Il Profumo Della Liberta 2011

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Se la giovent le negher il consenso anche lonnipotente e misteriosa mafia svanir come un incubo

Edizione 2011

Le foto presenti in questa pubblicazione sono state gentilmente concesse dallagenzia ANSA.

IndicePrefazione GIORGIA MELONI, Ministro della Giovent ANGELINO ALFANO, Ministro della Giustizia Un patrimonio per i giovani MANFREDI BORSELLINO Introduzione alla seconda edizione STEFANO AMORE, Magistrato, Consigliere del Ministro della Giovent Giovanni e Paolo GIOVANNI MINOLI, Direttore di Rai Educational Il mestiere di giudice, il mestiere del politico Intervista a CLAUDIO MARTELLI Il metodo Falcone ALESSANDRO PANSA, Prefetto Un boato 19 anni fa IGNAZIO DE FRANCISCI, Procuratore aggiunto di Palermo Una stagione particolare CATERINA CHINNICI, Magistrato, Assessore della Regione Sicilia Ricordo di Francesca Morvillo MARIA TERESA AMBROSINI, Avvocato generale presso la Procura della Corte di Appello di Palermo

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Una voce urlante: morto, morto! FRANCESCO CRESCIMANNO, Avvocato del Foro di Palermo Poter fare qualcosa per gli altri ELISA FAZZINI, Magistrato del Tribunale di Treviso Non li avete uccisi, le loro idee camminano sulle nostre gambe MAGDA GUARNACCIA, Magistrato Ordinario in tirocinio Una speranza per i giovani ALESSANDRO PETRONZI, Magistrato Ordinario in tirocinio Sono morti per noi GIOELE DAV, Studente della Scuola Media Statale F. Risio

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Se la giovent le negher il consenso anche lonnipotente e misteriosa mafia svanir come un incubo

Il profumo della libert

Il profumo della libertPrima di qualunque considerazione, desidero ringraziare tutti coloro che hanno contribuito a riempire di ricordi, riflessioni, speranze questo libro. Poi voglio ringraziare coloro che lo stanno leggendo, specialmente se ancora giovani, per la loro curiosit, per latto di impegno civile che stanno compiendo in questo momento. Molti anni, sono trascorsi, e tornare indietro non si pu. Non si potr chiedergli di non recarsi da sua madre, almeno quel giorno. Non si potr ascoltarlo, unultima volta ancora, mentre spiega agli studenti italiani le ragioni di una lotta che di tutti e non di uno solo o di pochi. Non si potr fermare quella strage, ma si potr fare qualcosaltro che renda onore alla sua vita e alla sua morte: schierarsi dalla sua parte, anche se lui non c pi, da diversi anni. Dalla parte di Paolo Borsellino si ama la libert, si ama la bellezza di una esistenza libera dalla violenza criminale che diventa prassi quotidiana, libera dallo sfruttamento vigliacco di molti da parte di pochi, libera dalla droga, dallestorsione, dalla corruzione, dallingiustizia. Dalla parte di Paolo Borsellino si combatte oggi, come tutti i giorni, su ogni pezzettino della nostra nazione per veder trionfare la giustizia in ogni ambito sociale. Non serve fare il magistrato antimafia per servire la causa di Paolo Borsellino. Tutti noi, qualunque et abbiamo, qualunque lavoro facciamo, in qualunque citt viviamo, siamo chiamati ad una scelta di parte: o di qua, dalla parte di Paolo, o di l, dalla parte di quei vili senza onore che opprimono il nostro popolo. Il nemico lo stesso, che si chiami mafia o camorra, il nemico rappresentato da coloro che antepongono il proprio interesse a quello della propria gente e per questo sono pronti a schiacciare regole, diritti, uomini, donne, vite. Dalla parte di Paolo Borsellino, di Giovanni Falcone, dei loro agenti di scorta e di tutti i martiri nella lotta alla mafia si ama lItalia. Ogni giorno della nostra vita siamo chiamati a scegliere a quale parte del campo di battaglia appartenere, a quale visione del mondo aderire. Anche chi fa politica deve fare la sua parte, anzi pi di qualunque altro. Diceva Borsellino: A fine mese, quando ricevo lo stipendio, faccio lesame di coscienza e mi chiedo se me lo sono guadagnato. La politica deve usare le sue stesse parole, perch si tratta di un giuramento verso coloro che rappresenta, verso coloro che hanno donato tutto di s stessi per il nostro destino in comune.

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Sono molte le ragioni per cui mi caro Paolo Borsellino, non ultimo il suo impegno politico giovanile presso luniversit di Palermo. Molte volte, soprattutto negli ultimi mesi, mi stato chiesto il motivo del mio impegno politico, quale fosse stata la scintilla che a 15 anni ha acceso una passione civile nel mio cuore. Fu quel sacrificio, fu la morte di Paolo Borsellino, pochi mesi dopo quella di Giovanni Falcone. Ricordo ancora la rabbia provata nel vedere quelle immagini in tv, ma ricordo bene anche lamore verso quel popolo in lacrime che piangeva i suoi eroi caduti in quel vile attentato. Inermi non si poteva pi stare, non si poteva pi restare ignavi di fronte alla criminale arroganza di quegli uomini senza onore neppure capaci di affrontare Paolo e la sua scorta a viso aperto, ma nascosti, al sicuro, a centinaia di metri dallesplosione. Non potremo far nulla per impedire quella strage infame, ma possiamo far crescere dentro di noi la stessa utile rabbia di allora ed annunciare a tutti che restiamo schierati dalla stessa parte di allora, al fianco di Paolo Borsellino. Quando un fenomeno criminale come la mafia o la camorra o la criminalit organizzata si radica nellimmaginario collettivo, in ogni ambito del quotidiano e del territorio, serve una campagna di contrasto dal punto di vista culturale. Se la lotta alla criminalit organizzata resta confinata al piano militare, sar come togliere lacqua dal mare con un cucchiaino perch ci sar sempre qualcun altro pronto a prendere il posto del criminale appena arrestato. Per spezzare il circolo vizioso che alimenta la mafia bisogna conquistare il cuore di coloro che vivono allinterno dellarea infestata. Ma questo vale dappertutto, non solo in Campania o in Calabria o in Sicilia. Bisogna rappresentare i nostri nemici per quello che sono: pochi criminali senza alcuna dignit che schiacciano con la violenza il diritto di una popolazione a vivere nella libert il proprio presente. Certe volte si confonde la legalit con la difesa dello stato, di un sistema che ti obbliga a pagare le tasse, ad andare a scuola, a pagare il biglietto sullautobus, a fare la raccolta differenziata dei rifiuti, che ti fa la multa se vai sul motorino senza casco, oppure ti costringe alla disoccupazione, relegandoti ai confini di una vita che si vorrebbe piena di fama e ricchezza. Ma in realt la legalit lunico strumento che difende la gente comune, la sua libert di vivere senza paura. Di pi, lunico strumento che favorisce il progresso e garantisce il benessere. Allombra della legalit migliora sensibilmente la qualit della vita e cresce la fiducia nel futuro. La corruzione non ha mai portato sviluppo, n la criminalit organizzata ha mai garantito la giustizia, se non qualche volta un suo indigeribile surrogato che puzza di morte e terrore. C un pensiero straordinario usato da Paolo Borsellino, mentre parlava con gli studenti di una scuola, pochi giorni prima di essere ucciso: La lotta alla mafia devessere

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innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libert che si oppone al puzzo del compromesso morale, dellindifferenza, della contiguit e quindi della complicit. Buona lettura, giovane italiano. Giorgia Meloni Ministro della Giovent

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Idee che nessuno riuscir mai ad uccidereLe terribili stragi del 1992 hanno segnato un punto di svolta nella storia dellItalia intera in un momento politico di grandi difficolt ed incertezze. In meno di due mesi, dal 23 maggio al 19 luglio, di quellannus orribilis lItalia tutta e il mondo intero assistevano attoniti a due veri e propri atti di guerra contro lo Stato da parte della pi potente organizzazione criminale siciliana (cosa nostra) allevidenza intenzionata, con il massimo del clamore possibile, a chiudere i conti contro due simboli della lotta antimafia, protagonisti di un nuovo modo, finalmente vincente ed efficace, di condurre e portare a termine le indagini. Ed il fatto che si trattasse di due giudici siciliani rendeva ancor pi clamorosa e significativa luccisione di Giovanni Falcone - insieme alla moglie Francesca Morvillo (valente magistrato anchessa) e di Paolo Borsellino, unitamente agli uomini delle loro scorte. In quellepoca la Sicilia ha saputo trovare al suo interno una motivata pattuglia di giudici e di valenti investigatori che, meglio di chiunque altro - e proprio grazie alla diretta esperienza e comprensione delle cose siciliane - ha fatto per la prima volta crollare i miti dellomert e dellimpunit dei mafiosi, proponendo nuove forme di organizzazione dellazione di contrasto alla criminalit organizzata che, ancora oggi, costituiscono lasse portante di modelli operativi tuttora in vigore. Da qui la risposta furente e rabbiosa, con lo sterminio sistematico di troppi protagonisti di quellepoca concluso, dopo la definitiva conferma in Cassazione delle condanne inflitte nel primo maxi processo di Palermo, con le stragi di Capaci e Via DAmelio. Oggi, fuori da ogni retorica, cosa certa che quel fiume di sangue, ove altissimo stato il contributo pagato dai siciliani migliori, non bastato a mutare il corso delle cose; non valso ad impedire che le buone idee di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino continuassero a camminare sulle gambe di altri uomini che con passione, coraggio e sempre maggiore efficacia, ne continuano lopera. In questo senso e sotto questo profilo ben possiamo dire che la mafia ha totalmente mancato i suoi obiettivi ed oggi , di certo, meno baldanzosa e tracotante di allora. Alcuni di questi uomini delle istituzioni hanno voluto ricordare quei terribili eventi offrendo il loro contributo a questo importante volume celebrativo, per coltivare la memoria ed il ricordo di quei giorni, trasmettendo alle generazioni future anche piccoli particolari di vita quotidiana e ricordi personali che sono assai utili a sottolineare la normalit e la straor-

