Il problema di questa città è il traffico
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Marco De Mitri
Il problema di questa città è il
traffico
Perché siamo arrivati a questo?
Come ne usciamo?
2
Con i preziosi ed esclusivi contributi di: Enrico Bonfatti, Andrea Bottazzi,
Sabino Cannone, Cosimo Chiffi, Valeria Di Blasio, Gloria Gelmi, Ester
Giusto, Daniele Invernizzi, Andrea Marella, Marco Menonna, Giampiero
Mucciaccio, Luca Pascotto, Paolo Pinzuti, Corrado Poli, Raimondo Polidoro,
Luca Santiccioli, Laura Tamburini, Daniel Tarozzi, Pasquale Vaira.
Per contattare l’autore: www.marcodemitri.it
***
3
Indice
INTRODUZIONE 7
IL CONTESTO 13
1. I PROBLEMI DEL MUOVERSI IN CITTÀ 15
2. MA POSSIAMO DAVVERO FARE A MENO DELL’AUTO? 22
3. TRAFFICO E CITTÀ: UN NUOVO APPROCCIO 26
4. TRAFFICO, INQUINAMENTO ED EFFETTO SERRA 29
5. AUTOMOBILI E VELOCITÀ: UN MITO COSTRUITO A NOSTRO USO E CONSUMO 32
RENDERE SOSTENIBILE LA MOBILITÀ 35
6. IL RITORNO DELLE BICICLETTE 37
7. MUOVERSI IN BICI: DIFFICOLTÀ E PROSPETTIVE 40
8. I CICLISTI FANNO DA SOLI: LA CAMPAGNA #SALVAICICLISTI 43
9. IL BIKE SHARING: BICI E INNOVAZIONE 47
10. AUTO, MOTO, BICI E BUS ELETTRICI: A CHE PUNTO SIAMO? 52
11. L’AUTO ELETTRICA: IL PRESENTE E LE PROSPETTIVE FUTURE 57
12. IL RETROFIT ELETTRICO: STESSA AUTO, NUOVO MOTORE 62
13. IL CAR SHARING: CONDIVIDERE L’AUTO SENZA POSSEDERLA 66
14. L’INFOMOBILITÀ: MUOVERSI CON L’AIUTO DELLA TECNOLOGIA 70
15. IL MOBILITY MANAGER: CHI È COSTUI? 72
16. LA CITTÀ “VIVE”: I TEMPI, GLI ORARI, LA LOGISTICA 75
RENDERE CONDIVISA LA MOBILITÀ 79
17. IL TRASPORTO PUBBLICO OGGI: STATO ATTUALE E PROSPETTIVE 81
18. I MIGLIORI SISTEMI DI TRASPORTO PUBBLICO PER LE NOSTRE CITTÀ 84
19. IL TRASPORTO PUBBLICO FLESSIBILE 89
20. COM’È BELLO IL TRASPORTO PUBBLICO ALL’ESTERO! 94
21. USARE L’AUTO IN GRUPPO: IL CAR-POOLING 97
22. UN PO’ CAR POOLING, UN PO’ AUTOSTOP: ALLA SCOPERTA DI JUNGO! 101
4
23. IL PIEDIBUS: ACCOMPAGNARE I BAMBINI A SCUOLA IN SICUREZZA 104
RENDERE SICURA LA MOBILITÀ 107
24. LA SICUREZZA STRADALE MIGLIORA, MA… 109
25. LE AVVENTURE QUOTIDIANE DEI PEDONI (ED I LORO RISCHI) 114
26. MIGLIORIAMO LA SICUREZZA DI CHI CAMMINA PER LE STRADE 118
27. "QUANDO UN UOMO CON LA BICICLETTA INCONTRA UN UOMO CON
L'AUTOMOBILE..." 121
28. LA SICUREZZA STRADALE 2.0 124
29. LA PSICOLOGIA DEL TRAFFICO E DELLA SICUREZZA VIARIA 128
30. SICUREZZA ED EDUCAZIONE STRADALE A SCUOLA 132
31. EDUCAZIONE STRADALE: IL PROGETTO SICURAMENTE 134
32. IL TEATRO PER L’EDUCAZIONE STRADALE 140
RIFLESSIONI 145
33. GESTIRE IL TRAFFICO CON LA PIANIFICAZIONE 147
34. QUALI SONO LE VERE “GRANDI OPERE”? 149
35. IL PROBLEMA DELLO STRETTO DI MESSINA È IL TRAFFICO… O FORSE NO. 152
36. LA VAL DI SUSA ED IL TUNNEL FERROVIARIO 154
37. LA CRISI, LE AZIONI, LE PROPOSTE 157
38. I QUARTIERI SENZ’AUTO ED IL MOVIMENTO CAR-FREE 161
39. E QUINDI... COSA FARE? 166
40. INFINE, UN RACCONTO… 172
CONCLUSIONI 177
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“Signor Dante, noi abbiamo molto lavoro. Lei non è di Palermo.”
- “No.” -
“Qui abbiamo problemi molto grossi.”
- “Lo so. C'è molto traffico.” -
(dal film “Johnny Stecchino”, 1991)
“Io sono un automobilista,
e in quanto automobilista sono sempre, costantemente
inc....to come una bestia”
(Gioele Dix)
Dante, l’inconsapevole sosia di Johnny Stecchino, era stato indotto a
credere che il grande problema di Palermo fosse “il traffico”, con tutte
le sue conseguenze e degenerazioni. Questa idea gli era stata indotta
per distogliere la sua attenzione da ben più gravi problemi che
purtroppo opprimono la splendida città siciliana (e non solo quella…).
Tuttavia, la dirompente presenza degli ingorghi di auto nelle strade e
l’assordante valanga sonora dei clacson lo avevano facilmente
convinto che, in effetti, il problema più grave fosse quello.
In fondo, non era così lontano dalla realtà. E non solo nel caso di
Palermo.
Pensiamoci: se siamo in auto e cerchiamo di andare in un
qualunque posto ci troviamo spesso bloccati nel traffico, ed arriviamo
a destinazione in tempi biblici e con un non indifferente livello di
stress, in tempo tuttavia per affrontare la splendida avventura della
ricerca di un inesistente parcheggio!
Se invece ci muoviamo in bicicletta la nostra impresa è molto più
movimentata: si fa la corsa tra le auto e gli autobus nella nuvola dei
gas di scarico, c’è lo slalom tra le pericolosissime buche nelle strade,
poi la giostra infernale delle rotonde e degli incroci dove non di rado
rischiamo di incontrare il Creatore ed infine, al momento
dell’insperato arrivo a destinazione, girovaghiamo disorientati per
assicurare la bici ad un palo libero (se esiste), sperando al ritorno di
ritrovarla (possibilmente integra e con tutti i pezzi al loro posto).
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Se ci muoviamo in autobus in teoria dovremmo essere più rilassati,
visto che non dobbiamo fare altro che aspettare alla fermata, salire a
bordo, metterci seduti e scendere a destinazione, senza avere problemi
di parcheggio o di trovare il famoso palo per la bici. In effetti è proprio
così, se non fosse per alcuni dettagli come le interminabili attese sotto
il sole ardente o la pioggia battente in fermate prive di pensiline
(magari con l’autobus che ritarda perché incastrato tra le auto), le volte
che l’autobus ci passa davanti di un soffio (e l’imperturbabile autista
non apre le porte, neanche se il mezzo è fermo al semaforo), le volte
che il posto a sedere è un’ipotesi remota e quello in piedi un girone
dantesco, le volte che c’è sciopero, le volte che un imbecille parcheggia
fuori posto il suo SUV bloccando la strada, eccetera.
A questo punto potremmo andare a piedi e non dovremmo avere
nessun problema, a parte i trascurabilissimi particolari della distanza
da percorrere (che non sempre si può coprire in dieci minuti), degli
incroci da attraversare (rischiando di andare all’altro mondo insieme a
quelli che vanno in bici), dello smog inalato in quantità termali ed
infine del rischio di essere investiti da un’auto, uno scooter o un
autobus che sfrecciano nervosi in uno dei rari momenti in cui
incontrano in città un tratto di strada libero.
E non è finita. I bambini che vanno a scuola a piedi non riescono
neanche a vedere cosa succede appena dietro il fuoristrada
parcheggiato sulle strisce pedonali o davanti all’incrocio. Gli anziani
hanno i loro seri problemi a percorrere in 10” netti gli attraversamenti
pedonali durante il tempo di verde che generosamente è loro concesso
prima di lasciare campo libero agli emuli di Fernando Alonso e
Valentino Rossi, che già rombano nervosi e adrenalinici dietro la linea
del via, fissando la loro attenzione non certo su di loro che
attraversano la strada (fateci caso!) ma sulla luce del semaforo, in
attesa del verde liberatorio. Se poi pensiamo a come è difficile
muoversi per chi ha perso in parte o del tutto l’uso della vista,
dell’udito o delle gambe, beh… lasciamo stare.
Ecco perché il traffico è un problema di ognuno di noi, qualunque
sia il mezzo di trasporto che usa (o che non usa). Ma muoverci è una
delle cose più belle della nostra vita, perchè ci consente di andare là
dove abbiamo bisogno o voglia di essere, per stare vicino ai nostri
affetti, per sbrigare le nostre commissioni, per seguire i nostri studi o
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fare il nostro lavoro, per poterci divertire, per conoscere altri posti ed
altre persone. Per quale motivo dobbiamo stressarci nelle code o
correre il rischio di farci male durante il semplice spostamento che
facciamo per andare in un qualsiasi posto (o per tornare a casa)? Non
ha assolutamente senso! Eppure, è esattamente quello che succede.
Possiamo porre rimedio a tutto questo, e non occorrono né spese
enormi, né tempi lunghi. Bastano investimenti contenuti ma mirati, e si
possono realizzare innumerevoli miglioramenti per rendere rapido,
gradevole e sicuro ogni spostamento che facciamo, sia esso in auto, in
bici, in autobus o a piedi.
E fare così contento il nostro amico Dante!
Marco De Mitri
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Muoversi in modo sostenibile, efficiente, sicuro ed economico. Infinite pagine
vengono scritte di continuo su questi argomenti (sui libri, sulle riviste e sul
web), vista l'importanza e la vastità della materia. Anche in questo piccolo
spazio approfondiremo alcuni aspetti relativi a questa materia, incontrando
molti amici ed esperti con cui confrontarci e da cui imparare cose nuove.
Parleremo di metodi e tecniche di mobilità sostenibile, in termini di misure
organizzative, tecnologie innovative ed iniziative in grado di migliorare i
trasporti e la mobilità.
Viaggeremo in treno ed in autobus, per conoscere il mondo del trasporto
pubblico, principale misura di facilitazione degli spostamenti delle persone e
strumento al momento ancora poco sfruttato, nonostante le sue enormi
potenzialità.
Dedicheremo inoltre particolare attenzione al problema della sicurezza
stradale, troppo spesso trascurata dai mezzi di informazione o affrontata in
modo superficiale e poco obiettivo, ed impareremo quali sono le misure più
efficaci per spostarci con tranquillità.
Faremo infine alcune riflessioni relative alla necessità di investire il nostro
(poco) denaro in opere più o meno imponenti e più o meno importanti,
chiedendoci quali sono le infrastrutture che possono davvero dare risposta ai
problemi di mobilità del nostro Paese.
Ma prima di tutto questo, occorre capire perché ci troviamo in questa
situazione. Come siamo arrivati a questo?
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1. I problemi del muoversi in città
colloquio con Valeria Di Blasio
Il nostro stile di vita, frenetico o rilassato che sia, è strettamente
legato a come ci muoviamo per svolgere le nostre attività: andare a
lavorare, a scuola, a svolgere commissioni, o anche semplicemente
uscire per divertirsi con amici. A noi italiani l’auto piace molto e la
usiamo tanto, spesso anche quando non ce n’è un reale bisogno. L’uso
dell’auto ha in effetti alcuni lati positivi (l’autonomia in primis), che
però, soprattutto negli spostamenti urbani, sono spesso superati da
altri ed importanti elementi negativi, subiti in prima persona da chi
guida (tempo perso in coda, difficoltà e costi di parcheggio, ecc.), per
non parlare dei crescenti costi di gestione.
Esistono però anche conseguenze negative subite dal resto dei
cittadini, che magari si muovono senza usare l’auto, o addirittura non
si spostano affatto, per scelta o per necessità. Essi subiscono in pieno
gli impatti dannosi del traffico automobilistico, pur senza avere il
beneficio di effettuare alcuno spostamento in auto. Queste persone
risentono cioè dei cosiddetti “costi esterni”, effetti negativi che sono
generati solo da chi usa il sistema di trasporto automobilistico, ma
sono paradossalmente subiti da tutti gli altri cittadini (anche da chi
non possiede neppure l’automobile).
Siamo alla ricerca di un difficile equilibrio. Da un lato occorre
garantire il diritto alla mobilità di ognuno di noi. Dall’altro lato
bisogna far sì che la nostra qualità della vita non sia danneggiata dagli
impatti del traffico (specialmente per colori i quali non contribuiscono
neanche generarlo). La ricerca di questo equilibrio però spesso si
scontra con vincoli che appaiono insuperabili, anche se le cause sono
ben conosciute.
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Parliamo di questi problemi e delle possibili soluzioni con Valeria
Di Blasio, urbanista ed esperta dell’argomento.
***
Che impatto ha sulla vita delle persone il traffico stradale?
I danni generati dall’attuale modello di mobilità, basato sull’uso
indiscriminato dell’auto privata e sulla motorizzazione di massa, sono
sotto gli occhi di tutti: le nostre città sono sempre più invivibili, e ad
affermarlo non sono soltanto gli esperti, ma gli stessi cittadini italiani,
che considerano la congestione del traffico come il principale problema
che li affligge, seguito dall’inquinamento dell’aria e dalla difficoltà di
trovare parcheggio.
Se l’auto una volta costituiva un simbolo di libertà, velocità e
progresso, oggi non è più così. Il traffico è ormai parte integrante della
vita urbana, condiziona le nostre abitudini, sottrae tempo alle relazioni
sociali e agli affetti, causa stress, nuoce alla salute. Ogni giorno in
media 10 persone muoiono in incidenti. L’inquinamento prodotto
dalle auto miete migliaia di vittime ogni anno nell’indifferenza di
molte amministrazioni locali, che per legge sono responsabili del
controllo delle emissioni. In quasi tutte le grandi città infatti i limiti di
PM10 imposti dalla direttiva sulla qualità dell’aria non vengono
rispettati e le polveri sottili provocano il 9%dei decessi tra le persone
sopra i 30 anni.
Oltre ai danni sociali ed ambientali bisogna ricordare infine i costi
economici legati al possesso ed alla manutenzione dei veicoli privati:
ogni famiglia italiana spende in media, per l’auto, circa 5.000 Euro
l’anno; inoltre, secondo una ricerca dell’ACI, 40 miliardi di euro l’anno
è il valore economico complessivo del tempo perso nel traffico.
Le alternative all’uso dell’auto, però, sono spesso poco appetibili. Il
trasporto pubblico urbano e la mobilità in bicicletta spesso non hanno dagli
amministratori l’attenzione che meritano. Approfondiamo questi aspetti.
In assenza di valide alternative l’automobile resta il mezzo preferito
dagli italiani, nonostante la grande maggioranza, ben l’86%, dichiari
17
(secondo una ricerca Isfort) che, a parità di tempi di percorrenza,
sarebbe disposta ad utilizzare i mezzi pubblici.
In realtà oggi la quota di spostamenti con mezzi pubblici è del tutto
marginale (intorno al 13%), soprattutto a causa di scarso comfort di
viaggio, coincidenze non ottimali e collegamenti saltuari e poco
frequenti. A differenza di molte realtà europee, la situazione delle città
italiane risente di un pesante deficit di trasporto collettivo, soprattutto
su ferro (cioè tram e treni locali). Le misure adottate finora sia dallo
Stato che dalle Regioni a favore del trasporto collettivo locale e
regionale sono del tutto insufficienti a garantire un servizio adeguato,
sia in qualità che in quantità.
La bicicletta, che potrebbe rappresentare un vero e proprio mezzo
di trasporto in città per le brevi distanze (il 44% degli spostamenti in
auto è inferiore a 5 km), non riesce ad affermarsi in Italia soprattutto a
causa della mancanza di condizioni di sicurezza sulle strade, mentre in
altri Paesi europei come l’Olanda la percentuale di spostamenti in bici
arriva quasi al 30%.
In questo contesto appare chiaro come la pianificazione urbanistica
dovrebbe ricoprire un ruolo rilevante. Cosa si può dire a proposito dei
programmi e dello sviluppo urbano che hanno caratterizzato le città in questi
ultimi anni?
Nell’attuale situazione di crisi complessiva del sistema della
mobilità non si può fare a meno di attribuire delle responsabilità alla
cattiva pianificazione urbanistica, che non ha tenuto sufficientemente
conto del legame stretto che sussiste tra territorio e trasporti. La
motorizzazione di massa ha indotto la dispersione della densità
insediativa con effetti nefasti sull’ambiente e sul consumo di territorio,
ed è venuto a mancare il presupposto fondamentale della città intesa
come luogo privilegiato di relazioni e di scambio di beni e servizi.
Purtroppo, da decenni in Italia si registra uno “scollamento” tra
politiche del territorio, pianificazione urbana e politiche dei trasporti e
delle infrastrutture. Negli anni Novanta attraverso i Piani Urbani del
Traffico si è tentato di adottare provvedimenti di regolazione del
traffico privato, di rilancio del trasporto collettivo, di innovazione
tecnologica e di servizio. Il Piano Urbano della Mobilità, introdotto
invece nel 2000, avrebbe dovuto permettere di fare un ulteriore passo
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avanti. Tuttavia questo strumento, a parte alcune eccezioni, non è mai
decollato, anche causa della mancata istituzione di un fondo statale per
i finanziamenti.
Nell’ultimo periodo, inoltre, la domanda complessiva di mobilità è
ulteriormente cresciuta in seguito ai fenomeni di espansione e
"metropolizzazione" delle città, con conseguente allungamento delle
distanze degli spostamenti casa-lavoro e con l’aumento dei tempi di
percorrenza.
A seguito della particolare trasformazione che hanno seguito le nostre città
le auto sono quindi diventate elementi fondamentali e per certi versi
insostituibili. Si è creato un circolo vizioso generato dallo spostamento delle
residenze dei cittadini verso le periferie, che ha generato da un lato un effetto
discriminante (chi ha un reddito più basso è costretto ad allontanarsi dal
centro) e dall’altro la necessità dell’uso dell’auto per qualsiasi spostamento.
Come si spiega la relazione tra questi fenomeni?
A causa dell’incremento del costo delle case, una quota significativa
di cittadini dalle grandi aree urbane si è spostata nelle periferie, che
sono “esplose” fino a saldarsi in alcuni punti con i comuni limitrofi,
dove si sono trasferite migliaia di persone. Di contro, il trasporto
ferroviario regionale non si è adeguato alla crescita della domanda, e
ha visto moltiplicarsi i disagi per gli utenti.
È proprio tra le fasce più deboli della popolazione, nelle periferie,
che troviamo gli “schiavi dell’automobile”, coloro cioè che, non
trovando un’adeguata offerta di servizi alternativi, devono
necessariamente ricorrere quotidianamente all’auto. I nuovi
insediamenti residenziali ed i poli di consumo e di intrattenimento (i
cosiddetti “superluoghi”) sono progettati per essere raggiungibili
quasi esclusivamente con il mezzo privato.
Per definizione, la città è un sistema il cui buon funzionamento
dipende dalla reciproca relazione tra le sue componenti fisiche e
sociali; progettare parti di città significa anche progettare lo spazio
della mobilità e garantire buone condizioni di accessibilità a tutti i
cittadini (compresi quelli che non possiedono un’automobile). La
difficoltà di movimento e di accesso ai beni e ai servizi genera invece
nuove forme di marginalità, iniquità e disagio sociale.
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Come si esce da questa situazione? Sappiamo che l’Unione Europea è
molto attiva sul tema, ma questo non è sufficiente. Occorre lavorare sul
potenziamento del trasporto pubblico, sul miglioramento della pianificazione,
ecc. Cosa possiamo dire in proposito?
Prima di tutto bisogna superare la separazione e tra infrastrutture,
trasporti, ambiente, città e territorio, attraverso una progettazione
integrata e multidisciplinare, avendo come obiettivo la qualità
dell’ambiente urbano. Dall’Unione Europea provengono numerosi
segnali in questo senso. La Strategia Tematica dell’Ambiente Urbano
evidenzia la necessità di una pianificazione che tenga conto di tutte le
componenti del territorio; in particolare la mobilità sostenibile deve
essere considerata una priorità per i singoli Stati e amministrazioni
locali.
Bisogna che si diffonda la consapevolezza che il cambiamento
dell’attuale sistema di mobilità è indispensabile e urgente per
migliorare la qualità di vita nelle città. L’urbanistica può svolgere in
questo senso un ruolo importante: bisogna privilegiare un modello di
città compatta, più efficiente dal punto di vista del tempo e
dell’energia risparmiati negli spostamenti e più sostenibile grazie al
minor consumo di suolo. Lo sviluppo urbano deve avvenire attorno
alle linee di forza del trasporto pubblico su ferro, favorendo processi di
densificazione urbana nei nodi ad alta accessibilità.
Bisogna ripensare e valorizzare lo spazio pubblico, anche con
interventi che possono essere realizzati a costo zero, ad esempio
incentivando gli spostamenti a piedi e in bicicletta (soprattutto per
raggiungere i servizi pubblici come le scuole) e cercando di accrescere
le condizioni di sicurezza sulle strade limitando la velocità dei veicoli,
ad esempio con l’introduzione delle “Zone 30”.
Occorre inoltre rilanciare i Piani Urbani della Mobilità, non solo su
scala comunale, ma anche provinciale e regionale, rendendoli
indispensabili (ad esempio ai fini dell’ottenimento dei finanziamenti),
e vincolanti anche rispetto agli altri strumenti di pianificazione (Piani
Territoriali Provinciali, Piani Urbanistici Comunali, Piani Energetici,
Piani Per Il Miglioramento Della Qualità Dell’Aria, etc.).
20
L’approccio da seguire è quindi da studiare con cura. Quali sono i punti su
cui occorre insistere? E quali sono invece le misure da evitare perché
inefficaci?
Le alternative all’attuale modello di mobilità sono note e già
largamente diffuse in altri Paesi; esse riguardano principalmente il
potenziamento di tutte le forme del trasporto collettivo pubblico
locale, la diffusione del trasporto condiviso (autobus a domanda, taxi
collettivi, car e bike sharing, ecc.), la facilitazione degli spostamenti a
piedi e in bicicletta, e la riorganizzazione del trasporto merci con
l’adozione di progetti di “city logistics”.
È assolutamente necessario ribaltare l’agenda nazionale ed europea
della politica dei trasporti: non più solo grandi opere e collegamenti
internazionali, ma più attenzione al trasporto pubblico locale. In Italia
soprattutto servirebbe un investimento massiccio per un netto
miglioramento dei servizi. Occorre un approccio “di sistema” per
incidere efficacemente sulla disastrosa situazione attuale: non bastano i
pochi esempi di buone pratiche che pur esistono, come lo stop
episodico ai veicoli con bassi standard di emissioni inquinanti, o i
provvedimenti di limitazione come le targhe alterne.
Altra strada intrapresa da alcune amministrazioni riguarda
l’introduzione di “ticket” sull’uso del motore privato in città o nelle vie
più trafficate, come nel caso di Milano. Si tratta però di misure che
vanno studiate con cura, analizzando sia l’efficacia (sono strumenti che
servono a raggiungere lo scopo?) che l’equità (in che modo colpiscono
le diverse fasce di reddito? Tali misure potrebbero essere inique perché
si colpiscono i comportamenti a prescindere dal reddito di chi li mette
in atto, quindi con un implicito vantaggio per i più ricchi).
Che indirizzo si può dare ai soggetti responsabili della pianificazione e
della programmazione urbana? Proviamo ad indicare quali sono le strade, le
prospettive da seguire e le idee da applicare per invertire la rotta e portare le
nostre città al livello già raggiunto da molte altre città in ambito europeo e
mondiale.
Per progettare un nuovo sistema di mobilità ed elaborare soluzioni
all’altezza dei problemi non si può che iniziare dalla conoscenza e
consapevolezza dello stato di fatto, dalla trasparenza delle decisioni e
21
dalla chiarezza degli obiettivi. Sarebbe necessario che ciascuna
amministrazione si dotasse di un Bilancio Ambientale e Sociale della
Mobilità, che contenesse tutti i dati inerenti la situazione della
mobilità e i danni da essa generati (inquinamento ambientale ed
acustico, incidentalità, costi sanitari indotti, consumo di energia del
settore, congestione, costi economici) per avere chiaro il quadro di
partenza, visualizzare i problemi nel loro insieme (e nel moltiplicarsi
degli effetti negativi) e poter pianificare e stabilire correttamente gli
obiettivi da raggiungere.
Inoltre, il ricorso a procedure strutturate di partecipazione è
fondamentale per consentire ai cittadini di stabilire le priorità degli
obiettivi e monitorare l’attuazione e l’efficacia delle misure adottate.
Per affermare il diritto a una mobilità più sicura, equa e sostenibile
serve una larga mobilitazione, e per creare la “massa critica” è
necessaria una rivoluzione prima di tutto “culturale”: l’automobile
oggi non rappresenta semplicemente un mezzo di trasporto, ma fa
parte dell’immaginario collettivo e individuale. Per questo bisogna
sviluppare, in alternativa, servizi di mobilità urbana innovativi che
vadano oltre il tradizionale trasporto pubblico e che siano più
personalizzati, flessibili, comodi, veloci. In futuro si andrà sempre più
verso una mobilità come servizio, in sostituzione del regime di
proprietà dell’auto. Bisogna però che qualcuno inizi a far “apparire”
queste soluzioni, per farle diventare conosciute e desiderabili, dal
momento che la richiesta esiste, anche se oggi è ancora nascosta.
***
22
2. Ma possiamo davvero fare a meno
dell’auto?
Come vado oggi in ufficio? Prendo la macchina o il treno?
Bella domanda… ma si tratta davvero di una “scelta” nel senso
vero e proprio del termine (cioè di una alternativa tra tante), oppure
abbiamo a che fare con una decisione obbligata (cioè una “non
scelta”)?
Molti di noi la vivono come esperienza personale: spesso è difficile
scegliere come muoversi (in treno, auto, in bicicletta, ecc.), a causa
delle condizioni esterne, che risultano decisive. Innanzitutto influisce
la distanza tra la propria residenza ed il luogo di lavoro (o di studio),
poi ci sono le infrastrutture (strade, ferrovie), i mezzi (auto, bicicletta)
ed i servizi (treni, autobus) che si hanno a disposizione per effettuare
lo spostamento. Chi ha la possibilità di scegliere davvero tra diverse
alternative, trova alla fine trova la migliore soluzione per la propria
specifica situazione. Questo, tuttavia, non vuol dire che il sistema della
mobilità (nel suo complesso) funzioni nel modo più efficiente. Ad
esempio, è frequente che sia chi si muove in auto che chi si muove in
treno lamenti disagi e cattiva efficienza del sistema di trasporto che
usa (strada o ferrovia), e soprattutto negli spostamenti verso le grandi
città. Occorre quindi intervenire.
Non si tratta solo di decidere se destinare le risorse economiche
pubbliche per nuove strade o per nuove ferrovie. Il problema deriva
anche dalla gestione del territorio a livello urbanistico ed economico.
La causa, in particolare per le le grandi città ed il loro hinterland,
deriva dalla persistenza di politiche ed interessi che, negli anni, hanno
modificato le funzioni del territorio separandole fisicamente e
distanziandole in misura notevole.
Ampie zone delle città sono state trasformate in luoghi aventi solo
funzione di lavoro (o di commercio), e parallelamente sono stati
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“raggruppati” gli spazi di residenza e portati fuori dai centri vitali
delle città stesse, fino a trasformare i piccoli paesi che circondano le
grandi città (i quali, fino a pochi anni fa, erano ancora a misura
d’uomo) in appendici delle città stesse, aventi spesso connotazione di
quartiere dormitorio. Questo, manco a dirlo, genera necessariamente
spostamenti di distanza tale da poter essere coperti solo con la mobilità
motorizzata (auto o mezzi pubblici).
Nonostante i buoni propositi e la presa di coscienza degli enormi
problemi generati dall’uso intensivo delle auto, molte persone sono
quindi materialmente impossibilitate a farne a meno.
Vediamo in particolare il caso delle periferie delle aree
metropolitane, in cui molti di noi vivono e, volenti o nolenti, non
possono fare a meno dell’auto.
Numerose metropoli, in tutto il mondo, hanno vissuto negli anni
uno sviluppo urbanistico apparentemente ordinato e regolare, che ha
portato alla nascita di estese periferie nelle quali è possibile riconoscere
alcuni tratti comuni. Come è possibile osservare anche in alcune
grandi città italiane, molte periferie sono caratterizzate da diversi
ambiti ben distinti.
Ci sono innanzitutto le zone residenziali, costituite da palazzoni
circondati da aree verdi (in genere poco fruibili) o, al contrario, da
villette indipendenti e dotate ognuna di un proprio giardinetto (spesso
usato solo come posto auto). In entrambi i casi però queste zone sono
prive di molte delle funzioni tipiche delle necessità di tutti i giorni (es.
piccoli esercizi alimentari, edicole, bar, farmacie, ecc.).
Ci sono poi le aree commerciali, ben separate da quelle residenziali,
nelle quali si concentrano esercizi di notevoli dimensioni (i cosiddetti
megastore di varie catene commerciali), specializzati in differenti
categorie merceologiche (abbigliamento, alimentari, elettronica, ecc.), e
presi d’assalto nelle giornate non lavorative, compresa la domenica!
Infine gli uffici, a loro volta concentrati in palazzoni appositamente
dedicati, che non ospitano altre attività e che “vivono” seguendo gli
orari lavorativi. Si spengono, letteralmente, al termine dell’orario di
lavoro e nei giorni festivi.
24
Ed analoga tendenza stanno mostrando le scuole, con la
concentrazione degli istituti in poli scolastici multifunzionali e la
chiusura di quelli più piccoli.
Le diverse funzioni (residenze, commercio, uffici, studio, persino i
luoghi di svago come i cinema) vengono quindi fisicamente separate
una dall’altra e collocate in aree indipendenti e distanti: zone
residenziali, zone commerciali, zone uffici, poli scolastici. Ad una
prima impressione questo può sembrare un approccio che razionalizza
l’uso dello spazio e delle risorse. In realtà,
la separazione fisica delle aree per funzioni obbliga a compiere
spostamenti di media lunghezza anche per ogni piccola necessità
quotidiane (come compare il pane), imponendo nei fatti un massiccio
ed esclusivo ricorso all’automobile.
Queste zone sono peraltro spesso caratterizzate da grandi assi di
scorrimento (anche a 2 e 3 corsie per senso di marcia), che di fatto
impediscono anche l’uso della bicicletta, persino nei pochi casi in cui la
distanza potrebbe consentirlo. La risposta non può che essere quindi
l’uso massiccio dell’auto, anche considerando il fatto che in tali zone il
trasporto pubblico, se esiste, è caratterizzato solo da linee a bassa
frequenza dirette unicamente al centro città.
Questa condizione, derivante da decenni di scelte urbanistiche
sbagliate, viene in alcuni casi definita di “città diffusa” (il cosiddetto
sprawl urbano). È facile comprendere però che alla fine lo spazio
utilizzato è ben maggiore – a parità di residenti – rispetto a quello
tipico dei centri cittadini, dove però coesistono le varie funzioni
(residenze, negozi, uffici, scuole, svago, ecc.) e dove è in effetti più
facile rinunciare all’auto per via delle distanze ridotte e delle strade
percorribili anche a piedi o in bicicletta. In definitiva, si perviene ad
una situazione caratterizzata da bassa densità abitativa ed alto
consumo di suolo, contrariamente a quanto potrebbe apparire a
seguito di una riflessione affrettata.
25
Dispersione (sprawl) suburbano – Florida, USA
L’inutile consumo di suolo e la distanza tra le residenze e le zone di
attività (uffici, negozi, ecc.) sono inoltre causa di barriere e difficoltà di
relazione, che peggiorano enormemente la qualità della vita delle
persone che abitano in queste aree. Sono infatti del tutto assenti centri
naturali di aggregazione come piazze, circoli, ecc. Quindi,
la causa dell’uso intensivo delle auto è spesso da ricercare al di
fuori delle preferenze personali,
e può derivare, come nel caso delle periferie metropolitane, da
situazioni che ne obbligano l’uso, e che scaturiscono da scelte (o forse è
meglio dire “non scelte”?) sbagliate rispetto alle esigenze ed ai bisogni
veri delle persone (come quello di avere una adeguata qualità della
vita). In questi casi quindi i responsabili dell’overdose di automobili
non sono certo i singoli cittadini, ma gli amministratori che hanno
consentito ed inseguito la nascita e la diffusione di questo modo di
gestire il territorio.
26
3. Traffico e città: un nuovo approccio
Intervista a Corrado Poli1
***
In tutta Europa, quanto nel resto del mondo, sono ormai da tempo chiari i
problemi derivanti da un eccessivo uso dell’auto privata nelle città
(inquinamento, congestione, incidenti, ecc.) e la conseguente necessità di un
cambiamento nel modo di muoverci. Sono ugualmente note da tempo anche le
tante misure che si possono prendere per risolvere il problema. Eppure gli
interventi messi in atto risultano spesso poco incisivi… Allora dov’è il
problema?
Chiaramente va ridotto il numero di vetture circolanti. Le auto non
inquinano solo quando marciano, ma anche stando ferme: infatti
occupano spazio, e si deve sempre pensare al loro smaltimento quando
saranno vecchie. Ma anche il trasporto pubblico ha elevati impatti
ambientali che non vanno sottovalutati. Io credo che sia necessario
studiare politiche urbane basate sul contenimento della necessità di
muoversi e non più sulla crescita indefinita di una mobilità esagerata,
folle e sprecona. Viaggiare deve e può essere un piacere – anche in
auto eventualmente – ma non possiamo identificare il progresso come
lo spreco di costringere milioni di persone a spostarsi quotidianamente
su percorsi sempre più lunghi. L’idea di costringere la gente a
muoversi continuamente è vecchia, soprattutto nell’era delle
telecomunicazioni. Viene tenuta in vita solo perché ci sono lobby che
su questo – auto private, ma anche infrastrutture di trasporto pubblico
1 Studioso e ricercatore sociale esperto in politiche urbane e ambientali, autore di
numerosi saggi e monografie, tra cui il recente Mobility and Environment - Humanists versus Engineers in Urban Policy and Professional Education.
27
– hanno creato un sistema economico difficile da sradicare e cambiare.
Con la gradualità adeguata è però necessario affrontare i problemi in
modo radicalmente nuovo. Proseguendo sulla strada attuale non si
arriva da nessuna parte.
La situazione di numerose città è problematica da molti punti di vista: il
traffico e la congestione sono forse solo un sintomo di un problema più
complesso, che ha tra i suoi effetti anche i danni all’ambiente, lo spreco di
risorse, ecc. Evidentemente non si tratta solo di una questione
“ingegneristica”, ma che investe anche altri aspetti (sociali, culturali, ecc.).
Approfondiamo questo punto.
Gli esseri umani non sono molecole di fluido: si muovono nell’una
o nell’altra direzione, con l’uno o l’altro mezzo, e infine nel momento
in cui decidono perché fanno delle scelte. Occorre rendere disponibili
quante più scelte possibili a una società che è sempre più variegata e
non è più costituita da una massa con le stesse preferenze. Va da sé,
quindi, che un esame dei comportamenti e delle preferenze dei
cittadini consumatori di mobilità potrebbe facilitare l’offerta di
soluzioni alternative al movimento attuale e agli attuali piani del
traffico.
Per affrontare i temi ambientali, economici e sociali di questo difficile
periodo si parla e si pensa in termini di “sviluppo sostenibile”, sottintendendo
quindi (giustamente) che al momento questa sostenibilità non esiste. Ma al di
là della questione “sostenibilità”, cosa possiamo dire riguardo al concetto di
“sviluppo” ed alle teorie che vi ruotano intorno?
La parola “sostenibile” non fa parte del mio vocabolario: è un
concetto vuoto e abusato. Lo sviluppo non ha bisogno di aggettivi
perché è buono di per sé. E se vogliamo sviluppo vero dobbiamo
pensare a un progresso che risponda alle esigenze dei cittadini di oggi,
non a quelli di ieri (i quali pensavano che la materialità della crescita
fosse l’unico obiettivo valido). Siamo un popolo ricco ed evoluto: i beni
superiori che generano lo sviluppo futuro non possono che essere
legati a una migliore qualità della vita, della salute e a un impegno
morale nel rispetto della natura e dell’ambiente.
28
Esistono comunque in giro per il mondo esempi innovativi e buone
pratiche. Quali sono le esperienze più significative in merito? E cosa possiamo
dire riguardo alle città italiane?
Esistono numerosi esempi ormai di buone pratiche in tutto il
mondo e anche in Italia. Ho visitato decine di centri europei e
americani dove sono state introdotte interessanti tecnologie: ci sono le
comunità de-motorizzate, esempi efficienti di trasporto pubblico,
tecnologie per auto non inquinanti, ecc. Ma non mi sono mai
entusiasmato troppo: non credo che il problema siano le singole
tecniche applicate qua e là. Piuttosto va sviluppata una nuova
tecnologia e vanno create le condizioni politiche e ideologiche perché
venga concesso spazio a modelli di organizzazione urbana alternativa
a prescindere dalla mobilità e dal trasporto. Si tratta di una cruciale
questione democratica e politica: rispondere alla domanda crescente di
tutela della salute e di potere vivere secondo modelli diversi da quelli
standard da parte di una quota crescente delle popolazioni occidentali.
