di

B&W, piazzati frontalmente nelle posizio-

ni sinistro, centrale e destro. Inoltre, tro-

viamo quattro tweeter in alluminio, sette

midrange in kevlar e due woofer da 217

mm. Per i tweeter ci sono anche raffinate

griglie in alluminio coordinate con la fi-

nitura interna della vettura. Buon ascolto

ai fortunati possessori di questo potente

bolide musicale.

AUTOMOTIVE Greyp G12S ha un solo limite, il prezzo non proprio per tutti: si parte da 8.000 €

La bici elettrica da 70 km/h. Un po’ cara, però...Leggera, supersportiva, con display e scanner per le impronte digitali, si ricarica in 80 minuti

AUTOMOTIVE Un bolide con un sofisticato sistema audio per deliziare conducente e passeggeri

Diffusori B&W per BMW: ecco la serie 7 per audiofiliUn sistema audio con 16 altoparlanti tra cui tre tweeter Diamond e una potenza di 1400 watt

di Emanuele VILLA

G reyp Bikes, azienda croata nota

per aver realizzato una supercar

(Rimac Concept One) elettrica

da 1.088 cavalli, ha mostrato il suo nuo-

vo gioiellino: Greyp G12S, la bicicletta

elettrica ipertecnologica. Basta dargli

un’occhiata per capire che non è una bici

qualunque: il telaio da 19’’ è stato com-

pletamente rivisto per assicurare stabilità

e leggerezza, quest’ultima garantita dai

pannelli in fibra di carbonio che nascon-

dono il motore. La batteria è un modulo

unico ed è posizionata nella parte bassa

del telaio per dare più stabilità. Si tratta

di un modulo da 84 V con capacità di

1,5 kWh, si ricarica in circa 80 minuti e as-

sicura 1.000 cicli di ricarica. Greyp G12S

è inoltre dotata di frenata rigenerativa,

che estende l’autonomia della batteria

in modo anche significativo. Il motore

produce una potenza di 12 kW in moda-

lità Power (sono previste 3 modalità di

marcia) che si traduce in una velocità di

punta - autolimitata - di 70 km/h, mentre

la modalità Street è vincolata ai limiti pre-

visti dalla normativa europea per le bici

elettriche e raggiunge i 25 km/h. Greyp

G12S è dotata di sospensioni Rockshox,

ha anche un display frontale che riporta

informazioni utili e dispone di uno scan-

ner di impronte digitali: il riconoscimento

dell’utente (è possibile registrare più dita

per permettere l’uso della bici a persone

diverse) è fondamentale ai fini della sicu-

rezza, ma a dita diverse possono essere

assegnati diverse modalità di marcia, dal-

lo Street al Power. Il “problema” è il prez-

zo: si parte da 8,330 euro ma potrebbe

salire in caso di particolari personalizza-

zioni richieste al momento dell’ordine.

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MAGAZINEn.118 / 1523 SETTEMBRE 2015

HI-FI E HOME CINEMA Siamo andati a visitare la Phono Press di Settala, l’unica azienda italiana che ancora stampa dischi

Viaggio nell’ultima fabbrica italiana di 33 giriPer la stampa dei dischi vengono utilizzate macchine che hanno quasi 40 anni, ormai divenute molto difficili da reperire

di Roberto PEZZALI

N essuno avrebbe mai pensato che, con il

Compact Disc in declino e lo streaming ai suoi

massimi livelli, il vecchio disco in vinile potesse

ancora dire la sua. Eppure, e lo dicono i dati di merca-

to, il vinile sta riscoprendo un vero e proprio periodo

d’oro con le vendite degli ultimi anni che hanno sor-

passato, numeri e grafici alla mano, i picchi degli anni

d’oro dell’alta fedeltà. Il vinile per molti appassionati

è la storia, ma per le etichette indipendenti e mol-

ti giovani d’oggi è un modo per tornare alla musica

genuina di un tempo, non viziata dalle logiche com-

merciali delle grandi major e guidata soprattutto dalla

creatività degli artisti e dalle loro ispirazioni. Di fronte

all’impalpabile musica liquida, la copertina quadrata

di un disco in vinile, con i suoi disegni e il suo pro-

fumo, è ancora un prezioso oggetto da collezionare,

spolverare e ascoltare nelle sue piccole imperfezioni

e nel suo analogico rumore di fondo. Un boom quello

del vinile inatteso, tanto che oggi la parte più com-

plessa da affrontare è quella relativa alla produzione:

nel mondo le aziende che ancora stampano dischi

non sono più di venti, e tutte hanno in comune un

problema non da poco, ovvero la necessità di usare

macchine con più di quarant’anni di vita alle spalle,

presse che hanno stampato milioni e milioni di dischi

e che meriterebbero di andare in pensione se ci fos-

sero degni sostituti.

Ma all’alba del 2016, in piena era digitale, non c’è

più nessuno che produce macchine per la creazione

di dischi e trovarne di vecchie è difficilissimo: molte

stamperie hanno mandato tutto a rottamare, distrug-

gendo un patrimonio che oggi sarebbe ancora stato

utilissimo. In Italia avevamo più di dieci aziende che

stampavano dischi in vinile, ma oggi solo una di que-

ste è ancora viva, la Phono Press di Settala, in provin-

cia di Milano. Phono Press è sul mercato da oltre 30

anni, solo di recente ha cambiato sede per far fron-

te alle richieste di un mercato che è effettivamente

esploso: “Se fino a qualche anno fa si stampavano

dai 1000 ai 2000 dischi al giorno - ci dice uno dei

responsabili - oggi siamo arrivati a 6000 dischi”. La

domanda è esplosa, tanto che in alcuni paesi euro-

pei per un ordine la lista di attesa è lunghissima: in

Repubblica Ceca chi ordina una stampa deve atten-

dere fino a 6 mesi per ricevere i dischi. Phono Press

produce per tutti, ha clienti italiani e clienti europei:

“Tutte etichette indipendenti e qualche ordine di

major - ci confermano - ma in media ogni ordine non

passa i 500 / 1000 dischi”.

Confrontarsi con macchine di una certa età, in ogni

caso, non è un grossissimo problema: “Le macchine

che stampano sono molto vecchie, ma trattandosi di

sistemi meccanici costruiti alla vecchia maniera met-

terci mano non è difficile, e abbiamo anche una pic-

cola officina per le riparazioni. Quella – ci indicano

con orgoglio – è una vecchissima pressa per dischi

manuale che stiamo rimettendo in sesto, è l’unica

che permette di realizzare dischi con lavorazioni

particolari, ed esempio l’effetto splash”.

Alla Phono Press ci raccontano che qualche azienda

che produce ancora presse per vinili esiste, ma il co-

sto di ogni pressa, circa 300.000 euro, è un investi-

mento che oggi non si riesce ad affrontare.

Il problema vero, in realtà, non sono tanto le presse

quanto gli altri elementi che compongono la catena

di stampa: il nostro viaggio parte infatti dalla sala

dove, tramite il processo di “trascrizione”, si trasfor-

ma il master inviato dalla casa cinematografica (un

file oppure un CD) in quello che può essere definito

il “disco numero 0”.

La macchina visibile nella foto sopra è una sorta di gi-

radischi inverso: al posto di una testina ha un cristallo

di zaffiro che incide il solco su una lastra di allumi-

nio ricoperta di una particolare lacca, vernice che ad

oggi viene prodotta da una sola azienda al mondo.

Macchine di questo tipo non se ne fanno praticamen-

te più: la Neumann, azienda tedesca che ha creato

quella realizzata in Phono Press, oggi produce solo

ottimi microfoni ma ha abbandonato il settore degli

apparecchi industriali.

Il disco che viene realizzato tramite il processo di

trascrizione è un vero disco che suona, una copia

perfetta di quelli che saranno poi i dischi creati dalle

presse. Alla Phono Press ci raccontano che la qualità

di un disco è determinata al 90% dalla fase di incisio-

ne: la profondità delle piste, la distanza tra una pista

e l’altra e tanti altri piccoli dettagli determinano poi la

dinamica e la qualità dell’ascolto.

Le fasi successive del processo di lavorazione sono

molto semplici: c’è una prima fase “chimica” che pre-

vede la creazione delle matrici di stampa e succes-

sivamente c’è la fase di stampa vera e propria dove

segue a pagina 24

Una vecchissima pressa manuale per dischi: solo con questa macchina si possono realizzare lavorazioni speciali

La linea di stampa della Phono Press: su alcune presse un vecchio contatore mostra i segni del-l’età: svariati milioni di dischi stampati

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MAGAZINEn.118 / 1523 SETTEMBRE 2015

intervengono le presse meccaniche. Per stampare

servono però le matrici, dei dischi “negativi” realiz-

zati rivestendo il master con uno strato di argento

e nichel in bagno galvanico. In questa fase si pensa

anche al futuro: viene creato anche un disco madre,

una copia perfetta in nichel del disco “0” da tenere in

archivio per eventuali ristampe.

La “magia” viene fatta da rumorose macchina dota-

te di una forza spaventosa: in Phono Press ci sono

sei presse che lavorano a pieno ritmo per realizzare

i dischi. Come materiale di partenza vengono usati

piccoli grani di pvc, disponibili in diversi colori: questi

grani vengono scaldati da una caldaia e trasformati in

un “bicchierino” di pvc, un cilindretto che viene lette-

ralmente schiacciato dalla pressa all’interno delle due

matrici. Il risultato, come si può immaginare, è il disco

stesso: all’interno della macchina in realtà il proces-

so è leggermente più complesso, con una spruzzata

di vapore a oltre 200 gradi per ammorbidire il vinile

e un passaggio di acqua fresca per raffreddare il di-

sco. In Phono Press ci svelano anche alcuni piccoli

dettagli che stupiscono anche alcuni estimatori del

vinile: le etichette dei dischi non sono incollate come

si potrebbe pensare ma vengono pressate insieme al

disco. La carta utilizzata per le etichette è una carta

speciale, con un alto grado di porosità, che viene pe-

netrata dal PVC caldo e diventa parte integrante del

disco stesso.

I grani di PVC che compongono un disco: li produco-

no ancora diverse aziende nel mondo.

HI-FI E HOME CINEMA

Vinilmania: la produzione dei 33 girisegue Da pagina 23

Le etichette attorno al “foro” non sono adesive, ma

vengono pressate insieme al vinile caldo.

Il piccolo cilindretto nero è il vinile morbido, pronto

per essere schiacciato tra i due stampi.

Un disco prima di essere rifinito dalla lama: prima del

taglio viene raffreddato con un getto di acqua.

I riccioli tagliati vengono completamente riciclati: una

delle aziende che produce grani di pellet per vinile

è italiana.

Il braccio che preleva i dischi tagliati dalla pressa e li

deposita sul piatto: la fase successiva è l’inserimento

nella busta.

Un po’ di scarti pronti per essere riciclati: non tutti i di-

schi vengono perfetti,e ogni disco viene controllato.

I dischi caldi vengono pressati con lastre di ferro per

raffreddarli e mantenerli piatti.

Il disco è finito, pronto per essere imbustato (a mano)

e inviato ai negozi.

Il ritorno del vinile non è un fuoco di paglia, anzi: le

aziende ci credono, i consumatori ci credono e anche

ai negozi il vinile piace. Perché, come abbiamo scritto

nello “Speciale” dedicato al vinile qualche mese fa, lo

streaming è comodo, ma il 33 giri fa godere ancora.

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MAGAZINEn.118 / 1523 SETTEMBRE 2015

HI-FI E HOME CINEMA Sonos starebbe per proporre un sistema di calibrazione automatica

Da Sonos il multiroom con setup su misura?Il sistema “Trueplay” utilizza il microfono di smartphone e tablet per il setup in ambiente

di Roberto FAGGIANO

Sonos ha reso pubblica per gli svi-

luppatori una versione beta della

sua nuova applicazione da cui

sono emerse interessanti novità prati-

che e di prodotto. La più interessante

è il sistema di calibrazione automatica

Trueplay per migliorare la risposta in

frequenza dei diffusori in relazione al-

l’ambiente dove sono collocati. Si tratta

di una tecnologia largamente applicata

negli amplificatori home theater, che

prevede l’utilizzo di un microfono col-

legato all’apparecchio. Con il sistema

studiato da Sonos invece basta uno

smartphone o un tablet sul quale è in-

stallata l’applicazione: in pratica l’app

sfrutta il microfono presente in tutti i

dispositivi mobili per rilevare la risposta

in frequenza dell’ambiente e regolare di

conseguenza l’equalizzazione del dif-

fusore. L’app in circa tre minuti emette

una serie di frequenze audio, rileva la ri-

sposta e regola il diffusore; non è chiaro

se Trueplay sarà disponibile anche per

i modelli già in commercio o solo per

quelli nuovi, ma di certo una funzione

del genere sarebbe un bel vantaggio

per Sonos rispetto ai concorrenti.

Abbiamo parlato di nuovi modelli per-

ché da altre parti dell’applicazione

emerge un’altra novità importante, la

presenza di comandi a sfioramento sul

lato superiore che in effetti svela un

modello al momento inedito. A quanto

pare si tratterebbe di un Play:3 modifi-

cato, dato che può stare in orizzontale

o in verticale, ma potrebbe anche es-

sere un diffusore del tutto inedito. Pro-

babilmente ci sarà solo una revisione

dei modelli attualmente in commercio,

una versione mkII con i nuovi comandi

a sfioramento e altre piccole migliorie.

