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IL PUNTO Le notizie di LiberaUscita Dicembre 2012 - n° 102 SOMMARIO LE LETTERE DI AUGIAS 2575 - La demagogia in un paese analfabeta 2576 - Quando i principi offuscano le persone CHIESA E LAICITA’ 2577 - Scola, lo Stato laico e la libertà religiosa - di Vito Mancuso 2578 - Il Sindaco difende la tutela dei diritti civili - di Alessia Gallione 2579 - Laicità dello Stato non è nichilismo - di Gian Enrico Rusconi 2580 - I “cattolicisti”: quando la fede serve al potere - di Furio Colombo 2581 - La laicità del cardinale tra diritto e morale-di Nicola Colaianni 2582 - Cè Dio e dio, signor cardinale – di Paolo Bonetti 2583 - Se la Chiesa critica la neutralità dello Stato - di Stefano Rodotà

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IL PUNTOLe notizie di LiberaUscita

Dicembre 2012 - n° 102

SOMMARIO

LE LETTERE DI AUGIAS2575 - La demagogia in un paese analfabeta2576 - Quando i principi offuscano le persone

CHIESA E LAICITA’2577 - Scola, lo Stato laico e la libertà religiosa - di Vito Mancuso2578 - Il Sindaco difende la tutela dei diritti civili - di Alessia Gallione2579 - Laicità dello Stato non è nichilismo - di Gian Enrico Rusconi 2580 - I “cattolicisti”: quando la fede serve al potere - di Furio Colombo2581 - La laicità del cardinale tra diritto e morale-di Nicola Colaianni2582 - Cè Dio e dio, signor cardinale – di Paolo Bonetti2583 - Se la Chiesa critica la neutralità dello Stato - di Stefano Rodotà2584 - Il Papa contro unioni gay, aborto, eutanasia - di Giacomo Galeazzi2585 - La Chiesa omofoba di Ratzinger - di Pierfranco Pellizzetti2586 - Benedetto fa il razzista? di Walter Peruzzi 2587 - La pace del Papa comincia dall’omofobia - di Paolo Bonetti

ARTICOLI, COMUNICATI, INTERVISTE2588 - L’eutanasia che c’è già - di Alessandro Capriccioli2589 - IMU e Chiesa: la resa dello Stato - di Maria Mantello2590 - Rodotà: libertà e diritti non sono negoziabili - di Rossella Guadagnini2591 - Cattolici e Berlusconi: cambia il vento - di Marco Politi2592 - Chi difende la legge 40? - di Furio Colombo2593 - La spiritualità di chi non crede - di Enzo Bianchi2594 - Il cuore o la vita: il dilemma di Hack - di Ferdinando Camoon

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2595 - Nozze civili e nord - di Chiara Saraceno2596 - E’ l’ateismo la terza “religione” del mondo - di Angelo Aquaro2597 - Gli italiani e gli immigrati - di Furio Colombo 2598 - Una coppia su tre convive prima delle nozze - di Giovanni Valentini2599 - Che cosa c’è dietro la crisi dei matrimoni - di Luigi Cancrini2600 - Quale eguaglianza per quale libertà – di Graziella Sturaro

DAL TERRITORIO2601 - Regione Toscana: approvata mozione su omofobia e transfobia2602 - Prato: biotestamento, ci siamo quasi! 2603 - Imola: cittadinanza ai bambini nati in Italia - di Rachele Gonnelli 2604 - Reggio Emilia: verso il registro delle unioni civili 2605 - Firenze: il tribunale ritiene anticostituzionale la legge 40

DALL’ESTERO2606 - Irlanda: contestata la legge sul suicidio2607 - Massachusetts: la chiesa contro il suicidio assistito 2608 - G.B.: Tory favorevoli ai matrimoni gay - di Dino Messina2609 - Israele: suicida il padre che ha aiutato la figlia a morire2610 - OMS: linee guida sulle prostituzione, ma non per l'Italia…2611 - Francia: verso il diritto di morire con dignità- di Harvey Morris2612 - ONU: contro le mutilazioni genitali femminili (e commenti)2613 - Belgio verso l’estensione dell’eutanasia anche ai minori

PER SORRIDERE…2614 - Le vignette del Times – le acrobazie di Berlusconi2615 - Le vignette di ElleKappa – Monti e Berlusconi

LiberaUscita – associazione nazionale laica e apartitica per il diritto di morire con dignitàTel: 366.4539907 – Fax: 06.5127174 – email: [email protected] – web: www.liberauscita.it

2575 - LA DEMAGOGIA IN UN PAESE ANALFABETA - DI CORRADO AUGIAS da: la Repubblica di giovedì 13 dicembre 2012Caro Augias, sono un impiegato, 52 anni,Torino.

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Molti italiani considerano i beni comuni proprietà di nessuno, piccoli o grandi gesti d'inciviltà, rifiuti ovunque, spaccare o insozzare strade e palazzi. Tutto ciò ha un costo, nessuno se ne cura. La Costituzione viene vista come un insieme di diritti. Sbagliato. La Carta regola la convivenza tra cittadini che hanno anche dei doveri. Il lavoro di cui parla l'articolo 1, su cui si fonda la Repubblica italiana, è il «dovere di ogni cittadino di contribuire al benessere della società in cui vive». Abbiamo dimenticato che ognuno di noi ha prima di tutto doveri verso la società, poi vengono i diritti. Tutti, dal cittadino comune a chi ha l'incarico di governare.Tutto ciò va insegnato ai bambini, queste cose s'imparano al di sotto dei dieci anni. Insegnate più tardi s'imparano sì, ma sono spesso dimenticate. Scuola, istruzione e soprattutto civismo dovrebbe essere la priorità di qualsiasi governo. C'è uno spaventoso analfabetismo di ritorno. Il primo candidato che accennerà all'abolizione dell'Imu o di qualche altra tassa otterrà una valanga di voti. Marco Gambella - [email protected] Risponde Corrado AugiasAnima la lettera del signor Gambella un sincero spirito pedagogico. Un messaggio di questo tipo forse poteva venire solo da Torino. Vi ritrovo lo stesso spirito che si legge nelle pagine di 'Cuore' e non dimentico che quel grande romanzo (tradotto in tutto il mondo) voleva, sotto le lacrimucce e i perbenismi tardo-sabaudi, costruire sulla minuscola epopea di quei ragazzi il sentimento d'identità nazionale di cui l'Italia appena fatta (siamo nel 1886) aveva estremo bisogno. Sono passati centocinquant'anni e siamo ancora lì, più o meno.De Amicis era laico, aveva puntato tutto sull'educazione civica che anche il signor Gambella richiama, sulla fedeltà alla patria e al re. Da questa sua visione era escluso ogni riferimento di tipo religioso che è sempre stato l'altro strumento di pedagogia popolare, soprattutto in Italia. Anzi, il fatto che nell'anno scolastico di quei ragazzetti non sia mai citata una festività o un adempimento di tipo religioso suscitò !'irritazione delle gerarchie che non misero 'Cuore' tra i libri proibiti, ma ci andarono vicine. La scommessa tutta civile di De Amicis era insomma ad alto rischio e in quel momento venne persa. Forse un barlume d'identità condivisa lo suscitò la carneficina della Grande Guerra se si può giudicare dall'immensa ondata di commozione che accompagnò il trasporto a Roma del Milite Ignoto. Il signor Gambella ha ragione a reclamarne ora l'insegnamento. Non è facile però trasmettere il senso dei doveri che significa in primis il rispetto degli altri. Adottare questo tipo di pedagogia senza trasformarlo in un giulebbe è difficilissimo. Bisogna saperlo fare, bisognerebbe crederci.

2576 - QUANDO I PRINCIPI OFFUSCANO LE PERSONE - DI CORRADO AUGIASda: la Repubblica di domenica 16 dicembre 2012 Caro Augias, quest'anno nonostante io sia cattolico praticante non mi recherò in chiesa per la funzione di Natale. Nella giornata mondiale della pace il Santo Padre ha creduto bene di identificare le persone omosessuali come uno dei mali che affligge e mina la pace nel mondo. Mi chiedo sempre se Dio abbia deciso di creare le persone omosessuali per perseguitarle da 2mila anni e vederle soffrire; soprattutto mi chiedo come mai il leader di una confessione religiosa così importante predichi da anni odio e intolleranza verso una parte dell'umanità colpevole del proprio modo di volersi bene senza far male a nessuno. Ma possibile che Cristo sia morto invano? Non era morto per tutti? I gay sono stati esclusi? O prima di spirare ha specificato muoio per l'umanità ma non per i gay che minano la pace del mondo? Mi chiedo anche come mai un Pontefice debba sempre e solo concentrarsi sui problemi inerenti l'affettività e sessualità delle anime. Possibile che non esista altro argomento

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penoso per la nostra umanità? Il Papa come vorrebbe risolvere il problema universale delle persone omosessuali? Negandone la presenza? Eliminandole?Francesco Gardillo - [email protected] Corrado AugiasLe critiche alle parole del pontefice romano sono state numerose e analoghe a quelle di altre numerose precedenti occasioni. Legare la giornata della pace a una ripetuta condanna dell'omosessualità è parso a molti fuori luogo. Riprendo in questo commento alcune considerazioni contenute nel saggio, appena uscito, di Umberto Galimberti Cristianesimo (Feltrinelli). Smarrite le ultime tracce del sacro, argomenta il filosofo, il cristianesimo ha ridotto la questione religiosa a questione morale. Ma che bisogno ci sarebbe di Dio, chiede, se il suo giudizio fosse leggibile nelle norme della morale che ogni comunità può elaborare da sé? Quando la fede si fa forte invocando la ragione vuol dire che non ha più sufficiente fiducia in se stessa. E inoltre: se io invoco una serie di principi per regolare la vita degli uomini perdo di vista il vangelo. Gesù non ha mai parlato per principi, invece ha sempre guardato alle persone. Non la prostituzione ma la prostituta. Per perdonarla. Quando il cristianesimo lascia stare i principi e torna al messaggio di Gesù, di fa cioè attento alle persone, ecco spuntare uomini come papa Giovanni XXIII o il cardinale Martini o i tanti preti che vivono ogni giorno la misericordia a contatto con gli ultimi della terra. La tesi di Galimberti secondo la quale il cristianesimo non è più in grado di concepire la "sacralità" può ovviamente essere negata; resta comunque degna di attenzione e andrebbe discussa. L'incapacità di rispondere elaborando una teologia finalmente adeguata ai tempi conferma implicitamente la sua validità.Commento: forse non è il cristianesimo a non essere più in grado di concepire la “sacralità”, ma l’uomo che lo rappresenta in terra (gs).

2577 - SCOLA, LO STATO LAICO E LA LIBERTÀ RELIGIOSA - DI VITO MANCUSOda: la Repubblica di venerdì 7 dicembre 2012 È tradizione che i discorsi tenuti il giorno di Sant’Ambrogio dagli arcivescovi di Milano siano caratterizzati da una profonda attenzione all’attualità sociale e politica. È il caso anche del discorso tenuto ieri a Milano da Angelo Scola, nel quale il cardinale è giunto a pronunciare parole molto pesanti. Parole a mio avviso poco fondate, su un tema di straordinaria delicatezza quale quello della laicità e della aconfessionalità dello Stato.Scola è partito da molto lontano, dall’anno 313, visto che l’anno prossimo saranno 1700 anni da quell’Editto di Milano con cui Costantino e Licinio posero fine alle persecuzioni contro i cristiani. Scola non esita a celebrare tale editto come “l’atto di nascita della libertà religiosa”. È doveroso chiedersi per chi tale libertà nacque, e la risposta corretta è per i cristiani, i quali, da perseguitati sotto alcuni imperatori romani (in particolare Decio, Valeriano e Diocleziano) iniziarono a godere libertà di culto e poterono professare pubblicamente la loro religione. Ma alla loro libertà non seguì la libertà di altri. Io penso quindi che non sia corretto da parte di Scola elogiare così tanto l’Editto di Milano senza neppure ricordare l’Editto di Tessalonica dell’imperatore Teodosio del 380 con cui si toglieva la libertà di religione ai pagani, cui seguirono tra il 391 e il 392 i Decreti teodosiani che mettevano al bando ogni forma di sacrificio pagano, anche in forma privata, compresi i culti dei lari e dei penati che da secoli gli abitanti della penisola italica praticavano nelle loro case. È vero che Scola scrive che l’Editto di Milano fu un “inizio mancato”, ma non si può sorvolare in questo modo così leggero su secoli e secoli di sanguinosa intolleranza cattolica, generata da tale editto e dal matrimonio con il potere imperiale che esso comportava. La cosa era del tutto chiara già a Dante Alighieri: “Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, non la tua conversion, ma quella dote che da te prese il primo ricco patre!”

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(Inferno XIX, 115-117), laddove tra i mali procurati dall’alleanza con il potere politico oltre alla corruzione della Chiesa vi sono le sanguinose persecuzioni contro ogni forma diversa di religione, in particolare contro i catari, i valdesi, gli ebrei.La storia insegna che si dà libertà religiosa solo nella misura in cui lo Stato non si lega a nessuna religione particolare, solo se si pone di fronte ai suoi cittadini con l’intenzione di rispettare tutti, minoranze comprese, solo se pratica quella forma di neutralità così esplicitamente criticata dal cardinal Scola nel suo discorso di ieri. Per Scola infatti occorre “ripensare il tema della aconfessionalità dello Stato”, facendo in modo che lo Stato passi da una visione pluralista a una visione culturalmente in grado di sostenere le “dimensioni costitutive dell’esperienza religiosa: la nascita, il matrimonio, la generazione, l’educazione, la morte”: insomma i cosiddetti valori non negoziabili tanto cari a Benedetto XVI, cioè vita, scuola, famiglia, da intendersi alla maniera del Magistero cattolico attuale (che non è detto coincida con il vero senso del cristianesimo).Prova ne sia proprio il tema della libertà religiosa, la quale, se è giunta a essere un patrimonio della dottrina sociale della Chiesa, è solo grazie alla lotta in favore dei diritti umani da parte della laicità illuminista. La libertà religiosa è stato il dono della laicità al cristianesimo. Senza lo Stato laico, senza la sua volontà di rispettare le minoranze come quelle dei valdesi e degli ebrei dando loro gli stessi diritti della maggioranza cattolica, la Chiesa non sarebbe mai giunta al documento Dignitatis humanae del Vaticano II che apre finalmente la gerarchia cattolica alla libertà religiosa, dopo ben 1573 anni (distanza temporale tra la Dignitatis humanae del 1965 e l’ultimo decreto di Teodosio del 392)! Per rendersene conto è sufficiente leggere i documenti pontifici che durante la modernità condannavano aspramente la lotta dei laici e di alcuni teologi a favore della libertà religiosa, come per esempio le parole di Gregorio XVI che nel 1832 bollava la libertà religiosa come deliramentum o le parole di Pio IX nel 1870 o quelle di Leone XIII nel 1888.Scola ha ragione nel dire che “il nostro è un tempo che domanda una nuova, larga cultura del sociale e del politico”. Ma questa larghezza della mente e dell’anima dovrebbe riguardare davvero tutti, anche la Chiesa cattolica, la quale non può limitarsi a rimpiangere Costantino e Teodosio e magari a cercare candidati politici che ne ricalchino le orme.

2578 - IL SINDACO DIFENDE LA TUTELA DEI DIRITTI CIVILI- DI ALESSIA GALLIONEda: la Repubblica di venerdì 7 dicembre 2012Milano — Accogliendo il Papa in città la scorsa estate, Giuliano Pisapia rivendicò l’autonomia delle decisioni della politica. «Ed è quello che continuerò a fare», dice il sindaco. Che aggiunge: «È giusto confrontarsi e riflettere, ma io non penso di possedere la verità e chiedo che, anche chi è profondamente credente, non ritenga di avere la verità assoluta. Lo dico soprattutto per quelle scelte individuali che riguardano la propria vita, anche se questo non deve limitare i diritti altrui».Crede, come sostiene Scola, che la laicità dello Stato sia una minaccia per la libertà religiosa?«Il suo discorso sarà per me motivo di riflessione, ma non mi convince la sua posizione negativa sulla “neutralità” dello Stato. Forse bisogna intendersi sul concetto di neutralità: lo Stato non deve essere confessionale, ma deve fare di tutto per rendere effettivo il principio costituzionale della libertà di professare liberamente la propria fede, serve una equidistanza tra tutte le religioni. Il diritto di professare il proprio credo non deve portare a discriminazioni né privilegiare una religione anche se maggioritaria. In Italia, dobbiamo fare ancora molti passi in avanti ed è per questo che, a Milano, stiamo lavorando per dare vita a un albo delle associazioni e organizzazioni religiose che permetta a tutti di avere gli spazi adeguati per potersi riunire».

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La laicità alla francese sarebbe davvero un male?«Credo che la laicità dello Stato sia un dovere, ma uno Stato profondamente laico deve dare a ognuno la possibilità di esprimere i propri valori e la propria fede».Milano ha istituito il registro delle coppie di fatto e potrebbe avviare quello di fine vita. Si è sentito chiamato in causa da Scola?«No, assolutamente. Proprio l’equivicinanza alle religioni comporta che bisogna garantire a tutti, anche ai non credenti, la possibilità di esercitare i propri diritti senza essere discriminati. Il cardinale dice che la libertà religiosa “è ai primi posti nella scala dei diritti”. Io dico che tutti i diritti sono al primo posto nella scala dei valori. Milano continuerà sulla strada dei diritti civili, con la profonda convinzione che non solo non contrasta con la libertà religiosa, ma la rafforza».Non teme un rapporto conflittuale con la Curia?«In realtà, no. Quando il Comune ha preso decisioni non condivise dalla Curia, ci sono state comprensibili e legittime prese di posizioni, ma nessun tentativo di bloccare scelte democratiche. Sono molto fiducioso che il confronto e il dialogo continueranno, pur nelle reciproche diversità. Forse, chi crede in una religione — qualunque essa sia — è convinto che quella sia la verità. La differenza, per quanto mi riguarda, è che su certi temi mi pongo sempre il dubbio sulla base della realtà e non di un’indicazione che viene dall’alto. C’è però un passaggio del discorso che condivido pienamente ».Quale?«È quello che mette in relazione la libertà religiosa e la pace sociale. Il dialogo e la comprensione tra diverse confessione favoriscono la pace dentro una comunità e tra le diverse comunità. Questa coesione sociale, anche tra fedi e culture diverse, è un obiettivo a cui tutti dovrebbero puntare, ma che alcune forze politiche purtroppo non auspicano».

2579 - LAICITÀ DELLO STATO NON È NICHILISMO - DI GIAN ENRICO RUSCONI da: la Stampa – di venerdì 7 dicembre 2012Il discorso alla città di Milano pronunciato ieri sera dal cardinal Scola in occasione di Sant’Ambrogio contiene alcuni passaggi cruciali sul tema dello Stato laico che sono sorprendenti per l’atteggiamento che li sottende, per il tono, prima ancora che per alcuni loro contenuti. C’è diffidenza, sfiducia, allarme di fronte a una presunta involuzione della laicità nello Stato, che si configurerebbe addirittura come minaccia alla libertà della coscienza religiosa. L’ assunto da cui parte il discorso del cardinale è la centralità della «società civile», «la cui precedenza lo Stato deve sempre rispettare, limitandosi a governarla e non pretendendo di gestirla».Questa affermazione sarebbe anche condivisibile (nessuno infatti vuole uno Stato etico) se non contenesse un fraintendimento. Non è chiaro, infatti, che cosa significa che lo Stato deve «limitarsi a governare la società civile» senza «pretendere di gestirla». Definire le leggi, le norme di comportamento vincolanti per tutti i cittadini - tramite un dibattito pubblico e costituzionale che tiene presente l’intera «società civile» in tutta la sua complessità - è una «gestione» intrusiva della società?Proprio su questo punto invece il card. Scola usa parole pesanti: «Sotto una parvenza di neutralità e oggettività delle leggi, si cela e si diffonde una cultura fortemente connotata da una visione secolarizzata dell’uomo e del mondo, priva di apertura al trascendente. In una società plurale essa è in se stessa legittima ma solo come una tra le altre. Se però lo Stato la fa propria finisce inevitabilmente per limitare la libertà religiosa».Innanzitutto non si capisce come una legislazione neutrale rispetto ai valori religiosi impedisca, a coloro che lo desiderano, di condurre la propria vita e operare le proprie scelte sulla base di quei valori. Salvo garantire che si tratti di scelte effettivamente libere e non di imposizioni familiari o comunitarie.

