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La valutazione delle competenze scientifiche 1 Carlo Fiorentini La problematica della valutazione delle competenze scientifiche impone innanzitutto un lunga riflessione sull’insegnamento scientifico e sulla necessità di profondi cambiamenti per poter sviluppare negli studenti competenze scientifiche. A questo proposito particolarmente significativa è l’introduzione alle competenze scientifiche presente nelle Linee Guida dei Piani di Studio per il Primo Ciclo di Istruzione della Provincia Autonoma di Trento, in cui si evidenziano le motivazioni che spingono a radicali innovazioni: “Una riflessione sul curricolo di scienze non può prescindere da un dato ampiamente condiviso dalla comunità scientifica nazionale e internazionale: i risultati conseguiti nell’insegnamento in tale area sono molto deludenti e sprecano, nella maggior parte dei casi, il patrimonio di intelligenza dei giovani. Molte ricerche convergono nell’individuare la principale criticità nel modo in cui le scienze vengono proposte in ambito scolastico. Tra gli aspetti di maggiore criticità vengono indicati i seguenti: prevale un insegnamento nozionistico, manualistico anziché per problemi; la priorità è assegnata alla trasmissione di contenuti anziché ad un processo di costruzione della conoscenza; nel passaggio da un livello scolastico all’altro si riparte sempre da zero in quanto manca qualsiasi idea di curricolo verticale; le attività di laboratorio (quando ci sono) servono a confermare conoscenze già possedute; lo studente apprende in modo passivo” 2 . 1 In P. Ellerani, M. R. Zanchin, Valutare per apprendere. Apprendere a valutare, Trento, Erickson, 2013, pp. 223-251. 2 Provincia di Trento, Piani di studio Provinciali Primo Ciclo di Istruzione, Linee guida per l’elaborazione dei piani di studio di istituto, Trento, 2009, p. 95. 1

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La valutazione delle competenze scientifiche1

Carlo Fiorentini

La problematica della valutazione delle competenze scientifiche impone innanzitutto un lunga

riflessione sull’insegnamento scientifico e sulla necessità di profondi cambiamenti per poter

sviluppare negli studenti competenze scientifiche. A questo proposito particolarmente significativa

è l’introduzione alle competenze scientifiche presente nelle Linee Guida dei Piani di Studio per il

Primo Ciclo di Istruzione della Provincia Autonoma di Trento, in cui si evidenziano le motivazioni

che spingono a radicali innovazioni: “Una riflessione sul curricolo di scienze non può prescindere

da un dato ampiamente condiviso dalla comunità scientifica nazionale e internazionale: i risultati

conseguiti nell’insegnamento in tale area sono molto deludenti e sprecano, nella maggior parte dei

casi, il patrimonio di intelligenza dei giovani. Molte ricerche convergono nell’individuare la

principale criticità nel modo in cui le scienze vengono proposte in ambito scolastico. Tra gli aspetti

di maggiore criticità vengono indicati i seguenti: prevale un insegnamento nozionistico,

manualistico anziché per problemi; la priorità è assegnata alla trasmissione di contenuti anziché ad

un processo di costruzione della conoscenza; nel passaggio da un livello scolastico all’altro si

riparte sempre da zero in quanto manca qualsiasi idea di curricolo verticale; le attività di laboratorio

(quando ci sono) servono a confermare conoscenze già possedute; lo studente apprende in modo

passivo”2.

I nodi che vengono affrontati riguardano innanzitutto la prevalenza di un insegnamento

tradizionale, enciclopedico-nozionistico, nonostante che, da molti decenni, i programmi prima e le

indicazioni poi avessero prospettato in modo chiaro un’impostazione dell’insegnamento scientifico

di tipo laboratoriale. Ma altrettanto cruciali appaiono gli altri due aspetti: l’uno relativo alla verticalità

del curricolo, l’altro alla didattica laboratoriale. Rispetto alla verticalità, l’azione complessiva della

scuola sarebbe in effetti poco efficace, anche se si insegnasse in modo innovativo, finché il “che

cosa” e il “come insegnare” alle varie età non verranno progettati e realizzati da tutti i docenti del

primo ciclo in apposite strutture di ricerca e sperimentazione delle singole istituzioni scolastiche.

Mentre la didattica laboratoriale e non tanto i laboratori, può obiettivamente prospettare

metodologie didattiche che permettano a ciascun studente di essere attivo nella costruzione della

conoscenza, all’interno di una complessa dimensione sociale; ciò è evidentemente facilitato da

laboratori, che, nella scuola del primo ciclo, sono da intendersi come ambienti attrezzati in modo

essenziale contenenti sia materiale povero che materiale specifico di costo contenuto. 1 In P. Ellerani, M. R. Zanchin, Valutare per apprendere. Apprendere a valutare, Trento, Erickson, 2013, pp. 223-

251.2 Provincia di Trento, Piani di studio Provinciali Primo Ciclo di Istruzione, Linee guida per l’elaborazione dei piani di studio di istituto, Trento, 2009, p. 95.

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1. La necessità di laboratori di ricerca e sperimentazioneStante questo quadro continuano a persistere in molte scuole resistenze al cambiamento e

pratiche di insegnamento tradizionali, ammodernate da progetti vari ed episodici. I motivi possono

essere molteplici, a partire dalla formazione iniziale degli insegnanti, dalle modalità di reclutamento

e dall’assenza di strutture permanenti di ricerca e di sperimentazione. Ci limitiamo, in questo

nostro contributo, a segnalare una delle cause, a nostro parere, più importanti, relativa alla politica

dei progetti aggiuntivi, che ha costituito, in questi ultimi 12 anni, l’interpretazione ricorrente

dell’autonomia scolastica.

L’autonomia scolastica è stata introdotta in Italia, dopo una lunga gestazione, con lo scopo di

permettere, grazie al cambiamento del sistema scolastico nel suo insieme, il passaggio dalla logica

del programma, centrata sulla prescrittività dei contenuti e degli adempimenti, a quella del curricolo

per competenze, proteso a far raggiungere risultati in relazione agli apprendimenti degli studenti. A

distanza di 13 anni rimane particolarmente significativo il commento di Livia Barberio Corsetti,

Capo ufficio legislativo del Ministero della Pubblica Istruzione, durante il ministero Berlinguer: “Il

Regolamento segna la transizione dalla cultura del sapere, che malgrado quanto si è cercato di

fare negli ultimi anni, seguita a misurarsi in termini di quantità e vastità dei contenuti appresi – e a

concepire quindi l’apprendimento come un ‘avere’ – alla cultura della competenza, che non

pretende di negare il sapere, ma vuole calarlo in un apprendimento concepito, come “crescita

dell’essere”. In quanto tale, il Regolamento costituisce uno dei segni più evidenti che nel nostro

paese e in questo momento storico, è in atto una profonda trasformazione del diritto. Esso, pur

nelle resistenze che nascono da una cultura millenaria, tende sempre più ad abbandonare la

rigidità dei formalismi tradizionali per divenire strumento flessibile di regolazione di rapporti

sostanziali. Il vero pregio dell’art. 21 della legge 59/1997 e del Regolamento dell’autonomia

didattica ed organizzativa è quello di intervenire sulle relazioni giuridiche società-educazione-

sviluppo e insegnamento-apprendimento, liberandole dalle logiche che le volevano codificate nei

minimi particolari e ingessate nei tempi e nelle modalità per attribuire loro capacità di adattamento

alle nuove esigenze delle società e dei singoli. Si tratta sempre, e dobbiamo esserne consapevoli,

di diritto, ma di un diritto che non pretende più di <cristallizzare> la relazione, bensì di renderla

flessibile, aggiornandola costantemente e rinnovandone metodi e contenuti. Contiene al suo

interno elementi di flessibilità che consentono, sul presupposto della validità della relazione

fondamentale – dovere di educare/diritto all’educazione – di aggiornare costantemente la relazione

stessa, rinnovandone metodi e contenuti” (Barberio Corsetti, 1999, p. 58). Tuttavia, nonostante che

il perno del Regolamento dell’Autonomia consista nella realizzazione della scuola del curricolo per

competenze, l’interpretazione dominante nelle scuole è stata quella dell’ampliamento dell’offerta

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formativa con la politica dei Progetti, e ciò è avvenuto per molteplici responsabilità, della politica

nazionale e locale, dei sindacati, ed infine dei dirigenti scolastici e dei collegi degli insegnanti.

