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2 Il percorso di Newman I Newman nacque il 21 febbraio del 1801 e morì l’11 ago- sto del 1890. La sua vita fu lunga e intricata, profonda e complessa. Nel mese di ottobre del 1963, papa Paolo VI, nel discorso per la beatificazione del prete passionista Dominic Barberi – colui che aveva accolto Newman nella Chiesa cat- tolica – si soffermò a parlare direttamente di Newman. Lo descrisse come un uomo «pienamente cosciente della sua missione – “ho un lavoro da fare” – guidato unicamente dall’amore per la verità e dalla fedeltà a Cristo, il quale per arrivare alla pienezza della saggezza e della pace tracciò un percorso, il più penoso, ma anche il più grande, il più signi- ficativo, il più decisivo che il pensiero umano abbia mai condotto nel [XIX] secolo, anzi si potrebbe dire nell’età mo- derna» 1 . Sono parole molto forti. In seguito Stephen Des- sain mi disse che sembrava che il Papa stesse beatificando Newman più che Dominic. In ogni caso era chiaramente consapevole del cammino intrapreso da Newman. Seguire il percorso di una vita così ricca non è cosa faci- le, ma è necessario tracciarne un profilo che costituisca il contesto in cui sorsero le questioni che prenderò in consi-

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Il percorso di Newman

I

Newman nacque il 21 febbraio del 1801 e morì l’11 ago-sto del 1890. La sua vita fu lunga e intricata, profonda ecomplessa. Nel mese di ottobre del 1963, papa Paolo VI, neldiscorso per la beatificazione del prete passionista DominicBarberi – colui che aveva accolto Newman nella Chiesa cat-tolica – si soffermò a parlare direttamente di Newman. Lodescrisse come un uomo «pienamente cosciente della suamissione – “ho un lavoro da fare” – guidato unicamentedall’amore per la verità e dalla fedeltà a Cristo, il quale perarrivare alla pienezza della saggezza e della pace tracciò unpercorso, il più penoso, ma anche il più grande, il più signi-ficativo, il più decisivo che il pensiero umano abbia maicondotto nel [XIX] secolo, anzi si potrebbe dire nell’età mo-derna» 1. Sono parole molto forti. In seguito Stephen Des-sain mi disse che sembrava che il Papa stesse beatificandoNewman più che Dominic. In ogni caso era chiaramenteconsapevole del cammino intrapreso da Newman.

Seguire il percorso di una vita così ricca non è cosa faci-le, ma è necessario tracciarne un profilo che costituisca ilcontesto in cui sorsero le questioni che prenderò in consi-

derazione nel corso del libro. Diversi sono gli approccipossibili.

Ho già accennato a quanto in principio io sia stato affa-scinato dai contrasti della vita di Newman, che procedettesecondo uno schema di aspettativa e delusione: il brillantestudente universitario che riesce a malapena a laurearsi; ildocente dell’Oriel College i cui studenti si ritirano; il lea-der del Movimento di Oxford che diventa un cattolico ro-mano; l’illustre convertito di cui non ci si fida appieno e ilcui talento viene sfruttato male; e poi alla fine, gli anni ina-spettati in cui divenne cardinale, quando le persecuzioniebbero fine ed egli fu stimato e trattato con rispetto. Pertutto quel tempo, Newman andò in cerca della Chiesa. Ladomanda che lo guidava era: dove si poteva trovare il Cor-po di Cristo in modo più completo? Era suo desiderio far-ne parte. E quando, nel 1845, capì di aver trovato la rispo-sta a quella domanda e quindi agì in base a essa, diventan-do un cattolico, seguirono altri lunghi anni di maturazio-ne, sofferenza e umiliazione.

Nella sua affascinante vita è forse possibile delineare trefasi principali. Fino al 1833, andò in cerca di se stesso; neglianni dal 1833 al 1845 fu messo a dura prova; e successiva-mente si manifestarono le conseguenze della sua decisionedi diventare cattolico.

II

Quando si parla della conversione di Newman, solita-mente si fa riferimento a quanto accadde l’8 e il 9 di ottobredel 1845, a quella notte battuta dal vento in cui padre Domi-nic Barberi, zuppo di pioggia, tornò dal suo viaggio esposto

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alle intemperie e arrivò a Littlemore, il paesino in cui New-man era andato a vivere dopo essersi dimesso da vicariodella chiesa dell’Università e dove si era ritirato nella comu-nione dei laici come anglicano. Barberi cominciò a sentire laconfessione di Newman quella sera stessa e continuò il gior-no successivo. Poi lo accolse nella Chiesa cattolica romana.Quella conversione fu tuttavia preceduta da altre.

Newman era cresciuto da anglicano mediamente devo-to, leggeva la Bibbia e la conosceva bene. Nel 1816, tutta-via, all’età di quindici anni, quando andava ancora a scuo-la, si ammalò; sarà la prima di tre malattie significative inquella fase della sua vita. Nella convalescenza lesse diversilibri calvinisti e lì ebbe una prima esperienza di conversio-ne. Credette di essere «prescelto per l’eterna gloria». Eral’epoca in cui si ancorava «al pensiero di due, e solo due,esseri assoluti, di un’intrinseca e luminosa evidenza: mestesso e il mio Creatore» (Apo., p. 22 [17-18]). Apparente-mente non avvenne nulla di particolare; non accadde nulladi incontrollato ed entusiasta che potesse esser paragonatoal battesimo nello Spirito o alla glossolalia; gli effetti im-mediati di quell’esperienza rimasero per un po’ per poiscomparire nel corso di cinque anni. Resero Newman unfervido evangelico. E fu quel giovane uomo a iscriversi,l’anno seguente, al Trinity College.