Il mio auspicio è che oggi, più che di pianificazione, si debba
parlare di innovazione e creatività. Le burocrazie e i governi
dovrebbero riuscire a elaborare nuove idee e introdurre il mutamento.
Nei paesi più competitivi questo già si fa. In Italia scontiamo un grave
ritardo e continuiamo a credere che un ulteriore aumento dell’offerta
di trasporto sia la soluzione a tutte le disfunzioni urbane.
Io non lo credo.
***
29
4. Traffico, inquinamento ed effetto serra
Intervista a Daniel Tarozzi2
***
Il settore dei trasporti e della mobilità è uno dei più importanti (insieme
all’energia, all’industria, all’agricoltura) nel contribuire alle emissioni di gas
serra dovute alle attività umane, responsabili dei mutamenti climatici in atto.
Quali sono gli scenari che si prospettano per il clima del pianeta?
Non sono in grado di dipingere scenari futuri. Quello che è certo è
che nel nostro presente i danni dovuti all’inquinamento e alle
emissioni sono evidenti. I problemi più grandi li vivono come al solito
i paesi meno coperti dai mass media: le isole in mezzo all’Oceano, i
paesi africani, quelli asiatici. Si scherza sempre sul fatto che “non
esistono più le mezze stagioni”, ma è anche vero che a Roma ormai
assistiamo ad un fenomeno che richiama i monsoni indiani tra maggio
e giugno… Possiamo continuare a far finta di niente, ma il risveglio
sarà poi più doloroso… Inoltre, non dobbiamo mai dimenticare che il
problema mobilità non ha solo risvolti ecologici o ambientali. Il vero
dramma della mobilità basata sull’automobile è la disgregazione
sociale, la rabbia, la frustrazione, che questo sistema genera ogni
giorno in milioni, forse miliardi di persone. Malattie, incidenti,
omicidi, stress, infarti…
Si parla molto di Protocollo di Kyoto, strategia 20-20-20 ed altre attività
avviate in questi anni. Sono sufficienti le iniziative prese dagli organi di
governo nazionali ed internazionali per far fronte ai cambiamenti climatici?
2 Direttore responsabile del progetto editoriale Il Cambiamento, importate testata nel
panorama dell’informazione indipendente.
30
Difficile valutare l’efficacia di queste strategie in un Paese come
l’Italia che sta facendo poco o niente per cambiare le cose. In linea di
massima credo che queste strategie siano necessarie, ma non
sufficienti.
Riflettiamo sul trasporto su strada, ed in particolare sul trasporto privato
in auto. Ci sono diverse tecniche e metodologie che si possono utilizzare per
ridurne gli effetti negativi (favorire il trasporto pubblico, la mobilità ciclabile,
ecc.), ma si fa fatica a metterle in pratica. Si tratta forse di un “problema
culturale”?
Assolutamente sì. Tutti si lamentano ma nessuno è disposto a
cambiare le proprie abitudini o a rinunciare alla presunta comodità
dell’automobile privata. Vorrei poi capire in cosa consista questa
comodità. Nel girare anche un’ora e mezzo per trovare un parcheggio?
Nel pagare le multe sempre più salate per parcheggio in doppia fila?
Nell’accelerare e inchiodare a ogni semaforo? Io non uso più l’auto da
anni, ma ricordo ancora i pianti e lo sconforto di alcune nottate passate
a cercare un posto… Si vive meglio senz’auto. Si risparmiano un sacco
di soldi, che si possono reinvestire in taxi, car sharing, mezzi pubblici,
bicicletta, motorino. Certo, ci vorrebbe una rete di mezzi pubblici
molto più efficiente. Ma cominciamo ad abbandonare l’auto. E poi
potremo andare dai nostri politici e pretendere una mobilità diversa.
Uno dei principali problemi legati alla mobilità è dato dal consumo di
risorse energetiche, in primis di combustibili fossili. La questione della
strategia energetica nazionale, soprattutto in questo periodo, è molto
dibattuta. Quale dovrebbero essere le linee di intervento da seguire per
garantire ad ognuno il soddisfacimento dei propri bisogni nel rispetto e nella
salvaguardia dell’ambiente (cioè della nostra qualità della vita)?
Ridurre gli sprechi, ridurre i consumi e poi chiedersi quale energia
utilizzare. Il dibattito sulle rinnovabili è un falso dibattito. Finché non
si punta seriamente all’efficienza e al risparmio energetico non c’è
energia alternativa che tenga. Paradossalmente, è molto più ecologica
un auto a benzina che fa 100 chilometri con un litro che non un auto
elettrica… Tutti pensano che l’auto elettrica sia la soluzione… Ma non
ci si rende conto che si sposta solo il problema, se l’energia continua ad
31
essere prodotta con fonti fossili (e magari nucleare). E c’è comunque da
chiedersi se ci potranno mai essere abbastanza pannelli solari da poter
far circolare centinaia di milioni di automobili…
Io credo che se si abita in città e non si hanno problemi motori
l’automobile secondo me va eliminata. Ma se si abita in campagna è
ovvio che questo mezzo si rende necessario. Un’auto poco inquinante è
meglio di un’auto più inquinante, ma non dimentichiamoci che ogni
volta che cambiamo automobile, contribuiamo all’inquinamento
dovuto alla produzione della stessa oltre che allo smaltimento della
precedente. Insomma, non ci sono soluzioni valide per tutti. Il mio
invito è sempre lo stesso: riprendiamoci il senso delle cose,
domandiamoci cosa si nasconda dietro ogni oggetto, dalla sua
produzione, al suo smaltimento, e poi decidiamo quale sia la nostra
soglia di compromesso.
***
32
5. Automobili e velocità: un mito costruito a
nostro uso e consumo
Provate a contare quanti spot sono dedicati alle auto durante ogni
interruzione pubblicitaria in televisione!
Farete una scoperta incredibile. La quantità di spot dedicata alle
auto è enorme, ormai ne siamo totalmente assuefatti. E tutti, fateci
caso, mostrano le auto che corrono libere lungo paesaggi da cartolina,
e non immerse negli ingorghi urbani, come invece avviene ogni
giorno.
Avessi mai visto uno spot che invita ad andare in bicicletta o in
autobus... Ovvio, è la regola del mercato: gli spazi pubblicitari sono
venduti a chi fa il prezzo migliore, e difficilmente potrà esserlo un
produttore di biciclette, rispetto ai grandi marchi automobilistici. Ma è
giusto che sia così, al di là delle regole di mercato? La pubblicità delle
auto può essere regolata?
Ovvia naturalmente la posizione di chi ha un punto di vista
prettamente “economico” e finanziario, che sottolinea l’importanza
della pubblicità e la sua influenza nel sostenere il “sistema” dell’auto.
D’altra parte, c’è chi, soprattutto tra i gruppi come Amici della Terra,
evidenzia il mancato rispetto delle norme di legge europee sulla
pubblicità delle auto e sull’informazione al consumatore. Secondo essi,
la violazione sistematica della direttiva 1999/94/CE 3 nega al
consumatore il diritto a un immediato riconoscimento delle
diseconomie d’uso e ambientali associate al modello pubblicizzato.
Altre associazioni fanno invece riferimento anche ad altre norme
già esistenti in materia, come quelle sulla sicurezza previste dal Codice
di autodisciplina pubblicitaria ed alcune delle segnalazioni
3 relativa alla disponibilità di informazioni sul risparmio di carburante e sulle
emissioni di CO2.
33
(riguardanti spot che incentivavano comportamenti di guida pericolosi
o scorretti) sono state effettivamente accolte.
Ci sono inoltre le norme generali sulla pubblicità ingannevole, su
cui dovrebbe vigilare l’Autorità garante della concorrenza e del
mercato (Antitrust). Anche su questo aspetto, in passato,
sono state già avanzate segnalazioni per le pubblicità che
associano alle automobili termini come “verde”, “ecologico”,
“rispettoso dell’ambiente”, che alludono a benefici ambientali che le
automobili non possono generare.
Resta invece da valutare se sia questo il caso anche degli spot che
presentano le automobili in contesti che non sono quelli correnti d’uso
(deserti, laghi salati, strade di isolate, ecc.). In Francia questo genere di
spot è stato vietato dall’Autorità di regolazione professionale della
pubblicità.
Ci si chiede se non sia opportuno promuovere la creazione un
fondo monetario, grazie ad una quota della spesa pubblicitaria del
settore automobilistico, per la promozione della mobilità alternativa
all’automobile (a piedi, in bicicletta, con i mezzi pubblici) e per
l’informazione sui danni provocati dall’automobile (ambientali,
sanitari, sociali, economici).
E che dire dei tanti messaggi pubblicitari che hanno slogan tipo “ho
davanti una strada e tanta voglia di possederla”, che inneggiano al
senso di potenza o alle emozioni di una guida spericolata? Per non
parlare del mito della velocità, come ad esempio l’idea, ricorrente, di
innalzare il limite di velocità a 150 km/h in autostrada. Questa
proposta, da più parti ed in più riprese rilanciata, trova molte più
critiche che approvazioni. In effetti è sufficiente considerare che la
maggior parte delle morti negli incidenti avviene per eccesso di
velocità per comprendere come un innalzamento del limite non
farebbe altro che innalzare anche il numero delle vittime. Ed in ogni
caso, c’è da chiedersi come sia possibile che vengano omologati veicoli
che vanno a 300 all’ora se i limiti autostradali sono di gran lunga
inferiori.
Insomma, ci sono molte osservazioni che si possono fare a questo
proposito. Ad esempio, a cosa serve l’Antitrust se poi sono i cittadini a
dover fare le segnalazioni? Il mercato deve essere limitato o lasciato
34
“libero”? Il tutto è parte di un tema più generale, che investe la
discussione in corso sul capitalismo e la mercificazione di consumi e
stili di vita. In tutto questo
il ruolo fondamentale della pubblicità tende a proporre stili di vita
non sempre sostenibili a livello personale e collettivo.
36
Cosa si intende esattamente quando si parla di “mobilità sostenibile”?
Si tratta della necessità di realizzare un sistema di mobilità (urbana, ma non
solo) che, pur consentendo ad ognuno di potersi muovere secondo le proprie
esigenze ed i propri desideri, sia tale da rendere minimi problemi e disagi al
resto dei cittadini (emissioni di sostanze inquinanti e di gas serra, rumore,
congestione stradale, incidenti, problemi per la salute, consumo di suolo, ecc.).
Per affrontare il problema esistono molte tecniche e diverse iniziative, alcune
nate negli ultimi anni, altre invece sviluppatesi da più tempo.
In questo capitolo impareremo a conoscere alcune tra le migliori iniziative
messe in pratica, e scopriremo molti strumenti utili per muoverci meglio nelle
nostre città (compresi alcuni forse già noti, ma frettolosamente accantonati).
37
6. Il ritorno delle biciclette
Cresce in Italia il movimento nel mondo della mobilità ciclistica, e
aumenta l’interesse delle città italiane per la riscoperta di questo
semplice ma efficientissimo mezzo di trasporto, anche grazie ad
iniziative come le Critical Mass, movimenti come #salvaiciclisti o i
sistemi di bike sharing in via di rapida diffusione.
Vale la pena a questo punto riflettere su quanto scrive Lester Brown
a proposito del ritorno delle biciclette, nel suo libro “Piano B 4.0″4.
Sappiamo già che la bicicletta alleggerisce la congestione stradale, non
provoca l’inquinamento atmosferico, riduce l’obesità, migliora la
forma fisica, non produce emissioni di anidride carbonica e ha un
prezzo davvero molto accessibile. Inoltre, le biciclette riducono il
traffico e l’occupazione di suolo, dato che nello spazio occupato da
un’auto possono essere parcheggiate fino a 20 biciclette.
Brown osserva che molti governi hanno previsto una serie di
incentivi per incoraggiare l’uso di biciclette onde diminuire traffico e
smog. Il paese che ne ha di più è la Cina (con oltre 430 milioni), ma in
rapporto alla popolazione le percentuali di possesso sono più alte in
Europa, ed in particolare in Olanda, in Danimarca ed in Germania
(dove c’è in pratica una bici per ogni abitante).
Brown osserva poi che “la bicicletta è un capolavoro di efficienza
ingegneristica, dato che l’utilizzo di 10 chilogrammi di metallo e
gomma incrementa di tre volte la mobilità individuale”. Inoltre,
“per percorrere 12 chilometri in bici si consuma una quantità di
energia equivalente a quella fornita da una patata. Un’autovettura,
che necessita di almeno una tonnellata di materiale per trasportare
una persona, è in confronto straordinariamente inefficiente”.
4 Fonte: www.indipendenzaenergetica.it. Piano B 4.0 è edito da Edizioni Ambiente.
38
Curiosamente, si osserva poi che in alcuni casi anche la sicurezza
urbana ne trae vantaggio. Ad esempio, prosegue Brown, negli Stati
Uniti, quasi il 75% dei dipartimenti di polizia dei centri con almeno 50
mila abitanti dispongono di pattuglie di sorveglianza in bicicletta, che
ottengono ottimi risultati nella loro attività di prevenzione dei crimini.
Brown ricorda inoltre come negli Stati Uniti anche i college e le
università si stanno convertendo alla bici, soprattutto con nuovi
sistemi di bike sharing gratuiti, nei quali gli studenti usano le tessere
identificative universitarie anziché le carte di credito. In alcuni casi si è
addirittura deciso che è più conveniente fornire una bici a ogni
matricola, se questi accetta di lasciare a casa l’auto.
E non è solo il caso dei campus universitari: anche le consegne delle
merci sono sempre più effettuate in bicicletta (almeno per il tratto
finale): i servizi postali in bicicletta sono comuni nelle più grandi città
del mondo perché consegnano i piccoli plichi in modo rapido ed
economico, e questo diventa tanto più importante quanto più aumenta
il commercio elettronico, in quanto per le aziende che vendono su
internet è importante che le consegne siano rapide per avere più
clienti.
Aggiunge ancora Brown: “la chiave per sviluppare il potenziale
delle biciclette è la creazione di un sistema di trasporti compatibile con
esse. Ciò significa sia la realizzazione di rastrelliere per il parcheggio
sia la costruzione di piste ciclabili. I paesi leader nella progettazione di
sistemi di trasporto ciclabile sono l’Olanda, dove il 27% di tutti i
tragitti viene percorso in bici, la Danimarca con il 18% e la Germania
con il 10%. Al contrario, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna sono fermi
entrambi all’1%.
Uno studio di John Pucher e Ralph Buehler della Rutgers
University analizza le ragioni di queste disparità. I due autori notano
che
“l’uso estensivo della bicicletta in Olanda, Danimarca e Germania
è coadiuvato da ampi parcheggi, piena integrazione col trasporto
pubblico, educazione al traffico e training degli automobilisti e dei
ciclisti”.
Questi paesi scoraggiano l’uso dell’auto attraverso un sistema di
tasse e restrizioni sulla proprietà e il parcheggio. “È l’implementazione
39
coordinata di queste politiche multifattoriali che spiega il successo di
questi tre paesi nel promuovere la bicicletta. Ed è la carenza di queste
politiche che spiega la marginalità della bicicletta in Inghilterra e negli
Stati Uniti”. Ed, aggiungiamo noi, anche in Italia.
Ed ecco infine alcuni dei punti chiave per favorire la mobilità
ciclabile. Scrive Brown: “In Olanda, è stato implementato un Bicycle
Master Plan che, oltre a creare piste ciclabili e rastrelliere in tutte le
città, concede ai ciclisti la precedenza sulle auto nelle strade e ai
semafori. Alcuni segnali stradali permettono ai ciclisti di passare prima
delle automobili. Nel 2007, Amsterdam è diventata la prima città
occidentale industrializzata in cui il numero di spostamenti in
bicicletta ha superato quelli in automobile”.
Occorre anche sottolineare che in Olanda (come peraltro anche in
Giappone), è stato portato avanti uno sforzo di integrazione tra
bicicletta e servizi ferroviari per pendolari, mettendo a disposizione
parcheggi per bici alle stazioni e rendendo così più semplice ai ciclisti
recarsi al lavoro con il treno. In Giappone alcune stazioni hanno
addirittura investito in parcheggi multipiano verticali solo per
biciclette, esattamente come si fa per le auto.
I buoni esempi dunque non mancano. Perché non imitarli?
40
7. Muoversi in bici: difficoltà e prospettive
Ogni giorno sulle strade italiano muore un ciclista, e circa 40
restano feriti.
La percentuale di vittime in bicicletta (rispetto al totale dei morti
per incidenti stradali) negli ultimi anni è in costante aumento.
Il numero più alto di incidenti mortali si conta tra gli over 65, ma
non mancano vittime anche tra i giovanissimi
In effetti, non solo i cittadini, ma anche i Comuni dovrebbero
intervenire con più convinzione e maggiori investimenti nel settore
della mobilità ciclabile. Sappiamo bene infatti che in numerosi contesti
urbani molti spostamenti, seppur fattibili a piedi o in bicicletta per via
della breve distanza da percorrere, vengono effettuati con veicoli a
motore privati (auto, scooter, ecc.). Occorre capire come si può
intervenire con efficacia (e in un periodo di crisi esonomica e scarsità
di risorse) per rendere le strade urbane più adatte agli spostamenti in
bicicletta. Consideriamo infatti che, per le brevi distanze (fino a 5 km),
la bicicletta è proprio il mezzo di trasporto più rapido e flessibile, in
quanto con essa si può modificare il percorso a proprio piacimento,
evitando per quanto possibile gli ingorghi del traffico e riducendo
notevolmente il problema della ricerca di parcheggio.
In questi ultimi anni, non solo nelle città piccole e pianeggianti, ma
anche nei centri più grandi (meno adatti ad essere utilizzati dalle
biciclette), sono stati creati spazi per la mobilità ciclabile. Piste e
percorsi ciclabili, come anche interventi di limitazione alla circolazione
delle automobili, favoriscono sicuramente la mobilità ciclistica, ma
questo non basta: è fondamentale promuovere una nuova cultura di
mobilità, che favorisca le possibili alternative all’uso dell’auto privata.
41
L’Italia è dotata di 7mila km di piste ciclabili5. Il dato risulta indicativo
se paragonato a quello della Germania, che ne ha 35mila.
Ad esempio,
è importante che i Comuni istituiscano un apposito ufficio
dedicato alla mobilità ciclabile, e che partecipino ad iniziative a
livello nazionale per la promozione della mobilità lenta
(come Bimbimbici, che coinvolge i ragazzi delle scuole in una
pedalata cittadina, occasione di divertimento e di sensibilizzazione al
tema dell’uso della bicicletta per gli spostamenti quotidiani ed in
particolare per quelli casa – scuola).
Non è da dimenticare inoltre il “Bicibus”, un’iniziativa che
coinvolge gruppi organizzati di bambini che raggiungono la scuola in
bicicletta sotto la supervisione di adulti (genitori, nonni, volontari) che
li seguono su un percorso predeterminato e protetto.
Ma anche la tecnologia aiuta l’evoluzione di questo mezzo di
trasporto, che pure ha origini lontane. Anche in campo ciclistico la
ricerca e l’innovazione sulla mobilità elettrica stanno raggiungendo
traguardi sempre più ambiziosi. Le biciclette elettriche, in via di
diffusione sempre maggiore (anche grazie all’aumento della rete di
colonnine di ricarica nelle città e dei nuovi servizi di bike sharing),
costituiscono una delle frontiere della ricerca tecnologica nel settore.
Scrive Lester Brown su Piano B 4.0:
“Le vendite di biciclette elettriche, un genere relativamente nuovo
di veicolo, sono decollate. Questi mezzi sono simili alle auto elettriche,
ma la doppia propulsione in questo caso è rappresentata dalla forza
muscolare e dalle batterie che possono essere ricaricate alla rete
elettrica quando serve. (....)
Contrariamente alle auto plug-in, le biciclette elettriche non usano
direttamente alcun combustibile fossile. Se riusciremo ad attuare la
transizione dall’energia prodotta dalle centrali a carbone a quella
5 In tema di piste ciclabili è interessante l’esperienza della piattaforma piste-
ciclabili.com. Chiunque, senza obbligo di registrarsi, può disegnare su una mappa i propri itinerari preferiti (condividendoli con i visitatori del sito), oppure cercare informazioni sugli itinerari già pubblicati. Ad oggi la community conta oltre 35.000 utenti e sono stati mappati oltre 60.000 km di itinerari. Ogni giorno nuove persone suggeriscono nuovi itinerari e arricchiscono quelli presenti con foto e video.
42
eolica, solare e geotermica, allora anche le bici elettriche saranno
completamente indipendenti dai combustibili fossili. L’integrazione di
vie pedonali e piste ciclabili nei sistemi di trasporto urbano rende una
città di gran lunga più vivibile rispetto a quella che conta soltanto sulla
mobilità privata. Si riducono il rumore, l’inquinamento, il traffico, la
frustrazione, e il pianeta e i suoi abitanti ne guadagnano in salute.”
La tecnologia al momento maggiormente diffusa nel campo delle
biciclette elettriche prevede l’utilizzo di sistemi di pedalata assistita,
costituiti da un pacco batterie che si ricarica direttamente dalla rete
elettrica (anche grazie ad innovative pensiline dotate di pannelli solari
fotovoltaici) e che aiuta i ciclisti nel movimento rendendo la pedalata
meno faticosa. Ed ora si è raggiunto un nuovo traguardo: si è riusciti a
trasferire la tecnologia ibrida dalle auto alle bici, con un sistema
innovativo che riesce a riutilizzare in frenata l’energia cinetica della
bici per ricaricare la batteria.
Non è ovviamente sufficiente l’innovazione tecnologica per riuscire
a rendere appetibile la mobilità ciclabile per tutti, in quanto occorrono
anche adeguate infrastrutture (piste ciclabili, aree di sosta e
parcheggio, colonnine di ricarica) ed un chiaro quadro normativo-
legislativo (con sconti, incentivi, detrazioni, ecc.) tale da invogliare
l’acquisto e l’uso di questi mezzi estremamente efficienti nel traffico
urbano. La strada è ancora lunga, ma i passi avanti che continuamente
si susseguono sono molto incoraggianti.
43
8. I ciclisti fanno da soli: la campagna
#salvaiciclisti
Intervista a Paolo Pinzuti
Grande successo e scalpore ha avuto la campagna di
sensibilizzazione #salvaiciclisti, diretta a mettere in luce l’importanza
della mobilità in bicicletta nelle città. Muoversi in bici in sicurezza non
è solo un diritto di ogni cittadino (che lo faccia per hobby o per precisa
scelta di mobilità), ma costituisce anche uno dei pilastri su cui si fonda
il miglioramento della qualità di vita delle città.
Ne parliamo con Paolo Pinzuti, coordinatore della campagna
#salvaiciclisti.
***
Iniziamo dalla campagna #salvaiciclisti, e dall’enorme successo che ha
avuto. Come è nata questa iniziativa?
#salvaiciclisti nasce come diretta evoluzione della campagna “Cities
fit for cyclists” lanciata dal Times il 2 febbraio 2012. In Italia è arrivata
una settimana dopo grazie a 38 bike blogger che hanno deciso di
sottoporre all’attenzione dei grandi media italiani la sconcertante
realtà: il numero dei morti in bici in Italia è il doppio di quello
registrato nel Regno Unito. 2.556 in 10 anni per l’esattezza.
La campagna si è evoluta fino a diventare un movimento che ha
avuto il suo culmine il 28 aprile 2012, quando, in contemporanea con
Londra, Parigi ed Edimburgo, Roma è stata invasa da 50 mila cittadini
in bicicletta per chiedere alla politica città a misura di ciclista e di
pedone e non più di automobile. Da quel momento sono nati numerosi
44
gruppi locali di #salvaiciclisti distribuiti su tutto il territorio nazionale,
che svolgono iniziative di pressione sui propri amministratori affinché
la ciclabilità diventi un tema di rilievo per chi progetta e gestisce le
città italiane.
Quali sono stati i successi e gli insuccessi della campagna durante i primi
mesi?
Il più grande successo della campagna è stato indubbiamente aver
imposto un dibattito all’interno dei media italiani riguardanti il tema
della ciclabilità e della sicurezza di chi va in bicicletta. A parte questo,
ci sono molti risultati che il movimento ha ottenuto. Tra gli altri,
l’approvazione del piano quadro della ciclabilità a Roma;
l’instaurazione di un tavolo permanente delle ciclabilità a Milano e, a
Catania, la possibilità di circolare in bici nelle corsie preferenziali.
Riguardo agli insuccessi, io credo che #salvaiciclisti sia stato una
specie di miracolo, abbiamo superato le nostre stesse aspettative, non
me la sento di dire che alcune cose avrebbero potuto andare meglio.
Oltre alle azioni “dimostrative” avete fatto anche varie proposte a diversi
soggetti istituzionali (in ambito politico, amministrativo, ecc.). Avete avuto
risposte positive inaspettate, sulle quali in cuor vostro non ci speravate? E
quali sono state invece le delusioni più cocenti?
Non ci aspettavamo che le nostre proposte potessero arrivare in
Parlamento dopo appena 10 giorni di campagna, è stata una grande
sorpresa. In generale posso dire che la politica ci ha sempre ascoltato
molto anche se è sul piano delle azioni concrete che ha lasciato
ampiamente a desiderare. Però i nostri politici sanno che molte
persone hanno l’attenzione rivolta alle politiche della mobilità urbana.
Li attendiamo al varco in occasione delle varie elezioni.
C’è stata una accesa polemica con la rivista Quattroruote in merito
all’obbligatorietà del casco per i ciclisti. Quale è la vostra posizione su questo
punto?
#salvaiciclisti è un movimento che si occupa di politiche della
mobilità applicate alla sicurezza di chi decide di usare la bicicletta.
45
Quando si parla di sicurezza, bisogna sempre distinguere tra sicurezza
attiva e sicurezza passiva. Agire sulla sicurezza attiva significa operare
per ridurre la possibilità che si verifichi un incidente. Agire sulla
sicurezza passiva significa concentrarsi sulla riduzione del danno una
volta che l’incidente si è già verificato. Il casco è uno strumento di
sicurezza passiva.
Il movimento #salvaiciclisti è ovviamente favorevole all’utilizzo del
casco, però pensiamo che concentrarsi sulla riduzione dei danni senza
prima essere intervenuti per la riduzione degli incidenti sia un modo
facile e populista per pulirsi la coscienza ribaltando la responsabilità
sulle vittime. È per questo che siamo contrari all’obbligo.
Guardiamo all’Europa ed ai nostri vicini. Quali sono i passi che dobbiamo
fare per raggiungere i Paesi più virtuosi? E su cosa invece possiamo dire di
essere, anche noi in Italia, tra i migliori?
Quello che serve all’Italia in questo momento è un cambiamento
culturale: abbiamo bisogno che la politica intervenga promuovendo
l’uso della bicicletta nelle città e disincentivando l’uso delle
automobili. Il cambiamento non può avvenire da solo, ma deve essere
stimolato attraverso opportune scelte amministrative e opportune
campagne di comunicazione e di sensibilizzazione. Gli esempi su come
fare stanno già tutti lì a portata di mano al di là delle Alpi. Basta
copiare.
Il grande vantaggio per l’Italia da questo punto di vista è il clima:
rispetto ai paesi del nord Europa abbiamo delle condizioni
meteorologiche favorevolissime all’uso della bicicletta. Tanto sole e
poca pioggia o neve. È un peccato che invece di usare la bici molti
preferiscano ancora trascorrere ore dentro a scatole di lamiera che
sotto il sole diventano dei veri e propri forni.
Sta cambiando davvero qualcosa?
#salvaicicisti è un movimento che ha dimostrato che anche un tema
apparentemente marginale come può essere considerato quello della
ciclabilità in un paese afflitto da mille problemi può essere portato al
centro del dibattito politico, a condizione che ci sia la voglia e la
disponibilità ad impegnarsi da parte dei cittadini. La nostra classe
46
politica è schiava del consenso e in Italia per creare cambiamento
occorre mostrare in che direzione va il consenso affinché i politici si
interessino.
Io mi auguro che #salvaiciclisti possa essere l’inizio di un momento
storico in cui gli Italiani riscoprano la voglia e il piacere di fare politica,
di occuparsi della cosa pubblica in prima persona e di farlo tutti i
giorni e non soltanto all’interno del seggio elettorale.
#salvaiciclisti sta dimostrando che il cambiamento basta volerlo,
però bisogna volerlo sempre e con forza.
***
47
9. Il bike sharing: bici e innovazione
Con il contributo di Marco Menonna
Il bike sharing è uno dei principali strumenti a disposizione dei
Comuni che intendono ridurre i problemi derivanti dalla congestione
stradale ed il conseguente inquinamento. Consiste nella messa a
disposizione dei cittadini di una flotta di biciclette pubbliche, dislocate
in diverse aree della città, che i cittadini possono utilizzare per i propri
spostamenti.
Chi usa il bike sharing non è il proprietario della bici, ed ha il
vantaggio che è qualcun altro a doversi preoccupare della custodia
delle biciclette, della manutenzione, della pulizia e dell’assistenza.
I sistemi tradizionali sono di tipo meccanico: ogni utente può
prendere solo una data bicicletta di una data ciclostazione (gli viene
infatti consegnata una chiave per lo sblocco), ed ha il vincolo di
riportarla nello stesso posto al termine dell’utilizzo. Invece, nei sistemi
di ultima generazione (utilizzati soprattutto nelle grandi città), gli
utenti hanno una tessera elettronica, grazie alla quale possono
prendere qualsiasi bicicletta e lasciarla al termine del proprio
spostamento anche in una ciclostazione diversa da quella di partenza.
In tal modo si usa la bici prendendola giusto il tempo che serve e
lasciandola poi a disposizione degli altri utenti, facendo in modo che
ogni bici, utilizzo dopo utilizzo, sia impiegata per gran parte della
giornata.
Il bike sharing è ormai conosciuto in tutte le principali città italiane,
anche se in molte è ancora assente (e si stima che il 20% dei cittadini
delle città senza il servizio lo utilizzerebb non appena venisse
48
introdotto). Nel 2008 è stato costituito il “Club delle città per il Bike
Sharing”, che registra una crescita continua anno dopo anno.
I prezzi sono davvero convenienti, soprattutto se lo spostamento è
breve. In genere si paga una quota annule di pochi euro, e per quanto
riguarda l’utilizzo la corsa è gratis se si lascia la bici entro un certo
periodo di tempo (es. 30 minuti, nella maggior parte delle città),
consentendo quasi sempre di compiere il proprio spostamento senza
pagare niente.
Esistono comunque molte variazioni sul tema. In alcuni casi il bike
sharing è abbinato agli spostamenti effettuati in treno. In altre
esperienze esiste un servizio che copre diversi comuni confinanti. In
altre città invece, magari quelle non perfettamente in piano e con molte
strade in salita, il bike sharing offre biciclette a pedalata assistita.
All’estero esistono molte esperienze di grande successo, come ad
esempio in Francia, dove Parigi e Lione hanno implementato sistemi
con migliaia di biciclette sparse per la città a costi bassissimi,
ottenendo una notevole riduzione degli spostamenti motorizzati.
Anche altre importanti metropoli come Londra e Barcellona hanno
fatto del bike sharing quasi un simbolo della città.
La gestione informatizzata del bike sharing va poi a nozze con l’uso
dei social network (come Twitter, Facebook, ecc.), attraverso i quali gli
utenti condividono informazioni relative al servizio di cui sono
utilizzatori. Alla condivisione dei mezzi si aggiunge dunque quella
delle informazioni sullo stato degli stessi, e questo porta ad un
notevole potenziamento del servizio stesso, oltre che ad una positiva
aggregazione di persone con un interesse comune. In altre parole, si
favoriscono attivamente la socializzazione e lo spirito cooperativo.
Riporto a questo proposito quanto dichiara Marco Menonna6.
***
#tobike è stata l’hashtag (etichetta) con la quale alcuni utenti di
Twitter hanno, a partire dal mese di giugno 2010, cominciato a marcare
i messaggi sul nuovo sistema di bike sharing torinese Il percorso non è
stato affatto facile. Nonostante tutto, pare che i torinesi apprezzino le
6 Piemontese, profondo conoscitore del panorama italiano ed internazionale del bike
sharing e studioso delle sue potenzialità a livello sociale.
49
biciclette pubbliche, e l’entusiasmo con il quale si sono abbonati al
servizio lo dimostra: dopo circa un mese erano già un migliaio ad aver
attivato l’abbonamento annuale. Ma non solo: il servizio, per via della
sua natura indissolubilmente legata alla condivisione, ha aiutato e sta
tuttora aiutando i cittadini torinesi a riconoscersi in comunità di utenti.
All’interno delle comunità, che forse sarebbe più esatto chiamare di
utilizzatori piuttosto che di utenti, il consumo collaborativo (così come
descritto da Rachel Botsman e Roo Rogers nel loro libro “What’s Mine
is Yours: The Rise of Collaborative Consumption”) trova il terreno ideale
per diffondersi, autoalimentando un ciclo di fiducia e di condivisione.
Nel cuore di una società tipicamente caratterizzata da un iper-
consumo e da relazioni basate su contratti e possesso, stanno
nascendo, grazie anche alla diffusione delle tecnologie informatiche,
comunità informali di nuovi consumatori che basano le proprie
relazioni sulla fiducia e sulla libertà di accesso “organizzando la
condivisione, lo scambio, il dono, l’affitto e il baratto per ottenere gli
stessi benefici della proprietà ma con una riduzione di costi e
responsabilità personali e un impatto ambientale più basso”.
Dunque,
La creazione di una comunità informale per un servizio di
condivisione “puro” come il bike sharing è indispensabile perché il
sistema stesso possa ben funzionare.
Gli utenti lo sanno, e sono state molte le proposte che hanno tra gli
obiettivi quello di aumentare l’efficienza dei sistemi di bike sharing e
dunque rispondere meglio anche ai bisogni di mobilità degli utenti
stessi.
Ad esempio, a Parigi si è diffusa l’abitudine, poi ripresa anche in
altre città europee, di girare al contrario i sellini delle biciclette che
hanno ruote sgonfie o altri problemi che ne pregiudicano le possibilità
di utilizzo. Un modo semplice ed intuitivo per trasferire
l’informazione (“bicicletta rotta”) a manutentori ed altri utenti del
servizio.
A Bruxelles gli utenti si sono organizzati ed hanno fatto nascere un
sito internet che fornisce un quadro delle ciclostazioni che più spesso
creano disagi e arrabbiature, perché non hanno stalli liberi da biciclette
o, al contrario, non hanno biciclette prelevabili. Il sito, che si chiama
50
“Where’s my Villo?” ed il cui slogan recita “Bruxelles bike sharing should
be better” non si limita ad un’analisi statistica, ma elenca anche tutti i
punti sui quali il servizio di JCDecaux (la società che lo gestisce) è
carente ed ha delle precise richieste verso il gestore proponendo delle
soluzioni innovative per la rimovimentazione dei mezzi. Gli utenti
cercano dunque non solo un dialogo con JCDecaux, ma anche di avere
una voce in capitolo per le decisioni relative al servizio che vive grazie
a loro. Ed il gestore non è totalmente insensibile a questo tipo di
osservazioni.
Tornano a Parigi, il Comune e JCDecaux hanno favorito la nascita
di un comitato di venti rappresentanti di utenti, con i quali
organizzano incontri periodici per discutere del servizio e di possibili
innovazioni e miglioramenti.
A Londra invece Transport for London, l’ente responsabile dei
trasporti pubblici londinesi, e dunque anche dell’appalto per il bike
sharing, ha tolto le restrizioni per l’uso commerciale dei dati contenuti
in London Datastore (archivio che fornisce a chiunque sia interessato
delle informazioni pubbliche sotto forma di dati). Le informazioni
rappresentano una ricchezza e non sono molte le istituzioni che
decidono spontaneamente di regalarla. L’accessibilità è alla base della
filosofia “open data”, e Transport for London ha voluto sperimentarla
con successo. La possibilità fornita a ciascun individuo di accedere ai
dati consente da un lato l’accrescimento di conoscenza ed intelligenza
collettiva, e dall’altro, più semplicemente, lo sviluppo di applicazioni
mobili per servizi di bike sharing. Permettere che queste applicazioni
siano vendibili su di un mercato il cui accesso è finalmente libero è uno
stimolo per l’abbassamento dei prezzi ed il miglioramento della
qualità dei prodotti.
L’orizzontalità dei rapporti e l’uso delle tecnologie informatiche
sono principi necessari per la diffusione di una cultura fondata sullo
sharing e sull’accessibilità: ecco perché i messaggi che gli utenti
torinesi marcano con #tobike e scrivono su Twitter non possono essere
completamente ignorati.
Dall’altra parte dell’oceano, i cittadini di Toronto hanno
recentemente marcato le loro conversazioni con l’hashtag opposta a
quello di dei torinesi: #biketo. Ad alcuni è sembrato bizzarro, ma
51
molte sottoscrizioni al servizio sono giunte da AutoShare, la società
che gestisce il car-sharing di Toronto.
Le buone idee, in Italia come all’estero, non mancano.
Comprendere la logica dell’accessibilità e dell’orizzontalità dei
rapporti che sta alla base di abitudini di consumo dettate dalla
condivisone, piuttosto che dal possesso, è importante per chi vuol
promuovere un sistema di bike sharing.
