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Ann Gibbons Il primo uomo L’avventura della scoperta dei nostri antenati Traduzione di Laura Appiani

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Ann Gibbons

Il primo uomoL’avventura della scoperta dei nostri antenati

Traduzione di Laura Appiani

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A Bill e ai nostri discendenti: Lily, Sophia e Tom

È stato detto che l’amore per la caccia è un piacere innato nell’uomo, il residuo di una passione istintiva.

Charles Darwin, Viaggio di un naturalista intorno al mondo

Ann GibbonsIl primo uomo

L’avventura della scoperta dei nostri antenati

Progetto grafico: studiofluo srlImpaginazione: adfarmandchicas

Redazione: Alice SpanoCoordinamento produttivo: Enrico Casadei

Ann GibbonsThe First Human

The Race to Discover Our Earliest Ancestors

Copyright © 2006 by Ann GibbonsThis translation published by arrangement with

The Doubleday Broadway Publishing Group, a division of Random House, Inc.All rights reserved

© 2009 Codice edizioni, TorinoTutti i diritti sono riservati

ISBN 978-88-7578-126-2

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Indice

IX Mappa: la culla dell’umanitàX Le scoperte fossili del “primo uomo” anno per anno

XII Time line: la famiglia umanaXIII I cacciatori di fossiliXIX Introduzione

Parte I. Passi antichi

Capitolo 15 Pionieri d’Africa

Capitolo 227 Lo spartiacque continentale

Capitolo 339 Il primo antenato

Capitolo 451 Tracciando le discendenze

Capitolo 561 Lucy, il tardo antenato

Capitolo 671 Definire l’uomo

Capitolo 781 Esilio

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Parte II. Il decennio della scoperta

Capitolo 8101 La signora del lago

Capitolo 9111 Una veduta di Afar

Capitolo 10119 La scimmia alla radice

Capitolo 11135 West side Story

Capitolo 12149 Guerre di territorio

Capitolo 13163 Sulla linea di partenza

Capitolo 14175 Millennium Man

Capitolo 15189 Toumaï

Parte III. La saggezza delle ossa

Capitolo 16205 Ossa contese

Capitolo 17217 L’habitat per l’umanità

225 Glossario229 Note239 Bibliografia245 Ringraziamenti248 Indice analitico

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I cacciatori di fossili

Berhane AsfawBioantropologo etiope; condirettore del Middle Awash ResearchGroup; direttore del Rift Valley Research Services in Etiopia.

Alain BeauvilainGeografo francese che ha coordinato la logistica e i rilevamenti perla Mission Paléoanthropologique Franco-Tchadienne (MPFT) nelCiad dal 1994 alla fine del 2002; professore associato all’Università diParigi X-Nanterre.

Michel BrunetPaleontologo francese; direttore della Mission PaléoanthropologiqueFranco-Tchadienne (MPFT) che scoprì Toumaï e Abel; professore al-l’Università di Poitiers in Francia.

Desmond ClarkArchelogo di origine inglese a capo della prima squadra dell’Univer-sità di Berkley che esplorò il Medio Awash; professore emerito aBerkeley quando morì nel febbraio 2002.

Yves CoppensPaleoantropologo francese che fu il coscopritore dei fossili della spe-cie di Lucy in Etiopia, ha collaborato con Michel Brunet, MartinPickford e Brigitte Senut; professore al Collège de France di Parigi.

Raymond DartAnatomista di origine australiana che scoprì il primo fossile di un an-tenato dell’uomo proveniente dall’Africa, da Taung, Sudafrica, nel1925. Morì nel 1988.

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Il primo uomoXIV I cacciatori di fossili XV

Ahounta DjimdoumalbayeStudente ciadano dell Università di N’Djamena che scoprì il craniodi Toumaï il 19 luglio 2001; membro della MPFT.

Eugène DuboisAnatomista e paleontologo olandese che scoprì i primi fossili di unominide, l’Uomo di Giava, nel 1890 a Giava, Indonesia. Morì nel1940 in Olanda.