Per sapere ogni dettaglio comunque

La nuova Sony α7S II riprende anche video 4KSony aggiorna la sua full frame ad alta sensibilità alla versione II: arriva la registrazione in 4K e tante funzionalità per i videomaker di Paolo CENTOFANTI

Sony ha annunciato l’evoluzione della fotocamera mirrorless full fra-me α7S, la nuova α7S II. La carat-teristica più eclatante è il sensore da 12,2 Megapixel che permette di scattare immagini con una sensibi-lità massima di 409600 ISO. Ma le novità principali riguardano il video: Sony ha infatti aggiunto la possibili-tà di registrare video 4K con una ri-soluzione di 3840x2160 pixel a 100 Mbit/s. Sony afferma che in questa modalità l’immagine viene cattu-rata sfruttando tutto il sensore full frame, senza salto di righe o pixel binning, il che garantirebbe grande definizione e assenza di moiré. La stessa modalità di lettura del sen-sore viene utilizzata anche per le riprese in Full HD, con il downsca-ling che viene effettuato in fase di elaborazione del segnale sfruttan-do una risoluzione di partenza 5 volte superiore, con possibilità di ripresa a 120 fps e funzione slow motion. I filmati in 4K vengono regi-strati in formato XAVC S ed è pos-sibile selezionare in ripresa i profili S-Gamut3.Cine/S-Log3, S-Gamut3/S-Log3 e S-Gamut/S-Log2. La α7S II è dotata del nuovo sistema di stabi-lizzazione di immagine su sensore a 5 assi, sono stati migliorati anche l’autofocus a 169 punti e l’angolo di visione del mirino elettronico con schermo OLED XGA. La fotoca-mera sarà disponibile in Europa a partire da novembre a un prezzo indicativo di 3400 euro.

non dovremo aspettare molto, dato che

per il 30 settembre è già stata fissata la

presentazione di novità Sonos.

HI-FI E HOME CINEMA Bang & Olufsen presenta un diffusore Bluetooth dal design insolito

B&O BeoPlay S3 è il diffusore Bluetooth che arredaIl nuovo diffusore ha dimensioni compatte e cover colorate intercambiabili. Prezzo 399 euro

di Roberto FAGGIANO

L a linea di prodotti BeoPlay di

Bang & Olufesn si fa ogni giorno più

ricca, questa volta il nuovo ingres-

so è il diffusore S3 (399 euro), un og-

getto dalla forma irregolare che utilizza

il Bluetooth per collegarsi a smartphone

e tablet. Non fa parte del sistema multi-

room BeoLink ma se ne possono collo-

care diversi in ogni stanza della casa,

con possibilità di diffondere la stessa

musica in tutti gli ambienti. Inoltre può

essere configurato in stereofonia, con

o senza fili, utilizzando due diffusori; c’è

in ogni caso anche un DSP interno per

ricreare maggiore profondità e ampiezza

anche usando un solo diffusore.

Il diffusore è disponibile in versione nera

o bianca, ma si possono poi sostituire

le cover con altre

colorate. Il mobi-

le è realizzato in

materiale sintetico

rigido e frontale in

alluminio.

Dal punto di vista

tecnico il diffusore

utilizza un sistema

a due vie con lar-

ga banda da 10 cm

e tweeter da 3/4 di pollice, la potenza di-

sponibile è di 2 x 30 watt in classe D. Ol-

tre al Bluetooth è disponibile un ingresso

minijack e l’uscita verso un secondo dif-

fusore oltre a una presa usb per pc.

Le dimensioni sono di 18 x 18 cm con

profondità di 12 cm e peso di 1,75 kg; l’ali-

mentazione è solo con la rete elettrica.

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MAGAZINEn.118 / 1523 SETTEMBRE 2015

di Gianfranco GIARDINA

Sono tre le parole chiave con cui Colin Angle,

CEO e fondatore di iRobot (nella foto qui a de-

stra), ha presentato il nuovo robot aspirapavi-

menti Roomba 980: Smart, Simple e Clean. Tre parole

che racchiudono una serie di innovazioni finalizzate a

rendere il servizio fornito dagli utili robottini sempre

più evoluto, pur nel rispetto totale del primo credo

della società: la semplicità di utilizzo. Il Roomba 980

prende ovviamente le mosse da tutti i modelli prece-

denti, realizzati nell’ultima dozzina di anni, da quando

iRobot ha di fatto inventato questa nuova categoria

di prodotto, che vale oramai più del 20% del mercato

degli aspirapolvere. Da allora sono stati venduti nel

mondo oltre 13 milioni di apparecchi iRobot e la socie-

tà, anche se è stata affiancata nel settore da altri gran-

di nomi, come Samsung, LG, Dyson e così via, detiene

una quota di mercato impressionante: oltre il 68% dei

robot aspirapavimenti venduti nel mondo sono Room-

ba. In Italia le quote non sono molto diverse.

Il nuovo Roomba 980 ha fatto il suo debutto in un

evento a New York, a cui abbiamo partecipato, che

è stata anche l’occasione per celebrare i 25 anni di

attività della società. La novità principale – o almeno

quella che salta immediatamente agli occhi – è che il

robot è ora connesso via Wi-Fi alla rete domestica e

soprattutto a Internet, da cui può essere comandato

tramite un’app via smartphone o tablet. Ma ci sono

altre innovazioni che, secondo Colin Angle, saranno

in grado di rivoluzionare nel giro di qualche anno non

solo il mondo dell’aspirazione robotizzata ma anche

quello dell’intera casa automatica.

Potenza di aspirazione doppia e autonomia aumentataLa cosa più concreta, ai fini della pulizia, è la ripro-

gettazione del motore (10 volte più potente) e della

batteria, ora agli ioni di litio: Roomba 980 ha una ca-

pacità di aspirazione che è doppia rispetto a quella

dei modelli precedenti e, malgrado ciò, ha un’auto-

nomia aumentata fino a 2 ore continuative di lavoro,

SMARTHOME Dovrebbe arrivare in Italia intorno a metà novembre. Prezzo ancora da comunicare, forse intorno ai mille euro

È in arrivo il nuovo Roomba 980 di iRobot Robot aspiratore connesso e più “intelligente”Presentato a New York Roomba 980, l’ultima “creatura” di Colin Angle, il visionario fondatore e CEO di iRobot Un robot pulisci pavimento che si connette alla rete Wi-Fi ed è capace di mappare tutto l’ambiente domestico

il che mette in condizione il robot di effettuare la pu-

lizia completa di un appartamento “tutta di un fiato”;

ovviamente resta il sistema automatico di “resume”

in virtù del quale se Roomba inizia a scaricarsi e non

ha ancora finito, torna automaticamente alla base, fa

una “scorpacciata” di energia e poi riparte automati-

camente alla volta della porzione di casa non ancora

pulita. Ma in questo caso, come vedremo più avanti, il

nuovo Roomba è molto più bravo e veloce a ritrovare

la strada verso “casa”.

Aspirazione modulata a seconda della superficieUno dei limiti, fino a oggi, dei robot per la pulizia era

il fatto di non discriminare il tipo di superficie in corso

di aspirazione, comportandosi in pratica sempre allo

stesso modo a prescindere dal pavimento battuto. Il

Roomba 980 ha una serie di sensori (li vedremo più

avanti nel dettaglio) che permettono al robot di capire

su che tipo di superficie sta camminando: se si tratta

di moquette o tappeti, il Roomba aumenta potente-

mente la forza aspirante, come richiesto su una su-

perficie di questo tipo; quando torna

su superfici più lisce, rimodula verso

il basso l’aspirazione a livelli più che

sufficienti per un pavimento che offre

una “tenuta” all’aspirazione. In que-

sto modo, modulando l’intensità su

quattro livelli diversi, il Roomba 980

riesce a offrire nello stesso tempo la

massima efficacia di pulizia e una ge-

stione oculata dell’energia, permet-

tendo così di raggiungere l’obiettivo

dell’autonomia estesa. L’aumento e

la diminuzione di potenza a seconda dei materiali è

tutt’altro che un richiamo di puro marketing: si sente

chiaramente la rumorosità dell’apparecchio aumenta-

re e il motore salire di giri non appena approccia una

superficie “pelosa”.

L’asso nella manica Riuscire a mappare tutta la casaFino a oggi Roomba procedeva nel suo lavoro secon-

do algoritmi sofisticati che gli permettevano di arrivare

quasi dappertutto e di non trascurare porzioni di pavi-

mento, ma di fatto il robot non riscostruiva una mappa

completa della casa. Il Roomba 980, invece, disegna

nella sua mente una mappa precisa dell’area coperta

e questo grazie a due nuovi sensori: uno è posto nella

sua parte inferiore ed è un sensore “luminoso”, simile a

quello dei comuni mouse; con questo sensore Roomba

riesce a calcolare con la massima precisione i suoi mo-

vimenti e quindi a mappare con esattezza tutta la strada

che ha fatto e le aree che ha già visitato.

Oltre questo c’è anche, nella parte superiore, una vera

e propria videocamera: questa non serve, come anche

noi avevamo creduto in un primo momento, a inviare

le immagini di casa all’utente tramite smartphone, ma

è finalizzata solo a mappare con ancora maggiore pre-

cisione la casa. Infatti, la videocamera cattura continua-

mente delle immagini a bassa risoluzione, quanto basta

per riconoscere e interpretare alcuni “pattern” visivi e

associarli allo spazio visitato. In questo modo Roomba

riconosce ancora meglio il luogo in cui si trova.

Il risultato - dicevamo - è che il robot ricostruisce nella

segue a pagina 27

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MAGAZINEn.118 / 1523 SETTEMBRE 2015

sua memoria la planimetria della casa visitabile (ovvia-

mente se una porta è chiusa, non entra): sulla base di

queste informazioni, sa al volo dove si trova la sua base

e dove deve ancora fare un passaggio “di fino”. Non

si tratta di un’innovazione in senso assoluto: la stessa

iRobot produce dei robot professionali in grado di map-

pare gli ambienti con una serie di emettitori e sensori

laser, che però comportano costi proibitivi, nell’ordine

delle decine di migliaia di dollari. Ora, con l’utilizzo di

semplici (e quindi accessibili) sensori e con tanto tanto

software, la mappatura è accessibile all’utenza domesti-

ca: “Finalmente – ci dice Colin Angle, che abbiamo avu-

to l’occasione di intervistare – abbiamo un sistema in

casa che si occupa di mappare facilmente gli ambienti.

In futuro queste informazioni saranno indispensabili

per qualsiasi applicazione sensata di smarthome; anzi

sono proprio queste informazioni che mancano oggi ai

sistemi”.

Infatti, lo stesso sistema potrà essere usato in futuro

non solo per ricostruire la planimetria ma anche per ri-

conoscere la destinazione d’uso delle diverse stanze,

permettendo così attività automatiche ancora più “intel-

ligenti”, in grado di andare ben oltre la semplice pulizia

di casa ma riguardanti tutta l’home automation.

Sorprendentemente il Roomba 980 una volta finito il

lavoro, “dimentica” la mappa: noi avremmo pensato

che l’esperienza di un primo “giro” potesse essere uti-

lizzata con vantaggio nelle pulizie successive. I tecni-

ci di iRobot ci spiegano che una cosa simile avrebbe

mandato il robot in confusione: la casa, anche se per

pochi dettagli, cambia continuamente; sarebbe bastata

una porta chiusa o una sedia spostata per creare delle

incongruenze. Ma non escludiamo che questa funzione

possa essere introdotta in futuro, su questo o sui pros-

simi modelli.

All’atto pratico, si vede subito che il Roomba 980 ha

cambiato strategia di pulizia: le generazioni precedenti

procedevano tendenzialmente in diagonale alla ricerca

immediata dei limiti operativi della stanza, “rimbalzan-

do” di lato in lato; ora il processo è molto più ordinato:

il robot inizia a battere la stanza parallela a una parete

e offre una copertura che, anche alla vista, appare più

uniforme. Quando poi si dà l’ordine al robot di rientra-

re alla base, lui procede spedito facendo chiaramente

la strada più diretta (a questo punto sa dov’è e ha in

memoria la mappa completa) e non procedendo con

qualche approssimazione, come faceva prima. Un vero

passo avanti.

Romba diventa connesso: Wi-Fi e app e lo comandi anche da fuori casaL’innovazione più “attuale” è la possibilità di controllare

il Roomba 980 anche via smartphone. Non si pensi a

grandi “gadget”: iRobot è una società profondamente

guidata dagli aspetti ingegneristici e poco incline alle

seduzioni del martketing fine a se stesso. Quello che

si può fare con la app è molto semplice, tanto quanto

quello che si può fare operando direttamente sul robot;

cioè quello che serve, senza strizzare l’occhiolino a fa-

cili sensazionalismi da tecno-gadget.

Per questo, fondamentalmente, a parte alcune scher-

mate secondarie, il tasto presente sulla app è solo

uno: “clean”. In questo modo il robot, che è connesso

via Wi-Fi, inizia la sua missione. A sistema in funzione

(cerchio verde “acceso” attorno alla scritta Clean) una

nuova pressione sul tasto ferma il lavoro.

L’altra parte interessante dell’applicazione riguarda la

possibilità di impostare facilmente una programma-

zione oraria: non si tratta di una novità per i Roomba,

ma certo l’interfaccia grafica dello smartphone è ben

altra cosa rispetto alle programmazioni fatte in maniera

tradizionale operando sul robot. La programmazione è

davvero fondamentale per questo tipo di apparecchio:

infatti, avere un Roomba che gira per casa mentre gli

abitanti di casa sono in circolazione può essere noioso,

sia per l’ingombro del robot che per la sua rumorosità:

In un esempio reale che ci è stato mostrato, seppur accelerato, il Roomba 980 è stato messo alla prova con un grande appartamento di circa 140 metri quadrati: un totale di 6 stanze, perfettamente pulite in due “ondate” con un lavoro totale di 3 ore e 45 minuti, di cui 2 e 15 di pulizia vera e propria e il resto per una ricarica intermedia. Nella foto è chiaramente visibile la mappa che Roomba ha calcolato, con tutti i passaggi.