Cogliere queste importanti innovazioni è forse ancor più utile di
buone intenzioni e proclami dettati da una presunta coscienza
ambientalista, perché accontentandosi dei pochi facili risultati che si
hanno mettendo delle biciclette per strada, si rischia di perdere un
treno importante, che potrebbe rivoluzionare una buona parte del
paesaggio e della mobilità urbana.
***
52
10. Auto, moto, bici e bus elettrici: a che
punto siamo?
Intervista al team di eWheel.it
La crisi economica degli ultimi anni e l’aumento dei prezzi dei
carburanti hanno fatto aumentare l’interesse sui veicoli elettrici. Molti
pensano a come convertire la propria auto in un veicolo elettrico o a
quale modello di automobile elettrica (ibrida, pura, ecc.) sia migliore
per le proprie esigenze.
Apriamo una finestra sullo sullo stato dell’arte della mobilità
elettrica avvalendoci delle risposte del team di Ewheel.it.
***
Molte volte negli ultimi anni è stato detto che la diffusione delle auto
elettriche era sul punto di “decollare”, e non solo per i veicoli ibridi, ma anche
per quelli con motore puramente elettrico. Quale è la situazione attuale?
In effetti nella storia dell’auto elettrica ci sono stati momenti
favorevoli ad una sua affermazione sul mercato (come ad esempio
nell’800), ma finora l’ha sempre spuntata l’auto con motore a scoppio.
A parte qualche sparuto tentativo di riportare in auge l’elettrica,
non si è mosso quasi nulla fino agli anni ’90 del secolo scorso. Nel 1996
comparve la prima generazione della EV1, coupè elettrica della
General Motors. Dopo due evoluzioni e sette anni di esperienza, il
progetto venne chiuso dalla GM (e le auto ritirate) perché dichiarato
antieconomico. Dato però il successo che l’auto aveva avuto tra il
pubblico, una tale fine del progetto suscitò polemiche e discussioni
53
sulle reali cause che portarono la GM a terminare la produzione. Una
delle ipotesi fatte è che le lobby dei petrolieri si siano opposte ad una
tecnologia che avrebbe minato il loro business.
Venendo ai giorni d’oggi, ci sono da rilevare una serie di elementi
che fanno pensare ad un’imminente “decollo” delle auto elettriche (e
forse dei veicoli elettrici in generale).
Innanzitutto, sono massicci gli investimenti delle principali case
automobilistiche del mercato europeo, tanto più in un momento di
crisi generale nelle vendite del settore auto. Nell’elettrica sono riposte
le speranze di stimolare il mercato altrimenti stagnante.
Dal lato delle infrastrutture, c’è poi fermento nella ricerca e
innovazione da parte di molti produttori per rendere la ricarica facile e
veloce come un pieno di benzina. Inoltre, lo sviluppo nel campo delle
batterie per dispositivi portatili di piccole dimensioni ha prodotto dei
benefici anche nel campo delle batterie per auto, per cui è ragionevole
aspettarsi di avere a breve batterie con buona autonomia, vita utile
paragonabile a quella dell’auto e sempre meno costose.
Anche a livello italiano si registrano alcune iniziative per così dire
“istituzionali”. Citiamo in particolare la possibilità di ricaricare i
veicoli elettrici a casa propria con tariffa e contatore dedicati. In
conclusione, le proiezioni più ottimistiche (ma a nostro giudizio poco
realistiche) parlano di quote di mercato intorno al 20% entro il 2020,
mentre quelle più pessimistiche stimano una penetrazione inferiore al
10% nel 2030.
Quali sono i sistemi tecnologici ed i modelli di auto che si sono
maggiormente diffusi in questi anni? E quali sono le novità nel settore scooter
e motociclette?
Per quanto riguarda le auto, una prima distinzione è quella tra auto
cosiddette “ibride”, cioè per metà elettriche e per metà a benzina, e
quelle completamente elettriche.
Le auto ibride hanno due motori, uno elettrico e uno a scoppio.
Nella maggior parte dei modelli di auto ibride, il motore elettrico viene
utilizzato a basse velocità e per le fasi di partenza, perché a bassi
regimi è più efficiente del motore a benzina. Quando invece si procede
a velocità più sostenute e con una andatura più regolare, entra in
funzione il motore a benzina. Nelle auto ibride attualmente in
54
commercio, l’elettricità usata dal motore elettrico è prodotta dal
motore a benzina e poi immagazzinata in batterie, per cui il
rifornimento può essere fatto esclusivamente dal benzinaio. Le nuove
ibride “plug-in” sono però dotate di presa per la ricarica come le
elettriche pure.
Le elettriche pure hanno invece solamente un motore elettrico, e a
quello si affidano in qualsiasi regime di guida e a qualsiasi velocità.
Possiamo dire che gli ibridi rappresentano il primo passo verso la
transizione all’auto elettrica, in attesa che si sviluppino le
infrastrutture e le tecnologie necessarie ad una diffusione di massa di
queste ultime: ai vantaggi della “pure electric”, le ibride associano la
praticità di rifornimento e l’autonomia tipiche delle auto a benzina.
Le ibride in commercio sono auto di medie e grandi dimensioni, e
possono annoverare tra le loro fila persino dei SUV (Tuareg della
Volkswagen e Cayenne della Porsche). Le elettriche invece, complice
anche la modesta autonomia, sono prevalentemente di dimensioni
medio-piccole. Qualche produttore ha persino scommesso su un
segmento di mercato ancora praticamente inesplorato, cioè quello delle
vetture “micro” a due posti, studiate per superare in maniera
intelligente e sostenibile il traffico urbano. E’ il caso ad esempio del
Birò (Estrima), piuttosto che del Twizy della Renault o della stessa
Smart.
Anche il settore delle moto e degli scooter elettrici da alcuni segni
incoraggianti. Il comparto degli scooter a nostro giudizio si
presterebbe molto bene alla conversione elettrica, in quanto il tragitto
medio giornaliero ha una lunghezza assolutamente compatibile con
l’autonomia delle batterie (60-80 km).
Un capitolo a parte meritano le biciclette a pedalata assistita, impiegate
anche in alcuni sistemi di bike sharing. Cosa si può dire riguardo a questo
settore?
Crediamo che le bici a pedalata assistita (cosiddette pedelec) siano
una delle espressioni più evidenti di mobilità sostenibile, dove la
sostenibilità è intesa a 360 gradi: riducendo lo sforzo fisico necessario,
mettono la bicicletta a portata di anziani e ne ampliano l’utilizzo anche
a città con rilevanti saliscendi. E’ il caso di Genova, dove il servizio di
55
bike sharing è dotato di pedelec, per via della conformazione della
città.
Ma la “bici elettrica”, come da molti è chiamata, a nostro parere
dovrebbe essere confrontata non con una bici, ma piuttosto con uno
scooter 50 cc, se non altro nei tragitti urbani. Se è vero infatti che è più
lenta (max 25 km/h per poter essere considerata alla stregua di una
bici, per il codice della strada), ha numerosi altri vantaggi, primo tra
tutti quello economico. Costa molto meno sia in fase di acquisto che
soprattutto in fase di gestione: non si paga né bollo né assicurazione e
si spende meno di 20 centesimi di euro per fare più di 100 km, alla
faccia degli aumenti della benzina! Altri vantaggi: il rifornimento non
è vincolato ai benzinai (dato che la batteria si sfila agilmente e si può
ricaricare in qualsiasi presa elettrica, a casa, al lavoro,…), e anche se si
dovesse restare a secco…ci sono i pedali!
Per incentivare l’uso dei veicoli elettrici in ambito urbano appare molto
importante l’aspetto legato alla ricarica per chi non dispone di un box auto
con presa elettrica domestica. In alcune città esistono diverse colonnine
pubbliche. Quale è lo stato attuale delle stazioni di ricarica in termini di
diffusione, modalità di utilizzo, compatibilità con i diversi veicoli e costi per
l’utenza?
Purtroppo il panorama non è dei migliori. Sono prevalentemente
pubbliche, ma il loro effettivo utilizzo è purtroppo ancora dubbio, un
po’ perché molte non sono ancora attive, un po’ perché le auto
elettriche in circolazione sono ancora effettivamente molto poche.
Bisognerebbe favorire la diffusione delle colonnine di ricarica
(rapida, possibilmente) anche in realtà private come parcheggi di
supermercati e grandi aziende, in modo da facilitare la ricarica anche
mentre si va a fare la spesa o si sta lavorando. Ma per fare questo c’è
ancora molto da fare, sia dal punto di vista tecnologico (ricarica
rapida) che normativo, e le realtà virtuose scarseggiano. Al momento,
in ogni caso, sembra impensabile poter possedere ed utilizzare un’auto
elettrica senza avere la possibilità di ricaricarla a casa.
Sempre con riferimento alla questione ricarica, si parla spesso di utilizzare
a tale scopo energia fotovoltaica, ad esempio sfruttando pannelli solari da
installare su pensiline o parcheggi. Esistono sistemi di questo tipo
56
effettivamente in uso nelle nostre città? Che particolarità presentano dal
punto di vista di funzionamento e dei costi?
Abbinare energia elettrica da fonte rinnovabile alla ricarica di auto
elettriche è sicuramente una buona cosa. Non dimentichiamo però che
l’energia elettrica è ancora prevalentemente prodotta da fonti fossili, il
che significa che l’auto elettrica di per sè non risolve al 100% i
problemi ambientali ed energetici legati alla mobilità. Tutto dipende
da come si produce l’energia.
Per quanto riguarda i pannelli fotovoltaici su pensiline o parcheggi,
c’è da fare una distinzione sul piano del funzionamento: in alcuni casi
la pensilina è scelta come struttura di sostegno per l’installazione di
pannelli fotovoltaici solo perché ben esposta e perché permette
un’integrazione architettonica dei moduli, ma nella pensilina non sono
presenti prese per la ricarica. In altri casi invece il sistema è integrato e
comprende anche la ricarica, ed è studiato per poter ricarica anche
direttamente il veicolo elettrico, senza passare dalla rete
elettrica. Purtroppo però, di sistemi come quest’ultimo se ne vedono
ancora pochi in Italia.
Abbiamo dato uno sguardo al panorama italiano nel campo della mobilità
elettrica. Cosa avviene invece in campo internazionale? Quali sono le
esperienze più innovative in merito e le linee di ricerca su cui si lavora?
A livello internazionale c’è molto fermento su diversi
fronti. Fioriscono nuovi modelli di auto elettriche di case
automobilistiche più o meno conosciute e c’è molta attenzione sulle
prestazioni, non solo delle batterie ma anche del motore in termini di
massima velocità raggiungibile. In Giappone è da rilevare il
diffusissimo utilizzo di bici elettriche, con una multinazionale come la
Panasonic che ha un catalogo invidiabile di mezzi, e anche negli Stati
Uniti e in Europa le bici elettriche si stanno diffondendo sempre più. I
sistemi di rifornimento (sia ricarica che sostituzione delle batterie)
sono oggetto di ricerca anche universitaria. Su tutte, le ricerche sulla
ricarica wireless del MIT e dell’università di Stanford.
***
57
11. L’auto elettrica: il presente e le
prospettive future
La mobilità elettrica costituisce uno dei punti di forza delle
iniziative di mobilità sostenibile, grazie al fatto che offre la possibilità
di muoversi senza produrre emissioni di sostanze inquinanti e di gas
serra, e generando rumore scarso o del tutto assente. È tuttavia
importante osservare che, per avere un ciclo di produzione e consumo
dell’elettricità utilizzata per i veicoli che sia effettivamente ad impatto
zero, occorre che l’elettricità stessa sia prodotta da fonti rinnovabili
(mentre oggi l’energia elettrica utilizzata in Italia è prodotta
utilizzando soprattutto combustibili fossili). L’uso di veicoli elettrici
per gli spostamenti in ambito urbano consente in ogni caso di tenere
lontane dalle città le emissioni eventualmente generate presso i siti di
produzione dell’elettricità stessa, a differenza dei veicoli tradizionali
(le cui emissioni sono riversate direttamente nelle città).
L’uso di auto elettriche invece di auto a benzina non risolve il
problema del traffico in termuni di congestione stradale, ma riduce i
consumi di energia e le emissioni inquinanti e di gas serra.
Le auto elettriche hanno ormai raggiunto prestazioni di tutto
rispetto7.
Le auto possono essere ricaricate attraverso la rete domestica o
dalle apposite colonnine impiegando la tecnologia alla base dei
contatori elettronici dell’energia elettrica in uso in Italia. Gli
7 Ecco ad esempio le prestazioni della Nissan Leaf, L'autonomia dichiarata è intorno
ai 160 km. La ricarica dura circa 7 ore da una normale presa domestica, mentre avendo la possibilità di usufruire di una stazione di ricarica rapida, bastano 30 minuti per raggiungere l'80% della sua capacità totale. La velocità massima è autolimitata a 145 km/h e il passaggio da 0 a 100 km/h avviene in 11,9 secondi.
58
automobilisti possono informarsi in tempo reale (via internet) su quali
sono i punti di ricarica liberi.
In alcune sperimentazioni (Berlino) è stata inoltre realizzata
un’unità di bordo che, comunicando con la stazione di ricarica,
contribuisce a ricaricare la batteria automaticamente ad un prezzo
conveniente quando la rete non è sovraccarica (ad esempio negli orari
di minore consumo energetico). In molti casi è possibile inoltre
utilizzare esclusivamente elettricità prodotta da fonti rinnovabili.
In diverse regioni italiane sono stati avviati progetti per nuove reti
di ricarica per auto elettriche, con punti di ricarica sia su suolo
pubblico che in ambito privato (come condomini, box e parcheggi
aziendali).
Diverse sono le linee di ricerca. Una di esse prevede ad esempio la
sostituzione rapida delle batterie scariche nelle auto elettriche,
offrendo una valida alternativa alla ricarica veloce (che stressa
notevolmente le batterie, siano esse al Litio o al Ni-Mh). L’utilizzo di
questo sistema consentirebbe di effettuare la ricarica delle batterie nel
periodo notturno ed in modalità lenta, sfruttando i punti di assistenza
dislocati sul territorio per la ricarica veloce o la sostituzione delle
batterie stesse. La sostituzione, in particolare, è una operazione che
potrebbe essere eseguibile in appena 3 minuti.
Un altro filone di ricerca riguarda la realizzazione di parcheggi con
celle solari per ricaricare l’auto nelle soste. L’idea è convertire delle
semplicissime pensiline in parcheggi auto-ricaricanti. Ad esempio,
durante la giornata lavorativa, nelle 6-8 ore in cui l’auto rimane ferma
al parcheggio, la si potrebbe ricaricare a costo zero. Le spese di
installazione, per quanto contenute, potrebbero comunque essere
condivise dagli utenti o sovvenzionate dalle amministrazioni. In un
anno ogni parcheggio potrebbe arrivare a generare fino a 1.100 kwh,
con valori di picco di 1,5 kW.
Ma quali sono le criticità legate all’uso di auto elettriche?
Una delle più importanti riguarda il modo di produrre l’elettricità
utilizzata: se essa fosse generata da fonti fossili (carbone, petrolio, gas
o combustibile nucleare), quali sarebbero i reali benefici nell’uso dei
veicoli elettrici? In effetti, la produzione da fonti fossili di elettricità da
usare per il movimento dei veicoli provocherebbe più emissioni di
59
CO2 (anidride carbonica) rispetto a quelle generate dall’uso dei
tradizionali motori a benzina o gasolio.
La vera mobilità “pulita” (a emissioni zero) con i veicoli elettrici si
ottiene solo utilizzando energia prodotta da fonti rinnovabili.
Per raggiungere questo obiettivo è necessario però un grande
sforzo congiunto da parte dei governi nazionali, responsabili della
pianificazione energetica e delle misure di tutela ambientale.
Secondo alcune stime, il fabbisogno di elettricità necessario per
soddisfare i consumi delle nuove auto elettriche sarà relativamente
basso (es. con 30 milioni di veicoli elettrici o ibridi plug-in in
circolazione nell’Unione Europea, l’aumento della domanda di
elettricità sarebbe solo del 3% rispetto a quella attuale). Il problema
sarà quello di gestire correttamente questa domanda aggiuntiva di
elettricità, per evitare che il maggior fabbisogno possa provocare un
aumento della produzione di elettricità da combustibili fossili.
Una possibilità tecnologica potrebbe essere offerta dall’installazione
nelle nuove auto elettriche di “contatori intelligenti”, che siano in
grado di mettere in carica le batterie dei veicoli solo in caso di
eccedenza di energia nella rete. Questo accorgimento tecnico
richiederà però un’adeguata standardizzazione di tecnologie e
processi, e l’introduzione sul larga scala dello stesso in tutta Europa.
Occorre peraltro ricordare che gli stati membri dell’Unione Europea
hanno l’obiettivo di raggiungere nel settore dei trasporti la quota del
10% di energia prodotta da fonti rinnovabili (comprendendo in esse
anche i biocarburanti, che tuttavia hanno altre controindicazioni,
relative soprattutto al consumo di suolo e di risorse agricole a scopi
non alimentari).
In ogni caso il dibattito sull’argomento è molto acceso. Alcuni studi
prefigurano una prossima impennata nella diffusione delle auto
elettriche, motivata da una serie di considerazioni. In primo luogo
l’introduzione, soprattutto nelle città, di limiti di emissione e
circolazione sempre più stringenti. Poi, la diffusione di accordi
industriali tra i produttori di automobili che, per abbattere i costi e
coprire tutti i segmenti, condividono numerose componenti, motori
inclusi. Si aggiunga il continuo miglioramento di batterie e tecnologie
60
correlate, che consente un aumento dell’autonomia ed una progressiva
riduzione di pesi, consumi e costi. Infine, l’esperienza fin qui maturata
grazie alla ricerca, allo sviluppo ed alla produzione di veicoli ibridi.
Per quanto riguarda la rete elettrica, occorre osservare come le
nuove auto elettriche potrebbero costituire un importante elemento del
sistema energetico. Le auto possono essere viste proprio come una
risorsa per l’accumulo di energia elettrica, visto che verranno
prevalentemente ricaricate nelle ore notturne (quando il carico sulla
rete è basso) ed utilizzate di giorno (consumando l’energia già
immagazzinata, senza andare ad aumentare il carico elettrico diurno
sulla rete). Si prefigura quindi un interessante elemento di
ottimizzazione del carico e della capacità elettrica a livello di sistema
nazionale, ma anche a livello di sottosistemi locali grazie allo sviluppo
ed utilizzo delle “reti intelligenti” (Smart Grids), moderna ed
innovativa tecnologia di distribuzione dell’elettricità.
Le posizioni rispetto a questi scenari sono numerose ed interessanti.
Gli scettici evidenziano ad esempio il costo ancora alto dei veicoli a
fronte del comfort (lontano da quello delle auto tradizionali), il
probabile aumento di tassazione che interesserà l’energia elettrica (per
compensare i cali di introito fiscale sulla benzina) ed infine
l’insufficienza della rete elettrica in caso di massiccia diffusione dei
veicoli elettrici.
I favorevoli ricordano l’effettiva utilità della diffusione delle auto
elettriche come risposta al problema della crescente congestione
stradale, osservando però come esse possano risultare utili solo in
città, e peraltro in aggiunta a sostanziali interventi di
gestione/inibizione del traffico privato e di potenziamento del
trasporto pubblico. Si ritiene importante inoltre attuare una politica
nazionale di sostegno economico al settore della mobilità elettrica,
accompagnata da una adeguata politica energetica (che favorisca ad
esempio le fonti rinnovabili), e tenendo presente che le prestazioni
legate ad autonomia e comfort sono in continuo miglioramento.
Sarebbe inoltre particolarmente utile, almeno in una fase iniziale,
il coinvolgimento degli Enti Locali a livello di acquisizione di mezzi
elettrici per il proprio parco vetture.
61
Numerosissimi servizi pubblici infatti sono caratterizzati da
impiego dei mezzi continuativo e costante, le cui caratteristiche sono
conosciute e facilmente programmabili e monitorabili (es. ore di
utilizzo, km da percorrere giornalmente, punti di ricovero, programmi
delle manutenzioni periodiche, ecc.). Sarebbe quindi opportuno che le
amministrazioni imponessero l’uso di veicoli elettrici per tutti i servizi
da esse effettuati in ambito urbano a mezzo automobile (es. servizi
postali, ispezioni periodiche della rete stradale, manutenzione, ecc.), in
quanto si potrebbe creare un buon volano per l’industria dei veicoli e
delle infrastrutture di rete. Si spera che la volontà politica di
supportare la diffusione di auto elettriche possa essere superiore alle
pressioni che, inevitabilmente, arriveranno in senso contrario.
62
12. Il retrofit elettrico: stessa auto, nuovo
motore
intervista a Daniele Invernizzi
Una delle prospettive più promettenti per la diffusione dei mezzi
elettrici è data dal cosiddetto retrofit¸ cioè dalla conversione delle auto
tradizionali in auto elettriche, molto più economica rispetto
all’acquisto di una auto elettrica nuova. Tra i principali operatori in
tema di retrofit c’è Ecars-now!, della quale ci parla uno dei fondatori
Daniele Invernizzi.
***
Presentiamo eCars-Now! Chi siete, cosa fate, e soprattutto… perche?
Ecarsnow è un’associazione nata e ripresa da un’iniziativa
finlandese. L’obiettivo comune è la mobilità elettrica, e nello specifico
il retrofit elettrico, che è il passaggio più semplice per arrivare ad avere
mezzi elettrici nelle nostre strade, alla portata di tutti. Il messaggio è
chiaro: il retrofit analizza delle vetture che già esistono e non devono
essere fabbricate appositamente, le modifica togliendo il vecchio
motore termico in ragione di un moderno ed efficiente motore elettrico
con tutta l’elettronica di contorno ed, ovviamente, le batterie. Il retrofit
reinventa le auto in chiave ecologica ed economica.
Parliamo dell’efficienza energetica e del risparmio economico che si può
ottenere sostituendo i motori tradizionali con i motori elettrici. Una questione
di importanza notevole, specie in tempi di crisi.
63
Il motore delle auto normali, anche le più moderne, si chiama
“termico” e con la parola “termico” i tecnici hanno riassunto quello che
rappresenta il motore a benzina: una caldaia, che ci fa anche muovere,
ma che principalmente produce calore. In parole povere, ipotizzando
di introdurre “100 unità” di carburante, lui ci restituirà circa ”20
unità” di energia meccanica per muoverci, mentre il resto diventerà
calore (assieme agli scarti, ovvero i fumi e le polveri sottili).
Attualmente nel motore elettrico a fronte di 100 unità riceveremo circa
65 unità di energia meccanica, questo si traduce in circa 150 km
percorsi con circa 1,90 euro di energia elettrica e quasi zero
manutenzione, perché non ci sono cambi olio, filtri, candele, marmitte.
John Ford, visionario creatore della nota casa automobilistica, era
solito dire che “più cose si muovono in un’auto, più sarà facile che
questa si guasti.
Si dice che le auto elettriche consentano anche di ridurre l’emissione di
sostanze inquinanti e soprattutto dei gas serra, responsabili dei cambiamenti
climatici in atto (ormai impossibili da contestare). E’ davvero così?
Le auto elettriche sono ZEV: Zero Emission Vehicles, il che significa
che non emettono nemmeno un grammo della famigerata anidride
carbonica, la CO2, e nemmeno perdono olio (lo si trascura, ma un
motore termico che gocciola olio inquina in maniera considerevole).
C’è un’altro aspetto importante da ricordare in favore
dell’abbattimento di emissioni di CO2: il retrofit recupera auto per le
quali l’ambiente “ha già pagato un prezzo”, in termini di energia usata
per fabbricarle e CO2 versata nell’atmosfera durante la loro “vecchia
vita termica”.
L’uso di motori elettrici ci consentirebbe di ridurre la nostra dipendenza
dal petrolio. Producendo inoltre elettricità da fonti rinnovabili potremmo
ridurre anche la dipendenza da altre fonti fossili (come gas e carbone).
Approfondiamo questi aspetti legati alla strategia energetica nazionale.
Se domani dovessimo tutti convertire le nostre auto e trasformarle
in elettriche, le centrali energetiche potrebbero sopperire
tranquillamente a questa richiesta, e comunque di norma la maggiore
richiesta di energia per le ricariche avverrà di notte, quando i consumi
64
tradizionali sono più ridotti. Aggiungiamo a questo l’energia
risparmiata per la produzione, il trasporto e la commercializzazione
dei combustibili fossili!
La produzione da rinnovabili aumenta costantemente, e comunque
non dimentichiamo che l’auto elettrica non sposta il problema
dell’inquinamento dalle città alle centrali elettriche: la rete elettrica, in
termini di energia prodotta, rende più di un motore termico, le
emissioni sono molto più controllate e la produzione sempre più
rinnovabile. Privati e aziende possono scegliere di acquistare energia
verde, incentivandone sempre di più la produzione. Da non
dimenticare infine che è già possibile generarsi da soli l’energia, e in
futuro sarà sempre più semplice ed economico.
Da quanto abbiamo detto pare che la mobilità elettrica sia una vera e
propria rivoluzione energetica, economica ed ambientale, e che peraltro
sarebbe stata già pronta a manifestarsi da tempo. Perchè allora sta arrivando
solo ora? E’ vero che c’è chi ha avuto l’interesse a contrastare lo sviluppo dei
veicoli elettrici?
L’auto elettrica è nata assieme, se non prima, all’auto termica.
Come tutte le grandi rivoluzioni, quella della mobilità portava con se
vantaggi e svantaggi. All’inizio le batterie non erano vantaggiose,
anche se il rendimento delle auto elettriche era notevole, la loro
manutenzione più economica etc… Investendo nell’auto a benzina,
poi, si sono creati interessi enormi: in primis il petrolio ma anche
ricambi, manutenzione, fine vita etc…
Negli anni i motori elettrici si sono sviluppati molto più di quelli
termici e sono stati inseriti con successo nell’industria ed in altri
settori, ma molto meno nei trasporti. Anche le batterie si sono
sviluppate, diventando sempre migliori. I motori termici invece non
sono cambiati molto, ed hanno avvelenato il mondo che conosciamo.
Ma hanno arricchito e creato enormi interessi, superiori a quelli legati
all’ambiente o al risparmio dell’utente finale: perché mai l’industria
avrebbe dovuto privarsene? Non si tratta di segreti industriali,
complotti o piani segreti, ma principalmente di affari: ciò che è molto
conveniente per l’acquirente lo è poco per l’industria. È una legge
dell’economia.
65
Negli ultimi anni però è cambiato il nostro modo di comunicare, di
essere critici, di valutare e paragonare, è cambiata la sensibilità
ambientale ed economica, per questo l’auto elettrica sarà il nostro
nuovo modo di muoverci, anche se si qualcuno farà di tutto perché
questo avvenga il più tardi possibile.
Ecco infine uno spazio a vostra disposizione: fate il vostro appello a chi
volete (cittadini, potenziali collaboratori, istituzioni, ecc.).
Alle istituzioni rivolgiamo un appello, che si unisce a quello di
molte altre realtà: snellire le pratiche burocratiche per la re-
immatricolazione dei veicoli elettrici, incentivandoli. Creare
finanziamenti e incentivi mirati alla conversione trascina dietro di se
una serie di vantaggi enormi che non possono più essere dimenticati in
favore di altri interessi: il primo vantaggio è quello ambientale, che
viaggia di pari passo con quello economico.
Voglio utilizzare la frase ascoltata durante un workshop molto
importante dal rappresentante di una importantissima casa
automobilistica: “se cento anni fa avessimo scelto l’auto elettrica ed
oggi qualcuno venisse a proporci di cambiarla con il miglior modello
di auto a benzina che vi possa venire in mente, lo guarderemmo come
un pazzo. Oggi invece ci sentiamo dei pazzi a guidare una caldaia”.
***
66
13. Il Car Sharing: condividere l’auto senza
possederla
Quanti di voi hanno mai sentito parlare dei servizi di Car Sharing?
Siete a conoscenza di tutti i vantaggi che offre?
Eccone alcuni: accesso libero alle zone a traffico limitato;
parcheggio gratuito sulle strisce blu; accesso alle corsie preferenziali
dei taxi e degli autobus; nessuna limitazione a causa di blocchi del
traffico, targhe alterne e provvedimenti analoghi; veicoli sempre
disponibili in aree di sosta riservata; prenotazione telefonica o via web;
nessun costo aggiuntivo (anche il carburante è compreso nel prezzo
del servizio); auto nuove e costantemente revisionate; interoperabilità
totale con i servizi di car sharing di altre città.
E potrei continuare ancora. Molti però non sono a conoscenza del
servizio, che consente a chi fa un uso sporadico dell'auto (o magari ne
ha due e una la usa poco) di liberarsene, risparmiando una gran
quantità di denaro legata ai costi fissi (assicurazioni, tagliandi, ecc.) e
risolvendo una volta per tutte il problema della mancanza del
parcheggio. In Italia i servizi aderenti al circuito nazionale contano
diverse migliaia di iscritti, per una media di oltre 30 utenti per ogni
auto.
Anche le aziende si rivolgono sempre più spesso ai servizi car
sharing. Da una ricerca sul settore, realizzata dal circuito nazionale
Iniziativa car sharing8 (ICS), emerge infatti che ad essere abbonate al car
sharing sono in prevalenza aziende private (92%) e che poco meno
della metà di queste (il 40%) non ha un’auto di proprietà. Si tratta
nell’assoluta maggioranza di aziende piccole, con meno di 15
dipendenti, e che sono situate nel 40% dei casi all’interno di zone a
traffico limitato (ZTL) o in aree che prevedono il pagamento della sosta
8 www.icscarsharing.it
67
in strada. Per quanto riguarda invece le aziende della pubblica
amministrazione, solo l’8% di esse ricorre al car sharing, ma la quota è
in aumento.
La continua evoluzione dei sistemi di car sharing porta con sé
interessanti iniziative, come ad esempio la possibilità di integrare i
servizi di car sharing con quelli di bike sharing. Questi sistemi ben si
prestano infatti ad essere integrati nell’ambito dell’offerta di mobilità
urbana delle città. Sono state avviate anche in Italia alcune valide
esperienze di integrazione, che fanno leva su agevolazioni tariffarie e
di servizio offerte a chi aderisce ad entrambe le iniziative.
In Italia il settore è in crescita ininterrotta fin dall’avvio delle prime
esperienze, che risalgono al 2001. Secondo le indagini di soddisfazione
dei clienti realizzate dal circuito nazionale Iniziativa Car Sharing (ICS),
l’utente che sceglie il car sharing ha generalmente problemi di
parcheggio (perché non possiede un box per il ricovero dell’auto o
perché la sosta su strada è tariffata), e questo spiega il fatto che la
scelta di rinunciare all’auto di proprietà per passare al car sharing sia
più spontanea e frequente nelle grandi città.
Ma è importante capire anche cosa avviene negli altri Paesi.
Le esperienze che giungono dall’estero consentono di capire bene
quali sono le potenzialità dei servizi di car sharing e le innovazioni
allo studio in questo importante ed innovativo settore.
Parigi costituisce uno dei migliori esempi in Europa per le iniziative
di car sharing, grazie al progetto Autolib, con una flotta di centinaia di
auto elettriche disponibili 24 ore su 24 in numerose stazioni di
noleggio, distribuite nella capitale e nella sua periferia. Le vetture
elettriche possono inoltre essere ricaricate gratuitamente grazie ad
apposite colonne distribuite sia nelle zone centrali che in quelle
periferiche.
Anche in Gran Bretagna il car sharing è molto diffuso, grazie a
tante iniziative ben studiate. Si passa dal coinvolgimento delle autorità
locali (enti pubblici, università, ecc.) alla sperimentazione di vetture
elettriche, al lancio di campagne promozionali per la rottamazione
delle auto di proprietà. Non mancano le iniziative legate all’utilizzo
delle vetture di proprietà dei membri (ad esempio, Commonwheels ha
messo a punto uno schema che include le auto di proprietà dei membri
68
in cambio di tempo gratuito di utilizzo) e, soprattutto, alla
sperimentazione degli spostamenti di sola andata. In Gran Bretagna
i car club sono in effetti dei catalizzatori che favoriscono cambiamenti
di comportamento e la nascita di altre iniziative. Le autorità locali che
hanno adottato i car club come parte integrante di una più ampia
strategia dei trasporti sono state infatti in grado di inserire la
progettazione dei car club stessi nei nuovi insediamenti abitativi, nelle
nuove aree di parcheggio e nelle nuove infrastrutture di trasporto.
Anche in in Canada e in Nord America il car sharing conta ottimi
numeri, soprattutto grazie al successo di Communauto9 e Zipcar10. A
Toronto le autorità cittadine hanno lavorato molto sul tema dei
parcheggi: i gestori del car sharing hanno infatti tratto vantaggio dalle
compensazioni garantite ai costruttori di nuovi condomini che
destinavano dei posti auto al car sharing negli edifici di loro
costruzione. Non mancano innovazioni come l’utilizzo di cellulari di
ultima generazione per l’accesso alle vetture. E grazie al progresso
tecnologico,
i sistemi di car sharing sono in costante evoluzione, con
innovazioni continue nel servizio e nell’organizzazione che li rendono
sempre più attrattivi.
Uno dei più riusciti sistemi innovativi di car sharing è il progetto
Car2go11, diffuso in diverse città in Europa ed in Nord America. L’idea
di Car2go costituisce una innovazione del tradizionale servizio di car-
sharing: gli iscritti possono prenotare on-line un’automobile, ritirarla
nel punto della città più vicino e riportarla in un qualsiasi altro
parcheggio pubblico presente nel territorio coperto dal servizio. Si
supera quindi uno dei principali problemi del car-sharing, e cioè
quello di essere vincolati a restituire l’auto nello stesso punto in cui la
si è presa. Inoltre, la grande flessibilità consente anche utilizzi di pochi
minuti, come pure la possibilità di noleggiare l’auto sul momento
invece che prenotarla con anticipo.
Come funziona il servizio? Sulla patente di guida del cliente viene
applicato un sigillo elettronico che consente di aprire le Smart ed
9 www.communauto.com 10 www.zipcar.com 11 www.car2go.com
69
accedere al servizio. Chiunque avesse bisogno di un’auto può
noleggiarla salendo direttamente a bordo di una delle vetture
disponibili (accedendo a qualsiasi auto libera, grazie ad un lettore di
smart card applicato dietro il parabrezza), oppure può prenotarla con
il cellulare o su Internet. Il prezzo è di pochi centesimi di euro al
minuto, comprensivi di carburante, bollo e assicurazione, e non ci sono
limiti di tempo. Tutte le vetture sono collegate ad un centro operativo
e geolocalizzabili in tempo reale. Nelle soste intermedie, ad esempio
per fare acquisti, la vettura rimane a disposizione dell’utente. Ed è
sempre possibile trovare un’auto libera entro un raggio di pochi
minuti a piedi.
Molti sono i vantaggi rispetto al car-sharing tradizionale: oltre al
già ricordato punto di forza di fare spostamenti di sola andata
(lasciando l’auto in un punto diverso da quello di partenza), il progetto
prevede anche l’impiego di un addetto per il pieno: se l’auto
parcheggiata ha una quantità di carburante minima, la centrale
operativa invia un addetto che si occuperà del pieno, del lavaggio e del
ripristino di eventuali danni.
Un ulteriore passo avanti è dato dai cosiddetti sistemi di car
sharing peer-to-peer, che prevedono l’uso di vetture di proprietà degli
stessi utenti.
In questo modo, chi non vuole rinunciare all’auto di proprietà ha
però la possibilità di monetizzare il tempo in cui non la usa,
concedendone l’uso agli altri utenti. Ricordiamo sempre che ogni auto
è praticamente ferma 23 ore su 24 ogni giorno.
Indipendentemente dal tipo di sistema (chiuso o aperto,
tradizionale o peer-to peer, ecc.), quello che risalta è la progressiva
diffusione dell’idea che un’auto la si può usare anche senza
necessariamente possederla, cosa che nel nostro Paese, per molti anni,
risultava semplicemente inconcepibile. La condivisione di un mezzo, e
non il suo semplice, banale, costoso (e spesso inutile) possesso, è una
delle soluzioni al problema della congestione stradale e dei costi ad
essa correlati.
70
14. L’infomobilità: muoversi con l’aiuto
della tecnologia
Ognuno di noi, che si muova in auto, a piedi, o in qualsiasi altro
modo, è ben felice di poter utilizzare informazioni precise e puntuali di
supporto al suo spostamento.
La possibilità di inviare, raccogliere e scambiare dati ed
informazioni per chi si muove (ad esempio con l’aiuto di un navigatore
satellitare o con informazioni relative alle zone a traffico limitato) o per
gestire servizi legati alla mobilità è attuabile per mezzo di una serie di
strumenti e tecniche in rapida e continua diffusione. Conoscere in
anticipo la situazione della viabilità permette ad esempio una migliore
pianificazione dei propri spostamenti, riducendo sensibilmente il
problema delle code e dei conseguenti disagi (stress, inquinamento,
ecc.). Numerose città usano le tecnologie di infomobilità a questo
scopo.
Ma cos’è l’infomobilità?
La parola infomobilità indica l’insieme di procedure, sistemi e
strumenti basati sui sistemi intelligenti di trasporto (“ITS”), che
permettono di migliorare la mobilità di persone e merci grazie alla
raccolta, elaborazione e distribuzione di informazioni12.
I progressi dei servizi di infomobilità seguono gli sviluppi della
tecnologia dell’informazione. Le applicazioni possono essere utilizzate
sia dagli operatori della mobilità, sia dagli utenti dei servizi.