Eustace GitongaArtista kenyano, direttore dei Community Museums of Kenya, l’or-ganizzazione che ottenne le autorizzazioni per Martin Pickford eBrigitte Senut per fare ricerca nelle Tugen Hills.

Yohannes Haile-SelassiePaleoantropologo etiope che scoprì lo scheletro parziale dell’Ardipi-thecus ramidus e i fossili dell’Ardipithecus kadabba nel Medio Awash inEtiopia; membro del Middle Awash Research Group; curatore di an-tropologia fisica al Cleveland Museum of Natural History.

Andrew HillGeologo di origine britannica, direttore del Baringo PaleontologicalResearch Project nelle Tugen Hills in Kenya; preside del diparti-mento di antropologia all’Università di Yale.

Clark HowellPaleoantropologo americano, condirettore della spedizione nellevalle dell’Omo in Etiopia nel 1966; professore emerito all’Universi-tà della California di Berkeley.

Donald JohansonPaleoantropologo americano che scoprì lo scheletro di Lucy nel1974. È il direttore dell’Institute of Human Origins presso l’ArizonaState University di Tempe.

Jon KalbGeologo americano, membro della prima squadra franco-americanache esplorò Hadar nel 1971; direttore della prima squadra che trovòfossili di un ominide nel Medio Awash; ricercatore all’Università delTexas di Austin.

Louis LeakeyPioniere antropologo e paleontologo britannico, nativo del Ken-ya, che si stabilì in Africa orientale come luogo per trovare gli an-tenati dell’uomo, coscopritore di Zinj nel 1959; direttore delCoryndon Museum (attuale Museo Nazionale del Kenya). Morìnel 1972.

Mary LeakeyIllustratrice di origini britanniche e paleontologa autodidatta chetrovò il cranio Zinj nel 1959 a Olduvai, Tanzania. Morì nel 1996.

Meave LeakeyZoologa di origini gallesi la cui squadra trovò i fossili dell’Australopi-thecus panamensi a Kanapoi; ex direttrice della sezione paleontologiaal Museo Nazionale del Kenya.

Richard LeakeyPaleontologo kenyano, ex direttore del Museo Nazionale del Ken-ya; professore in visita di antropologia alla Stony Brook Universityin New York.

Bryan PattersonPaleontologo di origine britannica che scoprì i fossili di ominidi deiprimordi a metà anni Sessanta a Kanapoi e Lothagam; professore al-l’Università di Harvard. Morì nel 1979.

Martin PickfordGeologo di origine britannica che scoprì i fossili del MillenniumMan nelle Tugen Hills; condirettore della Kenya Paleontology Ex-pedition; geologo al Collège de France di Parigi.

David PilbeamPaleoantropologo di origine britannica la cui squadra scoprì il fossilidel Ramapithecus in Pakistan; professore di antropologia all’Universi-tà di Harvard.

Vincent SarichAntropologo molecolare americano; professore emerito di antropo-logia all’Università della California, Berkeley.

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Un giorno d’estate, nel luglio del 1995, Michel Brunet1 ebbe il pre-sentimento d’essere sul punto di fare una grossa scoperta. Brunet,misconosciuto paleontologo francese, al tempo cinquantacinquen-ne, si era recato a Addis Abeba per cercare la verità nelle anticheossa custodite nei sotterranei del Museo Nazionale d’Etiopia. Con-sapevole che l’accesso ai reperti non sarebbe stato affatto scontato, sipresentò lì con la sua offerta: un osso mascellare di 3,5 milioni dianni che aveva trovato nelle sabbie mobili del deserto del Djurab nelCiad. Sperava di confrontarlo con i celebri fossili rinchiusi nel mu-seo, compresi quelli dei più antichi membri della famiglia umana al-lora conosciuti.