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dinaria serenit con la quale sia Falcone che Borsellino, con piena consapevolezza, hanno affrontato il loro destino. Molti altri hanno offerto e continuano ad offrire il loro contributo non meno importante attraverso il lavoro silenzioso ed il costante impegno per far si che lanalisi profetica di Giovanni Falcone sulla naturale evoluzione e la fine di Cosa Nostra possa trovare definitiva conferma in tempi quanto pi possibile brevi. Questi uomini confermano tutti i giorni che lo spirito di servizio ed il senso dello Stato, che animava Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, rimasto inalterato ed diventato esperienza e patrimonio comune nella consapevolezza che nellazione di contrasto alla criminalit organizzata come lo stesso Falcone ha spesso ripetuto non serve esigere da inermi cittadini gesti di inutile eroismo ma necessario che lo Stato impieghi in questa battaglia gli uomini migliori delle istituzioni. Certo, oggi, anche grazie al metodo di lavoro in pool, inventato dal nulla presso lallora Ufficio Istruzione di Palermo, la mafia siciliana meno onnipotente ed ancor meno misteriosa di quanto non fosse sino alla seconda met degli anni 80. Certo, oggi, anche grazie alla creazione della Procura nazionale Antimafia, delle Direzioni Distrettuali Antimafia e della Direzione Investigativa Antimafia, tutte strutture figlie di quellantesignana e rivoluzionaria esperienza, la risposta dello Stato allaggressione della criminalit organizzata pi strutturata ed efficiente. Certo, oggi, le recenti riforme in materia di rafforzamento del carcere duro per i mafiosi e in materia di aggressione ai grandi patrimoni accumulati dalla criminalit organizzata consentono di ottenere risultati di gran lunga pi efficienti rispetto anche al pi recente passato. Ed per questo che il profumo della libert che si coglie in queste pagine ancor pi intenso che nel passato e render ai nostri giovani pi semplice rifiutare quello che Paolo Borsellino efficacemente defin il puzzo del compromesso morale, dellindifferenza, della contiguit e quindi della complicit. Ma questo profumo di libert serve anche a ricordare ai pi giovani che tutto questo si reso possibile anche grazie al sacrificio ed al patrimonio di idee e di cultura giuridica e sociale elaborato da quegli uomini: idee che hanno cambiato le tecniche investigative; idee che hanno cambiato le procedure e lorganizzazione dello Stato; idee che hanno cambiato la storia dei processi di mafia, trasformando le consuete assoluzioni per insufficienza di prove in severe ed irrevocabili sentenze di condanna; idee che hanno cambiato, definitivamente, lo scetticismo e la sensibilit del popolo siciliano; idee che, in una parola, hanno cambiato in meglio il volto della Sicilia e la Storia del nostro Paese; idee che nessuno riuscir mai ad uccidere. Angelino Alfano Ministro della Giustizia

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Un patrimonio per i giovaniCaro Ministro, sono veramente lieto delliniziativa da Lei assunta di raccogliere in questo volume una serie di testimonianze e ricordi di mio padre e di Giovanni Falcone. Non mi sento ancora pronto, sebbene siano trascorsi molti anni dalla morte di mio padre, a tracciarne un ricordo per i tanti giovani a cui Lei ha voluto dedicare questo volume, giovani cui peraltro mi sento particolarmente legato, sia sotto il profilo umano che sotto l'aspetto della comunanza di valori, cresciuti come me nella fede, nell'amore per la Patria (termine questo sempre pi in disuso), per la famiglia e permeati da quegli ideali di giustizia per i quali mio padre, uomo dello Stato, si sacrificato. Vorrei idealmente abbracciarli tutti, consapevole che moltissimi di loro, bench avessero pochi anni di vita in quel lontano ed infausto luglio del 1992, hanno idealizzato Paolo Borsellino, rendendo ogni giorno vivo il suo ricordo. un momento storico particolare, sembra che lo scenario in cui maturata la decisione di assassinare mio padre possa schiarirsi da un momento allaltro grazie a nuove collaborazioni ed a particolari forse trascurati dagli investigatori in passato, ma ci che oggi per me conta pi di ogni altra cosa l'omaggio alla memoria di mio padre che anche con questo libro gli avete voluto tributare per non dimenticare - come Lei ha scritto il significato prezioso del suo messaggio ai giovani siciliani e italiani. A questi giovani io voglio dire: non guardatevi indietro, fissate un obiettivo e fatelo vostro, non c di meglio nella vita che realizzarsi nel proprio lavoro e crescere i propri figli lasciando loro i patrimoni morali ereditati dai nostri padri. Mio padre mi diceva: non ti lascer patrimoni o ricchezze, sono e voglio rimanere un umile servitore dello Stato, ma una grande eredit morale unita ad un archivio attraverso il quale potrai raccontare e far conoscere il nonno ai tuoi figli, il bene pi prezioso che il Signore ci pu donare. Manfredi Borsellino

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Introduzione alla seconda edizioneVitaliano Brancati sosteneva che ciascuno ha sotto il braccio il libro che si merita. Questo piccolo volume, Il profumo della libert, giunto ora alla sua seconda edizione e dedicato a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, finito, effettivamente, sotto il braccio di molti giovani, che hanno cos dimostrato quanto questi due magistrati, Falcone e Borsellino, siano entrati a far parte della loro cultura, troppo spesso fraintesa e sottovalutata, e quanto sia viva la loro memoria nel nostro paese. Il libro non ha circolato, peraltro, solo nel tradizionale formato cartaceo, ma stato diffuso anche su internet, risultando il volume pi scaricato su IPAD nel 2010. Eppure non si tratta di unopera letteraria, di un romanzo avvincente, ma soltanto di una raccolta di scritti che hanno lo scopo di raccontare Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, nei loro atteggiamenti quotidiani e nel loro tanto amato lavoro. Brevi schizzi o ricordi di chi li ha conosciuti da vicino, lavorandoci fianco a fianco, o di chi, pur non avendoli mai incontrati, ne ha voluto seguire lesempio, magari decidendo di intraprendere la difficile professione del magistrato. Certo , e il successo del libro ne la prova, che il dialogo tra Borsellino, Falcone e i giovani italiani non si mai interrotto. Ha forgiato, anzi, lidentit, morale e culturale, delle nuove generazioni e ha permesso a tutti di avere un esempio luminoso di quella che lItalia a cui la gente comune, e soprattutto i giovani, aspirano. Per questa ragione, per assecondare questo interesse e diffondere sempre di pi tra i giovani il fresco profumo della libert, evocato con tanta poetica bellezza da Paolo Borsellino, il Ministro della Giovent ha deciso di far pubblicare una seconda edizione del volume che, ponendosi in continuit con quella precedente, attraverso le prefazioni, rimaste immutate, potesse avere per nuovi e diversi contenuti. A raccontare Falcone, Borsellino e Francesca Morvillo sono stati, cos, questa volta: Claudio Martelli, allepoca Ministro Guardasigilli, il Prefetto Alessandro Pansa, Giovanni Minoli, lAvvocato generale di Palermo, Maria Teresa Ambrosini, il Procuratore aggiunto di Palermo, Ignazio De Francisci, lavvocato Francesco Crescimanno, Caterina Chinnici, figlia di Rocco, anche lei magistrato, attualmente Assessore della Regione Sicilia. E poi

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tre giovani magistrati, Elisa Fazzini, Alessandro Petronzi e Magda Guarnaccia, e un ancor pi giovane studente, Gioele Dav, della Scuola Media statale Francesco Riso, di Isola delle Femmine. Proprio Gioele Dav, in unet che si potrebbe immaginare ancora permeata solo di passioni sportive e confinata nel paradiso della spensieratezza e dei giochi, scrive alcune parole che dovrebbero farci riflettere: Esiste solo un mezzo per combattere la mafia: la cultura, capace di farci ribellare ad una societ che non ci soddisfa pi, ad una societ troppo corrotta e immersa nel sangue di uomini onesti. Da un ragazzo di tredici anni ci vengono considerazioni, pensieri, che avrebbero potuto essere proprio quelli di Falcone o di Borsellino. un esempio di come la mafia, la violenza e il degrado morale possano essere spazzati via, con un tratto di penna e la passione delle idee, dalle nuove generazioni. Stefano Amore Magistrato, Consigliere del Ministro della Giovent

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Giovanni e PaoloC una foto di Falcone e Borsellino che tutti conosciamo. I due magistrati sono seduti uno accanto allaltro al tavolo di un convegno. Falcone si piega leggermente a sinistra per parlare al collega, Borsellino a sua volta gli si avvicina per ascoltare meglio. I loro volti sono sereni e spensierati come due amici che si scambiano confidenze, che scherzano con abituale familiarit. Ma in quella foto c di pi. C qualcosa che colpisce il nostro immaginario collettivo e che lha resa una vera e propria icona moderna. Quellimmagine non ritrae soltanto Falcone e Borsellino, non rappresenta due magistrati, due eroi della lotta alla mafia. Quella la foto di Giovanni e Paolo. Ne coglie lanima, ne rappresenta la forza tranquilla, lunit indissolubile. Oggi impossibile parlare di Giovanni senza Paolo, di Falcone senza Borsellino. La loro orrenda morte li ha uniti per sempre nella nostra memoria. E allora giusto ricordarli anche per la loro vita. Per il sorriso luminoso e travolgente di Paolo Borsellino. Per lo sguardo ironico a tratti beffardo di Giovanni Falcone. E soprattutto perch la loro unione stata anche uno degli elementi fondamentali della loro vita. A cominciare dal maxiprocesso. Grazie alle dichiarazioni di Tommaso Buscetta e di altri pentiti, tutte scrupolosamente riscontrate, Falcone e Borsellino hanno svelato per la prima volta lorganizzazione di cosa nostra. La struttura piramidale basata sulle decine composte di dieci soldati semplici che fanno capo alle famiglie, guidate da un boss eletto. Il livello superiore , quello dei mandamenti formati da tre o pi famiglie di territori limitrofi. E al vertice la Commissione, o cupola, lorganismo composto dai capi di ciascun mandamento che guida cosa nostra in ogni provincia. Oggi possono sembrare notizie scontate, ma prima del lavoro certosino svolto da Falcone, Borsellino e gli altri magistrati del pool antimafia, lorganizzazione della mafia era un vero e proprio mistero. Il 16 dicembre 1987, dopo quasi due anni dallinizio del dibattimento, la Corte dassise di Palermo diede ragione allaccusa pronunciando verdetti di colpevolezza per oltre 300 mafiosi per un totale di 19 ergastoli e 2665 anni di carcere. Una svolta storica nella lotta alla mafia, un successo senza precedenti. Dopo diversi gradi di giudizio limpianto accusatorio sar poi confermato dalla Cas-