La regione Toscana avviò 12 anni fa, per le stesse motivazioni indicate dalle Linee Guida della

Provincia di Trento, un Progetto di Educazione Scientifica con l’intento di diffondere l’innovazione

in ambito scientifico. Essendo stata scelta la strada di reperire percorsi innovativi prodotti da singoli

o gruppi di insegnati, fu costituito un Comitato Scientifico composto da rappresentanti delle tre

università toscane e delle principali associazioni degli insegnanti, sia per specificare i criteri di un

insegnamento scientifico innovativo3, sia per poi validare i percorsi. Furono selezionati numerosi

percorsi rispondenti ai requisiti indicati, costituita una banca dati per diffonderli4 e organizzate negli

anni parecchie iniziative di disseminazione. Tuttavia, dopo 5-6 anni di attività, emerse nel Comitato

Scientifico la consapevolezza che questa iniziativa aveva modificato marginalmente

l’insegnamento praticato dalla maggior parte dei docenti, perché i percorsi innovativi riguardavano

soltanto singoli docenti o piccoli gruppi e non erano neppure conosciuti dai loro colleghi. Dopo una

lunga discussione nel Comitato, venne avviata una seconda fase del Progetto, in cui furono

rilevate quelle scuole che avevano colto nell’autonomia scolastica l’opportunità di costituire

all’interno della scuola dei laboratori di ricerca e sperimentazione, volti a rivedere sostanzialmente

(nei metodi e nei contenuti) l’insegnamento scientifico. Ma nell‘arco di alcuni anni furono

individuate soltanto 10-15 scuole che si erano mosse in tal senso. Iniziò quindi una terza fase che

portò finalmente, nel 2010, la Regione Toscana ad emanare un bando per la costituzione nelle

scuole di Laboratori del Sapere scientifico, prevedendo un finanziamento per tre anni (per le

scuole che avrebbero superato positivamente il monitoraggio previsto alla fine di ogni anno) di €

5.000 sia per il pagamento di esperti di didattica dell’insegnamento scientifico, sia per

l’incentivazione degli insegnanti ed infine per l’acquisto di materiali. Hanno ricevuto finora il

finanziamento circa 75 istituzioni scolastiche e in questo anno scolastico otterranno il

finanziamento 40 nuove scuole, grazie al nuovo bando emanato nel luglio 20125.

2. La questione dei contenutiSempre nell’introduzione alle competenze scientifiche delle Linee Guida della Provincia di

Trento si prende in esame una delle condizioni necessarie per il rinnovamento dell’insegnamento

scientifico: il legame esistente tra saperi essenziali e competenze. “Un primo criterio da osservare

3 Questi sono i 3 criteri: 1. approccio fenomenologico-induttivo ai contenuti delle discipline (né libresco, né sistematico-deduttivo) attraverso il quale ricostruire con gli alunni il percorso cognitivo che ha portato a quei contenuti; 2. “percorsi di apprendimento” individuati sulla base di contenuti epistemologicamente fondanti questa o quella disciplina; 3. introduzione di elementi di concettualizzazione/teorizzazione (la definizione, la regola, la legge, il principio) come risultati di un processo di osservazione-problematizzazione-formulazione di ipotesi-verifica-generalizzazione e non come verità precostituite.4 http://eduscienze.areaopen.progettotrio.it/index.asp5http://www.regione.toscana.it/regione/export/RT/sito-RT/Contenuti/sezioni/istruzione_ricerca/ visualizza_asset.html_1478266641.html

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è quello di rinunciare all’enciclopedia delle scienze perché uccide, in un sol colpo, la cultura

scientifica e il metodo. Ogni problematica scientifica importante ha bisogno di tempi e metodi

adeguati per poter essere acquisita in modo significativo, per diventare competenza, e quindi la

quantità dei contenuti va strettamente raccordata al tempo disponibile. In sostanza, l’obiettivo da

perseguire deve essere la profondità e la significatività delle conoscenze: un buon curricolo

scolastico in ambito scientifico è dunque quello che, effettuando scelte precise, seleziona e

propone alcuni temi da esplorare e approfondire nel corso di tutto il primo ciclo in una logica di

curricolo verticale, una quantità di contenuti e di esperienze effettivamente compatibili con un

apprendimento significativo”6.

L’alternativa non è tra insegnare poco o tanto, ma tra insegnare tante nozioni superficiali e

insignificanti, seguendo la logica enciclopedica del programma, oppure una quantità di conoscenze

compatibili con il tempo che si ha disposizione, che consentano uno scandaglio in profondità sì da

renderle significative e trasformarle in competenze. La significatività delle conoscenze, in

particolare nella scuola del primo ciclo, è connessa al contatto diretto con le cose; costituiscono, a

nostro parere, un principio fondamentale ancora oggi queste affermazioni di Dewey: “Tentare di

dare un significato tramite la parola soltanto, senza una qualsiasi relazione con la cosa, significa

privare la parola di ogni significazione intellegibile (...) In primo luogo essi (i simboli) rappresentano

per una persona questi significati solo quando essa ha avuto esperienza di una qualche situazione

rispetto a cui questi significati sono effettivamente rilevanti. Le parole possono isolare e conservare

un significato solo allorché esso è stato in precedenza implicato nei nostri contatti diretti con le

cose” (Dewey, 1961, p. 333).

Le esperienze sono indispensabili per realizzare il processo di concettualizzazione. Ma esse

diventano rilevanti solo se “inserite in processi di conoscenza”, se sono cioè connesse ad altre

esperienze. Difatti la comprensione dei concetti anche più elementari non è possibile con singoli

esperimenti, ma solo all’interno di una rete di relazioni. La significatività risiede sempre nel

collegare una certa esperienza ad altre esperienze (Dewey, 1949, pp.11-16). Ne discende che

l’attività di insegnamento-apprendimento dovrebbe essere progettata non per brevi segmenti

didattici, che, anche con le migliori esperienze, non permettono né di costruire conoscenze

significative, né di sviluppare competenze di tipo osservativo-logico-linguistico. Le attività di lavoro,

che possiamo chiamare nei modi più svariati a seconda della pedagogia di riferimento (noi

preferiamo il termine pedagogicamente meno impegnativo, percorso) dovrebbero essere invece

lunghe, mediamente di 15-20 ore. Pertanto in ogni anno scolastico è possibile effettuare 3 o 4

percorsi; nella scuola elementare i percorsi dovrebbero complessivamente essere 15/20, mentre

nella scuola media 12/15. Per esempio: in classe terza elementare la nostra ipotesi curricolare

prevede 3 percorsi molto articolati di circa 2-3 mesi ciascuno, uno sulla combustione, un secondo

sulle soluzione ed un terzo sulle catene alimentari.6 Op. cit. p. 95.

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3. L’individuazione dei saperi essenziali è il compito più impegnativoNelle considerazioni precedenti sulla significatività delle conoscenze è implicito un aspetto

fondamentale che per maggior chiarezza è bene esplicitare: per essere significativi i saperi, oltre

che essenziali (fondamentali e generativi), dovrebbero essere adeguati alle strutture cognitive e

motivazionali degli studenti. Pensiamo che sia impossibile, pur in presenza di una didattica

laboratoriale, far diventare significative, e trasformare in competenze, conoscenze troppo lontane

dalla possibilità di essere comprese. Anche gli esperimenti di per sé non sono concettualmente

evidenti; come tutta la riflessione epistemologica degli ultimi cinquant’anni ha messo in evidenza,

gli esperimenti sono infatti carichi di teoria. Per costruire quindi ipotesi di curricolo verticale delle

scienze basate sugli esperimenti, è indispensabile una analisi, fondata sul piano epistemologico e

psicologico, dei concetti scientifici per individuare, in via ipotetica, quei concetti e quegli

esperimenti più adatti alle varie età. Il rischio altrimenti è quello di confondere un insegnamento

significativo con forme di magia.

Lo sperimentalismo ingenuo, invece, ha delle affinità inconsapevoli, probabilmente non

desiderate, con la magia: mosso dall’obiettivo di coinvolgere gli studenti con effetti speciali, non si

pone il problema se ci sono le condizioni cognitive per l’avvio del lento e graduale processo di

costruzione della conoscenza. Ma la magia è soprattutto l’antitesi della scienza, il contrario della

razionalità, di quella paziente e solerte ricerca investigativa, aperta al cambiamento sulla base di

nuovi dati. In questo senso l’educazione scientifica non può che essere l’opposto della magia: non

tutto e subito, ma poco per volta, procedendo a piccoli passi, tra tentativi ed errori, nel proprio

cammino conoscitivo. La parola chiave è proprio la lentezza, lentezza e lentezza.

