Il Quattrocento in Italia · plasticità di Masaccio, la luce tersa e i colori gotici di Beato ......

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Il Quattrocento in Italia (STORIA DELL’ARTE CLASSI IV B, C, E - prof.ssa M. Lisa Guarducci) URBINO: Federico da Montefeltro→ il Palazzo Ducale; Piero della Francesca PERUGIA E UMBRIA: Pietro Perugino PIENZA: Enea Silvio Piccolomini (Pio II) e la città ideale FERRARA: gli Este→ il Salone dei Mesi di Palazzo Schifanoia MANTOVA: i Gonzaga, Andrea Mantegna e la Camera degli Sposi VENEZIA: Antonello da Messina; Giovanni Bellini URBINO e FEDERICO DA MONTEFELTRO (+1482) Alla corte d’Urbino si sviluppò un grande interesse per la matematica (fra’ Luca Pacioli) e l’urbanistica, come riflessione sull’organizzazione della società. Il principe si rifugia nello studiolo, luogo dedicato all’otium umanistico. Di particolare pregio le tarsie lignee a motivi prospettici, specialità dei legnaiuoli fiorentini. Il Palazzo coincide con la città. I duchi sono ritratti da Piero della Francesca→ La città ideale. Nella Politica Aristotele dedica una lunga sezione a Ippodamo di Mileto, architetto e urbanista, ideatore della pianta ortogonale a scacchiera ripresa poi dai romani. Pur sottolineandone la vanità e l’eccentricità, Aristotele gli riconosce la dignità di un pensatore politico, prima ancora che l’abilità di un architetto. Alla pianificazione della città corrisponde infatti la razionalizzazione delle relazioni tra i cittadini, e la geometria degli spazi traduce la ricerca di un equilibrio politicamente ordinato e regolato. Per gli antichi non esiste architettura della città senza un pensiero politico a cui corrisponda la traduzione in spazi: città – civitas (l’insieme dei suoi cives, col riconoscimento dello statuto giuridico dell’essere cittadino) – civiltà. Questi argomenti vengono ripresi nelle corti rinascimentali.

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Il Quattrocento in Italia

(STORIA DELL’ARTE CLASSI IV B, C, E - prof.ssa M. Lisa Guarducci)

URBINO: Federico da Montefeltro→ il Palazzo Ducale; Piero della Francesca PERUGIA E UMBRIA: Pietro Perugino PIENZA: Enea Silvio Piccolomini (Pio II) e la città ideale FERRARA: gli Este→ il Salone dei Mesi di Palazzo Schifanoia MANTOVA: i Gonzaga, Andrea Mantegna e la Camera degli Sposi VENEZIA: Antonello da Messina; Giovanni Bellini

URBINO e FEDERICO DA MONTEFELTRO (+1482)

Alla corte d’Urbino si sviluppò un

grande interesse per la

matematica (fra’ Luca Pacioli) e

l’urbanistica, come riflessione

sull’organizzazione della società.

Il principe si rifugia nello

studiolo, luogo dedicato all’otium

umanistico. Di particolare pregio

le tarsie lignee a motivi

prospettici, specialità dei

legnaiuoli fiorentini.

Il Palazzo coincide con la città. I duchi sono ritratti da Piero della Francesca→

←La città ideale. Nella Politica Aristotele dedica una lunga sezione a Ippodamo di Mileto, architetto e urbanista, ideatore della pianta ortogonale a scacchiera ripresa poi dai romani. Pur sottolineandone la vanità e l’eccentricità, Aristotele gli riconosce la dignità di un pensatore politico, prima ancora che l’abilità di un architetto. Alla pianificazione della città corrisponde infatti la razionalizzazione delle relazioni tra i cittadini, e la geometria degli spazi traduce la ricerca di un equilibrio politicamente ordinato e regolato. Per gli antichi non esiste architettura della città senza un pensiero politico a cui corrisponda la traduzione in spazi: città – civitas (l’insieme dei suoi cives, col riconoscimento dello statuto giuridico dell’essere cittadino) – civiltà. Questi argomenti vengono ripresi nelle corti rinascimentali.