Ad accoglierlo c’era Tim White, paleoantropologo quaranta-quattrenne di Berkeley, che stava emergendo come miglior caccia-tore di fossili della sua generazione. Col suo spirito pungente e la suamanifesta intolleranza nei riguardi di chi non stima, White saprebbescoraggiare chiunque voglia accedere ai fossili trovati dalla sua squa-dra. In effetti, aveva respinto dei ricercatori giunti fino in Etiopia pervedere i fossili ancora in fase di studio. Ma White riconobbe subitoin Brunet un compagno di viaggio: entrambi condividevano unapassione profonda per i fossili. Entrambi erano instancabili nel lavo-ro sul campo, cui ritornavano di anno in anno. Ed entrambi avevanogià rischiato la vita nella ricerca dei fossili: White aveva sofferto dimalaria, giardiasi, dissenteria, epatite e polmonite; Brunet era alleprese con problemi cardiaci. Insomma, Brunet non era certo l’antro-pologo “da salotto” che voleva avere un’anteprima dei fossili cheWhite e suoi colleghi stavano ancora analizzando.

Non passò molto prima che White e due suoi ex studenti aprisse-ro a Brunet le casseforti per mostrargli dei fossili che avevano la stes-sa età dell’osso che lui aveva portato, affinché potesse identificarlo.Mentre studiavano le ossa e confrontavano gli appunti sui letti fossi-li sui quali avevano lavorato, Brunet ebbe una rivelazione: la sua

Brigitte SenutPaleontologa francese che scoprì i fossili del Millennium Man nelleTugen Hills; condirettirce della Kenya Paleontology Expedition;professoressa al Museo Nazionale di Storia Naturale di Parigi.

Elwyn SimonsBiologo dei primati americano che propose il Ramapithecus comeun ominide dei primordi negli anni Sessanta; professore di bioan-tropologia, anatomia e zoologia alla Duke University di Durham,North Carolina.

Gen SuwaPaleoantropologo che scoprì il primo fossile di Ardipithecus ramidusin Etiopia; professore associato alla University Museum, Universitàdi Tokyo, in Giappone.

Maurice TaiebGeologo francese che scoprì i letti fossili di Hadar dove fu trovataLucy e del Medio Awash dove fu trovato l’Ardipithecus; direttoreemerito della ricerca per il laboratorio CNRS-CEREGE di Aix-en-Pro-vence, Francia.

Alan WalkerPaleontologo di origine britannica che trovò i fossili dell’Australopi-thecus anamensis ad Allia Bay, Kenya; professore di antropologia allaPennsylvania State University.

Tim WhitePaleoantropologo americano, condirettore del Middle Awash Re-search Group; professore all’Università della California, Berkeley.

Giday WoldeGabrielGeologo etiope, condirettore del Middle Awash Research Group;geologo al Los Alamos National Laboratory nel New Mexico.

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Introduzione

Mentre il sole sorgeva su un accampamento nel deserto del Djurabnel Ciad, Michel Brunet si alzò dalla sua branda e vide apparire sulledune dei nomadi coi loro cammelli, quasi un miraggio nella luce delprimo mattino. Subito si irrigidì, domandandosi se questi uomini edonne arabi appartenessero alla bellicosa tribù del Nord che pertrent’anni aveva guerreggiato con le tribù del Sud sul territorio de-solato, cospargendolo di mine. Ma quando gli uomini dagli abitisvolazzanti e i turbanti bianco-blu gli sorrisero, e le donne gli offri-rono tè e latte di cammello, capì che erano pastori di cammelli diGorane, che vagavano in cerca d’acqua. Quando gli uomini dellasua squadra si misero a conversare con loro, si sentì sollevato. Nelmomento in cui Brunet si apprestava a partire, i nomadi gli rivolserol’abituale benedizione nella loro lingua, chiedendo ad Allah di pro-teggerlo e di donargli la felicità.

Più tardi, quella mattina, lo stesso Brunet si sentì un po’ nomadementre camminava tra le dune sabbiose. Doveva essere una stranaapparizione anche per i nomadi che erano andati a vederlo lavora-re. Adesso, a sessantacinque anni, potrebbe sembrare la versionebarbuta dell’attore Anthony Hopkins, coi capelli grigi tirati indietroa svelare una fronte alta e brillanti occhi blu. Ma la mattina del 23gennaio 1995, Brunet si era fasciato la testa con un panno e avevaindossato una maschera da sci per prepararsi a un altro giorno di la-voro nel Djurab, dove la sabbia soffia incessantemente e si insinuanegli occhi, nelle orecchie, nel naso e nella bocca. Le temperaturepossono diventare tanto alte che i contenitori di plastica delle be-vande lasciati all’ombra delle macchine e delle tende – l’unica om-bra disponibile – possono esplodere spontaneamente.