I concetti che si trovano, ad esempio, nei manuali della scuola secondaria di primo grado sono

per la maggior parte totalmente inadeguati; essendo molto formalizzati non possono essere

insegnati in modo laboratoriale. Se prendiamo come esempio la meccanica classica, a cui sono

dedicate 30-40 pagine, si passano in rassegna i concetti fondamentali, velocità, accelerazione,

massa, principio di inerzia, leggi di Newton, energia cinetica, energia potenziale, lavoro, potenza,

ecc. Questi concetti, che non sono neppure presenti nelle Indicazioni del primo ciclo,

rappresentano un immane ostacolo epistemologico (Grimellini Tomasini e G. Segrè,1991) per la

maggior parte degli studenti anche nella scuola secondaria superiore se essi non vengono

affrontatati con modalità e tempi adeguati.

La ricerca sul curricolo verticale si colloca sul terreno della complessità: l’individuazione di

saperi essenziali e significativi su cui basare il curricolo di scuola implica il possesso di molteplici competenze: disciplinari, epistemologiche, psicopedagociche, didattiche, come si evince dal

riquadro sottostante. Questo è il motivo che ci porta a consigliare insegnanti e scuole, che non

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abbiano una lunga esperienza alle spalle, di iniziare a lavorare in classe in modo innovativo, a

partire da percorsi significativi già sperimentati, presenti in letteratura.

DISCIPLINE: EPISTEMOLOGIA E scientifiche, linguistiche DIDATTICA DISCIPLINAREstoriche, ecc.

IPOTESI DI CURRICOLO (che cosa e come insegnare alle varie età)

SCIENZE DELL’EDUCAZIONE: RIFLESSIONI pedagogia SULL’ESPERIENZA DIDATTICApsicologia dell’apprendimentostoria della scuolasociologia dell’educazione

Per elaborare ipotesi appropriate di curricolo verticale in ambito scientifico le conoscenze

disciplinari rappresentano indubbiamente un prerequisito indispensabile, anche se di per sé sono

cieche di fronte alle problematiche educative, alle difficoltà di comprensione di chi apprende.

Tuttavia gli strumenti culturali principali, che permettono di individuare nella miniera delle discipline

le conoscenze fondamentali da insegnare alle varie età, sono altri, quali: l’epistemologia, la storia

della scienza e la didattica disciplinare da una parte e le scienze dell’educazione, ed in particolare,

la psicologia dell’apprendimento dall’altra.

4. La questione metodologicaIl secondo aspetto, fondamentale per realizzare un insegnamento significativo per competenze,

è quello relativo alla questione metodologica. Riprendiamo un ultimo passaggio dall’introduzione

alle competenze scientifiche delle Linee Guida della provincia di Trento:

“Un secondo focus di attenzione del curricolo deve essere dedicato al mantenimento della

motivazione all’apprendimento che va gradualmente affievolendosi con il crescere dell’età … In un

contesto laboratoriale, attraverso esperienze adeguate all’età, l’alunno è attivo, esplora, osserva,

manipola, si pone domande, formula ipotesi, raccoglie dati, sviluppa ragionamenti, ecc. , matura

atteggiamenti e sensibilità (la curiosità, l’abitudine a farsi domande, la cooperatività, un

atteggiamento critico rispetto a informazioni e affermazioni, il rispetto per l’ambiente, l’attenzione

verso problematiche legate alla sostenibilità e a temi etici, ecc). In tale prospettiva l’idea di

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laboratorio assume una connotazione molto più ampia, che fa riferimento sia ad uno spazio fisico

adeguatamente attrezzato sia a contesti non formali”7.

Negli ultimi dieci anni si è realizzato un consenso universale tra gli esperti di educazione

scientifica sulla imprescindibile necessità di un insegnamento laboratoriale nella scuola del primo

ciclo e nel biennio della secondaria superiore. E tutte le indicazioni ministeriali hanno fatto propria

questa impostazione. Tuttavia un numero consistente di insegnanti continua a insegnare in modo

tradizionale. Sorge a questo punto inevitabilmente la domanda del perché esista questa sfasatura

tra la ricerca e la scuola reale? La risposta potrebbe essere che la didattica laboratoriale sia una

affascinante idea pedagogica, sperimentabile in gruppi di ricerca avanzata, ma che non faccia i

conti con le insormontabili difficoltà della scuola reale, e che non sia quindi proponibile per gran

parte degli insegnanti.

Le obiezioni si riferiscono alla mancanza di spazi attrezzati nella maggioranza delle scuole, e

all’assenza nella scuola di base di personale addetto agli eventuali laboratori presenti; ma le

obiezioni più frequenti sono quelle che evidenziano situazioni sempre più problematiche e difficili

nelle classi e il crescente affollamento di studenti nelle classi. Da qui discende la domanda: come

è possibile in queste condizioni praticare costantemente la didattica laboratoriale?

A queste obiezioni occorre fornire una seria risposta, tramite esempi e proposte concrete,

altrimenti non ci si può poi stupire che la maggior parte degli insegnanti continui a praticare

modalità di lavoro tradizionali. A tal proposito proponiamo un modello elaborato nell’arco di 10 anni

a partire da una riflessione sui contributi dei grandi della psicopedagogia del Novecento, Dewey,

Piaget, Vygotskij, Bruner, mediante il quale riteniamo di fornire un’ adeguata risposta.

5. Il modello metodologico delle 5 fasiLa riflessione e la sperimentazione, che stiamo conducendo da molti anni, ci hanno portato a

prospettare un modello metodologico per l’educazione scientifica nella scuola di base, che non va

assunto come un dogma, ma appunto come un modello flessibile da adattare costantemente sia

all’oggetto della conoscenza che alle condizioni reali della costruzione della conoscenza. Le

indicazioni delle cinque fasi e la loro successione vanno interpretate come momenti importanti

dell’attività in classe ma non obbligatoriamente in modo rigido e meccanico.

1a Fase OSSERVAZIONE2a Fase VERBALIZZAZIONE SCRITTA INDIVIDUALE3a Fase DISCUSSIONE COLLETTIVA

7 Op. cit. p. 95-96.7

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4a Fase AFFINAMENTO DELLA CONCETTUALIZZAZIONE5a Fase PRODUZIONE CONDIVISA

Pensiamo che la prima fase debba generalmente essere quella dell’osservazione, del contatto

diretto con le cose, come abbiamo già in precedenza sottolineato, facendo riferimento a Dewey.

L’abbiamo chiamata osservazione e non sperimentazione/osservazione, sottintendendo che gli

esperimenti non siano, nella maggioranza dei casi, effettuati direttamente dagli alunni, e che quindi

l’esperimento sia unico e gestito dall’insegnante, ovviamente nel modo più partecipato possibile e

in modo tale che tutti possano agevolmente osservare e, quando è necessario, toccare-

manipolare. Questa non è ovviamente una questione di principio, un’indicazione rigida, ma una

proposta che si pone il problema di fare seriamente i conti con le difficoltà precedentemente

accennate. O detto in altro modo, pensiamo che debba essere ciascun insegnante a decidere,

tenendo conto di tutte le variabili contestuali, quanto spazio assegnare alla sperimentazione diretta

degli alunni. Consideriamo invece un principio astratto, e corresponsabile della situazione

prevalente dell’insegnamento scientifico, il dogma dell’attività manuale diretta da parte dello

studente, condiviso da molti esperti di didattica delle scienze.

La seconda fase, la verbalizzazione scritta individuale (Bigozzi, 2008), è nella nostra proposta

la più importante. In verità dovremmo chiamarla correttamente fase della rappresentazione, di cui

la verbalizzazione scritta individuale è una delle modalità, insieme al disegno, alla raccolta di dati,

ecc. Però preferiamo denominarla in tal modo proprio per evidenziarne la rilevanza, a partire dagli

ultimi mesi della classe prima della scuola primaria. Per capire la portata di questa scelta può

essere utile confrontare il nostro modello con un altro modello molto diffuso, articolato in tre fasi,

che corrispondono alla prima, terza e quinta fase della nostra proposta. Se quest’ultimo modello

fosse quello preminente per la didattica laboratoriale non ci si potrebbe stupire delle grandi

difficoltà degli insegnanti a praticare la didattica laboratoriale in classi mediamente di 25 studenti;

questo è, a nostro parere, impraticabile e inefficace. È impraticabile in classi numerose, perché se

la fase successiva all’osservazione è la discussione collettiva, è molto probabile che pochi studenti

partecipino alla discussione e che la maggior parte della classe sia estranea all’attività. Inoltre

l’insegnante faticherebbe a mantenere la motivazione e una situazione sufficientemente ordinata.

Ovviamente se si dividesse la classe in due gruppi di 12-13 alunni tutto cambierebbe. Ma ciò non è

più possibile dopo i provvedimenti ministeriali degli ultimi anni, e comunque la divisione della

classe non rappresentava neanche prima la modalità usuale di lavoro. Infine è persino inefficace

per gli alunni che partecipano, dato che il loro contributo è in genere parziale e atomico; chi in

realtà concettualizza è l’insegnante che naturalmente è preoccupato di trarre velocemente una

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conclusione adeguata sulla base degli stimoli degli alunni, prima che la situazione delle classe

diventi ingestibile.