Nel 1820, quando giunse il momento di laurearsi, le aspet-tative erano alte, ma fu un disastro. Aveva studiato troppo,era spossato e teso. Come scrisse molto tempo dopo, «si erafatto prendere dal panico, era completamente esaurito, e do-po vani tentativi per diversi giorni, dovette ritirarsi». Conse-guì la laurea, ma con il minimo dei voti. Non aveva superatol’esame di matematica, la materia in cui andava meglio, e inlettere classiche se l’era cavata appena (A.W., p. 47).

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Che cosa avrebbe fatto dopo? I voti della laurea gli ren-devano impossibile tentare la carriera legale che aveva pre-so in considerazione, per cui decise di diventare sacerdote.Rispettando i tempi nel 1824 divenne diacono anglicano el’anno successivo sacerdote. Nel frattempo però, nonostan-te i brutti voti di laurea, aveva deciso di concorrere per unafellowship presso l’Oriel, che era allora il più prestigioso dalpunto di vista intellettuale tra i college di Oxford. Andòbene e il 12 aprile del 1822 venne eletto fellow. Chi lo elessefu condizionato più dalla sua cultura che dalla qualità deisuoi scritti. Più di vent’anni dopo Edward Copleston, cheall’epoca era stato preside dell’Oriel College, ricordò l’e-sperienza descrivendo Newman come: «Neanche un buo-no studioso classico, eppure decisamente superiore […]nella mente e nel potere di composizione, e nel gusto e nel-la conoscenza» rispetto agli altri candidati che si erano lau-reati con voti migliori (si veda A.W., p. 64). Così Newmansi trovò a essere fellow di Oriel e intimo di alcune delle piùdistinte personalità di Oxford dell’epoca.

Tra queste vi era Richard Whately, che sarebbe divenutoarcivescovo di Dublino nella Chiesa d’Irlanda. Era un uo-mo che si vestiva con colori sgargianti, era brillante nellaconversazione e tagliente nelle discussioni. Era inoltre no-to, nelle parole di Newman di molto tempo dopo, per esse-re «insolitamente affabile con studenti e giovani» (A.W., p.66). Prese Newman sotto la sua ala; era la persona idealeper aiutare quel giovane riservato a uscire dal suo guscio.A Newman piaceva ascoltare e a Whately parlare. Per dipiù, a Whately piacevano i ragionamenti logici e fu lui, for-se più di chiunque altro, ad aiutare Newman a svilupparela sua formidabile abilità retorica. Samuel Taylor Colerid-ge, autore della Ballata del vecchio marinaio, una volta in una

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discussione osservò: «Ciascun uomo nasce aristotelico o pla-tonico. Non penso che sia possibile che una persona nataaristotelica possa diventare un platonico; come sono sicuroche nessuno nato platonico possa trasformarsi in un aristo-telico» 2. Lo storico David Newsome ha tuttavia suggeritoche se esiste un’eccezione alla sentenza di Coleridge, quellaè sicuramente Newman, che «nato come un platonico» nelcorso della sua educazione «divenne un aristotelico» 3. E seNewsome ha ragione, allora fu Whately, più di chiunque al-tro, la persona responsabile di averlo aiutato a imparare co-me l’intera visione potesse essere divisa in parti.

Accadimenti successivi fecero allontanare Newman eWhately, ma i due rimasero amici per circa dieci anni. So-prattutto nei primi anni, Newman apprezzò l’atmosferadella Oriel Senior Common Room, che si diceva «puzzassedi logica». È facile immaginarlo, ridestatosi dalla timidez-za, diventare consapevole del suo talento intellettuale ecompiacersi nell’usarlo. Che cosa poteva esserci di più na-turale? Fu il periodo in cui rimase stregato dall’eccellenzaintellettuale, che regnava sovrana. Ma quell’influenza nondurò. Furono tre i fattori che determinarono un cambia-mento nel suo atteggiamento.

Prima di tutto si ammalò nuovamente. Nel novembredel 1827, durante gli esami, ebbe un crollo causato daltroppo lavoro, dalle preoccupazioni familiari, dalle occu-pazioni universitarie e dalle responsabilità negli esami.Qualche settimana dopo, il 5 gennaio del 1828, morì im-provvisamente la sorella minore, Mary, a cui era molto le-gato. La sua morte lo sconvolse. È facile capire il perché:leggendo le sue lettere, piacevoli e acute, spiritose e affet-tuose, si comprende che persona adorabile dovesse essere(si veda L.D. II, pp. 38-39). Furono quindi le sue cattive

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condizioni di salute e la morte di Mary a costringerlo a fareattente valutazioni. Che cosa veramente importava? Comepoteva l’eccellenza intellettuale essere paragonata alla per-dita di una sorella amata, o persino guastare la propria sa-lute? Proprio in quel periodo a Oriel stavano nascendonuove amicizie, che lo stavano allontanando da Whately.In particolare stava iniziando a conoscere meglio l’eruditoEdward Pusey, il pio John Keble, e in modo più immediatol’irrefrenabile Hurrell Froude, che nel 1836 sarebbe mortoprematuramente di tubercolosi. La loro influenza sarebbeaumentata ed egli avrebbe condiviso sempre di più con lo-ro la devozione alla tradizione cattolica entro la Chiesad’Inghilterra, che sarebbe stata fondamentale per il Movi-mento di Oxford. Ecco un’altra conversione. Non era piùaffascinato dal solo intelletto. Se si può dire che egli abbiaflirtato con il razionalismo, fu allora che quel flirt cessò.