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sazione proprio nel gennaio del 92, pochi mesi prima delle stragi di Capaci e Via Damelio. Con il clamoroso risultato del maxiprocesso, insomma, Falcone e Borsellino siglarono probabilmente la loro condanna a morte. Per i mafiosi quei due magistrati erano troppo pericolosi. Erano cresciuti alla Kalsa, un quartiere storico del centro di Palermo, insieme a coetanei che sarebbero diventati boss e gregari di cosa nostra. Anche per questo erano nemici pericolosi per la mafia. Sapevano decifrare il linguaggio mafioso, decrittare allusioni e comportamenti. Insomma combattevano un mondo che conoscevano perfettamente. Anche per questo erano riusciti per primi a far parlare i pentiti che avevano consentito numerosi successi. Le dichiarazioni dei pentiti, sempre verificate con assoluta pignoleria, sono state uno strumento fondamentale ma non esclusivo per la lotta che Falcone e Borsellino hanno condotto contro cosa nostra. Ancora oggi in Italia e nel resto del mondo che ha a che fare con la criminalit organizzata, si applica il cosiddetto metodo Falcone. Un sistema dindagine basato su poche regole che oggi sembrano di semplice buon senso, ma che allora furono una vera e propria rivoluzione. Innanzitutto il lavoro in pool basato su una semplice considerazione: le informazioni su ogni singola indagine possono produrre risultati migliori se messe a confronto con quelle di altre indagini. Il metodo introduce importanti novit anche grazie allattenzione posta da Falcone alla dimensione internazionale dei reati compiuti da cosa nostra da cui scaturirono numerose collaborazioni con investigatori di altri paesi. Infine lintuizione forse pi felice sintetizzata da una frase che Falcone amava ripetere a proposito delle indagini sui traffici di stupefacenti: La droga pu anche non lasciare tracce, il denaro le lascia sicuramente. Una vera e propria filosofia dindagine basata sullattenzione ai documenti finanziari agli scambi di assegni alle impronte che il denaro lasciava dietro di se e che ha caratterizzato il metodo di lavoro di Falcone, Borsellino e degli altri magistrati del pool. Dopo il loro sacrificio, il paese li ha celebrati come due eroi, da ogni parte sono spuntati amici che loro stessi ignoravano di avere, ma la realt stata unaltra. Giovanni Falcone ha subito lostilit di politici e magistrati. stato accusato di eccessivo protagonismo, di tenere nei cassetti le indagini su personaggi politici. Lhanno perfino incolpato di essersi fatto da solo un finto attentato nella sua casa di villeggiatura allAddaura. Accuse false che sono servite ai suoi detrattori per sbarrare la sua carriera ogni volta che doveva fare un balzo in avanti. Prima alla guida dellUfficio Istruzione di Palermo , poi al Csm, infine alla Superprocura Antimafia. E lo stesso Paolo Borsellino incontr difficolt analoghe seppure meno clamorose. Oggi, nellanno del centocinquantesimo anniversario della nascita dellItalia, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono due italiani che pi di altri vanno ricordati. Per i valori

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che hanno ispirato il loro agire quotidiano, per i risultati che hanno ottenuto e per il sacrificio che hanno affrontato con coraggiosa consapevolezza. A diciannove anni di distanza dalla loro morte ci sono ancora inchieste aperte per far luce sulle stragi di Capaci e Via DAmelio. Credo che il modo migliore per celebrare Falcone e Borsellino sia portare a compimento quelle inchieste e fare piena luce sulla loro morte. Giovanni Minoli Direttore di Rai Educational

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Il mestiere di giudice, il mestiere del politicoClaudio Martelli ricorda Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.Intervista di Stefano Amore Onorevole Martelli, ci pu raccontare come e quando ha incontrato per la prima volta Giovanni Falcone? Ci siamo incontrati per la prima volta nel maggio del 1987, a Palermo, durante la campagna elettorale. Mi era stato chiesto dai socialisti siciliani di candidarmi come capolista a Palermo e io avevo accettato. Appena arrivato, la prima persona che volli incontrare fu Giovanni Falcone che, da mesi, viveva blindato nel suo ufficio a lavorare per il maxiprocesso. Quello che doveva essere un breve incontro, si trasform in un lungo colloquio, linizio di un rapporto profondo che sarebbe durato nel tempo e avrebbe segnato il mio percorso politico ed umano. Cosa nostra, mi spieg Falcone, non era pi la mafia di una volta, era divenuta una grande organizzazione economica che utilizzava gli strumenti tecnologici pi avanzati per gestire il narcotraffico ed il riciclaggio, ma che, nonostante questi cambiamenti, era rimasta profondamente siciliana nella struttura e nei meccanismi di comando. Tot Riina, che io stentavo a credere potesse essere, con il suo aspetto rozzo di contadino e bandito di provincia, il Capo dei Capi, rappresentava perfettamente limpenetrabilit di questa mafia. Sottovalutarla, non coglierne la pericolosit - aggiunse Falcone - sarebbe stato un errore gravissimo. Mentre parlava, Falcone era pallido e concentratissimo ed io, nonostante cercassi di non farlo trasparire, ero scosso, impressionato dalle sue parole. Continuai con le mie domande e gli chiesi, da buon garantista e primo firmatario del referendum sulla giustizia innescato dal caso Tortora, se il maxiprocesso a cui stava lavorando non rischiasse di fare la fine di quello di Napoli, in cui si erano arrestate persone totalmente estranee ai fatti, per grossolani errori di omonimia o per la stessa ambiguit delle dichiarazioni rese dai pentiti, delinquenti incalliti inopinatamente e, in molti casi, imprudentemente, elevati al ruolo di alleati dei giudici e della Giustizia. La risposta di Falcone fu precisa,immediata, puntigliosa.

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Mi spieg che per indagare su cosa nostra era necessaria una grande preparazione, esperienza e professionalit. Che il rapporto con i pentiti non doveva mai trasformarsi in una relazione intimistica e personale e che ogni notizia fornita doveva essere esaminata e controllata ripetutamente, anche dagli altri investigatori, verificata sotto ogni profilo. Un solo errore, un abbaglio preso dai magistrati avrebbe, infatti, rischiato di screditare il lavoro di anni e di inficiare la credibilit delle indagini. Non solo. Per guadagnare la fiducia di chi aveva deciso di rompere lomert era indispensabile rispettare la dignit del mafioso e non dare mai neppure limpressione di voler piegare i fatti raccontati ad una tesi, ad una convenienza. Chiunque lo avesse fatto avrebbe perso il rispetto di questi uomini e, da quel momento ci si sarebbe potuto aspettare da loro solo inganni e bugie. Queste parole, questa prima lezione sulla mafia di Giovanni Falcone non lavrei dimenticata. Se ne ricord, infatti, appena nominato Ministro della Giustizia chiamando Giovanni Falcone alla Direzione Generale degli Affari penali. Ci pu parlare di quel periodo? Delle iniziative e delle idee di Falcone? Far venire Falcone a Roma, a guidare la Direzione Generale degli Affari Penali, fu, in effetti, uno dei miei primi atti come Ministro Guardasigilli. Il maxiprocesso aveva superato, nel frattempo, il vaglio del giudizio di primo e secondo grado, mostrando la solidit del suo impianto e la grande professionalit dei magistrati che ci avevano lavorato. Falcone port al Ministero, per, non solo la sua grande conoscenza delle questioni di criminalit organizzata, di mafia, ma anche uno spirito nuovo. Senza di Lui, questo va precisato subito, non ci sarebbero state probabilmente molte delle iniziative che assunsi in quel periodo: i provvedimenti antiracket, le leggi sui collaboratori di giustizia, la Procura Nazionale Antimafia, il carcere duro per i mafiosi, il coordinamento internazionale con le polizie e le magistrature europee e con quella americana. Si era stabilita una forte sinergia ed una reale amicizia tra me e Giovanni. Naturale, quindi, che cercassi di assecondare politicamente molte delle sue intuizioni. Mi preoccupai anche di chiedere, in quel periodo, al Primo Presidente della Corte di Cassazione, Brancaccio, di adottare un principio di rotazione nellassegnazione dei processi di mafia e di terrorismo, a partire proprio dai ricorsi per il Maxiprocesso e dal caso Sofri. Brancaccio mi ascolt senza fare commenti, ma provvide ad introdurre quel criterio, a mio parere indispensabile per assicurare la massima trasparenza alloperato della Cassazione. Lidea della Procura Nazionale Antimafia la trassi invece da un progetto di legge presentato qualche anno prima dal Senatore Valiani. La reazione dellANM a quellidea fu veramente inaudita: venne proclamato addirittura uno sciopero, sulla base del timore che il nuovo organismo preludesse alla se-

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parazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri e si scaten una campagna di stampa senza precedenti contro la proposta di istituire una Procura Nazionale e di nominare Falcone Procuratore. In particolare, si cerc di screditare Falcone in ogni modo, dipingendolo come un magistrato asservito alla politica, che aveva perso la sua indipendenza. Quando il CSM vot e indic a maggioranza come Procuratore Nazionale Antimafia Agostino Cordova invece che Falcone, negai il mio assenso, indispensabile per il concerto e la nomina. Se non ci fosse stata Capaci, sono convinto che Falcone sarebbe riuscito a diventare, nonostante questo assurdo livore nei suoi confronti, Procuratore Nazionale Antimafia. Il progetto di istituire una Procura Nazionale Antimafia divise, indubbiamente, la magistratura italiana. Lo stesso Borsellino, uno dei pi cari amici di Falcone, non condivideva, almeno inizialmente, il progetto. Ecco, Paolo Borsellino. Non si pu parlare in modo approfondito di Falcone senza parlare anche di Paolo Borsellino. Che ricordo ha di Paolo Borsellino? Ebbi modo di incontrare e discutere approfonditamente con Paolo Borsellino dellidea della Procura Nazionale. Era contrario, essenzialmente perch riteneva che il nuovo ufficio avrebbe generato una serie di complessi conflitti di competenza con le procure territoriali. Poi cera, evidentemente, la diffidenza verso il possibile legame che questo ufficio avrebbe potuto determinare tra potere esecutivo e potere giudiziario. Nonostante ci, la conversazione fu molto pacata e produttiva, probabilmente anche per lamicizia che legava Borsellino a Falcone. Dopo qualche tempo ci incontrammo nuovamente, ad un convegno organizzato a Racalmuto, la cittadina natale di Sciascia, e in quelloccasione emersero posizioni sostanzialmente concordi sulla questione. Il problema era quello di organizzare non solo la risposta dello Stato alla mafia, quanto soprattutto le sue iniziative di contrasto. Affidare questa iniziative ai singoli sostituti, spesso isolati in piccoli uffici giudiziari, era pericoloso per lincolumit dei singoli e per le istituzioni. In questa occasione ebbi modo di apprezzare la grande onest intellettuale di Borsellino, che si rese conto che liniziativa della super procura non costituiva un escamotage per subordinare la magistratura al potere esecutivo e che dietro questo progetto cera solo lidea da parte mia di trovare una formula organizzativa che consentisse una pi efficace lotta a cosa nostra. Lo Stato, sino ad allora, aveva proceduto a strappi nei confronti della mafia, avviando iniziative saltuarie, e mostrandosi incapace di dare continuit alla propria azione. La Procura Nazionale aveva appunto lo scopo di superare questo atteggiamento, questa mancanza di iniziativa e di continuit nelliniziativa da parte dello Stato. Borsellino