La terza fase è necessaria e produttiva solo dopo che ciascun alunno ha cercato

individualmente di dare senso con una verbalizzazione scritta individuale (o con altre modalità di

rappresentazione) alla porzione di mondo che si sta indagando in classe. La consegna da parte

dell’insegnante non è genericamente ‘osserva’ (Popper,1972, p. 83-85), ma ‘descrivi’, ‘confronta’,

‘cogli differenze e somiglianze, ‘cogli relazioni’, ‘raggruppa’, ‘definisci’: si tratta cioè di una specifica

consegna di tipo osservativo-logico-linguistico. In realtà sia la prima che la seconda fase non sono

separate, al contrario sono un tutt’uno, in molti casi l’esperienza viene ripetuta perché la prima

volta l’attenzione dell’alunno tende a cogliere i vari aspetti in maniera globale e non analitica. La

seconda fase rappresenta il passaggio più innovativo della nostra proposta, tuttavia è quello che

incontra più resistenze. Le obiezioni riguardano soprattutto la verbalizzazione scritta individuale,

che metterebbe in difficoltà gli alunni più deboli e la possibile caduta della motivazione in questa

fase. Ma così non è, se il lavoro è correttamente condotto.

La fase della verbalizzazione scritta individuale dovrebbe, difatti, essere intesa come il

momento dell’ipotesi, del tentativo, da parte dell’alunno, di fornire risposte, dell’errore percepito

come fonte di apprendimento; si tratta di un passaggio fondamentale in cui ciascun alunno è

impegnato a comprendere, a esprimere ciò che ha capito e a ricercare soluzioni. Le produzioni

degli alunni saranno molto diverse; quando si chiede loro ad esempio una descrizione, vi saranno

bambini che scrivono molto e bambini che scrivono poco, ma tutto ciò va letto in un’ottica di

valutazione formativa, considerandolo un punto di partenza sia nello specifico tratto di lavoro che

nel percorso complessivo di ciascun livello scolare. In queste attività ci imbattiamo spesso in

sorprese: bambini particolarmente deboli colgono aspetti che sfuggono alla maggioranza della

classe oppure ne evidenziano alcuni, sebbene non corretti, ma significativi per tutti in vista di una

più profonda comprensione di un determinato fenomeno.

Relativamente al calo di interesse che questa fase potrebbe suscitare, raccomandiamo che le

consegne dell‘insegnante prestino sempre attenzione alla motivazione: siano cioè essenziali e

funzionali al compito, facendole avvertire al bambino come necessarie alla sua comprensione e

non come una prestazione individuale Se tutto ciò si verifica, la verbalizzazione scritta è tutt’altro

che demotivante: le sperimentazioni, condotte da circa 20 anni da molti insegnanti, confermano la

grande importanza di quest’attività nel tenere alta, negli anni, la motivazione in un insegnamento

scientifico impostato in modo laboratoriale (Bigozzi, 2011).

Questa seconda fase è presente da molto tempo nella nostra proposta metodologica; però la

lettura negli ultimi anni di un libro di Rey ci ha fatto capire, in modo più profondo, la funzione

indispensabile ch’essa svolge: “Un’altra funzione della scrittura resta nell’ombra per gli allievi e

senza dubbio per molti insegnanti: una scrittura che non “racconti”, che non sia prima di tutto un

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messaggio indirizzato all’altro, ma che sia piuttosto uno strumento per fare il punto sulle cose, per

fare un inventario, riportare la varietà del mondo a insiemi conoscibili. È chiaro che questi sono

prerequisiti assoluti per una comprensione scientifica del mondo. Lo scrivere non è una proprietà

esclusiva dei letterati, ma è prima di tutto, uno strumento intellettuale indispensabile alla

comprensione delle cose” (Rey, 2003, p. 206).

.

Ritornando alla terza fase, quella del confronto, essa è veramente proficua se ogni alunno

abbia cercato di fornire una propria risposta e ciò avviene con certezza tramite la verbalizzazione

scritta. Indubbiamente si tratta di una fase decisiva come molti psicologi hanno indicato; tra questi

un contributo importante è quello dei postpiagetiani Doise e Mugny che hanno mostrato che tra

“pari” può stabilirsi un “conflitto sociocognitivo” in cui lo scambio con l’altro conduce il soggetto a

cercare di risolvere le contraddizioni tra i suoi giudizi e, quindi, a entrare nel campo della

razionalità.

A questo punto dovremmo chiederci se le critiche che abbiamo avanzato alla discussione

collettiva nel modello a tre fasi potrebbero essere pertinenti anche nel nostro modello con 5 fasi.

Va da sé che nel caso di classi numerose occorre condurre la discussione in modo conseguente;

tuttavia la diversità fondamentale, come brevemente accennato, consiste nel fatto che tutti gli

studenti vengono impegnati, a livello individuale, prima della discussione collettiva in un tentativo di

concettualizzazione scritta. Ciò consente di partire, nella discussione, dalla lettura di alcune

verbalizzazioni individuali che l’insegnante farà riportare sulla lavagna o sulla LIM, in modo tale

che la classe discuta sulla base delle diverse considerazioni scritte e del confronto tra queste. È di

nuovo il libro di Rey che ci ha portato a fare questa specifica richiesta che potrebbe apparire un

dettaglio e che invece si è rivelata efficace e preziosa sul piano didattico: “Lo scritto, prima di

essere un messaggio, introduce il rigore nella classificazione delle cose; è la sua funzione primitiva

e forse primordiale … La scrittura permette soprattutto l’accostamento, in uno stesso spazio, di

enunciati che, nella loro forma orale, sono slegati. Si pone così il problema della loro coerenza

logica, problema che non si pone finché ogni enunciato è separato, isolato, integrato in una

circostanza” (Rey, 2003, p.207). È comunque ipotizzabile che anche nella discussione gli interventi

siano limitati o che qualche aspetto non sia stato ancora colto dagli alunni. In questo caso è più

produttivo ripetere l’esperimento o porre domande e interrogativi piuttosto che protrarre troppo la

discussione. Con classi numerose, la discussione non dovrebbe essere, a nostro parere,

interpretata come un momento in cui tutti gli alunni devono necessariamente intervenire. La sua

rilevanza risiede nell’offrire a tutti l’opportunità di partecipare al confronto tra idee, imparando ad

ascoltare, e di favorire la consapevolezza che, tramite il contributo dei compagni e della regia

sapiente dell’insegnante, è possibile sviluppare le proprie conoscenze e competenze.

10

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Nell’introdurre il modello in cinque fasi, abbiamo messo in evidenza che è stato ricavato da una

lunga riflessione sui contributi di Dewey, Piaget, Vygotskij e Bruner, autori che negli ultimi decenni

sono stati nelle ricerca in psicologia dell’apprendimento contrapposti (Bruner, 1998, pp. 21-36). Dei

loro studi abbiamo ripreso ciò che abbiamo reputato valido per il rinnovamento dell’insegnamento

scientifico. Conseguentemente nella nostra proposta sono presenti aspetti che si rifanno

palesemente a Dewey e Piaget, mentre altri sono connessi al contributo di Vygotskij e Bruner. È

interessante quanto afferma Bruner, nella sua autobiografia, a proposito del paradigma piagetiano

che aveva assunto in una fase della sua attività: “Il linguaggio non si apprende in astratto: è

necessario imparare ad usarlo. Se ne fa un uso per comunicare, per mettere ordine negli eventi,

per costruire delle realtà … Mi ero allontanato dal modo in cui Piaget lo concepiva, come

sottoprodotto del più generale sviluppo cognitivo … Ero finalmente disposto ad ammettere che

molte realtà umane potevano esistere solo in virtù del linguaggio” (Bruner, 1997, p.173).

Nella quarta fase si ritorna a proporre un’attività individuale. Si chiede a ciascun alunno, sulla

base della discussione collettiva, di modificare, correggere, completare ciò che aveva scritto nella

seconda fase. In alcuni casi, con alunni delle ultime classi della scuola primaria e della scuola

secondaria di primo grado, si può dare anche la consegna, molto più impegnativa, di riscrivere.

Questa quarta fase è importante dal punto di vista cognitivo e meta cognitivo, ma non sempre è

praticabile; in taluni casi rischierebbe di far cadere il coinvolgimento e la motivazione. Tuttavia

possiamo renderla più agevole se organizziamo il quaderno nell’ottica del portfolio. Una delle

modalità potrebbe consistere nel fare tenere, già dalla seconda fase, una spaziatura molto ampia,

in modo tale che, nella quarta fase, le correzioni possano avvenire permettendo la leggibilità dei

testi relativi alla seconda fase e alla quarta fase, ponendo a confronto le due diverse stesure.