Appena Brunet raggiunse gli altri uomini del suo gruppo si disper-sero lungo l’area, ciascuno camminando lentamente, piegato inavanti in modo che non gli sfuggisse nulla di ciò che avvistava alsuolo. Stavano scrutando la superficie desertica in cerca di ossa, pas-

squadra aveva trovato nel Ciad gli stessi tipi di ossa animali che Whi-te e i suoi colleghi avevano trovato in Etiopia insieme ai fossili deiprimi antenati dell’uomo.

La cosa sembrò incoraggiante per Brunet, perché White e suoicolleghi avevano scoperto il più antico membro della famiglia umanaallora conosciuto: una creatura della dimensioni di uno scimpanzé,chiamato Ardipithecus ramidus, che viveva nelle foreste della Rift Val-ley etiopica 4,4 milioni di anni fa. La squadra di White aveva trovatodelle particolari specie estinte di maiali, colobi, e carnivori affini. An-che Brunet aveva trovato questi stessi tipi di animali in sedimenti dietà analoga, e quindi cominciò a chiedersi se davvero nel Ciad non sifosse imbattuto nell’habitat dei primi uomini. Era forse sulle traccedi uno dei più antichi membri della famiglia dell’uomo?

Quando Brunet disse di aver trovato anche alcuni gerbilliestinti, White scosse la testa: «Quei piccoli roditori vivono in luo-ghi secchi»2, disse. «I primi ominidi, invece, vissero nelle foreste».Lì, dunque, non avrebbe trovato nessun ominide.

Brunet disse a White che forse aveva ragione. Ma sapeva ancheche nel Ciad c’erano sedimenti ancora più antichi: letti fossili incui le ossa animali avevano almeno sei milioni di anni, e a queltempo l’habitat poteva essere stato boscoso. Nonostante la suasquadra dovesse ancora esplorare quei letti sabbiosi, Brunet sapevache erano più antichi dei siti fossili del Medio Awash in cui unostudente di White,Yohannes Haile-Selassie, aveva recentementeiniziato a cercare. Brunet aveva il sentore che l’osso mascellare cheaveva trovato fosse solo il preludio a scoperte ancora più anticheche sarebbero emerse dalle dune desertiche del Djurab, che avevaappena iniziato a esplorare.

Quel giorno del 1995 Brunet fece una previsione coraggiosa:scommise con White che, malgrado i gerbilli, avrebbe trovato l’o-minide più antico, lo sfuggente antenato mancante. Il misconosciutofrancese avrebbe avuto la meglio sull’americano ben più famoso eben più finanziato. «Sto lavorando su sedimenti più antichi»3, dissein tono quasi scherzoso. «Vincerò».

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gi”, ed era stimato per la sua abilità nel trovare fossili animali in alcu-ni dei territori più remoti e ostili del mondo. Le sue avventure sulcampo erano leggendarie: fu attaccato da un caccia in Afghanistan,arrestato in Iraq, minacciato con una pistola nel Ciad. Eppure, anchenella sfortuna e senza fondi per il suo lavoro, insistette. Col passaredegli anni lasciò il suo laboratorio all’Università di Poitiers, nellaFrancia centrale, per ritornare sul campo, esplorando perfino nuovisiti nel deserto del Djurab a bordo di una jeep presa a noleggio e conscorte d’acqua sufficienti a malapena per lavarsi i denti. La perseve-ranza pagò: la sua squadra trovò centinaia di fossili di scimmie mino-ri, elefanti, giraffe, rinoceronti, ippopotami e maiali estinti. Ma c’eraun tipo di mammifero che gli sfuggiva: l’ominide. Fino a quel giornodi gennaio, Brunet non aveva neppure mai tenuto in mano un verofossile umano antico, solo calchi di fossili trovati da altri. Dunque,quando finalmente cullò nella sua mano una mascella di ominide, fuuno di quei momenti che cambiano la vita. Diciannove anni di ri-cerca di fossili ominidi erano «un sacco di tempo nella vita di unapiccola scimmia bipede», dirà Brunet, riferendosi a se stesso.