I servizi di infomobilità costituiscono un supporto per la gestione
dinamica del trasporto pubblico, del traffico stradale, delle flotte di
veicoli, delle infrastrutture di trasporto, ecc. grazie alla disponibilità di
informazioni in tempo reale. Sono stati sviluppati sistemi informativi
12 Definizione del gruppo “Intelligent Energy” della Commissione Europea
71
integrati dedicati al trasporto, dove tutti gli elementi sono
reciprocamente interconnessi allo scopo di far funzionare la rete dei
trasporti in modo più efficiente, diminuendo i tempi di percorrenza ed
i consumi energetici.
Ma quali sono i reali vantaggi offerti dai servizi di infomobilità?
Ai viaggiatori si facilita la scelta tra diversi modi di trasporto,
grazie ad un’ampia gamma di informazioni preziose, in particolare
sulla situazione in tempo reale (come ad esempio sui flussi di traffico o
sui passaggi degli autobus). Di conseguenza, questi servizi permettono
ai cittadini di pianificare i loro spostamenti da casa (prima di partire) e,
in qualche caso, anche di modificarli durante il viaggio stesso.
Agli Enti Locali si permette di gestire informazioni provenienti dal
territorio per distribuirle ai cittadini tramite appositi servizi allo scopo
di aumentare la sicurezza, razionalizzare gli spostamenti, e far
funzionare meglio la città (ad esempio, in situazioni di emergenza).
Agli operatori del trasporto si offre la possibilità di gestire più
efficacemente le operazioni grazie alla disponibilità di un gran numero
di informazioni. Analogamente, per i gestori di flotte è possibile avere
costantemente sotto controllo, oltre ad informazioni di carattere
generale, la localizzazione ed il percorso di mezzi e merci. In entrambi
i casi si possono conseguire forti recuperi di efficienza e risparmi
economici.
La diffusione degli smarthpone ha poi consentito la nascita di
numerose applicazioni di infomobilità, che ogni cittadino puà
utilizzare per facilitare i propri spostamenti. Da quelle che informano
sui passaggi in tempo reale degli autobus in ogni città, a quelle che
consentono di seguire l’andamento dei treni. Ed ancora: esistono
applicazioni che aiutano a localizzare sulla mappa la dislocazione delle
colonnine elettriche o delle ciclostazioni di bike sharing, ma anche
navigatori evoluti che consentono di condividere informazioni in
tempo reale tra gli automobilisti e di segnalare autovelox, indicenti e
problemi vari (come Waze o iCoyote).
In definitiva, lo sviluppo tecnologico viene in aiuto dei cittadini in
movimento con piccole ma significative facilitazioni agli spostamenti
di ognuno. Almeno da questo punto di vista, si può stare sicuri che in
futuro la situazione potrà solo migliorare.
72
15. Il Mobility Manager: chi è costui?
Quella del mobility manager è una vera e propria figura
professionale, che propone una serie di alternative all’uso dell’auto
privata immediatamente disponibili ed a basso costo. Come previsto
dalla legge13, gli enti pubblici con più di 300 dipendenti per “unità
locale” e le imprese con complessivamente oltre 800 dipendenti,
devono individuare un responsabile della mobilità del personale,
definito, per l’appunto, Mobility Manager.
A distanza di diversi anni dall’introduzione di questa figura nel
quadro legislativo nazionale, esistono tuttavia ancora molte
amministrazioni ed aziende che, pur soggette all’obbligo di nomina,
non hanno provveduto ad individuare il responsabile della mobilità
dei loro dipendenti. D’altra parte, ci sono interessanti esperienze
relative alla nomina di mobility manager con riferimento ad un intero
distretto industriale (superando quindi la semplice dimensione
aziendale).
La legge individua due possibili figure: il Mobility Manager di
azienda ed il Mobility Manager di area.
Il Mobility Manager di azienda ha l’incarico di ottimizzare gli
spostamenti sistematici dei dipendenti.
Egli ha l’obiettivo di ridurre l’uso dell’auto privata adottando, tra
l’altro, strumenti come il Piano spostamenti casa-lavoro (PSCL), con cui si
favoriscono soluzioni di trasporto alternativo a ridotto impatto
ambientale (car pooling, car sharing, bike sharing, trasporto a
chiamata, navette dedicate, facilitazione degli spostamenti ciclabili,
ecc.).
13 Cfr. Decreto interministeriale Mobilità sostenibile nelle aree urbane del
27/03/1998
73
Gli obiettivi riguardano in generale la riduzione del traffico
veicolare privato e delle sue conseguenze nocive: consumo di energia;
inquinamento atmosferico ed acustico; emissioni di gas serra;
congestione ed incidentalità stradale.
Dal 2000 la normativa nazionale ha introdotto il Mobility
Manager di area, figura di supporto e coordinamento dei responsabili
della mobilità aziendale,
istituita presso l’Ufficio Tecnico del Traffico dei Comuni di media e
grande dimensione. Egli è adibito a mantenere i collegamenti con le
strutture comunali e le aziende di trasporto locale, a promuovere le
iniziative di mobilità di area, a monitorare gli effetti delle misure
adottate e coordinare i piani spostamento casa-lavoro delle aziende.
Ogni azienda deve comunicare la nomina del Mobility Manager
aziendale al Mobility Manager di area del Comune.
Sono molte le iniziative che possono essere adottate dai mobility
manager per favorire un minor uso del mezzo privato a favore del
trasporto pubblico. Un’interessante iniziativa riguarda ad esempio
l’adozione del Ticket Mobilità. Si tratta di un voucher (analogo ai buoni
pasto aziendali) che consente l’acquisto di beni e servizi legati alla
mobilità a basso impatto. I ticket, che possono avere valori
differenziati, consentono ai dipendenti delle aziende aderenti di
acquistare presso gli esercizi convenzionati beni (auto bifuel, impianti
metano/gpl per auto, biciclette tradizionali ed a pedalata assistita) e
servizi (es. titoli di viaggio per il trasporto pubblico o crediti per l’uso
del car-sharing). I dipendenti possono inoltre acquistare veicoli a
trazione elettrica, carburante a basso impatto ambientale e ticket per la
sosta di veicoli elettrici o ibridi.
Questa iniziativa merita di avere larga diffusione. Si tratta di una
forma di reddito a destinazione d’uso vincolata: il dipendente riceve
una parte del suo stipendio sotto forma di buoni per la mobilità, che
può spendere in modo differente, ma sempre nell’ambito di beni o
servizi legati alla mobilità a basso impatto ambientale. Specie in tempi
di crisi economica, favorire per i propri dipendenti l’uso di forme di
mobilità più sostenibili ed economiche dell’auto privata può rivelarsi
per le aziende una buona forma di sostegno ai lavoratori.
74
Altra interessante novità è la sperimentazione di Genova in tema di
crediti di mobilità. Si tratta di un modello innovativo per razionalizzare
e migliorare il traffico generato dalla distribuzione delle merci,
garantendo al contempo le esigenze di rifornimento e consegna degli
operatori economici della ZTL. Il sistema funziona attraverso lo
scambio di una moneta virtuale (i crediti di mobilità, appunto) che
vengono spesi in funzione sia del numero che dei mezzi utilizzati per il
rifornimento e la consegna delle merci.
Molte altre iniziative possono essere prese dai mobility manager
per aiutarci a muoverci in modo più facile e più economico: occorre
però spingere aziende ed Enti a fare la loro parte, avvalendosi di
queste figure come previsto dalla legge e dalle normative.
75
16. La città “vive”: i tempi, gli orari, la
logistica
Esattamente come nel caso di mille altri sistemi (meccanici e non)
con cui abbiamo a che fare in ogni momento della nostra giornata,
anche
nel caso della mobilità di una città si può parlare di “sistema
dinamico”.
Esistono infatti numerose componenti fisse (strade, edifici, ecc.) e
molte altre mobili (veicoli, persone, ecc.) che interagiscono tra loro,
influenzate da fattori esterni spesso ingovernabili (es. condizioni
meteo). Il tutto fa sì che venga a costituirsi, appunto, un sistema
dinamico. Perché tutto funzioni, e cioè perché le condizioni di
circolazione e di sicurezza siano ottimali, è necessario che l’interazione
tra persone, veicoli e rete stradale sia tale da funzionare in modo
efficiente. Quando questo non succede, iniziano i problemi:
congestione stradale, tempi di percorrenza che saltano, scarsa
sicurezza.
Come migliorare questa situazione? Qui siamo nel campo della
pianificazione urbana dei trasporti. Si tratta di intervenire in questo
sistema, per quanto possibile e compatibilmente con i poteri a
disposizione dei pianificatori comunali, per cercare di governare
efficacemente la mobilità cittadina. Bisogna intervenire con regole e
vincoli, ma lasciando tuttavia a chi si deve muovere un certo grado di
libertà nel farlo con i modi ed i tempi che preferisce.
A questo proposito, esistono un paio di strumenti molto efficaci ma
purtroppo ancora poco usati, che possono consentire a chi ha in carico
di gestire il sistema della mobilità di una città di evitare situazioni
inaccettabili (come i fenomeni di congestione da traffico). Si tratta del
76
Piano dei Tempi e degli Orari e del Piano della Logistica Urbana.
Vediamo di cosa si tratta.
Con il Piano dei Tempi e degli Orari si calibrano gli orari relativi
alle attività cittadine tenendo presente gli impatti che hanno sul
traffico.
Ingresso e uscita di uffici e scuole, orari di distribuzione delle
merci, tanto per fare degli esempi, sono definiti congiuntamente allo
scopo di ridurre i fenomeni locali di congestione che si generano in
concomitanza delle ore di punta. Si tratta, in pratica, di uno strumento
di indirizzo strategico, che consente il coordinamento dei tempi e degli
orari della città al fine di migliorare la qualità della vita dei cittadini.
Il Piano dei Tempi e degli Orari è promosso dalle amministrazioni
locali per armonizzare gli orari e l’accessibilità dei servizi e dei
pubblici esercizi, semplificare i rapporti tra cittadini e pubblica
amministrazione e migliorare il sistema della mobilità cittadina,
partendo dagli spostamenti casa/lavoro e casa/scuola. Può essere
applicato solo attraverso la concertazione e il confronto con le parti
sociali – imprese, rappresentanti dei lavoratori e dei consumatori,
gestori di servizi pubblici, ecc. – in modo da conciliare esigenze e
interessi differenti.
Piani di questo tipo possono ridurre efficacemente la congestione
stradale, ma è necessaria la condivisione degli obiettivi e degli
strumenti da parte di tutti i soggetti coinvolti (a partire, naturalmente,
dall’amministrazione comunale e dalle principali sedi scolastiche e
lavorative dislocate sul territorio).
L’impostazione del progetto deve essere orientata in primo luogo
sull’organizzazione dei tempi della città, individuando i servizi
pubblici la cui erogazione spesso non si concilia con gli orari di lavoro
delle aziende. In secondo luogo occorre intervenire sul contesto
aziendale, promuovendo delle tecniche di gestione flessibile dell’orario
di lavoro. Occorre in definitiva puntare a definire un possibile
approccio all’armonizzazione tra tempo lavorativo e tempo di vita,
nella piena consapevolezza che tale aspetto è una questione che
riguarda tutti i cittadini.
La parte dedicata alla comunicazione ha poi un ruolo importante
all’interno del progetto, perché il coinvolgimento preliminare delle
77
parti sociali e dei cittadini, attraverso il dialogo, è fondamentale per la
riuscita del piano, che non può essere imposto dall’alto, ma deve
essere necessariamente frutto di un processo partecipativo. Occorre
sensibilizzare la cittadinanza rispetto ai benefici che possono derivare
dall’armonizzazione dei tempi sulla loro vita di tutti i giorni, ma anche
far comprendere i vantaggi in termini produttivi che derivano
dall’applicazione di una maggiore flessibilità negli orari di lavoro.
Ci sono buoni esempi in cui le amministrazioni hanno formulato un
piano e stipulato accordi con il Provveditorato agli studi, con gli enti di
gestione dei servizi pubblici e con le imprese. Hanno inoltre sviluppato
progetti per l’uso della bicicletta, incentivato la nascita di banche del
tempo, modificato gli orari, ampliato la gamma dei servizi pubblici e
favorito l’uso di spazi scolastici in orari extra-curricolari. La crescente
diffusione dei Mobility Manager all’interno delle pubbliche
amministrazioni e delle grandi imprese dimostra una crescente
sensibilità rispetto a queste tematiche, ma c’è ancora molta strada da
fare, anche a causa della scarsità di fondi dedicati a questi progetti che
costringono spesso le amministrazioni pubbliche a rinunciare a queste
importanti misure.
Ma come dicevamo, non è solo questione di organizzare tempi ed
orari, ma anche di progettare le migliori tecniche per la distribuzione
delle merci, attraverso l’organizzazione, l’uso e la condivisione di
mezzi a basso impatto e la ricerca dell’efficienza su carichi e percorsi.
Partiamo dall’inizio. Perché trasportiamo le merci, visto l’enorme
impatto ambientale che ne deriva? La risposta sembra banale e
scontata:
non tutto quello di cui ognuno di noi ha (realmente!) bisogno è
disponibile a due passi da casa propria. In una certa misura, quindi, il
trasporto delle merci è necessario ed inevitabile.
Il problema è che esso genera enormi impatti ambientali e sociali
(consumo di combustibili fossili, emissioni inquinanti e di gas serra,
rumore, congestione). Come se ne esce? La domanda giusta da porsi
non è perché trasportiamo le merci, ma in che modo trasportiamo le merci?
Occorre insistere soprattutto sul miglioramento della distribuzione
urbana delle merci (ambito in cui si concentra la maggior quantità di
emissioni), con riferimento ai mezzi che lavorano in conto proprio, su
78
distanze brevi (in media 4-5 km) e quasi sempre con ritorni a vuoto. Si
tratta quindi di approntare un Piano di Logistica Urbana.
Questi piani, incentivano gli operatori ad utilizzare i propri mezzi
in modo più efficiente o a sostituirli con altri meno inquinanti. Nei casi
migliori si realizzano veri e propri “Centri di Distribuzione Urbana”,
attraverso i quali la distribuzione delle merci viene affidata ad un
unico operatore (generalmente pubblico). I risultati possono essere
davvero notevoli, specie se alla riduzione dei viaggi ottenuta
attraverso una programmazione delle consegne si accompagna
l’utilizzo di mezzi a basso impatto ambientale.
Ci sono inoltre progetti interessanti come quelli di Van Sharing,
espressione con cui si intende la condivisione di una flotta di veicoli
commerciali da utilizzare per il trasporto delle merci, in modo analogo
ai già noti sistemi di car sharing. Per poter funzionare al meglio, un
sistema di van sharing deve avvalersi di una piattaforma tecnologica e
dell’utilizzo di mezzi ecocompatibili, che possano inoltre servirsi, per
la sosta nella ZTL, di aree prenotabili appositamente destinate al
carico-scarico delle merci. Come nel caso del car sharing, è opportuno
concedere agli utilizzatori del servizio una serie di agevolazioni per
favorire l’accessibilità alle zone centrali della città (sosta gratuita nelle
zone blu e nei parcheggi comunali, libero accesso alla ZTL ed alle
corsie e vie riservate, libera circolazione in caso di targhe alterne, ecc.),
oltre che l’utilizzo dei veicoli dello stesso servizio car sharing (se
presente). Anche la struttura tariffaria dovrebbe essere analoga a
quella del car sharing: una quota fissa annuale, un costo orario di
utilizzo ed un costo chilometrico di utilizzo (con carburante compreso
nel prezzo).
Infine, ma non in ordine di importanza, non vanno dimenticati i
progetti di consegna urbana delle merci effettuata su biciclette o bici-
cargo. In alcune città (Firenze e Milano su tutte) esistono opeatori che
effettuano consegne di merci in bicicletta. Ovviamente si tratta di
consegne di pacchi piccoli e poco ingombranti, ma la velocità e l’agilità
delle due ruote in ambito urbano consentono tempi di consegna molto
inferiori rispetto agli spostamenti effettuati in furgone.
80
Cosa ci impedisce di usare il trasporto pubblico per i nostri spostamenti?
È un problema di orari, percorsi, disponibilità delle corse?
È un problema di pulizia, comfort, accessibilità?
È un problema legato alla necessità di autonomia?
O, semplicemente, non lo prendiamo neanche in considerazione come
alternativa al mezzo privato?
Sicuramente, molti di questi aspetti (orari, flessibilità, comfort) influiscono
negativamente sulla scelta, eppure molto spesso l'alternativa del mezzo
pubblico sarebbe più che preferibile a quella del mezzo privato. Ad esempio,
perché costa poco e consente di andare in centro città senza avere problemi di
accesso e di parcheggio.
Negli ultimi anni il trasporto pubblico locale ha fatto grandi passi avanti in
direzione dell'innovazione e della modernizzazione. Sistemi di bigliettazione
elettronica, monitoraggio satellitare dei veicoli, utilizzo di carburanti a basso
impatto, adozione di sistemi ibridi ed elettrici: sono solo alcune delle novità
recenti che stanno portando il trasporto pubblico locale ad una nuova stagione
di grande utilizzo.
Ma non è tutto qui. Cerchiamo di capirne di più…
81
17. Il trasporto pubblico oggi: stato attuale
e prospettive
Partiamo innanzitutto da una riflessione: quanto siamo soddisfatti
del trasporto pubblico di oggi? Studi ed indagini ripetute ogni anno ci
confermano che i risultati in termini di soddisfazione non sono buoni,
ma allo stesso tempo si nota che,
nonostante i tagli ai servizi effettuati negli ultimi anni per effetto
della crisi economica, l’uso del trasporto pubblico è aumentato!
Occorre riflettere sulle cause di questa situazione, analizzando con
attenzione il contesto. Ad esempio, occorre considerare che spesso la
lentezza degli autobus è dovuta alla congestione stradale generata
dalle auto, per cui è paradossale che chi non usa il mezzo pubblico
perché pensa: “con la macchina faccio prima”, alla fine è lui stesso
concausa della lentezza degli autobus. In realtà, la velocità dei mezzi
pubblici si garantisce con corsie preferenziali e con sistemi di priorità
semaforica, ed in questo è fondamentale che i Comuni facciano la loro
parte.
Vediamo alcuni numeri14, a partire dal tempo e dalla spesa che
sosteniamo: ognuno di noi perde mediamente in coda circa 227 ore
ogni anno, mentre ogni famiglia sopporta una spesa per l’automobile
che varia tra 2.000 e 5.000 euro all’anno. Le automobili sono veri e
propri beni di consumo: il tasso di motorizzazione italiano è tra i più
alti al mondo (oltre 600 auto ogni 1000 abitanti), ed il tempo di
sostituzione delle automobili è sceso da circa 8-10 anni a circa 3-4 anni.
Il trasporto pubblico in Italia invece è poco sviluppato rispetto al
panorama europeo: la somma di tutte le metropolitane italiane
ammonta a poco più di 160 km (Parigi e Madrid superano da sole i 200
14 Fonte: indagine Altroconsumo
82
km, Londra supera i 400). Inoltre, solo il 12-13% degli spostamenti in
città è effettuato con il trasporto pubblico (si arriva al 50% circa a
Milano ed al 30% circa a Roma, ma si è lontani da Parigi, Madrid e
Barcellona, che superano tutte il 60%). E, paradossalmente, il 30% di
chi usa i mezzi pubblici, dichiara di usarli perché “mancano i
parcheggi per le auto”.
Nelle indagini emerge anche una bassa soddisfazione per chi usa i
mezzi pubblici, che come si è visto deriva da diverse cause. Peraltro,
non è difficile immaginare una situazione diversa e migliore: basta
seguire gli esempi delle città più virtuose, che in Europa non mancano.
Ad esempio, a Friburgo (220.000 abitanti) sono in vigore da anni
politiche di forte restrizione del centro al traffico privato. Il 90% dei
residenti vive in zone a traffico ridotto; il 70% degli spostamenti
avviene a piedi, in bici o con i mezzi pubblici, e ci sono 400 km di piste
ciclabili ed oltre 4.600 parcheggi per i ciclisti.
A Malmoe (280.000 abitanti), invece, esiste un quartiere dove
circolano solo pedoni, bici ed autobus (che peraltro sono alimentati a
biogas prodotto da rifiuti organici, quindi senza bruciare una sola
goccia di combustibili fossili – petrolio o metano), e solo il 35% delle
famiglie possiede un’auto (le altre ne fanno a meno o usano il car
sharing).
Anche in una metropoli come Parigi si è riusciti a ridurre il traffico
del 20% in appena due anni, realizzando un sistema di trasporti
integrato costituito da autobus, metro, treni, car sharing e bike
sharing15.
Forse non tutti sanno che il trasporto pubblico locale (autobus,
metropolitane e tram, ma anche i treni regionali usati dai pendolari) è
finanziato per i 2/3 con risorse pubbliche (derivanti dallo Stato o dalle
Regioni) e per il restante 1/3 dagli introiti derivanti da biglietti ed
abbonamenti. In altre parole, i soldi che servono per far funzionare il
trasporto pubblico (stipendi dei dipendenti, costo dei mezzi,
carburante, ecc.) non sono raccolti tutti tramite i titoli di viaggio
(pagati da chi usa i mezzi), ma sono per la maggior parte forniti dalle
amministrazioni pubbliche, con una parte del denaro raccolto
15 Servizio con 1.360 stazioni ed oltre 20.000 bici, sempre disponibile.
83
attraverso le tasse, e quindi con denaro di tutti i cittadini, compresi
quelli che non usano il sistema.
Questo accade in quanto si ritiene, giustamente, che
il trasporto pubblico è un servizio di tipo “sociale”, e quindi deve
essere fornito ai cittadini (al pari di istruzione, sanità, sicurezza, ecc.)
indipendentemente dalla sua pura e semplice remuneratività
economica.
Semplicemente, le persone devono essere messe in condizione di
potersi muovere anche se non possono dotarsi di un’automobile.
Peraltro, anche chi non usa il servizio di trasporto pubblico (ma lo
paga indirettamente con le proprie tasse) ne trae indirettamente
beneficio grazie alla riduzione di inquinamento, rumore e congestione
consentita da chi lo usa.
D’altra parte, occorre che il sistema sia sovvenzionato con
convinzione da parte delle amministrazioni pubbliche, per consentire
ai gestori di effettuare investimenti in mezzi e personale, e fornire un
servizio migliore.
I tagli agli enti pubblici che i governi fanno in tempi di crisi non
dovrebbero quindi assolutamente colpire il settore del trasporto
pubblico, che anzi dovrebbe essere maggiormente irrobustito proprio
per aiutare chi non può permettersi la spesa per un mezzo privato.
La strada verso il miglioramento della mobilità urbana quindi esiste
ed è percorribile. Basta avere la volontà di seguirla.
84
18. I migliori sistemi di trasporto pubblico
per le nostre città
Intervista ad Andrea Bottazzi
Negli ultimi anni il mondo del trasporto pubblico ha vissuto
momenti di incertezza e disorientamento come non accadeva da anni.
La crisi economica porta i governi, con poca lungimiranza, a tagliare i
trasferimenti alle Regioni per il normale e legittimo sovvenzionamento
del trasporto locale. Meno risorse al trasporto pubblico significa meno
servizi per i cittadini, per un settore che è già normalmente
sottodimensionato rispetto alle effettive necessità delle città e rispetto
al potenziale che potrebbe esprimere se ben sostenuto.
In tutto questo, comunque, prosegue l’evoluzione di mezzi,
infrastrutture e modelli organizzativi, consentendoci di individuare le
strade migliori da percorrere non solo in un’ottica di breve periodo
(per uscire dalla crisi attuale), ma anche in una prospettiva di medio e
lungo termine. Le esperienze e le migliori pratiche osservate in
numerose città di tutto il mondo consentono ormai di poter definire
con buona attendibilità un ventaglio di differenti soluzioni progettuali,
adatte ai diversi tipi di città. Ne parliamo con Andrea Bottazzi16.
***
Analizziamo innanzitutto il momento attuale del sistema del trasporto
pubblico in Italia: l’adeguatezza delle risorse a disposizione, il quadro delle
necessità, le urgenze da risolvere.
16 ingegnere di TPer (importante azienda di trasporto pubblico in Emilia-Romagna)
ed esperto del tema.
85
Le risorse sono insufficienti, ma questo deriva dai soliti problemi:
inefficienza delle aziende; tariffe inadeguate; mancanza di
investimenti; mancanza di politiche per la mobilità.Vediamoli in
dettaglio.
Per quanto riguarda le aziende, la situazione non è omogenea, ma
“a pelle di leopardo”: mentre alcune regioni hanno costi medi
comparabili con i costi europei, altre presentano situazioni non
gestibili secondo una logica “industriale”. Lee riforme del settore su
questo terreno non hanno di fatto provocato effetti omogenei. Peraltro,
devono anche essere valutati gli effetti sociali di eventuali
armonizzazioni, e deve inoltre diventare un imperativo il meccanismo
delle aggregazioni, poiché è l’unico che può dare dimensioni
industrialmente efficienti e ridurre i costi integrando i processi
secondari (amministrazione, logistica, gestione del personale, ecc.)
In merito ai finanziamenti occorre dire che fondi regionali e tariffe
definite in sede locale hanno portato il TPL a situazioni quasi ridicole,
con mancato adeguamento delle tariffe anche per diversi anni. Non c’è
una tariffa che non venga adeguata ogni anno: autostrade, gas, energia
elettrica, ecc. Perché solo le tariffe del TPL non vengono adeguate? È
perché si spera sempre in provvedimenti governativi che ripianino i
deficit all’ultimo momento (per anni è stata una prassi). Questa
situazione ridicola chiarisce come il settore non sia gestito in modo
industriale neppure dai soci delle aziende locali, cioè gli enti locali
stessi.
Inoltre, la cronica mancanza di infrastrutture si somma negli ultimi
anni e in modo ciclico al blocco delle risorse per il rinnovo delle flotte
di veicoli. È certo che le aziende devono produrre denaro per investire,
ma è anche certo che con le tariffe attuali gli investimenti devono
essere in parte coperti da fondi pubblici vincolati al rinnovo delle
flotte.
Infine, salvo qualche esempio positivo, si nota ancora un “effetto
sistema” molto limitato su priorità mezzi pubblici e su facilitazioni
all’esercizio del trasporto (ad esempio in termini di priorità
semaforiche e corsie riservate). Questi interventi ovviamente
avrebbero un effetto virtuoso sulla ripartizione modale del TPL, e di
conseguenza anche in termini di riduzione della congestione e
dell’inquinamento. Nelle politiche di mobilità rientrano ovviamente
86
anche altre tecniche (parcheggi scambiatori, car sharing, ecc.), che
devono confluire in un sistema integrato, senza restare nicchie per
pochi utilizzatori.
La crisi attuale impone di ridurre la portata temporale ed economica degli
investimenti. Tuttavia, anche in situazioni di prosperità economica, è possibile
che investimenti di portata ridotta e rapida realizzazione siano da preferire a
progetti di opere che entrano in esercizio dopo molti anni e che hanno un
tempo di rientro dell’investimento ancora maggiore. Cosa si può dire a questo
proposito? E’ possibile fare un confronto tra costi, tempi di realizzazione,
rischi e benefici delle principali tipologie di intervento sul trasporto pubblico
urbano? Quali sono le migliori strategie di sostenibilità di lungo periodo?
La questione breve/lungo periodo per i trasporti è drammatica: si
può perdere la possibilità di intervenire nel breve periodo in attesa del
completamento degli interventi di lungo periodo, che però non arriva
mai perché tali interventi sono molto costosi in termini infrastrutturali.
In effetti, sistemi come il Bus Rapid Transit (BRT) hanno avuto un
grande successo nel mondo (e, purtroppo, ancora non in Italia). Certo,
la conformazione storica dei nostri centri urbani non aiuta; ma il
problema vero è la volontà politica: nessuno vuole fare scelte che
vadano contro alcune nicchie di consenso.
Ed una nicchia che esiste purtroppo in tutte le città italiane è quella
di coloro che vogliono ad ogni costo andare in centro in macchina, e
queste persone che hanno purtroppo sempre molto “peso politico” e
appartengono a classi agiate riescono ad essere importanti nella
discussione politica di ognuna delle nostre città ed influenzarne le
scelte anche a livello di mobilità. E questo nonostante sia stato da più
parti osservato che chi va in centro in auto spesso non compra nulla, e
che anzi nei centri europei pedonalizzati le attività commerciali ne
hanno tratto importanti benefici in termini di aumento degli affari.
Spesso si parla di progetti imponenti (come metropolitane, ad esempio) con
riferimento a città di dimensione media e piccola, i cui problemi potrebbero
essere affrontati più agevolmente con sistemi più “leggeri” e dalla
realizzazione più rapida. Il successo della prima linea della tramvia realizzata
a Firenze è molto indicativo in proposito. Si tratta in ogni caso di decidere
come potenziare la “semplice” rete degli autobus con interventi più o meno
87
“pesanti”. Possiamo individuare un approccio che ci consenta di scegliere il
miglior tipo di sistema (metropolitana, tram, filobus, people mover, ecc.) in
base alle caratteristiche demografiche e territoriali della città?
Il realtà, ogni sistema e adatto a servire una certa domanda di
trasporto ed è caratterizzato da differenti costi e impatti sullo sviluppo
urbanistico della città. Le metropolitane andrebbero progettate prima
di realizzare l’urbanizzazione, e costruite contestualmente ad essa. I
sistemi più leggeri – filobus e altro – si possono contestualizzare
ovunque, basta che ci sia una volontà politica vera. Il tram è un sistema
intermedio a tutti gli effetti, sia come offerta di trasporto sia come
impatti, e quindi deve essere valutato con attenzione. I Bus Rapid
Transit sono paragonabili a tram senza le rotaie, anche se i tram (per
definizione) sono veicoli a zero emissioni, e quindi hanno più pregio.
Parliamo appunto del Bus Rapid Transit (BRT), un sistema di trasporto
pubblico di superficie su gomma “potenziato” in termini di infrastrutture,
mezzi e servizio rispetto al sistema tradizionale. All’estero ci sono numerose
esperienze di successo (come ad esempio nelle città di Curitiba o Bogotà, in
Sud America). Quali sono i punti di forza di questi sistemi? Quali invece le
difficoltà di realizzazione? Sarebbe immaginabile una soluzione di questo tipo
per qualche città italiana?
I punti di forza sono: la velocità di realizzazione, l’adattabilità a
sistemi viari ed urbani esistenti e la flessibilità di tracciato. Le difficoltà
sono invece gli investimenti minori, ma comunque da realizzare (sede
propria, nuovi mezzi dedicati, infrastrutture alle fermate) e la volontà
politica vera di attuare progetti del genere. Sarebbe realizzabile
praticamente in tutte le città con domanda di trasporto superiore ad
una bus-via ed inferiore ad una metropolitana, adeguando i veicoli 1
(12m) o 2 (18m – 20m) o 3 casse (24m), sempre su gomma, a seconda
della domanda di trasporto da servire.
Quali sono le tendenze del momento in termini di nuove soluzioni pulite
per la trazione degli autobus (a livello di alimentazione, tecnologie, ecc.)?
88
Al momento lo standard Euro V per i veicoli a gasolio e
l’alimentazione a metano sono i sistemi più rispettosi dell’ambiente
per le motorizzazioni tradizionali.
I filobus sono “ZEV” (veicoli a zero emissioni) se alimentati dalla
linea elettrica, cosi come i veicoli elettrici a batteria (questi ultimi però
non potranno mai essere una soluzione di rete, perché al massimo
possono arrivare a 9,5 m di lunghezza, altrimenti si corre il rischio di
“trasportare più batterie che passeggeri”). Chiaramente dovrà essere
prodotta sia per i filobus che per gli elettrici energia elettrica apposita
per alimentarli.
I veicoli ibridi riducono le emissioni nocive e l’emissione di CO2,
con prestazioni migliorative rispetto agli autobus con motorizzazioni
tradizionali.
Si rileva inoltre che in Italia non sono ancora sviluppate politiche
statali sui biocarburanti di origine non vegetale.
Le tue impressioni ed il tuo auspicio per il futuro.
Credo che il TPL possa essere una risposta importante per la
mobilità sostenibile del futuro. È necessario che da fenomeno
importante ma non strategico venga considerato, qual è, un aspetto
strategico dei tessuti urbani. Si pensi che un aumento della velocità
commerciale lungo le linee porterebbe una grande riduzione di
emissioni lungo le linee stesse.
Le tecnologie basate sull’idrogeno si sono dimostrate invece molto
lontane dal lancio effettivo sul mercato. Sul mercato USA, le
ripercussioni più evidenti della nuova politica ambientale hanno fatto
riconsiderare l’utilizzo del metano per grandi flotte, che peraltro
esistevano già, e rimandato più in là lo sviluppo della trazione con
alimentazione a idrogeno. Tutti i costruttori più importanti hanno
annunciato la produzione in serie di autobus ibridi.
Nell’ambito dei risparmi energetici, infine, deve essere
riconsiderato il ruolo del personale viaggiante (cioè dei conducenti), il
cui stile di guida può incidere sino al 20% sui consumi del veicolo.
***
89
19. Il trasporto pubblico flessibile
colloquio con Luca Santiccioli
Il trasporto pubblico locale, nelle cosiddette aree a “domanda
debole” (cioè con poche abitazioni, uffici, scuole, ecc.) è spesso assente
o poco frequente, e quindi poco appetibile. Tuttavia, le innovazioni
organizzative e tecnologiche degli ultimi anni consentono di ovviare a
questo probema grazie a servizi di tipo flessibile, appositamente
studiati per questi contesti.
Il trasporto a chiamata funziona grazie ad una flotta di piccoli
autobus, organizzati in modo da far effettuare spostamenti
personalizzati a seconda dei desideri dei cittadini (con origine e
destinazione scelte volta per volta), aggregando gli utenti e
impostando i percorsi con una maggiore o minore flessibilità, in modo
da soddisfare tutte le richieste.
Il sistema di trasporto a chiamata è in grado di pianificare il
percorso di ogni veicolo in base alle richieste. I modelli operativi
utilizzati per gestire tali sistemi sono peraltro analoghi a quelli usati
per il trasporto delle merci.
In generale, si cerca di ridurre il più possibile i costi del servizio
(che sono tanto più alti quanto maggiore è la flessibilità dei percorsi) e
allo stesso tempo di massimizzare il livello del servizio offerto (che
deve essere caratterizzato da tempi di spostamento ragionevoli). Per
gestire tali sistemi si utilizzano specifici software per la pianificazione
e la gestione del servizio, sistemi di navigazione satellitare, sistemi di
telecomunicazione, sistemi informativi territoriali (GIS).
Incontriamo a questo proposito Luca Santiccioli17, che ci illustra
caratteristiche, punti di forza e criticità del trasporto flessibile.
17 Ingegnere dei trasporti ed esperto di sistemi di trasporto a chiamata.
90
***
Quanto sono diffuse le modalità di trasporto pubblico “flessibile” in Italia?
Le prime esperienze risalgono alla fine degli anni ‘90. In
quest’ultimo decennio, grazie alla diffusione delle tecnologie dedicate
alla gestione dei DRTS (Demand Responsive Transport Systems) e al
successo di alcuni servizi “pilota”, si è avuta un’impennata nel numero
delle applicazioni di trasporto flessibile, tanto che oggi si annoverano
parecchie decine di servizi a chiamata attivi in gran parte delle regioni
italiane.
La flessibilità nel servizio di trasporto (come ad esempio nel caso del bus a
chiamata) è un aspetto che comporta costi superiori a quelli del servizio
tradizionale. Dal punto di vista dei cittadini, come viene valutata la maggior
flessibilità in relazione al maggior costo? Si riescono a bilanciare costi e tariffe
in modo da rendere il servizio effettivamente attrattivo?
È doverosa una premessa: la maggiore flessibilità, e di conseguenza
il maggior livello qualitativo del servizio, dovrebbero comportare un
incremento tariffario. Purtroppo questo principio viene spesso
disatteso dalle Aziende o dalle Pubbliche Amministrazioni che
promuovono il servizio flessibile, le quali solitamente optano per il
mantenimento del livello tariffario del TPL tradizionale; ciò avviene
quasi sempre qualora il servizio flessibile sia sostitutivo di un servizio
esistente, ma molto spesso pure se il servizio flessibile ha funzione
integrativa. E anche laddove viene applicata una maggiorazione
tariffaria, quasi mai la stessa è posta in relazione all’eventuale aggravio
di costo per l’operatore di trasporto.
Detto questo, nei casi in cui il servizio flessibile preveda una tariffa
superiore a quella del TPL, il cittadino solitamente dimostra di
apprezzare la maggior qualità del servizio e il suo elevato livello di
personalizzazione, e quindi accetta di pagare di più.
Anche dal punto di vista del gestore del servizio o dell’Ente regolatore,
l’erogazione di servizi flessibili comporta costi aggiuntivi. Come si concilia
questa situazione in un contesto di scarsità di risorse?
91
Da ormai diversi anni il principale ambito di applicazione dei
servizi flessibili è la sostituzione di servizi esistenti. Ciò testimonia la
volontà, da parte degli operatori di trasporto, di trovare nuove
soluzioni capaci di migliorare il bilancio fra costi di esercizio e ricavi
del TPL tradizionale, o in subordine, a parità di bilancio costi – ricavi,
di incrementare l’attrattività del trasporto pubblico, quindi variare la
ripartizione modale a favore del mezzo pubblico e conseguire in
definitiva i benefici sociali e ambientali ad esso collegati.