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comprese che questi intenti erano assolutamente sinceri e mi apparse, francamente, molto rasserenato. So che Le sto per fare una domanda dolorosa. Cosa prov quando seppe delle stragi di Capaci e di Via dAmelio? Che impatto hanno avuto queste stragi, secondo Lei, sulla politica e sul paese? Il pomeriggio del 23 maggio 1992 mi trovavo nello studio di Andreotti, in quel momento Presidente del Consiglio, a discutere dei possibili scenari dellelezione del Presidente della Repubblica. Andreotti sapeva che noi socialisti avremmo appoggiato la candidatura di Forlani e mi stava prospettando la possibilit, laddove Forlani non ce lavesse fatta, di prendere in considerazione anche il suo nome. Mentre discutevamo, lo chiamarono al telefono. Ascolt senza dire nulla, poi, appena terminata la chiamata, mi disse che cera stato un attentato a Palermo contro Falcone, ma che sembrava che il giudice fosse stato ferito in modo non grave. Mi alzai subito e gli dissi che dovevo andare a Palermo per sincerarmi della situazione. Partii immediatamente con il volo di Stato da Ciampino. Falcone, in realt, era gi deceduto e quando arrivai a Palermo non riuscii neppure a vedere il suo corpo e quello della moglie. Era uno spettacolo troppo raccapricciante, mi dissero. Tornai a Roma quella sera stessa. Nei giorni successivi si scaten una ridda di ipotesi, di illazioni sulla dinamica dellattentato che non sono ancora cessate. Le indagini pi recenti, e qui vengo alla seconda parte della domanda, tendono ad avvalorare lidea che lattentato a Falcone e quello successivo a Borsellino siano da inserire in una strategia di destabilizzazione dello Stato italiano, che in quel momento soffriva la crisi incombente della prima Repubblica e del sistema dei partiti, voluta da cosa nostra per individuare nuovi interlocutori politici. difficile elaborare una tesi coerente su quanto successo, e forse bisogna anche diffidare di ricostruzioni troppo coerenti, considerate le contraddizioni e le casualit della vita. Se Falcone non fosse stato alla guida della macchina, ma al suo posto, nel sedile posteriore, si sarebbe probabilmente salvato. Si invece salvato il suo autista. Certamente, per, possiamo affermare che la prima Repubblica sia caduta anche per quanto accaduto in Sicilia. Lonta di quelle stragi, il fatto di non essere riusciti a scongiurare lassassinio di Falcone e Borsellino, fu certamente un elemento che influ sulla dissoluzione di quel sistema politico. In realt, la reazione dello Stato alle stragi fu immediata. Riuscii ad ottenere in tempi rapidissimi lapprovazione in Parlamento, pressoch unanime e quasi senza emendamenti, del cosiddetto decreto Falcone. E lapplicazione di quei provvedimenti (carcere duro per i mafiosi, rafforzamento della legge sui pentiti, prolungamento dei termini di indagine e custodia cautelare per gli im-

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putati di mafia, trasferimento dei boss sulle isolette, Pianosa e Asinara) fu certo determinante per rilanciare lazione dello Stato contro cosa nostra. I giovani sono oggi in prima linea nel combattere la mafia e sono soprattutto i giovani a serbare la memoria e a cogliere il senso del sacrificio di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino. Tanti giovani hanno intrapreso carriere nelle forze di polizia e in magistratura per assecondare lesempio morale di questi due eroi del nostro tempo. Che conseguenze hanno avuto, secondo Lei, sulla nostra cultura le stragi di Capaci e di via dAmelio? Tra i nostri giovani e la memoria di Falcone e Borsellino si creato un rapporto profondo, commovente. Ogni volta che ho avuto modo di partecipare a riunioni, a manifestazioni di giovani in ricordo di Falcone e Borsellino ne ho tratto un sentimento di sollievo, di speranza. In realt, le stragi hanno amplificato e diffuso enormemente il loro messaggio, le loro idee, determinando culturalmente un terremoto, in cui, finalmente, lantipadrino, il servitore dello Stato, il magistrato divenuto pi popolare del padrino. Questa sconfitta culturale della mafia recente e il sacrificio di Giovanni e di Borsellino stato, in realt, determinante. Unultima domanda. Immagino che Falcone e la sua vicenda umana e professionale siano tornati molte volte nella sua vita e nei suoi pensieri. Oggi, dentro di Lei, cosa rimasto di quella stagione e di quel rapporto? Innanzitutto la consapevolezza che la battaglia contro lesercito mafioso, contro quella cupola, contro Riina, Brusca e Aglieri, contro la cosa nostra di allora, stata vinta dallo Stato, proprio grazie al sacrificio di Falcone e di Borsellino. Poi la lezione fondamentale di Giovanni Falcone, che il potere della mafia la paura, una paura che nasce dalla morte. Se la mafia pu fatturare miliardi, perch fattura migliaia di morti. Oggi giovani, uomini e donne comuni, magistrati e poliziotti ricordano, in tutto il mondo, Giovanni Falcone per la sua intelligenza e il suo coraggio. Grazie a Giovanni milioni di italiani e di siciliani hanno riconquistato la loro identit morale, hanno potuto, a ragione, tornare ad avere un loro orgoglio nazionale, qualcosa in cui credere senza dubbi.

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Il metodo FalconeLarricchimento del mio bagaglio professionale grazie allesperienza che mi ha visto collaborare con Giovanni Falcone in alcune inchieste di particolare rilievo, specie sul piano internazionale, stato enorme. Lesperienza umana forse lo stata anche di pi, ma questa resta nella sfera personale che conservo come mio ricordo. Lelemento primario e forse anche il pi significativo stato quello di aver potuto conoscere una realt complessa come cosa nostra e comprendere le dinamiche interne, la capacit pervasiva e gli obbiettivi pi reconditi di quel sistema parassitario di inquinamento del nostro Paese. Le inchieste del giudice Falcone, pur avendo come campo di analisi il mondo del crimine, coinvolgevano direttamente anche quello della criminalit economica. In tale contesto venivano alla luce costantemente intrecci, sovrapposizioni o identificazioni di interessi occulti, che facevano capo a centrali dintermediazione tra realt politica o economica con quella criminale. Appariva evidente come la presenza della criminalit organizzata in settori economici ed in ambienti politicoistituzionali determinasse, come conseguenza indotta, un inquinamento progressivo non solo del tessuto economico locale, ma anche del contesto sociale e della vita pubblica. In pi casi era emerso che gli stessi circuiti finanziari erano stati utilizzati indifferentemente da gruppi criminali diversi e da personaggi trasversali che utilizzavano i sistemi finanziari per favorire sia la finanza illegale che i cosiddetti poteri occulti, espressione questa priva di significato proprio ma che utilizzo solo per la sua forza evocativa. Tre erano gli attori principali che comparivano in quegli scenari, con diverse forme di contiguit ed aggregazioni: personaggi della politica locale e non, esponenti del mondo economico e di quello criminale. Alcune volte i tre insiemi si intersecavano tra loro, altre volte solo alcuni di essi operavano congiuntamente. I casi concreti, oggetto delle inchieste, misero in luce alcune caratteristiche di questi fenomeni combinativi, riscontrabili, poi, in gran parte delle indagini che sono state svolte negli anni successivi, sino ad oggi. Una di queste caratteristiche, che continua ad impressionarmi tuttora, il legame alla terra dorigine, che sembra basato essenzialmente sulla natura fiduciaria della po-

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litica, su quella prevalentemente intimidatoria della criminalit e sulle esigenze di mercato delleconomia. La storia della criminalit di questo Paese, insieme a quella di alcune vicende del mondo dellimprenditoria nazionale, porta alla luce una realt che consente di individuare il collegamento tra mondi diversi nella presenza di agenti che facilitano o rendono possibile lincontro tra le parti. Come gi dalle prime inchieste degli anni 80 sul mercato della droga, che vedeva Palermo al centro del traffico delleroina verso gli Stati Uniti, il ruolo di quegli agenti emergeva nella duplice veste sia di supplenza alla carenza di quella professionalit di cui cosa nostra aveva bisogno per muoversi nei mercati internazionali, sia di riduzione dellasimmetria informativa che grava sulla criminalit organizzata. Complessi e profondi, e per certi versi sorprendenti, emersero gli intrecci che in quegli anni il crimine organizzato, partendo dalla Sicilia e diramandosi nel mondo, era riuscito a tessere nellambito del sistema economico e finanziario, rendendo la distinzione tra il legale e lillegale sempre pi difficile e sfumata. La mancanza di una linea di demarcazione tra il mondo legale e quello criminale rendeva difficoltoso, nel contesto delle istruttorie di Giovanni Falcone, lidentificazione di quei vari soggetti che operavano nei circuiti economici e soprattutto appariva arduo scoprirne i loro interessi specifici. In altre parole, ci trovavamo di fronte un unico sistema ingarbugliato, che veniva utilizzato, secondo le opportunit, da chiunque avesse qualche interesse sia esso lecito che illecito o del tutto criminale. Tutto questo Giovanni Falcone lo aveva prima intuito, attraverso lattenta lettura di fascicoli processuali, e poi lo aveva dedotto dagli eventi ricostruiti nel corso delle indagini. Lo aveva documentato in diverse occasioni con atti processuali ed alla fine il tutto era stato cristallizzato in giudicati, a cui si era giunti partendo proprio dalle sue istruttorie. S, perch Giovanni Falcone aveva sviluppato una conoscenza e una capacit di analisi che si estrinsecata sempre e solo nellambito delle sue attivit professionali: attraverso atti istruttori, nel rispetto totale non solo delle norme -cosa pi che scontata - ma anche nel rispetto totale delle persone e secondo un fair play che il suo sorriso sornione ed un p beffardo evidenziava. Una delle caratteristiche di Giovanni Falcone era proprio quella di esprimere, attraverso il suo sorriso, il compiacimento del momento, ma sempre con un certo distacco che faceva delluomo un grande uomo. Il suo sorriso era sempre accompagnato da uno sguardo intelligente e attento che lasciava trasparire, per chi aveva imparato a conoscerlo, fermezza o condivisione, contentezza o preoccupazione. Il mio primo lavoro con Giovanni Falcone risale al 1982, quando da giudice istrut-

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tore, accompagnato dal pubblico ministero Peppino Ayala e da me, quale ufficiale di polizia giudiziaria, fu eseguito laccesso ad un istituto di credito di via Veneto a Roma per acquisire degli atti in uninchiesta di mafia. l che appresi come le cosiddette indagini bancarie o finanziarie non erano una mera ricostruzione di movimenti bancari che bisognava collegare uno dopo allaltro in una successione cronologica e logica. Ognuna delle operazioni che veniva riscostruita, intanto, doveva essere anche ambientata, ricollegata al contesto in cui era stata effettuata, valutata in ordine al ruolo e alla funzione dei soggetti coinvolti. Stetti l unintera giornata, delegato dallautorit giudiziaria, che dopo la mera acquisizione degli atti era andata via, conferendomi lincarico di ricostruire ognuna delle operazioni, ma non solo sotto laspetto contabile o documentale. Bisognava capire, attraverso i ricordi dei dipendenti della banca, chi aveva preso parte alloperazione, se limputato fosse stato in compagnia di qualcuno, che atteggiamento avesse, se avesse lasciato qualsiasi altra traccia. S, conoscere tutto per attribuire un valore aggiunto alla scoperta delloperazione bancaria significativa, per non lasciarle il solo valore processuale, ma per ricavarne stimoli ulteriori allazione investigativa. Insomma quellacquisizione di atti, che stimol subito dei provvedimenti cautelari, non era finalizzata solo a motivare quegli atti, ma ad aprire la porta di uno scenario pi ampio da ricostruire. Oggi si discute con facilit di indagini patrimoniali, del sequestro dei beni, delle misure antiriciclaggio. Bene: credo che tutto questo insieme di strumenti, fondamentali nella lotta alla mafia e basilari per gran parte dei successi pi importanti conseguiti sino ad oggi in questo campo, sono frutto dellesperienza operativa di Giovanni Falcone e di coloro che hanno da lui appreso e con lui sperimentato queste vie dellinvestigazione. Seguiva le piste dellinchieste passo passo, anche allestero, studiando prima di partire gli ordinamenti penali e civili di quei paesi per poter nel modo giusto chiedere informazioni, dati e documenti utili alle istruttorie italiane. In una missione in Canada, durante una rogatoria nacque una pista investigativa nuova, non oggetto della domanda di assistenza giudiziaria internazionale. Allora da ufficiale di polizia giudiziaria, insieme con i colleghi canadesi, decisi di percorrerla autonomamente senza far avviare unaltra e complessa procedura diplomatica. Eravamo ad Ottawa, dovevo spostarmi a Montreal. Giovanni - ricordo - con grande sensibilit mi disse, senza parlare, ma solo con lo sguardo: ce la puoi fare. Quando rientrai ad Ottwa, dopo due giorni, era tardi, Giovanni era ad una cerimonia ufficiale. Andai a letto. Dopo qualche ora, sentii bussare alla porta: che fai dormi? vieni ad assaggiare un buon burbon canadese. Mi alzai.

