IL PIANETA MARTE · 2015-10-06 · zonte meridionale del cielo; era il pianeta Marte, che si...

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GIOVANNI VIRGINIO SCHIAPARELLI IL PIANETA MARTE Estratto dalla rivista «Natura ed Arte», anno II, fascicoli 5 e 6 (1° e 15 febbraio 1893). Testo elettronico di Danilo Romei Banca Dati Telematica “Nuovo Rinascimento” (www. nuovorinascimento.org) 6 ottobre 2015 Nelle belle sere dell’autunno passato una grande stella rossa fu veduta per più mesi brillare sull’oriz- zonte meridionale del cielo; era il pianeta Marte, che si accostava per qualche tempo alla Terra in una delle sue apparizioni, solite a ripetersi ad intervalli di 780 giorni. Nella schiera degli otto pianeti principali Mar- te occupa, per volume, il penultimo luogo; il solo Mercurio è più piccolo di lui. Ma in certe posizioni, in cui egli ritorna ad intervalli di sedici anni, Marte può avvicinarsi alla Terra più dell’usato, brillando più di ogni altro pianeta, Venere sola eccettuata; ed in tali contingenze tanto arde di luce rossa, da meritare il nome, che i Greci gli diedero, di Pyrois (infocato). Nei tempi ormai per sempre passati, quando si pretende- va di leggere in cielo l’avvenire degli umani eventi, queste grandi apparizioni di Marte erano lo spavento dei popoli, e davano molto da fare agli astrologi, ai quali incombeva il compito, non sempre facile, di stu- diare l’influsso del pianeta sulle vicende guerresche e sulle costellazioni politiche del momento. Anche ora la grande apparizione testé avvenuta di Marte ha de- stato il pubblico interesse; ma per una ragione ben diversa. Oggi è nata presso alcuni la speranza, che da osservazioni diligenti fatte sulla sua superficie con giganteschi telescopi, si possa ottenere quando che sia la soluzione di un gran problema cosmologico; ar- rivar cioè a sapere, se i corpi celesti possano dirsi se- de di esseri intelligenti, o, almeno, di esseri organiz- zati. L’idea di popolare gli astri e le sfere celesti d’intel- ligenze pure o corporee, di animali e di piante, non è nuova; ed una curiosa rassegna sarebbe a farsi di tutti gli scrittori antichi e moderni che si esercitarono su questo tema, incominciando dal Sogno di Scipione di Cicerone, e dalla Storia veridica di Luciano Samosate- se, e venendo giù per Dante, Giordano Bruno, Ugenio e Kircher a quegli eleganti novellatori francesi Cyra- no di Bergerac, Fontenelle, Voltaire, i quali posero ne- gli spazi celesti il teatro delle loro argute o satiriche descrizioni, per arrivare in ultimo al celebre Hans Pfaal d’Amsterdam, ben noto ai lettori di Edgar Poe. La maggior parte di questi scritti però o professano di esser pure immaginazioni poetiche, o sono scherzi di ingegno dei quali il vero pregio deve cercarsi in tut- t’altra parte che in una seria discussione dell’argo- mento di cui stiamo discorrendo. Ma nel presente se- colo diversi scrittori tentarono di elevare la pluralità dei mondi abitati alla dignità di questione filosofica. Lasciando da parte le sedicenti rivelazioni degli spiri- tisti, che ai nostri tempi hanno rinnovato ed anzi su- perato le visioni di Swedenborg, basterà nominare Giovanni Reynaud (Terre et Ciel) e Davide Brewster (More Worlds than one) i quali collocarono negli astri le speranze della nostra vita futura e seppero trovare, non dirò dimostrazioni (che in questa materia non ve n’è) ma pensieri ed aspirazioni che ebbero e sempre avranno eco vivissima nel sentimento di molti. Meta- fisica per metafisica, preferiamo questa ai dogmi bru- tali e scoraggianti del materialismo. Quanto ai teologi cristiani, essi, seguendo l’esempio di San Tommaso, quasi tutti osteggiarono l’idea che possano esistere altri mondi simili al mondo terrestre. Dico, quasi tut- ti, perché noi leggiamo in uno di loro, a cui certamen- te nessuno ha potuto far rimprovero d’empietà, le pa- role seguenti: 1 Il creato, che contempla l’astronomo, non è un sem- plice ammasso di materia luminosa; è un prodigioso organismo, in cui, dove cessa l’incandescenza della ma- teria, incomincia la vita. Benché questa non sia pene- trabile ai suoi telescopii, tuttavia, dall’analogia del no- stro globo, possiamo argomentarne la generale esisten- za negli altri. La costituzione atmosferica degli altri pianeti, che in alcuno è cotanto simile alla nostra, e la struttura e la composizione delle stelle simile a quella del nostro sole, ci persuadono che essi, o sono in uno stadio simile al presente del nostro sistema, o percor- rono taluno di quei periodi, che esso già percorse, o è destinato a percorrere. Dall’immensa varietà delle crea- ture che furono già e che sono sul nostro globo, pos- siamo argomentare le diversità di quelle che possono esistere in altri. Se da noi l’aria, l’acqua e la terra sono popolate da tante varietà di esse, che si cambiarono le tante volte al mutare delle semplici circostanze di clima e di mezzo; quante più se ne devon trovare in quegli 1 SECCHI. Lezioni di fisica terrestre, p. 214-216.

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GIOVANNI VIRGINIO SCHIAPARELLI

IL PIANETA MARTEEstratto dalla rivista «Natura ed Arte», anno II, fascicoli 5 e 6 (1° e 15 febbraio 1893).

Testo elettronico di Danilo Romei

Banca Dati Telematica “Nuovo Rinascimento”(www. nuovorinascimento.org)

6 ottobre 2015

Nelle belle sere dell’autunno passato una grandestella rossa fu veduta per più mesi brillare sull’oriz-zonte meridionale del cielo; era il pianeta Marte, chesi accostava per qualche tempo alla Terra in una dellesue apparizioni, solite a ripetersi ad intervalli di 780giorni. Nella schiera degli otto pianeti principali Mar-te occupa, per volume, il penultimo luogo; il soloMercurio è più piccolo di lui. Ma in certe posizioni, incui egli ritorna ad intervalli di sedici anni, Marte puòavvicinarsi alla Terra più dell’usato, brillando più diogni altro pianeta, Venere sola eccettuata; ed in talicontingenze tanto arde di luce rossa, da meritare ilnome, che i Greci gli diedero, di Pyrois (infocato). Neitempi ormai per sempre passati, quando si pretende-va di leggere in cielo l’avvenire degli umani eventi,queste grandi apparizioni di Marte erano lo spaventodei popoli, e davano molto da fare agli astrologi, aiquali incombeva il compito, non sempre facile, di stu-diare l’influsso del pianeta sulle vicende guerresche esulle costellazioni politiche del momento. Anche orala grande apparizione testé avvenuta di Marte ha de-stato il pubblico interesse; ma per una ragione bendiversa. Oggi è nata presso alcuni la speranza, che daosservazioni diligenti fatte sulla sua superficie congiganteschi telescopi, si possa ottenere quando chesia la soluzione di un gran problema cosmologico; ar-rivar cioè a sapere, se i corpi celesti possano dirsi se-de di esseri intelligenti, o, almeno, di esseri organiz-zati.

L’idea di popolare gli astri e le sfere celesti d’intel-ligenze pure o corporee, di animali e di piante, non ènuova; ed una curiosa rassegna sarebbe a farsi di tuttigli scrittori antichi e moderni che si esercitarono suquesto tema, incominciando dal Sogno di Scipione diCicerone, e dalla Storia veridica di Luciano Samosate-se, e venendo giù per Dante, Giordano Bruno, Ugenioe Kircher a quegli eleganti novellatori francesi Cyra-no di Bergerac, Fontenelle, Voltaire, i quali posero ne-gli spazi celesti il teatro delle loro argute o satirichedescrizioni, per arrivare in ultimo al celebre HansPfaal d’Amsterdam, ben noto ai lettori di Edgar Poe.La maggior parte di questi scritti però o professano diesser pure immaginazioni poetiche, o sono scherzi di

ingegno dei quali il vero pregio deve cercarsi in tut-t’altra parte che in una seria discussione dell’argo-mento di cui stiamo discorrendo. Ma nel presente se-colo diversi scrittori tentarono di elevare la pluralitàdei mondi abitati alla dignità di questione filosofica.Lasciando da parte le sedicenti rivelazioni degli spiri-tisti, che ai nostri tempi hanno rinnovato ed anzi su-perato le visioni di Swedenborg, basterà nominareGiovanni Reynaud (Terre et Ciel) e Davide Brewster(More Worlds than one) i quali collocarono negli astrile speranze della nostra vita futura e seppero trovare,non dirò dimostrazioni (che in questa materia non ven’è) ma pensieri ed aspirazioni che ebbero e sempreavranno eco vivissima nel sentimento di molti. Meta-fisica per metafisica, preferiamo questa ai dogmi bru-tali e scoraggianti del materialismo. Quanto ai teologicristiani, essi, seguendo l’esempio di San Tommaso,quasi tutti osteggiarono l’idea che possano esisterealtri mondi simili al mondo terrestre. Dico, quasi tut-ti, perché noi leggiamo in uno di loro, a cui certamen-te nessuno ha potuto far rimprovero d’empietà, le pa-role seguenti:1

Il creato, che contempla l’astronomo, non è un sem-plice ammasso di materia luminosa; è un prodigiosoorganismo, in cui, dove cessa l’incandescenza della ma-teria, incomincia la vita. Benché questa non sia pene-trabile ai suoi telescopii, tuttavia, dall’analogia del no-stro globo, possiamo argomentarne la generale esisten-za negli altri. La costituzione atmosferica degli altripianeti, che in alcuno è cotanto simile alla nostra, e lastruttura e la composizione delle stelle simile a quelladel nostro sole, ci persuadono che essi, o sono in unostadio simile al presente del nostro sistema, o percor-rono taluno di quei periodi, che esso già percorse, o èdestinato a percorrere. Dall’immensa varietà delle crea-ture che furono già e che sono sul nostro globo, pos-siamo argomentare le diversità di quelle che possonoesistere in altri. Se da noi l’aria, l’acqua e la terra sonopopolate da tante varietà di esse, che si cambiarono letante volte al mutare delle semplici circostanze di climae di mezzo; quante più se ne devon trovare in quegli

1 SECCHI. Lezioni di fisica terrestre, p. 214-216.

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sterminati sistemi, ove gli astri secondarii son rischiara-ti talora non da uno, ma da più Soli alternativamente, edove le vicende climateriche succedentisi del caldo edel freddo devono essere estreme per le eccentricitàdelle orbite, e per le varie intensità assolute delle lororadiazioni, da cui neppure il nostro Sole è esente!