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Inoltre a quale Stato in concreto si riferisce il cardinale? Certo non al nostro Paese con la sua legislazione sull’insegnamento della religione nelle scuole, con la normativa sui simboli religiosi negli spazi pubblici, sul sostegno indiretto alle scuole confessionali, sulla forte (e formalmente legittima) influenza della Chiesa sulla problematica bioetica - per non parlare della deferenza pubblica e dei partiti politici verso la Chiesa.Non mi è chiaro quali altri spazi possa aprire uno Stato laico «in cui ciascun soggetto personale e sociale possa portare il proprio contributo all’edificazione del bene comune». Non a caso sono i laici spesso a non vedere riconosciuti i propri come «valori» (ma sempre come apertura al peggio) e la legittimità delle proprie opzioni.E’ deplorevole che la laicità dello Stato sia identificata tout court con una idea di secolarizzazione che sconfina di fatto con il nichilismo. Se c’è uno spazio che dovrebbe essere aperto è il confronto pubblico competente e leale sui valori positivi della laicità, che sono l’unica garanzia della libertà di coscienza.

2580 - I “CATTOLICISTI”: QUANDO LA FEDE SERVE AL POTERE - DI F. COLOMBOda: il Fatto di domenica 9 dicembre 2012Discorso storico del cardinale di Milano su un evento che sconvolge il mondo. Il Prelato annuncia che lo Stato minaccia Dio. Quale Stato? Ma qualunque Stato laico, inclusi gli Stati Uniti di Obama. Non una parola sugli Stati in cui vige la Sharia, ovvero una religione, quella islamica, come legge civile e penale. Non una parola sulla bambina Malala, che è stata quasi uccisa in Pakistan (Paese che ha molti problemi ma che trabocca di Dio, nel senso di Scola) per avere sostenuto il diritto delle bambine ad andare a scuola, diritto negato – secondo gli Scola locali – dal Dio di quel Paese. Noto che il cardinale di Milano dichiara subito che “la laicità dello Stato minaccia la libertà religiosa”. Usa la stessa parola (inspiegabile, dal punto di vista logico) che i cattolici estremisti usano per condannare le coppie di fatto, come se fossero un pericolo per le altre famiglie. Mi riferisco a un “discorso alla città di Milano” nella ricorrenza dell'Editto di Costantino (312 d. C.) interpretato come l'inizio della libertà del culto cristiano (che invece apre il percorso ad altri editti che porteranno al più violento e rigido divieto di ogni altra pratica religiosa che non sia il cristianesimo.Userò, come interprete delle parole di Scola, il teologo Vito Mancuso: “Per Scola occorre ripensare una visione culturalmente in grado di sostenere i cosiddetti valori non negoziabili cari a Benedetto XVI, cioè vita, scuola, famiglia, da intendersi alla maniera del magistero cattolico attuale, che non è detto che coincida con il vero senso del cristianesimo” (Repubblica, 7 dicembre 2012). L'ultima frase di questa citazione di Mancuso è confermata e illustrata da un libro di Carlo Casini (Movimento per la vita) dal curioso titolo “Non li dimentichiamo. Viaggio fra i bambini non nati”. Non è un libro di fantascienza o un thriller alla Stephen King. ma un testo di presunta ortodossia cattolica. Interessante, infatti, notare che l'autore del libro cerca prove e sostegni per l’“identità giuridica” di embrioni e feti non dalla teologia cristiana (non ne troverebbe) ma in una personale interpretazione della Convenzione Onu sui diritti dell'Infanzia. Ecco il marchingegno: la Carta, ovviamente protegge non solo i bambini nati ma anche le mamme incinte. Carlo Casini pensa che ciò significhi che l'Onu funziona e agisce nel vasto territorio non solo dei non ancora nati, ma dei mai nati e dell'universo non identificabile degli embrioni. Ed esclude del tutto dalla sua interpretazione della Carta dell'Onu ogni protezione del diritto delle donne alla tutela del proprio corpo e delle possibilità di sopravvivenza.Come si vede, il cardinale Scola, nella solenne occasione del discorso di Milano, si muove con le stesse parole e allo stesso livello del libro inventato alla svelta per l'occasione dal

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Movimento per la vita, ovvero fuori dalla storia, fuori dalle leggi dei Paesi democratici e fuori dalla Costituzione Italiana. Vito Mancuso ci dice che tutto ciò avviene anche fuori “dal vero senso del cristianesimo”. Credere o non credere è la grande scelta privata e individuale. Ma resta lo stupore e l'imbarazzo per ciò che Scola ha detto come capo della Chiesa di Milano. Ha detto che “lo scontro non è tra fede e istituzioni civili. Le divisioni più profonde sono quelle fra cultura secolarista e fenomeno religioso e non, come spesso erroneamente si pensa, tra credenti di fedi diverse. “Infatti – aggiunge – sotto una parvenza di neutralità e oggettività delle leggi, si cela e si diffonde una cultura priva di apertura al trascendente”. La frase è arrischiata, perché il solo sistema giuridico fondato sulla trascendenza – nel senso detto e pensato dal Vescovo di Milano – è la legge detta Sharia, un’ortodossia cieca che si avvinghia alla politica, intende dominarla, e tormenta alcuni Paesi islamici bloccando ogni passaggio ai diritti umani e civili.In che modo l'apertura obbligatoria alla trascendenza, invocata dal Cardinale Scola per le istituzioni pubbliche italiane, sarebbe diversa dalla imposizione paleo-islamica contro cui tante donne e uomini di molti Paesi islamici si battono? Coloro che si oppongono, nella vita e nella cultura italiana, al fondamentalismo ormai ufficiale della Chiesa romana, sono definiti, come è noto, “laicisti”. La parola descrive in modo sprezzante una categoria culturale e politica inferiore (“laici” sono coloro che accettano gentilmente che il cadavere di Welby venga lasciato fuori dalle porte chiuse di una chiesa e privato del funerale della sua fede) a cui non si deve prestare alcuna attenzione. Si usi allora, per chiarezza nei confronti dei credenti, la parola “cattolicista” per definire tutti coloro, cardinali e no, che usano la religione e la fede come strumento per governare. È storia italiana da decenni. Dovunque si veda o si creda di vedere una promessa di protezione della gerarchia ecclesiastica per un partito o per un potere, subito si raccoglie una folla di cattolicisti, travestiti da fervidi credenti e impegnati a cercare e affermare le loro radici cristiane mentre lasciano morire a migliaia gli immigrati in mare.Ecco dunque il vero punto di scontro evocato dal Cardinale Scola. Il Vescovo di Milano include tra i veri nemici della trascendenza il presidente americano Obama che vuole estendere il diritto alle cure mediche gratuite anche alle donne in caso di aborto. Alcuni giorni fa un padre gesuita che stava ascoltando questi miei argomenti in un incontro pubblico, mi ha dato la frase giusta per concludere: “Ricordi, però, che la Chiesa non sono soltanto i cardinali”.

2581-LA LAICITÀ DEL CARDINALE TRA DIRITTO E MORALE-DI NICOLA COLAIANNIda: l’Unità di lunedì 10 dicembre 2012Nel suo discorso ambrosiano il cardinale Angelo Scola ha posto questioni non facili, meritevoli di risposte non disinvolte. Lo ha fatto senza il lessico integralistico dei «valori non negoziabili» e del «relativismo». Lo stesso modello francese di laicità lo ha criticato a fondo in nome non di una «sana» laicità ma del rispetto della natura plurale della società. Una buona base di dialogo, questa sulla critica di una laicità valore a se stante, ostile agli altri valori, al punto da apparire a sua volta (pensiamo alla legge che vieta di portare in pubblico il velo o altri segni religiosi) una «religione» escludente il Dio degli altri.Tuttavia, questa «idea dell’in-differenza» delle istituzioni statuali rispetto al fenomeno religioso non appartiene al principio supremo di laicità, da anni (dal 1989) elaborato dalla nostra Corte costituzionale. Esso, infatti, «implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale». Se guardiamo all’Italia, quindi, il discorso non è plausibile e si misura piuttosto con una categoria ideologica: quella di uno Stato come potere sovrano precostituito alla

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Costituzione, capace di «gestire la società civile» su momenti fondamentali dell’esperienza umana (la nascita, il matrimonio, la generazione, l’educazione, la morte). I mutamenti su tali questioni di vita e di morte, di famiglia e di educazione, nascono in realtà nella società civile, e non da procedure decisionali tendenti ad «autogiustificarsi in maniera incondizionata». Esse, invero, sono condizionate proprio dalla Costituzione, nella quale confluiscono e si intrecciano pluralisticamente le aspirazioni e gli interessi di tutti: credenti (ma anche non credenti, o diversamente credenti) compresi.Nella a-storica visione di uno Stato senza Costituzione, che caratterizza il discorso di Scola, non viene avvertito il fenomeno, per dirla con il compianto Roberto Ruffilli, della «perdita del centro» nello Stato costituzionale di diritto. Ne consegue una sopravvalutazione della politica: di nuovo centralistica, assolutistica, onnipotente: speculare, in fondo, a quella che domina la contrastata laicità alla francese. Non vi si trova quella tensione tra contemplazione e politica, che infatti al cardinal Martini sembrava avvolta in questo tempo da una fitta nebbia. Per esempio, si cita «il dovere e quindi il diritto di cercare la verità», di cui parla il Concilio, per affermare che lo Stato non deve porre a suo fondamento la scelta pur legittima «di quanti non soddisfano l’obbligo di cercare la verità per aderirvi». Certamente è così: ma neppure lo Stato può porre a fondamento la scelta di quanti soddisfano quell’obbligo (tale per i credenti). Il diritto di libertà religiosa si risolverebbe, altrimenti, nel dovere di ricerca della verità. Senonché diritto e dovere appartengono a sistemi normativi diversi.Il primo è indubbiamente un diritto positivo, costituzionalmente riconosciuto, il secondo è un dovere non giuridico ma morale, esigibile (come, del resto, anche la Dignitatis humanae afferma nel passo citato) nell’ordine spirituale. Immedesimare quel diritto e quel dovere nell’ordine temporale significa confondere due sistemi normativi, il diritto e la morale, con la conseguenza o di retrocedere il diritto positivo a diritto morale o di innalzare l’obbligo morale ad obbligo giuridico.Il discorso del cardinale Scola ha il merito di contribuire autorevolmente alla formazione di un dibattito non scontato sulla laicità, ma a partire da una visione in fondo pessimistica sul contrasto tra cultura secolarista e fenomeno religioso, che certamente non rende i tanti contatti provocati dal camminare insieme. Ne è prova proprio il costituzionalismo, come processo di positivizzazione delle esigenze di giustizia e di rispetto della dignità umana. Questo principio conciliare si trova già nella Costituzione italiana (e in altre, dalla Germania alla Spagna, oltre che nella giurisprudenza europea, a partire dalla sentenza Omega del 2004), dove attraversa tutti i diritti fondamentali: parametro della retribuzione del lavoratore e della sua famiglia, limite della pur libera iniziativa economica. A dimostrazione, per dirla appunto con la Dignitatis humanae, che «si fanno sempre più stretti i rapporti fra gli esseri umani di cultura e religione diverse».

2582 - CÈ DIO E DIO, SIGNOR CARDINALE – DI PAOLO BONETTIda: www.criticaliberale.it di domenica 9 dicembre 2012Il cardinale Scola, arcivescovo di Milano, nel giorno di Sant’Ambrogio ha pronunciato, nella basilica dedicata all’antico vescovo della città, un discorso in cui si è lamentato, ancora una volta, della cattiva laicità (quella alla francese, ha detto il cardinale) che esclude Dio dalla vita dello Stato, mentre ha rivendicato per sé e per la sua chiesa la laicità buona, quella che esclude ogni forma di confessionalismo, ma fa valere anche i diritti di Dio nelle istituzioni e nella legislazione. Eminenza reverendissima, scusi l’impertinenza, ma di quale Dio sta ella parlando? Quello che io amo scrivere con la maiuscola, perché è il padre comune che non distingue i suoi figli in base alle loro appartenenze civili e religiose, ai loro convincimenti morali e politici o magari ai loro orientamenti sessuali, oppure si tratta di quel dio che preferisco scrivere con la minuscola, perché è un dio cattolico-corporativo che si preoccupa di

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garantire sempre meglio i privilegi della chiesa di Roma e di sostenere attivamente i suoi pregiudizi morali, discriminando, emarginando, negando fondamentali diritti umani a tutti coloro i cui valori non coincidono con quelli difesi dalla chiesa stessa?Insomma, cerchiamo di capirci eminenza, si tratta del Dio maiuscolo di Piergiorgio Welby che muore senza rinnegare la sua fede, ma rivendicando il suo diritto di porre fine alla sua esistenza quando ritiene di avere esaurito il suo compito in questo mondo e che la sua sofferenza sia ormai inutile, o del dio minuscolo, anzi minimo, del senatore Quagliariello (uno dei tanti che, fedeli alla chiesa di Roma, pensano a dio come a un commissario di pubblica sicurezza) che dà dell’assassino a Beppino Englaro, per aver rivendicato il diritto della figlia di non prolungare una vita che non era più vita? Poiché il dio di cui le parla dovrebbe dare sostegno morale allo Stato liberale e a una società pluralista, questo dio è il Dio di Cavour e di De Gasperi, o è il dio di Comunione e Liberazione e di Formigoni? Eminenza reverendissima, personalmente non nego che la nostra società così ferocemente divisa fra farisei compiaciuti di sé e dei propri privilegi e poveri Cristi che chiedono di veder riconosciuta nelle leggi e nei fatti la loro dignità e non semplicemente nei vuoti proclami delle encicliche papali, avrebbe bisogno di un maggiore sentimento religioso della vita, di una maggiore fraternità civile o, se preferisce, di una maggiore carità. Ma di un dio che rivendica, mediante la legge civile, sempre nuovi privilegi per la sua chiesa a danno di altri uomini che dovrebbero essere ugualmente suoi figli, di questo dio semplice sindacalista del sacro vaticanesco lo Stato laico e liberale non ha alcun bisogno.

2583 - SE LA CHIESA CRITICA LA NEUTRALITÀ DELLO STATO - DI S. RODOTÀda: la Repubblica di giovedì 13 dicembre 2012Alla vigilia di un anniversario simbolico, i millesettecento anni dell’Editto di Costantino, il cardinale di Milano ha mosso una critica radicale alla laicità dello Stato, rivendicando l’assoluto primato della libertà religiosa e sottolineando i rischi che essa corre nel tempo che viviamo. Lo ha fatto costruendo un modello di comodo, di cui Vito Mancuso ha bene messo in luce le omissioni poiché, tra l’altro, non si fa parola delle persecuzioni alle quali proprio i cristiani sottoposero i fedeli di altre religioni. Quell’“inizio della libertà dell’uomo moderno”, che l’Editto di Costantino avrebbe aperto, in realtà ha avuto altri inizi e altre traiettorie. Si dovrà attendere il Rinascimento, con la sua esclamazione “magnum miraculum est homo”. Si dovrà attendere l’affermazione piena della libertà che trovò la sua tavola nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, vero concilio laico quasi due secoli prima del Vaticano II, che aprì le vie per la libertà di tutti. Se oggi vogliamo discutere di laicità, non possiamo ignorare tutto questo, né rifugiarci in una visione caricaturale della laicità attribuita al suo modello francese. Viene da chiedersi la ragione di un riduzionismo così poco accorto da parte di un prelato non sprovvisto di cultura e visione storica. Un interrogativo che merita qualche riflessione, proprio perché oggi il principio di laicità dello Stato si confronta con un nuovo bisogno di sacro che percorre le nostre società e, insieme, si presenta come ineludibile punto di riferimento di fronte alla “nuova intolleranza religiosa” (è il titolo dell’ultimo libro di Martha Nussbaum). Se questo è un itinerario per individuare equilibri adeguati tra religione e Stato, il cammino indicato da Angelo Scola non è certo quello che consente una discussione utile.Come viene rinverdita la critica alla secolarizzazione? Partendo da due premesse. Dice Scola: «se la libertà religiosa non diviene libertà realizzata posta in cima alla scala dei diritti fondamentali, tutta la scala crolla». E aggiunge: «fino a qualche decennio fa si faceva riferimento sostanziale ed esplicito a strutture antropologiche generalmente riconosciute,

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almeno in senso lato, come dimensioni costitutive dell’esperienza religiosa: la nascita, il matrimonio, la generazione, l’educazione, la morte».Il primato della libertà religiosa individua così una forma di Stato che nel fattore religioso trova l’unica legittimazione possibile. Questo vuol dire che lo Stato non può essere individuato come spazio di convivenza di opinioni e credenze diverse, secondo la versione che la laicità è venuta assumendo, con l’abbandono una laicità puramente “oppositiva” nei confronti della religione.E, parlando di strutture antropologiche, in realtà ci si riferisce ai molti no che la Chiesa ha pronunciato: no alla procreazione assistita; no al riconoscimento giuridico di forme di convivenza diverse dal matrimonio eterosessuale; no alla scuola pubblica come struttura essenziale per la conoscenza e l’accettazione dell’altro; no al testamento biologico.In queste posizioni vi è più che una ripulsa della laicità. Vi è la negazione della libertà della coscienza e l’affermazione che la definizione dell’antropologia del genere umano è prerogativa della religione. Non siamo di fronte a una discussione dei temi complessi della secolarizzazione, ma al programma di una restaurazione impossibile, dunque destinato non a promuovere dialogo, ma conflitti intorno alla ritornante affermazione di valori “non negoziabili”.A proposito di antropologia, vale la pena di ricordare la critica di Zygmut Bauman alla tesi secondo la quale, nella fase premoderna, fosse la religione a dare senso alla vita. È dunque una acquisizione storica e culturale quella che riguarda la forte presa della religione cattolica sui temi dell’etica, non un dato indissolubilmente legato al fattore religioso. Con il trascorrere del tempo, quel legame è stato sciolto grazie all’ampliarsi della riflessione etica e al sorgere di una nuova antropologia, prodotta dalla rivoluzione scientifica e tecnologica. Contro questa antropologia si leva la difesa della “natura” impugnata da un fondamentalismo religioso che mostra non tanto una attitudine antiscientifica, quanto piuttosto una incapacità di comprendere le nuove dimensioni del mondo e dell’umanità. È proprio il pensiero laico, invece, a forgiare gli strumenti perché non ci si arrenda ad una deriva tecnologica, con la sua capacità di garantire l’umano attraverso i principi di eguaglianza e dignità, di autodeterminazione della persona.Non è vero, peraltro, che la dimensione istituzionale sia posseduta soltanto da un riconoscimento della libertà religiosa come fatto squisitamente individuale. L’articolo 10 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea afferma che alle persone appartiene la «libertà di manifestare la propria religione individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato». La piena laicità di questa affermazione consiste nel fatto che non siamo di fronte a un privilegio o ad una supremazia, ma ad una libertà che si misura con tutte le altre. L’opposto della ricostruzione del cardinale Scola della laicità come imposizione di un unico punto di vista, mentre essa è un metodo che permette a tutti i punti di vista di convivere in modo fecondo, offrendo proprio alla religione la più civile delle garanzie.