PIERO DELLA FRANCESCA (1415-1492)

←Autore del “De prospectica pingendi” e del “De quinque corporibus regularibus”, un trattato sulla geometria euclidea. Qui sostiene che il mondo è pieno di corpi complessi o senza una particolare forma, ma ognuno di essi può essere ricondotto ai cinque poliedri regolari che rappresentano l'eterna perfezione. Piero rivolge il suo trattato non ai matematici ma agli artisti e dà perciò un taglio applicativo più che dimostrativo. Di questo trattato esiste una versione in volgare nella "Divina Proporzione" di fra' Luca Pacioli ←i cui disegni saranno eseguiti da Leonardo da Vinci. Piero spaziò dalla pratica pittorica alla matematica. La sua produzione artistica fu caratterizzata dall'estremo rigore della ricerca prospettica, dalla plastica monumentalità delle figure, dall'uso in funzione espressiva della luce. Le sue opere fecero da cerniera tra la prospettiva geometrica brunelleschiana, la plasticità di Masaccio, la luce tersa e i colori gotici di Beato Angelico e Domenico Veneziano, la descrizione precisa e attenta alla realtà dei fiamminghi. Il risultato fu la semplificazione geometrica sia delle composizioni che dei volumi, l'immobilità cerimoniale dei gesti, l'attenzione alla verità umana.

Storie della Vera Croce, Arezzo (1452-66) Esaltazione della Croce↑

↓Il sogno di Costantino (uno dei primi notturni della storia dell’arte)

Nella Basilica di San Francesco ad Arezzo si trova il ciclo di affreschi de "La Leggenda della

Vera Croce", capolavoro di Piero della Francesca ed una delle più alte espressioni della

pittura italiana ed europea. Il ciclo narra le vicende del sacro legno sul quale venne crocifisso Cristo così come narrato dalla "Leggenda Aurea" di Iacopo da Varagine, una raccolta di agiografie estremamente popolare nel Medioevo e nel Rinascimento scritta dal vescovo ligure tra il 1224 e il 1250. Gli affreschi sono posti su tre livelli sulle pareti laterali e sul fondo, senza alcuna intelaiatura architettonica. Per il soggetto Piero aveva a disposizione un precedente illustre, il ciclo di S.Croce a Firenze realizzato tra il 1380-90 da Agnolo Gaddi, figlio di Taddeo che era stato il principale discepolo di Giotto. Piero della Francesca raccontato da F. Zeri (www.youtube.com/watch?v=6Zyw9yTyRgY)

Il Battesimo di Cristo, 1445, Londra

PIETRO PERUGINO (1448-1523)

1. Consegna delle chiavi, Cappella Sistina, 1482 2. Apollo e Marsia(Dafni?) (1483 ca.) per Lorenzo il Magnifico 3. Ritratto di Francesco delle Opere, 1494 (intagliatore;cartiglio: "Timete Devm") 4. Crocifissione, 1495 5. Madonna col Bambino, 1500 ca.

Fu titolare in contemporanea di due attivissime botteghe a Perugia e a Firenze.

Maestro di Raffaello, apprese da Piero della Francesca luce e monumentalità. Alla

bottega del Verrocchio, dove lavorò, si accostò al naturalismo fiorentino del

tempo ed ebbe modo di conoscere Leonardo da Vinci. Per papa Sisto IV della

Rovere eseguì affreschi in Vaticano (perduti) e nella Cappella Sistina. Nel 1483

partecipò al più ambizioso programma decorativo avviato da Lorenzo il Magnifico,

la decorazione (scene mitologiche, perdute) della villa di Spedaletto presso

Volterra, accanto ai migliori artisti dell'epoca (Sandro Botticelli, Domenico

Ghirlandaio, Filippino Lippi). Ancora per il Magnifico realizza l’Apollo e Dafni del

Louvre (Dafni inventore della zampogna e del canto bucolico morì d’amore per

Apollo=Lorenzo), nel quale l’ambiente neoplatonico della corte fiorentina insegue

la rinascita di arte, filosofia, poesia e bellezza in una visione nostalgica ed elitaria

dell’Antico.