Sarebbe però ben angusta veduta quella di volermodellato l’Universo tutto sul tipo del nostro piccologlobo, mentre il nostro stesso relativamente microsco-pico sistema ci presenta tante varietà; né è filosofico ilpretendere che ogni astro debba esser abitato come ilnostro, e che in ogni sistema la vita sia limitata ai satel-liti oscuri. È vero, che essa da noi non può esistere cheentro confini di temperatura assai limitati, cioè tra 0° e40°-45° gradi centesimali, ma chi può sapere se questinon sono limiti solo pei nostri organismi? Tuttavia, an-che con questi limiti, se essa non potrebbe esistere negliastri infiammati, questi astri maggiori avrebbero sem-pre nella creazione il grande ufficio di sostenerla, rego-lando il corso dei corpi secondarii mediante l’attrazio-ne delle loro masse, e di avvivarle colla luce e col calo-re. E qual sorpresa sarebbe, se fra tanti milioni, anchemolti e molti di questi sistemi fossero deserti? Non ve-diamo noi che sul nostro globo regioni, in proporzioniassai estese, sono incapaci di vita? L’immensità dellafabbrica, non verrebbe perciò meno alla sua dignità, néallo scopo inteso dell’Architetto.

La vita empie l’universo, e colla vita va associatal’intelligenza; e come abbondano gli esseri a noi infe-riori, così possono in altre condizioni esisterne di quelliimmensamente più capaci di noi. Fra il debole lume diquesto raggio divino, che rifulge nel nostro fragilecomposto, mercé del quale potemmo pur conosceretante meraviglie, e la sapienza dell’autore di tutte le co-se è una infinita distanza, che può essere intercalata dagradi infiniti delle sue creature, per le quali i teoremi,che per noi son frutto di ardui studi potrebbero esseresemplici intuizioni.

Mi son permesso di trascrivere questo passo delSecchi, perché è difficile dir più e meglio in sì pocheparole. Ai nostri tempi la dottrina della pluralità deimondi abitati da esseri viventi ed intelligenti ha tro-vato un ardente apostolo in Camillo Flammarion.Questo dotto ed immaginoso scrittore, nel quale lascienza copiosa ed ordinata dei fatti d’osservazionenon impedisce l’esercizio di una fantasia potente edella più seducente eloquenza, già da trent’anni vasvolgendo la questione sotto i suoi varii aspetti in di-verse opere, le quali e da chi consente, e da chi dubitasi fanno leggere assai volentieri.2 Egli si è proposto disottrarre questo tema alla fantasia dei poeti ed all’ar-bitrio dei novellieri, e di circondare l’ipotesi dellapluralità dei mondi abitati con tutto l’apparato scien-tifico, che oggi è possibile chiamare in suo soccorso;di darle così tutto quel grado di logica consistenza edi probabilità empirica di cui è capace. «Faire conver-ger toutes les lumières de la science vers ce grandpoint, la Vie universelle; l’éclairer dans son aspect ré-el; établir ses rayonnements immenses et montrer

2 Leggansi particolarmente: La Pluralité des Mondes Habités: Lesmondes imaginaires et les Mondes réels: Récits de l’Infini: Les Terresdu Ciel: Contemplations Scientifiques.

qu’il est le but mystérieux autour du quel gravite lacréation toute entière; agrandir ainsi jusque par de làles bornes du visible le domaine de l’existence vitale,si longtemps confiné à l’atome terrestre; déchirer lesvoiles qui nous cachaient le règne de l’existence à lasurface des mondes; et sur la vie à l’infini répanduepermettre à la pensée de planer dans son auréole glo-rieuse; c’est là, selon nous, un problème, dont la solu-tion importe à notre temps». Questo è lo splendidoprogramma al quale il cosmologo francese ha consa-crato il suo ingegno e la sua varia coltura. Leggendole sue pagine animate da calda eloquenza ed ardentidel desiderio dell’ignoto, si è tratti ad esclamare col-l’Ettore virgiliano:

Si Pergama dextraDefendi possent, certe hac defensa fuissent.

Se fosse stato possibile dimostrare la esistenza del-la vita e dell’intelligenza nei globi celesti con altri ar-gomenti, che con quelli della diretta osservazione,nessuno più del Flammarion avrebbe meritato di far-lo. Ma pur troppo è da confessare che, quanto a risul-tati di osservazione, finora abbiamo poche speranze enessun fatto. La Luna, che di tutti gli astri è senza pa-ragone il più prossimo a noi, e nella quale oggetti di400 e 500 metri di diametro sono visibili senza troppadifficoltà nei potenti telescopi del tempo moderno, laLuna non ha dato fatti, e non dà neppure speranze.Più la si esamina, e più si ha ragione di credere, chesia un deserto di aride rupi, privo d’ogni elementonecessario alla vita organica. Né fatti, né speranze sipossono avere dallo studio della superficie di Venere,che fra tutti i pianeti è quello che può avvicinarsimaggiormente alla Terra. La sua atmosfera è perpe-tuamente ingombra di dense nuvole, le quali finorahanno impedito, ed impediranno probabilmente an-cora per lunghi secoli (se non per sempre) di conosce-re i particolari del suo corpo solido, e quanto su diesso avviene. Per ragioni non dissimili (a cui si ag-giunge la grande lontananza) nulla avremo a sperarein quest’ordine di idee dallo studio dei grandi pianetisuperiori, Giove, Saturno, Urano, e Nettuno. Quantoa Mercurio, le sue osservazioni sono di una estremadifficoltà, avviluppato com’egli è di continuo nellaluce del Sole; tanto, che solamente negli ultimi anni èstato possibile discernervi entro qualche macchia consufficiente frequenza e determinare il vero periododella sua rotazione. Non parliamo né del Sole, né del-le stelle, né delle comete, né delle nebule; tutti corpi,dei quali la costituzione fisica non sembra propria al-la produzione e alla conservazione della vita, almenonelle forme con cui noi l’intendiamo.

Tutte le nostre speranze si sono quindi poco a po-co concentrate su Marte, il solo astro che possa giusti-ficarle sino ad un certo punto, siccome or ora si ve-drà. Tali speranze si sono accresciute ed hanno rag-giunto anzi presso alcuni un grado di esaltazionequasi febbrile, dopo che un esame accurato di quelpianeta ha fatto scoprire in esso alcuni cambiamenti,e un sistema di misteriose configurazioni, in cui conun po’ di buona volontà si potrebbe congetturare

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piuttosto il lavoro di esseri intelligenti, anzi che lasemplice opera delle forze naturali inorganiche. L’ul-tima grande apparizione di Marte ha dato origine adespressioni entusiastiche di tali speranze, specialmen-te presso i Nordamericani; i quali, possedendo nel lo-ro Osservatorio di California il più gran cannocchialeche mai sia stato costrutto, avrebbero tutto il diritto alvanto di aver scoperto non solo un nuovo mondo, maanche una nuova umanità. Ma in Francia l’agitazionedelle menti ispirata dal Flammarion ha prodotto ef-fetti anche più straordinari: ivi con tutta serietà sonoproposte ingenti somme come premio a chi sarà pri-mo a dimostrare, per mezzo della diretta osservazio-ne, che esistono in alcuno degli astri indizî certi di es-seri intelligenti. In America poi ed in Francia si stamacchinando la costruzione di nuovi telescopi d’inu-sata potenza, il costo dei quali si conterà per milioni.Fra tanti segni dei tempi questo almeno ci dà diritto asperar bene dell’avvenire. L’ansietà con cui moltiguardano alle tenebre del futuro non mi sembra inogni parte giustificata. Non è vero che l’età presente,più delle passate, manchi di elevati principi e di aspi-razioni ideali. Il secolo decimonono può considerarecon orgoglio quello che ha fatto; il suo posto negli an-nali del progresso umano non sarà senza gloria. A co-sto d’incredibili fatiche e di eroici sacrifizi esso hacompiuto ormai l’esplorazione di tutta la superficieterrestre, sulle cui carte non restano che poche lacune.Penetrando nelle viscere del nostro pianeta, ha mo-strato la storia delle trasformazioni a cui fu soggetto,ed ha rievocato dal loro sepolcro le infinite genera-zioni che lo popolarono per milioni di anni. Coll’in-vestigazione archeologica, collo studio dell’etnografiae della filologia ha ritrovato i veri titoli di nobiltà delgenere umano, e fatto risorgere alla luce del giorno iprimi prodotti delle sue civiltà. Con estese associa-zioni di pazienti e di instancabili osservatori ha ini-ziato lo studio dell’atmosfera, e delle sue leggi, chesarà uno dei grandi problemi del secolo XX. Ma tuttoquesto non gli è bastato; e dopo aver proseguito e-nergicamente nello studio dei cieli, della materia, edelle forze naturali l’opera dei secoli anteriori e fon-data la chimica degli astri, di cui prima pareva folliaparlare; ora aspira a più alta meta, e ansiosamentecomincia a spiare, se qualche voce di simpatia e difratellanza non ci possa venir dalle profondità cosmi-che; e per ottenerne indizio è pronto a spender per unsolo telescopio più somme, di quante ne abbian spesein favore della scienza pura tutti i secoli precedentiinsieme considerati. Ecco uno, un solo dei tanti aspet-ti nobili, moralmente grandiosi, poetici, sotto cui sipresenterà alla posterità imparziale quel secolo, cheallo spettatore unilaterale sembra essere per eccellen-za il secolo della prosa, dell’egoismo, della meccanicabrutale, dei godimenti materiali. Noi siamo miglioridi quello che crediamo essere! La stessa difficoltà cheproviamo ad esser contenti e soddisfatti di noi mede-simi, è un segno di progresso e di forza. Ma torniamoal nostro argomento.

II.