La quinta fase, se è presente la quarta fase, può anche essere realizzata dall’insegnante,

prendendo le migliori produzioni degli alunni. È opportuno che nel quaderno vi siano delle

produzioni corrette anche dal punto di vista sintattico e ortografico, necessarie anche per lo studio

individuale. Siamo convinti, grazie alle innumerevoli sperimentazioni condotte da moltissimi

insegnanti, che, lavorando in questo modo, tutti gli alunni arrivino a comprendere i concetti di base,

e a sviluppare a un livello accettabile le competenze dell’ambito scientifico, con produzioni

diversificate, dal punto di vista del linguaggio. Il quaderno, in quanto strumento fondamentale che

accompagna costantemente l’attività di osservazione e concettualizzazione, acquisisce così uno

specifico valore, sia mantenendo delle tracce del processo conoscitivo di ciascun alunno, sia

diventando il deposito delle produzioni corrette condivise.

Il modello prospettato ci sembra una esemplificazione significativa di queste considerazioni di

Ellerani: “La più recente prospettiva della ricerca psico-pedagogica occidentale, per esempio,

riporta che l’apprendimento è ‘fatto’ sociale e non connotato sequenzialmente, che il nuovo

paradigma per progettare l’insegnamento vada posto più sul comprendere che solo

11

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sull’apprendere, che la progettazione di “ambienti significativi” e intenzionali forma alle competenti

intelligenze plurali, utilizzandole in forme distribuite nel “contesto”. Si è quindi passati dal

considerare la relazione insegnamento-apprendimento basata sul trasferimento delle conoscenza,

al principio della co-costruzione delle conoscenze per comprensione significativa, padroneggiando

flessibilmente il trasferimento in diversi contesti delle competenze, ricorsivamente amplificate”

(Ellerani, 2010, p.212).

6. Cosa e come valutare le competenze scientifiche? Prendiamo come riferimento delle competenze scientifiche alla fine della scuola del primo ciclo

sia quelle indicate dalla provincia di Trento sia quelle delle Indicazioni nazionali. Mentre nel primo

caso sono prospettate tre competenze, nelle Indicazioni nazionali sono indicati 9 traguardi per lo

sviluppo delle competenze alla fine della scuola primaria e 7 traguardi alla fine della scuola

secondaria di primo grado. Entrambe sono sostanzialmente sovrapponibili, essendo quelle

nazionali più analitiche. Ad esempio la prima competenza indicata dalla provincia di Trento

(Osservare, analizzare e descrivere fenomeni appartenenti alla realtà naturale e agli aspetti della

vita quotidiana, formulare e verificare ipotesi, utilizzando semplici schematizzazioni e

modellizzazioni) corrisponde a 5 traguardi alla fine della scuola primaria e a 2 traguardi alla fine

della scuola secondaria di primo grado. Lo sviluppo di questa competenza (come delle altre) si

realizza durante tutto l’arco della scuola del primo ciclo individuando conoscenze e abilità (nel

linguaggio di Trento) od obiettivi specifici di apprendimento (nel caso delle indicazioni nazionali),

dal primo anno della scuola primaria alla fine della scuola secondaria di primo grado, che siano

significativi, in quantità adeguata e coerenti nell’ottica del curricolo verticale.

. “Un primo passo nella valutazione delle competenze può essere costituito da una valutazione

della qualità delle conoscenze e delle abilità effettivamente disponibili in relazione alla tipologia di

compiti da svolgere o di situazioni sfidanti che devono essere affrontate” (Pellerey, 2010, p. 109).

In ogni percorso è possibile verificare conoscenze, abilità, ed atteggiamenti; per quanto riguarda le

competenze, una prima verifica può essere effettuata con delle prove adeguate8, ma una verifica

più significativa si realizza nell’arco degli anni quando è possibile constatare la capacità di usare

conoscenze e abilità in situazioni nuove di studio o connesse alla vita quotidiana. La valutazione è

ovviamente la risultante di una molteplicità di prestazioni.

7. La valutazione formativa

8 Pellerey distingue tra competenza e manifestazione di competenza, op. cit. p. 71: “Dalle precedenti considerazioni deriva anche l’impossibilità di identificare la competenza con una singola prestazione, o con prestazioni di natura ripetitiva, anche se queste assumono il carattere di manifestazione di competenza e quindi ne sono un indicatore”.

12

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7.1 L’osservazione sistematica del processo di apprendimento Impostando l’insegnamento con una metodologia laboratoriale, l’insegnante ha costantemente

indizi importanti del processo di costruzione della conoscenza degli alunni, delle abilità sviluppate

e delle conoscenze gradualmente e lentamente costruite, perché la conoscenza si genera con il

contributo di ciascun alunno all’interno di una dimensione sociale. È tuttavia importante che queste

impressioni siano in qualche modo rese meno labili, utilizzando strumenti di osservazione in grado

di cogliere abilità, conoscenze, atteggiamenti. Si riporta una griglia di osservazione9 connessa alla

metodologia delle 5 fasi in precedenza descritta, ma che con le opportune modifiche può avere un

utilizzo più generale.

NOME ALUNNOSETTEMBRE OTTOBRE NOVEMBRE DICEMBRE

OSSER

VAZIO

NE

Partecipa con interesse alla fase di osservazione dell’esperienza

Partecipa con interesse alla fase di osservazione dell’esperienza anche per

tempi lunghi

Partecipa con interesse alla fase di osservazione dell’esperienza cogliendo

particolari significativi

VERB

ALIZZA

ZZION

E SC

RITTA

Individua assieme ad aspetti significativi anche aspetti contestuali non significativi

dell’esperienza

Individua gli aspetti significativi dell’esperienza

Individua gli aspetti significativi dell’esperienza con adeguata

consequenzialità.

DISC

USSIO

NE

Ascolta e segue la conversazione

Interviene riferendosi ad esperienze personali

Si inserisce nella discussione riferendosi anche a considerazioni espresse dai

compagni

7.2 Il quaderno di lavoro nell’ottica del portfolio

9 La griglia è stata costruita da Antonella Martinucci e Rossana Nencini, due colleghe del Gruppo di ricerca e sperimentazione in Educazione Scientifica del CIDI di Firenze.

13

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Abbiamo già indicato la fondamentale importanza del quaderno di lavoro degli studenti. Ora

vorremmo sottolinearne l’utilizzo per la valutazione delle competenze nell’ottica del portfolio. Il

quaderno costituisce una narrazione dell’attività svolta, dove il percorso fatto, scandito nelle varie

fasi, e le conoscenze progressivamente costruite dalla classe sono evidenti. Ma è anche uno

strumento che fornisce ulteriori indizi del processo di costruzione della conoscenza di ciascun

alunno, delle sue abilità e conoscenze, e nei tempi lunghi, delle sue competenze.

Riprendiamo, come esempio, la descrizione dei fenomeni; si tratta di un’attività complessa, che

richiede di collocare nella successione spazio-temporale gli aspetti significativi del fenomeno

indagato ed è proprio l’individuazione di questi ultimi il compito più impegnativo per gli studenti. In

generale gli alunni, negli ultimi tre anni della scuola primaria (ma adulti senza competenze

specialistiche in ambito scientifico si comporterebbero in modo molto diverso?), tendono a fornire

delle descrizioni molto ricche dove sono affastellati aspetti, colti percettivamente e in cui la

successione spazio-temporale si smarrisce per sovrabbondanza di particolari osservati. La

descrizione di un fenomeno costituisce spesso il punto di partenza di molti percorsi ed è

indispensabile che la rilevazione degli aspetti significativi nella successione spazio-temporale sia

scoperta e costruita dagli alunni. Se al contrario si proponessero delle griglie di osservazione del

fenomeno, assegnando il compito di mettere le croci in corrispondenza a determinate variabili,

quest’attività non sarebbe efficace per lo sviluppo di competenze osservativo-logico-linguistiche.

La griglia fornirebbe infatti gli occhiali per osservare la porzione di mondo che si sta investigando,

limitando la possibilità ad ogni bambino di costruirne dei propri. Ciò non significa che non si

debbano mai usare griglie di osservazione; anzi queste possono risultare utili in un secondo

momento, quando si vogliono ad esempio confrontare casi diversi dello stesso fenomeno. Con

alcuni alunni è possibile verificare in tempi brevi, all’interno di un percorso di 15-20 ore,

l’affinamento della competenza di descrizione di fenomeni; con altri alunni invece l’accertamento

del miglioramento di questa competenza può essere effettuato solo in tempi più lunghi. Comunque

nell’arco degli anni si constata lo sviluppo parziale di questa competenza in tutti gli alunni, che

saranno in grado di fornire descrizioni più o meno adeguate di fenomeni completamente diversi da

quelli precedentemente indagati.