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2584 - IL PAPA CONTRO UNIONI GAY, ABORTO, EUTANASIA - DI G. GALEAZZIda: la Stampa di sabato 15 dicembre 2012Per Benedetto XVI le nozze gay sono una ferita alla pace. Il Pontefice considera i tentativi di rendere il matrimonio «fra un uomo e una donna equivalente a forme radicalmente diverse di unione, un’offesa contro la verità» e lancia un appello per giustizia sociale e diritti fondamentali, primo fra tutti quello al lavoro.Insomma il Papa ribadisce a chiare lettere e con toni inequivocabili il no della Chiesa alle nozze tra persone dello stesso sesso e subito esplode la protesta delle associazioni omosex e di quella parte della società civile che non tollera la netta riproposizione dei principi cattolici «non negoziabili».Oltre a stigmatizzare i danni di un modello di sviluppo selvaggio fondato su profitto e consumo e a chiedere «politiche coraggiose» per dare lavoro a tutti, Benedetto XVI si scaglia anche contro gli attacchi alla vita umana e al luogo del suo concepimento naturale. L’implicito riferimento del Papa alle nozze gay non poteva non scatenare un vespaio di reazioni. Per Paola Concia (Pd), Ratzinger «va contro il messaggio cristiano». Secondo l’Arcigay «arma gli omofobi di ogni Paese». Per Franco Grillini, «va contro la maggioranza dell’opinione pubblica occidentale». Per Paolo Ferrero (Prc), ha pronunciato «un anatema barbarico, incivile».Nichi Vendola parla di «fuga dal dialogo, dall’ascolto, dal confronto»; Riccardo Nencini (Psi), di «parole da Santa Inquisizione, che minano la pace e i diritti fondamentali dell’uomo». Nessuna replica dal candidato premier del centrosinistra, Pier Luigi Bersani che 4 mesi fa era stato tranchant («Noi le unioni gay le facciamo, gli altri si regolino»). La presa di posizione del Papa non lascia margini di interpretazione. «Via di realizzazione del bene comune e della pace - scrive Benedetto XVI- è anzitutto il rispetto per la vita umana, considerata nella molteplicità dei suoi aspetti, a cominciare dal suo concepimento, nel suo svilupparsi, e sino alla sua fine naturale». Chi sostiene «la liberalizzazione dell’aborto» persegue «una pace illusoria». La «fuga dalle responsabilità», e tanto più «l’uccisione di un essere inerme e innocente», «non potranno mai produrre felicità o pace». «Come si può, infatti - incalza il Papa - pensare di realizzare la pace, lo sviluppo integrale dei popoli o la stessa salvaguardia dell’ambiente, senza che sia tutelato il diritto alla vita dei più deboli, a cominciare dai nascituri? ». Ed inoltre «nemmeno è giusto codificare in maniera subdola falsi diritti o arbitrii, che, basati su una visione riduttiva e relativistica dell’essere umano e sull’abile utilizzo di espressioni ambigue, volte a favorire un preteso diritto all’aborto e all’eutanasia, minacciano il diritto fondamentale alla vita».Al punto che Joseph Ratzinger arriva a chiedere, come «importante cooperazione alla pace», che gli ordinamenti riconoscano il diritto alla «obiezione di coscienza» contro le leggi in favore di aborto ed eutanasia.Il Pontefice punta il dito anche contro «le ideologie del liberismo radicale e della tecnocrazia» che «insinuano il convincimento che la crescita economica sia da conseguire anche a prezzo dell’erosione della funzione sociale dello Stato». Va tenuto presente, invece, che ad esempio il lavoro, oggi diritto tra i più «minacciati», è «un bene fondamentale per la persona, la famiglia, la società», a cui devono corrispondere «coraggiose e nuove politiche del lavoro per tutti».

2585 - LA CHIESA OMOFOBA DI RATZINGER - DI PIERFRANCO PELLIZZETTIda: il Fatto quotidiano di sabato 15 dicembre 2012Se la denuncia dei matrimoni omosessuali, presunti ‘contronatura’ e come tali perseguitati, è l’apoteosi orripilante dell’inciviltà, il massimo dell’indecenza viene raggiunto dal fatto che a propugnare l’oscurantismo più bieco sia proprio Santa Romana Chiesa. Come ieri – nel Messaggio indirizzato alla Giornata della pace – ha osato fare per l’ennesima volta;

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proprio attraverso il suo supremo rappresentante: Joseph Ratzinger. Sì, quello del tormentone di Stefano Disegni “dove essere finite mie pulcre scarpette rosse di Prada”.La sua dichiarazione testuale (e indiscutibilmente delirante, data l’insensatezza) sulle nozze gay è stata la seguente: “una grave ferita inflitta alla giustizia e alla pace“.Papa Benedetto XVI è personaggio a prima vista innocuo, che appena apre la bocca fa disastri. Soprattutto perché si rivela del tutto solidale con lo stuolo di personaggi che incarnano la più vergognosa delle contraddizioni vaticane: omofobi omosessuali. Dunque, ‘uomini con le gonne’ – come li chiamava Gaetano Salvemini – che condannano come peccaminose quelle preferenze sessuali manifestate alla luce (e per di più tra adulti consenzienti) che loro praticano abbondantemente nelle penombre, magari con l’aggravante di esercitarle nei confronti di minori indifesi.Abbiamo dimenticato le lettere del buon (?) Ratzinger, quando ricopriva l’incarico di prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, con cui dava istruzioni sul come mettere a tacere i casi di pedofilia, svelati in un inarrestabile crescendo già a partire dagli anni Ottanta dalle vittime e dalla stampa libera?Sicché l’indecenza appare flagrante. Semmai resta da capire questa ‘doppia verità’, queste clamorose acrobazie mentali, di siffatti personaggi in tonaca o avvolti nella porpora che sono – al tempo stesso – omosessuali e omofobi.Una situazione apparentemente così contraddittoria da mandare in paranoia, da finire schizzati. Eppure tale situazione viene perfettamente metabolizzata e coperta da secolari attitudini all’ipocrisia. Perché? Ciò dipende, semplicemente, dal fatto che la persecuzione di quelli che il Papa precedente definiva ‘comportamenti sessuali disordinati’ rinsalda l’alleanza tra l’istituzione di potere bimillenario Santa Romana Chiesa con l’ordine che giustifica il fondamento del suo potere: il modello gerarchico-patriarcale.Sicché la gerarchia con le gonne attua uno scambio con il machismo maschilista per garantirsi il mantenimento dell’ordine su cui basa i propri privilegi.Anche perché il nemico è comune: la messa in discussione della coppia eterosessuale destinata alla riproduzione della specie. Infatti qui non c’è traccia d’altro che non sia calcolo; e molto materiale. Non c’è né amore e neppure carità. Nemmeno umana comprensione del dolore. Anzi, sembra proprio che più si accumula dolore tanto meglio vada (ovvio: per chi ci campa sopra. Vedi la proibizione del preservativo anche in funzione di profilassi contro l’Aids).Appunto, questa impostazione è perfettamente in linea con la difesa del monopolio nella consolazione del dolore, su cui l’istituzione ecclesiastica ha edificato il proprio interminabile (?) dominio sui corpi attraverso le menti.

2586 - BENEDETTO FA IL RAZZISTA? DI WALTER PERUZZI da: www.cronachelaiche.it di sabato 15 dicembre 2012Nonostante quel che scrivono alcuni cattolici fantasiosi, che vorrebbero far passare la Bibbia per un libro "progressista", il Vecchio Testamento non lascia dubbi: «Se uno ha rapporti con un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso un abominio; dovranno essere messi a morte; il loro sangue ricadrà su di loro» (Levitico 20, 13); e il Nuovo Testamento neppure: «Le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini... si sono accesi di passione gli uni per gli altri... E, pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa» (Paolo, Lettera ai Romani, 1, 26-32).Morte ai gay Su questa linea, saldamente tracciata da Dio in persona, si muove Benedetto XVI che il 13 dicembre ha impartito la sua apostolica benedizione, nella Basilica di San Pietro, a Rebecca Kadaga, portavoce del parlamento ugandese, autrice di una proposta di legge

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che vuole aggravare le pene contro i gay introducendo nei casi ritenuti più gravi l'ergastolo o la pena di morte. Nel suo messaggio per la 46esima Giornata mondiale della pace, il papa ha anche attaccato i matrimoni fra persone dello stesso sesso definendoli «un'offesa contro la verità della persona umana» e «una ferita grave inflitta alla giustizia e alla pace». Più grave evidentemente della politica di riarmo fatta a spese degli italiani dal suo prediletto governo Monti. Furia omofoba Questa furia omofoba è nel dna di Ratzinger che quando guidava la Congregazione per la fede, nella Lettera sulla cura delle persone omosessuali (1993), arrivò al razzismo aperto affermando: «La tendenza sessuale non costituisce una qualità paragonabile alla razza, all'origine etnica, ecc., rispetto alla non-discriminazione... Vi sono ambiti nei quali non è ingiusta discriminazione tener conto della tendenza sessuale; per esempio, nella collocazione di bambini in adozione o affido, nell'assunzione di insegnanti o allenatori sportivi, nel servizio militare». Nel 2003 Ratzinger ridusse allo stato laicale, per la sua apertura verso le coppie omosessuali, don Franco Barbero che si chiese se l'«ossessivo bombardamento cartaceo sui temi della sessualità» non derivi a Ratzinger, «almeno in parte, da qualche suo conflitto interiore non ben risolto». Nel 2005, appena diventato papa, Benedetto XVI escluse dall'ordinazione sacerdotale quanti, benché casti, hanno anche solo tendenze omosessuali. Questo serve forse a spiegare come mai sotto il suo pontificato, per ben due volte, nel 2008 e nel 2010, il Vaticano si sia opposto all'Onu a mozioni per depenalizzare l'omosessualità. E sia fra le forze che impediscono di approvare in Italia una legge contro l'omofobia. Una tradizione antica Ma la tendenza a ritenere i gay degni di morte in quanto «è contro natura che il maschio seduca il maschio e la femmina la femmina» come per «ogni coito dal quale non possa risultare generazione» (Tommaso d'Aquino, Super ad Romanos) è ben radicata in tutta la pratica e la dottrina cattolica. Nel VII secolo, papa S. Gregorio I ricordando «la pioggia di fuoco e zolfo versata su Sodoma dal Signore», afferma che era «giusto che i Sodomiti, ardendo di desideri perversi originati dal fetore della carne, perissero a un tempo per mezzo del fuoco e dello zolfo» (Commento morale a Giobbe). E nel suo editto castigliano il re cattolico Alfonso X il saggio (1252-84) stabiliva che «se qualcuno commette questo peccato, una volta provato, entrambi vengano castrati davanti a tutto il popolo e tre giorni dopo siano appesi per le gambe fino alla morte e i loro corpi non vengano mai deposti». Scrive Boswell nel suo studio su Cristianesimo, tolleranza, omosessualità, che «tra il 1250 e il 1300 l'omosessualità passò da una condizione di assoluta legalità nella maggior parte d'Europa a una in cui veniva punita con la pena di morte in quasi tutte le compilazioni di legge... Spesso era prevista la morte per un solo atto provato». E nel 1566 il santo Pio V, grande persecutore di valdesi e altri eretici, di giornalisti e bestemmiatori, decreta nella Cum primum che «Se qualcuno commetterà il nefando crimine contro natura, a causa del quale l'ira di Dio si abbatte su coloro che gli resistono, sarà consegnato al braccio secolare». Gli omicidi sugli altari, i gay sulla forca. Tale è la religione dell'amore del buon Benedetto.

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2587 - LA PACE DEL PAPA COMINCIA DALL’OMOFOBIA - DI PAOLO BONETTI da: www.criticaliberale.it di sabato 15 dicembre 2012 Sono parole gravi quelle che Benedetto XVI ha pronunciato nel suo messaggio per la giornata della pace. Parole gravi, anche se non nuove nelle loro motivazioni dottrinali, perché il papa è giunto ad affermare che le unioni omosessuali giuridicamente riconosciute sono “una ferita grave alla giustizia e alla pace”. Nemici della pace non sono, dunque, i persecutori delle persone omosessuali, coloro che usano la violenza morale e fisica contro costoro; nemici della pace sono le vittime della violenza, coloro che hanno l’inammissibile pretesa di rivendicare il pubblico rispetto della loro dignità e dei loro sentimenti. Costoro, per il papa, costituiscono “un’offesa contro la verità della persona umana”, che è come dire che non sono persone umane, ma creature moralmente inferiori verso le quali è doverose mantenere precise discriminazioni giuridiche. Il papa ribadisce che quello che lui afferma non discende da premesse di tipo confessionale, ma è fondato su “principi inscritti nella natura umana stessa, riconoscibili con la ragione, e quindi comuni a tutta l’umanità”. Non staremo, in questa sede, a contestare ancora una volta l’antropologia arcaica di Ratzinger e i suo concetto di ragione e di natura che fa il paio con quello aristotelico che escludeva gli schiavi dalla piena umanità. Ma quello che in Aristotele è storicamente comprensibile, diventa nel papa tedesco, che si proclama erede e custode del messaggio evangelico, semplicemente regressivo e barbarico. E’ poi strano che Ratzinger, che giustamente vuole sottrarre il lavoro al dominio delle presunte leggi naturali dell’economia, difenda una fantomatica legge di natura che emargina milioni di individui che hanno il solo torto di avere un orientamento sessuale non conforme a quello della maggioranza. Che cosa dire? Ci auguriamo solo che lo Stato laico prenda le distanze dal cristianesimo feroce del presunto vicario di Cristo.

2588 - L’EUTANASIA CHE C’È GIÀ - DI ALESSANDRO CAPRICCIOLIda: www,pubblico giornale.it di mercoledì 5 dicembre 2012 In Italia le persone che si sono suicidate per la disperazione riconducibile alle malattie fisiche che le affliggevano sono state 306 nel 2008, 319 nel 2007, 341 nel 2006, 328 nel 2005, 374 nel 2004, 378 nel 2003, 322 nel 2002, 262 nel 2001, 384 nel 2000.

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Siccome non pare possibile, perlomeno a me, che acciacchi trascurabili come raffreddori, unghie incarnite e colpi della strega siano tali da indurre una persona a togliersi la vita – anche perché in tal caso si tratterebbe di individui con gravi problemi psichici, i suicidi dei quali formano oggetto di un conteggio separato – è ragionevole ritenere che gran parte di queste morti terribili – più di tremila in nove anni, vale a dire quasi una al giorno - sia da imputare a gravi malattie terminali, progressive o croniche senza alcuna speranza di guarigione.Il che, ne converrete, ci conduce ad una conclusione tanto probabile quanto agghiacciante: in Italia l’eutanasia esiste già, con il piccolo particolare che è illegale, che viene praticata in modalità fai-da-te con contorni disumani e che nessuno – tranne rarissime eccezioni – si prende la briga di parlarne. Niente di straordinario, per la verità. Si tratta del solito modus operandi che la classe politica di ipocriti che imperversa in questo paese adotta praticamente da sempre: proibire una pratica senza sforzarsi di comprenderla, rifiutarsi di discuterne pubblicamente, fingere che non esista e strafottersene del fatto che essa venga largamente adottata al di fuori della legge.In base a questo fiero principio i nostri amici crociati – di destra e di sinistra, non fa differenza – blaterano dalla mattina alla sera di voler difendere la vita umana, ma poi se ne sbattono allegramente del fatto che migliaia di malati disperati decidano di farla finita da soli, nei modi più brutali, nella solitudine più nera e nella disperazione assoluta, perché non ce la fanno più e la legge nega loro una via d’uscita quantomeno dignitosa.Il guaio non è neppure che si tratti di mediocri fatti e finiti. Il guaio, quello vero, è che sono pure in malafede.

2589 - IMU E CHIESA: LA RESA DELLO STATO - DI MARIA MANTELLOda: Micromega di martedì 27 novembre 2012)La salatissima multa che dovremo pagare noi cittadini italiani tutti perché lo Stato consente alla Chiesa cattolica di non pagare l’Imu sulle sue proprietà commerciali è ormai certa. Il governo Monti che in un primo momento sembrava voler porre fine a questa odiosa evasione fiscale che lo Stato le consentiva, alla fine ha scelto di mantenerla. Il regolamento è diventato legge con il Decreto 200 del 19 novembre 2012. Gli enti religiosi gestori di alberghi, ristoranti, case di cura, agenzie turistiche, piscine, scuole, ecc. in pratica possono continuare a non pagare l’Imu.La resa del governo alle pressioni clericali sembra totale. A Porta Pia si è preferita Via della Conciliazione! Eppure, Monti avrebbe potuto proprio sull’Imu dimostrare di essere un tecnico. Procedere al calcolo dei mq di immobile destinato al profit, sarebbe stato tanto difficile? Certo che no, se gli intenti non fossero stati squisitamente politici. Col risultato di ingarbugliare ancora di più la questione in modo da rendere impossibile che nei palazzi del profit clericale (scuole, ospedali, agenzie turistiche, assicurative, sportive, ecc.) possano mai entrare gli esattori d’imposta. L’odioso privilegio dell’esenzione Imu (allora Ici) per la Chiesa sulle attività commerciali fu opera del governo Berlusconi e del suo ministro delle finanze Tremonti che nel 2005

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estendeva il non pagamento per i luoghi di culto anche agli «immobili utilizzati per le attività di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura pur svolte in forma commerciale se connesse a finalità di religione o di culto». In pratica tutto. Un timido tentativo per eliminare questo assurdo privilegio la fece il centro sinistra nel 2007; ma di fronte alle alleanze cattoliche bipartisan introdusse l’ormai nota formula del «non esclusivamente commerciale». Insomma bastava una cappella annessa per non pagare l’Imu anche per le attività profit, con un danno annuale per il pubblico erario che va dai 300 ai 500 milioni. E proprio sulla media di questa cifra, moltiplicata e rivalutata per tutti gli anni di Imu non pagata dalla Chiesa, l’Unione europea calcolerà la multa che ci ha inflitto, che così potrebbe arrivare a 3,5 miliardi. La scappatoia c’era: eliminare l’illecito “favoreggiamento di Stato” entro il 2012. Il Governo Monti si è trovato a doversi occupare della faccenda. Saremo rigorosi, aveva annunciato, ma preso dai giri di valzer con Oltretevere, si è aggrovigliato in una normativa che alla fine grazia la Chiesa e non ci risparmierà la multa Ue.Dopo la poco onorevole vicenda della mancanza del decreto attuativo dell’art. 91-bis, già inserito nel Decreto sulle liberalizzazioni del 24 marzo 2012, che avrebbe dovuto chiarire come distinguere le aree no profit da quelle profit da assoggettare all’imposta immobiliare, emesso il 5 settembre in extremis – con scialuppe di salvataggio annesse – e bocciato dal Consiglio di Stato (“lo sapevano”, disse allora il candido Polillo) per palesi confusioni nella materia e nelle competenze, a metà novembre è venuto a galla il secondo atto delle prove tecniche di favoreggiamento di Stato. La sceneggiata del salvataggio del privilegio ecclesiastico sull’Imu in questa occasione si è cercata di farla scivolare con un emendamento – a firma di Maurizio Lupi e Gabriele Toccafondi del Pdl, nonché gregari di spicco in Comunione e Liberazione – approvato a Montecitorio il 2 novembre dalle commissioni congiunte Affari Costituzionali e Bilancio di Montecitorio. Qualche parolina, nella speranza di non dare nell’occhio, ma che opportunamente infilata nel decreto sugli Enti locali n°174 al comma 6 dell’art. 9 avrebbe consentito di far saltare la possibilità di calcolare le proporzioni di immobili destinate alle attività commerciali. L’esenzione dall’Imu scatta quando l’attività commerciale sia svolta «in modo diretto e indiretto con modalità non lucrative». Parole magiche! Se infatti un albergo con una mano accoglie i “pellegrini” (potrebbe essere anche un 5 stelle!), ma i quattrini li prende l’altra mano, ovvero la struttura bancaria dove si depositano gli introiti dell’albergo, potrebbe verificarsi che anche la banca non paghi l’Imu. Un bel passo avanti sulla strada della spending review (vaticana?) con l’emendamento del 2 novembre, a cui non fa mancare il suo tecnico plauso il sottosegretario all’Economia e Finanza Gianfranco Polillo. Ma lo scandalo rimbalza sui media. E il tempestivo Polillo il 5 novembre cambia tecnicamente parere di fronte all’indignazione che sale. Il quotidiano la Repubblica il 12 novembre parla di blitz del Governo. Il governo si affretta ad emettere nello stesso giorno un comunicato dove dichiara che non c'é stato alcun arretramento, e che anzi «gli emendamenti parlamentari sono stati espunti ed è stato ripristinato, proprio su iniziativa del governo, il testo originario», rassicurando su «la linea di assoluto rigore e trasparenza più volte sostenuta dal governo».Insomma cerca di convincere che l’Imu verrà pagata e che la multa sarà evitata. Ma non avviene. Il decreto definitivo sull’Imu (n° 200, 19 novembre 2012) che si snoda tra codici codicilli e soprattutto calcoli e dichiarazioni improbabili, continua a fare della Chiesa la più grande beneficiaria dell’esenzione dall’Imu per le sue attività commerciali.Ecco allora che cliniche, scuole e attività recettive varie basterà che dichiarino che i servizi offerti sono gratuiti, «salvo importi di partecipazione alla spesa previsti per la copertura del

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servizio universale». Insomma il servizio è formalmente “gratuito”, ma la retta si paga per il conseguimento del progetto “universale”. E già dall’enunciato, vai a capire se prevale l’imprenditoria o la religiosità.Per le cliniche, il paziente-cliente dovrà pagare – perché la gratuità sia salva – una cifra “simbolica” che – recita il decreto – deve essere nella media delle altre strutture territoriali. E già si prospettano (dicono i maligni) trust tariffari!Lo stesso simbolismo vale per le scuole cattoliche. Anche qui per garantire che il servizio all’alunno-cliente sia “gratuito”, basterà chiedere «rette d’importo simbolico e tali da non coprire integralmente il costo effettivo del servizio», che però non potranno essere superiori alla “metà” dell’offerta sul territorio. Territorio come quartiere, comune, regione, nazione, anche qui basterà fare un bel cartello in rete, per accordarsi sulla cifra, magari raddoppiarne il valore virtuale di mercato, e poi dimezzarlo. A pensar male a volte si indovina! E se alle benedette scuole paritarie-private i soldi non bastano? Ci sarà sempre lo Stato pronto a stornar fondi dalla scuola statale alla privata, dall’ospedale statale a quello privato, e ancora a non impegnarsi in centri sportivi pubblici perché così possano prolificare presso oratori ed ex conventi.Le vie della recezione sono infinite, soprattutto se c’è un’acquasantiera a prova della “utilizzazione mista” (profit/non profit). Vai poi a districarti nel calcolo Imu per l’area profit nell’equazione tra mq profit, numero di passanti-fruitori e giorni effettivi di calpestio profit/non profit. Non è uno scherzo, ma il comma 2 dell’art. 5 del Decreto 200.Con buona pace per l’equità e per la laicità, principio fondamentale della Costituzione Repubblicana, questo è quanto!