Nella foto si vede nella parte alta di destra una sorta di “oblò” nero: è il sensore che permette di mappare con precisione millimetrica la strada percorsa dal robot.

Qui si vede la videocamera per la mappatura posta superiormente, sotto un vetro di protezione.

SMARTHOME

iRobot Roomba 980segue Da pagina 26

segue a pagina 28

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MAGAZINEn.118 / 1523 SETTEMBRE 2015

SMARTHOME

iRobot Roomba 980segue Da pagina 27

infatti, l’incremento di potenza ha portato a un paral-

lelo aumento della rumorosità, soprattutto durante le

fasi di aspirazione di tappeti e moquette. Program-

mare la pulizia per quando si è fuori casa è quindi la

strategia ideale. Per fare questo una programmazio-

ne settimanale “statica” non sarebbe sempre adatta;

oggi, tramite lo smartphone, la programmazione può

essere cambiata al volo senza impazzire con sequen-

ze di tasti sull’apparecchio. Inoltre, la app dà alcune

informazioni interessanti, per esempio sullo storico

delle pulizie effettuate e sull’apparecchio, come per

esempio la capienza residua del serbatoio per la pol-

vere e lo stato delle parti di consumo. Inoltre è possi-

bile impostare una serie di parametri, come la potenza

di aspirazione o alcuni fattori legati alla strategia di

pulizia. Infine è possibile anche “battezzare” il proprio

robot impostando il nome e la data di nascita.

Ovviamente l’app dà accesso al proprio Roomba an-

che da remoto: basta essere collegati a Internet. In

realtà l’app si collega a un servizio cloud di iRobot che

“gira” la connessione al proprio Roomba, sulla base

del numero seriale hardware. A questo proposito, stu-

pisce in prima battuta, che i tecnici di iRobot non ab-

biano reso disponibile nella app anche la possibilità di

vedere le immagini catturate dalla videocamera a bor-

do del robot, giusto per unire alla funzione di pulizia

anche quella di videocamera di sorveglianza; la realtà

è che ovviamente una cosa simile si poteva fare ma

iRobot non ha deliberatamente voluto farla: “Il colle-

gamento è super-sicuro – ci spiega un rappresentante

di iRobot - ma non avremmo voluto in nessun modo

che qualcuno pensasse che la presenza di Roomba in

casa possa mettere a repentaglio la propria privacy:

da casa e dal Roomba 980 non esce alcuna imma-

gine”. Un atteggiamento saggio e – come dicevamo

prima – poco incline alle “sirene” del martketing a tutti

i costi. La app è disponibile gratuitamente sia per iOS

che per Android ed è veramente facile da utilizzare, a

prova di “massaia”.

Roomba 980 a novembre anche in Italia. Prezzi altiRoomba 980 è atteso per il lancio in Italia attorno a

metà novembre, in tempo per i regali natalizi. Un regalo

che però rischia di pesare non poco sul bilancio fami-

liare: non si conoscono ancora i prezzi in euro, ma ci si

attendono livelli intorno ai mille euro, una bella cifra per

una funzione che – a mano – alcuni ritengono di poter

svolgere con poche decine di euro e un aspirapolvere

qualsiasi. Ma – come abbiamo avuto modo di dire altre

volte – un robot pulisci pavimenti permette un’igenizza-

zione e una pulizia che probabilmente nessuna mano

umana riesce a fare, per metodo, costanza e tecnolo-

gia di pulizia. Il test è presto fatto: se si fa passare un

Roomba in una casa appena pulita dai propri abitanti,

il serbatoio alla fine del lavoro sarà pieno di polvere e

sporco. E con questo Roomba 980, la pulizia è ancora

migliore, con una semplicità di utilizzo aumentata e la

comodità dell’attivazione a distanza. Non una rivoluzio-

ne, probabilmente; ma di certo un bel passo avanti.

Clicca qui per un video di presentazione.

di Roberto PEZZALI

D oveva essere la rivoluzione del

secolo, la nuova “Internet” degli

oggetti, ma la realtà è che ad oggi,

nonostante migliaia di parole spese, fiumi

di concept, standard vari e idee futuristi-

che, “Internet of Things” resta ancora un

concetto difficile da raggiungere.

Quello che dovrebbe essere davvero

“Internet of Things” è ben spiegato dal-

le due parole che compongono il nome

stesso del concetto, : “Internet” lo cono-

sciamo bene, è la rete che usiamo tutti

i giorni e che mette in comunicazione

milioni di server e nodi presenti in tutto

il mondo che parlano tutti lo stesso lin-

guaggio; “Things” si riferisce ai miliardi

di oggetti connessi che dovrebbero par-

lare tra loro. I numeri del business sono

“exciting”, come direbbero le grosse

SMARTHOME Le aziende creano microreti locali incapaci di comunicare una con l’altra, non bastano neanche gli standard aperti

Internet of Things? Meglio parlare di “Internet of Nothing”L’idea di un mondo di oggetti connessi tra loro è ancora lontana, nonostante si continui a parlare di “esplosione IoT”

aziende americane: si stimano dai 30

ai 50 miliardi di oggetti connessi entro

il 2020, e secondo i dati attuali abbia-

mo già passato i 13 miliardi nel 2015.

Quello che però le cifre non raccontano

è che questi dispositivi, seppur connessi,

sono in gran parte smartphone, tablet,

computer o server e, fatta eccezione per

qualche auto e per un po’ di accessori (IP

Camera, termostati e smartwatch). siamo

comunque di fronte a prodotti che si pre-

stano ad essere connessi e di fatto son

nati per essere connessi. Negli ultimi anni

abbiamo assistito alla nascita di ogni tipo

possibile di sensore, al tentativo di ren-

dere smart frigoriferi, ferri da stiro, forni

a microonde e pure tazzine del caffè, ma

niente di tutto quello che si è visto può

rientrare davvero in un’ottica “Internet”,

anzi, la maggior parte sono oggetti inutili:

la definizione giusta, più che “Internet of

Things”, sareb-

be “Things on

Internet”, og-

getti connessi

che usano la

rete solo per

poter essere

gestiti da remo-

to, per scam-

biare dati con

altri dispositivi

appartenent i

alla stessa persona in modalità wireless

o per essere pilotati da uno smartphone,

perché privi di schermo.

All’IFA di Berlino Samsung ha annuncia-

to che entro il 2020 tutti i suoi dispositivi

saranno “Internet of Things enabled”,

ma il fatto che siano “agganciabili” a una

rete non significa necessariamente che

diventino parte di una rete più grande e

che siano in grado di dialogare con altri

oggetti simili in modo indipendente.

Con lei tutti i produttori di elettrodomesti-

ci: ogni forno, lavastoglie, frigorifero del

futuro sarà connesso, ma non è certo la

possibilità di accendere il forno mentre si

torna a casa usando lo smartphone che

rende quel forno un punto di una rete

globale di oggetti connessi.

Quello che le aziende stanno facendo,

ognuna oltretutto con un proprio stan-

dard “aperto”, è creare piccole microreti

locali isolate una dall’altra e incapaci di

comunicare una con l’altra: fino a quando

non si troverà il modo di far parlare insie-

me, in modo collaborativo, sensori, forni,

auto, semafori, telecamere, termostati e

tutti gli altri oggetti connessi, non si potrà

parlare di Internet delle cose. Questa è

la vera sfida, una sfida carica di compli-

cazioni: ci sono problemi di sicurezza dei

dati, analisi dei dati, linguaggi, intercon-

nessioni, licenze e privacy, tutte cose che

probabilmente verranno risolte ma che

richiedono ancora tantissimo tempo, anni

e anni di ricerca e sviluppo. Fino ad allora

è meglio parlare di “Internet of Nothing”.La vera IoT connette tutti i dispositivi, non solo smartphone, tablet e smartwatch.

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MAGAZINEn.118 / 1523 SETTEMBRE 2015

di Roberto PEZZALI

Cosa ci fa un asciugacapelli su queste pagine?

No, non si chiama iPhon e non è un errore:

siamo davanti a uno dei primissimi phon al

mondo dotati di motore digitale, e se leggiamo la

parolina magica ci si illuminano gli occhi. Quando ab-

biamo scoperto che tutta la ricerca, lo sviluppo e la

produzione di questo prodotto è stata fatta in Italia,

abbiamo deciso di visitare la fabbrica in provincia di

Bergamo che prova a rivoluzionare un settore ai no-

stri occhi piccolo, ma in realtà enorme. La fabbrica è

di proprietà del gruppo americano Conair e produce

asciugacapelli BabyLiss e BabyLiss Pro, brand fran-

cese che fa parte proprio di Conair.

La scelta del gruppo franco-americano di far produr-

re tutto in Italia, cosa che a molti potrebbe appari-

re strana, è motivata dal fatto che in tutto il mondo

l’asciugacapelli deve essere “Made in Italy”: “Nessu-

no prenderebbe mai in considerazione un prodotto

fatto altrove – ci dicono in fabbrica - produciamo

1.400.000 pezzi all’anno destinati a ogni angolo del

mondo”. E visto che negli ultimi anni qualcuno ha

provato anche a fare il furbo prendendo componenti

cinesi e limitandosi ad assemblare il prodotto in Italia,

oggi prima di fare un ordine i prodotti vengono addi-

rittura smontati dai grossi acquirenti internazionali e

controllati pezzo per pezzo, per assicurarsi che tutto,

ma in particolare il motore, arrivi dal nostro Paese. I

phon prodotti qui a Bergamo hanno il 95% di com-

ponentistica italiana, tutti pezzi che arrivano da for-

nitori della zona. L’unico componente fatto all’estero

è lo ionizzatore: non ci sono aziende italiane che lo

producono. Scopriamo anche che, paradossalmente,

gli unici che non si curano troppo della provenienza

del prodotto sono i parrucchieri italiani, che utilizzano

senza farsi troppi problemi prodotti realizzati altrove,

spesso in Cina.

SMARTHOME La fabbrica di Conair produce asciugacapelli BabyLiss e BabyLiss Pro, brand francese che fa parte del gruppo

Visita alla fabbrica del phon con motore digitale Consuma poco, dura tanto ed è costruito in ItaliaSiamo andati a visitare la fabbrica della Conair di Bergamo, dove vengono prodotti oltre un milione di asciugacapelli Tra gli apparecchi, anche uno dei primi phon dotato di motore digitale. Promette lunga durata, risparmio ed efficienza

segue a pagina 30

L’Italia con le sue fabbriche di asciugacapelli rifornisce

il 90% del mercato mondiale in campo professionale

e produce davvero per tutti, dal Sud America al Giap-

pone agli Emirati Arabi. Non un lavoro facile, perché

ognuno vuole il suo “phon”: i parrucchieri giappone-

si lo vogliono ultra silenzioso perché amano parlare

con i clienti, nei Paesi nordici lo vogliono leggero e

soprattutto con l’aria poco calda perché i capelli fini

potrebbero rovinarsi, negli Emirati invece pretendo-

no tanta potenza e aria caldissima visto che il costo

dell’energia non è un parametro importante nel re-

gno del petrolio. C’è chi lo vuole addirittura pesante:

è il caso del Venezuela, dove più un asciugacapelli è

pesante e più viene percepito come robusto.

L’asciugacapelli è un prodotto relativamente sempli-

ce: un paio di interruttori per velocità e temperatura,

un motore, una ventola e una resistenza che scalda

l’aria, ma come per ogni prodotto c’è alle spalle una

divisione R&D che lavora a pieno ritmo per migliorare

prestazioni, durata e ridurre i consumi. Sono questi gli

obiettivi del primo asciugacapelli con motore digitale

prodotto in Italia (e uno dei primissimi nel mondo), il

BabyLiss 6000E Pro Digital, venduto nei negozi a cir-

ca 200 euro. Un prezzo importante per una tipologia

di prodotto che vede a scaffale modelli a 10 euro, ma

così come i TV da 200 euro sono diversi da quelli

da 2000 euro, anche per gli asciugacapelli ci sono

elementi che fanno la differenza.

I motori digitali non sono certo una novità: comune-

mente denominati brushless, ovvero senza spazzole,

questi motori vengono ormai utilizzati in tutti gli am-

biti dove si richiede potenza, efficienza e soprattutto

risparmio. Nel campo degli asciugacapelli tuttavia la

scelta del digitale non era mai stata considerata fino

ad oggi, e il motivo è semplice: non essendoci una

etichetta energetica e soprattutto essendo parte del

consumo legato alla resistenza che scalda l’aria piut-

tosto che al motore stesso, quest’ultimo è sempre

stato un elemento secondario.

Ad oggi i motori più diffusi, tutti di tipo tradizionale,

sono quelli DC, a corrente continua, e AC, a corrente

alternata. I primi vengono usati quasi esclusivamen-

te su economici prodotti Made in China, gli altri rap-

presentano quasi la totalità del mercato consumer e

Uno scorcio della catena di montaggio.Qui sopra: nella foto a sinistra, un piccolo motore DC, costa poco, spinge poco e dura poco A destra, il motore AC confrontato con il piccolo motore digitale.