Ciò significherebbe che, se tutti gli alunni avessero costantemente praticato nella scuola

primaria metodologie di tipo laboratoriale, il lavoro nella scuola secondaria di primo grado sarebbe

molto diverso da quello che si verifica nella maggioranza delle situazioni, perché sarebbe

effettivamente possibile potenziare le competenze degli alunni sulla base di conoscenze/abilità

consolidate e di competenze parzialmente sviluppate. Quando l’impostazione dell’insegnamento è

di tipo trasmissivo e nozionistico, accade che l’insegnante riparta ad ogni nuovo livello scolare

sempre da capo, trovandosi spesso di fronte ad alunni che hanno sentito e studiato tante cose, ma

non hanno sedimentato alcuna conoscenza significativa, né tanto meno sviluppato, pur

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parzialmente, qualche competenza. In realtà hanno sviluppato degli atteggiamenti troppe volte

negativi nei confronti della scuola.

Precedentemente abbiamo parlato di sviluppo parziale della competenza riguardo alla capacità

di descrivere fenomeni, perché potrebbe verificarsi il ritorno alla fase iniziale di fronte a fenomeni

più complessi. Prendiamo come esempio il concetto di vapore acqueo e di evaporazione. Si tratta

di concetti tutt’altro che banali, che invece vengono spesso considerati auto evidenti, tanto da

essere affrontati a partire già dalla scuola dell’infanzia o dai primi anni della scuola primaria. Ciò

che è difficile comprendere non è tanto che l’acqua evapori: ad esempio che le pozzanghere o i

vestiti lavati si asciughino (per sapere queste cose non serve la scuola), quanto la sua

trasformazione in acqua invisibile, in vapore acqueo. La concettualizzazione di queste conoscenze

richiede tempi distesi, noi la collochiamo negli ultimi anni della scuola primaria, all’interno di un

lungo percorso che dura circa quattro mesi10.

L’inizio del percorso consiste nella descrizione del riscaldamento dell’acqua fino

all’ebollizione. In seguito si utilizza il distillatore perché soltanto con un sistema chiuso è possibile

comprendere che cosa succede. Prima di metterlo in funzione, si dedica il tempo necessario

all’esplorazione dello strumento, inconsueto e affascinante per gli alunni, in particolare per far

notare con chiarezza a tutti che l’acqua di raffreddamento non entra in contatto con l’acqua che

bolle. La differenza preminente tra il fenomeno dell’ebollizione effettuato all’aperto in un becher e

nel distillatore, oltre al recupero di tutta l’acqua che bolle, risiede nel primo caso nella visibilità del

“fumo” (il termine corretto è nebbia), nel secondo nell’invisibilità del vapore acqueo.

Questo percorso, non semplice, è stato nell’arco di 10 anni modificato più volte con

consegne sempre più specifiche, per rendere possibile la comprensione del fenomeno a tutti gli

alunni e cioè che l’acqua si trasforma quando bolle in uno stato dell’acqua particolare, non visibile,

in vapore acqueo. Dieci anni fa, si chiedeva difatti agli alunni di descrivere, con il distillatore, di

nuovo il fenomeno per arrivare, confrontandolo con quello iniziale, a comprendere le

trasformazioni. In realtà con il distillatore il fenomeno è troppo complesso; gli alunni coglievano

tante variabili, ma quasi mai quella fondamentale. Difatti quest’ultima non può essere osservata (il

vapore acqueo è invisibile), ma soltanto dedotta, confrontando i due esperimenti. Molti alunni

arrivavano a comprendere soltanto quando la connessione con l’esperimento iniziale veniva resa

percettivamente palese, togliendo il tappo che si trovava nel distillatore sopra l’acqua che stava

bollendo. I ragazzi vedevano di nuovo il “fumo” e il vapore acqueo diventava in un certo senso

visibile perché a seguito del contatto con l’aria in parte condensava.

8. Verso la valutazione sommativa

10 http://www.cidifi.it/primaria_chimico_fisica.htm

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Comunque alla fine di ogni percorso, circa ogni due mesi, bisogna eseguire anche delle

verifiche sommative. Dopo che talune conoscenze sono state adeguatamente apprese è

indispensabile un loro consolidamento tramite lo studio individuale. Rispetto all’impostazione

tradizionale l’impegno che si richiede all’alunno è completamente diverso, perché l’attività di

comprensione è già stata realizzata a scuola. Ciò non vuol dire che non si debba fortificarla. Difatti

sarebbe errato pensare che con un’impostazione laboratoriale non ci sia nulla da studiare, in

quanto la comprensione si realizza in classe.

La costruzione della conoscenza inizia a partire da ciò che ciascun alunno ha scritto nella

seconda fase: quivi interessa la progressiva adeguatezza logico-concettuale più che la correttezza

linguistica. Prosegue e si sviluppa nel passaggio dalla seconda alla quinta fase, in cui contano

anche l’adeguatezza e la correttezza linguistica. Difatti più il linguaggio naturale si affina per

esprimere ciò che si sta indagando, più si fa adeguato ed efficace per comprendere il mondo,

diventando effettivamente “uno strumento intellettuale indispensabile alla comprensione delle

cose” (B. Rey, 2003, p. 206). Con il consolidamento ciascun alunno ha l’opportunità di appropriarsi

di ciò che è frutto del proprio lavoro e di quello di tutti.

La parte centrale di quest’attività logico-linguistica non investe direttamente il linguaggio

specialistico; tuttavia termini specifici e definizioni operative, ricavati da lunghe attività di

osservazione, di confronto e di classificazione, possono essere acquisiti, fissati in modo preciso e

rafforzati nell’enciclopedia personale di ogni alunno. Quest’operazione di conservazione è

indispensabile, poiché è nella precisione del linguaggio che si racchiude il mondo delle relazioni

fattuali e concettuali, in cui si rappresentano i singoli concetti. Mentre nel linguaggio usuale e

letterario le parole veicolano spesso molteplici significati, nel linguaggio scientifico le parole hanno

un solo significato (o pochi), ponendo vincoli di interpretazione. È determinante far scoprire agli

alunni questa caratteristica fondamentale del linguaggio scientifico. Se riprendiamo l’esempio

precedente del vapore, il termine è usato nella vita quotidiana in modo generico e inconsapevole,

viene impiegato per indicare odori e profumi o, in modo improprio, la condensa dell’acqua. Con il

percorso dell’acqua il termine corretto, che va conservato, è vapore acqueo (che non è visibile)

nella consapevolezza, a questo, punto che di vapori ce ne sono tanti.

A proposito della fondamentale rilevanza delle definizioni operative appaiono significative

queste considerazioni di Arons: “Un aspetto è quello della definizione operativa dei concetti di

base. Pochi studenti, anche a livello universitario, hanno avuto un ‘esperienza diretta che li abbia

resi consci di come le parole acquistano significato attraverso un’esperienza condivisa. Essi

tendono a pensare che le parole siano definite attraverso i sinonimi che si trovano nei dizionari e,

quando si arriva a concetti come velocità e accelerazione o forza o massa essi sono

completamente all’oscuro della necessità di descrivere le azioni e le operazioni che si eseguono,

almeno in linea di principio, per dare a questi termini un significato scientifico. È da notare che

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queste parole, all’inizio, sono metafore prese dal linguaggio quotidiano, a cui noi assegniamo un

significato scientifico profondamente alterato, che è solo vagamente connesso con il significato

che le stesse parole hanno nel linguaggio colloquiale. Per queste ragioni gli studenti non sono

coscienti della variazione di significato a meno che questa non venga fatta notare loro con

chiarezza in più occasioni, non una sola volta. Gli studenti devono essere resi esplicitamente

consci del procedimento della definizione operativa, e devono essere condotti ad esprimere con

parole proprie le <<storie>> che hanno a che fare con la generazione dei numeri per la velocità,

l’accelerazione e così via” (Arons, 1992, p. 19, 20).

In conclusione, i quesiti che si utilizzano per le verifiche sommative possono essere di varie

tipologie, purché prevedano sempre la richiesta di motivare la risposta data.

9. Qualche esempio di verifica

9.1 Prova a risposta aperta sul comportamento degli acidiRiportiamo nella tabella sottostante una verifica sugli acidi relativa ad un percorso di vari mesi per

la scuola secondaria di primo grado11.