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Quando me ne tornai a letto, non mi aveva chiesto alcunch sullesito del viaggio, mi aveva sorriso e detto: ho capito che hai fatto centro, poi in Italia mi mandi un bel rapporto. Come sempre, corretto e rispettoso, aveva compreso che preferivo riferire lesito dellattivit e trasmettere la copiosa documentazione trovata dopo avere redatto gli atti secondo le forme e le modalit previste. Si lavorava in squadra, con obbiettivi comuni e condivisi, con spirito di collaborazione e corresponsabilit, con gli stessi sentimenti di giustizia e legalit, ma riconoscendo ad ognuno il proprio ruolo e le proprie prerogative, senza che mai venissero meno fiducia e rispetto. Nel lavoro dindagine di Giovanni Falcone, lesigenza di confrontarsi di continuo con una realt multiforme e sommersa, insieme allesigenza di preservare lattitudine a comprendere le dinamiche criminali ed a seguirle, anche per tempi lunghi, nel loro evolversi, ha portato a sviluppare competenze che sono divenute parte integrante delle metodologie investigative pi moderne. Il rapporto di lavoro con lufficio istruzione, prima, e la procura della Repubblica di Palermo, poi, ha fatto nascere una relazione stretta tra Giovanni Falcone e lufficio investigativo in cui lavoravo. Cera un clima stimolante, che consentiva di indirizzare il potenziale delle nostre risorse investigative verso livelli di eccellenza. Le nostre qualit operative, assieme alla forza dellazione del giudice Falcone, sono state la chiave di volta in molte inchieste coronate da successo. Grazie alla conoscenza profonda della realt nazionale, abbinata allesperienza internazionale, eravamo stati al fianco del giudice Falcone in momenti cruciali, dando il nostro contributo anche nella individuazione e messa in campo di modelli operativi nuovi. In tali circostanze, linnovazione era stata caratterizzata molto dalle tecnologie, che, nonostante fossimo agli albori dellinformatica applicata alle indagini, era gi un punto di forza delle nostre metodologie di lavoro. Linsegnamento che venuto dal lavoro svolto da Giovanni Falcone e lesperienza maturata nellaverlo affiancato in diverse inchieste hanno fatto nascere una professionalit unica nella struttura investigativa che dirigevo e che si occupava prevalentemente degli aspetti economici della criminalit organizzata. Anche quando il rapporto diretto di lavoro cess, rimase in me e soprattutto nei miei collaboratori uno spirito vincente ed una tenacia operativa che ci consentiva di affrontare quegli scenari criminali che stavano cambiando e che facevano riferimento a regole comportamentali nuove e mai prima individuate. I confini tradizionali delle indagini sulla criminalit, in tempi rapidi, si dissolsero, aprendosi ad orizzonti nuovi in varie parti del mondo ed a livelli impensati. Da un

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lato, la criminalit italiana estendeva i propri tradizionali confini di attivit utilizzando strategie eterogenee, stringendo alleanze nuove e cimentandosi in ambiti operativi di norma non di loro interesse. Dallaltro le organizzazioni criminali di altri paesi ampliavano il loro raggio dazione e soprattutto intrecciavano i loro interessi con quelli delle cosche dellItalia meridionale. I fenomeni emergenti potevano spiazzare linvestigatore tradizionale, ma non coloro che si erano forgiati collaborando con Giovanni Falcone e che poi ne avevano sviluppato le metodologie di lavoro. Lanalisi economica del crimine, adottata dal Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, sulla scorta dellesperienza di Giovanni Falcone, produceva, infatti, una serie di risultati che ci aiutavano a comprendere la natura e la meccanica delle relazioni pericolose che possono instaurarsi tra crimine organizzato, da un lato, e dinamica della produzione e degli scambi, reali e finanziari, dallaltro lato. Grazie a questo metodo, che non va confuso con la mera indagine di tipo finanziario, scoprimmo che il crimine organizzato non inquina solo il versante bancario e finanziario, ma anche il versante reale del sistema economico, e forse con danni ancora pi gravi, misurabili non solo in termini quantitativi ma anche qualitativi: impoverimento e imbarbarimento del sistema. Con grande agilit e pervasivit, i membri delle organizzazioni criminali si muovevano nellambito delleconomia legale, reale e finanziaria, proponendosi non solo per la loro capacit di violare lordine costituito, ma come fonte autonoma di norme e regole alternative a quelle democratiche. Il mafioso non si accontentava di infrangere la legge, ma provava sempre a proporsi come soggetto regolatore, che produce fiducia in alternativa a quella legale che assicura il sistema attraverso gli strumenti democratici. Quando negli anni successivi alle stragi di Capaci e Via dAmelio, con gli investigatori del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, ho sviluppato filoni investigativi complessi, applicando metodologie operative del tutto innovative, non potevo fare a meno di pensare: questindagine sarebbe piaciuta molto a Giovanni. Forse una riflessione tardiva, quando ormai non mi occupo pi di attivit investigativa, mi consente meglio che in passato di comprendere quanto quel periodo di collaborazione sia stato fecondo. Si trattato di un periodo di grandi cambiamenti nellapproccio alle inchieste contro le associazioni mafiose che, a seguito della morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, divenuto un vero e proprio cambiamento epocale. Avevamo seguito e qualche volta arrancato dietro le dinamiche del crimine organizzato. Il nostro approccio era stato quello di accettare le sfide pi difficili senza timore

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alcuno e di cercare con modestia e perseveranza le soluzioni pi adatte per poterle vincere. Il nostro vantaggio era quello di far parte di una rete di competenze, rappresentate da alcuni magistrati ed alcuni investigatori in varie parti dItalia, negli Stati Uniti e in Svizzera, che potevano offrire soluzioni gi sperimentate altrove con successo e implementare le metodologie delineate da Giovanni Falcone, adattandole alle realt criminali che si trasformavano rapidamente. Linterruzione tragica del viaggio di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino ha rattristato lanimo di tutti coloro che percepivano con sensibilit umana il concetto di legalit e, nello stesso tempo, ha sconvolto i piani di coloro che, allinterno di una strategia criminale eterogenea e composita, pensavano di ricavarne vantaggi concreti e che, invece, hanno fatto venire fuori, specie tra i giovani, uno spirito di solidariet e legalit in qualche modo inaspettato. Da l partita una stagione nuova di lotta al crimine organizzato, che ha delineato di netto la demarcazione tra la legalit e il crimine. Non sono certo scomparse le collusioni e i favoreggiamenti. Oggi, per, pi nessuno pu sostenere in maniera credibile di non sapere, di non immaginare, di non aver compreso. Oggi tutti siamo consapevoli che i margini della legalit sono chiari e che le zone grigie non esistono pi: tuttal pi grigio lo sguardo di coloro che non vogliono vedere questa linea di demarcazione e pensano ma tutto sommato.... Se oggi siamo in grado di poter a tutti i livelli alzar la voce contro lillegalit, lo dobbiamo allinsegnamento che uomini come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ci hanno lasciato con il loro lavoro. Se oggi c la consapevolezza e la voglia non solo di combattere, ma di battere il crimine, lo dobbiamo al loro ricordo. Quando vi un calo di tensione da parte o un momento di distrazione oppure un ritardo nella reazione, il ricordo di quellinsegnamento che ci fa riportare la barra a dritta perch la direzione verso cui andare la conosciamo: loro ce lhanno insegnata. La strage di Capaci del 23 maggio 1992, in cui persero la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre poliziotti della sua scorta Rocco Di Cillo, Antonio Montinaro e Vito Schifaci, e la strage di Via DAmelio del 19 luglio 1992, in cui persero la vita Paolo Borsellino e i componenti della sua scorta, i poliziotti Agostino Catalano, Eddie Walter Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi e Claudio Troina, furono linutile tentativo da parte di cosa nostra e, probabilmente dei suoi alleati, di assicurarsi limpunit di fronte allazione di contrasto globale delle istituzioni. Paolo Borsellino costituiva, insieme a Giovanni Falcone, il pi temibile nemico di

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cosa nostra, rappresentando al contempo una spina nel fianco dellorganizzazione ed un punto di riferimento per chiunque avesse a cuore la legalit e la giustizia. Mi piace pensare che se non fossero stati uccisi, il loro valore e le loro qualit sarebbero state conosciute e riconosciute lo stesso, perch le loro idee, che oggi camminano sulle nostre gambe, come dicono tanti giovani del Meridione dItalia, sono cos forti e grandi che avrebbero avuto altrettanto seguito. Alessandro Pansa Prefetto, Capo del Dipartimento per gli affari interni e territoriali del Ministero dellInterno

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Un boato 19 anni faIn pi occasioni ho ricordato Paolo Borsellino, essendo stato suo allievo, da giovane collega, allinterno del c.d. Pool antimafia costituito allUfficio Istruzione del Tribunale di Palermo. Cominciai a lavorare con lui, e con Giovanni Falcone, nel novembre 1985, subito dopo il deposito della prima ordinanza sentenza del maxi processo. Con altri colleghi collaborai ai due maxi processi successivi al primo (i cosidetti bis e ter) e rimasi a lavorare in quellUfficio fino allavvento del codice del 1989 che soppresse lUfficio Istruzione e con esso una parte non piccola della nostra vita professionale. Conobbi Paolo nel 1977 quando ripresi a frequentare Palermo, dopo una parentesi romana durata circa sette anni, poco prima del tirocinio in magistratura che iniziai a giugno di quellanno. Fu mia moglie, allora ancora fidanzata, a presentarmelo; cera infatti una antica amicizia tra mio suocero e il suocero di Paolo, Angelo Piraino Leto, indimenticabile magistrato dalla sterminata cultura giuridica che concluse la lunga carriera come Presidente della Corte di Appello di Palermo. Frequentare Paolo e frequentare Magistratura Indipendente fu un tuttuno. Avevo cominciato a Roma con M.I., mi fu naturale continuare a Palermo e trovai in Paolo un affascinante Maestro anche di vita associativa. Paolo vi ritrovava gli ardori giovanili spesi nelle organizzazioni universitarie, proprio quelle spazzate via dal 68. Ricordo che me ne parlava con entusiasmo, raccontandomi la vivace dialettica che le contraddistingueva. Osservare Paolo nella riunioni associative era istruttivo e anche divertente. Abile, astuto, sapeva trattare con gli anziani, e trascinare noi giovani. Sapeva guardare lontano e sapeva contare i voti, partecipava personalmente allo spoglio delle schede, armato di biro e blocco di carta, lanciando qua e l commenti e battute. Mi fa piacere ricordare Paolo e il suo impegno in M.I. perch questo impegno era una parte, forse non la pi importante, ma certamente significativa, del suo essere uomo e magistrato. Paolo in tutta la sua vita stato sempre fedele alle sue idee ed stato fedele a M.I. anche in quei momenti, e non sono stati n pochi n di poco conto, nei quali M.I. non andata nella direzione alla quale tendeva Paolo. Basti pensare alla dolorosa vicenda della mancata nomina di Giovanni Falcone al posto di Consigliere Istruttore del Tribunale di Palermo e alle polemiche che ne seguirono. Non credo di esagerare se dico che lattuale zoccolo duro di M.I. a Palermo, (che di questa corrente uno dei pilastri a