FERRARA E GLI ESTE

PIENZA E ENEA SILVIO PICCOLOMINI ( Papa PIO II)

Addizione erculea: Per Ercole I d’Este Biagio Rossetti progetta un vero e proprio raddoppiamento della città secondo le leggi

dell’urbanistica moderna che si rifacevano a Vitruvio e all’antica Roma, per esaltare il prestigio della famiglia e della città.

Palazzo Schifanoia: (che schiva la noia) Costruito alla fine del ‘300 sull’esempio delle ville suburbane dell’antica Roma, nel

salone principale o dei Mesi sono rappresentate le personificazioni dei Mesi con segni zodiacali e allegorie con le attività

lavorative correlate. Tra gli artisti vi lavorò Francesco del Cossa che nel mese di Marzo↓descrive 5 contadini intenti a potare.

In provincia di Siena, è uno dei rarissimi progetti di città ideale del Rinascimento messi in pratica. Il suo progetto urbanistico, curato da Bernardo Rossellino per papa Pio II Piccolomini (che qui era nato), è una delle realizzazioni più significative del Quattrocento italiano. Il progetto riguardò la piazza con la cattedrale, le sedi del comune e del vescovo, il palazzo papale. Quest’ultimo ha il cortile centrale porticato della tradizione fiorentina e, originale, la parte posteriore aperta sul giardino con una loggia a 3 ordini che si affaccia sulla Val d’Orcia, un importante precedente per le successive ville suburbane cinquecentesche.

MANTOVA, I GONZAGA E ANDREA MANTEGNA

La Camera degli Sposi, chiamata nelle cronache antiche Camera picta ("camera dipinta"), è una stanza del Castello di Mantova celebre per il ciclo di affreschi che ricopre le sue pareti, capolavoro di Andrea Mantegna realizzato tra il 1465 e il 1474. Essa fungeva da sala delle udienze ( vi si trattavano affari pubblici) e camera da letto di rappresentanza, per le riunioni coi familiari. Mantegna studiò una decorazione ad affresco che investe tutte le pareti e le volte del soffitto adeguandosi ai limiti architettonici dell'ambiente, ma al tempo stesso sfondando illusionisticamente le pareti con la pittura, come se lo spazio fosse dilatato ben oltre i limiti fisici della stanza. Il tema generale è una celebrazione politico-dinastica dell'intera famiglia di Ludovico Gonzaga, con l'occasione dell'elezione a cardinale del figlio Francesco .

La formazione del Mantegna avvenne presso la bottega padovana dello

Squarcione, noto per la prestigiosa collezione archeologica della quale

facevano parte reperti di grande valore provenienti forse anche

direttamente dalla Grecia. Da tale esperienza, irrobustita dal

rinascimento fiorentino, Mantegna ricavò una speciale attenzione per

l’Antico. A Mantova costituì la sua galleria archeologica personale (il

pittore in compagnia degli amici faceva passeggiate archeologiche sul

Lago di Garda alla ricerca di classiche vestigia sparse lungo le rive): sopra

la porta centrale del cortile della casa compariva l'iscrizione AB OLYMPO.

La volta della Camera degli Sposi è un omaggio agli imperatori romani

(raffigurati secondo il gusto della medaglistica classica) e si apre verso il

cielo attraverso un oculo, apertura illusionistica del soffitto realizzata

con un'eccezionale applicazione della prospettiva capace di anticipare gli

spettacoli barocchi. Da una balconata si affacciano dei putti, delle

fanciulle e altre figure. Secondo alcuni studiosi Mantegna si sarebbe

ispirato a un testo retorico di Luciano di Samosata dedicato alla sala

ideale; secondo altri le presenze femminili dell'oculo sarebbero

un'esaltazione del prestigio dinastico mentre una terza ipotesi sottolinea

il legame con gli studi di Leon Battista Alberti sulla casa romana antica.