Nella scala delle orbite planetarie, la Terra occupa,a partir dal Sole, il terzo posto e Marte il quarto.L’orbita di Marte comprende quindi dentro di sél’orbita della Terra; ed è di essa più grande nel rap-porto di circa 3 a 2. Ambedue le orbite sono di formaleggermente ovale, ma così per l’una come per l’altrala differenza fra il più grande e il più piccolo diame-tro è relativamente trascurabile: in altre parole, la dif-ferenza di queste orbite da un circolo perfetto è assaipoca, tanto che occorrerebbero disegni in molto gran-de scala per renderla sensibile a misure fatte col com-passo. Il Sole non si trova nel centro né dell’una, nédell’altra, e questo difetto di centratura è assai mag-giore per Marte che per la Terra. La Terra gira intornoal Sole in ragione di 30 chilometri per minuto secon-do; Marte in ragione di 24 chilometri. Essendo questipiù lento, e dovendo percorrere un circolo più gran-de, impiega, a far il suo giro completo intorno al Sole,687 giorni, quasi il doppio dei 365 che impiega la Ter-ra a fare il proprio.

Quindi appare subito manifesta la ragione per cuicosì di raro Marte rifulge in tutto il suo splendore.Movendosi i due astri intorno al Sole in periodi cosìdifferenti, per lo più si troveranno in parti molto di-stanti dello spazio celeste, e soltanto saranno vicini,quando l’uno e l’altro giaceranno nella medesima di-rezione a partir dal sole. Trovandosi allora i tre corpi(Sole, Terra, Marte) in linea retta, e la Terra (comequella che è più vicina al Sole) occupando il posto dimezzo, allo spettatore terrestre, Marte ed il Sole ap-pariranno in plaghe opposte al cielo; e questo inten-dono dire gli astronomi quando parlano di Marte inopposizione col Sole. Le epoche adunque in cui Martesi presenta a noi più vicino, sono quelle delle opposi-zioni, le quali ricorrono ad intervalli di circa ventiseimesi, o 780 giorni.

Ma non in tutte le opposizioni Marte giunge adavvicinarsi alla Terra in egual misura. Mentre l’orbitadella Terra è quasi esattamente centrata sul Sole,quella di Marte è invece notabilmente eccentrica: laloro proporzione e disposizione può vedersi rappre-sentata nella figura qui a lato, dove S rappresenta ilSole, il circolo minore è quello della Terra, il maggio-re quello di Marte. Ora si vede subito, che quando idue pianeti si avvicinano fra loro nella parte più ser-rata dell’intervallo fra le due orbite, la Terra essendoin T e Marte in M, si ha il massimo avvicinamentopossibile, siccome (con poca differenza) è accadutonel 1877 e nel 1892, e di nuovo accadrà nel 1909. Que-ste, che ricorrono ad intervalli alternati di 15 e di 17anni, diconsi le grandi opposizioni. Marte allora è ve-ramente stupendo a considerare coll’occhio nudo, mapiù ancora col telescopio. Tuttavia anche in tale favo-revolissima posizione il suo diametro apparente nonsupera la settantacinquesima parte del diametro ap-parente del Sole o della Luna: così che occorre un te-lescopio amplificante 75 volte perché in esso Marte sipresenti come la Luna all’occhio nudo. Ma nelle co-muni opposizioni non si arriva neppure a tanto: e

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quando i due pianeti occupano i punti designati sullafigura con T' M', la minima loro distanza T'M' è quasidoppia della TM. In queste opposizioni meno fortu-nate il massimo diametro apparente a cui Marte puòarrivare non supera 1/150 del diametro lunare, ed ènecessario amplificarlo 150 volte per vederlo come laLuna ad occhio nudo. La sua superficie apparente ela sua luce sono allora soltanto il quarto di quella chesi vede nelle grandi opposizioni.

Non conviene dunque illudersi su questi, che ab-biam chiamato avvicinamenti di Marte alla Terra; so-no vicinanze relative, e la Luna, che pure dista da noitrenta diametri del globo terrestre, ha ancora su Mar-te un grandissimo vantaggio. Il 2 Settembre 1877 e il 6Agosto 1892, giorni delle ultime grandi opposizioni,ebbe luogo la minima distanza possibile del pianeta,che fu di quasi 57 milioni di chilometri e di 146 voltela distanza della Luna. Mentre adunque in questa untelescopio di mediocre potenza è capace di rilevaremontagne, valli, circhi e crateri senza numero ed u-n’infinità di altri particolari topografici,3 ben altro po-tere ottico sarà necessario, perché si possano vederedistintamente in Marte anche soltanto le configura-zioni delle macchie principali. L’esperienza ha fattovedere che non è difficile di rilevar nella Luna, colsoccorso dei maggiori telescopi, un oggetto roton-deggiante di mezzo chilometro di diametro, o unastriscia di 200 metri di larghezza. In Marte si può ar-rivare a distinguere come punto un oggetto roton-deggiante di 60 a 70 chilometri di diametro, e comelinea sottile una striscia di 30 chilometri di larghezza.Il corso di un fiume come il Po sarebbe facile a distin-guersi nella Luna su quasi tutta la sua lunghezza, manessuno dei maggiori fiumi della Terra riuscirebbe a

3 La carta lunare di Schmidt, fatta con telescopi di 10 a 15 centi-metri, ha due metri di diametro ed in essa son figurati nien-temeno che 32.856 crateri.

noi visibile in Marte. E mentre nella Luna una cittàcome Milano (od anche soltanto Pavia) sarebbe giàun oggetto ben vidibile a noi, in Marte non potrem-mo sperare di vedere neppure Parigi e Londra, edappena con molta attenzione sarebbe possibile di-stinguervi isole rotondeggianti della grandezza diMajorca, od isole allungate, grandi come Candia eCipro.

Non farà dunque meraviglia, che Galileo, i cui te-lescopi non superarono mai l’amplificazione di 30diametri, non abbia potuto fare in Marte alcuna sco-perta. Primo ad osservare con qualche sicurezza lemacchie di questo pianeta fu il celebre Ugenio, che levide coll’aiuto di telescopi lavorati da lui stesso, assaipiù perfetti e più grandi di quelli di Galileo (1656-1659). Pochi anni dopo, Domenico Cassini a Bologna(1666) non solo riconobbe diverse macchie, ma dal lo-ro rapido spostarsi sul disco fu condotto a scoprire larotazione del pianeta intorno ad un asse obliquo, a si-militudine della Terra: dalla qual rotazione definì ladurata in 24 ore e 40 minuti. I telescopi usati da Cas-sini erano lavorati in Roma dal più celebre arteficeottico di quei tempi, Giuseppe Campani, i cui lavorigodettero di un incontrastabile primato per quasicent’anni, fino a che per opera di Short, di Dollond edi Herschel tale vanto passò per qualche tempo al-l’Inghilterra. E con telescopi di Campani fece Bian-chini in Verona nel 1719 i primi disegni alquanto ac-curati delle macchie di Marte, scoprendo in esse par-ticolari abbastanza difficili, quale per esempio la sot-tile penisola che nella carta annessa porta il nome diHesperia. Verso la fine del secolo scorso Herschel eSchroeter dallo studio delle candide macchie polaridel pianeta dedussero l’obliquità del suo asse di rota-zione rispetto al piano dell’orbita, quell’angolo, cioè,che per la Terra costituisce l’obliquità dell’eclittica, edè poco diverso nell’uno e nell’altro pianeta. Così fudeterminato anche per i due emisferi di Marte il corsoperiodico delle stagioni, e la legge delle variazioni deiclimi, che tanta analogia mostrano con le nostre.

Tutte queste osservazioni però non erano suffi-cienti a dare una descrizione completa della superfi-cie di Marte. Come vero fondatore dell’Areografia4

dobbiamo considerare il tedesco Maedler, il quale nel1830, valendosi di un perfettissimo telescopio di Fra-unhofer (celebre ottico di Monaco, per cui opera ilprimato nella costruzione dei telescopi passò verso il1820 alla Germania), vide e descrisse le macchie delpianeta incomparabilmente meglio che tutti gli astro-nomi anteriori. Maedler fu il primo a determinare conmisure bene ordinate la posizione di un certo numerodi punti principali sulla superficie di Marte rispettoall’equatore e ad un primo meridiano, che è quellonotato zero sull’annessa carta.

4 Parola che significa descrizione di Marte ed è derivata dal nomegreco di questo pianeta, Ares, come dal nome greco della Terraè derivato il nome della Geografia.

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Ordinando rispetto a questi punti le diverse parti-colarità topografiche riuscì a costruire la prima cartaareografica: la quale, comeché ancora incompleta enecessariamente limitata a poche macchie principali,è tuttavia monumento onorevole della sua cura e di-

ligenza, e rappresenta per la descrizione di Martequello che 2000 anni fa la carta di Eratostene fu per lageografia terrestre. Questa carta per più di 30 anni funon soltanto la migliore, ma anzi l’unica; e soltantoverso il 1860 si cominciò a fare nello studio del piane-

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ta qualche progresso ulteriore, specialmente per le os-servazioni di Secchi, Dawes, Kaiser, e Lockyer. Daquell’epoca e specialmente a partire dalla grande op-posizione del 1862 quei progressi si vennero accele-rando, ed a ciò contribuirono non poco i grandissimitelescopi, che negli ultimi tempi gli ottici, specialmen-te quelli d’America, hanno imparato a costruire.5

Dalla comparazione di tutte le nuove ed anticheosservazioni risultò come primo fatto importante, chela forma e disposizione delle macchie del pianeta èinvariabile nei suoi tratti principali, com’è sulla Terrala distribuzione dei mari e della parte asciutta. Noipossiamo, per esempio, riconoscere nei disegni diUgenio (1659) il golfo appellato Gran Sirte (vedi l’an-nessa carta); nei disegni di Maraldi (1704) il MareCimmerio e il Mare delle Sirene; nei disegni di Bianchini(1719) il Mare Tirreno e la penisola Esperia. Anche leposizioni dei punti principali determinate da Maedler(1830), da Kaiser (1862) e da me (1877-1879) si accor-dano fra loro in modo da escludere affatto l’idea diSchroeter, che le macchie di Marte siano nuvole o for-mazioni atmosferiche transitorie, come certamentesono quelle di Giove e di Saturno.