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MAGAZINEn.118 / 1523 SETTEMBRE 2015

SMARTHOME

Phon con motore digitalesegue Da pagina 29

professionale. Un motore AC tuttavia, nonostante la

sua affidabilità e la sua potenza, è un motore di tipo

tradizionale e funziona con le spazzole. La rotazio-

ne viene infatti generata dal campo magnetico che

si crea alimentando alternativamente due bobine:

per farlo una coppia di spazzole in carbone sfrega

continuamente con le piste di rame del rotore cau-

sando quella che viene chiamata “commutazione

meccanica”, ovvero una continua inversione del

campo magnetico. Un motore poco efficiente, però:

il contatto limita la velocità di rotazione, frena l’al-

bero e soprattutto usura le spazzole, e quando la

spazzola in carbone è finita il motore non gira più.

Un phon con motore AC dura dalle 1500 alle 2500

ore (uno DC addirittura dalle 150 alle 300 ore), tante

per una casa, poche per uno studio di parrucchieri

dove è un indispensabile strumento di lavoro che si

usa per svariate ore al giorno. In Conair hanno così

pensato, nonostante il costo più elevato, di realizzare

una soluzione digitale: un primo modello di motore

è stato realizzato in collaborazione con Ferrari, ma il

risultato seppur ottimo, era troppo grande e pesante.

Per chi tiene un asciugacapelli in mano svariate ore al

giorno, 100 grammi possono fare la differenza. Dopo

mesi di ricerca il reparto R&D, con la collaborazione

anche di una azienda giapponese, è riuscita a creare

un secondo modello di motore, quello che viene oggi

utilizzato sui modelli più avanzati della linea BabyLiss.

Riesce a raggiungere 22000 rpm contro i 14000 rpm

di un motore tradizionale con una coppia più elevata.

Un motore digitale usa un microprocessore per gesti-

re l’inversione del campo magnetico, con le bobine

Qui viene provata la resistenza del motori: i motori AC raggiungono le 2000 ore, quelli digitali arriva-no anche a 10.000.

d’induzione montate all’esterno e pilotate dal chip.

Nessun contatto, nessuna spazzola: ecco perché è

chiamato brushless.

Questa seconda generazione di motore, oltre ad es-

sere più leggera, garantisce una durata di 10.000 ore

e una maggior efficienza, e grazie a un aumento della

velocità dell’aria del 17% circa e a un aumento della

pressione del 37% (rispetto alla media dei modelli AC)

riesce ad asciugare i capelli in meno tempo. Questo

è un dato certificato: per valutare le performance di

asciugatura esiste un metodo standard internazio-

nale che usa come unità di misura i grammi d’acqua

evaporati ogni minuto, e in questo caso con il motore

digitale si toccano i 5.68g/min, percentuale più alta

del settore. Il risparmio sta proprio nella velocità di

asciugatura: parte dell’assorbimento energetico di

un asciugacapelli è dovuto, come abbiamo già det-

to, alla resistenza che converte la corrente in calo-

re, tuttavia se un asciugacapelli dimezza il tempo di

asciugatura (qui è ridotto del 32% rispetto alla media)

anche il consumo sarà dimezzato.

Visitando i laboratori R&D di Conair ci si rende conto

di come ogni aspetto sia controllato al minimo detta-

glio: i motori sono calibrati per una rotazione perfetta,

la resistenza sagomata per offrire un riscaldamento

uniforme per tutto il flusso (70° senza concentratore)

e il motore provato in tutte le condizioni.

Difficile dire quale sarà la prossima novità: il settore

degli asciugacapelli non è certo veloce come quello

di TV e smartphone, tanto che la forma del prodotto

è praticamente la stessa da moltissimi anni. Il digita-

le, comunque, può davvero dare una grossa spinta

permettendo anche la realizzazione di accessori che

fino ad oggi non si sono potuti creare per ovvi limi-

ti: il prodotto che abbiamo visto costruire, ad esem-

pio, ha un concentratore (quello che molti chiamano

“beccuccio”) con fessura di soli 4 mm: una fessura

così stretta, su un phon tradizionale, non riuscirebbe

a smaltire il calore generato dalla resistenza che si

concentrerebbe tutto nella zona frontale, rischiando

anche di colare la plastica. Grazie a un motore con

più coppia e più efficienza i 4 mm riescono a fare qui

la differenza: la temperatura sale a 134° e la velocità

dell’aria tocca i 208 km/h, e valori fino ad oggi impen-

sabili. Ed è tutta tecnologia italiana.

Il prodotto consumer costruito a Bergamo Si trova nei negozi a 199 euro.

La ventola, l’albero e il motore vengono calibrati accuratamente per evitare anche la più piccola oscillazione.

Una sorta di “galleria del vento” per calcolare la portata d’aria.

Una piastra con un array di termocoppie per misurare l’uniformità del flusso di calore.

Il primo motore fatto con Ferrari: veloce, rosso Ferrari ma anche troppo pesante.

Il secondo modello di motore digitale creato, oggi usato sui modelli di phon BabyLiss più evoluti.

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MAGAZINEn.118 / 1523 SETTEMBRE 2015

di Paolo CENTOFANTI

F ino allo scorso anno per molti appassionati il di-

lemma era: 4K o OLED? Con l’arrivo anche nei

negozi italiani della nuova serie EG960 di TV

OLED di LG, il dubbio non ha più ragione di essere.

Anche l’OLED di LG passa ai pannelli Ultra HD, con

risoluzione cioè di 3840x2160 pixel, ma il numero

di pixel quattro volte superiore non è l’unica novità

introdotta dal produttore coreano con questa nuova

serie. Cambia leggermente il design, che però rimane

ancora curvo, e si aggiorna la piattaforma smart TV

basata su WebOS, che giunge alla versione 2.0. In più,

tra qualche mese, arriverà anche un aggiornamento

che preparerà il TV alla riproduzione di contenuti in

HDR. Il modello che abbiamo provato è il primo 55

pollici con pannello 4K e affianca la serie EC970 che

LG ha portato in Italia in primavera inoltrata nella ver-

sione da 65 pollici ma che è ancora basata sul “telaio”

2014. Non è molto intuitivo, ma il 960 indica una serie

più nuova del 970, una distinzione che in negozio po-

trebbe non essere evidente. Dopo questa premessa,

andiamo a scoprire nel dettaglio quello che è indub-

biamente uno dei TV più attesi del 2015.

Più bello e leggeroLa nuova gamma 2015 è stata ridisegnata in più punti,

con una nuova estetica che risulta tutto sommato più

leggera e piacevole. Si tratta più che altro di dettagli

considerando lo spessore ridottissimo del pannello

OLED in sé e della sottilissima cornice. Cambia dun-

que soprattutto la base, che abbandona le sperimen-

tazioni dello scorso anno per un aspetto più sobrio

e leggero: pedana in alluminio che segue la curva-

tura dello schermo e stand in plastica trasparente

che sembra mantenere sollevato nel vuoto il leggero

pannello OLED. Grossi cambiamenti invece sul retro

del televisore. Il pannello posteriore è infatti ora tutto

bianco e con un salto di qualità per quanto riguarda

la cura dei particolari. Il coperchio del vano che na-

sconde l’aggancio della base, ad esempio, si fissa

a incastro, ma ci sono anche delle strisce di velcro

per far seguire al meglio la curvatura dello schermo.

Le connessioni seguono quella che è ormai la clas-

TEST In prova il primo dei nuovi modelli di TV OLED LG con pannello Ultra HD, un 55 pollici che promette qualità video da urlo

LG OLED 55EG960: il TV del futuro ora è Ultra HDOffre la nuova versione della piattaforma smart webOS e la compatibilità tramite aggiornamento con i futuri contenuti HDR

sica disposizione e coprono adeguatamente tutte le

possibili esigenze. Ci sono tre ingressi HDMI 2.0, tre

porte USB di cui una 3.0, LAN, uscita digitale ottica,

uscita per le cuffie, terminali di antenna terrestre e sa-

tellitare e slot per un modulo common interface. Visto

anche il costo del TV forse avremmo preferito avere

almeno un quarto ingresso HDMI, ma tre sono più che

sufficienti per collegare un set top box, Blu-ray e una

console di gioco contemporaneamente.

Gli ingressi HDMI supportano segnali 4K a piena riso-

luzione cromatica (4:4:4) a 50 e 60 Hz a patto di abili-

tare la modalità HDMI Ultra HD Deep Colour nel menù

delle impostazioni video. Il TV integra naturalmente la

connettività Wi-Fi (802.11n), oltre che Bluetooth. Il TV

supporta inoltre il codec HEVC sia per la riproduzione

di file multimediali, che per la ricezione di programmi

via tuner digitale. Sul versante audio, oltre al decoder

Dolby Digital, c’è anche quello DTS.

Anche il telecomando Magic Remote è stato legger-

mente rivisto. Un po’ più grande, più maneggevole e

soprattutto con qualche comando in più. C’è il tastieri-

no numerico per accedere più velocemente alla sele-

zione dei canali, e qualche “scorciatoia” per funzioni

che prima richiedevano necessariamente la naviga-

zione dei menù. Il telecomando è dotato ricordiamo

di giroscopio ma anche di microfono con funzione di

riconoscimento vocale. Il nuovo magic remote sosti-

tuisce completamente da quest’anno il telecomando

tradizionale, che non troviamo più in dotazione.

segue a pagina 33

lab

video

LG 55EG960VL’OLED CRESCE, MA NON È ANCORA IL TV DEFINITIVO 4.999,00 €L’OLED di LG migliora di generazione in generazione e anche questo nuovo 55 pollici Ultra HD incanta per la profondità del nero e una qualità di immagine che complessivamente è inarrivabile per qualsiasi altra tecnologia. La definizione è finalmente al pari con quella degli LCD (il mo-dello full HD, a causa della configurazione WRGB, aveva la griglia dei pixel piuttosto visibile) e anche la piattaforma webOS è stata migliorata là dove serviva. L’OLED non ha però ancora raggiunto la sua totale maturità. Persistono ancora dei limiti a livello di uniformità del pannello, visibili soprattutto nella forma di una leggera vignettatura ai bordi laterali dello schermo nelle scene più scure, mentre la longevità dell’OLED è ancora un’incognita, motivo per il quale, nonostante sia un TV che supporta HEVC e HDR, abbiamo dato un punto in meno. E poi c’è il fattore prezzo: quasi 5000 euro per un 55 pollici sono ancora tanti.

COSA CI PIACE COSA NON CI PIACEStraordinaria qualità di immagine Neri perfettiPiattaforma smart più veloce

Uniformità del pannello da migliorareBasse luci non sempre perfetteCosto elevato

Qualità Longevità Design Semplicità D-Factor Prezzo

9 8 9 8 9 88.6

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n.118 / 1523 SETTEMBRE 2015

webOS 2.0: ancora più veloceSulla gamma 2015 di TV LG arriva una nuova versione

della piattaforma smart basata su webOS. LG la chia-

ma webOS 2, ma a prima vista potrebbero sfuggire le

differenze. In effetti a livello di interfaccia e funziona-

lità le novità sono davvero poche, visto che LG ha mi-

gliorato soprattutto le prestazioni in termini di velocità

della piattaforma rispetto alla versione precedente.

Sul modello EC930 avevamo lamentato la pesantezza

della navigazione nei menù di impostazione, proble-

ma che è stato quasi del tutto risolto su questo nuovo

televisore.

A livello di interfaccia, la novità più grande è un nuovo

menù di azione rapida che compare quando si preme

il tasto delle impostazioni. Si tratta di una fila di icone

sulla parte destra dello schermo che permettono di

selezionare al volo parametri come il profilo delle im-

postazioni video e audio, il formato di schermo e così

via. Per accedere al menù di impostazioni completo

occorre premere sull’ultima icona in fondo.

Questa schermata è praticamente identica a quella

della versione precedente di webOS, con la differen-

za che è molto più reattiva e quindi veloce da esplora-

re. Anche le impostazioni sono rimaste praticamente

le stesse e sul versante video è possibile regolare

qualsiasi parametro. Per il bilanciamento del bianco

è disponibile anche una regolazione avanzata a 20

punti della scala di grigio per una calibrazione più

accurata.

Torna la simpatica procedura di configurazione guida-

ta animata che aveva debuttato con la prima versione

di webOS, sempre semplice e intuitiva e che sicura-

mente verrà apprezzata da chi è meno pratico con

la tecnologia. Non cambia neppure il menù principale

di webOS: una barra colorata con le applicazioni di

utilizzo più frequente (oltre quelle in posizione privi-

legiata per motivi promozionali) e un menù seconda-

rio con tutte le app installate sul televisore. La logica

è che tutto è un’app in webOS: i canali TV, il lettore

multimediale, la guida ai programmi e così via. Unica

novità nell’interfaccia è un’icona speciale che funzio-

na come cartella a cui possiamo aggiungere i nostri

canali preferiti, anche misti tra digitale terrestre e tu-

ner satellitare; molto comodo.

Talmente nero che il contrasto non è misurabileIl TV LG è dotato di un profilo di immagine Cinema e

di due banchi di impostazioni ISF per una calibrazione

più precisa. Per un’analisi out of the box abbiamo mi-

surato il profilo Cinema con le impostazioni di default,

che offre una calibrazione solo in parte precisa.