La faccenda che aveva preoccupato Newman in univer-sità quando nel 1827 si era ammalato era l’elezione delnuovo preside dell’Oriel College. Quando arrivò il mo-mento, Newman votò per Edward Hawkins, che poi fueletto. Era stato gentile con Newman quando questi era di-ventato fellow. E Hawkins fu in un certo senso cruciale inquesta fase della vita di Newman.

In primo luogo fu tramite Hawkins che Newman giunsea comprendere il battesimo come nuova nascita, indipen-dente dall’esperienza personale, e a liberarsi così del suosevero evangelicalismo; e fu ascoltando Hawkins da stu-dente che aveva cominciato a imparare da lui il significatodi tradizione. In secondo luogo, poi, Hawkins dovette di-mettersi da vicario di St Mary the Virgin, la chiesa dell’U-niversità, quando fu eletto preside. Newman gli succedet-te, ottenendo così un ruolo importante. Dal pulpito della

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chiesa di St Mary avrebbe pronunciato alcuni tra i suoi ser-moni più memorabili. E infine fu Hawkins a opporsi alpunto di vista di Newman sui doveri di un docente e, inqualità di preside, lo fece con successo. Di conseguenza,quando nacque il Movimento di Oxford, Newman ebbetempo e libertà a sua disposizione per impegnarsi alla cau-sa senza riserve. In Apologia pro vita sua, pur riconoscendole reciproche differenze, Newman dichiarò anche il costan-te affetto personale per Hawkins. E Hawkins lo ringraziòscrivendogli una lettera affettuosa (si veda Apo., pp. 27-30[21-22; 485-486]).

Nel 1832, non avendo più studenti e quindi responsabi-lità d’insegnamento, Newman riuscì a prendersi una vacan-za. Insieme a Hurrell Froude, che all’epoca stava già inizian-do ad ammalarsi della tubercolosi che l’avrebbe ucciso, econ l’arcidiacono Froude, padre di Hurrell, partì per una va-canza sul Mediterraneo. I tre girarono molto, andarono an-che a Roma, che Newman visitava per la prima volta. Si fer-marono presso il Collegio Inglese e incontrarono l’allora ret-tore Nicholas Wiseman, che in seguito sarebbe divenuto car-dinale e primo arcivescovo di Westminster. Newman rimaseaffascinato dall’intera esperienza, pur pieno di dubbi. Nelcorso della vacanza scrisse molte poesie. Una inizia così:

O il tuo credo fu saldo!Perché plachi il cuore, Chiesa di Roma,attraverso la tua instancabile guardia e varia seriedi funzioni, nella casa sacra del Tuo Salvatore. (V.V., p. 153)

La Sicilia fu tuttavia ciò che gli piacque di più. L’avevavisitata con i Froude prima di recarsi a Roma e ne era rima-sto incantato. Per questo, al momento di ritornare in In-

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ghilterra, egli cambiò idea, li lasciò e tornò un’altra volta avisitare l’isola. Lì si ammalò nuovamente – la terza malat-tia importante di questo periodo della sua vita. Si sentì col-pevole. Considerò la malattia come una punizione per lasua ostinazione, per aver egoisticamente abbandonato gliamici e assecondato i propri desideri. In effetti, avrebbepotuto morire. Nella malattia però fu pervaso da un’ideadi missione, «ho un lavoro da fare» disse, parole ricordateda papa Paolo VI durante la beatificazione di Dominic Bar-beri. Si riprese e partì alla volta dell’Inghilterra. Il 16 giu-gno del 1833, trattenuto dalla bonaccia nelle Bocche di Bo-nifacio, compose la poesia The Pillar of the Cloud, meglionota come l’inno Guidami, luce gentile. Nel componimentoriconosce l’oscurità e il suo orgoglio, ma ha fiducia nel po-tere che lo ha benedetto e che gli farà superare «paludi ebrughiere, monti e torrenti, finché svanisca la notte» 4. Ap-prodò in Inghilterra l’8 luglio.

Questi anni della gioventù, segnati da opinioni che sta-vano maturando, dall’evangelicalismo attraverso un certotipo di razionalismo fino a un più armonioso senso dellaChiesa d’Inghilterra vista anche come cattolica, e travaglia-ti da crisi personali, malattie e morte, portarono Newmana un punto di svolta. Lo aveva percepito quando si trovavain Sicilia; aveva un lavoro da fare. Sei giorni dopo il suo ri-torno, il 14 luglio del 1833, John Keble pronunciò a Oxfordil Sermone delle Assise.

III

Il sermone segnò per Newman l’iniziò del Movimentodi Oxford, anche se in realtà gli eventi furono meno netti.