Marte ha dunque una topografia stabile, come laTerra e la Luna, e per quanto si può sapere, ancheMercurio. Tale stabilità si ravvisa tuttavia per Martesoltanto nelle forme generali, e non si estende agli ul-timi particolari. Osservazioni continuate han postofuor d’ogni dubbio negli ultimi tempi che molte re-gioni mutano di colore fra certi limiti, secondo la sta-gione che domina su quei luoghi, e secondo l’inclina-zione, con cui sono percossi dai raggi solari. Tali mu-tazioni di colori hanno certamente luogo anche permolte parti della Terra, e sarebbero visibili ad unospettatore collocato in Marte. Ma si osserva in questouna cosa, che certamente sulla Terra non ha luogo: icontorni delle grandi macchie possono subire cioèleggiere mutazioni, piccole rispetto alle dimensionidelle macchie stesse, ma pur tuttavia abbastanzagrandi per rendersi cospicue anche a noi. Anche que-sti contorni non sono sempre ugualmente ben defini-ti. Molte minutissime particolarità si vedono meglioin certe epoche, e meno bene in certe altre; e possonoda un tempo all’altro anche variar d’aspetto e di for-ma, senza che tuttavia si possa concepire alcun dub-bio sulla loro identità. E finalmente è da notare, cheMarte ha un’atmosfera abbastanza densa, ed unapropria meteorologia, come sarà spiegato più innan-zi. Tutte queste variazioni annunziano un sistemagrandioso di processi naturali, che conferisce allo stu-dio di Marte un interesse molto più grande di quelloche deriverebbe dal semplice studio topografico diuna superficie immutabile ed inerte, come sembra es-

5 Una storia completa di tutte le osservazioni fisiche e topografi-che fatte su Marte dalla metà del Secolo XVII fino al 1892 si hanell’opera di Flammarion intitolata: La Planète Mars et ses condi-tions de habitabilité: synthèse générale de toutes les observations, cli-matologie, météorologie, aréographie, continents, mers et rivages, eauxet neiges, saisons et variations observées: illustré de 580 dessins téle-scopiques, et 23 cartes. Paris 1892. 600 pag. in grande 8°.

ser quella della Luna. Insomma il pianeta non è undeserto di arido sasso; esso vive, e la sua vita si mani-festa alla superficie con un insieme molto complicatodi fenomeni, ed una parte di questi fenomeni si svi-luppa su scala abbastanza grande per riuscire osser-vabile agli abitatori della Terra. Vi è in Marte unmondo intiero di cose nuove da studiare, eminente-mente proprie a destare la curiosità degli osservatorie dei filosofi, le quali daranno da lavorare a molti te-lescopi per molti anni, e saranno un grande impulsoal perfezionamento dell’Ottica. Tale è la varietà e lacomplicazione dei fenomeni, che soltanto uno studiocompleto e paziente potrà rischiarare le leggi secondocui quelli si producono, e condurre a conclusioni si-cure e definite sulla costituzione fisica di un mondotanto analogo al nostro sotto certi rispetti, e pur sottoaltri tanto diverso.

Non si creda tuttavia di poter accedere a questostudio così attraente senza aiuto ottico proporzionatoalla difficoltà della cosa. La sempre grande distanzadel pianeta, e la piccolezza relativa6 del medesimonon permettono di usare con molto frutto amplifica-zioni inferiori a 200 e 300, né telescopi di lente obbiet-tiva inferiore in diametro a 20 centimetri: questo nellegrandi opposizioni, come quelle del 1877 e del 1892. Manelle opposizioni meno favorevoli (ed in quelle ap-punto suole Marte dispiegare i suoi fenomeni più cu-riosi) lo studio dei più delicati particolari non si puòfar bene con amplificazioni minori di 500 e 600 dia-metri, quali si possono avere soltanto da telescopidell’apertura di 40 centimetri o più.

Le due carte annesse sono state fatte appunto conistrumenti della forza che ho detto. L’emisfero austra-le, il quale a causa dell’inclinato asse di Marte suolepresentarsi meglio alla nostra vista nelle grandi op-posizioni, che nelle altre, è stato rilevato principal-mente negli anni 1877-1879, con un telescopio di 22centimetri d’apertura. Ma per l’emisfero boreale, chesi presenta in prospettiva conveniente soltanto nelleopposizioni meno favorevoli, si è potuto negli anni1888 e 1890 approfittare di un istrumento molto piùgrande, il cui vetro obbiettivo ha 49 centimetri di dia-metro, e permette di spingere l’amplificazione di Mar-te fino a 500 e 650.

Non senza qualche interesse vedrà il lettore rap-presentato nell’annessa pagina quest’ultimo istru-mento, il più potente che sia uscito delle officine diGermania. La sua collocazione a Brera fu decretatadal Re e dal Parlamento nel 1878; ogni volta che loconsideriamo esso richiama a noi la memoria diquell’uomo non facilmente dimenticabile, che fuQuintino Sella, ai cui uffici la Specola di Milano devequesto suo principale ornamento. La lente obbiettiva,lavorata in Monaco da Merz successore di Fraunho-fer, ha 49 centimetri di diametro nella parte libera; la

6 Il suo diametro sta a quello della terra in rapporto prossima-mente di uno a due, o più esattamente di 11:21. Un grado geo-grafico, che sul globo della terra rappresenta 60 miglia di 1852metri ciascuno, sul globo di Marte rappresenta quasi esattamen-te 60 chilometri.

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macchina che porta il telescopio e permette di dirige-re con tutta facilità in cinque minuti la gran mole ver-so qualunque plaga del cielo, è un vero prodigio dellameccanica moderna e fu lavorata in Amburgo dai fra-telli Repsold. La sua parte mobile (che son parecchietonnellate di metallo) può essere mossa dalla pres-sione di un dito ed aggiustato su qualunque astro col-la stessa esattezza che si potrebbe ottenere per il piùdelicato microscopio. Un meccanismo d’orologio la

porta in giro insieme al cielo intorno all’asse delmondo, per guisa, che diretto il telescopio ad un a-stro, segue di questo la rivoluzione diurna, e l’astroappare immobile nel campo telescopico per tutto iltempo che si vuole. I molti organi sussidiari, che siveggono nella parte inferiore del tubo a portata del-l’osservatore, servono alle diverse specie di operazio-ni, che con questo strumento si devono compiere.

È questo il massimo dei telescopi esistenti in Italia7

ma otto o dieci altri di esso maggiori sono stati co-strutti o si stanno costruendo in diverse parti. Fra tut-

7 Secondo in ordine di grandezza è il telescopio che con esempiodegno d’imitazione il Dott. V. Cerulli eresse l’anno scorso aproprie spese nel suo osservatorio privato di Colle Urania pres-so Teramo (Abruzzi); il diametro della lente obbiettiva è di 40centimetri.

ti giganteggia quello dell’Osservatorio di California,eretto sulla cima del Monte Hamilton, presso S. Fran-cisco per legato di James Lick, ricco negoziante, chein tal modo volle assicurata presso i posteri la suamemoria. L’obbiettivo di questo colosso dell’otticamoderna ha 91 ½ centimetri di diametro, e da sé soloè costato l’egregia somma di 50 mila dollari (275000lire a un dipresso). Tutto l’istrumento è, nella sua ge-nerale disposizione, poco dissimile da quello che quisopra fu descritto, ma è due volte più grande in ogni

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dimensione. Ma fra non molto il telescopio Califor-niano sarà superato da un altro, per il quale già sihanno fusi i vetri in America: questo avrà non menodi 102 centimetri d’apertura, ed il suo costo è calcola-to in 200 mila dollari (1.100.000 lire). E sarà collocato,non già nei climi variabili della nostra zona tempera-ta, e tanto meno poi in mezzo al fumo e alla luce elet-trica di una città grande; ma sopra una mediocre ele-vazione delle Ande peruviane, in un clima sereno, diaria tranquilla e temperata, benché posto nella zonatorrida.

Quanto al telescopio di tre metri di diametro chesi vuol preparare in Francia per l’esposizione del1900, e sul quale già si è mosso tanto rumore, aspette-remo a parlarne quando sarà fatto. Non ha da essereun telescopio a vetri, come i precedenti, ma un tele-scopio riflettore nel quale la lente obbiettiva sarà sur-rogata da un grande specchio. Senza dubbio, la mag-gior facilità e la minore spesa di questa maniera ditelescopio permetterà di raggiungere dimensionimolto maggiori che colle lenti di vetro: anzi esistonogià in Inghilterra ed in Francia parecchi di tali stru-menti da uno a due metri di diametro, i quali presta-no utillissimi servizi in molte ricerche e segnatamentein tutte quelle che richiedono gran copia di luce senzamolto riguardo alla precisione dell’immagine ottica:per esempio nello studio del calore lunare e nellachimica celeste. Ma quanto a visione distinta, glispecchi di grande dimensione finora si son dimostratitroppo inferiori alle lenti di corrispondente potenza: eriguardo all’esplorazione dei mondi planetari non sa-rà permesso di fondare sul futuro telescopio di Parigimolto grandi speranze.

III.

Già i primi Astronomi, che studiarono Marte coltelescopio, ebbero occasione di notare sul contornodel suo disco due macchie bianco-splendenti di formarotondeggiante e di estensione variabile. In progressodi tempo fu osservato, che mentre le macchie comunidi Marte si spostano rapidamente in conseguenzadella sua rotazione diurna, mutando in poche ore diposizione e di prospettiva; quelle due macchie bian-che rimangono sensibilmente immobili al loro posto.Si concluse giustamente da questo, dover esse occu-pare i poli di rotazione del pianeta, o almeno trovarsimolto prossime a quei poli. Perciò furono designatecol nome di macchie o calotte polari. E non senzafondamento si è congetturato, dover esse rappresen-tare per Marte quelle immense congerie di nevi e dighiacci, che ancor oggi impediscono ai navigatori digiungere ai poli della terra. A ciò conduce non solol’analogia d’aspetto e di luogo, ma anche un’altra os-servazione importante.