2590 - RODOTA’: LIBERTÀ E DIRITTI NON SONO NEGOZIABILI- DI R. GUADAGNINIda: Micromega di venerdì 30 novembre 2012In un Paese in cui “le disuguaglianze sono divenute ormai insopportabili” e dunque vige la legge del più forte o, a seconda, del più preminente, del più affluente, del più ammanicato, che significa garantire a tutti gli stessi diritti? Lo abbiamo chiesto a Stefano Rodotà, costituzionalista, professore emerito di Diritto civile all’università La Sapienza di Roma, tra gli autori della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali e del Gruppo europeo per la tutela della privacy, deputato indipendente nelle liste del Pci e Pds, vicepresidente della Camera, oggi autore di un saggio per Laterza, da poco in libreria, significativamente intitolato con un’espressione di Piero Calamandrei “Il diritto di avere diritti” (pagg. 433, euro 20). Richiamandosi alla Costituzione italiana, Rodotà ci risponde che “la libertà non è negoziabile, così come avviene per i diritti”. Sono, i nostri, anni di “grande riduzionismo” in cui si sente il bisogno diffuso di avere dei “grandi principi di riferimento”.Professor Rodotà ritiene che oggi, passato il ventennio berlusconiano, ci sia un’opportunità in più per aprire una nuova stagione all’insegna dei diritti e dei beni comuni? Dovrebbe esserci, ma non ne sono particolarmente sicuro. In questi anni in materia di diritti abbiamo vissuto una regressione politica e culturale molto forte, una distanza grandissima tra ceto politico e società. Se paragono gli Anni Settanta a oggi, il bilancio è

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magro. Allora ci fu una grande affermazione dei diritti civili: del 1970 e degli anni seguenti sono lo statuto dei lavoratori, la legge sul referendum, l’istituzione delle regioni, le nuove norme sulla tutela della libertà personale. Poi c’è stata la riforma del diritto di famiglia, la parità uomo-donna, l’interruzione di gravidanza, la legge Basaglia sui manicomi, la legge Gozzini sulle carceri. E oggi? Oggi siamo veramente in un altro clima, in un’altra dimensione. Allora la legislazione italiana su alcuni punti era la più avanzata d’Europa. Ora siamo non solo fanalino di coda, ma lontani culturalmente. La fine delle ideologie ha portato solo alla prevalenza assoluta del mercato. Di fronte a questo mondo ‘a una sola dimensione’ il contrappeso, il contropotere, è unicamente quello che viene dalla forza dei diritti. La più grande fabbrica del mondo si trova in questo momento in Cina, la Foxconn, che produce componenti della Apple: lì hanno scioperato per avere un miglioramento delle condizioni di lavoro, cosa impensabile fino a poco tempo fa in quel Paese. Segni di questo genere ce ne sono ovunque nel mondo: quindi abbiamo, da una parte, la prevalenza della logica di mercato, dall’altra parte, quella dei diritti. I diritti tuttavia non possono essere sacrificati senza avere ricadute sul terreno economico. Ad esempio?Il caso dell’Ilva di Taranto è la dimostrazione, in casa nostra, di quanto dico: per anni sono stati trascurati i diritti di lavoratori e cittadini, come il diritto alla salute. Adesso tutto ciò sta portando a una crisi economica drammatica dell’azienda. Non si possono scindere diritti e governo dell’economia. Spero in una ripresa della politica dei diritti, ma non sono così ottimista. Anche perché la politica, per guadagnarsi un sostegno, si è fatta fortemente condizionare da un’idea di diritti e non diritti che proveniva dalla pressione delle gerarchie ecclesiastiche. Un’influenza esercitata non da tutto il mondo cattolico, beninteso, di cui una parte cospicua si è invece resa conto dell’importanza dei diritti, ma direi soprattutto dalle gerarchie vaticane, specie in materia di fine vita, procreazione assistita e rispetto dei diritti degli omosessuali. Mi auguro che questa fase sia ormai superata.Lei parla, nel suo libro, di un possibile avvento di una democrazia su base “censitaria” in termini di rischio: che significa? Vuol dire che alcuni diritti non ci sono riconosciuti nella loro pienezza perché appartenenti a ognuno, ma sono accessibili soltanto a chi ha le risorse per poterli far diventare effettivi. Se, come ha lasciato intendere il premier Mario Monti pur correggendo in seguito l’affermazione, si dovesse andare in futuro verso forme di privatizzazione del servizio sanitario nazionale, è chiaro che il costo dei servizi crescerebbe per i cittadini, con la conseguenza che io avrò tanta salute quanto potrò comprarmene sul mercato. Questa direzione sarebbe all’opposto di quanto afferma l’articolo 32 della Costituzione, laddove si dice che la salute è un diritto fondamentale del cittadino. Si romperebbe lo schema indicato dal principio di uguaglianza. I miei diritti saranno misurati non dal riconoscimento della mia dignità, del mio essere persona uguale a tutte le altre, ma in base alle mie risorse. Cittadinanza censitaria è un’espressione che si usava nell’Ottocento, quando votavano solo gli uomini e, tra loro, soltanto quelli che avevano un reddito superiore a una certa cifra. Come si stabiliscono i diritti?Se torniamo a misurare i diritti non sulla libertà e sull’uguaglianza, ma col censo e in base al denaro, noi torniamo alla democrazia censitaria appunto. E, così facendo, andremmo anche contro una tendenza globale. La campagna elettorale americana è stata fortemente giocata proprio intorno al tema della riforma sanitaria di Obama, che ha cercato di dare una tutela al diritto alla salute per milioni di persone, che ne erano rimaste – fino a quel momento – escluse. Il tema dei diritti è capitale ovunque esiste la necessità di far uscire le persone da una condizione di minorità.

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Tempo di crisi. L’agenda Monti per affrontare l’emergenza è – a detta di molti – un’agenda di cose da fare, da affidare così com’è al prossimo governo. Se la cosiddetta ‘agenda Monti’ è null’altro che prosecuzione di quello che è stato fatto per superare l’emergenza, allora non credo che ci avviamo verso una stagione politica particolarmente promettente. Non possiamo vivere all’insegna dell’emergenza continua e dell’esistenza dei soli problemi economici. I diritti, come nel caso menzionato dell’Ilva, non possono essere sacrificati impunemente senza creare tensioni sociali molto pericolose. In questa situazione si dice continuamente che una delle vie d’uscita è “avere più Europa”, e sono assolutamente d’accordo. Tuttavia l’Europa non è soltanto l’economia. Dal 2009, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, l’Europa non è più fatta soltanto di norme che riguardano il mercato, ma ha – allo stesso titolo e col medesimo rango – una Carta dei diritti fondamentali. Perché questa Carta è importante?Nell’ultimo periodo, c’è stato un distacco e in alcuni casi un vero e proprio rifiuto dell’Europa. Per molti Paesi, infatti – l’Italia è tra questi – Bruxelles è diventata la ‘fonte dei sacrifici’. Ciò che arriva dall’Europa è percepito come obbedienza a una logica economica che restringe opportunità e diritti dei cittadini. In tal modo, il popolo europeo si allontana sempre più dalle sue istituzioni e si rischia non solo una crisi dal punto di vista economico, ma anche da quello della legittimità democratica. Un’Unione Europea può avere il consenso dei cittadini se i cittadini vedono che in essa c’è un valore aggiunto proveniente dai diritti. Lo testimoniano molte sentenze di corti europee e di corti costituzionali nazionali che hanno preso sul serio la Carta. Se i cittadini cominciassero a vedere che l’Europa porta loro nuove opportunità di tutela dei diritti, la spirale negativa cominciata in questi ultimi anni forse potrebbe essere interrotta. Come mai si sente oggi la necessità di rimettere la Costituzione al centro dell’attenzione? La Costituzione ha, specie nella sua prima parte, una straordinaria forza, eloquenza e attualità, tanto più oggi di fronte al fatto che le nostre società sono diventate sempre più disuguali. Ai tempi di Vittorio Valletta, amministratore delegato della Fiat, la differenza tra il suo stipendio e quello di un operaio era di uno a quindici. Oggi il rapporto tra lo stipendio dell’operaio Fiat e quello di Sergio Marchionne è di uno a quattrocentotrentacinque. Quindi le disuguaglianze sono diventate enormi e insopportabili economicamente e socialmente. Ed ecco che ritorna il principio di dignità e uguaglianza. Il problema di sicurezza e dignità della persona sul lavoro dimostra che la Costituzione – come diceva Calamandrei – è ‘presbite’, ossia capace di guardare lontano. Si dice, ad esempio, che i partiti dovrebbero tornare a essere uno strumento nelle mani dei cittadini e non delle oligarchie: allora leggiamo l’articolo 49 dove si sostiene che tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente per partecipare con metodo democratico alla definizione della vita politica nazionale. Lì era scritta un’idea di partito che, in questi anni, è stata completamente stravolta. Allora occorre tornare a leggere la Costituzione?Sì. Vi troveremo tutta una serie di indicazioni che ci aiutano ad affrontare con principi forti le difficoltà odierne. Parlando di lavoro, forse l’articolo più bello, che non dovremmo mai perdere di vista, è proprio l’articolo 36, laddove si dice che la retribuzione deve assicurare al lavoratore “un’esistenza libera e dignitosa”: sono parole bellissime. L’esistenza deve essere libera e dignitosa, non può essere sempre e soltanto subordinata alla logica economica, come quando si afferma “io ti do soltanto il minimo che ti fa sopravvivere biologicamente”: questo umilia le persone. Per tale ragione oggi il tema del lavoro è diventato capitale. Però il dettato costituzionale, anche in tema di lavoro, viene spesso disatteso. Una diagnosi di perché questo accada non è facile. Certo è che organizzare l’economia intorno al riconoscimento dei diritti del lavoro, della considerazione che il lavoro non è una

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merce che debbo poter comprare sul mercato al prezzo più basso possibile, implica scelte di carattere generale molto impegnative. Nei momenti in cui c’è una reale difficoltà economica, come ora, si è sempre pensato che occorresse ridurre il costo del lavoro. Poi ci siamo accorti che c’era scarsa capacità imprenditoriale, che c’erano diseconomie molto forti, una corruzione che significava costi più elevati in quanto costituiva un aggravio per il sistema delle imprese. Allora abbiamo visto il lavoro come l’unica variabile che poteva essere ‘colpita’… Non l’evasione fiscale, non la corruzione. L’elevato costo del lavoro è anche il risultato di reperire risorse attraverso la tassazione di ciò che è più facile colpire, ossia il lavoro dipendente, invece di fare un’azione adeguata contro l’evasione fiscale e il lavoro nero. Entrambi i fenomeni sono stati – ormai lo sappiamo e ce lo ricordano di continuo le cifre della Corte dei Conti – una riserva oscura non per il benessere del Paese, ma per il profitto di pochi. Il lavoro ha finito per venire sacrificato in un quadro nel quale sono stati ritenuti prevalenti altri tipi di interesse. Quanto conta oggi la società civile, che ascolto ha? Difficile dirlo. In alcuni momenti abbiamo l’impressione che conti molto. Adesso si dice “c’è un risveglio”, 3 milioni e mezzo di persone sono andate a votare per le primarie del centrosinistra, ci sono manifestazioni – che personalmente non mi piacciono affatto – e che hanno fatto capo a Beppe Grillo, c’è gente che si mobilita fuori dai canali tradizionali. C’è, insomma, una società capace di esprimersi. Questo in parte è vero. Ma prima non è che ci fosse una società civile opaca… Abbiamo vissuto una lunga fase in cui la società civile riusciva a esprimersi attraverso la mediazione non al ribasso fatta dai partiti. Non a caso si parlava di ‘partiti di massa’. Mentre oggi noi parliamo di ‘partiti oligarchici, di plastica, partiti-azienda e partiti leggeri’. Il che vuol dire che questi partiti sono più oligarchia, più organizzazione su modello manageriale (ricordo il caso del ‘marketing politico’). Tutto questo ha determinato l’esclusione dei cittadini, che poi magari imboccano strade non tra le più felici. Questo crea, da un lato, una distorsione e, dall’altro, reazioni della società civile che possono avere ‘effetti distorsivi’. Che rapporto c’è tra società civile e politica? Un rapporto basato su un equivoco di fondo, secondo cui tutto quello che c’è nella società civile è bello e buono, e tutto quello che c’è nella società chiamiamola ‘politica’ è male. Questo ha determinato effetti negativi, perché in questi anni abbiamo avuto una caduta della cultura politica in senso proprio, cioè della capacità di fare politica al più alto livello. Sono arrivate in Parlamento troppe persone che non erano in grado di fare questo mestiere, un mestiere difficile che si deve imparare in maniera adeguata. Di fronte a questa incapacità sono venuti fuori i tecnici. Allora la società civile, che è stata esaltata – giustamente – come soggetto che deve avere voce in capitolo, ha finito per essere santificata anche nelle sue manifestazioni meno positive. Ogni cosa che proveniva dalla società civile era buona, salvo accorgersi poi che non era così, con i risultati che abbiamo sotto gli occhi. A sinistra del Pd c’è spazio, a suo avviso, per una nuova formazione politica? In proposito ho un’opinione molto netta. Quando è stato avviato il movimento di Alba (acronimo per Alleanza per il Lavoro Beni comuni e Ambiente, ndr.), ho detto che c’era molto spazio per l’azione politica e molti rischi legati alla fretta di far diventare l’associazione una lista elettorale. Ritengo che ci sia stata, e spero che non sia del tutto perduta, una spinta – soprattutto dalla seconda metà 2010 alla prima metà del 2011– che ha portato a risultati importanti nella primavera 2011, con tutta una nuova generazione di sindaci, non espressione unica e diretta dei partiti, ma del grande dibattito della società civile. Stessa valutazione riguardo ai referendum del giugno del 2011, in particolare quello sull’acqua originato da un grande movimento sviluppatosi negli anni precedenti. Credo che esista, indipendente da dove la collochiamo rispetto al Pd, a sinistra a destra in alto o in basso, una grande capacità di elaborazione politica e culturale nella società italiana,

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perché quei movimenti sono riusciti a cambiare l’agenda politica. Se poi questo possa tradursi in un successo elettorale nelle elezioni del 2013 ho i miei dubbi. E quindi? In questo momento penso che noi dovremmo – e mi rivolgo soprattutto a chi stimo e alle persone di Alba con cui continuo ad avere rapporti – piuttosto proseguire in quella direzione e insistere in quella linea di elaborazione di idee e cambiamento anche dei referenti, senza generiche contrapposizioni. Perché poi, per riprendere l’esempio dei nuovi sindaci, alcuni di loro sono venuti fuori dall’esperienza dei movimenti, altri invece dalle organizzazioni dei partiti. Quindi la contrapposizione frontale non è detto che dia sempre risultati positivi, dipende da cosa c’è dietro, dalla capacità di elaborazione e anche di trovare collegamenti. Questa non è una critica che rivolgo soltanto ai movimenti. Il Pd, ad esempio, non si è reso conto dell’importanza che i movimenti avevano avuto in quella stagione e non li ha presi sul serio. Mi pare sia stato un errore politico. Oggi vedo una situazione in movimento, una difficoltà a tradurre tutto questo in nuove forme organizzative che possano avere successo elettorale e vedo, nello stesso tempo, le difficoltà della sinistra tradizionale. Si parla molto della costituzione di un quarto polo: sogno o realtà? Io non riesco a usare né l’uno, né l’altro termine. C’è un dato di realtà indubbio: tutto questo mondo ha avuto risultati politici che non si possono negare. Quei sindaci non sarebbero stati eletti senza quel tipo di movimento alle spalle. I referendum hanno mobilitato 27 milioni di persone, ma è un po’ un’illusione ritenere che quei 27 milioni di persone sposterebbero il loro consenso su formazioni minoritarie, a sinistra della sinistra, come quelle di cui stiamo parlando. Uno sbaglio commesso in passato dai Radicali, che hanno pensato che il consenso ottenuto nei referendum e nella raccolta delle firme si traducesse in consenso elettorale. E’ assai complicato riuscire a convertire l’azione di movimenti che hanno un obiettivo specifico, ben percepibile e ben al di là dei confini dei partiti, assegnare loro un obiettivo, raggiungerlo, e poi pensare che ciò si traduca in una lista elettorale sostenuta dalla medesime persone. Quali sono, dunque, i suoi auspici?Mi augurerei che quanto c’è nella sinistra tradizionale, per così dire, venisse recepito con più attenzione e diventasse seriamente parte dell’agenda politica. Se si arrivasse ad avere alcune liste a sinistra della coalizione imperniata sul Pd e poi queste dovessero subire uno scacco, com’è avvenuto nelle ultime elezioni per le liste arcobaleno e verdi, quale sarebbe l’effetto? Di nuovo si direbbe: “voi politicamente non contate nulla”, un risultato che va evitato. Invece, sono convinto che proprio il cambiamento avvenuto in questi anni debba molto a un mondo che non è anchilosato come nella politica tradizionale. Un elemento emblematico è che il Pd ha come suo slogan “Italia. Bene Comune”; è successo in seguito al referendum sull’acqua, bene comune, e il Pd è stato l’unico partito a farne un programma. Se questo slogan viene usato strumentalmente non va bene, ma se dietro continua a esserci un lavoro costante, allora si possono cambiare molte cose.Lei teme la mancanza di coesione? E’ un rischio effettivo, una questione che dovrebbe interessare chi è già soggetto politico strutturato, quindi il Pd. Finora quest’attenzione ai movimenti non c’è stata o non c’è stata in maniera adeguata. Secondo me, la società civile non è un indistinto generalizzato e dovrebbe costruirsi non per opposizione e invettiva (sul genere di “il Pd succube dell’agenda Monti”, “Vendola traditore”), ma dovrebbe lavorare molto sui temi che debbono riuscire a comporre una nuova agenda politica. Così questo mondo della sinistra potrebbe ritrovare, pur in una diversità difficile da cancellare, delle modalità di organizzazione e di presenza sociale e politica più forti delle odierne. In troppi casi, purtroppo, queste modalità riflettono la storia meno apprezzabile della sinistra, il litigio continuo. Un tempo, nelle vecchie logiche dei partiti comunisti, questo veniva chiamato ‘frazionismo’, ossia

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un’esasperata ricerca del dato differenziale. Anche se non bisogna andare a cercare spasmodicamente l’unità a qualsiasi prezzo, però che almeno non ci sia una sorta di disconoscimento preventivo dell’interlocutore, sul genere di “con quello io non parlo”, semplicemente perché è sbagliato.Giovani/vecchi: una contrapposizione che oggi ha un senso? Dal momento che si era costituito un sistema di oligarchie, questa formula ha finito per giocare un ruolo e lo vediamo. Ma, nello stesso tempo, in astratto questa è una contrapposizione insensata, specie a generalizzarla. Personalmente ho fatto due esperienze dirette nel pubblico: come parlamentare e come presidente di un’autorità indipendente. In quest’ultimo caso, fissare un tetto di otto anni all’authority è un bene: serve un ricambio, scandito da regole precise, anche per evitare intrecci di interessi e il pericolo di burocratizzazione. Riguardo al Parlamento, invece, la cosa è diversa, dal momento che il lavoro parlamentare è anche un accumulo di esperienza. Ci sono stato immerso per 15 anni e poi me ne sono andato di mia spontanea volontà. Inoltre, il Parlamento è un luogo rappresentativo: se i cittadini vogliono affidarsi a persona che ha esperienza, perché impedirlo? Nella questione giovani/vecchi un ulteriore problema è rappresentato dal fatto che si vogliono trascinare le carriere al di là dei giusti limiti.Di cosa è fatta la politica? Di simboli e visioni, come diceva Berlinguer, o di risposte concrete? Di tutte e due. Le risposte concrete che non sono capaci di guardare il contesto rischiano di essere drammaticamente inadeguate. Quanto sento Monti che a una domanda sui malati di Sla, costretti a manifestare esibendo la loro terribile condizione umana, risponde semplicemente che c’è stata una politica economica sbagliata e che pertanto le risorse sono ridotte, non va bene. Non si possono ignorare questi dati concreti. Se governo un Paese e voglio rispettare le persone non posso non distribuire le risorse ignorando simili situazioni. E’ sintomatico di una diversa visione della società: il governo come puro calcolo economico. Le due cose, visioni e azioni politiche devono essere tenute insieme: le grandi visioni politiche si sono poi tradotte in grandi programmi, realizzati almeno in parte. Dunque che fare?Non mettere visioni e azioni politiche le une contro le altre, in quanto questo autorizza molte cose. Ad esempio dire “Ma quel signore le cose le fa, quindi apprezziamolo indipendentemente da…”: è la logica del “rubo ma faccio”, slogan di un noto senatore brasiliano. Zero visione e tutto fatti. Ridurre la politica a questo significa mortificare la democrazia. Io vorrei che la politica fosse sempre accompagnata da una visione. E’ la ragione per cui ritorna l’attenzione alla Costituzione. I nostri sono anni di grande riduzionismo. Tutto viene ridotto, nella peggiore delle ipotesi a interesse personale, nella migliore a calcolo economico. Mentre si sente il bisogno di avere dei grandi principii di riferimento. La nostra Carta costituzionale è molto eloquente in questa direzione: su alcuni punti come quelli dell’uguaglianza e della salute ha formulazioni ricche e precise. E’ un documento che guarda alla persona e alla sua dignità. Credo che questo bisogno di idealità e principii sia sentito molto fortemente. Lei parla di una ‘religione della libertà’: di che si tratta? E’ una citazione che ho tratto da Benedetto Croce. Croce vedeva la storia come il risultato di un atteggiamento spirituale, che deve nutrire la politica e portare alla libertà. La libertà è quella che deve essere messa sugli altari da qualsiasi cittadino. Ecco perché mi sono sentito, da laico, di usare quest’espressione che oggi ci può aiutare. La libertà non è negoziabile da nessuno e per essa dobbiamo impegnarci. C’è una canzone partigiana francese che dice “viviamo nella notte ma la libertà ci ascolta”, un’affermazione molto fideistica, che si sposa bene con l’idea di religione della libertà. Ma anche un antidoto al pessimismo che si traduce in passività. E le democrazie muoiono di passività, non solo di aggressioni esterne.