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Da tempo alcuni membri della Chiesa d’Inghilterra nutri-vano il timore che un giorno la loro Chiesa sarebbe statasotto il controllo dello Stato. Come poteva essere libera diproclamare il Vangelo, se fossero sorti conflitti? E sentiva-no che un contrasto ora era sorto. La questione scatenante,presto dimenticata, fu la riorganizzazione della Chiesad’Irlanda a opera del Parlamento, che portò alla soppres-sione di alcune diocesi. Nella pratica si trattava di unaquestione assolutamente ragionevole; in teoria però, fu vi-sta come un indebolimento dell’indipendenza della Chie-sa, perché lo Stato interferiva sui successori degli apostoli.Il sermone di Keble, intitolato Apostasia nazionale fu la mic-cia che scatenò l’azione.

Alcune persone si riunirono nel Suffolk presso la cano-nica di Hadleigh e discussero della formazione per tutto ilpaese di comitati che avrebbero contribuito a diffondere iprincipi cattolici all’interno della Chiesa anglicana. New-man non prese parte all’incontro e l’esito non gli piacque.«I movimenti vivi non nascono dai comitati» osservò nellasua Apologia, e con altri decise invece di scrivere brevi arti-coli, chiamando la Chiesa d’Inghilterra a comprendere sestessa basandosi su principi cattolici (si veda Apo., p. 68[46]). Furono questi tracts, trattati, a dare al Movimento diOxford l’altro nome per cui è noto, il Movimento Trattaria-no. In un primo momento, dopo aver provveduto allastampa autonomamente, attraversava il paese, passando dicanonica in canonica a distribuire i testi, che inizialmenteerano degli opuscoli e che divennero successivamente piùlunghi.

Per il Movimento di Oxford era di fondamentale impor-tanza l’attenzione per l’integrità della Chiesa. Fu questa lacausa portata avanti da Newman. Secondo lui era indub-

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bio che la Chiesa d’Inghilterra fosse un ramo della grandeChiesa cattolica, romana, orientale e anglicana, ma la vede-va minacciata dagli evangelici e dai liberali e dalle alte edistaccate personalità della Chiesa che avevano perso ilsenso del suo ricco patrimonio.

Per rimediare a quella perdita, fece un proprio resocon-to della Chiesa anglicana. La presentò come una via media,tra l’eccesso romano da una parte e l’errore protestantedall’altra. Sviscerò il suo approccio in una serie di lezionitenute nella chiesa di St Mary, poi pubblicate nel 1837 conil titolo di Lectures on the Prophetical Office of the Church. Lasua posizione si fondava su tre convinzioni fondamentali.

In primo luogo, la Chiesa era per lui indefettibile, manon infallibile. L’infallibilità, sosteneva Newman, era ca-ratteristica della Chiesa unita, ma da quando erano stateoperate delle divisioni, tale promessa d’infallibilità era an-data perduta. La Chiesa tuttavia è guidata in modo divinoa insegnare la verità essenziale e salvifica in modo indefet-tibile (si veda V.M. I, pp. 201, 190 [228, 219]). In secondoluogo, per individuare tale verità si appellò all’Antichità,alle Scritture e alla Chiesa dei Padri, alla dottrina che èsempre stata insegnata, ovunque e da tutti «quod semper,quod ubique, quod ab omnibus», come il credo essenzialee la regola d’insegnamento successivamente (si veda V.M.I, p. 222 [245]). In terzo luogo espose il modo in cui questafondamentale dottrina evangelica fu tramandata nel credoda vescovo a vescovo fino ad assumere il nome di tradizio-ne episcopale, mentre esisteva anche un’altra ampia tradi-zione meno ufficiale «che pervadeva la Chiesa come un’at-mosfera», che interpretava le verità rivelate e svelava i suoimisteri e che egli definì profetica (si veda V.M. I, pp. 249-251 [267-269]). Tale era, in breve, la base del concetto di

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Chiesa perorato da Newman. Sin dall’inizio, però, egli eraconsapevole che vi fosse un punto debole: mentre «il catto-licesimo romano e il protestantesimo sono religioni reali –osservò – la via media, intesa come sistema integrale, non èmai esistita se non sulla carta» (V.M. I, p. 16 [70-71]). Tutta-via per sei anni tutto andò bene, nonostante l’estenuantecontroversia. Difese la sua causa sotto un cielo sgombro dinuvole. Poi apparve una nuvola.

Newman prese in esame i precedenti. La presente inte-grità era al sicuro perché si rifletteva nel passato. Durantele lunghe vacanze del 1839, che trascorse a leggere perchélibero da impegni e a studiare la storia del monofisismo,un’eresia del V secolo, improvvisamente si allarmò. L’in-terpretazione monofisita di Cristo, ossia che in Cristo viera una sola natura, quella divina, era stata condannata.Allo stesso tempo, gli stessi monofisiti si erano strenua-mente opposti agli eutichiani, che portavano persino oltreil concetto della sola natura divina di Cristo. Newman nonsi mise in allarme per tale interpretazione di Cristo; nonnutriva simpatie per i monofisiti. Ciò che lo allarmò fu lalezione che la controversia suggeriva a proposito della suavisione della Chiesa. Immaginò che gli estremisti, gli euti-chiani, fossero i protestanti. Roma, a difesa della fede, erala stessa di oggi. E dove si trovavano i monofisiti? Nelmezzo. Pur resistendo alla posizione estremista degli euti-chiani, anche la loro compromettente via media era statacondannata. «Vidi il mio volto [allo] specchio» spiegaNewman nella sua Apologia «era il volto di un monofisita»(Apo., p. 144 [108]). La sua prospettiva sembrava fatalmen-te incrinata, il passato distruggeva il presente.