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livello nazionale) stato formato con lapporto fondamentale di Paolo. Ma ricordare Paolo, fare esercizio di memoria in questo Paese che non ha memoria, anche ricordarLo come magistrato rigoroso, serio, dotato di una carica di umanit davvero particolare, non facile da trovare nella nostra corporazione e anzi, mi sembra, oggi ancor pi rara. Paolo aveva la dote di saper attrarre i giovani colleghi, di fare scuola, di scovare talenti o comunque di valorizzare tutti. Era un esempio di attaccamento al lavoro, quotidiano, instancabile. rimasta famosa la sua battuta (che forse era pi uno sfogo che una battuta), sui colleghi che il sabato non andavano in ufficio, quasi, diceva, che avessero il contratto dei bancari. E, infine, ricordare Paolo sarebbe riduttivo senza fare riferimento alla sua fede cattolica, convinta, semplice, ma salda perch costruita sulla roccia. Anche in questo delicatissimo campo dava lesempio con pochi cenni, rare parole, qualche aneddoto. Conosceva le Scritture, non ne faceva sfoggio, ma ogni tanto infilava qualche riferimento azzeccato. Ci insegnava a essere padri di famiglia, nel senso pieno del termine, soprattutto con lesempio. Parlava spesso dei figli, della famiglia intesa come parte di ognuno di noi, che senza di essa non completo. Nel 1986 Paolo riesce ad andare a Marsala come Procuratore della Repubblica; era giovane, anzi giovanissimo, appena 46 anni. Super un paio di colleghi, assolutamente perbene ma con diverse e meno pregnanti esperienze lavorative. Da questa vicenda prese spunto qualche mese dopo Leonardo Sciascia nello scrivere il suo famoso articolo che tanto scalpore provoc e che addolor profondamente sia Paolo che Giovanni Falcone. Ma, anche in questa occasione, non udii da Paolo alcunch di offensivo nei confronti del famoso scrittore racalmutese, solo stupore e voglia di capire. Come noto i due si incontrarono, si chiarirono e si capirono. Paolo diceva che gran parte di quello che sapeva sulla mafia laveva imparato dai libri di Sciascia. In quegli anni (1986-1992) frequentai poco Paolo, era quasi sempre a Marsala, noi a Palermo senza di lui eravamo un poorfani, ogni tanto veniva a trovarci in ufficio, guidava lauto da solo, era senza scorta e ricordo lAlfetta nuova, amaranto, della quale andava orgoglioso, con la quale a volte mi dava un passaggio verso casa, fumando, trasformando cos lauto in una camera a gas. Ben presto (inizi 1988) fummo travolti dal c.d. caso Meli-Falcone che di fatto rallent non di poco lazione antimafia. Allinizio del 1991 il ministro Martelli chiama Giovanni Falcone a Roma, quello fu il periodo nel quale mi sentii veramente solo, senza punti di riferimento, rimasto in un ufficio (dove ero arrivato qualche settimana prima della partenza di Falcone) che lo aveva di fatto espulso. Lunica speranza era Paolo che, per fortuna, allinizio del 1992 torna a Palermo come Aggiunto applicato alla Procura della Repubblica.

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Ricominci cos la frequentazione lavorativa, avevo di nuovo la sua stanza come punto di riferimento, trovavo sempre in lui consiglio e conforto. Mi chiese subito di lavorare con lui nelle indagini sulla mafia di Trapani e Marsala; era questa la sua delega che in un primo tempo escludeva Palermo per una ben precisa scelta del Procuratore Capo dellepoca. Cominciammo cos a lavorare insieme, era arrivato anche Antonio Ingroia che Paolo aveva scovato a Marsala. Ricominciava anche a Palermo a fare proseliti. La strage di Capaci lo schiant dentro, lo ricordo oppresso dallangoscia; per si prodigava per accelerare le procedure di risarcimento per i familiari delle vittime. Pensava sempre agli altri, si preoccupava delle nostre scorte. Un giorno andai al bar del palazzo di Giustizia da solo a prendere un caff, tornai come faccio anche adesso salendo le scale. Lo trovai alla fine della rampa, mi chiese subito perch fossi da solo e dove fosse la scorta. Di quei giorni tra le due stragi ho ricordi confusi, un film sfocato. Non dimentico per che quando il ministro Scotti lo propose in una intervista come Procuratore Nazionale Antimafia egli mi disse: Non voglio alcun vantaggio dalla morte di Giovanni Falcone. Principi etici oggi largamente scomparsi. Di certo lui lavorava in Italia e allEstero, con foga e ostinazione. Ricordo la telefonata che gli feci sul cellulare per San Paolo, il 29 giugno, e le sue polo, con la foglia di alloro a sinistra, e le ultime interviste televisive. Poi il boato, che spalanc il balcone della mia camera da letto . Ignazio De Francisci Procuratore aggiunto di Palermo

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Una stagione particolareLa figura di Paolo Borsellino per me legata inscindibilmente alla figura di mio padre, Rocco Chinnici, ed il suo ricordo porta alla mia memoria inevitabilmente il ricordo di mio padre: entrambi uomini e magistrati con un tratto umano ed una personalit molto simili. Entrambi nati il 19 gennaio, erano dotati di profonda umanit; avevano lo stesso aspetto apparentemente severo, lo stesso sorriso aperto che, prima per mio padre e successivamente per Paolo, si era velato nel tempo di tristezza; entrambi condividevano la passione per il proprio lavoro, consolidatosi in un rapporto di intensa collaborazione e sostenuto da una profonda amicizia. Per questo mi piace ricordare Paolo con le sue stesse parole ed in particolare rileggo spesso il volumetto Lillegalit protetta che raccoglie i pochi interventi pubblici di mio padre dei quali rimasta traccia scritta. E mi soffermo ogni volta, sempre con profonda emozione, sulla prefazione, scritta nel dicembre del 1989 da Paolo che ricorda limpegno di magistrato e di uomo di mio padre, la storia giudiziaria della Sicilia tra la fine degli anni 70 e linizio degli anni 80, e la testimonianza dellattivit di pochi uomini, Chinnici in prima linea, che avendo intuito la profonda essenza e la pericolosit della criminalit mafiosa, con le loro indagini hanno avviato unattivit giudiziaria coraggiosa ed incisiva, che ha cambiato la storia della nostra terra pur in mancanza di strumenti legislativi adeguati, fin da allora richiesti e sollecitati e che solo in seguito avrebbero consentito di combattere efficacemente le organizzazioni criminali mafiose. , infatti, proprio Paolo Borsellino che descrive la personalit di mio padre, la sua acuta capacit di analisi del fenomeno mafioso, del quale divenne profondo conoscitore, intuendo i segreti e gli intrecci perversi fra mafia, politica e mondo degli affari in unepoca in cui era gi difficile accettare il concetto dellesistenza stessa della mafia, spesso definita, ed anche in sede autorevole, volgare delinquenza, ancor prima che queste verit trovassero conferma nelle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, che hanno aperto la strada alla conoscenza effettiva del fenomeno mafioso. Ed ancora Paolo Borsellino che ricorda come Rocco Chinnici credesse fermamente nella necessit del lavoro di gruppo e ne tent i primi difficili esperimenti, sempre comunque curando che si instaurasse un clima di piena e reciproca collaborazione e di circolazione di informazioni fra i suoi giudici.

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Uno per uno ci scelse: noi magistrati che solo dopo la sua morte avremmo costituito il cos detto pool antimafia - scrive Paolo Borsellino. Ci prospett lucidamente le difficolt ed i pericoli del lavoro che intendeva affidarci, ci assistette e ci spron a superare diffidenze e condizionamenti: ch allora, con carica non meno insidiosa dellarrogante tracotanza di oggi, cos si manifestavano gli ostacoli frapposti dalla palude al nostro lavoro. Ed sempre Paolo Borsellino che ricorda come mio padre avesse avvertito per primo la necessit di affiancare al suo compito istituzionale di giudice un impegno civile di pi ampio respiro volto a debellare le radici socio-economiche e culturali della mafia, andando nelle scuole, incontrando professori e studenti, presiedendo dibattiti, partecipando a tavole rotonde, rispondendo a tutte le domande che gli venivano rivolte, per stimolare la formazione nei giovani di una nuova coscienza, impensabile nelle precedenti generazioni, che rifiutasse la mafia e la tentazione di convivere con essa. Ed proprio Paolo Borsellino che mio padre, nel frattempo diventato Capo dellUfficio Istruzione del Tribunale di Palermo, scelse per me, giovane uditore giudiziario, come magistrato affidatario durante il periodo di tirocinio presso quellUfficio, evidentemente riconoscendosi in quel giudice che stato il suo primo e pi diretto collaboratore e che, dopo la sua morte, avvenuta nella prima strage di mafia del 29 luglio 1983, ha continuato a lavorare, insieme a Giovanni Falcone, allistruzione di quel procedimento allora detto dei 162, che costitu lembrione iniziale del primo maxi-processo alle cosche mafiose. Mio padre e Paolo amavano entrambi le proprie famiglie ed i propri figli. Erano i figli, ai quali hanno sempre fatto sentire la propria presenza e il proprio affetto, ed il pensiero di non riuscire a vederli sistemati, lunica preoccupazione di due uomini accomunati da quella che mio padre aveva definito la religione del lavoro, quotidianamente confermata dalla scelta di portare avanti senza riserve le indagini nei confronti della criminalit organizzata mafiosa, nella semplice convinzione di compiere il proprio dovere di magistrato forse cos dimenticando tutto e tutti, anche le nostre famiglie, come ebbe a dire mio padre, nella consapevolezza delle difficolt e del rischio personale, ogni giorno pi elevato, che tuttavia non mai riuscito a demotivarli, a fermarli, ad impaurirli. Sono tanti i ricordi che ho di Paolo Borsellino, alcuni personali, come le gite in campagna con le nostre famiglie (delle quali ogni tanto parliamo con il figlio Manfredi) nel periodo in cui la tensione a Palermo non era ancora cos elevata; altri legati al periodo del mio tirocinio allUfficio Istruzione, durante il quale vedevo spesso mio padre parlare fitto-fitto, in una sorta di complicit che forse allora non comprendevo fino in fondo, con i suoi giudici Paolo e Giovanni, delle indagini che approfondivano sempre di pi le