Come è noto dai principî di cosmografia, l’assedella terra è inclinato sul piano dell’orbe che essa de-scrive intorno al sole; l’equatore pertanto non coinci-de al piano di detto orbe, ma è inclinato rispetto ad

esso piano dell’angolo di 23 ½ gradi, detto l’obliquitàdello zodiaco o dell’eclittica. Ed è noto pure, come daquesta semplice e quasi accidentale circostanza trag-ga origine una varietà di fatti, che sono del più gran-de influsso sui climi dei diversi paesi, producendol’estate e l’inverno, e la diversa durata dei giorni edelle notti. Ora lo stesso precisamente avviene inMarte. Il suo equatore è inclinato rispetto al pianodell’orbita di quasi 25 gradi; e da tal disposizione haorigine la stessa vicenda delle stagioni e dell’irradia-mento solare, la stessa varietà di climi e di giorni, cheha luogo sulla Terra. Marte ha dunque le sue zoneclimatiche, i suoi equinozi e i suoi solstizi, e simili vi-cende d’illuminazione. Per quanto concerne la duratadei giorni e delle notti il parallelismo è quasi comple-to nella zona torrida e nelle temperate: perché mentreil giorno terrestre solare è di 24 ore, il giorno solare diMarte è di 24 ore e quaranta minuti prossimamente.Circa l’andamento delle stagioni e delle lunghe gior-nate e notti del polo vi è questa differenza, che le no-stre stagioni durano tre mesi ciascuna, quelle di Mar-te hanno una durata poco men che doppia, di 171giorni in media: e i giorni e le notti del polo, che pres-so di noi sono di sei mesi a un dipresso, in Marte du-rano per un medio undici mesi.8 Tal differenza è do-vuta a questo principalmente, che l’anno di Marte èdi 687 giorni terrestri, mentre il nostro è di soli 365.

Così stando le cose, è manifesto, che se le suddettemacchie bianche polari di Marte rappresentano nevi eghiacci, dovranno andar decrescendo di ampiezza colsopravvenire dell’estate in quei luoghi, ed accrescersidurante l’inverno. Or questo appunto si osserva nelmodo più evidente. Nel secondo semestre dell’annodecorso 1892 fu in prospetto la calotta del polo au-strale; durante quell’intervallo, e specialmente neimesi di Luglio e d’Agosto, anche osservando con can-nocchiali affatto comuni era chiarissima di settimanain settimana la sua rapida diminuzione; quelle nevi(ora ben possiamo chiamarle tali), che da principiogiungevano fino al 70° parallelo di latitudine, e for-mavano una calotta di oltre 2000 chilometri di diame-tro, si vennero progressivamente ritraendo al punto,che due o tre mesi dopo pochissimo più ne rimaneva,una estensione di forse 300 chilometri al maximum; eanche meno se ne vede adesso, negli ultimi giorni del1892. In questi mesi l’emisfero australe di Marte ebbela sua estate; il solstizio estivo essendo avvenuto il 13Ottobre. Corrispondentemente ha dovuto accrescersila massa delle nevi intorno al polo boreale; ma il fattonon fu osservabile, trovandosi quel polo nell’emisferodi Marte opposto a quello che riguarda la Terra. Lo

8 Riferendoci tanto per Marte, che par la Terra, all’emisfero bore-ale, abbiamo le seguenti durate esatte delle stagioni in giorniterrestri:

Primavera Estate Autunno InvernoPer la Terra giorni 93 93 90 89Per Marte 199 182 146 160

L’illuminazione del polo boreale di Marte dura quindi continuaper 381 giorni; quella del polo australe per 306 giorni; delle not-ti accade l’inverso.

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squagliarsi delle nevi boreali è stato invece osservabi-le negli anni 1882, 1884, 1886.

Queste osservazioni del crescere e decrescere al-terno delle nevi polari, abbastanza facili anche concannocchiali di mediocre potenza, diventano moltopiù interessanti ed istruttive, quando se ne seguanoassiduamente le vicende nei più minuti particolari,usando di strumenti maggiori. Si vede allora lo stratonevoso sfaldarsi successivamente agli orli; buchi nerie larghe fessure formarsi nel suo interno; grandi pez-zi isolati, lunghi e larghi molte miglia staccarsi dallamassa principale, e sparire sciogliendosi poco dopo.Si vedono insomma presentarsi qui d’un colpo d’oc-chio quelle divisioni e quei movimenti dei campighiacciati, che succedono durante l’estate delle nostreregioni artiche secondo le descrizioni degli esplorato-ri.

Le nevi australi offrono questa particolarità, che ilcentro della loro figura irregolarmente rotondeggian-te non cade proprio sul polo, ma in un altro punto,che è sempre press’a poco il medesimo, e dista dalpolo di circa 300 chilometri nella direzione del MareEritreo. Da questo deriva, che quando l’estensionedelle nevi è ridotta ai minimi termini, il polo australedi Marte ne rimane scoperto; e quindi forse il pro-blema di raggiungerlo è su quel pianeta più facile chesulla Terra. Le nevi australi sono in mezzo di unagran macchia oscura, che colle sue ramificazioni oc-cupa circa un terzo di tutta la superficie di Marte, e sisuppone rappresenti l’Oceano principale di esso. Sequesto è, l’analogia con le nostre nevi artiche ed an-tartiche si può dire completa, e specialmente colle an-tartiche.

La massa delle nevi boreali di Marte è invece cen-trata quasi esattamente sul polo; essa è collocata nelleregioni di color giallo, che soglionsi considerare comei continenti del pianeta. Da ciò nascono fenomenisingolari, che non hanno sulla Terra alcun confronto.Allo squagliarsi delle nevi accumulate su quel polodurante la lunghissima notte di dieci mesi e più, lemasse liquide prodotte in tale operazione si diffon-dono sulla circonferenza della regione nevata, con-vertendo in mare temporaneo una larga zona di ter-reno circostante; e riempiendo tutte le regioni piùbasse producono una gigantesca inondazione, la qua-le ad alcuni osservatori diede motivo di supporre inquella parte un altro Oceano, che però in quel luogonon esiste, almeno come mare permanente. Vedesiallora (l’ultima occasione a ciò opportuna fu nel 1884)la macchia bianca delle nevi circondata da una zonaoscura, la quale segue il perimetro delle nevi nella lo-ro progressiva diminuzione, e va con esso restrin-gendosi sopra una circonferenza sempre più angusta.Questa zona si ramifica dalla parte esterna con strisceoscure, le quali occupano tutta la regione circostante,e sembrano essere i canali distributori, per cui le mas-se liquide ritornano alle loro sedi naturali. Nasconoin quelle parti laghi assai estesi, come quello segnatosulla carta col nome di Lacus Hyperboreus; il vicinomare interno detto Mare Acidalio, diventa più nero epiù appariscente. Ed è a ritenere come cosa assai pro-

babile, che lo scolo di queste nevi liquefatte sia lacausa che determina principalmente lo stato idrogra-fico del pianeta, e le vicende che nel suo aspetto pe-riodicamente si osservano. Qualche cosa di simile sivedrebbe sulla Terra, quando uno dei nostri poli ve-nisse a collocarsi subitamente nel centro dell’Asia odell’Africa. Come stanno oggi le cose, possiamo tro-vare un’immagine microscopica di questi fatti nelgonfiarsi che si osserva dei nostri torrenti allo scio-gliersi dei nevai alpini.

I viaggiatori delle regioni artiche hanno frequenteoccasione di notare, come lo stato dei ghiacci polarinel principio della state, ed ancor al principio di Lu-glio, è sempre poco favorevole al progresso dei viag-giatori; la stagione migliore per le esplorazioni è nelmese di Agosto, e Settembre è il mese, in cui l’ingom-bro dei ghiacci è minimo. Così pure nel Settembre so-gliono essere le nostre Alpi più praticabili che in ognialtra epoca. E la ragione ne è chiara; lo scioglimentodelle nevi richiede tempo; non basta l’alta temperatu-ra, bisogna che essa continui, ed il suo effetto saràtanto maggiore, quanto più prolungato. Se quindi noipotessimo rallentare il corso delle stagioni, così cheogni mese durasse sessanta giorni invece di trenta;nell’estate in tal modo raddoppiata lo scioglimentodei ghiacci progredirebbe molto di più e forse non sa-rebbe esagerazione il dire che la calotta polare al finedella calda stagione andrebbe interamente distrutta.Ma non si può dubitare ad ogni modo, che la partestabile di tale calotta sarebbe ridotta a termini moltopiù angusti, che oggi non si veda. Ora questo appun-to succede in Marte. Il lunghissimo anno quasi dop-pio del nostro permette ai ghiacci di accumularsi du-rante la notte polare di 10 o 12 mesi in modo, dascendere sotto forma di strato continuo fino al paral-lelo 70° ed anche più basso; ma nel giorno che seguedi 12 o 10 mesi il Sole ha tempo di liquefare tutta oquasi tutta quella neve di recente formazione, ridu-cendola a sì poca estensione, da sembrare a noi nullapiù che un punto bianchissimo. E forse tali nevi sistruggono intieramente, ma di questo finora non si haalcuna sicura osservazione.

Altre macchie bianche di carattere transitorio e didisposizione meno regolare si formano sull’emisferoaustrale nelle isole vicine al polo; e così purenell’emisfero opposto regioni biancheggianti appaio-no talvolta intorno al polo boreale fino al 50° e 55°parallelo. Sono forse nevicate effimere, simili a quelleche si osservano nelle nostre latitudini. Ma anche nel-la zona torrida di Marte si vedono talora piccolissimemacchie bianche più o meno persistenti, fra le qualiuna fu da me veduta in tre opposizioni consecutive(1877-1882) nel punto segnato sui nostri planisferidalla longitudine 268° e dalla latitudine 16° nord.Forse è permesso congetturare in questi luoghi la esi-stenza di montagne capaci di nutrire vasti ghiacciai.L’esistenza di tali montagne è stata supposta ancheda alcuni recenti osservatori, sul fondamento di altrifatti.

Quanto si è narrato delle nevi polari di Marte pro-va in modo incontrastabile, che questo pianeta, come

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la Terra, è circondato da un’atmosfera capace di tra-sportar vapori da un luogo all’altro. Quelle nevi infat-ti sono precipitazioni di vapori condensati dal freddoe colà successivamente portati; ora come portati, senon per via di movimenti atmosferici? L’esistenza diun’atmosfera carica di vapori è stata confermata an-che dalle osservazioni spettrali, principalmente daquelle di Vogel; secondo il quale tale atmosfera sa-rebbe di composizione poco diversa dalla nostra, esopratutto molto ricca di vapore acqueo. Fatto questosommamente importante, perché ci dà il diritto di af-fermare con molta probabilità, che d’acqua e nond’altro liquido siano i mari di Marte e le sue nevi po-lari. Quando sarà assicurata sopra ogni dubbio que-sta conclusione, un’altra ne discenderà non menograve; che le temperature dei climi marziali, malgra-do la maggior distanza dal Sole, sono del medesimoordine che le temperature terrestri. Perché se fossevero quanto fu supposto da alcuni investigatori, chela temperatura di Marte sia in media molto bassa (di50° a 60° sotto lo zero!) non potrebbe più il vapor ac-queo essere uno degli elementi principali dell’atmo-sfera di Marte, né potrebbe l’acqua essere uno dei fat-tori importanti delle sue vicende fisiche; ma dovreb-be lasciare il luogo all’acido carbonico o ad altro li-quido, il cui punto di congelazione sia molto più bas-so.