Il bilanciamento del bianco, ad esempio, è molto pre-

ciso fino a metà della scala di grigi, per poi introdurre

un eccesso di blu nella parte superiore. Lo spazio co-

lore è sufficientemente entro i parametri ma la colo-

rimetria non è perfetta. I colori sono un po’ frenati a

bassi livelli di saturazione e viceversa la loro lumino-

sità non tiene al 100% del segnale, con una leggera

flessione. Il livello di errore non va comunque perico-

losamente oltre i livelli di guardia, ma il modello full

HD presentava una colorimetria più corretta. Il nuovo

pannello è molto luminoso e utilizzando dei pattern a

finestra (con le schermate piene la luminosità massi-

ma viene automaticamente limitata) abbiamo registra-

to fino a 365 cd/mq. Con i controlli a disposizione si

riesce a calibrare senza difficoltà il bilanciamento del

bianco, mentre la regolazione 3D dello spazio colore

non permette comunque di migliorare la situazione:

è possibile ad esempio portare al riferimento primari

e secondari al 75% della saturazione, ma la colorime-

tria si sbilancia altrove, come è possibile vedere dai

grafici sottostanti. Alla fine è meglio lasciare le cose

come stanno.

Il gamma è di base molto vicino al riferimento. È pos-

sibile scegliere tra 2.2, 2.4 e BT.1886, ma i risultati

migliori li abbiamo ottenuti impostando il gamma su

2.4 e alzando un po’ la luminosità per compensare la

chiusura sulle ombre. Con le altre due impostazioni,

infatti, abbiamo notato la comparsa di banding e di un

eccessivo rumore sulle ombre.

L’OLED visualizza il nero spegnendo completamente

i pixel, con il risultato che lo strumento non misura al-

cuna luce proveniente dal pannello con sala oscurata:

il rapporto di contrasto non è pertanto misurabile.

Anche se nelle specifiche non se ne fa menzione, ab-

biamo effettuato un test riguardo alla copertura dello

spazio colore DCI P3 (qui sopra), visto che il TV LG è

dotato di una modalità Wide Gamut. Nonostante il TV

sia perfettamente in grado di andare oltre lo spazio

colore Rec.709, manca ancora qualcosa sul verde e

sul rosso per arrivare a una copertura completa dello

spazio DCI. Naturalmente non ci sono ancora conte-

nuti consumer che sfruttino questo spazio colore, ma

le cose potrebbero cambiare con l’arrivo dell’Ultra

HD Blu-ray o le specifiche della UHD Alliance per lo

streaming in 4K.

Immagini straordinarie Ma si può migliorare ancoraEd eccoci finalmente alla prova di visione dell’atteso

OLED 4K. Con questo modello siamo effettivamente

dinanzi più o meno alla quarta generazione di TV

OLED di LG, la seconda in 4K (la prima, presentata a

IFA 2014 e arrivata brevemente sul mercato in Italia

con il modello EC970, l’abbiamo saltata). Per cui la

prima domanda è quale siano i miglioramenti rispetto

ai modelli fin qui visti. Prima di tutto questo 55 pollici

ha risoluzione Ultra HD, per cui rispetto all’ultimo TV

OLED che avevamo provato - che era full HD - la con-

figurazione WRGB dei singoli pixel risulta praticamen-

te invisibile, il che rende l’immagine compatta e priva

di quell’effetto “griglia” che sul modello precedente

era ancora visibile a causa della maggiore dimensio-

TEST

LG 55EG960Vsegue Da pagina 32

segue a pagina 34

Sopra le misure con il profilo Cinema e le impostazioni default, sotto i grafici dopo la nostra calibrazione

Spazio colore in modalità Wide Gamut

MAGAZINE

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MAGAZINEn.118 / 1523 SETTEMBRE 2015

ne dei pixel.

Naturalmente la prima cosa che colpisce appena si

accende il nuovo TV LG è il nero assoluto che il pan-

nello OLED è in grado di restituire; un effetto che da

solo basta a far capire immediatamente perché gli ap-

passionati aspettano questa tecnologia da così tanto

tempo. Il TV LG offre un rapporto di contrasto sempli-

cemente inarrivabile per qualsiasi altra tecnologia, sia

durante la visione in ambiente oscurato, che con luce

nella stanza. Il nero perfetto enfatizza i colori e spinge

da solo il contrasto dell’immagine, ma questo nuovo

OLED sa anche “pompare” la luminosità quando ser-

ve. Chiaramente il TV non è fatto per visualizzare una

schermata totalmente bianca a 300 cd/mq, ma come

abbiamo visto anche nell’analisi strumentale, il nuovo

OLED è in realtà molto luminoso (più di qualsiasi pla-

sma del passato ad esempio) e in nessuna occasione,

durante la visione di contenuti reali, si avverte una

mancanza di dinamica. Un punto questo che tra l’altro

ci fa capire che non c’è alcun motivo per cui un TV

di questo tipo non possa supportare contenuti HDR

e di fatti LG ha annunciato la prossima disponibilità

di un aggiornamento software ad hoc. Oltre al nero

assoluto, quello che ci fa subito piacere questo TV è

la morbidezza dell’immagine, con quei colori caldi e

piacevoli che tanto apprezzavamo sui TV al plasma.

Di fatto, potremmo descrivere la sensazione restitui-

ta dall’OLED LG come quella di un plasma migliorato

sotto tutti i punti di vista: più contrastato, più brillante,

più definito e meno rumoroso. La cosa interessante

è che i colori, pur apparendo molto saturi e brillanti,

non sono in realtà più “forti” di quanto lo siano su un

ordinario LCD, come del resto abbiamo visto nelle no-

stre misure: è la profondità del nero che li rende così

vibranti e piacevoli, oltre naturalmente all’emissione

diretta. Sul fronte della risoluzione, lo scaler integrato

fa quello che può con i contenuti in definizione stan-

dard, che appaiono inevitabilmente impastati e poco

definiti, e lavora discretamente con invece sorgenti in

HD. Il dettaglio non buca mai lo schermo, nel senso

che il TV come abbiamo già detto un’impostazione

piuttosto morbida, ma questo non vuol dire che la

definizione manchi, tutt’altro. Lo si vede bene con i

contenuti Ultra HD che, come naturale, tirano fuori

il meglio da questo televisore. Abbiamo riprodotto

filmati dimostrativi da dischi esterni, ma anche dal

canale demo via satellite in HEVC a 10 bit presente

su Eutelsat e la resa è senza dubbio ottima. Buona

la risoluzione in movimento, assolutamente in linea

con quella espressa da altre tecnologie. Il circuito

TruMotion elimina qualsiasi problema di motion blur

ma introduce anche un effetto telenovela più o meno

evidente a seconda dell’impostazione. La soluzione

migliore è ricorrere alla modalità “utente” che permet-

te di ridurre al minimo l’interpolazione dei fotogrammi

e di conseguenza eventuali artefatti di movimento.

Davvero notevole la resa con dischi in 3D con imma-

gini molto definite e completamente prive di qualsiasi

effetto di ghosting sui contorni. Quello espresso dal

TV LG è forse il miglior 3D che abbiamo mai visto per

luminosità delle immagini, resa cromatica, contrasto e

precisione. Il più delle volte l’immagine riprodotta da

questo 55 pollici è semplicemente sbalorditiva, 2D o

3D che sia. Neri così profondi come quelli espressi da

questo OLED richiedono però un grande controllo sul-

le basse luci. Opportunamente regolata la luminosità

in funzione dell’impostazione del gamma scelta, il TV

non chiude eccessivamente sulle ombre

e i dettagli rimangono ben percepibili,

anche se abbiamo notato con molti di-

schi Blu-ray la tendenza a enfatizzare un

po’ degli artefatti sui particolari più scu-

ri. In generale la resa è più che ottima,

ma in alcune situazioni abbiamo notato

un’immagine più rumorosa sulle ombre.

Un esempio di questo è la scena della

sepoltura di Kill Bill vol.2, che viene ri-

prodotta in modo impeccabile, ma le sfu-

mature appena percepibili del viso della

protagonista durante i momenti di buio

totale - che sulla maggior parte dei TV

manco si riescono a vedere, intendiamo-

ci - appaiono più come dei quadrettoni.

Si tratta di una situazione chiaramente

TEST

LG 55EG960Vsegue Da pagina 33

estrema, ma che potrebbe rivelare, oltre ai limiti della

codifica a 8 bit degli attuali dischi, anche un’insuffi-

ciente granularità nel controllo delle basse luci da

parte del pilotaggio del pannello. Professionalmente

siamo portati a cercare il proverbiale pelo nell’uovo,

ma ci sembra un particolare interessante da riportare.

Del resto la tecnologia OLED è ancora nuova e c’è

ancora molto da imparare su questi pannelli.

Altro aspetto che era critico sul modello full HD era

quello dell’uniformità. A livello di colorimetria, una

schermata grigia rivela significativi miglioramenti ri-

spetto al precedente modello 55EC930: non è ancora

perfetta (ma quale TV lo è?), ma sicuramente non ci

troviamo dinanzi a variazioni così evidenti nel bilan-

ciamento del bianco nelle varie aree dello schermo.

Permane invece un problema di uniformità sulle bas-

se luci, che risulta particolarmente evidente tra lo 0

e il 5% di segnale e via via va scomparendo fino al

15%. Premessa: si tratta di qualcosa che nel 90% dei

contenuti reali non vedrete mai, ma il problema c’è. In

pratica, visualizzando una schermata uniforme parti-

colarmente scura si notano una vignettatura ai bordi

e delle bande verticali nella parte centrale. Quest’ul-

time, durante la visione di film, non le abbiamo mai

notate, ma la vignettatura con video particolarmente

scuri può diventare visibile, tanto più con schermate

di app o menù dei dischi. A meno di non conoscere

alla perfezione certe scene è probabile che difficil-

mente ce se ne accorga, ma sicuramente si tratta di

un aspetto su cui LG ha bisogno di lavorare ancora

molto, prima di poter parlare di televisore definitivo

dal punto di vista della qualità video.

Prima di chiudere un’ultima nota sull’audio integrato

che è davvero di ottima qualità. Pur non potendo of-

frire i bassi di un impianto stereo o multicanale sepa-

rato, il TV di LG offre una risposta molto equilibrata

sia con la musica che soprattutto con i dialoghi, con

un’ottima timbrica, alte frequenze prive di asperità e

un registro medio dettagliato e preciso. A nostro av-

viso comunque, un TV di questa classe va abbinato a

un impianto home theater come si deve, punto.

Sui livelli più bassi di grigio si può notare una spiccata mancanza di uniformità. Lo stesso effetto lo ave-vamo notato su un sample della serie EC970. Solo la vignettatura ai bordi può diventare effettivamente visibile con alcuni tipi di contenuti reali.

Il telecomando Magic Remote, un po’ più grande e maneggevole

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MAGAZINEn.118 / 1523 SETTEMBRE 2015

di Emanuele VILLA

I l gran giorno di iOS 9 è arrivato. iOS 9 non rappre-

senta un cambio epocale, ma un aggiornamento ric-

co di tante piccole novità che gli utenti iOS stavano

aspettando da tempo. Una giusta premessa, perché

molte delle cose che Apple ha aggiunto sul nuovo

iOS 9 erano già da tempo disponibili per Android o

Windows Phone, e scorrendo l’elenco delle novità o

delle piccole migliorie ci si stupisce anche di come

sia possibile che Apple alcune cose non le abbia mai

fatte prima. La più banale, ma è solo un esempio, è il

tasto “shift” per le maiuscole della tastiera: fino ad iOS

8 non si capiva mai se “shift“ fosse premuto o no, iOS

9 invece per farcelo capire cambia le lettere della ta-

stiera da minuscole a maiuscole. Una sciocchezza, un

dettaglio se si vuole, ma in iOS 9 di dettagli di questo

tipo ce ne sono davvero tanti. Dopo aver giocato nel

corso della beta con le varie release che Apple ha

messo a disposizione, abbiamo finalmente installato

su un iPhone 6 la versione finale di iOS 9 già distribui-

ta agli sviluppatori, la stessa che sarà disponibile per

tutti domani sera.

iOS 9, viste anche le similarità con iOS 8, sarà instal-

labile da tutti coloro che hanno già installato l’attuale

versione: si parte da iPad 2 e iPhone 4S, anche se

come sempre i possessori di un modello datato di me-

lafonino dovrebbero attendere qualche report prima

di premere “aggiorna”. In realtà iOS 9 è nato per esse-

re un po’ più snello e per girare meglio su dispositivi

più datati, grazie alla riscrittura in Swift della maggior

parte del sistema operativo e all’uso di Metal per app

e rendering grafico, ma solo il tempo dirà se Apple

ha lavorato bene. Chi ha uno smartphone da 16 GB

non dovrebbe avere grossi problemi con l’aggiorna-

mento: l’update OTA dovrebbe richiedere solo 1.4 GB

di spazio libero sul dispositivo (usiamo il condizionale

perchè noi abbiamo usato il ripristino completo): se

ancora non dovesse bastare Apple chiederà di can-

cellare alcune apps che verranno reinstallate automa-

ticamente al termine dell’aggiornamento.

TEST È appena uscito iOS 9 per iPhone e iPad, ultima release del sistema operativo mobile Apple. Lo abbiamo testato per voi

iOS 9 in prova: conviene aggiornare iPhone e iPad?Tante piccole novità, ma anche cose già viste altrove. Vediamo cosa c’è di nuovo e scopriamo perché conviene aggiornare

La prima novità visibile dopo aver aggiornato ad iOS

9 è la font: Apple ha sostituito il suo storico Helvetica

con un nuovo font realizzato per il web e per valo-

rizzare gli schermi Retina: si chiama San Francisco.

Pochi noteranno subito la differenza, anche perché

sono molto simili, in ogni caso basta guardare la G e

le R maiuscole per accorgersi di come San Francisco

sia più netto e meno arrotondato. La seconda novità

la si nota in fase di setup: il codice di sicurezza da 4

cifre passa a 6 cifre, una piccola noia per gli utenti di

iPhone 4S e 5 privi di Touch ID. I cambiamenti princi-

pali, piccoli ritocchi grafici a parte, vanno nella direzio-

ne richiesta da tutti: prestazioni, usabilità e batteria.