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conoscenze sui collegamenti politici ed economico-finanziari delle cosche e che toccavano alle radici gli interessi pi consistenti della mafia. Allora, trascorrevo le mie giornate insieme a Paolo, che mi assegnava i fascicoli da studiare: leggevo i suoi provvedimenti, le richieste istruttorie e conclusive dei processi a lui assegnati e lo affiancavo nellattivit istruttoria che quotidianamente svolgeva, cercando di fare tesoro di ogni sua parola, di ogni suo insegnamento. Paolo Borsellino stato per me un maestro, un modello di magistrato, un esempio da seguire per la sua esperienza giudiziaria e per la sua saggezza umana. Ritrovavo in Paolo lo stesso modo di essere di mio padre: lo stesso impegno contro la mafia avvertito come una scelta di vita, un impegno civile basato sulla cultura, sul sentimento, sullidea dello Stato. La scelta consapevole della legalit, della democrazia, delle istituzioni. Scelta operata con profonda spiritualit, con serenit, con fermezza, con coerenza verso i propri ideali. Impegno che Paolo Borsellino ha portato avanti dopo la morte di mio padre, proseguendo nellistruzione dei procedimenti gi avviati ed anche in quellopera di diffusione della cultura della legalit fra le giovani generazioni, dedicando tempo ed energie agli incontri con giovani studenti palermitani ai quali portava la testimonianza del suo impegno per laffermazione dei valori di verit e giustizia; attivit, questa, che ha prodotto dopo le stragi del 92 uno straordinario movimento, lavvio di quella mobilitazione delle coscienze nella quale mio padre confidava perch ciascuno potesse vivere finalmente da cittadino libero in una societ migliore. Il ricordo di mio padre, di Paolo Borsellino, di Giovanni Falcone, di tutti gli uomini (molti dei quali ho conosciuto personalmente) che sono caduti nellesercizio del proprio dovere contro la illegalit e la criminalit, mi accompagna ogni giorno. Il loro impegno, portato fino allestremo sacrificio, rappresenta una grande eredit morale rivolta ai giovani che, come conclude Paolo Borsellino nella prefazione a Lillegalit protetta, Sono i possessori di un lascito duraturo. Ad essi si riferisce il Cardinale Pappalardo nella sua omelia funebre del 30 luglio 1983: Conosce il Signore la via dei buoni, la loro eredit durer nei secoli. Caterina Chinnici Magistrato, Assessore della Regione Sicilia

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Ricordo di Francesca MorvilloSono trascorsi diciannove anni da quel tragico pomeriggio del 23 maggio in cui con inaudita, vile ferocia venne dalla mafia compiuto il sacrificio di Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e degli uomini della scorta. Il trascorrere del tempo ha fatto s che allo strazio profondo, alla bruciante sofferenza sia subentrato un dolore sopito che ogni ricordo stimolato da una data, un luogo, una persona, un accadimento fa riemergere (riaffiorare) con unintensit acuta, penetrante che riporta immediatamente alla memoria le immagini strazianti di quella tremenda giornata. Di quella interminabile nottata in cui ho assistito, con unangoscia di intensit pari alla rabbia, alla fine di unamica dolce, riservata e discreta quale era Francesca Morvillo. Lavevo conosciuta nellestate del 1996: allora ero uditore alla Procura presso il Tribunale di Palermo, e Guido Morvillo, sostituto presso quella Procura, volle che incontrassi Francesca, sua figlia, studentessa universitaria al penultimo anno di giurisprudenza. Desiderava che le parlassi dellesperienza del mio ingresso in questa professione appena aperta alle donne perch auspicava che Francesca abbracciasse la sua stessa attivit. Questa figlia, per la quale trapelava apertamente il suo orgoglio, mostrava di avere le sue stesse doti racchiuse in unesteriorit bella e austera: un impegno estremamente serio e severo verso lo studio, un rigore morale e una grande dignit. Francesca non lo deluse: laureatasi lanno successivo, partecip nel marzo del 1968, appena ventiduenne (era nata il 14 dicembre 1945), al concorso per uditore giudiziario che super brillantemente, e fu nominata con decreto del gennaio 1970. Fu questa la professione che lei scelse a preferenza di altre verso le quali si era pure attivata (sostenne infatti gli esami di abilitazione allinsegnamento e quello di procuratore legale), certo anche per rispettare il desiderio del padre, intanto prematuramente scomparso, e continuare cos il cammino per una strada che la appassionava e per percorrere la quale mostrava di avere tutte le necessarie qualit. La incontrai nuovamente nel febbraio del 1972 allorquando, dopo un anno circa di permanenza presso la Sezione penale del Tribunale di Agrigento, venne trasferita alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Palermo, in quello stesso Tribunale ove anchio, negli stessi giorni, mi ero immessa quale giudice, a seguito della istituzione di autonoma pianta organica di quegli uffici giudiziari. Era sempre giovane e

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bella come allora, solo pi matura e pi seria, responsabilmente gi immessa nel ruolo di magistrato che viveva con estrema consapevolezza, e gi dagli inizi con quella grande professionalit che dava il dovuto risalto alla sua solida preparazione scientifica. Abbiamo affrontato insieme, per lunghi anni, lesperienza minorile che ci gravava di ansie, di inquietudine, ma di impegno civile e sollecito per la delicatezza delle situazioni coinvolgenti soggetti fragili dalla personalit ancora in formazione. Furono anni quelli in cui la qualit e lintensit dellazione della Magistratura minorile erano affatto diverse da quelle attuali, perch diverse erano le condotte, le manifestazioni della devianza giovanile, il numero e la portata dei reati commessi dai minori, meno intensa e penetrante la possibilit di intervento sulla potest dei genitori, diversi, ancora, gli strumenti normativi e operativi a disposizione degli operatori del settore. Furono anni attraversati da grandi, epocali riforme (quali il nuovo assetto del diritto di famiglia, le forti novit dellordinamento penitenziario, la nuova legge sulladozione e gli affidamenti) che segnarono lavvio di un impegnativo processo innovativo non solo nel campo del diritto ma, e soprattutto, nella coscienza sociale. Si inizi un percorso di crescita verso il riconoscimento del principio di eguaglianza non solo tra i differenti sessi, e quindi tra i genitori, ma tra adulti e minori: questi, infatti, vennero identificati prima solo come soggetti da tutelare perch ancora non completamente formati sul piano intellettivo e cognitivo, poi come titolari di pari dignit e pari diritti accordati agli adulti. In tale scenario anche il ruolo del pubblico ministero minorile, che in quei lunghi anni Francesca Morvillo esercit, ebbe una sua forte evoluzione: la competenza, che una volta concerneva quasi esclusivamente la conduzione dellistruzione dei processi relativi a tutti i reati commessi dai minori, si estese con crescente intensit ed incisivit (pur se non con la pregnanza di quello oggi conferitogli dalla peculiare normativa) anche allattivit a favore dei minori vittime di maltrattamenti, di violenze e che comunque necessitavano di un intervento di sostegno e di prevenzione. Ella interpret le funzioni affidateLe guidata dal Suo innato trasporto verso i giovani. Questo sentimento Le consent una comprensione pi profonda della loro personalit, delle problematiche che li investivano e quindi della ricerca delle modalit pi idonee per aiutarli a superare i periodi di crisi e delle risposte pi adeguate alle azioni antisociali eventualmente poste in essere; ancora Le fece avvertire forte lesigenza di restituire a ciascun minore la dignit che propria di ogni essere umano. Nel rapporto con i minori essa sapeva trovare il giusto equilibrio tra severit e umanit, senza mai trascendere a facili paternalismi e senza mai perdere la dimensione del suo ruolo e la serenit del giudizio. Francesca amava il contatto coi i giovani: laveva gi spe-

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rimentato nella sua attivit di insegnamento, attivit che le era estremamente congeniale e che aveva svolto prima, durante gli anni dellUniversit, nelle scuole elementari di un istituto per i figli dei detenuti e poi, per un anno dopo la laurea, quale docente di diritto in un Istituto tecnico statale. Tale esperienza, e in particolare quella vissuta con i piccoli svantaggiati, provati dalla detenzione del padre, la port a scegliere le funzioni di giudice minorile, aiutandola nellapproccio con i ragazzi e nella comprensione della loro personalit. Questo impegno Ella svolse con serenit ed equilibrio, con una professionalit sempre pi forte e adeguata ai cambiamenti che si svolgevano nella societ e nel diritto, con una preparazione giuridica approfondita e costantemente aggiornata, con la disponibilit al confronto con colleghi ed operatori, con quella umilt che dovrebbe essere dote essenziale in un magistrato e, infine, con una dote, purtroppo molto poco diffusa: un profondo rispetto per i diritti degli altri, per la dignit che vedeva in ogni essere umano con cui entrava in contatto, dal pi umile al pi autorevole, dal pi misero al pi degno di considerazione. Tutte queste qualit, unitamente allinnato, sincero sentimento di riservatezza e di compostezza, La rendevano una Donna speciale, in un mondo in cui predomina il desiderio di protagonismo, di apparire, farsi conoscere e notare. Per le sue qualit di equilibrio, serenit, profondit non comuni, e per il garbo e lo stile che in modo particolare la contraddistinguevano, Francesca Morvillo lavor sempre in buona armonia non soltanto con i colleghi, e in primo luogo con il Procuratore della Repubblica che subito lapprezz e si fid del suo modo di affrontare listruttoria dei processi, anche i pi delicati con il personale e con tutti gli operatori minorili, ma altres con gli avvocati, verso i quali aveva il debito rispetto per la funzione e per il ruolo. Lintitolazione al suo nome del Centro di prima accoglienza per i minorenni stabilita dal Ministero di Grazia e Giustizia con decreto del 23 giugno 1992 non , senza ombra di retorica, che il dovuto riconoscimento di queste sue doti e qualit che Francesca Morvillo, senza riserve e con dedizione, ha sempre messo al servizio della sua funzione nella quale credeva, e che svolgeva senza incertezze e con determinazione. Dopo oltre sedici anni, pur consapevole di lasciare unattivit che avrebbe rimpianto, per il peculiare legame che si era creato tra tutti coloro che erano coinvolti nei procedimenti minorili, connotati da frequenti momenti di confronto e di collaborazione, chiese e ottenne di essere trasferita alla Corte di Appello della nostra citt, ove nel luglio 1988 prese possesso delle funzioni di Consigliere presso la terza sezione penale. Essendo stata anchio, quasi contemporaneamente, trasferita al Palazzo di Giustizia, ho continuato a lavorare accanto a lei, avendo cos modo di constatare direttamente quali