Gli elementi della meteorologia di Marte sembra-no dunque aver molta analogia con quelli della mete-orologia terrestre. Non mancano però, come è da a-spettarsi, le cause di dissomiglianza. Anche qui, dacircostanze di piccol momento trae la Natura un’infi-nita varietà nelle sue operazioni. Di grandissima in-fluenza dev’esser la diversa maniera, con cui in Martee sulla Terra veggonsi ordinati i mari ed i continenti;su di che uno sguardo alla carta dice più che non sifarebbe con molte parole. Già abbiamo accennato alfatto delle straordinarie inondazioni periodiche, chead ogni rivoluzione di Marte ne allagano le regionipolari boreali allo sciogliersi delle nevi: aggiungere-mo ora, che queste inondazioni diramate a grandi di-stanze per una rete di numerosi canali, forse costitui-scono il meccanismo principale (se non unico), percui l’acqua (e con essa la vita organica) può diffon-dersi sulla superficie asciutta del pianeta. Perché in-fatti su Marte piove molto raramente, o forse anche nonpiove affatto. Ed eccone la prova.

Portiamoci coll’immaginazione nello spazio cele-ste, in un punto distante dalla Terra così, da poterlaabbracciare d’un solo colpo d’occhio. Molto andrebbeerrato colui, che sperasse veder di là riprodotta ingrande scala la immagine dei nostri continenti coi lo-ro golfi ed isole e coi mari che li circondano, quale sivede nei nostri globi artificiali. Qua e là senza dubbiosi vedrebbero trasparire sotto un velo vaporoso le no-te forme, o parti di esse. Ma una buona parte (forse lametà) della superficie sarebbe fatta invisibile da im-mensi campi di nuvole, continuamente variabili didensità, di forma e di estensione. Tale ingombro, piùfrequente e più continuato nelle regioni polari, impe-direbbe ancora per circa la metà del tempo, la vista

delle regioni temperate, distribuendosi su di esse incapricciose e perpetuamente variate configurazioni;sui mari della zona torrida si vedrebbe disposto inlunghe fasce parallele, corrispondenti alle zone dellecalme equatoriali e tropicali. Per uno spettatore postonella Luna, lo studio della nostra geografia non sa-rebbe un’impresa tanto semplice, quanto si potrebbeimmaginare.

Nulla di questo in Marte. In ogni clima e sotto o-gni zona la sua atmosfera è quasi perpetuamente se-rena e trasparente abbastanza per lasciar riconoscerea qualunque momento i contorni dei mari e dei con-tinenti, e per lo più anche le configurazioni minori.Non già che manchino vapori di un certo grado diopacità; ma ben poco impedimento danno essi allostudio della topografia del pianeta. Qua e là vedonsicomparire di quando in quando alcune chiazze bian-castre, mutar di posizione e di forma, di raro esten-dersi sopra aree alquanto ampie; esse prediligono dipreferenza alcune regioni, come le isole del Mare Au-strale e sui continenti le parti segnate sulla carta coinomi di Elysium e di Tempe. Il loro candore general-mente diminuisce e scompare nelle ore meridiane delluogo, e si rinforza la mattina e la sera con vicendamolto spiccata. È possibile che siano strati di nuvole,perché così bianche appajono pure le nubi terrestrinella parte superiore illuminata dal Sole. Però diverseosservazioni conducono a pensare, che si tratti piut-tosto di sottili veli di nebbia, anziché di veri nembiapportatori di temporali e di piogge: se pure non so-no temporanee condensazioni di vapore sotto formadi rugiada o di brina.

Adunque, per quanto è lecito argomentare dallecose osservate, il clima di Marte nel suo generalecomplesso dovrebbe rassomigliare a quello delle gior-nate serene nelle alte montagne. Di giorno un’insola-zione fortissima, quasi punto mitigata da nuvole o davapori; di notte una copiosa irradiazione del suoloverso lo spazio celeste, e quindi un grande raffred-damento. Da ciò un clima eccessivo e grandi sbalzi ditemperatura dal giorno alla notte e da una stagioneall’altra. E come sulla Terra ad altezze di 5000 e 6000metri i vapori dell’atmosfera più non si condensanoche sotto forma solida, formando quelle masse bian-castre di diacciuoli sospesi, che si chiamano cirri; cosìnell’atmosfera di Marte saranno raramente possibili(od anche non saranno possibili) vere agglomerazionidi nuvole capaci di dar luogo a piogge di qualchemomento. Lo squilibrio di temperatura fra una sta-gione ed un’altra sarà poi accresciuto notabilmentedalla lunga durata delle medesime; e così si com-prende la grande coagulazione e dissoluzione di nevi,che si rinnova intorno ai poli ad ogni rivoluzionecompiuta dal pianeta intorno al Sole.

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IV.

Come le nostre carte dimostrano,9 nella sua gene-rale topografia Marte non presenta alcuna analogiacolla Terra. Un terzo della sua superficie è occupatodal gran Mare Australe, che è sparso di molte isole, espinge entro ai continenti golfi e ramificazioni di va-ria forma; al suo sistema appartiene un’intiera seriedi piccoli mari interni, dei quali l’Adriatico ed il Tirre-no comunicano con esso per ampie bocche, mentre ilCimmerio, quello delle Sirene, e il Lago del Sole nonhanno con esso relazione che per mezzo di angusticanali. Si noterà nei quattro primi una disposizioneparallela, che certo non è accidentale, come pure nonsenza ragione è la corrispondente positura delle peni-sole Ausonia, Esperia ed Atlantide. Il colore dei mari diMarte è generalmente bruno misto di grigio, nonsempre però di uguale intensità in tutti i luoghi, nénel medesimo luogo è uguale in ogni tempo. Dal nerocompleto si può scendere al grigio chiaro ed al cine-reo. Tal diversità di colore può aver origine da variecause, e non è senza analogia anche sulla Terra, doveè noto che i mari delle zone calde sogliono essere piùoscuri che i mari più vicini al polo. Le acque del Bal-tico, per esempio, hanno un color luteo chiaro, chenon si osserva nel Mediterraneo. E così pure nei maridi Marte si vede il colore farsi più cupo quando il solesi avvicina alla loro verticale e l’estate comincia adominare in quelle regioni.

Tutto il resto del pianeta fino al polo Nord è occu-pato dalle masse dei continenti, nelle quali, salvo al-cune aree di estensione relativamente piccola, pre-domina il colore aranciato, che talvolta sale al rossopiù cupo, altre volte scende al giallo ed al biancastro.La varietà di questa colorazione è in parte d’originemeteorica, in parte può dipendere dalla diversa natu-ra del suolo, e sulle sue cause ancora non è possibileappoggiare ipotesi molto fondate. Neppure è nota lacausa di questo predominio delle tinte rosse e giallesulla superficie del vecchio Pyrois. Alcuno ha credutodi attribuire questa colorazione all’atmosfera del pia-neta, attraverso alla quale si vedrebbe colorata la su-perficie di Marte, come rosso diventa un oggetto ter-restre qualsiasi, veduto a traverso vetri di tal colore.Ma a ciò si oppongono più fatti, fra gli altri questo,che le nevi polari appajono sempre del bianco piùpuro, benché i raggi di luce da esse derivati attraver-sino due volte l’atmosfera di Marte sotto una grandeobliquità. Noi dobbiamo dunque concludere che icontinenti marziali ci appajono rossi e gialli, perchétali veramente sono.

Oltre a queste regioni oscure e luminose, che noiabbiamo qualificato per mari e continenti, e la cui na-tura ormai non lascia luogo che a poco dubbio, alcu-

9 Son fatte queste carte secondo le solite convenzioni dei map-pamondi in due emisferi, usando la proiezione detta omologra-fica. Presentano il pianeta invertito, come si vede nei cannoc-chiali astronomici; per tal ragione vedesi in basso il polo Nord,in alto il polo Sud. Coll’inversione del foglio si ottiene la con-sueta orientazione convenzionale delle carte terrestri.

ne altre ne esistono, veramente poco estese, di naturaanfibia, le quali talvolta ingialliscono e sembrano con-tinenti, in altri tempi vestono il bruno (anche il neroin certi casi) e assumono l’apparenza dei mari; men-tre in altre epoche la loro colorazione intermedia la-scia dubitare a qual classe di regioni esse apparten-gano. Quasi tutte le isole sparse nel Mare Australe enel Mare Eritreo appartengono a questa categoria, co-sì pure le lunghe penisole chiamate Regioni di Deuca-lione e di Pirra, e in contiguità del Mare Acidalio leregioni segnate coi nomi di Baltia e di Nerigos. L’ideapiù naturale e più conforme all’analogia sembra quel-la di supporre in esse vaste lagune, su cui variando leprofondità dell’acqua si produca la diversità del colo-re, predominando il giallo in quelle parti dove la pro-fondità del velo liquido è ridotta a poco od anche aniente, e il colore bruno più o meno oscuro nei luoghidove le acque sono tanto alte da assorbire molta lucee da rendere più o meno invisibile il fondo. Che l’ac-qua del mare o qualsiasi acqua profonda e trasparen-te veduta dall’alto appaja tanto più oscura quantomaggiore è l’altezza dello strato liquido, e che le terrein confronto di esse appajano chiare sotto l’illumina-zione del Sole, è cosa nota e confermata da certissimeragioni fisiche. Chi viaggia nelle Alpi spesso ha occa-sione di convincersene, vedendo dalle cime neri comel’inchiostro stendersi sotto i suoi piedi i profondi la-ghetti di cui sono seminate, in confronto dei qualiluminose appajono anche le rupi più nereggianti per-cosse dal sole.10

Non senza fondamento adunque abbiamo finoraattribuito alle macchie oscure di Marte la parte di ma-ri e quella di continenti alle aree rosseggianti che oc-cupano quasi i due terzi di tutto il pianeta, e trove-remo più tardi altre ragioni che confermano tal mododi vedere. I continenti formano nell’emisfero borealeuna massa quasi unica e continua, sola eccezione im-portante essendo il gran lago detto Mare Acidalio, delquale l’estensione pare mutarsi secondo i tempi econnettersi in qualche modo colle inondazioni chedicemmo prodotte dallo sciogliersi delle nevi intornoal polo boreale. Al sistema del Mare Acidalio appar-tiene senza dubbio il lago temporario denominato I-perboreo ed il Lago Niliaco: quest’ultimo ordinariamen-te separato dal Mare Acidalio per mezzo di un istmoo diga regolare, la cui continuità soltanto nel 1888 fuvista interrompersi per qualche tempo. Altre macchieoscure minori si trovano qua e là nella parte conti-nentale, le quali potrebbero rappresentare dei laghi,ma non certo laghi permanenti come i nostri; tantosono variabili d’aspetto e di grandezza secondo lestagioni, al punto da scomparire affatto in date circo-stanze. Il Lago Ismenio, quello della Luna, il Trivio di

10 Questa osservazione del colore oscuro che mostran le acqueprofonde vedute dall’alto in basso, si trova già fatta dal primopittor delle memorie antiche, il quale nell’Iliade (versi 770-71 dellibro V) descrive «la sentinella che dall’alta vedetta stende losguardo sopra il mare color del vino [oínopa pónton]». Nellaversione del Monti l’aggettivo indicante il colore è andato per-duto.