Verifica

Il comportamento degli acidi

Rispondi alle domande, motivando la risposta:

1. Gli acidi sono in grado di solubilizzare tutti i materiali solidi non solubili in acqua? …………………………………………………………………………………………..……………………………………………………………………………………………

2. Come mai ci vuole più tempo per solubilizzare un materiale in pezzi che in polvere?………………………………………………………………………………………….…………………………………………………………………………………………

3. Quali differenze più evidenti si osservano nel comportamento dei vari materiali con gli acidi?……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………

4. Come possono essere definiti gli acidi sulla base degli esperimenti effettuati?………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………

5. Che differenza esiste tra il modo di solubilizzare dell’acqua e degli acidi?………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………

6. Come mai un acido può reagire e non solubilizzare un solido?………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………

7. Perche gli acidi hanno svolto un ruolo importante nella storia dell’uomo?

11 http://www.cidifi.it/acidi.htm

17

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………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………

8. Riconsideriamo l'esempio della solubilizzazione del carbonato di calcio in acido cloridrico.

Leggi e rispondi alle domande:

Si è precedentemente ipotizzato: 1) che l'effervescenza e la solubilizzazione siano dovute al contatto, allo scontro, all'interazione (questo ultimo è il termine che si utilizza in ambito scientifico) tra le particelle di acido e quelle del solido; 2) e che sia l'acido che il solido si consumino completamente, se sono presenti nel rapporto quantitativo adeguato. Ma che cosa è successo alle due sostanze? Sono svanite nel nulla? Sono passate nell'aria? …………………………….…………………………….…………………………….………………………………………………………….…………………………….. Si è constatato precedentemente che l'acido cloridrico non è più presente nella soluzione; ma il carbonato di calcio, che non è più visibile, potrebbe essere presente nell'acqua? Oppure potrebbe essere stato trasformato dall'interazione con l'acido cloridrico in un'altra sostanza? In quale modo si possono mettere alla prova queste ipotesi? …………………………….…………………………….…………………………….…………………………….…………………………….…………………………….

Correttore delle verifica Il comportamento degli acidi

Risposta attesa corretta

Tutte le risposte corrette

 

Risposta parziale

Risposte corrette alle domande 1,2,3,4,7

 

Risposta iniziale

Risposte corrette alle domande 1,3,4

Possibili risposte corrette:

1. Gli acidi non sono in grado di solubilizzare tutti i materiali insolubili in acqua.

Gli acidi sono in grado di solubilizzare alcune sostanze insolubili in acqua.

2. Ci vuole più tempo perché l’interazione tra acido e solido si verifica soltanto all’esterno del solido.

Ci vuole più tempo perché la superficie di contatto tra acido e solido è minore.

3. Solo alcuni materiali vengono solubilizzati.

La velocità di solubilizzazione dipende sia dal materiale che dall’acido.

4. Gli acidi sono sostanze aggressive.

Gli acidi sono sostanze capaci di solubilizzare alcune sostanze insolubili in acqua.

5. Gli acidi solubilizzano una sostanza perché la trasformano in una sostanza solubile in acqua.

Gli acidi solubilizzano una sostanza perché grazie a una trasformazione chimica la trasformano

in una sostanza solubile.

6. Un acido può non solubilizzare un solido, pur reagendo, quando la sostanza che si ottiene non

è solubile.

18

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Un acido può non solubilizzare un solido quando il prodotto di reazione è insolubile.

7. Gli acidi hanno svolto un ruolo importante nella storia dell’uomo perché, solubilizzando

sostane insolubili in acqua, hanno permesso di ottenere molte nuove importanti sostanze.

Gli acidi hanno svolto un ruolo importante nella storia dell’uomo perché hanno permesso

lo sviluppo di molte nuove conoscenze empiriche.

8. Si sono trasformate in una nuova sostanza, in un sale.

Si può constatare che si è ottenuta una nuova sostanza e che il carbonato di calcio non è più

presente riscaldando la soluzione ottenuta; infatti il residuo che si ottiene è una polvere

bianca, che a differenza del carbonato di calcio è solubile.

9.2 Prova in situazione sul volumeCome esempio di prova di competenza da utilizzare alla fine di un percorso di alcuni mesi12

proponiamo questa sul volume13. Prove di questo tipo le abbiamo indicate come una prima verifica

di competenza. Ci sembrano infatti molto più appropriate quelle prove che si riferiscono ad un

contesto diverso come ad esempio la prova dell’OCSE PISA sull’energia eolica, che prenderemo

più avanti in considerazione, nel successivo paragrafo.

Prova sul volume, classe V primaria

La tua insegnante, durante un viaggio in Somalia, è andata a visitare una scuola: ha conosciuto altri insegnanti ed ha visto le difficili condizioni in cui i bambini di quel Paese vivono e studiano.

Tornata a casa ha deciso di coinvolgere tutti gli alunni della scuola in una raccolta di vestiti, giochi, libri, quaderni …. da inviare in Somalia per aiutare quei bambini. E’ stato raccolto molto materiale che deve essere messo in scatole con cui riempire un container per la spedizione.

Aiuta l’insegnante a scegliere le scatole in modo da riempire totalmente il container che ha le seguenti dimensioni: lunghezza m 6 – larghezza m 3 – altezza m 3.

Hai a disposizione scatole di tre dimensioni:

lunghezza larghezza Peso massimo

altezza

Scatole tipo A 1m 1m 20 Kg 1mScatole tipo B 2m 1m 38 Kg 1mScatole tipo C 0,50 m 0,50 m 11 Kg 0,50m

Devi: Disegnare il container e le scatole rispettandone le proporzioni. Formulare una o più proposte sul numero necessario di scatole per occupare tutto lo spazio del

container utilizzando in ogni proposta scatole di tutti i tipi.

Se vuoi puoi utilizzare la seguente tabella per presentare le tue proposte:

n° scatole tipo A n° scatole tipo B n° scatole tipo C1a proposta2a proposta3a proposta

12 http://www.cidifi.it/volume.htm13 La prova è stata predisposta dal Gruppo di ricerca e sperimentazione in ambito scientifico del Circolo Didattico di Vinci.

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RUBRICA DI VALUTAZIONE DELLA PROVA IN SITUAZIONEASPETTI

DELLA PROVADA VALUTARE

DESCRITTORI DI LIVELLO

A INIZIALE

B MEDIO

C ELEVATO

Esecuzione dei disegni Realizza il disegno senza rispettare le proporzioni; alcune misure sono inserite in modo scorretto

Realizza il disegno e rispetta le proporzioni solo per alcune figure; le misure assegnate sono inserite correttamente

Realizza il disegno e rispetta le proporzioni di tutte le figure, le misure assegnate sono inserite correttamente

Scelta e utilizzo dei dati

Sceglie ed utilizza anche i dati superflui

Sceglie ed utilizza solo i dati utili ma compie errori di calcolo

Sceglie ed utilizza correttamente tutti i dati

Formulazione di proposte

Formula una sola proposta e non utilizza scatole di tutti e tre i tipi

Formula una sola proposta utilizzando i tre tipi di scatola

Formula più proposte utilizzando i tre tipi di scatola

Individuazione dei passaggi necessari alla formulazione delle ipotesi

Effettua solo alcuni dei passaggi necessari alla formulazione delle ipotesi

Effettua passaggi non indispensabili o complessi per la formulazione delle ipotesi

Effettua i passaggi indispensabili per la formulazione delle ipotesi, tenendo conto del rapporto di volume tra le scatole.

9.3 Prova in situazione sulla matematizzazione dei fenomeni Una competenza fondamentale è quella legata al saper matematizzare fenomeni mediante

diagrammi cartesiani e soprattutto di sapere interpretare questi ultimi in riferimento a variabili e a

fenomeni non precedentemente studiati, relativi a contesti di studio o della vita quotidiana. Questa

competenza dovrebbe essere disponibile già alla fine della scuola secondaria di primo grado e

continuare successivamente a essere potenziata. Ma in quale modo potrà essere potenziata? Non

sicuramente all’interno di una trattazione definitoria e formale come sovente viene fatto

nell’insegnamento matematico tradizionale, ma lavorando in modo operativo in più occasioni

nell’insegnamento scientifico o in altri ambiti disciplinari.

9.3.1 La costruzione del concetto di velocità

Prendiamo come esempio la costruzione del concetto di velocità negli anni terminali della scuola

secondaria di I grado14. Il punto di partenza è costituito da una situazione reale di movimento, che

può essere realizzata in palestra o in un qualsiasi altro luogo nelle vicinanze della scuola dove sia

14 Il percorso è stato realizzato da Leonardo Barsantini: http://www.cidifi.it/velocita.htm

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possibile effettuare un percorso rettilineo di 40-50 metri, prendendo il tempo ogni 10 metri. Questa

esperienza viene ripetuta più volte con movimenti diversi, quali il camminare, camminare

velocemente, correre, ecc. Se le condizioni contestuali lo permettono, queste esperienze e

raccolta di dati possono essere effettuate da tutti gli alunni organizzati in più gruppi di lavoro. Il

modo più immediato per raccogliere questi dati sono delle tabelle con due colonne, una indicante il

tempo trascorso e l’altra il cammino effettuato.