Ma che cosa rende così allettante un pezzo di osso grigio condenti marcescenti? Perché valeva la pena di rischiare la vita per tro-varlo? Brunet allarga le braccia, sospirando in modo tipicamentefrancese. È un uomo determinato, facilmente irascibile, che si descri-ve come «matto, francese, povero, un socialista», seppure un sociali-sta che guida una Mercedes. Come se fosse ovvio, dichiara di volersapere da dove proviene l’uomo. Il problema lo ossessiona da quandolesse L’origine dell’uomo di Darwin, scritto nel 1871. Darwin suggerìche l’essere umano avesse origine in Africa, dal momento che gliscimpanzé e i gorilla africani sono le grandi scimmie più strettamenteimparentate all’uomo, e che facciamo tutti parte dell’ordine dei pri-mati. Da allora, gli esploratori hanno cercato “l’anello mancante”, unconcetto che proviene dall’antica idea della “grande catena dell’esse-re”, per la quale le creature della Terra sono legate le une alle altre,dalla più semplice alla più complessa. Da allora gli scienziati hannocominciato a cercare fossili che mostrassero come si colloca l’uomonella natura e quale sia il suo posto nel regno animale.

A partire dalla scoperta dell’Uomo di Giava in Indonesia, nel1891, da parte dell’anatomista olandese Eugène Dubois, molti fossilisono stati proposti per il ruolo di “anello mancante”, per essere poiprivati della qualifica nel momento in cui veniva ritrovato un fossileancora più antico e primitivo.

Introduzione XXI

sando e ripassando sullo stesso terreno così da non tralasciare nem-meno i fossili più minuscoli. Stavano ben attenti a non toccare nulladi metallico, nel caso fosse una delle mine lasciate dai ribelli delNord, letali ricordi della guerra civile intrapresa con le forze gover-native in questa regione desolata. Era un lavoro tedioso che si sareb-be concluso non appena il sole fosse salito più in alto, e con il soleanche la temperatura. Brunet tentava di rimanere concentrato sulcumulo davanti a sé, quando scorse un osso che spuntava dalla sab-bia. Si lasciò sfuggire un urlo. Ma era solo il fossile di un maiale.

L’autista del Ciad, Mamelbaye Tomalta, chiamò Brunet perchélo raggiungesse4. Aveva trovato un osso dentato conficcato in terra.Brunet non dimenticherà mai cosa vide quando spazzò via la sabbia.Sembrava la mascella di una scimmia antica, ma la forma dei denti losorprese. Presentavano una somiglianza più stretta con quelli di unuomo. Presto comprese che stava guardando l’osso mascellare diuno dei primi antenati dell’uomo, che aveva vissuto sull’antica rivadel lago Ciad circa 3,5 milioni di anni prima.

Più tardi, quella notte, Brunet non riuscì a dormire. Mentregiaceva sveglio sul suo letto da campo, ricordò la benedizione deinomadi e si chiese se davvero questa scoperta gli avrebbe portato lafelicità. Si alzò due volte solo per illuminare la mascella con la tor-cia, mentre gli uomini della sua squadra dormivano nella tenda allesue spalle. Voleva assicurarsi che non stesse sognando, che l’ossofosse vero. Una sola ombra offuscò quel momento: non avrebbepotuto mostrare il fossile al suo collaboratore di sempre, il geologoAbel Brillanceau, morto sei anni prima di una forma di malaria re-sistente ai farmaci, mentre cercavano fossili nella foresta del Came-run. Brunet quella notte promise di chiamare la mascella fossile“Abel”. Qualche giorno dopo, trovato un telefono a N’Djamena,chiamò un altro amico e collega di vecchia data, il paleontologodell’Università di Harvard David Pilbeam, che aveva fatto partedella stessa missione in Camerun. Era mattina presto a Cambrige(Massachussets), e Brunet svegliò Pilbeam. Disse solo: «David, l’hotrovato»5. Pilbeam capì immediatamente cosa intendeva, e fu enor-memente felice per Brunet. Se qualcuno meritava di fare una sco-perta del genere, questo era lui.