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Caronte e la Propontide sono i più cospicui e i più du-revoli. Ve ne sono di piccolissimi, quali il Lago Meridee il Fonte di Gioventù, che nella loro maggiore appari-scenza non superano i 100 o 150 chilometri di diame-tro e contano fra gli oggetti più difficili del pianeta.

Tutta la vasta estensione dei continenti è solcataper ogni verso da una rete di numerose linee o striscesottili di color oscuro più o meno pronunziato, dellequali l’aspetto è molto variabile. Esse percorrono sulpianeta spazi talvolta lunghissimi con corso regolare,che in nulla rassomiglia l’andamento serpeggiantedei nostri fiumi; alcune più brevi non arrivano a 500chilometri, altre invece si estendono a più migliaja,occupando un quarto ed anche talvolta un terzo ditutto il giro del pianeta. Alcuna di esse è abbastanzafacile a vedere, e più di tutte quella che è presso l’e-stremo limite sinistro delle nostre carte, designata colnome di Nilosyrtis: altre invece sono estremamentedifficili, e rassomigliano a tenuissimi fili di ragno tesiattraverso al disco. Quindi molto varia è altresì la lo-ro larghezza, che può raggiungere 200 od anche 300chilometri per la Nilosirte, mentre per altre forse nonarriva a 30 chilometri.

Queste linee o strisce sono i famosi canali di Marte,di cui tanto si è parlato. Per quanto si è fino ad oggipotuto osservare, sono certamente configurazionistabili del pianeta; la Nilosirte è stata veduta in quelluogo da quasi cent’anni, ed alcune altre da trent’annialmeno. La loro lunghezza e giacitura è costante, onon varia che entro strettissimi limiti; ognuna di essecomincia e finisce sempre fra i medesimi termini. Mail loro aspetto e il loro grado di visibilità sono assaivariabili per tutte da un’opposizione ad un’altra, anzitalvolta da una settimana all’altra; e tali variazioninon hanno luogo simultaneamente e con ugual leggeper tutte, ma nel più dei casi succedono quasi a ca-priccio, od almeno secondo regole non abbastanzasemplici per essere subito intese da noi. Spesso una o

più diventano indistinte od anche affatto invisibili,mentre altre loro vicine ingrossano al punto da di-ventar evidenti anche in cannocchiali di mediocre po-tenza. La prima delle nostre carte presenta tutte quel-le che sono state vedute in una lunga serie di osser-vazioni; essa tuttavia non corrisponde all’aspetto diMarte in alcuna epoca, perché generalmente soltantopoche sono visibili di un tratto.11

Ogni canale (per ora chiamiamoli così) alle sue e-stremità sbocca o in un mare, od in un lago, od in unaltro canale, o nell’intersezione di più altri canali.Non si è mai veduto uno di essi rimaner troncato nelmezzo del continente, rimanendo senza uscita e sen-za continuazione. Questo fatto è della più alta impor-tanza. I canali possono intersecarsi fra di loro sottotutti gli angoli possibili; ma di preferenza convergonoverso le piccole macchie cui abbiamo dato il nome dilaghi. Per esempio sette se ne veggono convergere nelLago della Fenice, otto nel Trivio di Caronte, sei nel Lagodella Luna, sei nel Lago Ismenio.

L’aspetto normale di un canale è quello di unastriscia quasi uniforme nera o almeno di colore oscu-ro simile a quello dei mari, in cui la regolarità del ge-nerale andamento non esclude piccole diversità dilarghezza e piccole sinuosità nei due contorni laterali.Spesso avviene che tal filetto oscuro, mettendo capoal mare, si allarghi in forma di tromba, formando unavasta baja, simile agli estuari di certi fiumi terrestri: ilGolfo delle Perle, il Golfo Aonio, il Golfo dell’Aurora, e idue corni del Golfo Sabeo sono così formati dalla focedi uno o più canali sboccanti nel Mare Eritreo o nel

11 La continua variabilità dei minuti particolari fa sì che una cartadi Marte non può mai esser altro che una rappresentazione con-venzionale o schematica della superficie del pianeta. Per averun’idea esatta del suo aspetto fisico, quale si presenta nei tele-scopi, bisogna ricorrere ai disegni, dei quali molte centinaia sitrovano raccolte nell’opera del Flammarion La Planète Mars. Unesempio ne dà la figura della pagina precedente, la quale è statadisegnata col grande telescopio di Brera nella sera del 15 set-tembre 1892. L’immagine è rovesciata, quale nel campo telesco-pico appariva. Il disco di Marte allora non era più rotondo, maalquanto deficiente a cagione della non diretta illuminazionedel Sole; rassomigliava alla Luna due giorni prima del plenilu-nio. Comparando il disegno colla carta è facile riconoscere inquello la costa molto accidentata del Mare Eritreo, che correpress’a poco lungo l’equatore del pianeta. Molto evidente è ildoppio corno del Golfo Sabeo, e a destra di esso il Golfo dellePerle. Il continente al di sotto dobbiamo immaginarlo giallobrillante, lo si vede solcato da parecchi canali, nei quali non saràdifficile ravvisare il Phison, l’Eufrate, l’Oronte, il Gehon, l’Indo,l’Idaspe e la Iamuna. L’Eufrate dava sospetto di esser duplicato.In alto del disco il Mare Eritreo e il Mare Australe appaionodivisi da una gran penisola curvata a guisa di falce, prodotta dauna insolita appariscenza della regione detta di Deucalione, laquale si allungò quest’anno fino a raggiungere le isole Noachi-de ed Argyre, formando con queste un tutto continuato, con de-boli traccie di separazione, sulla lunghezza di quasi 6000 chilo-metri. Il suo colore, molto meno brillante che quello dei conti-nenti, era un misto del giallo di questi col bruno grigio dei maricontigui. In alto l’ovale chiara deve immaginarsi del bianco piùsplendido e più puro: rappresenta la calotta delle nevi australi,ridotta alla forma ellittica dallo scorcio della prospettiva, moltoobliqua in quel luogo. Perché non bisogna mai dimenticare chedavanti a noi abbiamo, sotto forma d’un disco, la curvaturad’un emisfero.

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Mare Australe. L’esempio più grandioso di tali golfi èla Gran Sirte, formata dalla vastissima foce della Nilo-sirte già nominata; questo golfo non ha manco di 1800chilometri di larghezza e quasi altrettanti di profon-dità nel senso longitudinale, e la sua superficie è dipoco minore che quella del golfo di Bengala. In questicasi si vede manifestamente la superficie oscura delmare continuarsi senza apparente interruzione inquella del canale; quindi, ammesso che le superficiechiamate mari siano veramente espansioni liquide,non si può dubitare che i canali siano di esse un sem-plice prolungamento a traverso delle aree gialle, o deicontinenti.

Che del resto le linee dette canali siano veramentegrandi solchi o depressioni della superficie del piane-ta destinate al passaggio di masse liquide, e costitui-scano su di esso un vero sistema idrografico, è dimo-strato dai fenomeni che in quelli si osservano durantelo struggersi delle nevi boreali. Già dicemmo chequeste, nello sciogliersi appaiono circondate da unazona oscura, formante una specie di mare tempora-rio. In tale epoca i canali delle regioni circostanti sifanno più neri e più larghi, ingrossando al punto daridurre, in un certo momento, ad isole di poca esten-sione tutto le aree gialle comprese fra l’orlo della ne-ve e il 60° parallelo nord. Tale stato di cose non cessa,se non quando le nevi, ridotte ormai al loro minimodi estensione, cessano di struggersi. Si attenuano allo-ra le larghezze dei canali, scompare il mare tempora-rio, e le aree gialle riprendono l’estensione primitiva.Le diverse fasi di questa grandiosa operazione si rin-novano ad ogni giro di stagioni ed i loro particolari sison potuti osservare con molta evidenza nelle oppo-sizioni 1882, 1884, 1886, quando il pianeta presentavaallo spettatore terrestre il suo polo boreale. L’inter-pretazione più naturale e più semplice è quella cheabbiam riferito, di una grande inondazione prodottadallo squagliarsi delle nevi; essa è interamente logica,e sostenuta da evidenti analogie con fenomeni terre-stri. Concludiamo pertanto, che i canali son tali di fat-to, e non solo di nome. La rete da essi formata proba-bilmente fu determinata in origine dallo stato geolo-gico del pianeta, e si è venuta lentamente elaborandonel corso dei secoli. Non occorre suppor qui l’operadi esseri intelligenti; e malgrado l’apparenza quasigeometrica di tutto il loro sistema, per ora incliniamoa credere che essi siano prodotti dell’evoluzione delpianeta, appunto come sulla Terra il canale della Ma-nica e quello di Mozambico.