Sicuramente i servizi flessibili implicano un costo - quello del
call/dispatch center - aggiuntivo rispetto ai servizi tradizionali; è però
altrettanto vero che l’ottimizzazione delle percorrenze e/o la drastica
riduzione delle corse a vuoto, perseguibile mediante un buon sistema
di gestione di servizi flessibili, consentono un contenimento dei costi
relativi alla produzione del servizio.
Ciò che determina se e quanto un servizio flessibile si traduca in un
costo o un risparmio per l’operatore di trasporto è ovviamente la
struttura del contratto di servizio fra il gestore e la Pubblica
Amministrazione competente. Questo approccio tipicamente aziendale
al problema non deve far dimenticare alle Pubbliche Amministrazioni
la valenza sociale dei servizi a chiamata: nella quasi totalità dei casi il
servizio flessibile garantisce al TPL un incremento (spesso molto
sensibile) di utenza.
I servizi di trasporto pubblico flessibile possono avere differenti modalità di
implementazione e di utilizzo. Si può fare una panoramica sui diversi modelli
di servizio?
Sotto la definizione di servizio bus a chiamata possono essere
ricompresi servizi profondamente differenti per qualità e complessità.
Il modello di servizio più semplice è la linea fissa a prenotazione:
percorsi e orari sono predeterminati, ma le corse vengono effettuate
solo qualora sia giunta alla centrale almeno una prenotazione. Si tratta
di una soluzione sicuramente poco accattivante per l’utenza, ma in
realtà, se applicata in determinati contesti extraurbani a bassissima
domanda, può garantire un servizio pubblico minimale laddove un
servizio più strutturato non sarebbe economicamente sostenibile.
Interessante evoluzione del precedente modello è la linea fissa con
deviazioni: sulle corse fisse programmate lungo una direttrice di una
92
certa importanza (ad esempio il fondovalle di una zona montana)
possono inserirsi alcune deviazioni “a chiamata” verso fermate della
rete di servizio (ad esempio piccoli centri sulle alture) che non
vengono serviti se non prenotati anticipatamente.
Il modello “many to one” introduce la reale flessibilità spazio-
temporale: in questo caso infatti si tratta di organizzare un servizio che
in maniera “intelligente” prelevi l’utenza prenotata presso le fermate
sparse sulla rete di servizio e la conduca nei tempi prefissati alla
destinazione del servizio, tipicamente rappresentata da un polo
attrattore di mobilità (un ospedale, una scuola, un centro commerciale,
ecc.).
Il più alto grado di flessibilità per un servizio TPL è associato al
modello “many to many”, in cui il programma di servizio non ha
vincoli di percorso ed orario, ma è determinato unicamente sulla base
delle richieste degli utenti, i quali possono prenotare una corsa fra due
qualunque delle fermate contemplate dalla rete di servizio all’ora più
gradita.
Ovviamente al crescere della complessità del modello di servizio
diventa via via più indispensabile un adeguato supporto tecnologico
per la programmazione e la gestione del servizio.
In quali contesti territoriali le iniziative di trasporto flessibile hanno
maggior valenza e possibilità di successo (piccoli comuni da 20-30.000
abitanti, zone collinari, periferie suburbane, ecc.)?
I servizi flessibili trovano il loro ideale ambito di applicazione in
tutti i contesti territoriali caratterizzati da domanda debole. Pertanto
possono costituire valide soluzioni di TPL per le Comunità Montane
come per i piccoli Comuni di provincia, per le aree periferiche o le
zone collinari delle grandi città come per i servizi urbani serali.
Ferma restando la domanda debole, ciò che sancisce il successo di
un servizio flessibile non è tanto il contesto quanto l’accuratezza della
progettazione, l’efficacia del modello di servizio prescelto,
l’adeguatezza delle modalità di prenotazione, l’attenzione dedicata
alla formazione del personale di centrale e di bordo, la capillarità della
comunicazione.
93
Infine, parliamo del taxi collettivo. In via teorica, consentirebbe una buona
flessibilità ed un notevole abbattimento dei costi di utilizzo da parte degli
utenti. Perché allora è così poco diffuso?
È chiaro a tutti (tassisti compresi) che il taxi collettivo ha enormi
potenzialità di incrementare considerevolmente il bacino di utenza del
taxi. È però altrettanto chiaro che il servizio risulta attrattivo per il
cittadino solo se questi ha la (ragionevole) certezza di risparmiare
rispetto al servizio taxi tradizionale. Ciò si può garantire in 2 maniere.
La prima è assicurare al cittadino tariffe scontate fisse, note a priori,
a prescindere dal tempo impiegato e dal numero degli utenti presenti
in vettura. Questa soluzione è solitamente osteggiata dai tassisti, che la
ammettono solo in taluni casi limitati e circoscritti (ad esempio sulla
direttrice aeroporto – centro città), non certo per un’applicazione
estensiva al servizio taxi cittadino. La seconda è applicare alla tariffa
tassametrica uno sconto per chi usa il taxi collettivo (la formula più
condivisibile è quella delle percentuali di sconto crescenti
all’aumentare del numero dei passeggeri a bordo); in questo caso però
il risparmio per il cittadino è garantito solo se il servizio è utilizzato da
un numero sufficientemente grande di utenti da rendere molto
probabile l’abbinamento di 2 o più richieste in modo da formare un
equipaggio.
Ovviamente, per conseguire questa dimensione della domanda è
indispensabile che i cittadini siano incentivati ad utilizzare il servizio,
tipicamente mediante tariffe fortemente scontate; e qui ci si scontra
nuovamente con l’opposizione dei tassisti, poco propensi a rischiare
minori incassi al fine di acquisire nuova utenza (o, per dirla in altre
parole, poco allettati dalla prospettiva di guadagnare meno sulla
singola corsa, anche se probabilmente guadagnerebbero di più sul
maggior numero di corse effettuate).
In assenza di una politica tariffaria davvero accattivante per i
cittadini, al taxi collettivo manca quella spinta che ne potrebbe fare un
sistema di trasporto capace di catturare quella fascia di potenziale
utenza che si colloca a metà fra il TPL e l’auto privata.
***
94
20. Com’è bello il trasporto pubblico
all’estero!
Quando siamo all’estero, a meno di non recarci in luoghi sperduti e
deserti, siamo sempre notevolmente affascinati dall’efficienza dei
trasporti pubblici delle città. Ci stupiamo di come sono puntuali i
mezzi, di come sono chiare le indicazioni, di come sono puliti i veicoli
e di come è facile accedere ai servizi. Certo, ci meravigliamo anche dei
prezzi molto alti che si pagano (pensate alla metropolitana di Londra),
ma in fin dei conti le tariffe pensate per i pendolari e per chi usa i
servizi ogni giorno non sono poi così insostenibili. E poi consentono
l’uso congiunto anche di altre forme di trasporto alternative
all’automobile (car sharing e bike sharing in primis).
Quindi? È solo una questione di tariffa e di prezzo?
Sarebbe sufficiente (per modo di dire) aumentare in modo
esorbitante le tariffe del trasporto pubblico per portarlo a livelli
“europei”?
Non si tratta solo di questo. È anche una questione di
organizzazione delle città, in senso del tutto generale. Urbanistica,
ingegneria del traffico, pianificazione territoriale, dislocazione delle
attività produttive, ricreative, sanitarie, scolastiche, ecc. Tutto in una
città è strettamente intrecciato, e di questo va tenuto conto quando
occorre ragionare ed agire (e spendere del denaro) su come consentire
ai cittadini di muoversi.
Certo, le città europee non sono state progettate da zero sui tavoli
delle università, ma sono il risultato di secoli di storia, fatta di tante
diverse vicende e situazioni (conquiste, distruzioni, periodi di
sviluppo o di declino, guerre, ecc.). Dunque, non possiamo pensare che
95
le città estere fosserò già “di per sè” adatte ad ospitare treni, tram e
metropolitane.
Eppure, a Parigi, Londra, Berlino o Madrid ci si muove senza auto
molto più facilmente che a Roma o a Milano.
Ma non è solo con le grandi metropoli europee che il confronto ci
vede sconfitti. In Sudamerica, ad esempio, metropoli caotiche come
Bogotà (capitale della Colombia) hanno migliorato enormemente il
loro sistema di trasporto pubblico in pochi anni. Per non parlare della
città di Curitiba, in Brasile, diventata ormai un punto di riferimento
per tutto il mondo per il suo sistema di trasporto veloce su bus (il Bus
Rapid Transit – BRT), praticamente una metropolitana su gomma vera e
propria, con mezzi ad alta capacità e linee lunghe e di frequenza pari a
quella delle metropolitane sotterranee su ferro. E con fermate che sono
quasi delle stazioni vere e proprie, con accessi controllati e presidiati,
distanziate di diverse centinaia di metri una dall’altra. Ed ancora,
corsie ad uso esclusivo e sistemi di priorità semaforica18.
Si tratta di sistemi relativamente poco costosi. Non occorre scavare:
si risparmiano quantità enormi di tempo, di denaro, e di una lunga
lista di problemi legati alle interferenze nel sottosuolo (condutture,
falde aquifere, reperti archeologici, ecc.).
Certo, occorre avere viali larghi e diritti, cosa non sempre presente
nelle nostre città, per quanto dicevamo sopra. Almeno a prima vista. In
realtà, tutte le città dispongono di un nuon numero di viali di tipo
“radiale”, che collegano le periferie al centro (o almeno alle sue
immediate vicinanze). Attraverso essi si consentirebbe un accesso in
prossimità del centro (se non proprio al suo interno) a grandi masse di
persone provenienti dalle periferie collocate intorno alle città stesse.
Ma non è questo il punto. Il problema fondamentale è che
molte amministrazioni non hanno il coraggio di recuperare, tra le
strade delle città, lo spazio che servirebbe per realizzare sistemi
potenti di trasporto pubblico (come i BRT o i tram), in quanto questo
spazio sarebbe sottratto alla circolazione stradale.
18 il semaforo diventa verde quando arriva l’autobus, aumentando notevolmente la
velocità di percorrenza.
96
E le proteste, veementi quanto ideologiche, sarebbero per loro
insostenibili.
Ma chi ha coraggio, ottiene risultati per i quali passa poi alla storia,
come nel caso del sindaco di Curitiba (appunto), o di quello che
qualche anno fa, a Seoul (capitale della Corea del Sud), ha eliminato
una mega autostrada che attraversava la città per riportare alla luce il
corso d’acqua che correva originariamente lungo lo stesso percorso.
Lungo i margini del fiume, ora liberato, si sono sviluppati fiorenti
attività commerciali, turistiche e culturali, facendo dello stesso il fiore
all’occhiello della città, che ha ricevuto per questo riconoscimenti dal
mondo intero (mentre a Milano, per dire, i navigli ricordano e sperano
tempi migliori).
Questa breve divagazione non è casuale. Cosa hanno in comune i
sistemi innovativi di trasporto pubblico di superficie e la
valorizzazione dei corpi d’acqua nelle città? Hanno in comune il fatto
di “sottrarre “ spazio alle auto. Ma a pensarci bene, lo spazio non è
“delle auto”. È semplicemente che, nel corso degli anni, si è deciso di
destinare alle automobili gran parte (se non tutto) dello spazio
disponibile nelle città, fino a comportare, in alcuni casi, scelte estreme
come la chiusura dei corsi d’acqua.
È questo il vero tabù che deve essere superato dai cittadini (e
quindi dai loro rappresentanti nelle istituzioni): la limitazione dello
spazio cittadino concesso alle automobili. Ovviamente va fatta nel
modo migliore, con una adeguata progettazione della circolazione,
della sosta, ecc.; ma tutto parte da qui.
Dopo di che possiamo parlare, e realizzare rapidamente, sistemi
adeguati e moderni di trasporto pubblico di massa. E anche se il
biglietto dovesse costare tanto, rispetto alle tariffe di oggi, dubito
seriamente che i mezzi resterebbero vuoti.
97
21. Usare l’auto in gruppo: il Car-Pooling
Avete mai provato ad osservare le auto che ogni mattina
congestionano le strade delle città nell’ora di punta? È un esercizio
molto interessante, potete farlo se siete fermi ad un semaforo a piedi o
in bicicletta, o anche se siete al volante della vostra auto. Provate a
contare quante sono le auto con almeno una persona a bordo oltre al
conducente. Il risultato è sconvolgente:
in città la maggior parte delle auto porta solo una persona (il
conducente!), nonostante ogni automobile abbia spazio per
trasportare 4-5 persone!
Il numero di persone che mediamente sono a bordo di un’auto in
ambito urbano, definito “coefficiente di occupazione”, è pari a circa
1,2. Se siete in fila al semaforo, e beccate due volte il rosso perché
davanti avete 10 auto, sappiate che si tratta in totale di appena 12
persone, che occupano ciascuna – stando in auto – uno spazio
enormemente più grande di chi si muove a piedi, in bici, in scooter o in
autobus.
Si parla spesso degli strumenti alternativi all’uso dell’auto privata,
che consentono di conseguire riduzioni a livello di spesa monetaria e
di consumi di carburante. Ma anche chi non avesse a disposizione
mezzi diversi dalla propria auto per muoversi potrebbe comunque
organizzarsi per gestire al meglio la propria mobilità motorizzata.
Il car-pooling riguarda proprio questo aspetto. Banalmente, si tratta
della condivisione dell’auto tra più persone. O, meglio, della
condivisione “del viaggio”, utilizzando una sola auto (magari facendo
a turno tra i proprietari) da parte di più persone che devono andare
verso la stessa destinazione.
Si tratta di una pratica che negli scorsi anni era forse più spontanea
e più usata… ora l’individualismo esasperato e la percezione (errata)
98
di sostenere costi bassi per l’uso dell’auto hanno portato alla grottesca
situazione che ogni mattina riscontriamo mentre siamo in coda al
famoso semaforo (si va al lavoro tutti alla stessa ora, ma con una
persona per ogni auto…).
Dicevamo dei costi di utilizzo delle automobili. Si tratta di benzina,
parcheggio, pedaggi urbani ed autostradali, manutenzione, ecc.. (e non
parliamo dei costi fissi: assicurazione, rate di acquisto, ecc.).
Non sarebbe forse più furbo dividere i costi di uso con 2 o 3
compagni di viaggio, se andiamo tutti nella stessa direzione e alla
stessa ora?
Ci sono diversi fattori che ostacolano o impediscono questo tipo di
“utilizzo” dell’auto. Fattori oggettivi, come differenza di orari,
distanza tra i luoghi di partenza, esigenze dello spostamento. Ma
anche fattori soggettivi, come la diffidenza reciproca (nel caso di
sconosciuti) e la volontà di “starsene per i fatti propri”.
Per facilitare il superamento della diffidenza – legittima,
naturalmente – rispetto all’idea di condividere il viaggio con uno
sconosciuto, che però magari fa esattamente il nostro stesso
spostamento, ci viene incontro una modalità innovativa di conoscenza
ed aggregazione delle persone: si tratta delle piattaforme web per il car-
pooling. Ci si può mettere in contatto con altre persone anche non
conoscendosi: ogni persona ha un proprio profilo personale sul web
che consente di offrire informazioni importanti ai potenziali compagni
di viaggio (es. fumatore o meno, amante della musica, ecc.), e
soprattutto sul proprio comportamento in occasione dei precedenti
viaggi, grazie ad un sistema di feedback (commenti sull’esperienza
avuta in occasione di spostamenti precedenti) rilasciati dagli altri
compagni di viaggio. Si supera così il principale motivo di diffidenza,
e si riesce a facilitare l’incontro di più persone, che magari abitano
vicino e fanno esattamente lo stesso spostamento ogni giorno,
consentendo a tutti di ridurre i costi di utilizzo della propria
automobile.
Esistono numerose piattaforme web per il car-pooling. Molti sono i
punti in comune a tutte, ma numerose sono anche le peculiarità
associate al singolo servizio. Vediamo alcune caratteristiche di queste
piattaforme.
99
Innanzitutto si tratta di siti web ad uso gratuito, la maggior parte
dei quali offre un modo semplice per offrire e richiedere passaggi in
auto, sia occasionali che per pendolari. È possibile inoltre accordarsi
per andare insieme ad un evento, risparmiando, inquinando meno e
socializzando. I siti si rivolgono sia ai pendolari (che percorrono
regolarmente lo stesso tragitto), sia a chi viaggia per lavoro (es. agenti
di commercio e liberi professionisti), sia a chi effettua viaggi saltuari
(es. chi rientra a casa per le vacanze o il weekend).
Un efficace sistema di feedback e l’integrazione con Google Maps
sono inoltre fattori importanti che facilitano la scelta dei compagni di
viaggio.
Non va trascurata inoltre la sicurezza grazie all’obbligo di
registrazione, al feedback e all’indicazione del numero della targa. In
alcuni casi ogni utente, dopo essersi registrato, ha la possibilità di
caricare la propria foto e quella della sua automobile. Spesso inoltre è
possibile richiedere un viaggio per sole donne.
In alcuni casi è possibile utilizzare degli avatar, che “descrivono” gli
utenti nel loro modo di vestire, nell’acconciatura ecc. Questo aiuta ad
avere un colpo d’occhio migliore sulle tipologie di utenti nel momento
in cui si consulta la mappa e si cerca un compagno di viaggio. Le varie
piattaforme sono inoltre accompagnate da applicazioni per
smartphone e da gruppi di utenti registrati sui principali social
network.
Alcuni siti offrono diversi livelli di servizio a seconda che gli utenti
siano aziende o privati cittadini. Nel caso delle aziende, si possono
anche definire delle destinazioni per gli eventi a cui partecipare
(convention, corsi, missioni, ecc.), oppure per la promozione di eventi
pubblici organizzati dall’azienda ma aperti ai suoi utenti/consumatori.
In altri siti, a differenza delle tradizionali piattaforme web per il
car-pooling, autista e passeggero hanno motivazioni differenti per
effettuare lo spostamento. In particolare, l’autista può sfruttare il suo
tempo e la sua auto come una vera e propria opportunità di guadagno,
mettendosi a disposizione per accompagnare chiunque abbia bisogno
di effettuare un trasferimento per medi e brevi tratti. Chi vuole
richiedere un passaggio si registra in modo rapido e, dopo aver
completato il profilo (che prevede anche l’inserimento di indirizzo e
100
cellulare, in modo da dare maggiori garanzie sia al passeggero che
all’autista), definisce il percorso, che viene immediatamente
visualizzato su Google Maps. Può inoltre indicare se trasporta un
bagaglio o se ha altre particolari esigenze. Vengono così visualizzati i
km da percorrere e la spesa consigliata per lo spostamento.
Non riporto qui il lungo e mutevole elenco delle piattaforme web
usate per il car pooling: come detto, ce ne sono per tutti i gusti e per
tutte le esigenze. Vi invito però a tenerle in considerazione ed a
provare ad usarle, per cercare o offrire un passaggio in auto,
superando la diffidenza di fare un viaggio con persone che (ancora)
non si conoscono.
La condivisione dei viaggi (e delle esperienze) è anche questo.
101
22. Un po’ car pooling, un po’ autostop: alla
scoperta di Jungo!
Colloquio con Gloria Gelmi
Mai come di questi tempi ci rendiamo conto di quanto sia
sconveniente affidare la nostra possibilità di muoverci alla
disponibilità di combustibili fossili che non abbiamo (!) e che
dobbiamo comprare da altri Paesi, spesso peraltro governati da gente
ignobile e con cui non sarebbe opportuno neanche prendere un caffè.
Al di là delle motivazioni di carattere politico ed ambientale che
impongono una urgente rivoluzione nella strategia energetica
nazionale, il perdurare della situazione esistente spinge molti a ridurre
l’uso dell’auto semplicemente a causa del prezzo di benzina e gasolio.
D’altra parte, chi non può fare a meno di usarla avrebbe molto
piacere nel tentare di contenerne i costi, magari attraverso una
compartecipazione al viaggio (ed alle spese) effettuata da altre
persone. In questo contesto si inserisce la proposta di Jungo, un
sistema per la mobilità sostenibile altamente innovativo, che abbina la
flessibilità dell’autostop ai vantaggi del car pooling. Gloria Gelmi19, ci
illustra il suo funzionamento.
***
Cosa è Jungo? Come funziona? In cosa si differenzia dai sistemi di car-
pooling tradizionali?
Jungo è un modo nuovo di spostarsi, che sfrutta l’enorme quantità
di sedili vuoti in costante movimento sulle strade. Abbina la grande
19 Mobility manager di area della Provincia di Bergamo.
102
flessibilità dell’autostop ai vantaggi che potrebbe offrire un carpooling
organizzato: garanzie di sicurezza, tornaconto economico reciproco
(con rimborso spese standardizzato per il guidatore), opportunità di
socializzazione, riduzione del numero di veicoli in circolazione. E’
partito in Trentino, con un’esperienza pilota prima al mondo, per
iniziativa dell’omonima associazione. Anche la Provincia di Bergamo
l’ha lanciato sul proprio territorio, e diverse altre amministrazioni sono
intenzionate a seguirne l’esempio.
L’idea di Jungo è semplice: se introduciamo dispositivi “blindati”di
sicurezza reciproca, e l’opportunità di un vantaggio economico anche
per l’automobilista, dare e ricevere passaggi diventa molto più facile e
piacevole. Aumenta la “propensione all’imbarco” e i tempi di attesa si
riducono, si attirano nuovi partecipanti, si innesca un meccanismo
virtuoso.
Gli iscritti a Jungo possono chiedere un passaggio semplicemente
mostrando la propria tessera (al posto del pollice usato per l’autostop):
gli automobilisti membri di Jungo – o che comunque conoscono il
sistema – sanno che quel gesto identifica un autostoppista sicuro e
pagante, con cui potrà essere piacevole (oltre che economicamente
vantaggioso) condividere un tratto di strada.
Si può “jungare” su qualsiasi strada e a qualsiasi ora, anche se
ovviamente le probabilità di ottenere un passaggio sono direttamente
proporzionali al traffico presente e alla conoscenza di Jungo in un certo
territorio. Senza contare il vantaggio della sicurezza reciproca,
mancante nell’autostop.
Come in tutti i progetti in cui si cerca di aggregare persone che non si
conoscono, la questione della sicurezza e della fiducia reciproca è
fondamentale. Quali sono gli strumenti che ha Jungo per facilitare la
condivisione dei viaggi tra sconosciuti?
Esibendo la propria card, lo “jungonauta” garantisce che non ha
precedenti penali, non è stato escluso da Jungo (l’esclusione per
malcomportamento avviene a seguito di una complessa ed esclusiva
procedura attivata dalle segnalazioni) ed infine che è “tracciabile”, al
momento dell’imbarco, con un SMS contenente il nome utente.
Analogamente, è tracciabile il guidatore, anche se non iscritto a Jungo
(tramite targa o patente). Le donne, se vogliono sentirsi ancora più
103
sicure, possono segnalare che la loro richiesta di imbarco è rivolta solo
ad altre donne: basta esibire insieme alla card il nastrino rosa
(recapitato con la card).
L’aspetto cooperativo ed il senso di comunità che sta dietro questa
iniziativa appare un forte fattore di successo. Tuttavia, non è da dimenticare il
risparmio/guadagno economico percepito da tutti i soggetti coinvolti (autisti e
passeggeri). Che tariffe hanno e come sono regolati i pagamenti?
E’ previsto per ogni passaggio offerto un “rimborso spese” di
10cent/km (5cent/Km per viaggi oltre i 20 Km) + 20cent di “fisso”, che
lo “jungonauta” versa in contanti al guidatore. Sul sito www.jungo.it è
facilmente calcolabile il risparmio annuo ottenibile da chi offre e da chi
riceve i passaggi. Un iscritto che imbarca regolarmente passeggeri
Jungo, per percorrenze cumulate di 20.000 km. annui, suddivisi in
2.000 tratte, e che spenderebbe in benzina circa 4.000 euro, può
recuperare circa 2.400 euro. Nell’esperienza trentina si è visto però che
spesso l’automobilista rifiuta il compenso. L’iscrizione a Jungo costa 15
euro all’anno.
In quali situazioni occorre intervenire secondo te con più urgenza per
migliorare le condizioni della nostra mobilità? Chi ha la responsabilità di
queste azioni?
Siamo tutti responsabili, ogni volta che non ci domandiamo
nemmeno se salire in auto sia evitabile. Ovviamente, però, politici e
amministratori pubblici potrebbero avere gli strumenti per orientare i
comportamenti dei cittadini, se lo volessero. Ma sarebbero
provvedimenti considerati impopolari, e quindi temutissimi.
Cito un proverbio cinese: “Molte piccole cose, fatte da molta piccola
gente, in molti piccoli luoghi, possono cambiare la faccia della terra”.
Invito a fare responsabilmente la propria parte senza delegare o
attendere gli altri, ad agire coerentemente coi propri ideali senza
timore di andare controcorrente e di apparire utopisti. Non importa se
all’inizio si è in pochi. Col tempo, gradualmente e impercettibilmente,
ogni cultura dominante si modifica, e a volte arriva a sgretolarsi.
***
104
23. Il Piedibus: accompagnare i bambini a
scuola in sicurezza
Muoversi a piedi è spesso la soluzione migliore per gli spostamenti
brevi per andare a scuola o in ufficio, o per fare piccole spese e
commissioni. Per quanto possa sembrare banale, favorire gli
spostamenti pedonali costituisce una delle principali misure di
mobilità sostenibile. Non si tratta solo di usare di meno i mezzi
motorizzati, con ovvi vantaggi in termini di risparmio di spesa, ma
anche di star meglio in salute: infatti,
fare una passeggiata di venti minuti al giorno contribuisce a
migliorare l’umore e aiuta a mantenere sano il cuore.
Per gli spostamenti casa-scuola dei bambini occorre incentivare la
diffusione del Piedibus. Vediamo di cosa si tratta.
Il Piedibus20 è un progetto nato in Danimarca diversi anni fa con lo
scopo di promuovere l’esercizio fisico nei bambini. È ormai diffuso nel
Nord Europa e negli Stati Uniti, ed anche in Italia è in rapida crescita.
Il progetto è nato con lo specifico scopo di combattere il crescente
fenomeno dell’obesità infantile, ma si è rivelato utile anche per
promuovere la socializzazione e l’autostima dei bambini e per ridurre
il traffico veicolare nei pressi delle scuole.
I bambini, anziché prendere l’autobus o lo scuolabus, alla “fermata”
del Piedibus (segnalata da un cartello apposito) si aggregano ad una
comitiva guidata da alcuni addetti fino a scuola, e viceversa per il
ritorno a casa. Il Piedibus è organizzato come un vero autobus, con
linee, fermate, orari, e regolamento: “trasporta” i bambini in modo
sicuro, ecologico e salutare. I bambini vengono accompagnati da due
20 http://it.wikipedia.org/wiki/Piedibus
105
responsabili adulti, un “autista” davanti ed un “controllore” che
chiude la fila.
L’organizzazione dei Piedibus è curata da comuni, ASL, scuole o
associazioni, ed è generalmente affidata a volontari (compresi i
genitori o i nonni degli stessi alunni ed il personale comunale) che
assicurano il servizio.
Questo sistema consente di evitare il traffico cittadino mattutino
che si crea attorno agli istituti scolastici, favorire la conoscenza del
territorio da parte dei bambini e promuovere un comportamento
salutare. Tali iniziative portano inoltre un notevole risparmio di tempo
ai genitori, che possono lasciare i loro bambini alle fermate del
Piedibus autorizzate e opportunamente presidiate nei punti più vicini
a casa, contribuendo alla creazione di una zona veramente sicura per i
bambini.
Come si organizza un progetto di Piedibus?
Occorre innanzitutto organizzare una serie di incontri che possano
coinvolgere l’amministrazione comunale, le forze dell’ordine, le
associazioni, gli insegnanti e le famiglie (genitori e bambini stessi).
È poi di fondamentale importanza l’analisi dei percorsi casa-scuola
(da effettuarsi grazie all’aiuto di un mobility manager), e l’effettuazione
di sopralluoghi che consentano di rilevare le criticità presentate dai
percorsi stessi, in modo da poter individuare, con il contributo di
insegnanti, genitori e forze dell’ordine, le misure necessarie per
metterli in sicurezza.
Dopo aver individuato i tragitti del Piedibus, occorre evidenziarli
attraverso la stampa (su asfalto e marciapiedi) di impronte colorate in
modo diverso a seconda dei percorsi, che consentano ai bambini di
individuare e seguire il percorso in modo facile e divertente. Inoltre,
per rendere ancora più comprensibile al bambino il percorso da
compiere ed i pericoli da evitare, occorre predisporre appropriati
segnali in corrispondenza degli attraversamenti pedonali e delle
svolte, riportanti anche suggerimenti per il comportamento da tenere.
Durante le fasi di sperimentazione è opportuno che anche genitori
ed insegnanti accompagnino i piccoli (oltre agli accompagnatori
“ufficiali”), magari con l’aiuto di artisti e teatranti che facciano
106
percepire meglio ai bambini il divertimento che deriva dal camminare
insieme. Per facilitare la riconoscibilità dei bambini è utile inoltre
dotarli di giubbini ad alta visibilità.
Risulta fondamentale, per la gestione dell’organizzazione e dello
svolgimento dell’attività, anche il coinvolgimento attivo delle forze
dell’ordine ed il loro confronto con gli insegnanti e con le famiglie
degli alunni: la loro conoscenza dell’ambiente cittadino anche in
funzione di necessità e problematiche quotidiane costituisce un valore
aggiunto imprescindibile nella definizione di efficaci strategie per lo
sviluppo (anche sociale) dei territori.
E il miglioramento della sicurezza stradale, specie per i più giovani,
rappresenta sicuramente una delle vie attraverso cui passa lo sviluppo
di un territorio21.
21 Le informazioni riporrtate sono tratte dal progetto realizzato in Puglia dallo studio
ElaborAzioni (www.elaborazioni.org).
108
Quanto è importante la sicurezza stradale? Perché non si riesce ad eliminare
la piaga delle migliaia di persone che ogni anno restano vittime degli incidenti
stradali?
In Italia ogni giorno circa 10 persone muoiono a causa di incidenti stradali, e
molte altre restano ferite (spesso con danni permanenti). Ed il maggior
numero di incidenti si verifica nelle aree urbane, coinvolgendo soprattutto
pedoni e ciclisti, in un contesto che non dovrebbe certo essere pericoloso.
Gli sforzi per ridurre numero e gravità degli incidenti sono sempre maggiori
(e cominciano, in effetti, a portare qualche beneficio), ma ancora siamo lontani
dall’aver risolto il problema. Anzi.
Vediamo nelle prossime pagine come si può abbassare la soglia del pericolo
nelle città e come è possibile aiutare tutti (compresi i più deboli) a muoversi
evitando i pericoli della strada.
109
24. La sicurezza stradale migliora, ma…
Con il contributo di Andrea Marella
Come procede l’attività di potenziamento della sicurezza stradale
in Italia? Sono realmente in diminuzione gli incidenti ed il numero di
morti e feriti? Nel complesso, la situazione sta lentamente
migliorando, ma non mancano aspetti contraddittori.
Nel 2011 si sono registrati in Italia 205.638 incidenti stradali con
lesioni a persone. Il numero dei morti (entro il 30° giorno) è stato di
3.860, quello dei feriti ammonta a 292.019. Rispetto al 2010, si riscontra
una diminuzione del numero degli incidenti (-2,7%) e dei feriti (-3,5%)
e un calo più consistente del numero dei morti (-5,6%). Ciò significa
che ogni giorno si sono verificati mediamente 563 incidenti stradali che
hanno comportato lesioni alle persone (precisamente la morte di 10
persone ed il ferimento di altre 800).
Negli ultimi anni il numero di incidenti, morti e feriti è calato
sensibilmente, anche se l’Italia non è riuscita a centrare l’obiettivo
europeo di dimezzamento del numero dei morti nel periodo 2000-2010
(pur avvicinandosi molto).
Nei grafici che riporto di seguito sono evidenziati gli andamenti dei
principali indicatori degli incidenti stradali22.
***
22 Mie elaborazioni sui dati ufficiali ACI-Istat
112
Fin qui i numeri. Vale però la pena riportare un breve estratto di un
articolo comparso, in occasione dell’uscita del rapporto Aci-Istat nel
novembre 2012, sul blog Bicisnob 23 , che mette in evidenza aspetti
contraddittori relativi ai dati ufficiali:
“Fortunatamente i morti scendono, e questo è vero, ma non si tratta
della conseguenza di politiche virtuose. Piuttosto sono diventati più
efficaci i sistemi di sicurezza attiva e passiva delle auto e sono
migliorate le tecniche della chirurgia d’urgenza che trasformano un
morto di ieri in un invalido o un ferito grave di oggi. E la conferma
arriva dagli incidenti che coinvolgono chi va a piedi o pedala che non
se ne fa nulla di air bag e roll bar e continua perciò a morire come e più
di prima: i ciclisti uccisi da un impatto con un veicolo a motore sono
aumentati del 7,2% nell’ultimo anno”.
La problematica dunque è complessa: non ci si può fermare
all’analisi dei soli numeri complessivi. Stiamo davvero facendo dei
progressi o dobbiamo essere preoccupati? Ci risponde Andrea
Marella24.
***
La situazione è disordinata e senza pianificazione. Disordinata,
perché ognuno fa quello che può e, molto spesso, solo quello che
vuole: pubbliche amministrazioni più o meno sensibili fanno interventi
di “messa in sicurezza”, che molto spesso non sono altro che
manutenzioni ordinarie, un fiorire di associazioni no profit che non
possono che portare ad un abbassamento culturale e di ricerca sul
tema, tecnici sempre più condizionati dalle scelte dei decisori locali.
Senza pianificazione, perché il Piano Nazionale della Sicurezza
Stradale (PNSS) è del 2001: mancano un aggiornamento, e soprattutto
una pianificazione a 360°, dal Governo alle realtà locali. In questo
marasma generale ognuno pubblica e si plaude da solo di aver trovato
la panacea del male sicurezza stradale. Non vorrei passare per
pessimista, ma la strada è ancora lunga.
23 http://bicisnob.wordpress.com 24 Ingegnere, esperto in ingegneria del traffico e sicurezza stradale.
113
In merito alla normativa europea recente è importante il pacchetto
sicurezza definito in Commissione Trasporti. Ci sono articoli che
introducono obblighi nei confronti degli enti proprietari e
concessionari delle strade, e degli enti locali competenti, con la finalità
di elevare i livelli di sicurezza della circolazione, con specifico
riferimento alle strade ove si registrano i più alti tassi di incidentalità.
Sono stati inoltre fissati – finalmente – i termini e le modalità per la
trasmissione, in via telematica, dei dati relativi all’incidentalità stradale
da parte delle Forze dell’ordine e degli enti locali al Dipartimento per i
trasporti. Solo così finalmente potremo vedere la reale situazione della
nostra povera Italia. Non c’è molto da commentare, se non auspicare
che queste norme siano presti cogenti e che per una volta tanto fatta la
legge non si trovi l’inganno.
Il quadro europeo è molto diverso da quello italiano. È decisamente
meglio organizzato e più concreto sul tema. Una buona esperienza è
data da “Vision Zero”, che è un programma di pianificazione e
programmazione sulla sicurezza stradale adottato dalla Svezia e
ripreso di recente anche dalla Svizzera con Via Sicura, e si basa su un
concetto semplice:
occorre concepire la sicurezza stradale alla pari della sicurezza
nello spazio aereo, dove qualsiasi azione, progetto e attività sono
studiate per annullare il rischio di incidente.
Credo che se passasse questo concetto anche in Italia potremmo
avere davvero un’effettiva pianificazione della sicurezza stradale, per
attuare poi tutte quelle attività di progettazione, comunicazione ed
informazione nel campo della moderazione del traffico, nella mobilità
sicura e sostenibile e in generale nell’ecologia urbana.
***
114
25. Le avventure quotidiane dei pedoni (ed
i loro rischi)
colloquio con Giampiero Mucciaccio
Ognuno di noi, anche chi fa un uso smodato ed eccessivo dell’auto,
si trova in numerosi momenti della giornata a muoversi a piedi per le
strade. Provate a contare quante volte attraversate la strada in una
giornata qualsiasi, impegnando uno spazio che dovrebbe essere
condiviso da tutti (pedoni, ciclisti, auto, autobus, ecc.), ma che invece è
spesso tale da impedire i movimenti a chi va a piedi (o addirittura in
carrozzina, se disabile). Il rischio di incidente stradale durante ogni
attraversamento può essere alto, e le conseguenze sono tutte a danno
del pedone.
Ne parliamo con Giampiero Mucciaccio, del Centro Antartide25,
cercando di comprendere la grandezza del fenomeno e le misure di
sicurezza da mettere in atto.
***
Sappiamo bene che non basta trovarsi sulle strisce pedonali per essere al
sicuro: molti incidenti avvengono anche quando il comportamento dei pedoni
è corretto (attesa del verde al semaforo, attraversamento sulle strisce). Quali
sono le principali cause della scarsa sicurezza dei pedoni?
È vero che anche i pedoni non rispettano le regole della strada. E
questo è forse il fattore che più contribuisce alla rimozione collettiva
delle tragedie stradali, che, sebbene molti passi avanti siano stati fatti,
25 http://www.centroantartide.it
115
non generano ancora sufficiente allarme sociale. Il problema è infatti
che, a differenza di altri casi di cronaca nera, le tragedie della strada
non possono essere facilmente addebitate ad una categoria particolare,
magari percepita come “diversa” per il colore della pelle, il paese o la
regione di provenienza o la religione. Sulla strada siamo tutti
contemporaneamente potenziali vittime e potenziali carnefici.