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2591 - CATTOLICI E BERLUSCONI: CAMBIA IL VENTO - DI MARCO POLITIda: il Fatto di martedì 11 dicembre 2012Con allarme e orrore la Chiesa registra l’irrompere di Berlusconi sulla scena politica. Con insolita durezza il cardinale Bagnasco commenta: “Non si possono mandare in malora tutti i sacrifici fatti dai cittadini”. É qualcosa di radicalmente nuovo per il Cavaliere. Nelle sue battaglie non potrà più invocare le zie suore per accattivarsi la comunità cattolica. Per la prima volta gli viene a mancare l’appoggio della gerarchia ecclesiastica, che tanto gli ha giovato in passato.Nei venti anni trascorsi Vaticano e CEI puntellavano sempre i suoi arbitrii, permettendogli di scardinare le regole istituzionali. L’intervento di Bagnasco, per i suoi toni espliciti, segna in questo senso una discontinuità netta rispetto al “ruinismo” (sebbene il cardinal Ruini oggi non plaudirebbe al ritorno berlusconiano). Ogni parola dell’intervista del presidente della CEI al Corriere della Sera – pur non nominandolo mai – segna un attacco preciso all’ex premier. “Lascia sbigottiti l’irresponsabilità di quanti pensano a sistemarsi mentre la casa sta ancora bruciando”. Monti ha contribuito “in modo rigoroso e competente” alla credibilità dell’Italia. Ha messo al riparo il Paese da “capitolazioni umilianti… evitando di scivolare verso l’irreparabile”.La mossa del presidente dell’episcopato è stata preceduta da un fuoco di sbarramento dei media cattolici nei confronti di Berlusconi. TV2000, la televisione dei vescovi guidata dall’ex direttore di Avvenire Dino Boffo (massacrato dalla campagna del Giornale berlusconiano con l’uso di falsi documenti) ha messo subito il dito sulla piaga: “Un epilogo miope per non dire meschino”. Un’avventura, quella di Berlusconi, segnata dal “sospetto che si tratti di un’azione volta a garantirsi nel prossimo Parlamento un manipolo di sostenitori ad personam per proteggere interessi più o meno personali”.L’Avvenire ha ricordato per bocca del direttore Marco Tarquinio il “fallimento” del governo Berlusconi nel 2011 e ha dato ampio spazio ai dissidenti del PDL.Da Giuliano Cazzola, che predice la sconfitta del “pifferaio magico”, all’eurodeputato ciellino Mario Mauro, che denuncia le “derive populiste” e antieuropeiste dell’ultimo Berlusconi, indicando l’obiettivo di unire i cittadini italiani che si riconoscono nel programma del Partito popolare europeo. Ma è soprattutto dalla rete di aderenti a Comunione e Liberazione, che sembrano preannunciarsi novità. Già Formigoni è in profondo disaccordo con la candidatura del leader leghista Maroni a governatore della Lombardia. Candidatura espressamente sponsorizzata da Berlusconi. Ma uno degli ideologi più attivi del movimento ciellino, il direttore della rivista Tempi, Luigi Amicone, va molto più in là. Lunedì mattina ha predicato su RadioTre la necessità di un “conflitto aperto” con Berlusconi, con l’obiettivo di “spaccare

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il PDL”. Il ritorno del Cavaliere, ha scandito, “è grottesco”. Con Bersani, probabile vincitore delle elezioni, bisognerà “collaborare” per affrontare le sfide che attendono il Paese.É evidente che la “decisione dirompente e senza vero motivo” (così testualmente l’Avvenire), con cui Berlusconi è tornato in campo, è avvertita con enorme irritazione dalle gerarchie ecclesiastiche, perché ha strappato la tela che i gruppi cattolici di centro stavano tessendo per riportare Monti, totalmente gradito alla Chiesa e a Benedetto XVI, alla presidenza del Consiglio in primavera. Lavoro paziente che implicava il coinvolgimento di Alfano e di un PDL de-berlusconizzato. Ora tutto è in frantumi e non è detto che Monti voglia giocare il suo prestigio in una lista tendenzialmente minoritaria.Ma la Chiesa e il Centro cattolico sembrano nutrire la speranza di provocare uno smottamento nell’area parlamentare del PDL, sperando di mostrare che re Berlusca (almeno parzialmente) è “nudo”. Si spiega così la titolazione aggressiva del quotidiano di vescovi, solitamente molto prudente, che domenica sparava in pagina: “Nel PDL cresce la fronda anti-Berlusconi”. La speranza è che la decina di parlamentari azzurri – che nei giorni scorsi ha appoggiato con il voto il governo, dissociandosi dal voltafaccia del Cavaliere – possa ulteriormente crescere, coinvolgendo figure note del catto-berlusconismo: Sacconi, Quagliarello, la Roccella. Rocco Buttiglione, presidente dell’Udc, propone un rassemblement: “Sediamoci a una tavolo e discutiamo. C’è da fare una lista in cui convergano partiti, associazioni, gruppi e movimenti. Per salvare l’Italia”. L’obiettivo di creare una specie di PPE italiano è il traguardo che l’istituzione ecclesiastica e i post-democristiani hanno cominciato a sognare dal momento in cui Berlusconi ha rassegnato le dimissioni un anno fa. Appare e scompare come una fata morgana.In questa situazione, diventata improvvisamente più liquida e caotica, ci sono per i centristi cattolici due nodi da sciogliere. Il primo è quello programmatico: se le encicliche sociali di Benedetto XVI e papa Wojtyla sono molto più avanti dell’evanescente agenda finora messa in campo dall’UDC e da Montezemolo, i conti non tornano. Bagnasco stesso batte sul tasto della “drammatica questione del lavoro”.Il secondo punto da risolvere riguarda il premierato. Nei paesi a democrazia europea è pacifico che premier diventi il leader della forza vincente. L’Italia non può sempre pensare di inventare la bicicletta a tre ruote. É ora che Chiesa e centristi così innamorati di Monti accettino questa regola elementare. Quanto prima, sarà meglio per il Paese.

2592 - CHI DIFENDE LA LEGGE 40? - DI FURIO COLOMBOda: il Fatto di martedì 12 dicembre 2012Caro Furio, non sono sicura, ma sento dire che il governo ha fatto ricorso alla Corte di Strasburgo contro la sentenza che condanna quella parte della legge italiana sulla procreazione assistita (legge 40) che vieta di accertare se l'embrione (l'unico embrione da impiantare) sia portatore di malattie genetiche. È una sentenza provvidenziale che corregge una legge barbara. Perché questo governo dovrebbe opporsi a una simile, civile decisione che ci riporta tra i Paesi normali?MartinaRisponde Furio ColomboIl ricorso italiano c’è stato, e chiede alla “Grande Chambre” (ovvero al grado di appello della Corte di Strasburgo) di accertare se sono state considerate le differenze o peculiarità della struttura giuridica italiana nel giudicare una specifica legge che potrebbe essere stata mal interpretata, dunque, ma giudicata da giuristi estranei. Come si vede è un ricorso ipocrita, ma anche culturalmente modesto. È ipocrita perché non ha il coraggio di dire che il divieto di verifica scientifica lungo un percorso che deve essere continuamente segnato da verifiche scientifiche, non appartiene

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a una particolare concezione del diritto, ma alla sovrapposizione al diritto di una dottrina dogmatica e di una autorità religiosa. È culturalmente modesto perché finge di chiedere chiarimenti, mentre intende ottenere il ripristino imbarazzante e ingiustificabile del mancato e vietato controllo scientifico di un percorso delicatissimo quale è la procreazione assistita. Tutti ricordano che la legge 40 è apparsa subito come un testo deformato dal pesante intervento della Chiesa, che ha impedito un normale sviluppo dell'iter giuridico e di quello scientifico, usando il pretesto, palesemente privo di fondamento, di evitare la selezione razziale dei belli e dei sani in luogo del sorteggio della natura. Il fatto ovvio è che nulla è naturale nel processo scientifico detto “procreazione assistita”, dal momento che si tratta di una serie di interventi medici misurati di volta in volta secondo il minor danno e la maggiore probabilità di successo. Gravano sulla legge varie intimidazioni e restrizioni religiose intese a rendere questo percorso innaturale, dunque sgradito alla teologia (vedi il numero minimo di impianti permessi) e tutte le restrizioni possibili per rendere spiacevole questo tentativo di forzare la mano della natura, dunque di Dio. Ma il divieto di un facile e possibile controllo scientifico che previene la disgrazia del male genetico incurabile ha attratto l'attenzione e, c’è da pensare, l'indignazione, della Corte di Strasburgo. Penso che la decisione della Grande Chambre sarà ancora più severa con la strana legge italiana. E per questo è difficile capire che cosa abbia indotto questo governo, che si suppone laico, a farsi portatore di opposizione devota alla razionale sentenza di Strasburgo. A meno di ordini cortesi e inflessibili, di cui l'Italia, da sola, tra tutti i Paesi europei, ha una lunga e consolidata esperienza.Commento. Non tutto il male viene per nuocere. Se, come crediamo, la “Grande Chambre” confermerà in secondo e ultimo grado la prima sentenza europea sulla legge 40, non ci saranno più scuse e pretestuose dilazioni, e la legge dovrà essere modificata. Tale compito spetterà al nuovo Parlamento, che speriamo sia diverso dall’attuale (GS). 2593 - LA SPIRITUALITÀ DI CHI NON CREDE - DI ENZO BIANCHIda: la Repubblica di giovedì 13 dicembre Esiste una dimensione che si nutre di interiorità di ricerca di senso, di confronto con l’esperienza del limite e della morte che non è prerogativa esclusiva dei credenti ma anche di chi non ha la fedeNon sorprende che in un paese come il nostro – dove non esiste più da quasi trent’anni una “religione di stato”, ma dove non c’è ancora una legge specifica sulla libertà religiosa – ogni discussione sulla laicità dello stato e sui diritti dei credenti rischi di provocare un corto circuito. Si aggiungono aggettivi qualificativi alla laicità o la si rinchiude nel peggiorativo laicismo, rendendo quasi impossibile lo sviluppo e l’adattamento alle mutate condizioni sociologiche del nostro paese di quella convergenza di intenti e di valori che il legislatore costituente aveva sapientemente saputo ricostruire sulle macerie della guerra. A furia di ridurre la presenza dello stato e nel contempo di chiedergli di farsi garante di un’etica religiosa specifica, a furia di confondere la somma di beni privati con il bene comune, la coesione sociale viene a mancare e si atrofizza quello spazio comune garantito in cui ciascun soggetto individuale o sociale – può contribuire alla crescita umana e spirituale dell’insieme della società.Lo stato laico, infatti, non può limitarsi alla funzione di chi regola il traffico di una società civile che si muoverebbe secondo direttive proprie, molteplici e slegate da un interesse collettivo. È indispensabile invece trovare e utilizzare modalità laiche per discernere cosa è ritenuto bene per l’insieme della popolazione e cosa danneggia la convivenza, quali adattamenti escogitare affinché il meglio sognato non uccida il bene possibile.Un’etica condivisa non è utopia: si tratta allora di individuarla, perseguirla, garantirla con mezzi consoni a uno stato non confessionale che si faccia carico di una società ormai

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plurale per religioni e culture. Non dimentichiamoci che l’umanità è una, che di essa fanno parte religione e irreligione e che, comunque, in essa è possibile, per credenti e non credenti, la via della spiritualità, intesa come vita interiore profonda, come ricerca di un vero servizio agli altri, attenta alla creazione di bellezza nei rapporti umani. Sono sempre stato convinto che esiste anche una spiritualità degli agnostici, di quanti sono in cerca della verità perché insoddisfatti di verità definite una volta per tutte: è una spiritualità che si nutre di interiorità, di ricerca del senso, di confronto con l’esperienza del limite e della morte.Si tratta, di essere tutti fedeli alla terra e all’umanità, vivendo e agendo umanamente, credendo all’amore, parola oggi abusata fino a svuotarla di significato, ma parola unica che resta nella grammatica umana universale per esprimere il “luogo” cui l’essere umano si sente chiamato. Del resto la fede – questa adesione a Dio sentito come una presenza soprattutto a causa del coinvolgimento che il cristiano vive con Gesù Cristo – non sta nell’ordine del “sapere” e neppure in quello dell’acquisizione: si crede in libertà, accogliendo un dono che non ci si può dare da sé. Analogamente gli atei, nell’ordine del sapere non possono dire “Dio non c’è”: è, infatti, un’affermazione possibile solo nell’ambito della convinzione. Del resto, il cristianesimo riconosce che il Dio in cui crede è presente e agisce anche nella coscienza di chi non crede, perché ogni essere umano è stato creato a immagine e somiglianza di Dio e ha in sé la fonte del bene.La laicità dello stato è allora quella opzione di fondo che consente di reinventare continuamente strumenti condivisibili e linguaggi comprensibili da tutti, di garantire presidi di libertà e di non sopraffazione, di difendere la dignità di ciascuno, a cominciare da quelli cui viene negata, di consentire a ciascuno di ricercare, anche assieme ad altri, la pienezza di senso per la propria vita.

2594 - IL CUORE O LA VITA: IL DILEMMA DI HACK - DI FERDINANDO CAMOON da: La Stampa di sabato 15 dicembre 2012L’astrofisica Margherita Hack, scienziata conosciuta in tutto il mondo, pone un drammatico dilemma: è meglio vivere a lungo ma male o poco ma bene? Lei fa la seconda scelta. Ha un problema al cuore, è necessario un intervento chirurgico che può avere rischi e conseguenze, e lei rifiuta: «No grazie, preferisco vivere poco ma bene, a casa mia, con mio marito, i miei cani e il mio computer».È una scelta che, così o in forme simili, si presenta in tante famiglie. Nel caso della Hack c’è un dato in più: la scienziata ha 90 anni, e questa cifra cambia la valutazione sia della vita vissuta che della vita da vivere: a 90 anni il futuro non può più essere molto lungo. La scienziata annuncia la scelta così: «Meglio un giorno da leone che cent’anni da pecora». Come i soldati che, da quelle parti, andavano in prima linea: morire con coraggio o vivere con viltà?È il problema dell’accettazione della morte. Un’impresa impossibile a chiunque, tranne a quei fortunati che, tirando le somme, trovano che il risultato finale della loro vita è positivo. Ricordo una conversazione con Eugenio Montale: «Noi tutti desideriamo morire… no, non tutti lo desiderano, ma io sì comunque, per ragioni private… desideriamo morire dopo una esperienza perfezionatrice». Prima venga la «perfezione», poi può venire la morte. È il desiderio di Faust, come lo racconta Goethe: vivere fino al momento di esclamare: «Férmati, o attimo, sei bello!». Quell’attimo vale qualunque prezzo, anche quello, come succede a Faust, di vendere l’anima al diavolo. Il che significa: per un attimo perfetto, la dannazione eterna. Faust crede di trovare l’attimo perfetto nel lavoro, nella trasformazione del mondo, nel tinnir delle vanghe, nel vedere l’umanità all’opera. La «signora delle stelle», come il giornale di Trieste chiama Margherita Hack, ha lo stesso desiderio: vivere lavorando, in contatto col marito, con i suoi otto gatti, col computer, le email e Skype. Questo è vivere. Un’operazione al cuore a 90 anni, la degenza, la non

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autosufficienza, il bisogno di aiuto per ogni minima necessità, il distacco dall’umanità cioè da noi, tutto questo non è vivere. Oggi alle 17,30 la Signora delle Stelle si collega via Skype con un convegno, e parlerà. Tutti diremo: è viva. Se fosse stesa a letto e non potesse far niente, non potremmo dire altrettanto. Un prolungamento, magari breve, della vita, è vita, mentre un anticipo, magari lungo, della morte, è morte.

2595 - NOZZE CIVILI E NORD - DI CHIARA SARACENOda: la Repubblica di mercoledì 19 dicembre 2012Nonostante l’orgogliosa e aggressiva rivendicazione dell’identità cattolica delle maggioranze politiche che governano molte di quelle regioni, la più parte dei giovani che si sposano – per altro sempre meno – non ritiene di aver bisogno anche della sanzione religiosa. Anche al Centro si stanno avviando nella stessa direzione. Il matrimonio religioso continua a essere scelto dalla stragrande maggioranza solo nel Mezzogiorno.Le ragioni di questo mutamento in quella che è pur sempre una transizione importante nella vita delle persone – mettersi ufficialmente in coppia – sono più di una. La prima è sicuramente l’aumento dei divorzi (fenomeno consistente soprattutto nel Centro-Nord), in quanto apre alla possibilità di seconde nozze che non possono essere che civili. Per altro, se non ci fossero le seconde nozze, il calo dei matrimoni apparirebbe ancora più consistente. Anche l’aumento dei matrimoni in cui uno dei due coniugi è straniero (di nuovo più numerosi al Nord) è una delle cause di aumento dei matrimoni civili; perché è più facile che i due non abbiano la stessa religione e nessuno dei due voglia rinunciare a priori ad educare i figli nella propria,come chiede invece la Chiesa cattolica al coniuge non cattolico, o non attribuiscano lo stesso significato al rito religioso. Ma i matrimoni civili sono in aumento, soprattutto al Nord, anche tra i primi matrimoni tra italiani: ormai uno ogni quattro in Italia. Non si può non mettere in rapporto quest’ultimo dato con quello dell’aumento delle convivenze senza matrimonio, dei matrimoni preceduti da una convivenza (uno ogni tre, di più al Centro-Nord), delle nascite fuori dal matrimonio ma dentro a una convivenza (riguarda ormai un nuovo nato ogni quattro).Tutto questo segnala che è in atto una lenta modifica del matrimonio e dello stesso modo di fare famiglia. Cambiano le tappe: prima si hanno rapporti sessuali, poi si va a vivere assieme, magari si fa un figlio, poi ci si sposa; ma il matrimonio, non diversamente dalla convivenza, non è irreversibile. Si tratta di mutamenti culturali che non possono più essere ignorati, anche al momento della scelta del rito matrimoniale, in nome dell’indubbia maggiore suggestività del rito religioso. Se fossi parte della Chiesa cattolica lo prenderei come un atto di serietà, che restituisce al rito religioso il suo carattere sacramentale, importante per i credenti veri, liberandolo dalla funzione di “bella festa” cui accedono indifferentemente credenti e non credenti. E mi interrogherei sul significato della persistente popolarità del matrimonio religioso nel Mezzogiorno.