Per quanto riguarda le prestazioni non abbiamo no-

tato alcun rallentamento su un iPhone 6 Plus, segno

che comunque il numero maggiore di operazioni in

background non impatta sulle performance generali,

mentre per la batteria finalmente arriva una modalità

a basso consumo e una sezione che permette un con-

trollo granulare delle app che consumano di più.

Nel menu notifiche è comparso un nuovo widget con

l’indicatore di carica per iPhone e eventuale Watch

collegato, mentre nel menu impostazioni c’è un uti-

lissimo menù che offre una panoramica dei consumi

divisi per applicazioni. Grazie al nuovo menu batteria

è facile identificare subito la causa di problemi di au-

tonomia, come un gioco mal progettato o una appli-

cazione che fa uso intensivo della rete in background.

Abilitando la modalità risparmio energetico vengono

disabilitate automaticamente alcune funzioni di iOS: le

app in background non vengono aggiornate, gli effetti

grafici disabilitati e la ricezione della mail da push, se

attivata, diventa manuale. Ad occhio, ma non ci sarà

mai un dato preciso, si guadagnano circa dai 30 ai 60

minuti di autonomia in più.

iOS 9 rivoluziona anche Siri: l’assistente vocale im-

para un po’ da Google Now e un po’ da Cortana,

diventando più proattivo: una nuova schermata, rag-

giungibile con un colpo di pollice verso destra dalla

prima “home”, suggerisce le applicazioni più usate, i

contatti più frequenti e le news del giorno. Questo in

realtà è un po’ un work in progress: le notizie arrivano

solo da Corriere, Repubblica e il Sole 24 Ore e non

si aggiornano in base alle preferenze degli utenti, e

pure i suggerimenti per le app necessitano di un po’

di “allenamento” per iniziare ad essere corretti.

segue a pagina 36

lab

video

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MAGAZINEn.118 / 1523 SETTEMBRE 2015

Migliora anche la ricerca con Spotlight: si può chie-

dere un risultato di calcio, il meteo o un numero di

telefono direttamente nella barra di ricerca, anche se

non sempre il risultato è perfetto. Siri, ad esempio,

scambia la Juventus con il Torino, cosa che potrebbe

renderla decisamente antipatica a una buona fetta di

tifosi italiani. Spotlight ora cerca anche all’interno del-

le app, sempre che gli sviluppatori abbiano predispo-

sto l’app per questa funzione.

Tolti questi due elementi iOS 9 è un insieme di tantis-

sime piccole novità, nessuna così eclatante ma tutte

molto gradite. Tra queste l’app iCloud Drive: Apple ha

realizzato una applicazione per navigare all’interno

del proprio spazio iCloud, utile quasi esclusivamente

per salvare gli allegati, modificarli e spedirli con una

nuova mail. L’app di iCloud Drive non è però parago-

nabile a quelle di Dropbox, Drive o OneDrive, molto

più complete e funzionali: non si può, ad esempio,

creare una nuova cartella, va fatto da web, ma si pos-

sono eliminare o rinominare cartelle. Apple proba-

bilmente non vuole dare sull’iPhone una esperienza

tropo da “computer” limitando le operazioni possibili

con i file. Oltre ad iCloud Drive, chi ha aggiornato si

troverà altre tre cambiamenti in fatto di app: Wallet,

Trova iPhone e Trova Amici. Wallet è Passbook che

ha cambiato nome e icona, mentre le altre due sono

app già esistenti che ora Apple pre-installa e impedi-

sce di rimuovere. Una panoramica delle app e delle

impostazioni ci permette di trovare altre feature più o

meno visibili, come la possibilità finalmente di cercare

nelle impostazioni, opzione preziosa vista la quantità

di regolazione ormai permesse da Apple. Navigando i

menu infatti si scopre poi che iOS 9 permette di cam-

biare la risoluzione di ripresa video e che ha un siste-

ma chiamato Wi-fi Assist: il primo è utile con i nuovi

iPhone 6S, in quanto permette di registrare in Full HD

al posto del 4K mangiaspazio, il secondo invece per-

TEST

iOS 9 in provasegue Da pagina 35

mette di passare automaticamente alla connessione

3G o LTE nel caso in cui il Wi-fi non sia stabile. Atten-

zione ad attivarlo con un piano dati da 2 GB: nel caso

di streaming video e Wi-fi debole ci si potrebbe trova-

re davanti a brutte sorprese. Durante la registrazione

dei video è ora possibile attivare il flash LED: prima

non si poteva.

I possessori di iPhone, iPad e Macbook saranno feli-

ci di trovare nel menu impostazioni una gestione del

routing delle chiamate Handoff: se con iOS 8 all’arrivo

di una chiamata suonava ogni dispositivo, con iOS 9

si può decidere di gestire l’inoltro solo su uno o più

iDevice.

Cambiano anche le notifiche: la visualizzazione di de-

fault è ora per data e non per applicazione, anche se

si può tornare al raggruppamento per applicazione

dal menu di configurazione.

Passando alle app più usate Apple ha lavorato molto

su Mail, Safari e Note. Mail, oltre alla possibilità di ge-

stire allegati di ogni tipo, caricandoli da iCloud, integra

ora anche gli strumenti Markup per aggiungere note e

appunti ad una immagine allegata, novità questa ere-

ditata dalla versione desktop presente su Yosemite.

Inoltre sempre mail permette ora la gestione di grup-

po delle email, e aggiunge un nuovo toggle “segna

come non letto” sfruttabile anche con una gesture (la

funzione c’era però anche in iOS 8).

Safari, il browser web, guadagna una nuova modalità

di lettura con possibilità di gestire font e dimensione

del testo, il salvataggio delle pagine nelle Note e la

creazione di PDF dalle pagine web. Inoltre è stata

spostato il tasto di richiesta della modalità desktop,

molto più accessibile. Utile in certi casi la possibilità di

caricare un documento o un file in una pagina web: il

documento dev’essere però disponibile su iCloud.

Completamente riscritta l’app Note: può gestire ele-

menti copiati da altre app (schermate web ad esem-

pio) e integra strumenti di scrittura e disegno, con tan-

to di righello per tirare linee dritte. Un grande passo

in avanti: se quello di prima era un semplice blocco

appunti, il nuovo Note diventa una applicazione com-

pleta e funzionale sfruttabile soprattutto su un iPad.

Una nota infine per le donne: l’impegno di Apple nel

campo della salute prevede l’aggiunta nell’app Salu-

te di una sezione dedicata alla Salute Riproduttiva: si

può tenere traccia di attività sessuale e mestruazioni,

dati da utilizzare poi congiuntamente ad altre app che

ne fanno richiesta. Per quanto riguarda l’iPad le novità

guardano soprattutto all’iPad Pro: Slide Over, Split View

e Picture in Picture permettono la gestione finalmente

di due applicazioni contemporaneamente. Slide Over

permette di accedere ad un app secondaria senza

chiudere quella principale, sfruttando una sorta di wid-

get nella sidebar. SplitView è un verso split screen,

due app attive nello stesso istante con lo schermo

diviso in due. Picture in Picture, invece, permette di

visualizzare un video in una piccola finestra mentre

stiamo usando una applicazione in primo piano.

Considerando le risorse richieste da tali operazioni,

soprattutto il carico a livello grafico, Apple non le ha

rese disponibili per tutti gli iPad: Picture in Picture e

Slide Over sono disponibili su iPad Pro, iPad Air e iPad

mini a partire dalla seconda generazione, mentre Split

View è disponibile su iPad Pro, iPad Air 2 e iPad mini

4. PiP necessita di applicazioni pensate per quello: In-

fuse e altri player video, al momento in cui scriviamo,

ancora non sono ancora ottimizzati per questa funzio-

nalità. Una nota infine sull’usabilità: spesso una ap-

plicazione apre in una nuova finestra Safari, per dare

una conferma o visualizzare una pagina web, passag-

gio questo che costringeva ad utilizzare il multitasking

per tornare indietro. Ora, con iOS 9, è comparso nella

barra delle applicazioni un piccolo link per tornare al-

l’applicazione precedente.

iOS 9 racchiude tante altre piccole migliorie d’inter-

faccia, scorciatoie e tweak per rendere più semplici

operazioni che prima non si potevano fare e ora sono

possibili, ma va anche detto che in Italia siamo anche

penalizzati per l’assenza di alcune delle top features:

l’app News ancora non c’è, Apple Pay neppure e

nemmeno le nuove Mappe, con la navigazione pedo-

nale, sono disponibili nelle città italiane.

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www.audiogamma.it

Cuffia P3. Un mix di alta qualità sonora e comfort di lusso, frut-to della fusione calcolata e calibrata tra materiali pregiati e tec-nologie raffinate. Nata dalla penna di Morten Warren, lo stes-so creatore dello Zeppelin Air iPod Speaker, la P3, disponibi-le in 4 colori, nero, bianco, rosso e blu, ne conserva la per-sonalità, il talento sonoro e la frequentazione privilegiata, ov-vero l’iPod e l’iPhone dai quali estrapola il meglio dei conte-

nuti sonori, ne integra la funzionalità e la cosmetica. P3 è in-fatti dotata di un cavo con comando per iPod/iPhone con mi-crofono e controllo volume/salto-traccia, utilissimo per tutti gliamanti dei player firmati dalla mela argentata. Ma –ovviamente-P3 è "anche" una cuffia Hi Fi tradizionale di elevatissimo livello,da poter collegare a qualsiasi sorgente standard, tramite ilcavo a corredo intercambiabile con quello per player Apple.

Concert for one

Zeppelin e Zeppelin Air sono marchi registrati di B&W Group Ltd. AirPlay, iPod, iPhone e iPad sono marchi di Apple Inc. registrati negli Stati Uniti e in altri paesi.

133_bw_P3_pgp_ddy.qxp:- 29-04-2014 20:01 Pagina 1

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MAGAZINEn.118 / 1523 SETTEMBRE 2015

di V.R. BARASSI

Annunciato nel corso dell’IFA 2015 di Berlino,

Huawei Mate S è lo smartphone con il quale il

produttore cinese ha deciso di affrontare tutti i

big del mercato giusto in tempo per l’ormai prossima

sessione di vendite pre-natalizia. Il dispositivo viene

proposto in due versioni, una da 32 GB di memoria

fisica e una seconda con un quantitativo doppio (64

GB) mentre la variante da 128 GB con Force Feedback

- tanto chiacchierata - pare destinata a non arrivare mai

in Europa. Per questa prova Huawei ci ha inviato il di-

spositivo nella sua versione entry-level da 32 GB nella

colorazione Titanium Silver (l’altro colore per l’Europa

sarà quello dorato Mystic Champagne); il tutto sarà

presto in commercio a 649 € (è già pre-ordinabile sullo

store ufficiale di Huawei, con consegne tra un mese),

prezzo di listino leggermente inferiore a quello di tutti i

principali concorrenti del panorama Android.

Linea da capogiro qualità da primo della classeChe questo Mate S sia nato per stupire lo si capisce

subito dalla elegantissima confezione di vendita scu-

ra, abbastanza grande, che una volta aperta mette

subito in mostra il gioiello di famiglia e che “nel dop-

pio fondo” nasconde sapientemente quattro allog-

giamenti destinati rispettivamente alla bellissima flip

case in pelle (con finestrella dalla quale è possibile

fare ben poco se non rispondere/rifiutare le chiama-

te), agli ottimi auricolari standard a doppia uscita con

finiture metalliche, al caricatore USB e al cavo di colle-

gamento USB-microUSB. Se il buongiorno si vede dal

mattino è chiaro ed evidente di come Huawei si sia

messa in testa di fare le cose per bene e la sensazio-

ne si trasforma ancor più in certezza una volta estrat-

to lo smartphone dal suo scompartimento poiché ci

vuole un attimo a capire come ci si ritrovi tra le mani

un dispositivo qualitativamente impeccabile. Mate S è

uno smartphone dalle dimensioni generose (149.8 x

75.3 mm) ma il display occupa quasi il 75% della por-

TEST Abbiamo provato il nuovo dispositivo Huawei disponibile in due versioni, da 32 e 64 GB, presto in vendita a 649 euro

Huawei Mate S alza un po’ l’asticella della qualitàUno smartphone bello, potente e costruito a regola d’arte. Basterà per spaventare la concorrenza nel panorama Android?

zione frontale e questo, unito alle sottili cornici, fa sì

che il complesso risulti molto più piccolo di quello che

è realmente. Lo spessore di soli 7,2 millimetri è quello

massimo e corrisponde alla porzione più “bombata”

della curvatura posteriore poiché in prossimità dei

bordi Mate S offre un profilo che supera di poco il

mezzo centimetro, risultato senza dubbio eccellente

che non lo fa affatto sfigurare (anzi)

se messo in confronto con la più

diretta concorrenza del panorama

Android (e non solo). Tutto il dispo-

sitivo è stato integrato in una solida

struttura metallica con bordi rifiniti

in elegante alluminio satinato e una

porzione posteriore liscia al tatto,

anch’essa in alluminio. Il risultato

finale è un prodotto che pesa solo

156 gr e che grazie alle dimensioni

non troppo elevate e alle sapienti

curvature si impugna decisamente

bene; chi proviene da un device con

scocca posteriore in plastica però è

avvertito: attenti alla presa perché

le prime volte potrebbe sfuggirvi

di mano. Il retro è davvero molto

liscio, ma ci si fa l’abitudine. Ovviamente non vi è al-

cun tipo di scricchiolio ma, se davvero si vuol cercare

il pelo nell’uovo, abbiamo notato come la porzione

posteriore (che tende inevitabilmente a soffrire di

ditate e sporcizia) dia l’impressione di essere un po’