All’obiezione che la colpa è anche dei pedoni, che non rispettano le
regole della strada, rispondiamo comunque che quasi il 30% dei
pedoni morti è stato investito mentre attraversava la strada sulle
strisce. La principale causa della scarsa sicurezza dei pedoni è quindi
proprio la scarsa considerazione che ne hanno gli altri utenti della
strada, automobilisti e motociclisti/scooteristi in primis.
I pedoni si muovono sulla strada con un ritmo diverso rispetto ai
mezzi motorizzati, soprattutto se sono anziani. E questo li rende sia
invisi che invisibili ai conducenti. Ma dobbiamo capire che non si può
chiedere ai pedoni di adeguarsi alle prestazioni dei mezzi a motore.
Non può che essere il contrario. E quando alla guida della nostra auto
ci capita di sbuffare nell’attesa che un pedone attraversi la strada,
ricordiamoci che, come recita il titolo di una nostra campagna, “siamo
tutti pedoni”. Anche noi, quando scenderemo dall’auto, torneremo ad
essere pedoni.
Non tutti i pedoni sono uguali: gli anziani ed i bambini sono più esposti
degli altri ai rischi ed alle conseguenze degli incidenti. Quali sono i pericoli
principali che corrono i bambini? E quali sono quelli che corrono gli anziani?
Sicuramente tra i più colpiti ci sono gli anziani: la maggior parte dei
pedoni morti ha più di 60 anni. Tra i bambini ci sono meno vittime, ma
solo perché i genitori impediscono loro tout court di muoversi da soli
per strada. Per entrambe le categorie quindi, a parte gli ovvi rischi per
l’incolumità fisica, il problema più grande è la limitazione alla libertà
di muoversi, che per gli anziani si traduce spesso anche in isolamento
sociale.
Per quanto riguarda la causa dei problemi, negli anziani è da
addebitarsi ad una minore prestanza fisica e sensoriale rispetto alle
persone adulte. Nei bambini il problema principale è invece la scarsa
percezione del pericolo e la difficoltà a percepire correttamente
l’ambiente che li circonda nella sua complessità. Per un bambino che
116
gioca per strada è normale concentrarsi nell’inseguimento del pallone,
senza prestare attenzione se in quel momento stia arrivando un’auto o
meno.
Cosa si dovrebbe fare a livello normativo e legislativo per porre un freno al
fenomeno dell’incidentalità stradale che coinvolge i pedoni? Che tipo di
misure dovrebbero essere introdotte dalle nostre amministrazioni nazionali e
locali?
In realtà il passo più grande dal punto di vista normativo è già stato
fatto. Forse non tutti sanno che, fino all’ultima revisione del codice
della strada, l’Italia era tra i pochissimi paesi europei a prevedere
l’obbligo per i conducenti di fermarsi solamente quando un pedone
stava già passando sulle strisce. In pratica per la legge italiana uno
doveva buttarsi sulle strisce e solo allora gli automobilisti erano tenuti
a farlo passare. Nei paesi più attenti alle esigenze di tutti l’obbligo per i
conducenti è invece di fermarsi anche solo quando vedono una
persona che manifesti l’intenzione di attraversare.
Anche da qui deriva la scena che ci vede sempre protagonisti
all’estero quando ci stupiamo di come gli automobilisti si fermino
anche quando siamo solo in prossimità delle strisce, senza che si stia
attraversando. Con le modifiche al codice della strada del luglio 2010,
anche in Italia è finalmente obbligatorio fermarsi anche quando si veda
un pedone che intende attraversare. Naturalmente non è solo un
problema di leggi, ma alle leggi deve seguire il formarsi di una cultura,
per cui certi atteggiamenti diventino semplicemente senso comune, e
proprio questa è la nostra sfida.
Per quanto riguarda le amministrazioni locali il tema è invece
quello del far rispettare le regole della strada a tutti i livelli tramite una
presenza ed un’azione continua della polizia municipale, che deve
essere percepita come sempre presente e sempre pronta a reprimere gli
abusi e non sguinzagliata solo una volta ogni tanto, magari “a
tradimento”, quanto il Comune deve fare cassa.
Quali sono infine le migliori pratiche a livello internazionale in materia di
protezione degli utenti deboli della strada? E’ possibile “importare” anche in
Italia le misure più efficaci per la salvaguardia della salute dei pedoni?
117
La migliore pratica, che è senza dubbio possibile importare anche
da noi, è la costruzione di una cultura di rispetto del pedone, realizzata
con azioni di educazione, informazione e sensibilizzazione, ma anche
di repressione. Senza questo passaggio non si va da nessuna parte.
Infine, occorre mettere mano a tutti quegli interventi infrastrutturali
volti a migliorare la sicurezza dei pedoni, dai marciapiedi (se ci fate
caso tantissime strade, anche di grande importanza, ne sono
sprovviste) agli interventi di traffic calming, ovvero di riduzione della
velocità del traffico veicolare per renderlo compatibile con pedoni e
ciclisti, come ad esempio le isole di sicurezza al centro delle
carreggiate, il controllo elettronico della velocità e la temporizzazione
intelligente dei semafori.
***
118
26. Miglioriamo la sicurezza di chi
cammina per le strade
600 persone vengono uccise ogni anno sulle strade mentre
camminano a piedi, e ben il 30% di esse durante un attraversamento
della strada sulle strisce pedonali.
I pedoni feriti sono oltre 20.000, in buona parte anziani.
È una strage nascosta, di cui non si parla, che causa molti più lutti
di altre questioni su cui il martellamento mediatico è ben maggiore
(come è stato ad esempio per le varie influenze aviaria, suina, ecc.). E
tutto accade durante l’atto apparentemente più naturale ed innocuo
che possano compiere le persone: camminare. Occorre prendere
coscienza di questa seria situazione, ed intervenire a tutti i livelli per
porre fine a questa mattanza. Amministratori, educatori, automobilisti
e gli stessi pedoni devono quindi fare ognuno la propria parte per
raggiungere l’obiettivo.
Segnalo a questo proposito l’ottimo lavoro svolto da ACI e dagli
altri Automobile Club europei, che già dal 2008 realizzano una
accurata indagine riguardante i pericoli connessi agli attraversamenti
pedonali nelle nostre città. Si tratta del programma European Pedestrian
Crossing Assessment (EPCA)26.
Luca Pascotto 27 fornisce a questo proposito alcune importanti
raccomandazioni.
***
La mobilità dei pedoni dovrebbe essere sempre oggetto di una
specifica attività di pianificazione e progettazione finalizzata ad
26 www.eurotestmobility.com 27 coordinatore per l’ACI della ricerca ( www.lucapascotto.it).
119
individuare soluzioni in grado di soddisfare le esigenze di sicurezza
dei pedoni, tenendo conto di tutte le interazioni con le altre
componenti di mobilità (motorizzate e non).
La visibilità degli attraversamenti pedonali dovrebbe costituire uno
dei più rilevanti criteri progettuali. A questo proposito, gli
attraversamenti pedonali dovrebbero essere progettati evitando la
presenza di ostacoli alla visuale reciproca tra pedoni e conducenti. In
particolare, dovrebbe essere incoraggiato l’utilizzo di marciapiedi
avanzati rispetto agli spazi di sosta.
L’introduzione di linee di arresto prima degli attraversamenti è
ugualmente importante. Se collocate ad una distanza di 6-15 metri, non
solo favorisce l’arresto dei veicoli in prossimità degli attraversamenti,
ma migliora anche la visibilità tra pedoni e veicoli in avvicinamento su
tutte le corsie di marcia.
Nelle intersezioni è necessario evitare soluzioni progettuali che
limitino la visibilità reciproca tra pedoni e veicoli in svolta, liberando da
ostacoli gli spigoli delle stesse.
Nelle situazioni maggiormente a rischio per i pedoni, andrebbe
valutata la possibilità di introdurre isole salvagente, in grado di
proteggere i pedoni in attraversamento.
Occorrerebbe poi favorire l’utilizzo di segnaletica orizzontale ad
elevate prestazioni di rifrangenza. L’introduzione di misure aggiuntive
per migliorare la visibilità specialmente nelle ore notturne andrebbe
incoraggiata: luci lampeggianti, elementi luminosi di arredo urbano,
impianti semaforici a portale, ecc. possono fare la differenza in termini
di sicurezza.
La manutenzione degli attraversamenti pedonali dovrebbe essere
effettuata con particolare cura e sistematicità, garantendo livelli
prestazionali sempre ottimi. In particolare, le pavimentazioni stradali
in approccio agli attraversamenti andrebbero mantenute in modo da
garantire livelli di aderenza sempre ottimali (pavimentazioni ruvide
sono da preferirsi a materiali a bassa aderenza, per una migliore
prestazione in caso di frenata).
Gli attraversamenti pedonali dovrebbero essere oggetto di vere e
proprie “safety review”, allo scopo di individuare a livello puntuale gli
interventi da mettere in atto per la messa in sicurezza degli stessi.
120
Negli attraversamenti pedonali semaforizzati, le singole fasi devono
essere dimensionate in modo tale da garantire sempre un
attraversamento sicuro alle persone. Nei casi di fasi pedonali non
esclusive, l’introduzione di apposite lampade supplementari
lampeggianti può servire ad avvertire i conducenti della presenza
contemporanea di pedoni in attraversamento.
L’accessibilità agli attraversamenti pedonali va garantita anche alle
utenze in carrozzina: è necessario prevedere soluzioni di accesso a raso,
ovvero rampe di accesso aventi pendenze mai superiori all’8%.
Per le utenze ipo/non vedenti, l’introduzione di percorsi tattili,
dispositivi acustici o tattili ai semafori ed uno spazio di accesso
separato rispetto alle rampe (gradino o normale marciapiede) migliora
notevolmente la sicurezza. Per tali utenze, la diffusa pratica di
introdurre dei paletti metallici molto bassi come dissuasori della sosta
veicolare, è da ritenere pericolosa e quindi non raccomandabile.
L’introduzione di segnaletica orizzontale supplementare per
l’indicazione della provenienza del traffico veicolare (del tipo “look right”) è
da ritenersi di grande aiuto anche (e non solo) per i non udenti.
Particolare cura va riservata alla gestione dei conflitti con le altre
componenti della viabilità, in particolare con quella ciclistica e con i tram,
evitando soluzioni potenzialmente pericolose persino nelle situazioni
di pedoni in attesa di attraversare (tram troppo vicini al marciapiede,
piste ciclabili in conflitto con rampe per disabili).
Alcune soluzioni tecnologiche sono in grado di prevenire incidenti tra
veicoli e pedoni. È auspicabile una sempre maggiore diffusione di tali
dispositivi (ad esempio, sensori in grado di rilevare la presenza di
pedoni in approccio e di allertare visivamente i conducenti in arrivo).
La maggior parte dei semafori pedonali dovrebbe essere dotata di
dispositivi con il conto alla rovescia, che lasciano alla consapevolezza
del pedone la decisione riguardo all’avvio o meno
dell’attraversamento, in relazione anche alle proprie condizioni fisiche
(velocità di andatura). L’introduzione di semafori con tecnologia LED
dovrebbe essere, quindi, incoraggiata il più possibile in tutti i Paesi
europei, dal momento che hanno mostrato migliori performance
soprattutto per quanto riguarda la visibilità notturna.
***
121
27. "Quando un uomo con la bicicletta
incontra un uomo con l'automobile..."
“Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, quello con la
pistola è un uomo morto!” Era quello che veniva detto a Clint Eastwood
(che era Joe, l’uomo con la pistola) nel film “Per un pugno di dollari”.
Il duello si risolse poi a favore di Joe… ma questa è un’altra storia.
Facciamo ora un paragone con altri luoghi, altri contesti ed altri
possibili incontri.
Cosa succede quando un uomo con la bicicletta incontra un uomo
con l’automobile?
Ovviamente solo in pochissime occasioni si ha un esito
drammatico come quello che abbiamo evocato, pur tuttavia il
problema della sicurezza esiste, ed è innegabile che in caso di incidente
tra un automobilista ed un ciclista chi rischi la vita sia il secondo.
Riporto a questo proposito consigli e suggerimenti a ciclisti ed
automobilisti per migliorare ognuno il proprio comportamento e
ridurre il rischio di incorrere in un incidente stradale e le relative
conseguenze28.
***
Che cosa i ciclisti vorrebbero che che gli automobilisti sapessero
I ciclisti sono ovviamente più vulnerabili, e dunque i conducenti
dovrebbero avere un maggior riguardo soprattutto in mancanza di
corsie dedicate o piste ciclabili. Inoltre, i ciclisti si sentono minacciati
da una guida non prudente o poco attenta soprattutto in alcune
28 Con il contributo di Luca Pascotto.
122
situazioni ad alto rischio (guida nelle rotonde, strade a più corsie, ed in
generale, ogni qualvolta un’auto può cambiare direzione e velocità).
Occorre poi aggiungere che i ciclisti possono dover evitare ostacoli
(buche, scarichi, detriti, auto in doppia fila) e quindi possono invadere
parte della carreggiata riservata alle auto. Infine, bisogna considerare
che i fari abbaglianti, ovviamente, danno fastidio anche ai ciclisti, come
del resto a tutti gli utenti della strada.
Quindi, se sei un automobilista, considera quanto segue. Pensa che
potresti incontrare una bicicletta. Non sei in Olanda o a Copenhagen,
dove sai per certo che ci sono ciclisti. Per cui serve una maggiore
attenzione. Inoltre, guida lentamente nelle zone urbane rispettando i
limiti e facendo attenzione soprattutto nel cambiare direzione e nelle
intersezioni verso destra.
Ancora: tieni presente che un ciclista possa cambiare direzione a
causa di una buca, di un ostacolo o, in casi di brutto tempo, a causa del
vento. Infine, considera che le curve a sinistra per un ciclista
richiedono più spazio e più tempo: prevedi questi momenti. Quando
lasci l’auto in sosta sulla carreggiata accertati prima di aprire la
portiera che non ci sia un ciclista in arrivo. Usa lo specchietto,
ovviamente non fa rumore.
Che cosa gli automobilisti vorrebbero che i ciclisti sapessero
Per un automobilista è seccante incontrare di notte un ciclista senza
fari, che passa col rosso e che non rispetta le principali norme di
circolazione. Peraltro, un’auto ha una velocità più elevata di una
bicicletta e i tempi di reazione, anche a velocità contenute, sono molto
più elevati. Inoltre, i ciclisti dovrebbero rendersi più visibili,
indossando ad esempio un giubbetto riflettente. E’ molto più facile per
un’automobilista considerare i movimenti dell’utente più vulnerabile.
Occorre ricordare inoltre che un’automobilista si trova a disagio se
il ciclista ha una andamento indeciso o dimostra poca attenzione
magari ascoltando della musica in cuffia. Allo stesso modo
un’automobilista non ha la stessa percezione della strada che può
avere un ciclista (presenza di buche pozzanghere, tombini, ostacoli
ecc.)
123
Se sei un ciclista quindi fai attenzione ai suggerimenti che seguono.
Segui ovviamente le regole del codice della strada. Non passare con il
rosso, e non attraversare la strada in diagonale se non in presenza di
una situazione protetta. Usa le piste ciclabili, se sono presenti, anche se
avessero un percorso più lungo: sono più sicure e limitato i possibili
punti di conflitto. Attento nelle aree pedonali: sei un’utente debole, ma
i pedoni sono ancora più vulnerabili in caso di urto con una bicicletta.
E comunque, attraversa la strada sulle strisce pedonali se presenti.
Cerca inoltre di anticipare il comportamento di un’automobile, se
di fronte a te. Renditi visibile, non ti vergognare delle bretelle o del
giubbetto riflettente. Preferisci gli abiti chiari e usa sempre le luci,
possibilmente anche di giorno (ti rendono più visibile!). Poi, mostra
per tempo i movimenti che intendi fare (es. avambraccio a sinistra per
indicare l’intenzione di svoltare a sinistra), e spostati quando è sicuro e
conveniente. Infine, se viaggi in compagnia di altri ciclisti rimanete
uno dietro l’altro se mancano le piste ciclabili: se viaggiate affiancati i
rischi aumentano.
***
124
28. La sicurezza stradale 2.0
Con il contributo di Raimondo Polidoro
L’avanzata delle nuove tecnologie e la diffusione di dispositivi
mobili evoluti (smartphone, tablet, ecc.) consente di raggiungere
obiettivi ritenuti inimmaginabili solo fino a qualche tempo fa, e questo
a beneficio di tutti, in innumerevoli contesti e situazioni. Uno dei punti
fondamentali è che ognuno di noi, da utente o fruitore di un qualsiasi
servizio, può contribuire al miglioramento del servizio stesso,
semplicemente comunicando informazioni e dati raccolti in un
qualsiasi momento della giornata, a seconda del contesto in cui ci si
trova e delle proprie specifiche esigenze personali.
E qui veniamo a noi ed al nostro spazio di osservazione.
Cosa hanno a che fare i cellulari e la sicurezza stradale?
Possiamo subito rispondere che con la diffusione dei cellulari si è
avuto un enorme contributo alla sicurezza stradale, dato dal fatto che è
diventato possibile segnalare tempestivamente alle forze dell’ordine il
verificarsi di un incidente che coinvolge se stessi o altri, consentendo
così un intervento rapido da parte dei soccorsi. Occorre però
aggiungere che l’uso del cellulare alla guida è diventato,
paradossalmente, una delle stesse cause degli incidenti stradali, per
colpa della disattenzione degli automobilisti che sottovalutano la
distrazione che ne consegue… ma questa è un’altra storia.
Tornando alla questione sicurezza, quello che oggi è possibile fare
con uno smartphone a favore della sicurezza sulle strade è molto di
più che inviare una semplice (per quanto importantissima)
segnalazione a seguito di un incidente. Oggi è infatti possibile
implementare sistemi grazie ai quali i cellulari vengono usati per
125
raccogliere informazioni (generate ed inviate da parte degli utenti)
sullo stato delle strade, e distribuirle in tempo reale agli altri utenti ed
alle forze dell’ordine e di sicurezza coinvolte.
Ecco un contributo sul tema da parte di Raimondo Polidoro29.
***
La visione da Safety Auditor al problema della sicurezza stradale ci
ha permesso di allargare la prospettiva e immaginare un servizio di
immediata attuazione, che potesse mettere i gestori in grado di avere
una disponibilità di dati georiferiti in modo rapido e a costo contenuto,
e nel contempo interagire con gli utenti per condividere con essi
preziose informazioni sulla localizzazione e sui livelli di percezione del
rischio di incidente sulla rete stradale.
La nostra convinzione è che l’utente è ancora estraneo al processo
di miglioramento, pur essendo colui che ne paga la totalità delle
conseguenze. Per una strategia efficace di sicurezza stradale oggi
l’utente va posto al centro delle decisioni, va restituito al vero
protagonista il ruolo e la capacità di generare sicurezza stradale.
Lo sviluppo dei social network, attraverso cui nascono e si
sviluppano modelli di business creati dal cliente, è fatto potente e di
grande interesse anche per la sicurezza stradale. La produzione è
diventata co-produzione: il cliente partecipa alla creazione e talvolta
alla produzione di ciò che desidera consumare.
La sicurezza stradale può cogliere vantaggi competitivi, offrendo
agli utenti la possibilità di diventare una tribù digitale che voglia
“coprodurre” sicurezza stradale.
Utenti che possono partecipare a un modello di sicurezza stradale
senza mediatori in cui condividere sensazioni; opinioni reali su dove è
localizzato e come si presenta il rischio di subire un incidente stradale.
Consideriamo inoltre che la spinta emozionale conferisce all’utente
doti di eccezionale critica, e che l’utente è il migliore controllore: critico
e severo. Inoltre, l’utente condivide percezioni, e quindi ha una misura
29 ingegnere esperto in sicurezza stradale ed in applicazioni per la mobilità.
126
reale del rischio percepito, facilmente compresa da altri utenti e tale da
incidere sul loro comportamento.
Un utente che potrà usare adeguati mezzi sarà stimolato nell’azione
di controllo, diventerà un utente partecipe, si orienterà egli stesso nella
scelta e perfezionamento di strategie di comportamento più sicure.
Accedendo ad informazioni di sicurezza nel luogo e nel momento
precisi in cui servono, gli utenti determineranno nuovi atteggiamenti
d’uso dell’ambiente stradale più attenti e sicuri.
I vantaggi sono molteplici e articolati. Gli utenti possono scambiare
dati e informazioni su siti a rischio, possono raggrupparsi e
suddividersi in tipologie differenti e quindi scambiare informazioni di
specifico interesse per ogni singola tipologia. Ad esempio, le
segnalazioni effettuate da pedoni potranno essere etichettate come tali
ed essere distribuite ai soli pedoni. In questo modo, l’utente che
viaggia su un veicolo potrà automaticamente decidere di non ricevere
informazioni di sicurezza relative ai percorsi pedonali (potrà
ovviamente continuare a ricevere quelle di suo interesse legate ad
esempio ai punti di conflitto tra utenza pedonale e utenza veicolare).
Un gestore che realizzi la propria specifica piattaforma può
ottenere in tempo reale dagli utenti informazioni precise su situazioni
percepite come rischi. Può quindi trattare e integrare questa base dati e
restituirla attraverso una esperienza comunicativa unica e
personalizzata per ogni singolo utente: selettiva in base a molteplici
parametri caratteristici (la selezione può essere fatta per tipo di utente,
per posizione geografica, per orario, e in ogni modalità possibile).
Ogni gestore può così moderare un sistema di infomobilità
altamente personalizzato che sfrutta pienamente i pregi della “realtà
aumentata”, sovrapponendo alla realtà percepita durante la sua
permanenza nell’ambiente stradale livelli di informazione aggiuntivi
che trasmettono informazioni capaci di migliorare la percezione dello
stesso ambiente nell’ottica del miglioramento della sicurezza. Un
esempio: in ogni punto del nostro itinerario autostradale ci saranno
presentate informazioni specifiche relative alla immediatezza del
nostro itinerario in termini di traffico e infrastruttura (code, lavori, …)
ma anche sulle condizioni di rischio di punti del nostro itinerario
quando ad essi stiamo approcciando.
127
La georeferenziazione dell’intero database rende possibile
l’integrazione dinamica con altre basi dati web (posizioni di pronto
soccorso, informazioni su limitazioni, infomobilità classica, ecc.).
L’obiettivo è quello di rendere gli utenti partecipi del processo di
miglioramento della sicurezza in una esperienza unica di realtà
aumentata generata e condivisa dagli stessi utenti.
Questa potenza comunicativa e selettiva va condivisa e posta a
beneficio di tutti gli utenti per il miglioramento della sicurezza
stradale e della sicurezza in generale.
Qui si apre un discorso indiretto di sensibilizzazione degli utenti
alla sicurezza stradale: la condivisione delle informazioni raccolte dal
basso e distribuite attraverso uno strumento adeguato va a beneficio di
tutti. Siamo convinti che l’utente partecipe sia la chiave di volta per far
ripartire il modo di pensare al futuro, e che il futuro sarà sempre meno
possesso di hardware e sempre più condivisione del software. Penso e
spero che il valore dell’efficienza di un sistema di sicurezza sarà non
tanto nella tecnologia che lo gestisce ma nella qualità, quantità e
capillarità dell’informazione che lo arricchisce. E per la sicurezza, se ci
pensiamo un attimo, è sempre stato così.
***
128
29. La psicologia del traffico e della
sicurezza viaria
intervista a Sabino Cannone
La guida di un veicolo richiede attenzione, concentrazione e
capacità di dominare le emozioni. La sfera razionale e quella emotiva
di ogni guidatore sono quindi sollecitate in modo intenso e continuo, e
rivestono notevole importanza nella sicurezza della marcia. La
psicologia è dunque fondamentale nella ricerca della sicurezza
stradale. Ne parliamo con il dottor Sabino Cannone30.
***
Cos’è la Psicologia del Traffico? Quali sono i suoi campi ed i suoi metodi
di applicazione?
La psicologia del traffico studia il comportamento alla guida e tutti
gli effetti ad esso collegati. La guida fa parte di un sistema complesso:
non si può analizzare il comportamento alla guida senza tener conto
del “sistema traffico” nella sua totalità. Fanno parte di questo sistema
diversi fattori: l’interazione tra gli utenti della strada; le strutture
(strade, segnaletica, ecc.); le leggi; i veicoli e la loro progettazione
(ergonomia); le caratteristiche individuali, ecc.
La comprensione del comportamento ed il tentativo di influenzarlo
in modo positivo, non possono prescindere dalla collaborazione con
30 Sabino Cannone è membro della Commissione “Psicologia scolastica e viaria”,
istituita all’interno dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia. È attivo nel campo della formazione e della supervisione del lavoro dei formatori nelle scuole, nonché nella collaborazione con ingegneri del traffico ed architetti urbanisti.
129
altre figure che lavorano nell’ambito del traffico e che si occupano in
diversa misura della progettazione di veicoli, della legiferazione, della
progettazione e costruzione delle strade, della segnaletica, del livello
politico, ecc. Lo psicologo deve lavorare in modo interdisciplinare,
trasmettendo conoscenze del comportamento umano utili ad altre
figure che operano in questo settore.
In quest’ottica possiamo individuare molteplici campi di intervento
della psicologia del traffico: dall’attività diagnostica al miglioramento
della guida, dalla riabilitazione e terapia all’ergonomia, dalla
progettazione di veicoli e infrastrutture all’educazione stradale. Ed
ancora, si puà intervenire nella consulenza nello sviluppo di leggi,
nelle campagne di marketing e prevenzione, nella formazione di
esperti e nello sviluppo di interventi di sicurezza stradale e mobilità.
Per quanto riguarda i metodi di applicazione, l’idea di base è che
non esistano teorie universali che possono spiegare il comportamento
in tutte le situazioni, bensì modelli che, secondo l’argomento di studio,
si adattano meglio all’analisi della situazione e ne costituiscono la base
teorica più consona sia per la spiegazione sia per gli interventi da
attuare.
Come rientra la psicologia della sicurezza viaria nella stima degli impatti
di una nuova infrastruttura?
Rientra in modo “tecnico”, integrando le conoscenze tecniche
dell’ingegnere del traffico o dell’architetto urbanista; ma rientra anche
in modo “ermeneutico”, cioè decifrandone il significato per valutarne
la coerenza con il contesto simbolico di riferimento. Non
dimentichiamoci che, una volta realizzate le nuove infrastrutture, chi
ne usufruirà saranno pur sempre degli esseri umani.
Nella realtà dell’ambiente stradale convivono due universi: quello
probabilistico/ingegneristico, orientato alla massima funzionalità ed
efficienza e quello socio/relazionale, orientato alla ricerca di senso.
Esiste un “cosa fare” ed un “perché fare una data cosa”.
Un’infrastruttura è comunque anche un oggetto simbolico, che
veicola con la sua stessa presenza delle informazioni su sé stessa, sul
suo contesto culturale e simbolico di riferimento ed il senso del suo
essere lì. L’esempio delle rotatorie è illuminante. Se fatte bene, sono
130
indubbiamente molto utili ed efficaci nel fluidificare il traffico e nel
diminuire il numero di incidenti e la loro gravità. Ma bisogna capire
che spesso non c’è coerenza tra il significato simbolico, orizzontale –
cioè di comunicazione diretta e paritetica tra gli automobilisti – delle
rotatorie ed il significato simbolico, verticale – cioè un rapporto
gerarchico tra l’istituzione ed il singolo automobilista – del resto delle
infrastrutture, a cominciare dai semafori. L’effetto che ne risulta è
molto simile, secondo me, a quello di una parola straniera inserita
nella propria lingua.
Sicurezza stradale, numero di morti e feriti, incidenti più o meno gravi.
Concetti e numeri continuamente diffusi su tutti i mezzi di comunicazione,
per informare e sensibilizzare – giustamente – i cittadini sui pericoli della
strada. I rimedi sono tanti e diversificati (miglioramento dei veicoli,
imposizione di divieti e vincoli, ecc.). Sulle strade però i rischi ed i pericoli
restano. Occorre iniziare a ragionare considerando anche il comportamento
degli automobilisti, ed il loro “approccio” alla guida.
Si parla della sicurezza stradale nei termini della
riduzione/eliminazione degli incidenti stradali. La sicurezza stradale
verrà realizzata compiutamente quando si arriverà al dato statistico
“incidenti, morti, feriti: zero!”. È il concetto di “Vision Zero” che sta
spopolando nel nord Europa. Ma della qualità non si parla. Che tipo di
vita si vive, a prescindere dall’incidente? Il discrimine non può essere
semplicemente tra un prima ed un dopo l’incidente. Il fulcro del nostro
interesse non può essere l’incidente, ma la qualità della vita del singolo
e della collettività.
Il problema è dato dal fatto che le statistiche misurano solo gli
incidenti e non ci dicono niente di ciò che avviene al di sotto di questa
soglia, del quasi-incidente; dei gesti compiuti durante la guida, gesti
che si propongano per imitazione; dell’inquinamento emotivo
immesso nel sistema durante la guida; oppure dell’acquisizione di una
capacità di trasformazione dello stress della guida nel traffico in
un’occasione di crescita individuale e collettiva; del valore aggiunto, in
termini di manutenzione e benessere delle relazioni sociali, che alla
fine di una giornata è stato creato, oppure no.
131
Muoversi in una rete stradale, interagendo di continuo con altre persone,
ognuna all’interno di un veicolo comandato meccanicamente. Variabilità
repentina delle condizioni al contorno. Una continua gestione delle
informazioni che arrivano. La reazione di chi guida deve essere fredda e
razionale: non proprio un compito facile…
Quella dell’ambiente strada è la migliore immagine che io conosca –
la metafora stessa – del concetto di complessità, quindi imprevedibile
per definizione. Questo perché le variabili in gioco sono davvero tante,
troppe per poterle tenere tutte sotto controllo e soprattutto per tenere
sotto controllo la loro interazione.
Questa è la strada: un ambiente ibrido, umano e non umano allo
stesso tempo. Un concetto che il sociologo John Urry, nella sua
relazione “Inhabiting the Car” 31 , esemplifica con l’espressione
“automobility”, condensando in essa sia un aspetto di libertà ed
autonomia, che un aspetto di coercizione ed automatismo.
***
31 Unesco International Conference, Universidade Candido Mendes, Rio de Janeiro,
May 2000.
132
30. Sicurezza ed educazione stradale a
scuola
Quando io andavo a scuola (parliamo degli anni ’80 e primi anni
’90), l’educazione stradale era semplicemente una non-materia. O
meglio, era una materia sulla quale io e i miei coetanei siamo stati degli
autodidatti: abbiamo imparato a “stare attenti alle macchine” andando
a scuola a piedi o girando il pomeriggio in bicicletta per le strade. È
anche vero che le auto erano condotte forse in modo più attento dai
conducenti; non c’erano SUV minacciosi in circolazione, e i
comportamenti di tutti erano responsabili. Ma forse questa è solo una
mia impressione.
In ogni caso, i primi “insegnamenti” veri e propri di educazione
stradale sono arrivati solo con l’inizio della scuola guida, a 17 anni (per
quanto i “motorini” e la Vespa erano abbondantemente usati già dai
ragazzi di 15 anni e anche meno).
Oggi le cose vanno meglio: a scuola si fa effettivamente educazione
stradale, anche se in modo disomogeneo e sicuramente migliorabile.
Nelle scuole francesi, ad esempio è in vigore da più di 20 anni un
vero e proprio programma scolastico di educazione stradale, molto
ben studiato. Secondo il programma francese, alle elementari si
istruiscono i bambini su come si devono comportare da pedoni, alle
medie su come si devono comportare con il motorino e a 16 anni su
come dovrebbero comportarsi da automobilisti.
L’educazione stradale è alla base della sicurezza stradale. I ragazzi
delle scuole devono essere profondamente coinvolti nello studio delle
regole e dei rischi della strada, a partire dalle scuole elementari e
durante l’intero ciclo di studi32.
32 Ecco alcuni tra i più interessanti siti italiani dedicati all’educazione stradale, con
interessanti risorse per i docenti e stimolanti esercitazioni per i ragazzi. • www.educazionestradale.net, ottimo per ragazzi di elementari e medie;
133
Ma è importante anche studiare adeguate misure di
sensibilizzazione dei giovani, ad esempio facendo sì che siano essi
stessi i soggetti che producono e diffondono i messaggi, magari
usando mezzi come social network e siti multimediali (come YouTube)
per aumentare l’efficacia del messaggio rivolto ai loro coetanei. Questo
tipo di attività è in effetti ben fattibile con i ragazzi della scuola
secondaria, che possono essere ad esempio coinvolti nella
realizzazione di una serie di prodotti video con la tecnica del
cosiddetto “marketing virale”.
Anche per chi usa lo scooter o la moto i progetti oggi non mancano.
Spesso consistono in corsi di prove pratiche di guida, e coinvolgono
ragazzi e ragazze delle scuole medie inferiori e superiori, in età
prossima all’acquisizione del cosiddetto “Patentino”, indispensabile
per la guida di un ciclomotore. Queste iniziative vengono sostenute
anche da enti pubblici e da associazioni ed aziende del settore, che
effettuano un’attenta verifica sugli effetti dei corsi di guida sicura nei
confronti degli utenti.
Sono molto utili anche i progetti rivolti a tutti i giovani che stanno
per prendere la patente, che consistono in corsi appositi, organizzati
direttamente nelle autoscuole convenzionate, in cui illustrare tutte le
tecniche e i comportamenti corretti alla guida nell’ottica di
sensibilizzare gli allievi riguardo la delicata questione del rispetto
ambientale. Ai futuri guidatori viene illustrata l’importanza di guidare
cercando sempre di tenere un comportamento che tenga conto del
contenimento dei consumi e delle emissioni, e vengono date lezioni
tecniche sul funzionamento di vari sistemi elettronici (ad esempio
come lo Start&Stop, che spegne e riavvia il propulsore quando ci si
trova in sosta).
In ogni caso, che si tratti di materia di normale insegnamento
scolastico o di iniziative prese dai singoli istituti, occorre procedere a
sensibilizzare i ragazzi quanto più è possibile in merito a come ci si
deve comportare sulla strada. Anche questo rientra nei compito
principale della scuola: quello di formare cittadini.
• www.educazione-stradale.org, con risorse per tutti (dalle materne alle
superiori); • www.educazionestradale.it, adatto a chi è alle prese con la patente ed agli
adulti.
134
31. Educazione stradale: il progetto
SicuraMENTE
Intervista a Laura Tamburini
L’insegnamento dell’educazione stradale nelle scuole costituisce
una delle misure più efficaci per combattere ed arginare il problema
degli incidenti. Le forme attraverso cui questo insegnamento può
esplicarsi sono tante e diverse, ed alcune risultano essere
particolarmente in grado di suscitare l’interesse dei ragazzi e di
favorire quindi l’apprendimento dei principi della materia.
Laura Tamburini, nel ruolo di coordinatore di progetto per l’Ufficio
Scolastico Regionale per il Friuli Venezia Giulia, ci illustra
caratteristiche e potenzialità del progetto di educazione stradale
“SicuraMENTE”.
***
L’educazione stradale nelle scuole costituisce innegabilmente un
importante elemento di formazione dei ragazzi, non solo per quanto riguarda
la sicurezza in strada (propria ed altrui), ma anche per la loro crescita sociale.
Il vostro progetto introduce nell’ambito della formazione sull’educazione
stradale molti elementi innovativi, prendendo spunto dalle esperienze olandesi
(progetto PLON). Quale è stata la genesi del progetto? In cosa consiste
l’innovazione introdotta dal progetto PLON?
Nel 2008, come Ufficio Scolastico Regionale per il Friuli Venezia
Giulia, abbiamo pensato di realizzare un progetto di educazione alla
sicurezza stradale che fosse veramente diverso dai soliti interventi
riguardanti le classiche regole del Codice della strada, e che potesse
interessare e coinvolgere i docenti (e quindi i loro alunni) proprio
135
perché basato su un approccio originale. In questo siamo stati
coadiuvati dall’Unità di Ricerca in Didattica della Fisica dell’Università
degli Studi di Udine.
Nella progettazione di questo intervento pluri-disciplinare ci siamo
ispirati al progetto olandese PLON 33 , approdato negli anni 90 ad
Utrecht quando si ricercavano forme innovative per l’insegnamento
delle scienze fisiche (disciplina che risentiva di una caduta d’interesse),
e si è occupato dello sviluppo di unità didattiche in fisica attraverso lo
studio di questioni tecnologiche e sociali. Esso nasce come proposta
inserita nella linea dei progetti formativi che la ricerca didattica, a
partire da quegli anni, ha sviluppato utilizzando strategie innovative
che integrano tecnologia e scienza.
Il progetto PLON fu appoggiato dall’allora ministero olandese per
l’educazione, e fu pubblicato in 31 unità didattiche adottate a partire
dal 1990 nell’ambito delle istituzioni scolastiche olandesi. Tra le unità
didattiche che costituiscono la sua struttura compare in particolare
il modulo Traffic and Safety, dedicato all’analisi di problematiche
scientifiche correlate al traffico e anche alla sicurezza stradale.
La novità pregnante del nostro progetto, che abbiamo chiamato
“Educazione stradale come educazione alla cittadinanza e alla cultura
scientifica”, è infatti proprio la trasversalità disciplinare: abbiamo
trattato tematiche di educazione stradale e gli argomenti di fisica
collegati a queste, ma anche quelli di psicologia, come la percezione e
l’attenzione e, più in generale, le regole sociali di cittadinanza.