2596 - È L’ATEISMO LA TERZA “RELIGIONE” DEL MONDO - DI ANGELO AQUAROda: la Repubblica di mercoledì 19 dicembre 2012New York. Se la religione è davvero l’oppio dei popoli, ci siamo fumati anche questa, visto che il culto in ascesa nel mondo porta il nome di ateismo. Sì, un uomo su sei sulla terra è senza Dio: o quantomeno non crede nel Dio di una chiesa particolare. E la chiesa dei senza fede è già la terza nel villaggio globale. La prima è quella dei cristiani: 2.2 miliardi di persone. La seconda è una moschea: i musulmani sono 1.6 miliardi. Al terzo posto del podio balzano dunque i non credenti: 1.1 miliardi. Che succede? Dopo aver conosciuto una società senza padre, come avevano profetizzato i sociologi anni 60, abbiamo deciso di mandare in pensione anche il Padre Eterno?

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Per la verità il quadro offerto dai ricercatori del Pew, l’istituto di indagine più prestigioso d’America, è un tantino più complesso, come del resto argomento comanda. Tant’è che la definizione che gli studiosi propongono per gli atei del Terzo Millennio è la più flessibile “unaffiliated”, che qui si potrebbe tradurre con non adepti, quelli appunto che non partecipano attivamente a un culto. Una non chiesa molto più che variegata. «I non adepti includono gli atei, gli agnostici e chi non si identifica in nessuna religione particolare» si legge nelle 81 pagine di questo “The Global Religious Landscape”. Ma gli autori del rapporto subito mettono le mani avanti: rimettendo le mani giunte anche a questi benedetti non adepti. Molti di loro, infatti, “hanno qualche forma di credenza religiosa”. Che cosa vuol dire? Che «per esempio, la fede in Dio o in qualche potenza è condivisa dal 7% dei cinesi, dal 30% dei francesi e dal 68% degli americani» sempre nella categoria unaffiliated”.Di più: «Alcuni di questi partecipano in qualche modo a certe pratiche religiose. Per esempio, il 7% in Francia e il 27% negli Stati Uniti rivelano di presenziare a una funzione religiosa almeno una volta all’anno». Questo naturalmente non basta a considerarli credenti: spesso, per esempio, la partecipazione è legata a riti anche civili come matrimoni e funerali. O quantomeno quel sentimento che così di rado li porta in chiesa, moschea, sinagoga o quant’altro viene classificato più come ricerca dello spirito che senso religioso vero e proprio.Le curiosità ovviamente non mancano. Sempre per restare ai non adepti si tratta del 16% della popolazione mondiale: la stessa percentuale dei cattolici. Tre quarti vivono in Asia: segue l’Europa (12%, 134.820 milioni), l’America del Nord (5%, 59.040 milioni) e il resto. Tra le grandi religioni, gli induisti seguono cristianesimo e Islam con 1 miliardo di fedeli, i buddisti con mezzo miliardo e gli ebrei con 12 milioni. La religione di domani sembra l’Islam: i musulmani hanno la media d’età più giovane, 23 anni, ebrei e buddisti la più alta, 36. In totale, i credenti sono l’84% della popolazione mondiale: calcolata nel 2010, anno dei rilevamenti, 5.8 miliardi.Dice al New York Times il professor Conrad Hackett, uno dei pilastri dello studio, che «è la prima volta che i numeri sono basati su un sondaggio analizzato in modo rigoroso e scientifico»: 2500 fonti in 232 paesi. Sarà. Eppure a ben guardare una setta manca: con 1.01 miliardi, quell’oppio del web chiamato Facebook non s’è già fumato gli amici hindu?

2597 - GLI ITALIANI E GLI IMMIGRATI - DI FURIO COLOMBO da: il Fatto di domenica 23 dicembre 2012Caro Furio, ti scrivo nella giornata che l'ONU dedica ai migranti (18 dicembre) e mentre leggo un rapporto di Amnesty International che classifica l'Italia uno dei peggiori Paesi nei confronti di coloro che vengono a cercare salvezza nel nostro Paese. Ti chiedo perché proprio noi, siamo e siamo stati così crudeli, indifferenti e incapaci?LilianaRisponde Furio ColomboPerché noi siamo il Paese della Lega, partito di profittatori fondato sulla paura, e su rozzi sentimenti di paleo-fascismo. Perché noi siamo il Paese di Berlusconi, che ha messo nelle mani di un partito secessionista e razzista il ministero dell'Interno, dando cioè ai peggiori tutti gli strumenti di persecuzione. E lo ha fatto perché in cambio voleva voti per le sue leggi ad personam.Perché l'Italia è il Paese della “Bossi-Fini”, la peggior legge europea contro persone più deboli e indifese. Perché abbiamo tollerato (istituzioni, Chiesa e media) che il capogruppo della Lega Nord al Parlamento europeo fosse il pregiudicato Borghezio, celebre per eventi di stampo nazista.

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Perché - in omaggio e ubbidienza all'editore - padrone Berlusconi, i media italiani, a cominciare dalla televisione di Stato, si sono prestati a tacere su fatti disumani e nessuna inchiesta è stata mai tentata, neppure dopo l'uscita dal potere di Berlusconi, sui migranti morti nel Mediterraneo senza soccorsi e senza altra politica che non fosse il famigerato "respingimento in mare" attuato con la complicità criminale di Gheddafi. Perché ci siamo legati a Gheddafi, con una stretta e "fraterna" alleanza, accogliendo come un sovrano uno dei dittatori più crudeli, specializzato in uccisioni di massa nelle sue prigioni, oppure nella vendita dei prigionieri ai predoni del Sahara (gli stessi prigionieri che vengono venduti o uccisi nel Sinai in caso di mancato pagamento, dopo essere stati trasportati in catene da un ignobile mercato all’altro). Noi, la Repubblica italiana nata dalla Resistenza, siamo stati il Paese e il governo che più hanno infierito sulla condizione di debolezza e di sottomissione degli immigrati. Il Paese che ha inventato il delitto di "clandestinità" estraneo a ogni sistema giuridico democratico, che ha riempito le sue prigioni sovraffollate, per metà di non italiani spesso del tutto incolpevoli o colpevoli solo di reati inventati dalla burocrazia di un governo incivile ed estraneo alle regole democratiche, che ha lasciato senza pasti i bambini nelle scuole e ha tentato di lasciare senza cure i colpevoli dell'inesistente reato di clandestinità. L'immagine internazionale dell'Italia come si vede è pessima e tutto ciò ha a che fare con la fiducia, che il Paese sotto Berlusconi ha cominciato a perdere. Questa non è la descrizione dei cittadini italiani, che sono colpevoli di astensione ma non di partecipazione alla crudele stupidità Berlusconi-Bossi. E deve essere un omaggio alla massa di immigrati e clandestini che, nonostante tutto quello che è stato detto in questa pagina e provato dagli eventi (e peggiore di quanto qui detto, nella realtà quotidiana) non si sono mai abbandonati ad atti di rivolta o di violenza e fino a ora hanno violato le leggi del Paese ospitante meno, molto meno dei cittadini italiani.

2598 - UNA COPPIA SU TRE CONVIVE PRIMA DELLE NOZZE - DI G. VALENTINIda: la Repubblica di giovedì 27 dicembre 2012Al giorno d’oggi il termine “fidanzati” è caduto un po’ in disuso. Adesso, per le coppie non ancora sposate, si usa dire comunemente “compagni” per indicare due persone che “stanno insieme”. Ma la novità è che anche all’interno del mondo cattolico aumentano i “conviventi”, prima e fuori del matrimonio, con buona pace dei precetti morali della Chiesa che si ostina a considerare irregolari i rapporti prematrimoniali. E ciò mentre nelle regioni settentrionali le nozze civili superano ormai quelle religiose.La tendenza risulta da un’indagine del Centro internazionale studi sulla famiglia, sotto l’egida della Conferenza episcopale italiana, realizzata fra i giovani che frequentano i corsi di preparazione al matrimonio. Sull’universo del campione, da cui sono stati raccolti 5.437 questionari su un totale di 20.000 in 35 diocesi di tutt’Italia, il 27% dei fidanzati dichiara di essere già convivente. Ma lo stesso responsabile della ricerca, Pietro Boffi, avverte nella relazione che il dato può risultare sottostimato, proprio per la posizione ufficiale della Chiesa su questo delicato argomento: in effetti, oltre un terzo delle coppie di fedeli praticanti convive prima del matrimonio.Anche qui influisce, però, il contesto sociale e territoriale. Al Nord la convivenza tra i fidanzati tocca il 48%, al Centro arriva al 38% e al Sud invece scende drasticamente al 9%. È lo specchio di una realtà variegata in cui si riflettono differenze profonde di cultura, di tradizione e di costume. Una mentalità collettiva ancora diffusa nelle regioni meridionali che, in modo particolare nelle fasce più popolari, relega la donna a un ruolo subalterno di “sposa illibata”, subordinando in pratica la sua emancipazione al rito del matrimonio.Non a caso le percentuali minime di convivenza si riscontrano in Abruzzo (6,8%), in Campania (7,4) e in Molise (7,8). Mentre quella di gran lunga più alta viene registrata in Emilia Romagna (74%). Seguono a distanza il Veneto, la Sardegna e la Liguria con il 50%.

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Naturalmente, la convivenza prematrimoniale tende ad aumentare con l’età dei fidanzati: oltre i 40 anni, sale fino al 38%. Ma è particolarmente interessante l’incrocio fra questi dati con il titolo di studio, la condizione professionale e la pratica religiosa. Se fino a qualche tempo fa il fenomeno era maggiormente diffuso fra i ceti più istruiti, oggi il livello di scolarizzazione non è più una discriminante: anzi, la percentuale più alta (28,6%) si riscontra tra i fidanzati con licenza di scuola media inferiore, anche rispetto a quelli laureati.In parallelo, si poteva ritenere che i conviventi prima del matrimonio fossero soprattutto giovani senza la sicurezza di un lavoro e di un reddito, disoccupati o precari costretti a fare quasi una scelta di necessità o, per così dire, di mutua assistenza. La ricerca dimostra invece che chi ha un lavoro stabile e duraturo (29,2%) già convive, ancor prima di sposarsi, più di chi ha un’occupazione a tempo determinato (25,4) e dei non occupati (18,8).Ma quanto influisce la pratica religiosa su questo trend? È ovvio che la convivenza pre-matrimoniale risulti più diffusa tra i fidanzati non praticanti (41,6%) che pure frequentano i corsi diocesani di preparazione al matrimonio con un grado di generale soddisfazione. Ma la sorpresa è che, sommando i “praticanti regolari” e i “praticanti attivi e impegnati” che già convivono, si arriva quasi al 33%: ormai una coppia su tre che si dichiara più vicina alla fede religiosa è formata insomma da conviventi. E deve far riflettere che il 13% sia rappresentato proprio dai fedeli più ferventi.Dall’indagine del Cisf, emerge poi che i fidanzati iniziano la loro convivenza in media a 29 anni e si presentano ai corsi di formazione dopo aver già convissuto più di due anni. E circa la metà di loro ha fatto questa scelta entro i primi tre anni di relazione. Un ulteriore elemento, considerato indicativo dai curatori della ricerca, è che in genere tra i “praticanti attivi e impegnati” la durata della convivenza è inferiore ai due anni, più breve quindi rispetto alle altre categorie.Quanto alla futura abitazione, quasi il 77% dei fidanzati dichiara che - una volta sposati - andranno a vivere in una casa di proprietà e il 18% in affitto. Solo una piccola minoranza resterà con i genitori. Ma in ogni caso il 36% usufruirà di un aiuto economico, fornito per la maggior parte dalla famiglia d’origine (96,2%).Fidanzati, cattolici e anche conviventi. Non sbagliava, dunque, quel sant’uomo di monsignor Martini quando nelle sue “Conversazioni notturne a Gerusalemme” predicava una maggiore comprensione e tolleranza da parte della Chiesa nei confronti dei rapporti prematrimoniali fra le giovani coppie. Il suo era soprattutto un richiamo alla realtà, fondato sulla consapevolezza del tempo in cui viviamo e sull’esercizio della responsabilità individuale. E forse non aveva torto neppure quando avvertiva che «la Chiesa cattolica è indietro di duecento anni».

2599 - CHE COSA C’È DIETRO LA CRISI DEI MATRIMONI - DI LUIGI CANCRINIda: l’Unità di sabato 29 dicembre 2012Secondo i dati Istat del 2011 nel Nord Italia i matrimoni civili avrebbero superato quelli religiosi. Perché? Oltre alla secolarizzazione dei costumi andrebbe considerata la massiccia presenza della popolazione immigrata che porta ai matrimoni misti celebrati con rito civile. Inoltre molte nozze non religiose sono secondi matrimoni che spesso non possono essere celebrati con rito religioso.Ivan Jirsa FerrariRisponde Luigi CancriniL’impossibilità di celebrare nozze religiose per i divorziati c’era anche prima. Che gli immigrati diano un contributo importante alla diminuzione dei matrimoni religiosi, d’altra parte, è discutibile se si pensa alla percentuale importante di emigrati che vengono

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dall’America Latina che a sposarsi in Chiesa ed a battezzare i figli generalmente tengono non poco. La tendenza degli italiani ad evitare il matrimonio religioso (ma anche quello civile), dunque, va analizzata con cura. Ragionando sui costi sempre più difficili da sostenere per le coppie giovani. Ma ragionando, soprattutto, sulla difficoltà delle nuove generazioni ad accettare l’idea di quel «per sempre» cui il rito, e soprattutto il rito religioso costringe di fatto chi ne accetta, al di là della forma, la sostanza. Morale e spirituale. Una speranza di vita sempre più alta e l’esperienza quotidiana dei drammi famigliari e di coppia hanno determinato una consapevolezza diffusa del fatto per cui «per sempre» è la fortuna di pochi ma la condanna di molti, che i genitori capaci di fare i genitori restano tali anche se c’è separazione o divorzio e che quelli che sbagliano continuano a sbagliare anche se si forzano a restare insieme. Quella che conta sempre di più per i giovani è la fiducia rinnovata ogni giorno e mai imposta dall’esterno in sé stesso e nell’altro. A chiedere il «matrimonio» oggi sono soprattutto le minoranze che cercano tutela e riconoscimento. La politica e la religione tardano a capire che il mondo cambia. Accorgersene sarebbe importante. A partire, magari, dal 2013?

2600 - QUALE EGUAGLIANZA PER QUALE LIBERTA’ – DI GRAZIELLA STURARO(*)Nel numero 7 dei “Quaderni laici” dal titolo “Quale eguaglianza per quale libertà? Da Thomas Hobbes ad Amartya Sen” edito da Claudiana – Torino e a cura dell’Associazione “Libertà e Giustizia” che da anni concentra la sua parte di impegno in giornate di studio dedicate alla cultura politica, si propone un interessante e lungo excursus sul concetto di libertà a partire da Aristotele per il quale l’uomo libero è colui “che vive per sé e non per un altro” e da Machiavelli dei Discorsi in cui la giusta libertà è data dalla “pari equalità” per giungere ad Etienne de La Boétie e la sua novità nel dichiarare che tutti gli uomini sono naturalmente liberi ed eguali con la prescrizione che tutti devono poterlo diventare.Tale aspetto normativo verrà ripreso dall’articolo primo della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1789 riconoscendo che tutti gli “uomini nascono e rimangono liberi ed eguali nei diritti” mentre con Alexis de Tocqueville si aggiungerà ancora un aspetto ossia che “ciascuno si porta dietro, nascendo, un identico diritto alla libertà” senza dimenticare che, grazie ad alcuni teorici come Rousseau, Condorcet, Constant e Mill, si affermerà un duplice approccio al tema in quanto mentre per il pensiero liberale libertà significa, in primo luogo, assenza di interferenza sull’azione dei singoli, per il pensiero democratico essere liberi significa anzitutto darsi leggi proprie per cui il problema cruciale rimase in seguito quale forma di libertà si sarebbe potuta estendere a tutti.Sicuramente le riflessioni più avanzate si devono a Condorcet che, per la prima volta, coniuga le ragioni del liberismo a quelle della democrazia politica ed il principio di universalità a quello di differenza. Infatti, nel suo pensiero, libertà significa per ogni individuo liberazione da ogni forma di potere dispotico e di costrizione ingiustificata mentre la considera una sorta di diritto positivo inegualmente distribuito a causa delle differenze sociali dovute alla razza, la religione e alla propria estrazione. Segue il pensiero di Hobhouse il quale considera l’intrecciarsi equilibrato tra la libertà come non impedimento e non costrizione all’agire e la libertà come autodeterminazione e autosviluppo poiché tutte appaiono finalizzate alla realizzazione armonica delle potenzialità dell’individuo.Gli interventi nell’ambito di questo volume sono tutti molto significativi ma segnalerei in particolare quello di Alessandro Ferrara (Professore ordinario di Filosofia politica presso l’Università di Roma “Tor Vergata”) con il quale porta a conoscenza “Liberalismo politico” di John Rawls del 1993 considerato il contributo più importante alla filosofia politica dai tempi di John Stuart Mill e poco citato fuori dai circoli intellettuali.

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Infatti, fin dalla pubblicazione del suo primo articolo Outline of a Decision Procedure for Ethics del 1951, Rawls evidenzia un’idea fondamentale ossia che ci troviamo a vivere in società molto complesse nelle quali occorre trovare un metodo o comunque una modalità per affrontare le diverse conflittualità e che possano risultare accettabili a tutte le parti coinvolte.Ebbene, si tratta di laicità. O per lo meno della ricerca di uno spazio neutrale nell’ambito del quale tutti possano convivere indipendentemente dalla propria visione politica o adesione ad una confessione religiosa e non.Lo stesso vale per il problema della giustizia in quanto una società moderna si caratterizza per l’assenza di un ideale sovraordinato del genere per cui vanno trovate risposte che devono risultare accettabili a tutti anche se si tratta di individui orientati verso concezioni differenti del bene.Fortunatamente abbiamo lasciato alle spalle un secolo connotato da grandi e tragiche dittature per le quali gli uomini dovevano lavorare o, per meglio dire, venivano costretti ad impegnarsi per un bene comune nel quale pochi realmente si identificarono.In “Liberalismo politico” non vi è solo la presa di coscienza del pluralismo delle società attuali ma bensì di una sorta di “pluralismo ragionevole” nel quale troviamo la compresenza di visioni etiche diverse tra loro che, nonostante siano in competizione, si riconoscono a vicenda in buona fede e non come errore ideologico anche senza trovare soluzione in una vittoria finale. Di conseguenza non esistono verità assolute.In sostanza “giustizia come equità” mentre la nuova domanda che Rawls pone è la seguente: “Come è possibile che permanga continuamente nel tempo una società giusta e stabile di cittadini liberi e uguali che restano profondamente divisi da dottrine religiose, filosofiche e morali ragionevoli?”.Sicuramente il mantenersi su un terreno condiviso indipendentemente dalla propria visione e, aggiungerei, l’eliminazione di qualsiasi interferenza di tipo confessionale nella sfera pubblica garantita dalla laicità dello Stato e delle sue istituzioni.In effetti, dai tempi di Voltaire ed il suo ideale di tolleranza e di Kant con il suo principio di autonomia o di Mill che poneva l’attenzione sul pericolo di istituzionalizzare una singola visione del bene comune è trascorso molto tempo ma sono argomentazioni tuttora valide ed attuali che rimangono un punto fermo in chi crede nella rivendicazione dei diritti umani.Secondo Rawls il nucleo dell’idea di ragione pubblica è dato dall’assunto per cui, nell’area della deliberazione, per l’appunto pubblica, agire su una base che sia più limitata dell’”intera verità”, e tuttavia condivisa, è preferibile.Viene posta come esempio la nostra Costituzione che non si può considerare integralmente né cattolica, né marxista, né liberale in senso classico in quanto nata da abili compromessi politici, in un preciso e delicato periodo storico per il nostro paese, ma che consente a tutti di condividere dei principi che, anche se non esauriscono da soli l’intero universo di valori dei cittadini, rimangono il riferimento normativo per eccellenza.E oserei dire che, la stessa, andrebbe ampliata ed integrata in quanto la società si è notevolmente trasformata, le esigenze sono mutate e molte inutili rivendicazioni sono state ormai abbandonate dal momento che anche le scelte relative alla sfera dell’autodeterminazione non richiedono soluzioni in tale senso ma vanno in un’altra direzione, come in questo caso, nei rapporti con la scienza ed il progresso scientifico. Una materia che si spinge fin dove arriva a dare spiegazioni con la logica mentre, ad oggi, le battaglie si combattono sul terreno della biologia, della bioetica e della biotecnologia.L’uomo è realmente libero nel momento in cui può affermare la propria volontà su se stesso e non può esservi giustizia o equità se non è in grado di esplicare tale diritto.Ed è per questo motivo che sarebbe opportuno volgere lo sguardo ai paesi più moderni d’Europa in quanto l’Italia è rimasta di alcuni passi indietro a causa del clericalismo dilagante in tutte le sue forme e di un sistema politico fortemente corrotto.