Questa prima attività potrebbe anche essere realizzata nella scuola primaria, confermando così

il concetto qualitativo di velocità, ma il salto concettuale si verifica quando questi dati vengono

raccolti in un diagramma cartesiano mettendo in ascisse il tempo e in ordinata il cammino

percorso; sappiamo bene che ciò non è certo possibile in questo grado di scolarità.

Nel caso dei tre movimenti ipotizzati, si ricaverebbero degli andamenti più o meno rettilinei che

partono tutti dall’origine con pendenze maggiori man mano che si passa dalla camminata normale

alla corsa.

Non possiamo ovviamente descrivere l’intero percorso, che si sviluppa operativamente nella

matematizzazione di altre situazioni sperimentali e nell’interpretazione di altri diagrammi. Ad

esempio, quando si propone il diagramma sotto riportato, generalmente la maggioranza degli

alunni interpreta il segmento parallelo all’asse delle ascisse come un cambiamento di direzione e il

secondo segmento inclinato, come un nuovo cambiamento di direzione.

21

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In realtà quello che si verifica nel tempo che corrisponde al segmento parallelo è la mancanza

di movimento; se si riferiva ad uno studente che inizialmente camminava, ora si è fermato. Questo

semplice esempio mette in evidenza la confusione che vi è per molti studenti, anche all’inizio

dell’università (come è stato rilevato da ricerche sulle concezioni degli studenti), tra traiettoria e

velocità, e più in generale la grande difficoltà che vi è nell’immaginare che cosa realmente

rappresentino gli andamenti di un diagramma cartesiano. Il percorso dura complessivamente 2

mesi circa, costruendo in modo efficace il concetto di velocità e e contribuendo

contemporaneamente a sviluppare la competenza di cittadinanza: saper interpretare diagrammi

cartesiani riferiti anche a situazioni della vita reale.

9.3.2 L’energia eolica

Nelle prove rilasciate dall’OCSE PISA del 2006 compare una prova particolarmente

significativa, quella sull’energia eolica, che può essere risolta positivamente solo se lo studente ha

in più occasioni lavorato in modo operativo nella scuola secondaria di primo grado, come

nell’esempio della velocità. In ciascuna delle prime due domande vengono riportati 4 diagrammi

cartesiani chiedendo agli studenti la loro interpretazione. Riportiamo in appendice il testo delle

prime due domande.

10. Le competenze di cittadinanza Abbiamo lasciato non casualmente per ultimo questo cruciale aspetto. In relazione alla

centralità che gli attribuiamo avremmo dovuto invece trattarlo per primo. Abbiamo fatto questa

scelta per mettere in risalto l’autonomia culturale delle considerazioni e delle proposte rispetto a

finalità politiche, culturali e pedagogiche, di per sé ineccepibili, ma che potrebbero risultare

estrinseche a una fondazione solida di tipo epistemologico e pedagogico-metodologico-didattico

adeguata al sapere scientifico. Troppe volte si è realizzata una situazione schizofrenica tra le

raccomandazioni generali dei programmi o delle indicazioni nazionali e le proposte culturali di

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specifici ambiti disciplinari. A noi interessa invece, alla fine di questo nostro contributo, operare

una convergenza fra i due piani del discorso.

Nelle Nuove Indicazioni della scuola del primo ciclo, vi è all’inizio un importante paragrafo “Per

una nuova cittadinanza” che contiene interessanti considerazioni, quali ad esempio: “la scuola

affianca al “compito dell’insegnare ad apprendere” quello “dell’insegnare ad essere”15. Tuttavia,

spesso queste indicazioni rimangono delle proclamazioni di intenti: esse non possono trovare

nessuna realizzazione nell’impostazione tradizionale dell’insegnamento, e ciò non tanto per cattiva

volontà degli insegnanti, quanto per l’impossibilità epistemologica e psicopedagogica di conferire

una dimensione educativa, in una scuola di tutti, a modelli di saperi e a metodologie che sono state

strutturate per formare le élite ed escludere la maggior parte degli studenti. Le competenze di

cittadinanza possono essere sviluppate solo se nei vari ambiti disciplinari si rinnova

profondamente l’insegnamento. Valgono inoltre per tutte competenze di cittadinanza le

considerazioni di Pellerey a proposito di “apprendere ad apprendere”: “In altre parole la capacità di

apprendere non si sviluppa in generale, non si è capace di apprendere e basta, bensì lo si è in un

ambito specifico. Di conseguenza è difficile prospettare come obiettivo formativo quello di

“appendere ad apprendere”; occorre invece prospettare come traguardi ragionevoli quelli di

promuovere la capacità di apprendere in campi specifici, come in ambito matematico o

nell’acquisizione di una lingua straniera” (M. Pellerey, 2010 p. 146-147).

Le proposte culturali e metodologiche precedentemente avanzate per l’insegnamento scientifico

possono invece, a nostro parere, effettivamente contribuire alla sviluppo delle competenze di

cittadinanza. E lo possono fare perché le conoscenze proposte per la scuola del primo ciclo sono

quelle che possono essere acquisite per mezzo di metodologie laboratoriali, basate veramente

sulla costruzione corale della conoscenza e sull’attività cognitiva di ciascun alunno. La proposta

metodologica prospettata permette infatti di trattare costantemente e in profondità alcuni aspetti

essenziali per la formazione democratica, quali, innanzitutto, il riconoscimento della pari dignità di

ciascun studente nel processo di costruzione della conoscenza, a cui in modo più analitico

seguono:

1) l’apertura mentale

2) il coinvolgimento emotivo

3) il valore del confronto e del dialogo

4) l’assunzione di atteggiamenti non dogmatici e rigidi

5) l’attribuzione di importanza alle ipotesi provvisorie, agli errori

6) l’imparare a cooperare nella costruzione delle conoscenza

7) l’adeguatezza cognitiva del materiale oggetto di studio15 8 sono le competenze di cittadinanza indicate alla fine dell’obbligo a 16 anni: 1. imparare ad imparare; 2. progettare; 3. comunicare; 4. collaborare e partecipare; 5. agire in modo autonomo e responsabile; 6. risolvere i problemi; 7. individuare collegamenti e relazioni; 8. acquisire ed interpretare.

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8) la capacità di valutare il grado di certezza che si può attribuire ad affermazioni fatte

9) lo sviluppo dell’autodisciplina

Abbiamo più volte segnalato l’inutilità cognitiva della proposta culturale dell’insegnamento

scientifico tradizionale, ma alla fine del nostro contributo vorremmo sottolinearne le implicazioni sul

piano educativo. La tendenza a sviluppare negli studenti, nell’arco di molti anni, comportamenti

opposti a quelli indicati precedentemente, abituandoli a impegnarsi, a studiare e memorizzare delle

nozioni di cui non conoscono il più delle volte il significato, non giova allo sviluppo di competenze

di cittadinanza, in quanto questi orientamenti incidono fortemente nella formazione umanistica

degli studenti, rendendoli soggetti passivi e pronti a uniformarsi all’esistente in maniera acritica.

AppendiceENERGIA EOLICA (prova rilasciata nel programma OCSE PISA del 2006)

L’energia eolica è da molti considerata una fonte di energia in grado di sostituire lecentrali termiche a petrolio o a carbone. I dispositivi nella foto sono rotori dotati dipale che il vento fa ruotare. Queste rotazioni permettono ai generatori messi in motodalle pale di produrre energia elettrica.

Domanda 1: ENERGIA EOLICA

I seguenti grafici riportano la velocità media del vento in quattro diversi luoghi nelcorso di un anno. Quale dei grafici indica il luogo più adatto all’installazione di ungeneratore ad energia eolica?

Domanda 2: ENERGIA EOLICAPiù il vento è forte, più le pale del rotore girano veloci e maggiore è la quantità dienergia elettrica prodotta. Tuttavia, in situazione reale, non esiste una relazione diproporzionalità diretta fra la velocità del vento e l’elettricità prodotta. Qui sottovengono descritte quattro condizioni di funzionamento di una centrale eolica insituazione reale:

• Le pale cominciano a ruotare quando il vento raggiunge la velocità V1.• Per ragioni di sicurezza, la rotazione delle pale non accelera più quandola velocità del vento è superiore a V2.• La potenza elettrica è al massimo (W) quando il vento raggiunge lavelocità V2.•Le pale smettono di ruotare quando il vento raggiunge la velocità V3. Quale fra i seguenti grafici rappresenta meglio la relazione fra velocità del vento e potenza elettrica nelle condizioni di funzionamento descritte?

Bibliografia:

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