Con questo progetto abbiamo quindi cercato di rispondere alla
necessità di diffondere, fin dalla scuola del primo ciclo, le importanti
nozioni inerenti l’educazione stradale, riproponendoci però nel
contempo di sviluppare negli alunni quel senso civico che deve
accompagnare il cives durante l’intero arco della vita e in tutti gli
ambiti d’azione, tramite l’individuazione di quelle competenze
trasversali di cittadinanza che fanno parte di una cultura della salute
nella sua accezione più ampia, cioè intesa in senso fisico, psichico e
relazionale/sociale.
Quali sono le caratteristiche generali del vostro progetto (attori coinvolti,
moduli didattici, esperienze di laboratorio, ecc.)?
33 Lijnse, Hooymayers 1988.
136
L’obiettivo principale del progetto è stato ed è quello di
sperimentare momenti di formazione che, in un articolato e variegato
percorso di ricerca-azione, assieme alla riflessione su aspetti
psicologici, sociali e culturali e ad attività laboratoriali basate
sull’esplorazione fenomenologica, ha condotto alla redazione di
proposte didattiche modulari pre-sperimentate nelle classi.
Il progetto è stato rivolto nella sua fase pilota agli insegnanti delle
scuole primarie e secondarie della provincia di Trieste. Abbiamo
inoltre inserito un percorso di peer education tra alunni delle medie e
della primaria. Il nostro progetto infatti è stato integrato all’interno di
un più ampio progetto triennale di educazione alla sicurezza stradale
denominato “SicuraMENTE”, che l’Ufficio Scolastico Regionale,
assieme alla Regione Friuli Venezia Giulia, propone alle scuole di ogni
ordine e grado della regione.
Gli obiettivi principali di questa iniziativa, oltre alla promozione
dell’educazione alla sicurezza stradale e alla diffusione della cultura
alla sicurezza fin dalla scuola del primo ciclo – che già guidavano il
progetto dell’USR degli anni scorsi – sono quelli di comprendere gli
atteggiamenti dei bambini e ragazzi nei confronti delle protezioni dal
rischio stradale, capire il significato che per loro riveste il rischio ed
infine indagare la percezione di gravità ad esso collegata a livello
autoriferito, prossimale e distale, favorendo comportamenti
responsabili tramite strategie comunicative adeguate a favorire la
consapevolezza individuale sui fattori protettivi della salute (life
skills).
Alle azioni rivolte al primo ciclo si affiancano per alcune scuole
superiori del Friuli Venezia Giulia la realizzazione di un “Concorso
d’idee” per una campagna tipo pubblicità-progresso da parte delle
classi seconde e quarte con la creazione di un ipertesto, un video, una
serie di depliant e locandine, un gioco da tavolo, ecc., sulle tematiche
delle regole stradali e della percezione del rischio, rivolto a coetanei
e/o a ragazzi più giovani. I progetti verranno giudicati da esperti, ma
anche dai ragazzi che useranno i materiali progettati.
In che modo il progetto dell’USR e successivamente la parte del più ampio
progetto “SicuraMENTE” rivolta al primo ciclo scolastico, si interfaccia con
l’apprendimento e l’applicazione delle materie scientifiche (come ad esempio la
137
fisica e lo studio della percezione)? In cosa consistono le attività teoriche e
quelle pratiche?
Nella progettazione delle proposte didattiche ci siamo proposti di
promuovere una conoscenza scientifica – della fisica in modo specifico
– non statica e definitiva, ma nella prospettiva di una progressiva e
continua evoluzione, da utilizzare come mappa per imparare a
investigare i problemi ed a risolverli in modo creativo. E componenti
importanti nella costruzione della conoscenza scientifica sono
costituite indubbiamente dall’esplorazione sperimentale e dal
coinvolgimento personale nella interpretazione dei fenomeni fisici.
Proponiamo per il momento tre diversi blocchi di attività tendenti ad
introdurre al bambino e al ragazzo l’analisi di problematiche
scientifiche costantemente correlate al traffico e alla sicurezza stradale.
Il primo riguarda la reazione umana e la misura dei tempi – studio
del moto: dai concetti di sistema di riferimento e rappresentazione del
moto si passa ai principali nuclei tematici della cinematica, con
particolare riferimento alla misura del tempo e ai tempi di reazione ad
uno stimolo. Il secondo riguarda incidenti stradali, urti e quantità di
moto: si affrontano i processi d’urto e si vede come questi dipendano
dalla velocità e dalla massa dei veicoli. Il terzo infine riguarda attrito e
dinamica (moto, curve, tenuta del mezzo sull’asfalto): si trattano le
situazioni in cui le ruote perdono aderenza sulla strada, affrontando il
concetto di attrito nelle diverse tipologie, le grandezze fisiche da cui
dipende e le leggi che lo regolano.
Quale è stata la “risposta” degli alunni di fronte a questo approccio? È
possibile valutare i risultati di questa metodologia innovativa rispetto alle
tradizionali lezioni di educazione stradale?
L’impatto di questo approccio sugli alunni è stato da subito molto
positivo, ed ha prodotto sicuramente un coinvolgimento emotivo e
una curiosità maggiori di una tradizionale lezione. Per esempio, nella
ricerca pilota che abbiamo svolto sulla possibile correlazione tra
percezione del moto e apprendimento, la consapevolezza che il nostro
sistema visivo applichi nell’organizzazione percettiva delle traiettorie
principi analoghi a quelli che stanno alla base della fenomenologia
fisica, ha sviluppato, sia nei bambini della primaria che nei ragazzi
138
delle medie coinvolti, notevole interesse ed un’attenzione particolare
verso tematiche fondamentali della meccanica, che molto spesso
vengono considerate ostiche e prive di fascino dagli studenti.
Un limite della didattica tradizionale delle scienze fisiche consiste
proprio nel fatto di dare poco risalto alla multi-rappresentazione e, nel
caso dello studio di configurazioni cinetiche analoghe a quelle
prodotte dai fari delle automobili in movimento , notevoli sono le
difficoltà che si riscontrano nel passare dalla descrizione globale (che
contiene l’informazione totale) a diverse rappresentazioni o “punti di
vista” del medesimo moto.
Anche se una valutazione completa e globale di questo approccio ai
temi della sicurezza stradale è ancora prematura, nel complesso si può
affermare che tale sperimentazione ha dimostrato esiti educativi
didattici positivi per tutto il campione (dalla scuola primaria alla
secondaria di primo grado), anche superiori alle aspettative.
Un progetto così articolato e complesso presenta sicuramente numerosi
elementi critici, di cui occorre tener conto nella giusta misura per garantirne
il successo. Quali sono i rischi di insuccesso e le criticità connesse
all’applicazione del progetto? Quali invece i punti di forza ed i fattori di
riuscita?
Un punto critico di qualunque progetto nel mondo della scuola è la
difficoltà, legata anche alla scarsità di fondi dedicati, per diffondere e
far conoscere i contenuti e i risultati del progetto stesso a un numero
sempre più elevato di docenti, che possano a loro volta sviluppare e
migliorare i moduli e le unità didattiche proposte. Tali docenti vanno
infatti seguiti, supportati e anche incentivati nel tempo. Molto spesso
però diversi progetti partono con i migliori propositi, ma vengono
abbandonati in corso d’opera, perché altre sono le priorità di quel
momento.
Personalmente sono fiduciosa sul fatto che l’innovativa
trasversalità disciplinare che proponiamo, opposta a una sterile e
obsoleta settorialità, possa incrementare il successo del progetto sia nei
confronti dei docenti che degli allievi e delle loro famiglie.
Ovviamente, le tematiche proposte andranno sviluppate e adattate alle
diverse realtà territoriali nelle quali gli interventi progettuali verranno
139
proposti, proseguendo in un continuo e attento percorso di ricerca-
azione.
L’attuale contesto socio-economico è purtroppo caratterizzato da crescente
scarsità di fondi da destinare al mondo della scuola. Come si può riuscire ad
implementare un valido progetto di educazione stradale, pur in condizioni di
risorse limitate?
Purtroppo i fondi destinati in generale alla scuola attualmente non
sono molti. Però, fortunatamente, nel campo dell’educazione alla
sicurezza stradale qualcosa ultimamente è cambiato in positivo. Va
evidenziato infatti che in Italia gli incidenti sulla strada costituiscono la
prima causa di morte per la popolazione di età inferiore ai 40 anni e
circa un terzo dei decessi riguarda i giovani tra i 15 ed i 29 anni. Tale
fenomeno, gravissimo, è stato purtroppo avvertito come un problema
pubblico solo negli ultimi anni, dopo essere stato a lungo considerato
solamente una fatalità casuale e ineluttabile.
Le istituzioni si stanno rendendo quindi conto che si tratta di un
problema sempre più grave, che va affrontato concretamente e con
convinzione, prendendo a modello altri paesi europei “virtuosi” in
tale campo (penso all’Inghilterra, all’Olanda, alla Germania). E ciò va
affrontato a tutti i livelli, a cominciare dalla scuola. Speriamo che per il
futuro tale sensibilità per la diffusione della didattica della sicurezza si
rafforzi, permettendo di costituire un sistema istituzionale sempre più
ampio che possa incidere con interventi efficaci e duraturi
nell’educazione dei giovani.
Quali sono, infine, le linee di evoluzione del progetto? E’ possibile inoltre
pensare anche ad una sua concreta diffusione nel resto delle regioni italiane?
Ci spero veramente. Fondamentale nella scuola è la diffusione
capillare delle buone pratiche, che possono costituire dei “format”
replicabili o anche solo degli spunti a disposizione dei docenti che, in
base alla loro diversa formazione ed esperienza, possono modificare e
adattare al loro contesto scolastico.
***
140
32. Il teatro per l’educazione stradale
Intervista a Pasquale Vaira
L’educazione alla sicurezza stradale per i bambini ed i ragazzi delle
scuole è uno dei principali metodi per far acquisire fin da piccoli la
giusta cognizione dei rischi e dei pericoli della strada. Tra le diverse
iniziative che sono recentemente nate in tal senso merita sicuramente
approfondire quella della compagnia teatrale Circusbandando 34 di
Pasquale Vaira, che insegna la sicurezza stradale ai bambini attraverso
lo spettacolo “Quanta fretta, ma dove corri?”. Vediamo con lui di cosa si
tratta.
***
L’uso della forma teatrale a scopo educativo nel campo della sicurezza
stradale per i bambini è sicuramente un modo molto originale di affrontare il
problema. Come è nata questa iniziativa?
L’iniziativa nasce all’interno della nostra atipica esperienza teatrale,
che potrebbe essere definita un teatro sociale/educativo/divertente
per bambini. Infatti, la Compagnia familiare Circusbandando, realizza a
partire dal 1995 spettacoli che affrontano argomenti di grande
attualità (i rifiuti e la raccolta differenziata, il libro e la lettura,
l’intercultura e la società multietnica, il cibo e l’alimentazione, il corpo
umano, lo sport…) unendo in modo originale e quindi fantasioso ma
estremamente efficace la dimensione educativa al divertimento ed
all’allegria.
34 Teatro per bambini di Paco Paquito e Celestina (nella vita Pasquale Vaira e Giulia
Villa) - www.circusbandando.com.
141
Abbiamo subito avuto un certo successo con continue chiamate da
scuole, assessorati, rassegne teatrali, biblioteche, associazioni culturali,
librerie, sagre di paese e quant’altro; ovunque ci fossero bambini al
centro dell’attenzione. L’aspetto educativo sta sia nella scelta degli
argomenti, sia nel messaggio che ne deriva, sia nel coinvolgimento dei
bambini che diventano veri e propri protagonisti delle
rappresentazioni. L’allegria è nella trattazione dell’argomento: tanta
musica registrata e dal vivo, canto, danza, l’arte della clownerie, un
gioco corporeo pieno di cadute, piccole acrobazie e piroette nonché
tutti gli attrezzi del più puro divertimento circense come il monociclo i
trampoli, le palline, i palloni e mille altri oggetti presi anche dalla vita
quotidiana. Importanza particolare riveste poi la scenografia con
fondali anche molto molto grandi disegnati a mano. Qualcosa di una
altra epoca, di un altro mondo… qualcosa che meraviglia, affascina e
colpisce a fondo.
In cosa consiste lo spettacolo? Per quale fascia di età è maggiormente
adatto?
“Quanta fretta! Ma dove corri?” è nato nel 2005. E’ adatto, come tutti
gli spettacoli di Circusbandando, sia ai bambini della la Scuola
Primaria (ex Elementare) sia a quelli dell’Infanzia (ex materna).
Chiaramente i più grandi di 9, 10 e 11 anni vivono lo spettacolo in
modo diverso da quelli più piccoli di 6, 7 e 8 come anche, in maniera
ancora diversa lo vivono i più piccini di 3, 4 e 5. Insomma… ciascuno
lo vive per la sua età, la sua cultura, la sua sensibilità, ma è chiaro che
tutti si divertono un mondo e capiscono il messaggio di fondo:
l’importanza di conoscere rispettare le norme del codice della strada.
Lo spettacolo, con una scenografia molto molto intrigante piena di
segnali stradali, semafori, caschi, oggettistica varia con strane biciclette
e pneumatici di diverse dimensioni, è infatti un susseguirsi di
situazioni educative e divertenti che, ruotando intorno alla segnaletica,
toccano un po’ tutto il mondo dello spostamento e quindi le
automobili, il meccanico, il traffico, la velocità, i vigili, la bicicletta,
il passeggiare, ecc.
Non mancano, all’interno del canovaccio, originali riferimenti alla
letteratura infantile ed alla cultura classica in generale (da Pinocchio
142
all’invenzione della ruota ai primi anni dell’automobile ad altro
ancora….). Non solo. C’è una ricchissima colonna sonora, sia
con brani celebri (da “Si! Viaggiare“ di Lucio Battisti a “Bellezza in
bicicletta” di Mina, da “Nuvolari” di Lucio Dalla a “La topolino
amaranto”di Paolo Conte), sia brani originali di Paco Paquito ed in
particolare due canzoni, una dedicata alle strisce pedonali e l’altra
dedicata alla velocità e quindi alla fretta ovvero alla disattenzione, alla
mancanza di concentrazione nella guida, all’aggressività, ecc.
Quali sono le modalità con cui presentate lo spettacolo? Chi sono i soggetti
che vi contattano (es. scuole, Comuni, associazioni, ecc.)?
Lo spettacolo ha avuto decine e decine di repliche effettuate in
diverse regioni d’Italia. Ci chiamano le scuole, le rassegne teatrali e poi
moltissimo le Polizie municipali, le Segreterie Aci, gli assessorati alla
mobilità ed al traffico. Lavoriamo un po’ ovunque, sia in spazi coperti
che all’esterno: saloni, palestre, palazzetti dello sport, auditorium,
teatri veri e propri, parchi, piazze, ecc.
Lo spettacolo piace molto sia ai bambini che agli adulti. Proprio
perché tutto è molto semplice e a portata di bambino, ci viene spesso
chiesto di presentarlo anche per più anni consecutivi spesso al termine
o durante i corsi di Educazione Stradale che le varie Polizie municipali
portano avanti nelle scuole. E succede che dove i corsi sono ben
organizzati ci chiamino per più anni di seguito proprio per far vivere
ai bambini (che ogni anno cambiano) l’atmosfera di allegria e grande
partecipazione. A volte sono presenti anche i genitori, cosa molto
importante, perché poi sono i veri e propri destinatari (attraverso i
bambini) del messaggio dello spettacolo.
Avete riscontrato nei bambini dei “preconcetti” e delle convinzioni
sbagliate in merito al rischio di incorrere in incidenti stradali? Quali sono a
vostro avviso i concetti su cui occorre maggiormente insistere per migliorare
la loro percezione dei pericoli della strada?
Ci sembra di poter dire che i bambini vivano la strada in generale
in relazione alla cultura familiare o anche ai modelli comportamentali
dell’area in cui vivono. Il giallo del semaforo per esempio spesso in
Toscana vuol dire fermarsi perché arriva il rosso, mentre in Lombardia
143
(e specificatamente nell’area milanese) vuol dire “accelerare”,
naturalmente sempre perché sta per arrivare il rosso.
La conoscenza ed il rispetto delle regole è comunque un discorso
che funziona abbastanza presso i bambini, ed in questo abbiamo
constatato come possano essere dei buoni ambasciatori di un modo
diverso di guidare presso gli adulti loro vicini. Noi troviamo che
spesso la linea politica generale è sì quella della sicurezza stradale, ma
più nel senso “antidelinquenziale” e punitivo (vedi la repressione per
l’alcool, l’utilizzo di espressioni come “pirata della strada” ecc.) che
non nel modificare una normale e generale disattenzione che nel non
rispetto delle strisce pedonali trova al massimo la sua espressione più
forte e radicata.
Le strisce pedonali, dove rispettate in modo ferreo (come accade in
diversi paesi stranieri), cambiano il modo sia di guidare sia di vivere la
strada per il pedone, e questo cambia poi in qualche modo la serenità
generale di un’area, di un quartiere ecc. A questo i bambini, come tutte
le persone deboli, sono molto sensibili, e noi nei nostri spettacoli lo
rimarchiamo in maniera forte ed inequivocabile.
Sarebbe interessante inserire organicamente questo tipo di attività nei
programmi di educazione stradale nelle scuole materne ed elementari. Con
quali modalità potrebbe essere implementata con efficacia una iniziativa di
questo tipo?
Ci sembra che piano piano, seppure con notevole ritardo, i corsi di
Educazione Stradale siano ormai presenti un po’ dappertutto, anche se
non ancora in modo capillare e con i mezzi economici necessari.
Avendo più risorse, iniziative come il nostro spettacolo potrebbero
essere proposte con più frequenza un po’ ovunque per poter far
passare il messaggio nella maniera migliore: l’educazione unita al
divertimento. E questa, avendo a che fare con i bambini, è una strada
fondamentale da seguire. Quindi, per andare avanti e così migliorare
la cultura della sicurezza stradale nel senso più ampio del termine,
occorrono certamente più fondi, ma anche capacità organizzative nelle
singole diverse situazioni per creare una continuità di lavoro che
accompagni i bambini dalla scuola dell’Infanzia alle superiori.
***
146
Abbiamo parlato del contesto in cui ci troviamo, di come ci siamo arrivati e di
quali misure si possono prendere per rendere la mobilità migliore di come è
oggi: più gradevole e più sicura per ognuno di noi.
Le misure viste sono di tipo diverso e coprono differenti aspetti della
questione. Il problema è infatti complesso, e va affrontato (e risolto!)
affrontandolo da diversi punti di vista. Gli interventi che abbiamo visto non
sono certo fattibili a costo zero, ma neanche con sforzi insostenibili. Occorre
sicuramente spendere una parte delle nostre risorse economiche, ma il prezzo
da pagare è senza dubbio sostenibile e giustificato.
Prima delle conclusioni vale la pena fare però qualche riflessione su come
vengono investiti i nostri soldi (raccolti attraverso le tasse) quando si parla di
mobilità e trasporti. E vedere poi quale può essere la migliore strada da
seguire.
147
33. Gestire il traffico con la pianificazione
Il sistema dei trasporti (strade, ferrovie, ecc.) ha una capacità che,
per quanto ampia possa essere, è pur sempre limitata, e va in crisi
facilmente - e con effetti disastrosi - se la pressione è eccessiva. La
soluzione al problema del traffico stradale (come pure allo scarso
livello di servizio del trasporto ferroviario per i pendolari), quindi, non
va cercata solo dal punto di vista del potenziamento del sistema dei
trasporti (cioè dell’offerta). Possiamo continuare a costruire strade
all’infinito, ma se la pressione è alta esse si congestioneranno in breve
tempo.
Occorre allora intervenire anche dal punto di vista della domanda,
cioè sul numero e sulla destinazione degli spostamenti che vengono
generati. Gli aspetti legati alla pianificazione integrata dei trasporti e
del territorio assumono così una importanza fondamentale.
Occorre interrompere le politiche urbanistiche che portano ad una
separazione netta e forzata delle funzioni (e al conseguente
distanziamento dei luoghi di residenza, lavoro, studio, svago,
commercio, ecc.), e riportare le stesse nell’ambito di ogni quartiere.
Questo, almeno, è quello che andrebbe fatto in teoria.
Nella pratica, questi interventi non sono attuabili in tempi rapidi,
quantomeno laddove il territorio è ormai fortemente urbanizzato e
questa separazione delle funzioni è consolidata ed irrigidita da
decenni di politiche miopi e distratte. L’inversione di tendenza però è
fattibile da subito, anche (e anzi, con maggiore urgenza) laddove
questi problemi sono più sentiti, come nel caso delle grandi metropoli.
Non mancano certo gli esempi positivi: uno dei più famosi è il caso
della città tedesca di Friburgo, nella quale politiche integrate di
mobilità sostenibile e di recupero degli spazi urbani hanno portato in
148
pochi anni ad un reale miglioramento delle condizioni di vita dei
cittadini, fino a pervenire alla realizzazione di “quartieri senz’auto”,
come Vauban (abitato da circa 5.000 persone), dove il 70% delle
famiglie di Vauban non possiede automobili e il 57% ne ha venduta
una per venire a viverci. Qui l’uso dell’auto non è brutalmente
“vietato”, ma viene reso semplicemente “superfluo”, e si rendono le
periferie più compatte ed accessibili al trasporto pubblico, riducendo
lo spazio per i parcheggi. I negozi, ad esempio, vengono disposti su
una via principale per essere facilmente raggiungibili a piedi (e non
concentrati in un lontano centro commerciale accessibile solo in auto).
E per gli spostamenti più lunghi si fa uso del car-sharing.
Il problema del traffico e della congestione stradale (ma anche del
sovraffollamento dei treni) non si risolve quindi solo intervenendo con
nuove strade, nuovi parcheggi, nuove ferrovie (per quanto l’aumento
dei servizi di trasporto collettivo – treni ed autobus – sia comunque da
preferirsi alla costruzione di nuove strade nel momento in cui si
investono dei soldi pubblici nel sistema dei trasporti), ma anche con
una azione di pianificazione territoriale ed urbanistica intelligente ed
adeguata.
I cittadini devono però essere informati di come la loro città ed il
loro territorio sia un contesto che non è fisso ed immutabile, ma che
anzi può essere molto migliorato se le amministrazioni prendono le
giuste decisioni,
influendo in positivo sulla qualità della loro vita molto di più di
quanto non si possa ottenere costruendo opere “grandi”, grosse e
costose ma dalla dubbia utilità (tipo un nuovo ed inutile tunnel
ferroviario tra Italia e Francia o un enorme ponte sullo stretto di
Messina).
149
34. Quali sono le vere “Grandi Opere”?
Qualche tempo fa ho letto su lavoce.info un interessante articolo di
Andrea Boitani (esperto in politiche dei trasporti), il quale ragionava di
grandi opere e di interventi più o meno utili ed urgenti per affrontare
le attuali esigenze infrastrutturali ed economiche. Riassumendone il
contenuto, le proposte in tema di infrastrutture e trasporti riguardano
un insieme di interventi realizzabili rapidamente ma dagli effetti
duraturi. Ad esempio, accantonare definitivamente l’idea del ponte
sullo Stretto di Messina (che puntualmente compare e scompare sui
tavoli politici ormai da decennia) e concentrare invece risorse stanziate
su un ampio programma di manutenzioni straordinarie degli edifici
scolastici e di riassetto del territorio in Calabria e Sicilia.
Allo stesso modo, rivedere in generale il programma delle “grandi
opere”, concentrando l’80 per cento delle risorse finanziarie disponibili
al completamento accelerato delle più rilevanti opere avviate,
dichiarando al contempo quelle che non si intende completare (purché
ciò che già esiste sia utilizzabile).
E ancora, acelerare la revisione degli accordi bilaterali sul traffico
aereo, in modo da favorire l’ingresso di nuovi vettori nei collegamenti
intercontinental; varare un piano di incentivi economici per gli enti
locali che procedano effettivamente alla liberalizzazione dei servizi di
trasporto locale (inclusi quelli ferroviari), abrogare le norme che
consentono agli enti locali di evitare le procedure di gara anche nel
campo dei servizi ferroviari regionali ed infine smantellare la holding
Fs, separando definitivamente i destini di Rfi da quelli di Trenitalia,
per garantire la piena terzietà del gestore dell’infrastruttura ferroviaria
rispetto ai gestori dei servizi.
La discussione che i lettori hanno aperto a seguito di queste
proposte è stata molto variegata. Le posizioni manifestate possono
essere raggruppate come segue.
150
Alcuni hanno manifestato aperto scetticismo rispetto alla fattibilità
del piano proposto, anche a causa delle pressioni “interessate” di vari
soggetti che potrebbero avere più facilità ad entrare nel business del
ponte sullo Stretto di Messina (ad esempio) che in una miriade di
“piccoli” lavori. Altri hanno evidenziato la necessità di insistere sulla
ristrutturazione dei costi del trasporto pubblico locale (sia
automobilistici che ferroviari), evitando di sovvenzionare treni ed
autobus per servizi poco efficienti. Altri ancora hanno apprezzato la
proposta, e suggerito ulteriori elementi migliorativi (es. migliori
collegamenti tra gli aeroporti e le stazioni ferroviarie, stesura e
implementazione di un piano nazionale per la messa in sicurezza del
territorio, privatizzazione effettiva dei servizi ferroviari e non solo di
facciata).
Non è mancato chi è contrario alla proposta di effettuare le
liberalizzazioni, per via del temuto rischio di generare nuovi
“carrozzoni” a seguito dello scorporo di reti e gestori dei servizi, con il
rischio di nuovi sprechi ed inefficienze. È emersa anche la convinzione
della necessità di realizzare le grandi opere con il project financing, in
modo che i privati paghino la realizzazione delle strutture e ne
percepiscano poi i ricavi. Infine, si è evidenziata la necessità di
rivedere la questione legata alle coperture economiche
(indipendentemente dalla “grandezza” delle opere”), per evitare il
rischio di restare senza soldi a metà della costruzione o di non ottenerli
poi dall’utilizzo della struttura.
Tornando alle proposte originarie, ritengo pienamente condivisibili
i punti riguardanti la gestione delle grandi opere. Per quanto riguarda
invece la liberalizzazione dei servizi ferroviari, in linea di principio
intervento ragionevole, è da segnalare il rischio che una
liberalizzazione imperfetta e mal gestita possa portare ad un
peggioramento dei servizi. Certo è che la situazione esistente non va
comunque bene e deve essere migliorata, in un modo o nell’altro. La
separazione del gestore dell’infrastruttura da chi offre il servizio di
trasporto deve inoltre essere netta e regolata in modo trasparente.
In generale,
151
è importante analizzare bene e con grande livello di dettaglio
l’opportunità di iniziare investimenti relativi a opere che richiedono
molti anni per essere realizzate,
in modo da capire bene non solo il loro costo, ma anche i benefici
che, eventualmente, si riusciranno ad avere al termine della
realizzazione (sperando che tutto proceda liscio e senza intoppi).
Peraltro, è d rilevare come spesso manchino le risorse per realizzare
tutto in una volta le opere ritenute prioritarie, e si proceda per “lotti
costruttivi”. Questo vuol dire che, ad esempio, si costruisce una strada
un pezzo per volta, ma senza poter usare i tratti già costruiti fino a
quando tutta la strada non sarà completa. E quindi, si potrebbero avere
continue interruzioni nei lavori a causa della scarsità dei fondi, con il
rischio di non completare mai l’opera o di completarla dopo molti
anni. Sarebbe meglio quindi progettare e realizzare ogni grande opera
per fasi successive (cioè per “lotti funzionali”), in modo da realizzare
pezzi di infrastruttura che possono essere aperti uno dopo l’altro, in
funzione della necessità e della sicurezza di avere le risorse
economiche, senza correre il rischio di restare con cantieri aperti e
opere inutilizzabili.
In alcuni casi le opere da realizzare sono “piccole”: hanno costi
bassi e tempi di realizzazione ridotti, ma i benefici sono immediati. È il
caso ad esempio delle rotatorie, spesso utilizzate per sostituire i
semafori e migliorare la sicurezza degli incroci35. Si tratta di un ottimo
esempio per comprendere come si possono ottenere molti benefici con
interventi rapidi e dal basso costo (e magari “reversibili”).
Alcune opere sono invece molto controverse proprio in quanto
richiedono una grande quantità di denaro pubblico (che i cittadini
raccolgono tutti insieme attraverso le tasse), ma presentano incertezze
e dubbi sui tempi di realizzazione e sui benefici che si avranno.
È il caso, ad esempio, del discusso progetto di realizzare un ponte
sullo Stretto di Messina o del traforo ferroviario in Val di Susa.
Cerchiamo di capirne di più.
35 La riduzione dei punti di conflitto e la riduzione della velocità in avvicinamento
riducono il rischio e la gravità degli incidenti. L’eliminazione dei tempi morti (“di rosso”) aumenta la funzionalità dell’incrocio e riduce le code. La marcia più regolare fa diminuire la rumorosità e la quantità di gas di scarico prodotti rispetto agli incroci con semaforo.
152
35. Il problema dello Stretto di Messina è il
traffico… o forse no.
Le polemiche sul progetto di costruire un ponte sullo Stretto di
Messina vanno e vengono a fasi alterne, ormai da molti decenni.
Cerchiamo di capire:
davvero il problema dello Stretto di Messina è il traffico? Se così
fosse, avrebbe senso - forse - spendere miliardi di euro per costruire un
ponte… ma in realtà i dubbi sono tanti, e i soldi sono pochi.
Cerchiamo di capire quali sono i rischi ed i benefici connessi a
questa idea di progetto.
Una delle voci più critiche in proposito è quella di Mario Tozzi36,
che ha più volte espresso la sua contrarietà al progetto. Egli evidenzia
come la realizzazione del ponte sia rischiosa dal punto di vista sismico
e da quello idrogeologico. Infatti, non solo il territorio è interessato da
numerose frane su entrambi i versanti (messinese e calabrese), ma tali
frane sono anche del tipo “a scivolamento profondo”, che potrebbero
addirittura interessare il pilone di sostegno di Cannitello (una frazione
nel Comune di San Giovanni). Il rischio sismico inoltre è elevatissimo,
e non sanato, dal momento che nessuno di quei paesi ha più del 25% di
costruzioni antisismiche.
D’altra parte, consideriamo che nel mondo non esistono neanche
ponti sospesi così lunghi. Quello più lungo, l’Akashi, in Giappone, è
lungo appena la metà di quello che dovrebbe sorgere in Italia, e nel
1995, in occasione del terremoto di Kobe, fu spostato dal luogo in cui
doveva essere costruito, e la ferrovia che ci doveva passare non ci
passa più.
E c’è da dire anche che,
36 Geologo e divulgatore scientifico di fama nazionale.
153
oltre ai pericoli di tipo geologico, anche dal punto di vista
economico-finanziario si tratta di un grosso azzardo giocato con i
soldi dei cittadini.
Per quanto riguarda i ponti presenti negli altri Paesi, consideriamo
che le grandi strutture di questo tipo sono tutte in perdita, nonostante
il pedaggio (ad esempio il Golden Gate Bridge di San Francisco o il
Canale sotto la Manica). Il ponte tra Svezia e Danimarca ha avuto già
un intervento pari a un terzo del suo impegno finanziario da parte
dello Stato, perché nessun privato riesce a reggere quella concorrenza.
Un ponte come quello dello Stretto conviene solo a chi lo costruisce.
Il resto è una spesa per la comunità che se la dovrà sostenere
attraverso un pedaggio altissimo o l’aumento delle tasse.
In merito alla questione dei costi, lievitati ad oltre 6 miliardi di euro
(il costo iniziale era inferiore ai 4 miliardi), essi dovrebbero arrivare
dalla società Stretto di Messina (i cui soci maggioritari sono Anas e
Trenitalia) e tra gli investitori privati. Il costo dovrebbe essere ripagato
dai pedaggi fatti pagare a chi attraversa il ponte, e sono stati ipotizzati
circa 100mila attraversamenti al giorno di auto. Ma oggi sono solo 12-
15mila, ampiamente al di sotto della quota che consentirebbe di
ripagare la spesa, e peraltro in fase di stagnazione (se non di
diminuzione) negli ultimi anni. Molti temono che alla fine il costo di
costruzione venga assorbito dallo Stato, cioè “scaricato” sui cittadini.
Anche i tempi di realizzazione (stimati in 6 anni, nella migliore
delle ipotesi), fanno sorgere diversi dubbi, vista la complessità del
progetto ed i ritardi che spesso caratterizzano la costruzione di opere
così imponenti. Si teme parallelamente l’oscillazione dei prezzi dei
materiali, come l’acciaio, che potrebbero in caso di aumenti provocare
un ulteriore notevole incremento del costo dell’opera.
Non sarebbe meglio spendere queste somme per la ristrutturare e
mettere in sicurezza Reggio Calabria e Messina, dove solo un quarto
delle case sono a norma anti-sismica? O per affrontare il dissesto
idrogeologico in cui versa la maggior parte del territorio italiano,
intervenendo sulle piccole opere locali (che peraltro potrebbero
generare ricchezza e posti di lavoro)?
154
36. La Val di Susa ed il tunnel ferroviario
Da Messina alle Alpi... non c’è solo lo Stretto di Messina ad essere
interessato da progetti più o meno imponenti e contestati. Anche la
realizzazione della linea ferroviaria Torino-Lione fa molto discutere.
Il confronto, o per meglio dire il contrasto, nasce dalla
contrapposizione tra un disegno ambizioso di realizzazione di una
grande opera e una forte resistenza, locale e non solo. I problemi sono
di tipo economico (costi esorbitanti), ambientale (emissioni inquinanti
del cantiere, questione paesaggistica, ecc.) e sanitario (rischio di
fuoriuscite di amianto). Ma i benefici sembrano essere molto pochi, sia
in termini di tempo risparmiato sugli spostamenti ferroviari (peraltro
pochi, stando alle previsioni), che in termini di occupazione lavorativa
rispetto ad investimenti di analoga entità distribuiti in diverse opere
distribuite sul territorio.
Da anni si discute sulla questione. Anni nei quali, peraltro, molte
delle condizioni sono cambiate: andamento del traffico ferroviario
sulla linea esistente (in diminuzione), denaro a disposizione (idem
come sopra), urgenza reale dell’opera, coinvolgimento di altri Paesi
europei e dell’Unione. Secondo molti tecnici, esperti e studiosi, questa
opera non è giustificata dal punto di vista del traffico che dovrebbe
sostenere (traffico che oggi passa attraverso la linea esistente, e che da
diversi anni è in calo, come anche il traffico su strada lungo la stessa
direttrice) Ed in merito ai treni passeggeri, si rileva che al 2012 i treni
internazionali che vi transitano sono appena 3 per direzione al giorno.
La linea esistente, già impegnata negli scorsi anni ben al di sotto
della propria capacità, è oggi ancor di più sotto-utilizzata, senza
peraltro che ci siano segni di inversione di tendenza.
Da qui i dubbi sulla reale utilità ed urgenza di questa opera. Per il
futuro, peraltro, le previsioni degli stessi promotori sono incerte e
155
contrastanti, indicando aumenti che appaiono francamente
improbabili. E tuttavia, uno spostamento di “domanda di trasporto”
dalla strada alla ferrovia, a detta degli stessi sostenitori dell’opera,
potrebbe avvenire solo con l’imposizione di divieti o di prelievi fiscali
aggiuntivi sul trasporto su gomma, ossia incrementando il costo del
trasporto e rendendo più difficoltose le esportazioni per le nostre
imprese. Inoltre,
anche dal punto di vista ambientale i benefici sarebbero del tutto
trascurabili.
Infatti, considerando gli elevatissimi consumi energetici nella
costruzione dell’infrastruttura, le emissioni complessive di CO2
saranno forse più elevate con la realizzazione della Torino – Lione che
senza.
Per quanto riguarda il contesto europeo, occorre chiarire che la
Torino-Lione faceva in origine parte del cosiddetto “corridoio 5
Lisbona-Kiev”, ma successivamente è stata ridefinita come una tratta
del “progetto prioritario 6”37, che individua un corridoio trasportistico
più corto rispetto al precedente, che collegherebbe nei suoi tratti più
estremi la città di Lione a quella di Budapest (Ungheria), arrestandosi
poi al confine ucraino. La tratta peraltro è classificata genericamente
dall’Unione europea come “asse ferroviario”, senza assolutamente
indicare se la ferrovia debba essere tradizionale o ad alta velocità
(scelta lasciata ai paesi attraversati). Anzi, nella programmazione
europea delle reti Transeuropee38, che individua i 30 progetti prioritari,
si esclude l’asse Torino-Lione dalle infrastrutture ad alta velocità per
passeggeri.
E lungo quell’asse, peraltro, non risultano essere in costruzione
altre linee ad alta velocità o capacità, per cui sia ad est che a ovest
dell’Italia le merci continueranno a viaggiare su reti ordinarie, come
del resto da Lione verso Parigi, perché le linee AV francesi sono state
costruite per far passare solo treni passeggeri. In ogni caso,
37 http://tentea.ec.europa.eu/en/ten-t_projects/30_priority_projects
/priority_project_6 /priority_project_6.htm 38 Cfr. Decisione 884/2004/CE.
156
allo stato attuale il progetto non prevede che la linea abbia
caratteristiche di “alta velocità”, né che ci sia certezza in merito ai
finanziamenti europei.
L’utilità di questa opera quindi appare quantomeno dubbia, e la
perplessità di molti sui motivi che spingono i promotori ad andare
avanti resta forte. Considerando inoltre la spesa di vari miliardi di
euro che i cittadini italiani saranno chiamati a sostenere, si ritiene da
più parti che sarebbe forse preferibile che questi soldi siano impiegati
in mille altre opere, più piccole ma più urgenti e più rapide da
realizzare, e magari più utili a tutti (potenziamento delle reti di
trasporto locali, riqualificazione sismica degli edifici, protezione del
territorio da frane ed alluvioni, sistemazione di acquesotti, ecc…
l’elenco è davvero infinito), sempre per restare nell’ambito dei lavori
pubblici.