“vuota” in determinati punti; il 99% degli utenti non

se ne accorgerà neppure, ma provando a pigiare in

diversi punti si notano spessori differenti e provando

a premere con decisione nel centro della copertura di

alluminio posteriore si percepisce lontanamente una

certa sensazione di vuoto. Sempre sul retro trovano

spazio centralmente la fotocamera principale con

doppio flash LED (dual-tone) e poco più in basso un

sensore per il riconoscimento delle impronte digitali,

precisissimo oltre che velocissimo nella sua funzione

di rilevamento (siamo ai livelli di TouchID di Apple) e

posizionato in maniera accurata in modo tale da po-

ter essere “azionato” con il dito indice della mano. È

possibile registrare fino a un massimo di 5 impronte

digitali. Come su altri device analoghi non si è potuto

fare a meno di inserire due “bande” orizzontali per fa-

vorire la ricezione dei vari segnali radio, elementi che

però non disturbano affatto il design di un dispositivo

sicuramente molto ben riuscito. Sul lato destro vi sono

segue a pagina 39

lab

video

Huawei Mate SHUAWEI FA SUL SERIO: LA STRADA IMBOCCATA È QUELLA GIUSTA 649,00 €Mate S è uno smartphone dal design decisamente riuscito che non farà fatica ad attirare l’attenzione degli utenti. Oltre al fattore estetico, lo smartphone si contraddistingue per un ottimo mix tra hardware e software che collaborano molto bene a mantenere l’esperienza d’uso sempre ai massimi livelli, senza mai incappare in rallentamenti o situazioni poco piacevoli. La batteria difficilmente vi lascerà senza energia nel corso della giornata e se si vuole davvero trovare un difetto lo si deve ricercare nel comparto fotocamera, con il modulo principale da 13 Megapixel che risulta essere un po’ indietro se messo a diretto confronto con la concorrenza. Il prezzo di listino di 649 € è in linea generale elevato ma assolutamente commisurato alle specifiche tecniche e soprattutto inferiore a quello di molti competitor. Quello di Huawei è certamente un ottimo smartphone e siamo certi che, magari quando il prezzo risentirà del suo consueto calo fisiologico, potrà fare molto bene sui mercati. Huawei sta continuando a sfornare eccellenti dispositivi e la concorrenza ha di che preoccuparsi; in primis di questo Mate S.

COSA CI PIACE

COSA NON CI PIACE

Design e costruzione di primissimo livelloSchermo AMOLED eccellentePrestazioni generali

Browser web insufficienteNiente video in 4KImpostazioni EMUI un po’ complicate

Qualità Longevità Design Semplicità D-Factor Prezzo

9 8 9 8 8 88.5

COSA NON CI PIACE

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MAGAZINEn.118 / 1523 SETTEMBRE 2015

TEST

Smartphone Huawei Mate Ssegue Da pagina 38

il bilanciere del volume e il tasto di blocco/sblocco del

device, quest’ultimo caratterizzato da una finitura ru-

vida che ne permette il facile riconoscimento; sul lato

sinistro vi è l’apposito carrellino per inserire nano SIM

e scheda microSD fino a 128 GB; la porzione supe-

riore presenta il jack da 3,5mm e uno dei tre micro-

foni (per il riconoscimento dei rumori di fondo delle

chiamate), mentre in basso c’è spazio per l’ingresso

microUSB, per due griglie simmetriche (ma solo una è

per l’altoparlante) e per le uniche due viti visibili sulla

scocca.

Il Quad HD non serve Spazio a un ottimo AMOLED Full HDIncassato alla perfezione nella solida scocca metallica,

frontalmente c’è un vetro Gorilla Glass 4 con effetto

“2.5D” - quindi con bordi arrotondati ed effetto “quasi

3D” - che nasconde un fantastico display da 5,5 polli-

ci basato sulla tecnologia AMOLED. Quello scelto da

Huawei è un pannello di incredibile qualità che non

ha nulla da invidiare agli analoghi componenti pre-

senti sui modelli di punta degli agguerriti concorrenti.

La risoluzione non è Quad HD come molti si sarebbe-

ro aspettati bensì Full HD che, con 1920x1080 pixel

e su questa diagonale riesce comunque a strappare

il risultato di 401 ppi, il che significa che i pixel non

si vedono in nessun frangente. Come ogni AMOLED

che si rispetti gli angoli di visione sono estremi, il nero

è assoluto e il contrasto è elevatissimo; molto buo-

na la riproduzione - sempre molto accesa - di tutte

le principali tonalità e buona è anche la luminosità

massima che garantisce la visione anche sotto la for-

te luce del sole. L’impostazione predefinita assicura il

giusto compromesso ma tra le opzioni è anche possi-

bile “tarare” il display a proprio piacimento, virando su

tonalità più fredde oppure più calde. Inutile dire come

nell’utilizzo quotidiano un display di questo genere

invogli letteralmente all’utilizzo: che sia per guardare

fotografie o per scorrere un po’ “a caso” tra i menù e

le app, il pannello risulta sempre una gioia per gli oc-

chi. La versione in colorazione Titanium Silver da noi

testata presenta, inoltre, le cornici nere, elemento che

aiuta non poco a far emergere la bontà del pannello e

contribuisce tantissimo a rendere ancora più elegante

Huawei Mate S, soprattutto se si sceglie di utilizzare

un wallpaper il cui nero la fa da padrone. Se la risolu-

zione del pannello ci è sembrata assolutamente ade-

guata alla dimensione dello stesso, possiamo altresì

affermare che i 5,5 pollici di diagonale sono “giusti”

per questo dispositivo; il design ergonomico facilita

l’utilizzo con una mano sola e ad aiutare ulteriormente

l’utente c’è anche una funzionalità della EMUI (Emo-

tion UI) che permette di ridurre le dimensioni dell’in-

terfaccia così da poter gestire il tutto con il pollice. Ba-

sta fare uno swipe a destra o a sinistra sulla barra dei

pulsanti virtuali (personalizzabile, sul frontale non vi

sono tasti fisici) e il gioco è fatto. La porzione anteriore

del dispositivo è completata dalla capsula auricolare,

dalla fotocamera frontale e da un piccolo e alquanto

elegante LED di notifica posto nella porzione sinistra

con a fianco un discreto flash - sempre LED - pensato

per gli autoscatti. Non mancano, ovviamente, sensore

di prossimità e di luminosità, quest’ultimo molto velo-

ce e preciso nella regolazione.

Potenza da vendere Ma c’è chi va più forteDa ogni top di gamma degno di questo nome ci si

aspetta - giustamente - il meglio del meglio sotto il

profilo strettamente tecnico e Huawei ha deciso

di equipaggiare il suo nuovo Mate S con un SoC

HiSilicon Kirin 935 il quale porta in dote otto core,

quattro dei quali con clock massimo a 2,2 GHz e

altrettanti a 1,5 GHz, che lavorano sapientemente

con i 3 GB di memoria RAM installati a bordo e la

GPU Mali-T628 MP4 680M. Chi si aspettava il solito

Snapdragon di Qualcomm resterà deluso ma chi avrà

modo di scegliere Mate S non farà assolutamente

caso a questo “dettaglio” poiché, nell’utilizzo quoti-

diano, la piattaforma Kirin 935 - abbinata ad Android

5.1.1 - fa straordinariamente bene il suo lavoro e non

fa rimpiangere le più blasonate soluzioni Qualcomm.

Nonostante i benchmark facciano segnare punteggi

inferiori rispetto ai modelli di punta della concorrenza

(e non di poco, con AnTuTu ci si ferma a circa 44.000

punti), Mate S si comporta egregiamente in ogni fran-

gente, pagando qualcosa solamente nel gaming 3D,

ambito in cui si sente la mancanza di un framerate più

costante e di qualche dettaglio grafico in più. Tutte le

operazioni si eseguono senza il benché minimo lag e

anche provando ad esibirsi in sessioni di multitasking

sfrenato Huawei Mate S non vi lascerà mai “a piedi”,

segno di un’ottimizzazione davvero encomiabile; otti-

me anche le prestazioni nella riproduzione dei filma-

ti (tutto bene fino a 1080p), seppur ci sia bisogno di

player di terze parti per i formati audio più complessi.

Come abbiamo anticipato all’inizio di questa recen-

sione, sono 32 i GB installati a bordo della versione

d’ingresso di questo Huawei Mate S, di cui circa 24

realmente disponibili per l’utente. Se il quantitativo

non risulta sufficiente alle vostre esigenze potrete op-

tare per la più costosa versione da 64 GB oppure po-

trete scegliere di installare una scheda microSD con

capacità fino a 128 GB.

EMUI promossa Ma si può ancora migliorareMettendo in secondo piano il design, indubbiamente

l’aspetto più riuscito del dispositivo in oggetto, quel

che più stupisce di Mate S è come questo riesca quasi

sempre ad essere semplice e immediato. Il merito è

della EMUI realizzata da Huawei, qui nella versione

3.1, la quale aiuta non poco l’utente a districarsi tra

icone e menù vari; innanzitutto non vi è un vero e pro-

prio app drawer a cui accedere tramite pulsante (cosa

abbastanza usuale in ambiente Android), poiché una

volta sbloccato il dispositivo l’utente sarà già dinanzi a

tutte le icone delle applicazioni installate organizzate

su più desktop. Non si fa fatica a scorgere più di una

analogia tra questa impostazione e quella affermatasi

in iOS ma, sinceramente, non vediamo alcun male in

tutto ciò: Huawei ha la sua filosofia e non c’è motivo

di sparare a zero su una cosa forse non proprio origi-

nale ma decisamente funzionale. Se poi proprio non

piace si può tranquillamente andare sul Play Store e

scaricare il proprio gestore preferito… Lo smartpho-

ne giunge all’utente con sei diversi temi pre-installati

ma tramite l’apposita applicazione - chiamata “Temi”

- è possibile accedere a un vasto database nel qua-

le selezionare e scaricare quello più congeniale. Ce

ne sono centinaia con diverse combinazioni di colori,

sfondi e icone: impossibile trovarne uno che non piac-

cia sul serio. Il tema predefinito è forse un po’ “ano-

nimo” ma Huawei ha probabilmente deciso così per

non spaventare nessuno. La schermata di blocco è

abbastanza essenziale e anche qui si notano bene le

somiglianze con iOS: grande orologio centrale nella

porzione superiore, pulsante fotocamera in basso a

destra (si aspre facendo lo swipe verso l’alto) e barra

dell’orologio/icone/notifiche ben in vista in alto (tra le

opzioni si può decidere di nascondere la dicitura del-

l’operatore telefonico). A differenza di iOS non è pos-

segue a pagina 40

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MAGAZINEn.118 / 1523 SETTEMBRE 2015

TEST

Smartphone Huawei Mate Ssegue Da pagina 39

sibile aprire la tendina superiore a schermo bloccato

(se sia un pregio o un difetto lo lasciamo al vostro giudi-

zio), mentre effettuando lo swipe dal basso verso l’alto

si apre un piccolo menù con quatto icone per aprire ri-

spettivamente registratore vocale, calcolatrice, fotoca-

mera e accendere il flash tipo torcia. C’è la possibilità di

attivare il pannello con il doppio tap sul display e molto

particolare è la funzionalità che permette di effettuare

ritagli di schermate “disegnando” con due nocche sul

display oppure lanciare determinate applicazioni “scri-

vendo”, sempre con due nocche, lettere a schermo;

seppur non impeccabile a noi ha sempre funzionato

piuttosto bene. Inoltre, facendo un doppio tocco netto

(molto netto!) con una nocca è possibile salvare una

schermata, mentre facendo un deciso doppio tap con

due nocche si farà partire una registrazione video (in

risoluzione HD o mini) di quello che si sta facendo con

il telefono. Non c’è il Force Feedback ma per ora va

bene così. Buone e immediate le applicazioni Galleria

(segnaliamo la possibilità di muoversi tra le immagini

effettuando gesture sul lettore di impronte digitali), Mu-

sica e Video, nella norma l’app dedicata alla posta elet-

tronica (e c’è anche Gmail preinstallata), minimal quella

dedicata alle note mentre manca una vero e proprio

reminder. Apprezzabile è la scelta di Huawei di pre-in-

stallare l’app Gestione Telefono dalla quale, in modo

estremamente semplice, è possibile liberare memoria,

eliminare file non necessari, tenere sotto controllo le

app che consumano più batteria e chiudere tutte le

app rimaste aperte in background. Meno felice, invece,

è stata la scelta del browser di sistema: il software è

molto indietro se paragonato alle proposte della con-

correnza e viste le sue prestazioni decisamente sot-

totono (sia in quanto a velocità che in qualità del ren-

dering, alcune pagine vengono caricate proprio male)

costringe all’utilizzo di un browser di terze parti. Meno

male che lo smartphone ha già Chrome pre-installato

a bordo il quale, nonostante non sia perfetto (ma lo si

sa), funziona molto bene. Altro frangente in cui la EMUI

può migliorare è quello relativo alle impostazioni: le

opzioni sono tantissime (che è sinonimo di possibilità

di personalizzazione estreme) ma non sono organizza-

te bene. Per trovare una determinata impostazione si

fa prima ad utilizzare l’apposita funzione di ricerca ma

anche così facendo un utente non proprio smaliziato

potrebbe sovente rimanere perplesso. Da segnalare,

infine, la presenza di un assistente vocale in grado di

assecondare le più essenziali richieste dell’utente, ma

che non è ancora in grado di riconoscere la lingua ita-

liana (c’è solo l’inglese). Una volta attivato e configurato

(bisogna impostare una parola chiave per “svegliare” il

sistema) sarà in modalità always-on; ottima la capacità

di comprensione della voce dei tre microfoni, capaci di

sentire abbastanza bene anche a distanza di qualche

metro. Se si domanda “Where are You?” (ovviamente

dopo aver pronunciato le parole chiave) lo smartphone

inizia a suonare, a vibrare, a far lampeggiare i LED e a

dire “I’m Here!” fino a quando non si agirà direttamente

sul device per stoppare il tutto. Decisamente originale

e utile soprattutto per chi è solito lasciare il telefono

qua e là per la casa.