L’osso mascellare fu per Brunet, che mai prima di allora avevatrovato un fossile di un uomo delle origini, un premio a lungo ricer-cato. Certamente ci aveva provato. Prima del 1995, Brunet si era fat-to una reputazione come “paleontologo al servizio dei paleontolo-

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pletamente da scrivere. I biochimici avevano identificato lo scimpanzécome il parente vivente più prossimo dell’uomo, sulla base del con-fronto tra il DNA umano e quello delle altre scimmie.

Quando si allinearono porzioni equivalenti di DNA umano e diDNA di scimpanzé, fu riscontrato costantemente che erano troppele differenze (o mutazioni) che avrebbero dovuto accumularsi en-tro il momento in cui nacque la specie di Lucy, circa 3,8 milionidi anni fa. Dal momento che le mutazioni si accumulano su lunghitratti di DNA a un tasso relativamente stabile nel corso di milioni dianni, i genetisti possono contare le differenze nel DNA e usarlecome un orologio per datare approssimativamente la differenzia-zione di una specie da un’altra. L’orologio molecolare, impostatocon le date provenienti dalla documentazione fossile, ha fissato ladifferenziazione della specie umana dall’antenato dello scimpanzémolto tempo prima: pressappoco tra i cinque e i sette milioni dianni fa. Eppure, di più antico di Lucy, i cacciatori di fossili aveva-no trovato solo qualche dente e frammenti mal datati di ossa. Il piùgrande problema irrisolto nel campo dell’origine dell’uomo era:cosa c’era prima di Lucy? Chi era stato il primo membro della fa-miglia dell’uomo? E dov’era quella scimmia ancora più antica,quell’ultimo antenato che l’uomo aveva condiviso con gli scim-panzé prima che le due specie si separassero per proseguire neiloro diversi percorsi evolutivi?

Fu questo mistero che nel corso degli anni Ottanta e Novantacondusse Brunet e un manipolo di altri cacciatori di fossili in nuovisiti africani. Brunet e Pilbeam andarono verso ovest; altri, tra cui TimWhite, si diressero a est. Tutti si sentivano sul punto di trovare i pri-mi membri della famiglia umana o, quanto meno, i contemporaneistrettamente connessi ai nostri più antichi antenati, anche perché lepossibilità di trovare proprio gli individui che erano i nostri direttiantenati si facevano sempre più evanescenti. Con l’aiuto della geneti-ca moderna a supportarli nel decidere quale orizzonte temporaleesplorare, e grazie ai nuovi metodi di datazione, i cacciatori di fossilisapevano che stavano per mettere le mani su fossili abbastanza antichida aver vissuto subito dopo la differenziazione dell’antenato dell’uo-mo dall’antenato delle scimmie africane. La pista fossile condusse lamaggior parte dei cacciatori nell’Africa orientale, a lungo consideratala culla dell’umanità, visto che i riscontri fossili al di fuori dell’Africaorientale e meridionale non riuscivano a infrangere la barriera deidue milioni di anni. La strategia di Brunet di cercare nell’Africa occi-

Introduzione XXIII

Il fossile che ha mantenuto più a lungo il posto di primo antenatodell’uomo è stato Lucy, un esemplare femminile delle dimensioni diuno scimpanzé il cui scheletro parziale fu scoperto in Etiopia nel1974 dal giovane paleoantropologo americano Donald Johanson.Lucy apparteneva alla specie Australopithecus afarensis, che visse nellaRift Valley dell’Africa orientale tra i tre e i 3,6 milioni di anni fa. Pervent’anni i libri di testo hanno individuato nella specie di Lucy laprogenitrice del genere umano, che avrebbe originato gli esseriumani di là a venire, nonché alcune discendenze estinte di uomini-scimmia che vissero in Africa. Era una linea di discendenza pulita,gradevole nel suo ordinato dipanarsi di una specie in un’altra.