Allora qualcuno gli diede un articolo di Nicholas Wise-man sulla rivendicazione anglicana alla successione apo-

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stolica. In un primo momento l’articolo non lo colpì molto,ma in seguito un amico gli fece notare una frase di sant’A-gostino sulla quale prima non si era soffermato: «Securusjudicat orbis terrarum». Le parole sono quasi intraducibili,ma la versione di Newman fu: «La Chiesa universale, neisuoi giudizi, è sicura della verità» (Ess. II, p. 101; Apo., p.147n). L’idea lo sconvolse. Quelle parole non lo portaronoalla conclusione che la maggioranza era sempre nel giusto;a volte una minoranza aveva dovuto opporsi ai più. Conquelle parole però, come scrisse in seguito, parole che in-terpretavano e sintetizzavano il corso lungo e vario dellastoria della Chiesa, «la teoria della via media era completa-mente polverizzata» (Apo., p. 148 [110-111]). Era come seavesse visto un fantasma e nella sua mente balenò il pen-siero che «“alla fine si scoprirà che la Chiesa di Roma haragione”; ma era subito svanito» (Apo., p. 148 [111]).

In seguito accadde quanto succede di frequente quandosi è molto occupati. Newman tornò a lavorare e a poco apoco l’effetto di quella lettura estiva svanì. La calma duròper più di due anni. Poi però, il fantasma tornò.

Nel 1841, ripreso lo studio dell’arianesimo del IV seco-lo, lo schema tornò a presentarsi. Questa volta erano gliariani a essere i protestanti, Roma la stessa, e la via mediaanglicana, supponendo che esistesse, era il percorso intra-preso dai semiariani. Che fosse giusto o sbagliato, era cosìche vedeva le cose (Apo., pp. 169-170 [130]). E poi, in rapi-da successione, scoppiarono altre due questioni.

All’inizio di quell’anno si era dedicato a un nuovo tract,il n. 90. In esso espose le sue riflessioni su alcuni dei Tren-tanove Articoli, mostrando come potessero essere interpre-tati in modo compatibile con gli insegnamenti del Conciliodi Trento. Naturalmente era una posizione controversa.

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Per gli anglicani gli articoli erano la loro difesa contro ilcattolicesimo romano, il papismo e la superstizione. New-man voleva però dimostrare che, dal momento che gli arti-coli erano stati stilati come parte della Soluzione Elisabet-tiana «allo scopo di includere i cattolici» e di aiutarli a sen-tirsi a casa nella Chiesa d’Inghilterra, «i cattolici ora nonverranno esclusi» (si veda V.M. II, p. 348). Il motivo per cuiaveva scritto il tract era quello di frenare alcuni giovani eostinati trattariani, impazienti di abbandonare la Chiesad’Inghilterra e aderire al cattolicesimo romano. Prevideche vi sarebbero stati problemi, ma non molti. Il trattaria-nesimo stava cominciando ad annoiare la gente; non attira-va più molta attenzione; avrebbero obiettato forse due otre vescovi. Si sbagliava. Nei tre anni successivi, uno dopol’altro, furono in tutto 24 i vescovi che condannarono iltract. Era sbalordito, e non solo per la ferocia dell’attacco.Al centro della visione trattariana della Chiesa vi era l’au-torità episcopale, e l’obbedienza a essa era al centro dell’in-dole trattariana. Eppure quei vescovi stavano utilizzandolo status che lui aveva difeso per loro, per condannare unaposizione che lui riteneva inevitabile. Dove rivolgersi? Eraperduto. Non poteva diventare un protestante. Restandoaggrappato alla Chiesa d’Inghilterra, riluttante nei con-fronti di Roma, voleva seguire la ragione, non essere vitti-ma delle sue emozioni. Allora scoppiò anche la secondaquestione, a conferma della prima.

Fu presa la decisione di fondare un vescovado a Geru-salemme. L’idea partì in origine dai prussiani, ma in In-ghilterra fu sostenuta dall’arcivescovo di Canterbury, tragli altri. L’intenzione era quella di dare ai protestanti uncentro in Terra Santa, il cui vescovo sarebbe stato a turnoanglicano, luterano o calvinista. Newman si tirò indietro.

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Per lui la Chiesa d’Inghilterra era distinta dal protestante-simo, distinzione che i sostenitori anglicani del progettoavevano perduto. Abbandonavano la via media per identifi-carsi come confessione protestante.

I suoi studi patristici da una parte e queste due crisi dal-l’altra abbatterono Newman. Nelle sue parole, si trovava«sul letto di morte» come anglicano (Apo., p. 177 [137]), manon era ancora morto. Che cosa doveva fare? Dove dovevaandare? Dove trovare la vera Chiesa? Non aveva fede nelprotestantesimo e non riusciva più a vedere la Chiesa d’In-ghilterra come una via tra l’errore protestante e l’eccessoromano. Solo una possibilità sembrava rimanergli: potevaessere che quanto aveva scartato come corruzione romanafosse in realtà testimonianza di uno sviluppo autentico?Tornò perciò a tuffarsi sempre di più nello studio della teo-ria dello sviluppo dottrinale, che considerava «un’ipotesiatta a risolvere una difficoltà» (Dev., p. 66). Senza fretta, se-guì la questione per altri quattro anni. Poi, a tempo debito,raccolse le sue conclusioni nell’opera Sviluppo della dottrinacristiana.