ANTONELLO DA MESSINA (1430-1479)

GIOVANNI BELLINI (1435-1516)

Fu il principale pittore siciliano del '400. Raggiunse il difficile equilibrio di fondere la luce, l'atmosfera e l'attenzione al

dettaglio della pittura fiamminga con la monumentalità e la spazialità razionale della scuola italiana. Secondo la

tradizione fu il primo pittore italiano ad usare la tecnica della pittura ad olio appresa dai fiamminghi, che permette di

stendere il colore in successive velature trasparenti, ottenendo effetti di precisione, morbidezza e luminosità impossibili

con la tempera. Fu a Venezia dove rivoluzionò la pittura locale, anticipando quella pittura tonale estremamente dolce e

umana che caratterizzò il Rinascimento veneto. I suoi ritratti sono celebri per vitalità e profondità psicologica. Sempre

dai fiamminghi derivò la tendenza a fare i ritratti a tre quarti, a differenza dei pittori italiani che, in quegli anni,

prediligevano il ritratto nettamente di profilo.

Giovanni Bellini è stato uno dei principali innovatori della pittura veneziana nella quale ha introdotto l’umanesimo

rinascimentale. Figlio del pittore Jacopo, insieme al fratello Gentile rappresentò la più importante famiglia di pittori di

Venezia, tra l’altro imparentata con Andrea Mantenga (che ne aveva sposato una sorella). Dal padre, che era stato allievo

di Gentile da Fabriano, discendono gli elementi stilistici tardo gotici, peraltro presenti in quasi tutta la pittura veneta del

tempo. Ad essi aggiunse il senso della spazialità rinascimentale appreso dal Mantenga e una nuova cultura pittorica in cui

il colore e la luce creano un effetto di spazialità nuovo rispetto alle architetture prospettiche della scuola fiorentina. Ora i

piani si staccano tra loro perché hanno un diverso grado di luminosità: figure chiare su sfondi scuri o viceversa, in modo

che l’occhio sia naturalmente portato a percepire ciò che è avanti o indietro per il semplice fatto che cambia il tono del

colore. Da questa svolta stilistica dell’arte di Giovanni Bellini ha inizio la grande pittura veneziana, una pittura fatta di

colore e di luce, che verrà poi proseguita da Giorgione e da Tiziano.

GLI STUDIOLI RINASCIMENTALI

Due tradizioni, quella degli "scriptoria" dei monaci o dei letterati, e quella delle stanze del tesoro dei principi, si

congiungono nello studiolo rinascimentale, dove la contemplazione di oggetti belli, preziosi o antichi, rigenera dalle fatiche e

dalle noie della vita attiva; mentre la rarità, l’antichità, il significato delle opere raccolte o commissionate dal mecenate

all'artista, contribuiscono a formare l'immagine pubblica del Signore. Lo studiolo era perciò solo in apparenza un luogo

privato, dovendo in realtà essere raggiungibile dai visitatori illustri.

Più o meno mal celato, alla base dello studiolo resta sempre quel pensiero etico-filosofico che intende ricondurre l’uomo a se

stesso e ad isolarlo dalle accecanti apparenze del mondo. C'è un lungo brano nel Trattato dell'Architettura del Filarete

(1464) che spiega il valore e il senso più intimo dello "studiolo" prendendo ad esempio Piero de' Medici a Firenze:

«Provando grandissima voluttà e piacere Piero guardava le immagini dipinte e scolpite di quanti imperadori e

d'huomini degni che stati sieno. Un altro dì guardava le sue gioie e pietre fini che meravigliosa quantità n'à e di grande

valuta e di varia ragione intagliate, e di quelle che no, siché in questo piglia piacere e diletto assai a riguardare e

ragionare delle virtù e stima di esse. L'altro dì poi di vasi d'oro e d'argento e di varie materie fatti, di degnia e grande

spesa, e si diletta lodando la dignità di essi e il magistero de' fabbricatori di essi ».