Attorno alla metà degli anni Novanta, quando Brunet iniziò l’e-splorazione dei siti nel Ciad, indizi eloquenti mostravano che questavisione era troppo semplicistica. La storia umana iniziava a sembrarecomplessa quanto un romanzo di Tolstoj, con nuovi personaggi cheapparivano inaspettatamente, mentre il libro della vita man mano sischiudeva. Malgrado la maggior parte dei ricercatori pensasse che adaver generato la linea di discendenza che ha condotto al modernoessere umano fosse la specie di Lucy, molti suggerivano che questanon rappresentasse l’unica specie umana primitiva presente sul pia-neta tra i tre e i quattro milioni di anni fa. Nuovi fossili aggiungeva-no nuovi rami all’albero genealogico della famiglia umana. Alcuni diessi rappresentavano linee di discendenze estinte. Altre linee di di-scendenza, che apparentemente coesistettero nel periodo compresotra uno e tre milioni di anni fa, hanno suscitato il dibattito su qualiominidi appartenessero alla linea che conduce fino alla specie umanamoderna. Per qualche tempo è stato anche ovvio che, nel corso del-la storia dell’uomo, tra questi e l’antenato delle scimmie non ci fosseun solo anello mancante: c’erano molti anelli mancanti sull’unicavera linea di discendenza che in milioni di anni ha condotto all’uo-mo. E non poteva trattarsi certo di una perfetta via di mezzo cheavesse sembianze per metà di scimmia e per metà d’uomo. L’espres-sione “anello mancante”, dunque, perse credito.

Nello stesso momento, mentre facevano la loro apparizione i nuo-vi fossili, ci fu una rivoluzione nel campo della biologia molecolare.Negli anni Sessanta gli evoluzionisti molecolari suggerirono che i pri-mi protagonisti della storia dovessero ancora essere trovati. La maggiorparte degli antropologi non credette a queste conclusioni. Attorno allametà degli anni Novanta le prove molecolari erano così solide che fuchiaro che il primo capitolo – la genesi del genere umano – era com-

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del Ciad, e a comprare alla sua squadra un piccolo aereo leggero perle missioni sul campo in Ciad.

La sua ricerca del primo ominide era appena cominciata. Anchequando faceva il giro dei laboratori dei suoi colleghi con il calco delsuo fossile, già aveva la sensazione che quell’osso mascellare fossel’apripista di fossili migliori che sarebbero emersi dalle dune sabbio-se del Ciad. Sapeva di essere ben posizionato per trovare qualcosadi ancora più antico e più vicino alle origini della specie umana,perché nel deserto del Djurab aveva trovato fossili di altri mammi-feri che erano vissuti più di sei milioni di anni fa. Non poteva data-re direttamente questi fossili, ma sapeva che erano specie animaliche si erano estinte più di sei milioni di anni fa sulla base della sco-perta delle stesse specie presso altri siti africani datati con affidabilità.Questi mammiferi erano fari che guidavano Brunet, indicandogli lastrada per i letti fossili che aprirono una finestra sul tardo Miocene,un’epoca compresa tra i 5,3 e gli undici milioni di anni fa, moltoprima che Lucy vivesse, in un’era misteriosa di cui praticamentenessun fossile di scimmia è mai stato trovato in Africa. Dopo la sco-perta della mascella di Abel, Brunet, a partire dal 1997, concentrò lasua osservazione su questi letti fossili. La sua squadra trascorse setti-mane e settimane a perlustrare la superficie delle dune e a passare alsetaccio fossili che andavano dai denti di roditore della dimensionedi cristalli di sale ai musi allungati degli ippopotami. Ben presto siimbatterono in un antico crocevia per le diverse specie di animaliche si muovevano lungo la sponda alberata dell’antico lago Ciad.