Il dibattito, particolare e molto preciso, che l’opera sca-tenò, è stato enorme e prosegue ancora. Non può essere ri-solto in questa sede. Si può tuttavia dare un’idea del corsodel pensiero di Newman attraverso un’immagine e la fraseche dell’opera si ricorda di più. L’immagine è quella di unruscello, del quale, fa notare, a volte si dice sia «più limpi-do presso la sorgente»: le cose sono più pure dove hannoinizio. Poi però aggiunse: «Qualunque sia l’uso che si pos-sa fare in modo proprio di tale immagine, è certo che nonla si può applicare alla storia di una concezione filosofica odi una credenza. Queste sono, infatti, più uniformi, piùlimpide e più forti quanto più il loro letto diviene profon-

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do, largo e traboccante». La spiegazione continua poi con-cludendo con la frase che è stata spesso citata, anche se nonsempre in modo preciso: «In un mondo più alto le cose van-no altrimenti, ma qui sulla terra vivere è cambiare, e la per-fezione è il risultato di molte trasformazioni» (Dev., p. 75).

La stesura di Sviluppo della dottrina cristiana occupò mol-to del suo tempo, ma prima che l’opera fosse conclusa,aveva deciso. Quella notte di ottobre del 1845, spazzata dapioggia e vento, arrivò Dominic Barberi ed egli fu accoltonella Chiesa cattolica.

IV

Newman concluse Sviluppo della dottrina cristiana chia-mando la Chiesa cattolica la «Visione di Pace Benedetta»(Dev., p. 419), e si può dire che per un certo verso la sua ri-cerca era giunta al termine. Non ci sarebbero più stati cam-biamenti come quelli che abbiamo già menzionato, dallaconversione evangelica all’apprezzamento dell’eccellenzaintellettuale fino all’anglo-cattolicesimo. Nei primi annivisse persino una sorta di luna di miele, quando a volteesibì l’entusiasmo tipico dei neofiti. Andò a Roma per pre-pararsi all’ordinazione sacerdotale e fu ordinato oratoria-no, per poi tornare in Inghilterra e fondarvi l’Oratorio.L’Ordine degli oratoriani, fondato a Roma da san FilippoNeri nel XVI secolo, era formato da preti laici che vivevanoin comunità. All’epoca somigliavano in un certo modo aisenior di un college di Oxford. Il contesto ideale per New-man. La luna di miele però non durò. Presto dovette co-minciare a sopportare difficoltà che lo tormentarono peranni, pubblica ignominia, ostacoli, frustrazioni, fraintendi-

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menti e inganni. In un’annotazione di diario scritta moltotempo dopo, nel mese di gennaio del 1863, avrebbe osser-vato: «Da protestante sentivo la mia religione monotona,ma non la mia vita, da cattolico è la mia vita a essere mo-notona, non la mia religione» (A.W., p. 254).

La pubblica ignominia arrivò con il processo Achilli.Nel 1851, nel corso di sue lezioni sul cattolicesimo in In-ghilterra, Newman colse l’opportunità per denunciare Gia-cinto Achilli, un ex domenicano che si era trasferito in In-ghilterra e che attaccava il cattolicesimo per conto dell’Al-leanza Evangelica. Newman, accusando Achilli di essereun mentitore e predatore sessuale, non faceva che ripren-dere quanto già documentato nell’articolo del cardinaleWiseman, che quindi avrebbe dovuto fornire le prove a so-stegno delle sue imputazioni. Achilli, però, sicuro del fattoche le imputazioni non potessero essere provate, negò tut-to e lo querelò per diffamazione. Wiseman, esitante e di-sorganizzato, non riuscì a trovare in tempo i documenti ne-cessari a scagionare Newman, per cui la questione finì inun’aula di tribunale. Una delle instancabili amiche diNewman, Maria Giberne, partì alla volta dell’Italia per rin-tracciare le donne che Achilli aveva molestato anni prima,e convincerle a recarsi in Inghilterra per testimoniare in fa-vore di Newman. Molte di loro erano mogli e madri rispet-tabili e non avevano intenzione di rivivere episodi sordidie umilianti del loro passato, ma alcune si convinsero. No-nostante ciò, la giuria decise che Newman era colpevole eche le sue accuse non erano dimostrate. Il giudice del pro-cesso, però, lord Campbell, Presidente della Corte, venneaccusato di nutrire dei pregiudizi e, quando giunse il mo-mento di emettere la sentenza, il collegio di difesa di New-man chiese un secondo processo. Lo sconforto era grande.

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Alla fine la richiesta venne negata, ma, invece del carcere,come si aspettava, Newman ricevette un sermone sul suopeggioramento morale da quando era diventato cattolico egli fu comminata una multa di 100 sterline. L’intero episo-dio incombette su di lui per diciotto mesi e sebbene avesseottenuto una vittoria morale, in generale era consideratodisonorato.