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(*) Graziella Sturaro è la responsabile di LiberaUscita per il Piemonte

2601 - REGIONE TOSCANA: APPROVATA MOZIONE SU OMOFOBIA E TRANSFOBIASi riporta qui sotto il testo della mozione a prima firma Mauro Romanelli, di Sinistra Ecologia e Libertà, sottoscritta da tutto il centrosinistra e approvata all'unanimità dal Consiglio regionale della Toscana in data 5 dicembre 2012. Sottotitolo della mozione: educazione delle nuove generazioni e formazione di insegnanti e genitori. Il Consiglio regionale della Toscana,Premesso che:- Il Parlamento Europeo con più risoluzioni ha invitato gli Stati membri ad agire per contrastare i diversi fenomeni in cui l’omo-transfobia si manifesta;- la stessa Unione Europea ha recentemente e di nuovo richiamato il nostro paese a legiferare sulle unioni tra persone dello stesso sesso, in particolare sottolineando, al paragrafo 7 del rapporto Ue sulla parità di genere: "E' inammissibile che i governi mettano in atto definizioni restrittive della definizione di 'famiglia' allo scopo di negare la protezione legale alle coppie dello stesso sesso e ai loro bambini" ....;- La Costituzione della Repubblica Italiana, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea in più passaggi ugualmente sanciscono l’eguaglianza di tutti i cittadini e la condanna di qualsiasi discriminazione senza distinzione alcuna tra le condizioni personali e gli orientamenti sessuali;- Che da tempo l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato l’omosessualità una “variante naturale del comportamento umano”, depennandola da ogni tipo di classificazione patologica;- Che la Regione Toscana è più volte intervenuta contro le discriminazioni determinate dall'orientamento sessuale o dall'identità di genere;Considerato che:- In Italia vige, purtroppo, ancora oggi una cultura diffusa che tende a considerare le persone omosessuali, transessuali e transgender come perverse o malate, rendendole spesso oggetto di scherno e discriminazione e obbligandole a nascondersi e spesso a rinunciare, per paura di essere scoperte, al diritto di denunciare maltrattamenti, percosse, furti o ricatti;- Gli episodi di omofobia da anni sono in costante e progressivo aumento e che anche la Regione Toscana, non è stata purtroppo immune da fatti così gravi;Considerato il dato ormai consolidato, di suicidi e tentati suicidi, nell’età dell’adolescenza, frequentemente causati o in relazione con fenomeni di bullismo, e/o mancanza di punti di riferimento, negli adulti e negli educatori, spesso inadatti a consigliare o stare vicino a un ragazzo o una ragazza nella fase della scoperta del proprio orientamento sessuale;Considerato che le iniziative ed i progetti sulla questione dei diritti d'identità sessuale Lgbt messe in atto negli anni dalla Regione Toscana hanno bisogno di nuovo slancio e aggiornamento; Impegna la Regione Toscana- A predisporre una capillare campagna comunicativa e socio-culturale per contrastare il fenomeno dell’omofobia e della transfobia, che preveda iniziative formative nelle scuole, nella pubblica amministrazione, tra le forze dell’ordine e nei luoghi di lavoro;- A promuovere, anche in coordinamento con le associazioni e gli organismi operanti nel settore, iniziative destinate a sensibilizzare l’opinione pubblica verso la cultura delle differenze, la prevenzione e la condanna degli atteggiamenti e dei comportamenti di natura omofobica e trans fobica, la formazione degli adulti, degli insegnanti e degli educatori a rapportarsi con i giovani rispetto al tema dell’orientamento sessuale;- A promuovere, in collaborazione con gli organismi istituzionali di competenza, interventi nella scuola, perché istituzione deputata all’educazione dei futuri cittadini a una cultura

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delle diversità e quindi luogo principale per lo sviluppo d’iniziative dedicate alla lotta contro le discriminazioni;- Ad affrontare in maniera specifica tematiche come l'intersessualità, ovvero relativa a persone nate con sesso incerto o non deinibile come "maschile" o "femminile";- A riferire al Consiglio, entro sei mesi dall'approvazione della presenta mozione,sulle iniziative messe in campo e le risorse stanziate;- Ad attivarsi presso il Governo per l'approvazione di una legge nazionale seria e avanzata per le unioni civili, che riconosca la dignità affettiva, la reversibilità della pensione, il consenso su procedure diagnostiche o terapeutiche e faciliti le pratiche per il permesso di soggiorno.

2602 - PRATO: BIOTESTAMENTO, CI SIAMO QUASI! da: www.laicitaediritti.org di venerdì 30 novembre 2012Assemblea Libertà è Partecipazione, Libera Uscita e Laicità e Diritti hanno promosso lo scorso anno una raccolta di firme per chiedere che anche a Prato venga istituito un registro comunale per la raccolta di dichiarazioni anticipate di trattamento, meglio noto come testamento biologico (il registro risulterà a costo zero per l'amministrazione, in quanto i documenti potranno essere depositati all'ufficio anagrafe).La campagna è stata supportata e conclusa con la visita in città di Mina Welby e Beppino Englaro, al termine della quale sono state raccolte più di 300 firme.Le tre associazioni sono state invitate in commissione cinque del consiglio comunale di Prato, la quale ha approvato la proposta all’unanimità. Ringraziando l’impegno e l’attenzione riservataci dalla commissione comunale, ci auguriamo che si arrivi ad una approvazione definitiva. Vogliamo ribadire l’importanza del testamento biologico come strumento di libera scelta individuale, dove ogni individuo possa richiedere di ricevere trattamenti conformi alla sua volontà personale. Aldilà delle convinzioni e delle appartenenze politiche e sociali, crediamo che ogni individuo debba esser tutelato qualunque sia la sua scelta personale e conservare gli stessi diritti anche quando si trovi nell’impossibilità di esprimere la propria volontà.

2603- IMOLA: CITTADINANZA AI BAMBINI NATI IN ITALIA- DI RACHELE GONNELLI da: l’Unità di domenica 9 dicembre 2012La coltre di neve sui campi e il mercatino con le lucette in piazza Gramsci a Imola fanno l’effetto che tutto sia uguale a sempre in questa città di 70mila “anime” sulla via Emilia, Romagna profonda. Invece qualcosa di profondo sta cambiando, modificazioni del vivere di una comunità e della sua percezione sociale che non fanno rumore.La giunta comunale di Imola ha appena varato un provvedimento che parifica i diritti degli studenti immigrati e non, di più: riconosce tutti i bambini e i ragazzi nati in Italia da genitori stranieri e che partecipano ai percorsi scolastici e formativi come italiani e stanzia fondi per facilitare l’alfabetizzazione loro e dei loro genitori e la mediazione culturale. E finora solo il Pdl ha alzato una voce contraria al provvedimento che sarà votato in Consiglio comunale mercoledì. «Critiche anche molto civili dice l’assessore Marco Raccagna che ha portato in giunta il rinnovo del protocollo per l’accoglienza si sono limitati a dire che la giunta dell sindaco Daniele Manca sta surrettiziamente applicando lo ius soli cioè il diritto di cittadinanza per tutti quelli che nascono in Italia ndr senza che la normativa nazionale lo preveda. In realtà non stiamo facendo una forzatura, non siamo sovversivi, sappiamo che serve una nuova legge nazionale sulla cittadinanza e speriamo che Bersani, una volta premier, la faccia come ha promesso come prima misura del nuovo governo. Ma nel frattempo non possiamo far finta di non vedere tutti questi ragazzi che vivono, giocano, studiano accanto ai nostri figli, si considerano italiani, alcuni persino parlano dialetto». L’assessore Raccagna è convinto che sulla multietnicità di Imola anche la destra si sia arresa alla realtà. «Magari non ce la fanno a dire che sono d’accordo ma da un anno a

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questa parte vedo un atteggiamento diverso di fronte a questa problematica, toni più civili».In questa piccola città gli stranieri sono 7.014, il 10 per cento della popolazione. Marocchini, tunisini, albanesi, moldavi e ucraini soprattutto. Ma le statistiche dicono che di questi 1.077, cioè il 15 per cento del totale, sono ragazzi nati in Italia, nel 75 per cento dei casi bambini e minorenni. Con una legge sulla cittadinanza più moderna e europea questi ragazzini sarebbero italiani a tutti gli effetti. A Imola hanno iniziato a considerarli come tali già da ora. E quindi a farsi carico di eventuali loro problemi di integrazione sia con il resto della comunità cittadina sia all’interno delle loro famiglie d’origine. Spesso i genitori non parlano bene italiano o non lo sanno leggere e possono avere difficoltà e resistenze culturali nel capire comportamenti e relazioni dei figli.Altri comuni, come Pontedera in Toscana, hanno dato a questi bambini attestati di cittadinanza, «noi spiega ancora l’assessore alla scuola di Imola abbiamo optato per un gesto altrettanto simbolico ma più concreto». È stata stanziata una piccola cifra 55mila euro per appaltare a due cooperative sociali un servizio di mediazione culturale e uno per corsi di alfabetizzazione e sostegno all’apprendimento della lingua italiana. Quest’ultimo si avvale anche di insegnanti madre lingua dei Paesi d’origine per corsi intensivi dedicati ai 50-60 bambini che si inseriscono ogni anno nelle scuole elementari e medie a lezioni già iniziate.«È uno stanziamento molto modesto ma lo Stato non dà niente, sarebbe meglio che il governo si occupasse di tutto ciò così come di assistenza ai ragazzi disabili o di edilizia scolastica - dice Raccagna - invece sono gli enti locali a dover supplire». In effetti nella legge di stabilità attualmente in discussione non viene assegnato neanche un euro né al Fondo per l’inclusione sociale degli immigrati né al Fondo per le politiche migratorie. Gli unici capitoli di spesa previsti per l’immigrazione riguardano i Centri di identificazione e espulsione (236 milioni di euro per il 2013, 220 per il 2014 per spese correnti e investimenti sui Cie), in una logica che resta solo securitaria, non di inclusione. A Imola sono andati avanti, in un’altra direzione.

2604 - REGGIO EMILIA: VERSO IL REGISTRO DELLE UNIONI CIVILI da: Iniziativa laica n. 38 di domenica 16 dicembre 2012Finalmente il Consiglio Comunale di Reggio Emilia discuterà e deciderà di istituire il registro delle unioni civili. Secondo sondaggi, l'80% dei reggiani è d'accordo: due buone notizie insieme. E' un passo avanti importante: per sollecitare il Parlamento a fare la legge, per combattere l'omofobia e le pesanti discriminazioni contro gli omosessuali. L'Italia può in questo modo diventare davvero un paese europeo, dove già esistono leggi e cultura veramente civili. Qualcuno dice che questa non è una priorità, ma sbaglia: proprio in tempi come questi di drammatica crisi economica, i diritti civili sono un'assoluta priorità. Troppa violenza, troppe discriminazioni, sono tuttora operanti nella società italiana e proprio per questo bisogna procedere, sia pure gradualmente, per modificare la situazione.

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La sensibilità diffusa su questi temi è molto più avanti della situazione legislativa e delle scelte politiche e questo divario va colmato rapidamente. Anche la nostra città può e deve dare un contributo in questa direzione.

2605 - FIRENZE: IL TRIBUNALE RITIENE ANTICOSTITUZIONALE LA LEGGE 40 da: la Nazione di mercoledì 12 dicembre 2012 Il Tribunale di Firenze ha sollevato eccezione di costituzionalità sulla legge 40 sulla fecondazione assistita, rinviandola alla Consulta, rispetto al divieto di utilizzare per la ricerca scientifica gli embrioni malati o abbandonati, e come tale "scartati" dal processo di procreazione medicalmente assistita, e all'impossibilità di revocare il consenso informato.La decisione del Tribunale nasce a seguito del ricorso di una coppia di Firenze, portatrice di una patologia genetica, che a seguito di diagnosi preimpianto ha scoperto che gli embrioni prodotti tramite fecondazione assistita erano inidonei all'impianto. Di qui la richiesta di destinarli alla ricerca scientifica. Richiesta che cozza però contro due divieti contenuti nella legge 40: quello di revocare il consenso informato, che porterebbe automaticamente al trasferimento in utero anche di embrioni inidonei, e quello alla ricerca scientifica sugli embrioni soprannumerari. Il tribunale di Firenze, su ricorso presentato dal legale della coppia, Gianni Baldini, ha avanzato eccezione di costituzionalità rispetto all'articolo 32 della Carta, sul consenso informato, e gli articoli 9 e 33 sulla libertà di ricerca.

2606 - IRLANDA: CONTESTATA LA LEGGE SUL SUICIDIOda: Irish Examiner di martedì 4 dicembre 2012: Marie Fleming, 59 anni, malata terminale di sclerosi multipla, è stata ascoltata da tre giudici della Corte di Dublino. Marie Fleming è nelle fasi finali della sua malattia, la sua vita è un dolore costante e insopportabile, è immobilizzata su una sedia a rotelle, non è in grado di spostare le sue membra e sta cercando di porre fine alla sua vita, in un momento a sua scelta, tra le braccia del suo compagno Tom Curran. Nella sua dichiarazione, Marie ha detto che non ha paura di morire e si rammarica del fatto che non l’ha fatto prima di perdere l'uso delle braccia. Ora, infatti, a causa della sua disabilità, necessita di assistenza per poter morire. Il suo compagno ha detto che farà tutto il possibile per aiutarla. Se lo fa, potrebbe affrontare un processo e una condanna fino a 14 anni ai sensi del “Suicide act” del 1993. Marie contesta la costituzionalità di tale legge in quanto dovrebbe ammettere eccezioni per le persone che versano in condizioni particolari ed estreme, come le sue.

2607 – MASSACHUSETTS: LA CHIESA CONTRO IL SUICIDIO ASSISTITO da: MetroWest Daily News del 29 novembre 2012 – traduzione di A. Bonfiglioli per L.U.(MetroWest é un raggruppamento di città e paesi all’ovest di Boston e all’est di Worcester, chiamata anche "Arc of Innovation" perche l’area ospita le aziende più importanti e in rapida crescita dello stato del Massachusetts, molte delle quali hanno origine nelle attività dell’MIT, Harvard ed altre università della zona. ndr)

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Nello stato del Massachusetts sono stati realizzate recentemente tre consultazioni referendarie tra cui una sulla legalizzazione del suicidio medicalmente assistito. In questa ultima consultazione è prevalsa l’opposizione a tale legalizzazione. In data 29 novembre, l’ufficio statale per i finanziamenti politici ha fatto conoscere le somme spese dai comitati promotori dei quesiti posti nelle tre consultazione (le altre due riguardano, una la trasparenza dell’informazione sulla riparazione dei veicoli e l’altra la liberalizzazione della marijuana). La spesa totale, per la promozione dei tre referendum è stata di 9 milioni di dollari, di cui 5,9 milioni (65% del totale) corrispondono alla promozione del referendum sulla legalizzazione del suicidio medicalmente assistito. Il comitato promotore della risposta negativa a questo quesito ha speso 4 milioni di dollari, superando la spesa di qualsiasi altro comitato promotore. La maggior parte di questa somma è stata fornita da organizzazioni cattoliche interne ed esterne allo stato del Massachusetts.Il cardinale Sean O’Malley dell’archidiocesi di Boston ha attribuito il risultato del referendum alla azione di organizzazioni mediche e religiose mediche e religiose di tutto lo Stato, chiaramente contrarie alla opzione del suicidio medicalmente assistito. Sta di fatto che la chiesa cattolica del Massachusetts e di tutta la nazione ha fortemente sostenuto tale campagna. Lo stesso O’Malley aveva chiesto attraverso tutte le parrocchie dello Stato di dare un una risposta negativa al quesito referendario.

2608 - G.B.: TORY FAVOREVOLI AI MATRIMONI GAY - DI DINO MESSINAda: Corriere della Sera di lunedì 10 dicembre 2012La notizia non è che probabilmente entro la primavera del 2014 in Gran Bretagna saranno possibili i matrimoni tra partner dello stesso sesso (finora sono ammesse le unioni civili), ma che la spinta a questa vera rivoluzione nel costume venga dal partito conservatore che oggi guida il governo con David Cameron ed esprime anche il sindaco di Londra, Boris Johnson. Sono proprio i due più conosciuti rappresentanti dei Tory tra i promotori della campagna in favore della proposta di legge per il riconoscimento delle nozze gay, con la possibilità di celebrare i matrimoni anche in luoghi di culto. Accanto al sindaco di Londra e al primo ministro, anche altri esponenti di primo piano, come il ministro dell'Istruzione Michael Glove, quelli degli Esteri Alistair Burt e dei Trasporti, il cattolico Patrick McLoughlin, oltre al leader dei conservatori scozzesi Ruth Davidson. In tutto diciannove rappresentanti che con una lettera aperta al «Sunday Telegraph» hanno gettato lo scompiglio tra le fila dei tradizionalisti che di sicuro daranno battaglia contro la proposta.Al di là del successo dell'iniziativa, che la stampa britannica dà per scontato, a noi italiani, abituati con novecentesco riflesso condizionato a ragionare in termini di destra e sinistra, rimane la meraviglia che la proposta sia venuta dal partito conservatore. Ve lo immaginate il sindaco di destra della più grande città italiana firmare assieme al capo dello schieramento conservatore una proposta per i matrimoni gay? Una meraviglia ingiustificata, perché i diritti civili non dovrebbero avere colore politico.Ma forse in Italia la proposta di legge avanzata da Cameron e Johnson non sarebbe fatta propria nemmeno dallo schieramento di centrosinistra. Per quella storica prudenza dovuta alla presenza della chiesa che, come notava Massimo Teodori su questa pagina il 6 dicembre, difficilmente potrebbe spingere anche gli esponenti cattolici dello schieramento progressista a mettere in discussione quei «valori non negoziabili» che fin qui ci hanno dato tra le legislazioni più conservatrici in tema di coppie di fatto.