La questione resta quindi aperta e dibattuta, accompagnata da forti
contrasti tuttora irrisolti tra chi intende proseguire con decisione verso
la realizzazione del progetto e chi, con altrettanta decisione, intende
salvaguardare il proprio territorio e gestire al meglio le risorse dei
cittadini.
In questo complicato quadro, un po’ di chiarezza sugli obiettivi e
trasparenza sulle posizioni da parte di tutti sarebbe ben auspicabile39.
Ma come si vede anno dopo anno, i dubbi non fanno che aumentare...
ed i soldi non fanno che diminuire. Non vorrei che questo fosse
l’ennesimo insensato ed enorme spreco di soldi pubblici in opere
mastodontiche ma inutili e dannose.
39 Segnalo un documento interessante: “Tav Valsusa: Una Soluzione In Cerca Di
Problema” . Lo studio è “di parte” (infatti è redatto dalle comunità montane contrarie al progetto), ma è redatto con numeri e valutazioni effettuate da numerosi tecnici ed esperti di grande caratura. Chi volesse saperne di più sulle questioni a cui ho accennato può trovare nel documento informazioni utili.
http://areeweb.polito.it/eventi/TAVSalute/ANALISI%20DOCUMENTO%20GOVERNO%20284.06.12.pdf
157
37. La crisi, le azioni, le proposte
Con il contributo di Cosimo Chiffi
Come abbiamo anticipato, per conseguire l’obiettivo di una
mobilità sicura, sostenibile ed efficiente, i soggetti responsabili
(amministrazioni, aziende, operatori dei trasporti, ecc.) hanno a
disposizione numerosi strumenti – operativi ed organizzativi – che
consentono loro di calibrare le politiche scelte in base alle
caratteristiche del contesto ed al tipo di mobilità (sistematica,
occasionale, turistica, ecc.) che si trovano a dover gestire.
Spesso tali strumenti, ormai ben conosciuti dal punto di vista
tecnico ed organizzativo, sono attuati in modo disorganico ed
inefficiente, con il risultato di veder ridotte le loro potenzialità e di
riuscire a conseguire solo una piccola parte dei benefici che sarebbe
possibile ottenere a seguito di una programmazione integrata ed
accurata degli interventi. La gestione della mobilità (spesso definita
con l’equivalente espressione inglese Mobility Management) è quindi ad
oggi una vera e propria disciplina ingegneristica, che studia le cause
dei fenomeni legati al traffico ed inventa le soluzioni da applicare. Ma
non è così facile.
Il generale contesto economico di crisi pone le amministrazioni
locali e centrali in condizione di disporre di scarse risorse (denaro, per
intenderci) per l’implementazione di misure di mobilità sostenibile.
Bisogna quindi capire quali sono gli strumenti operativi più efficaci
che possono essere messi in atto dai Comuni in tempi rapidi e con costi
ridotti, magari guardando alle migliori esperienze nazionali ed
internazionali in materia. In questo contesto,
lo strumento operativo migliore per realizzare misure in tempi
brevi e con costi contenuti è il Mobility Management,
158
che può determinare inversioni di tendenza nei comportamenti e
negli atteggiamenti dei decisori e dei cittadini.
L’approccio del mobility manager (responsabile della mobilità)
permette di realizzare iniziative economiche e di rapida attuazione,
che consentano l’adozione da parte del cittadino di modalità di
spostamento eco-compatibili. Occorre capire che un tema così
importante non può essere lasciato nelle sole mani dei Sindaci e nelle
sempre più scarse possibilità finanziarie delle Pubbliche
Amministrazioni, ma che deve invece essere assunto con priorità dal
Governo, dal Parlamento, dalle Regioni, dal mondo produttivo e dalle
parti sociali. Peraltro, è ormai opinione diffusa che alcuni aspetti
dell’attuale crisi economica possono trovare soluzione proprio se il
tema della sostenibilità ambientale viene assunto come fondamentale
nelle politiche industriali e istituzionali del Paese. Occorre quindi, ad
esempio, premiare con incentivi economici le aziende che introducono
il mobility management o adottano strumenti volontari (come ad
esempio le certificazioni ambientali o i bilanci di Responsabilità Sociale
di Impresa).
Inoltre, secondo l’Associazione Italiana dei Mobility Manager
Euromobility40,
occorre puntare alla redazione di Piani di Mobilità Urbana
Sostenibile (PUMS).
Tale strumento dovrebbe rappresentare una modalità di
pianificazione della mobilità di persone e merci nelle aree urbane che
si dia carico di soddisfare la complessità della domanda di trasporto
secondo principi di sostenibilità ambientale, contenimento dei consumi
energetici ed efficienza dei sistemi. Sarebbe auspicabile che tale
adempimento diventasse obbligatorio almeno per i Comuni maggiori,
e che la sua adozione costituisca un vincolo per poter accedere a
misure di sostegno comunitarie, nazionali e regionali.
In merito ai PUMS, ecco cosa ci dice Cosimo Chiffi41.
***
40 www.euromobility.org 41 Ingegnere, esperto in pianificazione della mobilità urbana
159
Come possiamo inquadrare i PUMS all’interno della normativa e del
panorama italiano ed europeo? Quali sono le migliori esperienze in merito?
Nel Piano d’Azione sulla Mobilità Urbana pubblicato nel 2009, la
Commissione Europea ha proposto di accelerare la formazione sui
Piani Urbani della Mobilità Sostenibile in Europa attraverso una serie
di iniziative rivolte a professionisti, politici ed amministratori.
Nel 2011, con la pubblicazione del nuovo Libro Bianco sui
Trasporti, la Commissione ha proposto di rendere obbligatori i Piani
della Mobilità per le città di una certa dimensione, sulla base di
standard nazionali basati su Linee Guida europee. Lo stesso
documento suggerisce di collegare la politica regionale e i fondi di
coesione alle sole città e regioni in possesso di un certificato di Verifica
delle Performance e della Sostenibilità della Mobilità Urbana: tradotto
significa avere un PUMS approvato, aggiornato e validato in modo
indipendente. Del resto, per rendere la nostra mobilità realmente
sostenibile, occorre fare cose sensate ed avere una visione di lungo
periodo.
Credo sia ormai tramontata l’epoca degli investimenti puntuali e
senza un approccio complessivo su tutto il sistema della mobilità. Il
nostro panorama normativo dovrà chiaramente adeguarsi, magari
riprendendo con più vigore il percorso iniziato più di un decennio fa
con l’introduzione dei Piani Urbani della Mobilità (legge 340/2000).
Quanto alle migliori esperienze europee, certamente vanno citati i
Local Transport Plans del Regno Unito e i Plans de Déplacements Urbains
francesi, entrambi molto vicini al concetto di Sustainable Urban Mobility
Plan proposto dalla Commissione.
Quali sono i rischi e le opportunità legate all’adozione di questi strumenti
di pianificazione e programmazione da parte delle amministrazioni cittadine?
I benefici superano di molto i costi per la redazione e
implementazione di un PUMS. Io non vedo solo opportunità legate
alla possibilità di accedere a finanziamenti europei e nazionali, ma
soprattutto opportunità legate ad una migliore qualità dello spazio
urbano. Chi rimane indietro su questo fronte (penso alle città che non
hanno ancora un Piano Urbano della Mobilità o che si ritrovano Piani
Urbani del Traffico vecchi di decenni) corre al contrario un rischio
160
elevatissimo di non trovare più fonti di finanziamento e far collassare
definitivamente il proprio sistema di mobilità.
Il messaggio che vorremmo dare è però di pensare ai PUMS in
modo creativo e intelligente, o “smart” come va molto di moda dire
adesso. Integrare e migliorare strumenti di pianificazione già esistenti,
studiare soluzioni low-cost, affidarsi ad indicatori misurabili e
trasparenti, accelerare l’accettabilità sociale delle politiche attraverso il
coinvolgimento dei cittadini.
Jamie Lerner, l’architetto inventore del Bus Rapid Transit ed ex
Sindaco di Curitiba in Brasile, sostiene che
qualsiasi città può essere cambiata in meno di tre anni.
Sostiene anche che si stimola la creatività togliendo uno zero dal
budget ma se si vuole raggiungere la sostenibilità allora bisogna
toglierne due.
Questo per dire che i PUMS devono essere visti come strumenti
dinamici, adattabili alla scala urbana e ai tempi che viviamo e non
come piani complessi e rivolti ai soli tecnici.
Occorre che politici e tecnici si diano da fare.
***
161
38. I quartieri senz’auto ed il movimento
Car-Free
Siamo noi a guidare le nostre automobili, o sono piuttosto le
automobili a guidare la nostra vita?
La domanda potrebbe sembrare strana, ma a ben pensarci ha
decisamente un senso. La nostra società (occidentale, e italiana in
particolare) risente pesantemente della “cultura” dell’automobile,
cultura alimentata anche, com’è naturale attendersi, da interessi
economici decisamente rilevanti. Provate a contare, durante una
interruzione pubblicitaria in televisione di appena 3-4 minuti, quanti
spot sono dedicati alle automobili. Farete una scoperta impressionante.
Non c’è quindi da stupirsi se emergono sempre più
frequentemente reti e movimenti di persone contrarie a questo punto
di vista, che intendono portare il dibattito sulla mobilità e sulla qualità
di vita ad un livello più avanzato e più alto della semplice
ammirazione stupita data alle continue (e comunque benvenute)
evoluzioni tecnologiche del mezzo automobile.
Il movimento car-free è una rete informale di individui ed
organizzazioni (tra cui attivisti sociali, urbanisti, ecc.) accomunati dalla
convinzione che le città siano (fin troppo) dominate dalle auto.
L’obiettivo del movimento car-free è quello di creare luoghi dove
l’uso delle automobili sia ridotto o eliminato, per convertire strade e
parcheggi ad altri usi pubblici e ricostruire ambienti urbani compatti,
dove maggior parte delle destinazioni siano facilmente raggiungibili
con i mezzi pubblici, a piedi o in bicicletta.
Ma facciamo prima un passo indietro, per comprendere il contesto
nel quale si sono sviluppati questi movimenti.
162
Prima del ventesimo secolo, le città e le cittadine erano
normalmente compatte, con strade che non avevano la funzione
odierna di “canali” per i flussi di traffico, ma ricoprivano diverse
funzioni legate alle attività umane (relazioni, commercio, spazio
pubblico, ecc.).
Nel ventesimo secolo, con la diffusione delle auto, molti centri
urbani sono stati adattati per “venire incontro” alle esigenze del
traffico stradale, ampliando le strade fin dove possibile e disponendo
spazio dedicato per i parcheggi. Contemporaneamente, specie in molte
zone periferiche delle grandi città, sono state urbanizzate nuove aree
con bassa densità di popolazione (generando il cosiddetto sprawl
urbano), cosa che ha portato ad avere grandi distanze tra i luoghi delle
attività quotidiane (residenze, aree commerciali, luoghi di lavoro, ecc.).
La difficoltà di effettuare questi spostamenti a piedi o in bicicletta
ha così favorito ulteriormente la scelta dell’auto come modo obbligato
di muoversi. Tuttavia,
alcuni governi hanno risposto a questa situazione con politiche e
regolamenti volti a invertire questa tendenza, riducendo lo spazio
allocato per le auto private ed incentivando l’uso della bicicletta, gli
spostamenti a piedi, i trasporti pubblici ed il car sharing.
I fautori del movimento car-free propugnano sia politiche
di mobilità sostenibile che misure di progettazione urbana (che creano
la possibilità di avere i servizi o i luoghi di lavoro a distanze ridotte, in
modo da rendere il trasporto sulle lunghe distanze una necessità
sempre meno sentita). Questo modo di vedere il problema si intreccia
inoltre con il cosiddetto Nuovo Urbanesimo 42 . Anche il movimento
delle Living Streets rientra in questo contesto: i suoi appartenenti
ritengono che alcune aree delle città debbano essere progettate in
modo da avere come priorità le esigenze di bambini che giocano,
ciclisti e pedoni, imponendo ai veicoli di procedere a passo d’uomo.
Non vanno dimenticati ovviamente tutti i programmi di sviluppo
del bike sharing e della mobilità ciclabile, come ad esempio le
42 movimento nato negli anni ’80 con l’obiettivo di riformare gli aspetti dello
sviluppo immobiliare e urbanistico, mettendo al centro della propria azione il ripopolamento dei centri urbani e la riqualificazione delle periferie, in modo da facilitare la mobilità pedonale.
163
iniziative “Critical Mass” (nate nel 1992 a San Francisco e
successivamente diffusesi in tutto il mondo), dove i ciclisti scendono in
strada in massa con lo scopo di evidenziare come la città sia per loro
un ambiente ostile, a meno di non invaderla pacificamente con questo
tipo di manifestazioni.
Tra gli eventi più importanti a supporto del movimento car-free ci
sono i Car Free Days: hanno l’obiettivo di ridurre fortemente le auto in
cicrolazione in una città (o parte di essa) per un giorno, per dare alle
persone che vivono e lavorano lì la possibilità di capire come la loro
città potrebbe apparire e funzionare senza il traffico stradale. In
Europa è inoltre molto partecipata l’iniziativa In town without my
car (“In città senza la mia auto”). Ed infine, ricordo con particolare
soddisfazione che tra i gruppi a supporto di questo approccio alla
pianificazione urbana c’è anche la New Mobility Agenda (costituita nel
1988), animata da Eric Britton43.
Gia, ma… a parte iniziative e gruppi di attivisti, esistono esperienze
concrete di quartieri o città senz’auto?
Ci sono in effetti molte aree del mondo dove, per vari motivi, le
persone hanno sempre vissuto senza auto. Anche nei paesi sviluppati
(ad esempio in alcune isole ed in alcuni quartieri storici). L’approccio
ad una progettazione car-free implica però un cambiamento fisico,
relativo ad un’area di nuova urbanizzazione o alla modifica di una
zona esistente.In particolare, secondo gli esperti
i “quartieri car free” sono aree ad uso residenziale o misto nei quali
il traffico è limitato o vietato, senza possibilità di parcheggio (o con
possibilità molto limitata, e separata dalle residenze) e progettati per
consentire ai residenti di vivere senza possedere un’auto.
Questa definizione si basa principalmente sull’esperienza
dell’Europa nord-occidentale, e consente di individuare tre diverse
tipologie.
La prima fa riferimento all’esperienza del quartiere di Vauban,
appartenente alla città di Friburgo (Germania), il quartiere car-free più
grande d’Europa. Vauban è “senza parcheggi”: i veicoli sono ammessi
a circolare per le strade residenziali a passo d’uomo ma solo per
43 Ispiratore e socio fondatore dell’Associazione Nuova Mobilità.
164
esigenze di servizio (es. accompagnamento o consegne), senza
parcheggiare. I residenti di queste aree devono sottoscrivere una
dichiarazione annuale per indicare se possiedono un’auto o meno. I
proprietari di auto devono acquistare un posto in uno dei parcheggi
multipiano per auto alla periferia, gestito da una azienda di proprietà
comunale. L’alto costo di questi spazi agisce come disincentivo alla
proprietà dell’auto.
La seconda tipologia è la limitazione dell’accesso, e la sua forma
più comune prevede una sorta di barriera fisica che impedisce
l’accesso ai veicoli a motore (in alcuni casi l’accesso è consentito ai soli
residenti con una barriera mobile.
La terza tipologia, banalmente, è la realizzazione di zone pedonali.
Mentre i primi due modelli si applicano a zone di nuova
costruzione, le aree pedonali sono create in genere nei centri storici,
dove risiedono numerose persone, per lo più senza auto.
Quali sono vantaggi e svantaggi dei quartieri car free? I principali
vantaggi sono i livelli molto bassi di uso dell’automobile (con
conseguente traffico ridotto anche sulle strade circostanti), gli alti tassi
di spostamenti a piedi e in bicicletta, l’aumento dell’autonomia negli
spostamenti dei bambini (e dei loro spazi di relazione), il minor
consumo di suolo per strade e parcheggi. I principali problemi
derivano invece dalla gestione dei parcheggi. Dove il parcheggio non è
ben gestito nella zona circostante al quartiere car-free, spesso ci sono
fenomeni di sosta selvaggia con lamentele da parte dei residenti.
Alcuni importanti esempi di città con quartieri senz’auto
sono Copenhagen (una delle città più densamente popolate d’Europa),
che in un periodo di 40 anni ha trasformato con successo parcheggi e
strade in piazze senza auto, e Parigi, dove dal 2004 ogni estate, e per
un mese, una zona riservata al traffico stradale diventa una spiaggia
che ospita varie attività, (lezioni di ballo, arrampicata, giochi, nuoto in
piscine galleggianti), e servizi (con sedie a sdraio, bar, fontane).
In Italia sono rare, per non dire inesistenti, iniziative come quella di
Parigi (per non parlare di Vauban). Non va dimenticata tuttavia
l’enorme importanza che hanno iniziative e strategie di questo tipo:
pur senza arrivare all’assurdo di chiudere un’intera città alle auto, esse
possono aiutare molto nel miglioramento della qualità della vita delle
persone, compresi gli stessi automobilisti, che magari spesso farebbero
165
volentieri a meno di inscatolarsi in macchina nel traffico del centro. A
dispetto degli spot televisivi (ah, a proposito, fate caso all’ambiente
mostrato negli spot: vi viene mostrato un caotico e congestionato
centro urbano, come è la norma per chi usa l’auto quotidianamente, o
una piacevole e deserta strada panoramica immersa nella natura?).
166
39. E quindi... cosa fare?
Colloquio con Enrico Bonfatti
Il contesto odierno, caratterizzato da una pesante crisi economica
(con risvolti sociali non di poco conto), sembra essere a prima vista il
meno adatto per poter pensare di adottare politiche di tipo innovativo
per risolvere i problemi strutturali delle nostre città, a partire dal
traffico. Si pensa, erroneamente, che un cambio di rotta (o proprio “di
sistema”) sia una cosa molto pesante da fare, che richieda investimenti
elevati e lunghe pianificazioni, e necessiti di decenni per la completa
realizzazione.
Ma nel campo della mobilità urbana questa impressione,
semplicemente, è sbagliata.
Si possono cambiare politiche di uso di mezzi ed infrastrutture per
la mobilità in tempi brevi e costi ridotti, anche (anzi, soprattutto!) in
periodi di crisi.
Il cambio di regole ed abitudini può essere proprio una delle
migliori azioni per uscire dalla crisi, che non è solo di natura
economica ma ha diverse facce, ed impatta in molti settori. Un
approccio nuovo alla mobilità urbana consente quindi di affrontare
non solo il problema della congestione e del traffico nelle città, ma
anche molti degli effetti "collaterali" dell'eccessiva mobilità
automobilistica (in primis quelli legati agli impatti ambientali ed al
consumo di risorse energetiche).
167
Enrico Bonfatti44 ci illustra le azioni da mettere in campo per
realizzare questo importante cambio di rotta.
***
Quello che segue rappresenta un condensato delle esperienze, degli
studi e del lavoro quotidiano di oltre un migliaio di esperti e attivisti
dei trasporti operanti in ogni angolo del nostro pianeta e che si
confrontano - ormai da più di 20 anni - sulla piattaforma web “New
Mobility Agenda”, mettendo a disposizione di tutti le loro riflessioni e
conoscenze.
In Italia questo approccio può essere toccato con mano sul blog
Nuova Mobilità, che non rappresenta di sicuro una fonte di
informazioni “neutrale”: abbiamo una posizione ben definita sulle
politiche dei trasporti e le progettazioni e gli investimenti che ne
conseguono, risultato di una lunga esperienza di lavoro e osservazione
nel settore in diverse città di tutto il mondo.
I punti che seguono rappresentano quelli che, secondo noi,
dovrebbero essere i pilastri di una buona politica della mobilità urbana
in ogni città. Non si tratta di elementi negoziabili ma di principi
ispiratori che possono portare a dei risultati solo se applicati come un
tutt'uno.
L’emergenza climatica e ambientale come metro di misura.
La riduzione di gas serra può servire come un obiettivo che
riassume tutti gli altri che il nostro lavoro ci impone, per riuscire a dare
alle nostre città l’attenzione che meritano. L’obiettivo principale è il
bisogno di ridurre il traffico. Meno auto per strada significano minori
consumi energetici, riduzione di ogni forma di inquinamento, meno
incidenti, minori costi di manutenzione e costruzione di infrastrutture,
città più tranquille e sicure, e la lunga lista può continuare ancora
molto.
Stringere l'orizzonte temporale.
44 Esperto di mobilità urbana, socio fondatore e presidente dell’Associazione Nuova
Mobilità e curatore del blog omonimo (http://nuovamobilita.wordpress.com/)
168
Quello che spesso sfugge ai più è che in questo settore si può fare
davvero molto - ai fini dell'abbattimento delle emissioni di CO2 - in
tempi relativamente brevi e a costi relativamente bassi, non solo senza
danneggiare la qualità della vita ma contribuendo a far rinascere
un'economia che ponga l'accento sulla fornitura di servizi legati al
territorio anziché sulla produzione di beni che può essere delocalizzata
in ogni momento.
Ridurre le percorrenze
Bisogna continuamente tenere alta l'attenzione sull'obiettivo ultimo
di qualunque politica di mobilità urbana di buon senso, che consiste
fondamentalmente nel ridurre radicalmente il traffico in termini
assoluti di veicoli/km e non nella semplice implementazione di
singole infrastrutture e servizi non contestualizzata in un’adeguata
visione strategica di fondo. E questo si può fare nel giro di pochi anni
se non addirittura mesi, come si è già verificato ogni volta che il
problema è stato affrontato con l'adeguata decisione. Per perseguire
questo obiettivo è indispensabile spendere per il suo raggiungimento
almeno il 50% del budget destinato ai trasporti. Bisogna per questo
porsi delle mete chiare e sottoponibili al giudizio dell'opinione
pubblica
Estendere lo spettro, la qualità e il grado di integrazione dei servizi
legati alla nuova mobilità disponibili per tutti.
Dobbiamo allargare le nostre vedute su questo aspetto e capire che
è importante muoversi verso un nuovo paradigma basato su una
grande varietà di modalità condivise di trasporto, la cui
organizzazione si baserà in buona parte sulle tecnologie
dell’informazione del XXI secolo. Per fare ciò bisogna superare la
contrapposizione tra trasporto motorizzato individuale e trasporto
pubblico collettivo (pericoloso, inquinante, costosissimo il primo e
pesante, inefficiente, rigidissimo il secondo), e cominciare ad
implementare servizi che possano situarsi nella sconfinata quanto
vuota terra di mezzo situata tra questi due opposti, costituendo in
questo modo un continuum di offerte che sappiano rispondere a ogni
tipo di esigenza. Mi riferisco a tutte le possibilità date da quella
169
"tecnologia" antica probabilmente quanto la civiltà umana e che è
comunemente conosciuta con il nome di condivisione, le cui
potenzialità sono oggi accresciute enormemente dallo sviluppo
tumultuoso delle ICT, che dovranno venire massicciamente impiegate
in ogni tipo di servizio, formando il "nocciolo duro" alla base di
qualunque sistema di trasporto.
Ripensare il ruolo delle auto
In quest'ottica, è da riconsiderare il ruolo dell'auto nelle nostre città,
che non potrà più essere la padrona assoluta dei nostri paesaggi
urbani, ma dovrà venire integrata in maniera molto più morbida in
una strategia complessiva della mobilità. Un ambiente urbano basato
sulla nuova mobilità dovrà essere in grado di accogliere gli
automobilisti, dato che si tratta di una realtà incontrovertibile che non
sparirà semplicemente perché sembrerebbe la soluzione ideale.
Progettare per le donne
La vecchia mobilità è il frutto di un pensiero maschile, “bianco” e
benestante. La nuova dovrebbe venire pensata per soddisfare i bisogni
specificamente femminili, di tutte le età e condizioni sociali. Fate
questo e chiunque verrà servito meglio. E per farlo c’è bisogno di uno
spostamento dei ruoli dirigenziali a favore delle donne, agevolando la
piena parità dei sessi in tutti gli organismi coinvolti nei processi
decisionali.
Lavorare con quello che si ha, sinergie per valorizzare l'esistente.
Per sviluppare un nuovo sistema di mobilità urbana non sono
necessari grandi investimenti infrastrutturali, ma è sufficiente
utilizzare al meglio quello che già si ha a disposizione. Spesso si tratta
di piccole iniziative o servizi quasi invisibili ai politici che si occupano
di trasporti. Si va dai servizi di trasporto specializzato a tutta una serie
di modalità di spostamento più o meno informali e riconosciute,
spesso funzionanti in modo approssimativo, che hanno bisogno di
essere meglio comprese (piuttosto che soppresse o abbandonate a se
170
stesse), per venire integrate in un'offerta multimodale e di qualità che
meglio si adatti alle città del XXI secolo.
Cambiare l’approccio ai problemi
Per ottenere questa integrazione c'è bisogno di un approccio
progettuale completamente diverso da quello adottato finora che
prevede singole decisioni prese da esperti ognuno nel suo specifico
campo di competenza. Bisogna entrare in un'ottica che dia per
assodata l'applicazione di pacchetti di misure concordate tra quanti
più soggetti possibili, utilizzando metodologie di “problem solving”
collettivo che valorizzino anche le competenze presenti in popolazioni
urbane informate e consapevoli. La sfida è quella di trovare i modi per
applicare i più svariati programmi come progetti sinergici e
mutualmente rinforzantisi all'interno di una visione complessiva più
ampia.
Frugalità
A tal fine non abbiamo bisogno di un ulteriore giro di investimenti
ad alto costo e basso impatto ambientale, "basta" riuscire ad impiegare
una percentuale consistente (50%? 70%?) del budget che già oggi viene
impiegato per i trasporti nel loro complesso per progetti di nuova
mobilità, tenendo presente che le opere infrastrutturali già presenti nei
nostri territori urbani sono abbondantemente sovradimensionate,
anche se utilizzate in modo inefficiente. Questa è semplicemente una
gran cosa visto che significa che possiamo convertire sostanziali
porzioni della rete stradale a modalità di trasporto molto più
sostenibili ed efficienti.
Agnosticismo tecnologico / Sostenitori delle performance.
Non ci interessa e non deve interessarci quale tecnologia debba
venire utilizzata o favorita. Non è competenza di politici
inevitabilmente poco informati quella di stabilire quale tecnologia sia
meglio adottare per un sistema di trasporti. Questo va oltre il loro
ambito di competenze e non è nemmeno una delle precondizioni
necessarie per creare un migliore sistema di mobilità. Ma quello che i
171
nostri politici possono e devono fare è specificare le performance, non
le tecnologie. Ci sono molti modi per farlo: tra questi la richiesta di
performance specifiche per quanto riguarda gli standard di emissioni e
di prestazioni. Ma ce ne possono essere molti altri.
Leadership basata sull’esempio
Se siete un sindaco o un amministratore pubblico, se siete
professionalmente coinvolti in aree che riguardano la sostenibilità, non
avete davvero scelta: dovete dare l’esempio. Questo significa andare a
lavorare in bici, a piedi, con il trasporto pubblico o con qualche forma
di car-pooling o car sharing, se non sempre almeno due volte alla
settimana. Così facendo, avrete sotto mano tutto quello che funziona e
tutto quello che non funziona nella vostra città. Sarete autentici e
credibili. Sarete quel genere di leader di cui abbiamo bisogno per
intraprendere quelle riforme politiche e progettuali di cui abbiamo
bisogno. Se non vi comportate così, se rimanete incollati al sedile
posteriore della vostra auto blu, non avrete mai il mio voto.
Imparare dai successi altrui
Nuovi modi di affrontare i problemi richiedono successi. Non c’è
possibilità di errore. Così dobbiamo selezionare nel mondo quelle
politiche e quei servizi che hanno registrato dei successi e costruire
sulla loro esperienza. (E ce ne sono fin che volete là fuori, basta essere
disposti a guardare ed imparare).
***
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40. Infine, un racconto…
L’esperienza di Ester Giusto
Cosa succede quando una ciclista rimasta a piedi sotto la pioggia
incontra un ragazzo in Vespa? Ecco il racconto di Ester Giusto, che ci fa
capire da dove nasce, per usare le sue parole, il suo “moto di
sentimenti benevoli verso la mia splendida categoria, i ciclisti urbani,
appunto”.
***
Dovete sapere che ieri, uscita dall’ufficio alle 18 – qualche minuto
prima del consueto - ho allungato un po’ la strada del ritorno per
andare a procurarmi quanto mi mancava, l’arma invincibile, il sigillo
del potere, il mezzo che mi permetterà di evitare, con qualsiasi
condizione meteoclimatica, l’ora e mezzo di attesa del bus intrappolato
nel traffico: i pantaloni impermeabili di Decathlon, marca B-twin, la
stessa che fa delle ottime bici elettriche. Oltre a quelli mi sono dotata di
nuovo k-way verde catarifrangente, di custodia impermeabile per
contenere la borsa dell’ufficio, sempre verde catarifrangente, di guanti
di pile, sempre verdi ma forse non proprio catarifrangenti: verde
dentro, verde fuori!!! Meno di 40 euro in tutto.
Dotata di questo armamentario mi sono avviata verso l’ufficio
stamattina, insieme al mio giovane vicino Carlo, pure lui ingegnere,
che condivide lo stesso percorso in bici, e che stasera si sarà lavato, a
differenza di me.
Nulla faceva in effetti presagire la pioggia, ma la dotazione pesa ed
ingombra poco e quindi, mi son detta, perché rischiare di dover
prendere l’odioso bus? Non perché sia odioso di per sé, poverino, ma
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perché mi costringe ad una eterna attesa della coincidenza successiva,
ed alla rinuncia al corso serale di Andriu per eccessivo ritardo.
Beh insomma, stasera lasciando l’ufficio mi rendo conto che piove!!!
Mai sono stata contenta prima di vedere la pioggia (soprattutto di
questi tempi), ma stasera sembrava proprio un invito a nozze!!!
Esaltata, mi sono messa ad illustrare e vestire i miei nuovi acquisti di
fronte alle due Francesche della segreteria, l’una tutta divertita, l’altra
un pochino dubbiosa; ed, una volta bardata, ho preso la porta. Mi
sentivo come Achille: invincibile.
Peccato non avessi fatto i conti con il tallone. Appena inforcata la
bici e fatto qualche metro, mi rendo conto che la ruota davanti è
completamente a terra. Come fosse possibile non so… stamattina era
gonfissima!!! Ma non è la prima volta. I cordoli ad ogni incrocio, le
buche continue, le finte rampe con veri taglienti spigoli per imboccare
la pista ciclabile dalla strada mettono a dura prova i copertoni!
Stavo quasi per chiamare il ragazzo dall’animo gentile di cui sopra,
perché mi caricasse la bici in macchina e mi portasse al corso, ed avevo
indeed il cellulare già in mano (orrida sarei stata), quando – DEUS EX
MACHINA - mi si affianca un giovane in vespa “hai bisogno di
aiuto?” (non so, questa cosa mi ricorda una canzone di Baglioni…).
Non credo sia stato ipnotizzato dal mio appeal, ed è abbastanza
improbabile che indovinasse il mio charme sotto 10 cm di cappotto
verde di pile rattoppato con sopra giubbino (sempre catarifrangente).
Al più può aver pensato che se non ero un uomo potevo essere una
donna, e se ero una donna, poteva essere che fossi, come ciclista, anche
abbastanza in forma…tutti ragionamenti non sufficienti credo per
attrarre il tipo umano di genere maschile categoria “Prime Italian
Minister”45. Quindi doveva essere un tipo umano di genere maschile
ma di categoria differente.
“Eh” rispondo arresa “ho la ruota a terra…niente che si possa
rimediare”.
“Aspetta! Dovrei avere una schiuma per gonfiarla…è per la Vespa,
ed è quasi finita, però forse riusciamo ad usarla lo stesso! Tutto
dipende dal tipo di valvola che hai per gonfiare la camera d’aria…
fammi vedere!”
45 Potete immaginare da questa citazione a chi si riferiva Ester quando ha scritto
questo testo...
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Smonta dalla Vespa, la lascia al lato della strada (la trafficatissima
via della Provvidenza – dal nome per me sempre più significativo!) e si
mette ad armeggiare dietro alla mia ruota “uhm…no, è troppo
piccola” “per caso hai un coltello?”, dice rialzandosi.
“Ehm…no!” “Già, non è che normalmente uno si porti in borsa
coltelli…
“Aspetta, dovrei averlo io”. E si mette ad aprire un sacchetto da cui
estrae uno strano coltellino dalla lama piatta, tipo quello che mia
sorella mi ha regalato come bomboniera di nozze, per prendere non so
che tipo di formaggio a pasta molle. Poi prende la bomboletta, e con
quello inizia a rompere il tubicino dosatore di plastica trasparente.
Nelle mie orecchie iniziava a risuonare la colonna sonora di Mc
Gyver… poi applica il tubicino alla valvola e preme la leva della
bombola, da cui inizia ad uscire una schiuma bianca “eh, chissà se
riusciamo a fare qualcosa! Non so se c’è ancora sufficiente pressione”
ed intanto insiste ed insiste a premere, fiducioso.
“Sentimi” gli chiedo mentre, poco convinta, seguo i suoi sforzi “ma
ti fanno tenerezza i ciclisti sotto la pioggia per caso?”
“È che sono un ciclista pure io…anche se talvolta, quando piove,
prendo la mia amata vespetta: ho una passione per la Vespa!”
“Ah, beh dai, almeno ci provi ad usarla, la bici!”
“No no, normalmente uso la bici…per questo penso che, se mi
trovassi in queste condizioni, mi farebbe piacere che qualcuno si
fermasse… [ndr: il fondamento della civiltà!!!] …sono anche
attrezzatissimo, ho una bici iper-leggera, molto buona in effetti, e tutto
il necessario per usarla…tu, non hai nemmeno una pompa?”
“ehm…no, veramente…”
Dopo quindici minuti circa di amabile conversazione, lì ai lati del
traffico e sotto la pioggia, la ruota era sufficientemente gonfia per
pensare di usarla senza rovinare il cerchione! Ho ringraziato Fabio,
così si chiama, ed ho inforcato contenta la mia fedele citybike, con la
speranza di incrociarlo altre volte lungo il tragitto, e forse anche no:
questo evento così compiuto è talmente bello, che quasi mi dispiace
pensare che si reiteri e che, lui e la vespetta, esistano davvero, e non
siano invece una incarnazione momentanea ed irripetibile, ed in
quanto tale perfetta, dell’idea (ideale?) metafisica di umanità.
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Prossima tappa post-ufficio: Decathlon, dovrò comprarmi la
bomboletta!!!
Grazie al ragazzo gentile, a tutte le persone come Fabio (questa sera
asceso a paradigma), a tutti i ragazzi e le ragazze, gli uomini e le
donne, i nonni e le nonne, che fanno parte del popolo dei ciclisti, di
questa schiera di persone che vivono e non si lasciano vivere dalla
fretta e dal tempo-denaro senza altro, più ricco e profondo, senso.
***
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Siamo giunti alla fine di questa
breve panoramica su alcune buone
pratiche che, già oggi, riescono a
risolvere molti dei problemi generati
dal traffico, non ultimi quelli relativi
alla sicurezza di chi si muove. Si
tratta però di misure che, per quanto
lodevoli e benvenute, sono prese
spesso senza un coordinamento "di
alto livello" (es. da un organismo
nazionale), che potrebbe senza ombra
di dubbio permettere di conseguire
risultati notevolmente più efficaci.
Da questo punto di vista, sono certamente benvenute tutte le
iniziative, siano esse spontanee o promosse da enti ed istituzioni, che
nascono per aggregare persone con esigenze simili (dai comitati di
pendolari alle associazioni dei ciclisti, ecc.), mettendo a frutto lo sforzo
congiunto di tutti per il conseguimento degli obiettivi che ci si pone.
Vi invito ad interessarvi a queste iniziative, e sostenerle con
convinzione e partecipando in prima persona. Si possono ottenere
rapidamente risultati molto efficaci, anche solo grazie al fatto che si è
in tanti a farsi sentire per avere un miglior servizio ed una migliore
qualità della vita. Molte delle iniziative che abbiamo visto in queste
pagine nascono proprio dal basso, dallo sforzo e dalla volontà di poche
persone che vogliono migliorare un parte così importante della propria
vita, quale è il tempo dedicato giornalmente ai propri spostamenti.
Non abbiamo parlato di utopie, ma cose concrete e fattibili,
realizzate in molte città. Anche nel vostro comune di residenza può
essere ad esempio realizzato un sistema di bike sharing, o migliorato il
trasporto pubblico, o organizzato un Piedibus per portare i bambini a
scuola. Basta organizzarsi, sviluppare delle idee o semplicemente
entrare in contatto con le altre persone, tutto è assolutamente fattibile.
E non mi dite che non avete tempo. Di tempo ce n’è tanto... è che si
spreca imbottigliati nel traffico!!!
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Saluto infine ognuno di voi, e spero di incontrarvi presto da
qualche parte e di sapere che questi piccoli consigli sono serviti come
spunto per avviare delle iniziative nella vostra città.
Vi aspetto infine sul mio sito web (www.marcodemitri.it) per
proseguire la scoperta del mondo della mobilità e per favorire un
reciproco confronto, e magari ricevere una vostra segnalazione di una
bella iniziativa nata dalla lettura di queste pagine.
Marco De Mitri