Mentre il dramma legato ad Achilli procedeva, nel 1851Newman fu contattato dai vescovi irlandesi nella prospet-tiva che diventasse rettore di una nuova università cattoli-ca in Irlanda. Alla fine Newman accettò e per i successivisette anni spese sul progetto molto del suo tempo e dellesue energie. Fu in questo periodo che produsse l’opera or-mai divenuta un classico: L’idea di università. Oltre a que-sto, però, l’avventura portò solo fatica e ansie. Dopo pocotempo vi fu uno scontro di punti di vista. Newman avevain mente un’università che riflettesse l’ampiezza di approc-cio che aveva trovato a Oxford, mentre i vescovi volevanoqualcosa di più limitato, che fosse poco più di un collegiocattolico. Vi furono inoltre tensioni tra gli stessi vescovi chelo guardavano anche con sospetto; e l’arcivescovo PaulCullen di Dublino, colui che per primo aveva invitato New-man, lo irritò, ignorando le sue richieste urgenti e prenden-do poi le decisioni senza informarlo. Richiesto all’Oratoriodi Birmingham ed estenuato dagli ostacoli che gli eranostati frapposti lungo il percorso, nel 1858 si dimise.

Era già sorta un’altra difficoltà. Nel 1857 fu incaricatodai vescovi inglesi di supervisionare una nuova traduzio-ne della Bibbia. Si sentì onorato. Fece delle ricerche e pre-parò un progetto, includendo un elenco di collaboratori.Gli fu anche detto che i vescovi americani erano già impe-gnati in un progetto simile. I contatti con gli americani fu-

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rono lasciati interamente a lui; aspettò poi di avere altreistruzioni, ma dopo il dicembre del 1858 non sentì più nul-la. Il progetto svanì. I suoi sforzi erano stati inutili.

Mesi dopo si trovò invece invischiato nella penosa fac-cenda di «The Rambler», una stimata rivista cattolica cheall’epoca era critica nei confronti dell’azione episcopale. Vierano vescovi che volevano censurarla e per evitare ciò nelfebbraio del 1859 il vescovo di Newman, William Ullathor-ne, gli chiese di convincere il direttore Richard Simpson adimettersi. Poco tempo dopo Ullathorne lo interpellò nuo-vamente, proponendogli di assumere la direzione della ri-vista. Per quanto all’inizio fosse titubante, alla fine accettòperché condivideva lo scopo fondamentale di «The Ram-bler», vale a dire quello di essere una rivista per laici istrui-ti. I tempi, però, non erano maturi per l’idea che egli conti-nuava a sostenere, ossia che i laici potessero in qualchemodo contribuire alla salute della Chiesa. A maggio, torna-to a far visita a Newman, Ullathorne gli suggerì di dimet-tersi, anche se aveva iniziato da poco. Newman era tutta-via obbligato a produrre un ultimo numero, così decise disfruttare l’opportunità per parlare del ruolo dei laici. Scris-se l’articolo, diventato famoso, On Consulting the Faithful inMatters of Doctrine. Ma a Roma fu attaccato da chi si oppo-neva al suo punto di vista. Quando venne a sapere degliattacchi inviò una lettera, offrendosi di dimostrare che ciòche aveva scritto era coerente con gli insegnamenti dellaChiesa, e a Roma fu stilata una serie di obiezioni alle qualiavrebbe dovuto rispondere. Per qualche ragione, quest’e-lenco, affidato al cardinale Wiseman, non arrivò mai aNewman. Allora Newman pensò che la questione fossestata lasciata cadere, mentre Roma suppose che egli nonvolesse rispondere. Il fraintendimento suscitò dei sospetti,

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per cui, nei successivi otto anni la sua figura rimase in di-sgrazia a Roma. La questione giunse finalmente a un chia-rimento e a una risoluzione solo nel 1867, quando alcuniamici si recarono in visita in Vaticano.

Continue avversità, una dopo l’altra, l’ignominia pub-blica, l’ostruzione episcopale, le frustrazioni e i fraintendi-menti lo ridussero al silenzio. Nel 1863 aveva il morale aterra. Per tutta la vita aveva cercato di seguire la veritàovunque essa lo conducesse, a qualunque costo, e avevasofferto per essa. In seguito tornò a essere attaccato. Pocoprima dell’inizio del nuovo anno gli fu inviata una copiadel numero di gennaio 1864 del «Macmillan’s Magazine».Nella recensione di un libro Charles Kingsley, sacerdoteanglicano, professore di Storia moderna a Cambridge e ro-manziere, osservava di passaggio:

La verità per se stessa non è mai stata una virtù per il clero ro-mano. Padre Newman ci informa che non è necessario che losia e che in generale non deve esserlo; che l’astuzia è l’armache il Cielo ha dato ai santi per resistere alla maschia forzabruta del mondo malvagio che si sposa e che è dato in matri-monio. Che la sua opinione sia corretta o no dal punto di vistadottrinale, essa lo è perlomeno su quello storico. (Apo., p. 117)

Newman entrò in agitazione. Vi fu uno scambio di lette-re con l’editore del «Macmillan’s» e con Kingsley, ma ne ri-mase insoddisfatto. Comprese che la risposta a tale accusanon sarebbe mai giunta dalla sola controversia, da unoscambio di argomentazioni. In fondo era la sua sincerità, ilsuo modo di argomentare una discussione, a essere attac-cati. Per cui decise di scrivere la storia delle sue opinionireligiose, che poi divenne Apologia pro vita sua. L’intento

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non era quello di fare in modo che la gente fosse d’accordocon lui, né che si lasciasse convincere dalle sue idee, ma al-meno si sarebbe visto che si era comportato con integrità eche rimaneva coerente alle sue opinioni con onestà. Inoltre,presentando la sua versione dei fatti, ebbe la possibilità direndere omaggio ai vecchi amici, di riconoscere che cosadoveva loro, e di esprimere il costante affetto che nutrivanei loro confronti. Ciò che scrisse gli procurò molto dolore,perché dovette rivivere gli eventi travagliati e le separazio-ni del passato, ma l’opera venne accolta bene quasi senzaeccezioni. Dopo quasi vent’anni ristabilì molte amicizie, glifu riconosciuto talento e riguadagnò autorevolezza.