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spazi sempre pi vasti di stima e di considerazione essa si andava creando nel nuovo ambiente di lavoro, ove ben presto venne ritenuta uno dei magistrati con maggiore competenza nella materia penale, e di trovare conferma del suo stile di lavoro anche nello svolgimento delle funzioni giudicanti, specie nei processi impegnativi e delicati, dei quali fu relatore inappuntabile ed estensore ineccepibile delle sentenze. Sono stata accanto a lei in quei momenti di tormento e di ansia che le venivano dal condividere la vita di Giovanni Falcone. Ma, per la riservatezza che la distingueva, mai faceva trasparire le sue angosce, le sue preoccupazioni: bisognava soffermarsi nella profondit dei suoi occhi, osservare attraverso il suo sguardo per superare il controllo delle sue emozioni, e cos leggere nel suo animo. Infatti, solo nellintimit del rapporto di amicizia lei si lasciava andare alla confidenza, e pur sempre con discrezione. Al suo posto di lavoro, si impegnava a non trasferire neanche momentaneamente le emozioni della sua vita privata. Nonostante la comprovata solidit della sua preparazione nel capo del diritto penale, sostanziale e processuale, sempre aggiornata con dottrina e giurisprudenza, e la compiutezza della sua esperienza giudiziaria nel settore, Francesca Morvillo aveva sempre rifiutato di partecipare con interventi o relazioni a convegni e incontri di studio: e non tanto per timidezza quanto per il suo profondo senso di riserbo che la faceva rifuggire da ogni forma di pubblicit. Aveva, invece, accettato con entusiasmo lincarico di professore a contratto per la materia Legislazione del minore nella Scuola di specializzazione in pediatria presso la Facolt di Medicina e Chirurgia dellUniversit di Palermo. Per il puntuale impegno, congiunto alla sua consueta diligenza e umanit, con cui svolse per alcuni anni tale compito, di cui mai si fece vanto, per il trasporto e per linteresse che lavevano animata nel rapporto con i giovani specializzandi, anche in questo ambiente ha lasciato di s un vivo ricordo e un vivo rimpianto. Era una donna veramente particolare: raramente la bellezza esteriore stata cos pienamente espressione di una completezza di qualit interiori come nel suo caso. Come moglie e compagna di un uomo dalla personalit di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo ha certo avuto, accanto alle gioie e allappagamento derivanti dallintensit di tale unione, momenti di turbamento e di ansia vissuti con coraggio, con compostezza, sino allestremo sacrificio e accettati quale inevitabile conseguenza del profondo impegno civile e morale con il quale Giovanni Falcone svolgeva il proprio ruolo. Come amica era affettuosa, piena di premure, partecipe della tua vita con discrezione e con generosit: rendeva orgogliosa di esserle vicino, di poter conoscere appieno tutti gli aspetti della sua personalit. Allassenza in lei di qualsiasi manifestazione di invidia, di orgoglio, di presunzione, si

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accostava unestrema modestia e una grande dignit, che tuttavia non le impedivano di manifestare la sua gioia di vivere, la sua allegria, la sua voglia di scherzare, di stare in compagnia, di godere dogni spettacolo che venisse a distoglierla dai pensieri e dalle preoccupazioni giornaliere. Dolce Francesca, indimenticabile compagna e amica, insostituibile collega e magistrato esemplare, strappata cos crudelmente ai tuoi cari e a questa vita, che il tuo supremo sacrificio - culmine delle tue qualit morali, che rende perenne il ricordo di te e ti ha aperto le porte per una vita migliore, eterna, accompagnata dalle preghiere dei tuoi familiari e di quanti hanno conforto nella fede - non venga vanificato dallindifferente svolgere delle vicende quotidiane, ma ci valga da monito e da impegno a rendere a te e a Giovanni quella giustizia terrena per la quale avete immolato la vostra esistenza. Maria Teresa Ambrosini Avvocato generale presso la Procura della Corte di Appello di Palermo

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Una voce urlante: morto, morto!Quando ho incontrato, per la prima volta, Paolo Borsellino? Non lo ricordo esattamente. Il fatto che i primi rapporti tra me e Paolo risalgono alladolescenza e sono legati alla frequentazione tra mia sorella e una delle sue sorelle, che erano compagne di scuola e amiche. Il primo incontro, la prima conoscenza, superficiale, risale quindi agli anni giovanili. La conoscenza vera arrivata dopo, per, quando ho iniziato ad esercitare lavvocatura. Allepoca Borsellino era ancora pretore di Monreale. Ma dopo poco tempo sarebbe approdato allufficio istruzione di Palermo e i nostri rapporti sarebbero cos divenuti pi frequenti. Peraltro, al rapporto professionale si aggiungeva una fitta rete di amicizie comuni. La moglie di Paolo, Agnese, figlia del Presidente Piraino Leto, era amica di mia moglie; alcuni dei nostri figli andavano a scuola insieme. Fu lomicidio del Capitano Basile a farci stringere, per, un rapporto pi intenso e a farci lavorare fianco a fianco. Qualche mese dopo quellomicidio, infatti, lallora Comandante provinciale dei Carabinieri di Palermo, il colonnello Subranni, mi chiam per verificare la mia disponibilit ad accettare la difesa di parte civile della famiglia Basile. Il mio nome era stato fatto in ambiente giudiziario, forse dallo stesso Paolo, certamente da Pietro Sirena. Dopo averci riflettuto, decisi di accettare lincarico. A quellepoca le difese di parte civile nei processi di mafia erano non frequenti e comportavano, evidentemente, un grande impegno e anche qualche rischio. Giudice istruttore di quel processo era appunto Borsellino che, per continuare a seguirlo personalmente, aveva revocato la propria richiesta di trasferimento alla Sezione civile del Tribunale. Paolo si sentiva responsabile di quellomicidio, perch dalle indagini svolte era emerso che il capitano Basile era stato assassinato per avere svolto degli accertamenti, delegatigli proprio da lui, su un parente di Tot Riina. difficile descrivere, in modo preciso, il temperamento di Paolo. Alternava momenti di tristezza, in cui diveniva cupo, pensieroso, a fasi di allegria e giocosit. Era un uomo che si faceva pienamente carico dei problemi degli altri, accollandosene spesso tutto il peso e la responsabilit.

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Si potrebbero raccontare tanti aneddoti piacevoli su di lui. Ricordo che ogni tanto tirava fuori un foglio di carta a quadretti con cui, grazie a degli schemi e delle sigle, incomprensibili per chiunque altro, era in grado di ricostruire con esattezza lo stato di ogni processo passato dalle sue mani. Sapeva dirti, in qualunque momento, a che punto e in quale ufficio fosse e a chi fosse stato assegnato. E i suoi fascicoli non erano certo pochi. Con Falcone, nonostante la grande diversit di temperamento, si era creata una grande amicizia ed un affiatamento fuori del comune. Si divertivano a farsi reciprocamente il necrologio, scherzavano spesso, insieme, su quella condizione di continuo pericolo in cui vivevano. Li univa, evidentemente, anche una certa capacit di ironizzare sul loro ruolo e sui pericoli del loro lavoro. Ricordo perfettamente i giorni precedenti la strage di Capaci. Rappresentavo Giovanni Falcone in due procedimenti per calunnia e per questa ragione, per parlare di questi processi, avevamo deciso di vederci. Cos domenica 17 maggio, approfittando del fatto che ero a Roma per unudienza in Cassazione che avrei dovuto seguire il giorno dopo, mi incontro con Giovanni e Francesca e, insieme anche a Giuseppe Ayala, andiamo a mangiare al ristorante la Carbonara, a Piazza Campo dei Fiori. Siamo poi, di nuovo, a pranzo insieme con Giovanni, il mercoled successivo. Il giorno dopo, gioved 21 maggio, quando ero gi tornato a Palermo, Giovanni mi chiama al telefono per sapere se il viaggio era andato bene. Lo ringrazio della sua gentilezza e del tempo trascorso insieme e rimaniamo daccordo di incontrarci a Palermo non appena fosse rientrato da Roma. Non ci saremmo, invece, pi visti. Due giorni dopo infatti, il pomeriggio di sabato 23 maggio del 1992, mentre sono a studio con una cliente, allimprovviso mi chiama al telefono un collega, riferendomi di aver saputo dal figlio, appena tornato dal mare, di un attentato a Punta Raisi contro Falcone. Rimango senza parole, per un attimo non so cosa fare. Poi mi ricordo che Gioacchino Natoli, un magistrato della Procura di Palermo, amico anche di Giovanni, ha un telefono portatile. Lo chiamo subito su quel numero. A rispondermi una voce urlante: morto, morto ! Allora esco immediatamente da studio, mi metto in macchina e mi dirigo a tutta velocit verso lOspedale Civico di Palermo. Paolo Borsellino gi l: furioso, sconvolto, fuori della grazia di Dio, incapace di calmarsi e di sentire ragioni. Riesco a vedere, unultima volta Giovanni e Francesca. Il corpo di Giovanni appoggiato su una barella, composto, non si notano ferite, gi cadavere. Quello di Francesca Morvillo, non ancora deceduta, orrendamente mutilato. difficile dire di pi di quei momenti. Mi vengono in mente, infatti, senza solu-

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zione di continuit, le immagini del successivo attentato a Paolo, del suo corpo scaraventato lontano e martoriato, dello scenario infernale che vidi il 19 luglio a Via dAmelio. Paolo non si era dato pace dopo lattentato di Capaci e la morte di Giovanni e di Francesca. Si era gettato in un lavoro disperatissimo, senza tregua, da cui non emergeva mai. Lavevo incontrato subito dopo la Messa per il trigesimo della morte di Falcone e mi aveva mostrato una penna stilografica: era appartenuta a Giovanni e gliela avevano regalata le sorelle Anna e Rita. veramente difficile poter far comprendere quanto fosse commosso per quel dono. Lo incontrai di nuovo, lultima volta, proprio il sabato prima della sua morte, nel corridoio della Procura. Che fai qui a questora di sabato?, mi venne di chiedergli. Sono venuto a salutare i colleghi mi rispose, con una frase che non sono pi riuscito a dimenticare, profetica di quanto sarebbe accaduto lindomani. veramente difficile riuscire a non farsi sopraffare dallemozione quando si ricordano uomini, magistrati come Paolo Borsellino e Giovanni Falcone. Ed difficile poter rendere, ricordando singoli episodi, tutta la loro umanit ed intelligenza. Mi viene per in mente una cosa che ha a che fare con i giovani e che voglio raccontare perch credo che questi miei ricordi si debbano concludere con una parola di speranza, con quanto i giovani hanno saputo insegnare a tutti noi dopo la morte di Falcone e di Borsellino. Uno dei primi magistrati che intuirono il ruolo che poteva giocare la cultura nella lotta alla mafia, del valore di certi insegnamenti, fu il Consigliere Rocco Chinnici, ucciso anche lui barbaramente nel 1983. Chinnici si recava spesso nelle scuole, parlava ai giovani, cercava di far comprendere loro che male terribile fosse la mafia. Subito dopo la morte di Falcone, anche Paolo Borsellino si impegn in questo sforzo di comunicazione, quasi per passare il testimone alle nuove generazioni. Lo ricordo in una di queste occasi