Le condizioni erano proibitive, anche per gli standard di Brunet.Diverse volte le tempeste di vento seppellirono le loro tende, intrap-polandoli all’interno per molti giorni, durante i quali sopravvisserocon pasta e tonno, riso e sardine. Quando furono finalmente in gra-do di avventurarsi al di fuori, dovettero scavare nella sabbia come sefosse neve e tenersi d’occhio l’un l’altro così da non perdere l’orien-tamento nella tempesta di vento.

Ma il vento era anche loro alleato. Ogni anno, le tempeste divento erodono quasi tre centimetri di arenaria, facendo ondeggiarelentamente le dune lungo il piatto deserto come le onde nel mare,ed esponendo fossili rimasti sepolti per milioni di anni. La dote difossili che lasciavano sulla propria scia diede a Brunet la fiducia perrinnovare la sua ricerca. Non voleva niente di meno che trovare ilprimo antenato dell’uomo. E sapeva di non avere tempo da perdere:altre due squadre erano già davanti a lui, compresa quella di White.

Introduzione XXV

dentale e centrale era un azzardo, poiché nessun antenato umano piùvecchio di un milione di anni era mai stato trovato nel Ciad.

Così, quando si seppe che Brunet si era imbattuto nella mascel-la di Abel quella mattina del gennaio 1995, la notizia risuonò nelmondo della paleontologia. Si aprì una terza finestra nelle prime fasidell’evoluzione umana, che aggiunse l’Africa centrale alla teoria chefino ad allora aveva circoscritto l’orizzonte solo all’Africa orientalee meridionale. La scoperta rese Brunet una sorta di celebrità inFrancia, dove seguire le tracce delle origini dell’uomo è un passa-tempo nazionale. Con un’età compresa tra i tre e i 3,5 milioni dianni, la mascella era il più antico fossile ominide mai trovato al difuori dell’Africa orientale e meridionale. Ciò significa che i primiominidi dovevano essere molto più antichi e che potevano esserenati fuori dai confini dell’Africa orientale.

Per un piccolo lavoratore del settore poco noto al di fuori dellacerchia dei paleontologi, trovarsi al centro dell’attenzione fu sedu-cente. Brunet chiaramente si compiacque dell’“effetto ominide”,ma sapeva che questo breve flirt con la celebrità non era nulla inconfronto all’immortalità che sarebbe derivata dalla scoperta del pri-mo ominide. Agli antropologi o ai paleontologi non viene assegnatonessun premio Nobel, ma lo scopritore del primo antenato dell’uo-mo sarebbe diventato tanto famoso quanto il fossile stesso. Nel cam-po della ricerca sull’origine dell’uomo, i nomi degli scopritori sonolegati per sempre ai fossili famosi che hanno trovato: Eugène Duboise l’Uomo di Giava, Raymond Dart e il Bambino di Taung, Louis eMary Leakey con Zinj, Donald Johanson e Lucy. Brunet, d’altraparte, diffidava dell’insidiosa influenza della celebrità. Anni dopo,osservò che molti paleoantropologi scopritori dei fossili più famosinel corso degli anni si erano distaccati dalla scienza. Alcuni furonodemoralizzati dalle critiche mosse ai loro fossili, ai quali erano legatiquanto alla loro stessa progenie. Altri, che erano andati rapidamenteincontro alla celebrità, passarono sempre più tempo in conferenze edavanti alle telecamere, costruendo documentari sulle proprie sco-perte, pubblicando le proprie memorie, o procurando finanziamen-ti alle proprie squadre. Nel 1995 Brunet era un uomo di mezza età,aveva problemi cardiaci, e sapeva di avere ancora molto lavoro dafare. Pertanto prese la decisione consapevole di restare concentratosulla scienza. Tuttavia era anche pragmatico, e riuscì a trarre vantag-gio dalla sua nuova celebrità sfruttandola per convincere i politicifrancesi a costruire un museo per i fossili a N’Djamena, la capitale

Il primo uomoXXIV

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