Niente filmati in 4K ma buone foto…di giornoComposto da un modulo principale da 13 Megapixel e

da uno secondario frontale da 8 Megapixel, quello di

Mate S è sulla carta un comparto foto/video di tutto ri-

spetto. Sul campo, però, i numeri non contano poi così

tanto e le prestazioni non sono sempre commisurate

alle aspettative: Huawei ha fatto del suo meglio per

offrire la massima qualità possibile (spingendo molto

su questo tasto anche in sede di presentazione), ma

il risultato finale, seppur oggettivamente molto buono,

non ci ha pienamente soddisfatti e viste le premesse si

sarebbe sicuramente potuto fare di meglio. Sia chiaro,

il sensore da 13 Megapixel con lente grandangolare

f/2.0 ha indubbie qualità in condizioni di luminosità ot-

timali (anzi, a volte stupisce per la bontà degli scatti) e

l’applicazione Fotocamera a supporto è sempre molto

rapida, ma appena la luce inizia a calare emerge più di

un limite - forse non tutto da affibbiare all’hardware - in

quello che possiamo considerare “solo” un buon mo-

dulo, che dà la sensazione di avvicinarsi molto ma non

eguaglia né - ovviamente - sopravanza in prestazioni

gli analoghi installati a bordo, tanto per citarne alcuni,

LG G4, Samsung Galaxy S6 o iPhone 6 (in attesa del

6S). Si tratta certamente di un modulo degno di un top

di gamma, ma forse si poteva fare un piccolo sforzo in

più. Detto questo, sarà davvero difficile ottenere foto

brutte, soprattutto in macro, certamente il frangente in

cui questo Mate S si difende meglio; grazie all’ampia

apertura dell’obiettivo e alla stabilizzazione ottica (alla

quale è possibile aggiungere anche quella digitale, di-

sabilitata di default) non si farà fatica a scattare senza

flash anche di sera. Buono il bilanciamento del bianco

e molto rapida e precisa è la messa a fuoco; segnalia-

mo un certo grado di distorsione dell’immagine dovuta

al grandangolo che però non influisce più di tanto sulla

qualità complessiva degli scatti. Presente una moda-

lità “professionale” attraverso la quale selezionare in

prima persona tutti i parametri di scatto. Carina la mo-

dalità a lunga esposizione Light Painting che permette

di immortalare scie luminose durante la notte. Poche

note di merito anche se si considerano le possibilità di

registrazione video dove Mate S non va oltre una riso-

luzione massima di 1920x1080 pixel a soli 30 frame per

secondo. Ovviamente non c’è la possibilità di registra-

re in slow motion o in timelapse, e qualche simpatica

chicca sparsa qua e là non riescono a migliorare più

di tanto il giudizio poco più che sufficiente su questo

aspetto. I video sono buoni e la stabilizzazione aiuta,

ma più che del 4K (l’hardware non permette la riprodu-

zione di file Ultra HD) si sente la mancanza di una mo-

dalità di registrazione a 60fps. Decisamente più azzec-

cata, invece, è stata la scelta della fotocamera frontale

da 8 Megapixel con sensore retroilluminato la quale

è capace di garantire buonissime fotografie anche in

condizioni di scarsa illuminazione; il merito non è solo

del sensore ma è da attribuirsi anche al flash LED fron-

tale posizionato al fianco del piccolo LED di notifica,

soluzione che permetterà sempre selfie di buonissima

qualità. Presente anche la modalità “Bellezza” la quale

assicura la possibilità di modificare “al volo” gli scatti

ottenuti con la camera frontale andando a modificare

grandezza e illuminazione degli occhi oppure permet-

tendo di snellire il volto e rendere più bianca e liscia la

pelle. Non una funzione rivoluzionaria ma a qualcuno,

soprattutto ai più giovani, piacerà.

Autonomia nella media Connettività (quasi) completaLa combinazione tra SoC Kirin e schermo AMOLED fa sì

che Mate S, pur con una batteria da soli 2700mAh (ov-

viamente non rimovibile), riesca sempre ad arrivare al

termine della classica giornata di lavoro. Certo, vi sono

poche speranze di superare - eventualmente - la notte

(che si porta via un buon 15% di carica) ma tutto som-

mato non ci si può lamentare poiché alla fin fine anche i

diretti concorrenti non è che siano in grado di fare mol-

to meglio. Presenti diversi profili per il risparmio ener-

getico con il più aggressivo (denominato “Ultra”) che

lascia attive solo le funzionalità essenziali di chiamata

e messaggistica e che

permette di strappare

anche un paio di ore ab-

bondanti in condizioni

di estrema emergenza.

Parlando di connettivi-

tà, Huawei Mate S offre

tutto quello che si può

desiderare e non manca

di Bluetooth 4.0 (A2DP)

con NFC, GPS e GLO-

NASS e modulo Wi-Fi

802.11 b/g/n. Assente la

banda wireless a 5 GHz

ma, sinceramente, se ne

può anche fare a meno.

Il comparto telefonico

è solido e garantisce la

ricezione di un buon segnale 4G/LTE anche in luoghi

dove altri telefoni fanno fatica; per quanto riguarda le

chiamate possiamo tranquillamente lodare il sistema

di eliminazione dei rumori di fondo basato su tre mi-

crofoni (in determinate situazioni sembra addirittura

non esservi nessuno dall’altra parte della cornetta!), il

quale però ha il limite di partecipare all’elaborazione

di un audio dal volume forse un po’ troppo basso, an-

che al massimo valore possibile. Buono l’altoparlante

principale e valide anche le cuffie (non in-ear) a doppia

uscita caratterizzate da finiture metalliche.

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MAGAZINEn.118 / 1523 SETTEMBRE 2015

di Emanuele VILLA

È l’icona della musica liquida e del nuovo modo di

ascoltarla fuori casa, ma ha ancora senso in un

mondo dominato dagli smartphone, iOS o Android

che siano? Stiamo parlando dell’ormai leggendario

iPod, che Apple mantiene in gamma nelle versioni Tou-

ch, Nano e Shuffle pur senza dedicargli la medesima

considerazione degli anni di gloria. Il recentissimo rin-

novamento della gamma Touch ci ha dato l’occasione

per viverci un po’ insieme, portandolo in giro e usan-

dolo come principale strumento multimediale e come

foto/videocamera, ma soprattutto per affiancarlo al

nostro solito smartphone (un iPhone 5s) per scoprire

se – effettivamente – l’iPod abbia ancora un senso in

un mondo ormai dominato dagli smartphone. Il dub-

bio riguarda proprio la versione Touch, perchè Nano e

Shuffle hanno senza dubbio un ruolo interessante nella

gamma Apple, ma il Touch, quello che sembra sempli-

cemente un iPhone che non telefona? Partiamo dicen-

do che le sue dimensioni sono del tutto sovrapponibili

(spessore escluso) a quelle di iPhone 5s: frontalmente

è proprio uguale all’iPhone 5 (manca il Touch ID), men-

tre come spessore c’è un buon 20% in meno. Essendo

estremamente colorato, cattura l’attenzione dei curiosi.

È dunque un iPhone 5 di fuori, con la scocca in alluminio

sottilissima che ricorda iPad Air 2 e con caratteristiche

tecniche di alto profilo che si sovrappongono a quelle di

iPhone 6. Ha Wi-Fi ac, il chip A8 di ultima generazione,

la fotocamera iSight da 8 mpixel, iOS 8 nativo, iTunes e

Apple Music, ma soprattutto ha una dotazione di stora-

ge che può raggiungere i 128 GB integrati, contro i 16

GB massimi del Nano e i 2 GB dello Shuffle.

Tre settimane con iPhone e iPod Convivenza possibile?Scopo di questo servizio non è tanto testare le poten-

zialità di iPod Touch di ultima generazione, quando ca-

pire se effettivamente il capostipite dei dispositivi mobi-

le Apple abbia ancora un suo mercato a 2015 inoltrato.

Che sia un buon apparecchio è indubbio: come ripro-

duttore musicale si avvale di Apple Music per ascoltare

i brani sotto Wi-Fi o scaricarli nella memoria integrata

(che può arrivare a 128 GB) per l’ascolto offline, per il

gaming ha tutta la potenza che vuole grazie al SoC A8,

è bello da vedere, leggero e versatile. Non telefona e

non ha connettività cellulare, ma come dispositivo mul-

timediale ha davvero tutto ciò che serve, compreso il

display retina. Il costo di accesso non è male, nel senso

che tra i 239 euro di iPod 16 GB e i 729 di iPhone 6 c’è

un abisso e giustifica abbondantemente la minor versa-

tilità. Quindi perché acquistare un iPod Touch nel 2015?

La prima ipotesi è di indirizzarlo a un target molto giova-

ne: pensiamo al caso di un genitore che vuole regalare

un dispositivo iOS al figlio adolescente per il suo tem-

po libero ma senza l’impegno economico di un iPhone

dalle caratteristiche analoghe, che effettivamente costa

il triplo. C’è poi, ipotesi più fantasiosa, chi ha assoluta-

mente bisogno di un’app o di un gioco esclusivo iOS e

TEST Abbiamo provato l’iPod Touch per tutta l’estate come strumento di gioco, player multimediale e come fotocamera

Ha ancora senso un iPod Touch a 2015 inoltrato?A prescindere dalle prestazioni (molto buone), l’iPod è ancora indispensabile in un mondo dominato dagli smartphone...

anche chi lo affianca al suo smartphone, dandogli una

posizione di supporto multimediale. Quest’ultimo – che

riconosciamo non essere il più rilevante - è stato il no-

stro caso. Durante le vacanze ci siamo trovati in tasca

sia un iPhone sia l’iPod Touch di ultima generazione e

abbiamo cercato di sfruttarne le possibili sinergie: es-

sendo all’estero, l’abbiamo usato come riproduttore

musicale di brani preventivamente scaricati da Apple

Music, come foto/videocamera principale e come di-

spositivo per il gaming. L’esperienza di utilizzo è stata

positiva: l’unico limite dell’utilizzo multimediale è un po’

la luminosità del display che, nelle giornate assolate e

in outdoor, rende difficoltosa la lettura e soprattutto può

condizionare le riprese video.

In casi specifici è un valido comprimarioL’impressione derivante da 3 settimane di utilizzo è che

iPod Touch sia ancora un ottimo prodotto ma che viva

all’interno di un mercato molto ristretto, il che giustifi-

ca alla perfezione la minor enfasi data da Apple. Ipod

Touch ha infatti senso in ipotesi specifiche: quelle con-

siderate più sopra e come supporto multimediale per

uno smartphone limitato in quanto a capacità di storage

e autonomia e che - per svariati motivi - non si vuole

cambiare. In tutti gli altri casi, lo smartphone è più che

sufficiente a fare tutto e la sovrapposizione tra i due ap-

parecchi non giustificherebbe i 249 euro della spesa.

Il fatto che noi si fosse precisamente in quest’ultima si-

tuazione ci ha aiutato a schiarirci le idee: il nostro iPho-

ne 5s da 16 GB stracolmo di app e di musica non può

essere impiegato come strumento per le riprese video

a meno di usare il cloud, ma quello pone il problema

della connettività che in vacanza non è mai scontata.

Inoltre, iniziare a registrare alle 9 del mattino in modo

intenso rende necessario il classico battery pack all’ora

di pranzo (se va bene), cosa che un iPod Touch in tasca

non fa. È stata dunque un’esperienza interessante: se

nella precedente vacanza dovevamo spesso collegare

l’iPhone al battery pack e scaricare i video giorno per

giorno, questa volta ha fatto tutto l’iPod. E non si può

neanche dire che sia fastidioso portarsi in giro due di-

spositivi: lo smartphone lo si dimentica in tasca, lo si usa

come telefono e come hotspot mobile per iPod, che a

sua volta è sempre a portata di mano poiché serve per

scattare foto, riprendere, ascoltare musica, navigare e

giocare. E a sera ci arriva sempre, anche in caso di uso

intenso. Unica accortezza è la custodia, perchè la scoc-

ca in alluminio tende a scivolare di mano con una certa

facilità, e lì son dolori. Poi ci rendiamo conto che in tanti

altri casi iPod Touch sia superfluo e non è assurda l’ipo-

tesi che un giorno venga eliminato dalla gamma rien-

trando in tutto e per tutto negli iPhone. Oggi infatti con

una cifra più o meno analoga si può acquistare l’iPhone

di 2 anni fa o l’ultimo iPod Touch: il primo senza dubbio

più versatile, il secondo molto più potente sotto il profi-

lo multimediale. E non mettiamo in dubbio che per una

fetta di pubblico sia più importante quest’ultimo: in tal

caso, l’ultimo iPod Touch non vi deluderà.

Le foto e le riprese diurne offrono un livello qualitativo apprezzabile, ma è innegabile una discreta perdita di definizione dopo il tramonto, laddove la rumorosità si fa invadente.

lab

video