Lo studiolo di Federico da Montefeltro a Urbino è posto a conclusione di un percorso che dalla sfera pubblica

introduceva a quella privata. Il rivestimento ligneo a tarsie illusionistiche simula banchi e armadi con gli sportelli schiusi.

Progettato ed eseguito tra il 1470 e il 1476, lo studiolo di Federico denuncia uno stile che

risale alla pregiata bottega fiorentina di Botticelli, vera summa della cultura artistica

del tempo. Luogo simbolico per eccellenza del principe, conteneva soltanto un leggio

e un sedile. Esso assolveva, attraverso il sistema delle immagini (tarsie, dipinti su tavola,

marmi lavorati), il panegirico delle virtù del duca. L’ interno degli armadi conservava

oggetti tipici dello studioso: libri e strumenti per misurare, orologi a contrappeso, una sfera

armillare, un astrolabio, strumenti musicali, una gabbia per uccelli da compagnia.. Le tavole

dipinte da Giusto di Gand e da Pedro Berruguete rappresentavano il duca Federico con il figlio, nonché personaggi biblici e antichi,

filosofi, poeti, padri della Chiesa, scolastici e umanisti, fino a quel Vittorino da Feltre che nella Ca' Zoiosa di Mantova educò

all’umanesimo sia Ludovico Gonzaga che Federico.

Lo studiolo di Isabella d’Este a Mantova è l'unico noto allestito interamente da una donna famosa per intelligenza, cultura, gusto,

capacità di governo e di rapporti internazionali d'alto profilo. A Mantova Isabella sposa, sedicenne, Francesco Il Gonzaga. Nel

castello di San Giorgio allestì uno studiolo con i suoi libri e dipinti allegorici eseguiti da

Mantegna, Perugino, Lorenzo Costa, Correggio: tutto quanto concepito secondo un

programma iconografico che esprime il dibattito platonico tra Eros (l'amore che unisce) e

Anteros (l'amore ricambiato), con finale trionfo dell'amore celeste su quello terreno. Gli

oggetti della collezione erano dislocati nella sottostante grotta. Dopo la morte del marito, nel

1519, Isabella si trasferì a pianterreno di Corte Vecchia in Palazzo Ducale, dove fece

sistemare due ambienti da adibire a studiolo. Nello studiolo, con soffitto intagliato e

decorato in oro e azzurro (colori araldici degli Este), le pareti non accolgono più il ciclo

allegorico isabelliano, che fu venduto con la quasi totalità delle strabilianti collezioni gonzaghesche nel 1627. Nell’adiacente

grotta, foderata di armadi intarsiati, il soffitto intagliato reca al centro lo stemma di Isabella e nei riquadri il suo nome e alcune

delle sue "imprese".

Nello Studiolo di Francesco de Medici (1569-1574), in Palazzo Vecchio a Firenze, posto tra la stanza del tesoro di

famiglia e la camera da letto del principe, vi è l'apparato iconografico (pitture e bronzi) eseguito da Giorgio Vasari, dalla sua

scuola fiorentina e dal Giambologna. La decorazione vasariana è strettamente

collegata alla funzione del luogo «che ha da servire per un guardaroba di cose rare e

preziose, e per valute e per arte; comprendendo anche medicine preziose come balsami,

un corno dell'Unicorno e rimedi contro veleni, e simili cose». Tutto andava riposto

ordinatamente negli armadi, il cui contenuto era indicato dalle figure dipinte sugli

sportelli. La curiosità prescientifica per la natura, gli interessi tecnici e piuttosto

misteriosi per la forgiatura dei metalli, dei vetri e delle pietre coltivati da

Francesco de Medici, spiccano nello studiolo del principe mediceo dove

naturalia, mirabilia e artificialia facevano dello studiolo il punto d'incontro tra lo specchio del microcosmo e il gabinetto

scientifico.