Sarà un problema non men curioso che complicatoe difficile lo studiare il regime di questi immensi corsid’acqua, da cui forse dipende principalmente la vitaorganica sul pianeta, dato che vita organica vi sia. Levariazioni del loro aspetto dimostrano che questo re-gime non è costante: quando scompaiono o lascianodi loro traccie dubbie e mal definite è lecito supporre,che siano in magra, od asciutti affatto. Allora nel luo-go dei canali rimane o niente, oppure al più una stri-scia di colore giallastro poco diverso dal fondo circo-stante. Talvolta prendono un aspetto nebuloso, di cuiper ora non si saprebbe assegnar la ragione. Altre

volte invece producono veri allagamenti, espanden-dosi a 100, 200 o più chilometri di larghezza, e questoavviene anche per canali molto lontani dal polo bore-ale secondo norme fin qui sconosciute. Così è avve-nuto dell’Idaspe nel 1864, del Simoenta nel 1879, del-l’Acheronte nel 1884, del Tritone nel 1888. Lo studio di-ligente e minuto delle trasformazioni di ciascun cana-le condurrà più tardi a conoscere le cause di questifatti.

Ma il fenomeno più sorprendente dei canali diMarte è la loro geminazione; la quale sembra prodursiprincipalmente nei mesi che precedono e in quelli cheseguono la grande inondazione boreale, intorno alleepoche degli equinozi. In conseguenza di un rapidoprocesso, che certamente dura pochissimi giorni, odanche forse solo poche ore, e del quale i particolarinon si sono ancora potuti afferrare con sicurezza, undato canale muta d’aspetto e d’un tratto si trova tra-sformato su tutta la sua lunghezza in due linee o stri-sce uniformi, per lo più parallele fra di loro, che cor-rono dritte ed uguali con tracciamento geometrica-mente tanto esatto, quanto suole esser presso di noiquello di due rotaje di ferrovia. Ma questo esatto an-damento è il solo termine di rassomiglianza colle det-te rotaje: perché nelle dimensioni non vi è alcun pa-ragone possibile, come del resto è facile immaginare.Le due linee seguono a un dipresso la direzione delprimitivo canale, e terminano nei luoghi dov’essoterminava. L’una di esse spesso si sovrappone quantopiù è possibile all’antica linea, l’altra essendo di nuo-vo tracciamento; ma anche in questo caso l’antica li-nea perde tutte le piccole irregolarità e curvature chepoteva avere. Ma accade ancora, che ambe le lineegeminate occupino dalle due parti dell’ex canale unterreno interamente nuovo. La distanza fra le due li-nee è diversa nelle diverse geminazioni, e da 600 chi-lometri e più scende fino all’ultimo limite, in cui duelinee possono apparir separate nei grandi occhi tele-scopici, meno di 50 chilometri d’intervallo; la lar-ghezza di ciascuna striscia per sé può variare dal li-mite di visibilità, che supponiamo 30 chilometri, finoa più di 100. Il colore delle due linee varia dal nero adun rosso scialbo, che appena si distingue dal fondogiallo generale delle superficie continentali; l’interval-lo è per lo più di questo giallo, ma in più casi è sem-brato bianco. Le geminazioni poi non sono necessa-riamente legate ai soli canali, ma tendono anche pro-dursi sui laghi. Spesso si vede uno di questi trasfor-marsi in due brevi e larghe liste oscure fra loro paral-lele, tramezzate da una lista gialla. In questi casi na-turalmente la geminazione è breve, e non esce dai li-miti del lago primitivo.

Le geminazioni non si manifestano tutte insieme,ma arrivata la loro stagione cominciano a prodursi orqua, or là, isolate in modo irregolare, o almeno senzaordine facilmente riconoscibile. Per molti canali man-cano affatto (come per la Nilosirte, a cagion d’esem-pio), o sono poco visibili. Dopo aver durato qualchemese, si affievoliscono gradatamente e scompajono fi-no ad una nuova stagione egualmente propizia a que-sto fenomeno. Così avviene che in certe altre stagioni

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(specialmente presso il solstizio australe del pianeta)se ne vedono poche, od anche non se ne vede affatto.In diverse apparizioni la geminazione del medesimocanale può presentare diversi aspetti quanto a lar-ghezza, intensità e disposizione delle due strisce: an-che in qualche caso la direzione delle linee può mu-tarsi, benché di pochissima quantità; sempre peròdeviando di piccolo spazio dal canale con cui è asso-ciata strettamente. Da questa importante circostanzasi comprende immediatamente, che le geminazioninon possono essere formazioni stabili della superficiedi Marte, e di carattere geografico, come i canali. Laseconda delle nostre carte può dare un’idea appros-simativa dell’aspetto che presentano queste singola-rissime formazioni. Essa comprende tutte le gemina-zioni osservate dal 1882 fino al presente; nel riguar-darla bisogna tener a mente, che non di tutte l’ap-parizione è stata simultanea, e che pertanto quellacarta non rappresenta lo stato di Marte in nes-sun’epoca; essa non è che una specie di registro topo-grafico delle osservazioni finora fatte in diversi tempisu quel fenomeno.

L’osservazione delle geminazioni è una delle piùdifficili, e non può farsi che da un occhio bene eserci-tato, ajutato da un telescopio di accurata costruzionee di grande potenza. Ciò spiega perché non siano sta-te vedute prima del 1882. Nei dieci anni trascorsi daquel tempo esse sono state vedute e descritte da ottoo dieci osservatori. Nondimeno alcuni ancora neganoche siano fenomeni reali e tacciano d’illusione (o an-che d’impostura) coloro che affermano d’averle os-servate.

Il loro singolare aspetto e l’esser disegnate con as-soluta precisione geometrica, come se fossero lavoridi riga o di compasso, ha indotto alcuni a ravvisarenelle medesime l’opera di esseri intelligenti, abitatoridel pianeta. Io mi guarderò bene dal combattere que-sta supposizione, la quale nulla include d’impossibi-le. Notisi però che in ogni caso non potrebbero essereopere di carattere permanente, essendo certo, che unastessa geminazione può cambiare di aspetto e di mi-sura da una stagione all’altra. Si possono tuttavia as-sumere opere tali, da cui una certa variabilità non siaesclusa, per esempio, lavori estesi di coltura e di irri-gazione su larga scala. Aggiungerò ancora, che l’in-tervento di esseri intelligenti può spiegare l’apparen-za geometrica delle geminazioni, ma non è punto ne-cessario a tale intento. La geometria della Natura simanifesta in molti altri fatti, dai quali è esclusa l’ideadi un lavoro artificiale qualunque. Gli sferoidi cosìperfetti dei corpi celesti e l’anello di Saturno non fu-ron lavorati al tornio, e non è col compasso che Iridedescrive nelle nubi i suoi archi così belli e così regola-ri; e che diremo delle infinite varietà di bellissimi eregolarissimi poliedri onde è ricco il mondo dei cri-stalli? E nel mondo organico, non è geometria bella ebuona quella che presiede alla distribuzione delle fo-glie di certe piante, che ordina in figure stellate cosìsimmetriche tanti fiori del prato, tanti animali delmare; che produce nelle conchiglie quelle spirali co-niche così eleganti, da disgradarne ciò che di più bel-

lo ha fatto l’architettura gotica? In tutte queste cose leforme geometriche sono conseguenze semplici e ne-cessarie di principi e di leggi che governano il mondofisico e fisiologico. Che poi questi principi e questeleggi siano esplicazioni di una potenza intelligentesuperiore, possiamo ammetterlo; ma ciò nulla fa alpresente argomento.

In omaggio dunque al principio, che nella spiega-zione dei fatti naturali convenga sempre cominciaredalle supposizioni più semplici, le prime ipotesi pro-poste sulla natura e sulla causa delle geminazionihanno per lo più messo in opera solamente le azionidella natura inorganica. Sono o effetti di luce nell’at-mosfera di Marte, o illusioni ottiche prodotte da va-pori in vario modo, o fenomeni glaciali d’un invernoperpetuo a cui sarebbe condannato tutto il pianeta, ocrepature raddoppiate nella superficie di esso, o cre-pature semplici, di cui si duplica l’immagine per ef-fetto di fumo eruttato su lunghe linee e spostato late-ralmente dal vento. L’esame di questi ingegnosi ten-tativi conduce tuttavia a concludere, che nessuno diessi sembra corrispondere per intiero ai fatti osservatinel loro insieme e nei particolari. Alcune di tali ipote-si non sarebbero neppur nate, se i loro Autori avesse-ro potuto esaminare le geminazioni coi proprii occhi.Che se alcuno di questi, ragionando ad hominem, midomandasse: sapete voi immaginar qualche cosa dimeglio? risponderei candidamente di no.

Più facile sarebbe il compito, se volessimo intro-durre forze appartenenti alla natura organica. Qui èimmenso il campo delle supposizioni plausibili, po-tendosi immaginare infinite combinazioni capaci disoddisfare alle apparenze, anche con piccoli e sempli-ci mezzi. Vicende di vegetazione su vaste aree e ge-nerazioni d’animali anche minimi in enorme molti-tudine potrebbero benissimo rendersi visibili a tantadistanza. A quel modo che un osservatore posto nellaLuna potrebbe avvedersi delle epoche, in cui sullenostre vaste pianure succede l’aratura dei campi, ilnascere e la messe del frumento; a quel modo che ilfiorir dell’erba nelle vastissime steppe dell’Europa edell’Asia deve rendersi sensibile anche alla distanzadi Marte per una varietà di colorazione; così può cer-tamente rendersi visibile a noi un eguale sistema dioperazioni che si produca in quegli astri. Ma comedifficilmente i Lunari ed i Marziali potrebbero imma-ginare le vere cause di tali mutazioni d’aspetto senzaaver prima qualche conoscenza almeno superficialedella natura terrestre: così anche per noi, che tantopoco conosciamo dello stato fisico di Marte e nulladel suo mondo organico, la grande libertà di suppo-sizioni possibili rende arbitrarie tutte le spiegazionidi tal genere, e costituisce il più grave ostacolo all’ac-quisto di nozioni fondate. Tutto quello che possiamosperare è, che col tempo si diminuisca gradatamentel’indeterminazione del problema, dimostrando, senon quello che le geminazioni sono, almeno quelloche non possono essere. Dobbiamo anche confidareun poco in ciò, che Galileo chiamava la cortesia dellaNatura, in grazia della quale talvolta da parte inaspet-

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tata sorge un raggio di luce ad illuminare argomentiprima creduti inaccessibili alle nostre speculazioni; di

che un bell’esempio abbiamo nella chimica celeste.Speriamo adunque, e studiamo.

GIOVANNI SCHIAPARELLI.