2609 – ISRAELE: SUICIDA IL PADRE CHE HA AIUTATO LA FIGLIA A MORIREda: Haarets del 3 dicembre 2013 – Traduzione di Alberto Bonfiglioli(Haaretz é un antico giornale Israeliano di tendenza liberale che si pubblica in ebraico e in inglese. L’edizione in quest’ultima lingua viene distribuita con l’International Herald Tribune. ndr)

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La decisione del dott. Mordechai Shtalrid, direttore dell’Istituto di ematologia del Rehovot's Kaplan Hospital, di praticare l'eutanasia a sua figlia Keren di 34 anni che soffriva di una forma non trattabile di cancro, e suicidatosi immediatamente dopo, ha reso evidente, ancora una volta, che in Israele si dovrebbe regolamentare il suicidio assistito nel rispetto del diritto dei pazienti di decidere sulla propria morte. É difficile accettare che il dott. Mordechai Shtalrid, se non si fosse suicidato, avrebbe dovuto sicuramente affrontare un’accusa di omicidio. Infatti, mantenere il controllo della propria vita, comprese le fasi finali, è un diritto basilare che dovrebbe prevalere su principi religiosi o di qualsiasi altra natura. La legge israeliana sui pazienti terminali del 2005 vieta ai medici di aiutare attivamente i pazienti in fin di vita a morire o di interrompere le misure artificiali di sostegno in atto. La legge però riconosce anche ai medici il diritto di astenersi dall’incitare all’adozione di misure per mantenere in vita pazienti terminali con una prognosi di vita inferiore ai sei mesi, e che abbiano espresso la loro volontà di non continuare a vivere.L’approvazione di tale legge aveva rappresentato un passo importante per i malati terminali ma è stata applicata solo parzialmente. Infatti, le restrizioni contenute nella legge lascia molti pazienti senza speranza. Inoltre, il Ministero della Sanità sinora ha approvato solo circa la metà delle in circa 4.000 richieste di assistenza a morire dei cittadini israeliani in situazioni terminali. Tre anni fa, Il Ministero aveva deciso di costruire in ogni ospedale centri di cure palliative, ma tale progetto è praticamente paralizzato a causa delle restrizioni di bilancio. È chiaro, in ogni caso, che la legge dovrebbe essere perfezionata rendendola più flessibile. Ciò non significa che il suicidio assistito possa essere praticato senza alcun controllo. La supervisione medica sarà sempre necessaria.L’ex parlamentare Haim Oron aveva presentato una proposta di legge che contemplava la possibilità per i pazienti terminali di ottenere la prescrizione di droghe destinate a mettere fine alla propria vita. La proposta non fu approvata, anche a causa dell’opposizione del Ministero della Sanità. Tuttavia, casi come quello già menzionato del dott. Shtalrids e sua figlia o come quello del conduttore radiofonico israeliano Adi Talmor, di 58 anni, che in seguito ad una diagnosi di cancro al polmone é andato in Svizzera per il suicidio assistito, rendono comunque evidente la necessità di trovare soluzioni alla volontà dei malati terminali che desiderano porre fine alla loro vita.

2610 - OMS: LINEE GUIDA SULLE PROSTITUZIONE, MA NON PER L'ITALIA…da: Aduc salute n° 50/2012L'Organizzazione Mondiale della Sanita' (OMS) ho sviluppato le linee guida per proteggere meglio i lavoratori sessuali da HIV e dalle malattie sessualmente trasmissibili (Sti). Professionisti del sesso che in molti luoghi sono altamente vulnerabili. La prostituzione è quindi questione molto sentita dalle istituzioni internazionali che - per fortuna del mondo - non si limita a dire, come accade nel nostro Paese, che per non avere problemi di nessun tipo è sufficiente non prostituirsi o non usufruire dei servizi sessuali a pagamento; non solo, ma se non segui questi consigli incappi in reati penali e/o amministrativi. Ultimi dei quali i “multoni” e il pubblico ludibrio a cui diverse amministrazioni comunali sottopongono chi vien beccato, foss'anche solo a sbirciare fermandosi con l'automobile.Oltre agli aspetti sanitari, inoltre, in periodo di crisi finanziaria, l'intelligenza di chi ci governa dovrebbe porre la propria attenzione su tutte le potenziali fonti di tasse. Soprattutto se si tratta di ambiti in cui l'evasione è totale e in cui non c'è crisi di consumi. Ambito che riguarda non solo la prostituzione, ma anche, per esempio, il consumo ricreativo di marijuana. Solo questi due ambiti non risolverebbero certamente la penosa situazione in cui i precedenti governi e il Parlamento hanno portato il nostro Paese. Ma sarebbero sicuramente un'indicazione di metodo e di presa d'atto di una realtà in cui sono coinvolti milioni di cittadini consumatori “condannati” a non essere anche contribuenti,

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nonché migliaia di cittadini prestatori di servizi anch'essi “condannati” a non essere in regola con tasse e sanità.Oggi l'OMS ci ha riportato alla cruda realtà per quanto riguarda la prostituzione, dando consigli che i lavoratori del sesso in Italia potranno seguire solo rispetto alla loro specifica sensibilità, non certo invogliati da strutture e servizi che, a loro disposizione nel SSN, li aiutino e li stimolino a preservare se stessi e i propri clienti.Certo, capiamo, il Vaticano, i partiti che ad esso si ispirano e che sono più papisti del papa, il prurito di ogni singolo moralista diurno che di notte poi “va a puttane”... siamo sicuri che è proprio così che dovrebbe andare il mondo, con il moralismo di pochi che si impone alla libertà e alla scelta di tutti? Con costi economici e sociali che - oltre a quelli ricordati sopra - coinvolgono anche quelle forze dell'ordine che spesso non hanno i soldi per la benzina delle gazzelle...

2611 - FRANCIA: VERSO IL DIRITTO DI MORIRE CON DIGNITÀ- DI HARVEY MORRISda: International Herald Tribune del 18.12.2012 – Traduzione per L.U. di A. BonfiglioliLe conclusioni di un rapporto commissionato dal Governo francese sembrano lasciare aperta la porta al riconoscimento del diritto alla morte dignitosa per malati terminali in Francia, che sarebbe così il prossimo paese a riconoscere in Europa tale diritto. Un portavoce del Presidente François Hollande ha affermato che si agirà portando in Parlamento, a giugno del prossimo anno, un progetto di legge sulla fine vita. L’iniziativa francese fa seguito all’impegno preso da Hollande durante la campagna elettorale di assistere medicalmente i malati terminali affinché possano morire con dignità, evitando comunque di usare la parola eutanasia. Subito dopo esser arrivato alla Presidenza della Repubblica, Hollande aveva commissionato un rapporto ad una commissione presieduta da Didier Sicard, ex-presidente del comitato nazionale di Etica. Dopo consultazioni condotte in tutto il paese, il rapporto, recentemente pubblicato, ritiene che il suicido assistito potrebbe essere appropriato in caso di malattie incurabili. La legislazione oggi vigente in Francia permette ai medici di somministrare solo antidolorifici, anche se possono ridurre il tempo di vita Il suicidio assistito é una questione sulla quale la pubblica opinione sembra essere molto più avanti del legislatore e della opinione medica prevalente. Difatti, un sondaggio recente commissionato dalla Federazione degli avvocati svizzeri di diritto sanitario alla società Isopublic (diffuso il 25 novembre da LiberaUscita - gs) fornisce chiare indicazioni che in tutti i paesi europei la legislazione vigente in materia di fine vita non rispecchia la volontà di ampie fasce della popolazione: due su tre cittadini europei sono infatti favorevoli al diritto di decidere sulla fine della propria vita.Un altro sondaggio internazionale su 62.000 persone condotto dall’Università di Bangor (Galles, Regno Unito) ha dato risultati simili segnalando, inoltre, che il sostegno al suicidio assistito è più o meno lo stesso tra malati terminali e cittadini in generale. Tuttavia la maggioranza della professione medica, al convegno annuale dell’Associazione medica britannica, ha espresso ancora una volta una posizione contraria a misure in favore dell’eutanasia (v. il Punto di novembre - gs).Il dibattito in Europa si é reso sempre più vivo, specie negli ultimi tempi, quando a diversi malati terminali è stato negato il diritto a morire. In Gran Bretagna, Tony Nicklinson, di 58 anni, che soffriva della “locked-in syndrome”, è morto per cause naturali ad agosto, poco dopo aver perso l’ultima battaglia legale in una lunga campagna per essere aiutato a morire. Mister Nicklinson era del tutto incapace di somministrarsi da solo le pozioni letali.In Francia Marie Humbert, una madre che nel 2003 ha aiutato a morire il suo figlio paraplegico mediante una iniezione letale, si è dichiarata delusa dal rapporto Sicard in quanto non ha sostenuto l’approvazione immediata di una legge che permetta l’eutanasia.

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Marie Humbert ha dichiarato in una intervista a radio Europe 1 che medici debbono poter aiutare coloro che vogliono morire e sono impossibilitati a farlo autonomamente.In Europa, la morte assistita é legale in Olanda, Belgio, Svizzera e Lussemburgo. In USA negli stati di Oregon, Washington e Montana. É probabile che se una nuova legge venisse approvata in Francia, seguirebbe in linee generali quella dell’Oregon, ove i malati terminali possono porre fine alla propria vita autosomministrandosi una pozione letale prescritta da un medico. In Europa la legislazione é molto variabile: dall’Olanda, dove il paziente può richiedere a un medico di praticargli l’eutanasia attiva, all’Irlanda dove il suicidio assistito è punibile con 14 anni di carcere (per non parlare dell’Italia.. - gs). Un numero considerevole di malati terminali di diversi paesi opta per la Svizzera, dove il suicido assistito è legale dal 1941.

2612 - ONU: CONTRO LE MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI (e commenti)da: LiberaUscita – [email protected]: venerdì 21 dicembre 2012 – h. 0,17 Riceviamo dal ns. socio Rino Tripodi e riportiamo qui sotto la buona notizia (pubblicata sulla rivista online "LucidaMente", da lui diretta) della approvazione da parte dell'ONU di una risoluzione contro le mutilazioni genitali femminili.Da poche ore l’Assemblea generale dell’Onu ha approvato una risoluzione contro le mutilazioni genitali femminili. Il testo, sostenuto dall’Italia, è stato presentato dal gruppo dei Paesi africani ed è il primo dedicato specificamente al tema. L’approvazione è avvenuta in sessione plenaria per consenso, senza discussione ed emendamenti al testo, a testimonianza dell’ampio accordo politico che è alla base del dispositivo. Nel testo si esortano gli Stati membri a condannare la pratica – testualmente definita «un abuso irreparabile e irreversibile» – che minaccia tre milioni di ragazze ogni anno e al quale sono state sottoposte 130-140 milioni di giovani donne in tutto il mondo. Ma fondamentale sarebbe la promozione di programmi ad hoc nel settore sociale ed educativo per favorirne l’abbandono. Tuttavia, molti sono i punti oscuri, che non inducono all’ottimismo. Innanzi tutto la risoluzione non è legalmente vincolante, e la richiesta ai 193 membri dell’Onu di «prendere tutte le misure necessarie, anche legislative, per proibire le mutilazioni genitali femminili e proteggere le donne e le ragazze da questa forma di violenza» suona astratta e lontana da una realtà imbarazzante, dato che, in realtà, molti Stati poco o nulla fanno al riguardo e tantissime comunità, soprattutto islamiche, la praticano e la incoraggiano senza problemi, tra mille complicità e silenzi, nazionali e internazionali. Si sbaglia nel credere che questa lotta riguardi soltanto Paesi in via di sviluppo. Sono infatti circa 35.000 le donne immigrate in Italia colpite da mutilazioni genitali, sebbene questa sia una pratica vietata per legge dal 2006, con una pena che può arrivare fino a 12 anni di reclusione. Molte comunità praticano ancora oggi l’infibulazione, su bambine e ragazze giovani. Questo accade ancora in 28 Paesi africani, in alcuni Stati dell’Asia orientale e occidentale e nel Corno d’Africa.da: Franco Toscani data: venerdì 21 dicembre 2012 – h. 11:30 Sono lieto per la decisione dell'ONU. Ma che dire delle mutilazioni genitali maschili? Intendo con ciò la circoncisione, effettuata su neonati non consenzienti, che ne vengono sicuramente traumatizzati, e che è non infrequentemente causa di infezioni, malformazioni, difetti di erezione e disturbi della copula, calo della sensibilità, difficoltà nell'esercizio di una delle più fisiologiche attività sessuali (la masturbazione). Ricordo che, al pari dell'infibulazione, non esiste prova scientifica che sia di qualche utilità per il soggetto (nonostante le leggende metropolitane di una riduzione dell'incidenza di tumori ecc). Anche la circoncisione, al pari dell'infibulazione, è fondata su pregiudizi religiosi, e tradizioni tribali che si perdono nella preistoria dell'uomo. Pur essendo meno

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drammatica delle mutilazioni genitali femminili, anch'essa è un abuso irreparabile ed irreversibile ma, al contrario di quelle, viene lecitamente eseguita anche in Paesi democratici dove solo per fare un prelievo di sangue è necessario il consenso informato! Saluti a tutti, e buon solstizio di invernoFranco Toscanida: Giuliano Degli Antoni - [email protected]: venerdì 21 dicembre 2012 – h.13:21Sono perfettamente d'accordo con te. Bisogna però tenere presente che sull'argomento si è espressa la Commissione Nazionale di Bioetica con parere espresso il 25/9/1998 e partendo da un'analisi della circoncisione femminile, negandola in toto, arriva a considerare la circoncisione maschile. suddividendola in quattro situazioni.1) circ. terapeutica (fimosi o parafimosi)2) circ. profilattica (esempio nei neonati per evitare infezioni alla vie urinarie)3) circ. rituale (ebraismo e islamismo)4) circ. con altre motivazioni.Dopo aver considerato le prime due dando parere ovviamente favorevole, arriva alla terza, quella che interessa noi. Partendo da un attento esame della Costituzione nei titoli che tutelano la libertà di religione considera fattibile questa circoncisione appunto per questo motivo: la tutela della libertà religiosa. Però arriva anche al punto di non negare la sua possibile pratica a dei non medici purché esperti e che tutelino dal punto di vista igienico il dopo-intervento. A me questo punto sembra assurdo, che possa intervenire un non medico su un neonato (otto giorni nell'ebraismo - età preadolescenziale nell'islamismo). Quello che il comitato sottolinea è che l'intervento, qualora fatto da un medico avvenga anche nelle strutture pubbliche, ma con medici convenzionati alla libera professione. Cioè a spese del richiedente. Questo perché l'intervento pubblico sarebbe possibile se fosse sotto il cappello degli articoli della Costituzione che tutelano la libertà religiosa; ma in questo caso non rientrerebbe in quanto si tutelerebbe una (o due) religione specifica e non rappresenterebbe un caso generalizzabile. Se interessa c'è un sito del Governo italiano - comitato nazionale di bioetica - pareri e risposte.1998.saluti.Giuliano Degli Antonida: Elena Adorno - [email protected] data: venerdì 21 dicembre 2012 – h. 13:40meglio tardi che mai...ma quanta strada ancora dev'essere fatta!!!!!Elena Adornoda: Franco Toscani ([email protected]) data: sabato 22 dicembre 2012 – h. 7:16So bene che molte legislazioni occidentali ammettono o tollerano la circoncisione. E non mi sorprende che la nostra commissione nazionale di bioetica, sempre appiattita sulle posizioni del magistero cattolico si sia espressa in tal modo D'altro canto non è forse dall'ebraismo che derivano sia il cristianesimo sia l'Islam? In entrambi i casi il peso culturale di un rito crudele di pastori dell'età del bronzo continua ad essere schiacciante anche su legislatori in teoria "laici". Ora, fatta salva l'indicazione terapeutica, che peraltro giustifica ben altre amputazioni (alle quali peraltro si deve dare il consenso dopo essere stati informati della situazione e delle possibili conseguenze), la circoncisione non ha alcun fondamento razionale. La circoncisione preventiva è una solenne sciocchezza. Gli articoli di Wiswel degli anni '80 sulle pielonefriti nei maschi, oggi non sarebbero accettati da alcuna peer review e difficilmente sarebbero pubblicati (per non parlare di quelli di Wolbarst del '32 sul carcinoma del pene). Si tratta di studi retrospettivi, dai quali al massimo si può congetturare una azione preventiva sulle infezioni, che invece non si può

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assolutamente dimostrare. La circoncisione preventiva è un fenomeno squisitamente americano (dove è stata praticata negli anni '60 all'85% dei maschi!). Bisogna osservare che negli USA, il peso dell'antico testamento è senza dubbio grande, così come quello della lobby ebraica. In Europa, immune da questa moda pseudosanitaria americana, non risultano epidemie di pielonefriti maschili (e nemmeno di carcinomi del pene)! D'altra parte, anche se così fosse, sarebbe come promuovere l'amputazione preventiva delle falangi delle dita dei piedi per scongiurare l' unghia incarnita e le possibili infezioni sistemiche da essa talvolta scatenate!In realtà, dalla metà ottocento in poi, la c. è stata incoraggiata soprattutto come prevenzione della masturbazione, considerata peccato gravissimo da tutte le tre religioni del Libro. Per quanto riguarda quella rituale, ha le stesse giustificazioni dell'infibulazione, a meno che si voglia sostenere che superstizioni mesopotamiche riportate per iscritto nel quinto-sesto secolo A.C. siano "rispettabili", mentre quelle tribali del corno d'Africa, non menzionate nei testi sacri, no. Certamente la circoncisione attuata in ambiente medico è più "igienica", ma anche questo non la giustifica, come pure l'amputazione della mano di un ladro non diverrebbe più accettabile quando fosse eseguita in asepsi da un chirurgo. Inoltre, la circoncisione rituale "ortodossa", che viene ancora largamente praticata in ambienti ebraici osservanti, è fatta da un "esperto" (NON medico), il mohel, che, secondo i dettami della Torah, dopo averla eseguita, pratica la suzione del pene del bambino (la peri'a) e ne succhia il sangue (metsitsa), per poi sputarlo insieme al prepuzio. A NY nel 2005, un mohel provocò l'herpes genitale a molti bambini e causò la morte ad almeno due di essi.Ma senza arrivare a tanto, anche quando non produce malformazioni, infezioni, fistole ecc, è una pratica che sicuramente comporta un trauma per chi la subisce, e causa modificazioni dello schema corporeo e del vissuto sessuale. Sostanzialmente, il pene perde sensibilità per la perdita delle diramazioni nervose contenute nel prepuzio, per il danno del glande che, non più protetto dal cappuccio prepuziale perde parte della sua sensibilità attraverso l’ispessimento del suo rivestimento epiteliale, e per la perdita della mobilità cutanea durante il rapporto (la cosiddetta “banda rugosa” di Taylor, cioè quella parte mucoso-cutanea del prepuzio con struttura finemente pieghettata, rappresenta la zona erogena primaria del corpo maschile).Con tutta la simpatia ed il rispetto che nutro per le culture diverse dalla mia, e per quella ebraica in particolare, trovo scandaloso che una pratica insensata e violenta, dannosa e sessuofobica, fondata sulla presunzione che sia stata richiesta da un dio geloso e tremendo ad una tribù di pastori tardo-neolitici, venga ancora ritenuta lecita. Ed altrettanto scandaloso trovo l'implicito razzismo culturale che fa sì che la circoncisione venga accettata solo perché parte del retaggio culturale (ebraico-cristiano) occidentale, mentre l'infibulazione, praticata da popolazioni meno "civili", venga perseguita e proibita. Io condivido con i padri costituenti il rispetto delle libertà religiose. Ma se la circoncisione è parte di tali libertà, mi si spieghi perché l'infibulazione non lo sia. Ciò che vale per quest'ultima deve valere anche per la prima.Saluti, e buon solstizio di inverno,Franco Toscanida: Giuliano Degli Antoni - [email protected]: sabato 22 dicembre 2012 – h. 14:20 Ciao. Spero vivamente che le mie quattro righe non ti abbiano indotto a pensare che io sia anche minimamente favorevole alla circoncisione; il mio voleva essere soltanto un excursus sulle modalità e motivazioni che hanno permesso l'accettazione dai ns. legislatori della circoncisione. Ancora una volta condivido in toto quanto tu scrivi. buon solstizio anche a te.Giuliano Degli Antoni

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2613 - BELGIO VERSO L’ESTENSIONE DELL’EUTANASIA ANCHE AI MINORIda: Aduc salute n° 51-2012 del 18.12.2012Il Belgio apre nuovamente al dibattito sull'eutanasia, introdotta nel 2002, per decidere se possa essere estesa ai minori e alle persone affette da Alzheimer.La modifica della legge è presentata dal partito socialista, primo partito nella Vallonia (Belgio francofono) che sottoporrà le sue proposte al parlamento."Si tratta di aggiornare la legge per tener conto in modo migliore di alcune situazioni drammatiche, di storie estremamente dolorose (...) di fronte alle quali non possiamo restare senza risposta", ha spiegato il presidente del partito socialista Thierry Giet. La bozza non dovrebbe trovare grande opposizione in Parlamento, poiché è appoggiata da diversi partiti di destra, di sinistra ed ecologisti.La legge in vigore si riferisce esclusivamente alle persone dei età superiore ai 18 anni. Nel 2011, sono stati registrati 1.133 casi di eutanasia in Belgio, vale a dire l'1% dei decessi totali, secondo la Commissione di controllo sull'eutanasia, e il loro numero continua ad aumentare.

2614 - LE VIGNETTE DEL TIMES – LE ACROBAZIE DI BERLUSCONI

2615 - LE VIGNETTE DI ELLEKAPPA – MONTI E BERLUSCONI

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