Rimanevano tuttavia dei sacrifici da affrontare. La diffi-coltà più ovvia ruotava intorno al suo progetto di fondareuna missione oratoriana a Oxford. Molti cattolici inglesiappoggiarono l’idea. Volevano che i loro figli andassero al-l’università, nonostante la disapprovazione delle autoritàdella Chiesa, e ritenevano che Newman fosse la personaideale per dar loro assistenza pastorale. Anche il vescovoUllathorne sostenne l’iniziativa. Newman obbedì al suovescovo e cominciò a pianificare, a cercare un luogo adattoe a raccogliere fondi. I cattolici che erano contrari, però,perché per loro Oxford era anticattolica, si opposero stre-nuamente alla presenza di Newman. Temevano che, unavolta lì, avrebbe attirato ancora più giovani verso quell’u-niversità. Gli oppositori erano personalità influenti, so-prattutto a Roma; tra loro vi era Henry Manning, nuovoarcivescovo di Westminster, un tempo suo amico. Alla fon-dazione dell’oratorio, all’insaputa di Newman, si pose cosìuna condizione: che Newman non potesse viverci. Quandola notizia trapelò e divenne chiaro che cosa stesse succe-dendo, Newman rammaricato scrisse a Ullathorne e si ri-

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tirò dalla missione. Il progetto era tramontato. Accettandola sua decisione, Ullathorne rispose con tristezza di esserstato «vergognosamente travisato a Roma, per giunta danostri connazionali» (L.D. XXIII, p. 312, n. 2). Era vittima diun inganno.

Seguirono altre controversie, soprattutto con Pusey e acausa delle discussioni che sorsero sulla definizione di in-fallibilità papale. Tornò a scontrarsi con Manning, il qualeaveva adottato una linea estremamente vicina al Vaticano.Tra le difficoltà, vi fu tuttavia anche un trionfo. Nel 1870Newman riuscì alla fine a pubblicare la sua opera Gramma-tica dell’assenso.

V

Chi di Newman conosce solo una cosa, vale a dire cheegli operò una distinzione tra assenso reale e assenso no-zionale, trova spiegata tale distinzione in quest’opera: ingenerale, l’assenso nozionale è intellettuale e astratto enon influenza la nostra condotta, mentre l’assenso reale sioccupa di ciò che è concreto e che ci spinge all’azione (siveda G.A., pp. 54-55 [63-64]). Oltre a ciò, si tratta di un li-bro unico tra quelli di Newman, essendo il solo non d’oc-casione, nel senso che non nacque per un’occasione o esi-genza particolare; scaturì piuttosto dal suo persistente de-siderio di rispondere a una specifica preoccupazione pa-storale, per dimostrare che la fede religiosa è razionale, eche è ragionevole credere. In un saggio preliminare scrittonel 1860 aveva già espresso in modo netto l’obiezione chevoleva confutare:

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La grande maggioranza dei cattolici non sa nulla della que-stione; come fa allora a essere razionale la loro fede? Il conta-dino crede «a quanto gli vien detto» e se il suo prete gli dices-se che lo Spirito Santo è personificato, avrebbe fede in quell’e-resia. Ai cattolici è proibito riconsiderare la verità della lorofede. 5

Questo era il problema che voleva affrontare, ma laGrammatica, in tutta la sua eleganza, non è immediatamen-te facile da comprendere. Fortunatamente per noi, tuttavia,sette anni dopo, nel 1877, Newman ne parlò con l’amico ecollega oratoriano, Edward Caswall, il quale sul risguardodella sua copia appuntò una nota su quanto gli era statospiegato. «Duplice oggetto del libro» scrisse Caswall. «Nel-la prima parte si dimostra che si può credere a ciò che nonsi riesce a comprendere. Nella seconda parte che si puòcredere a ciò che non si può assolutamente provare» 6. An-che questo appunto però necessita di una spiegazione.

Quando Newman affermò che si può credere a ciò chenon si può comprendere, non voleva sminuire la compren-sione come qualcosa di superfluo; intendeva piuttosto direche l’atto di credere non dipende dalla comprensione. Vi èuna distinzione. Quanto potremmo arrivare a comprende-re attraverso i freddi processi del ragionamento astrattopuò anzi convincerci, ma senza portarci a credere. Il crede-re è uno stato d’animo diverso. È personale. Quando cre-diamo, affermava, «noi subiamo l’influenza delle persone,delle voci, delle fisionomie, delle azioni umane». Per leastrazioni non facciamo sacrifici: «Nessuno subirà il marti-rio per una conclusione»; ma molte persone danno la vitaper ciò in cui credono: sono «dispost[i] a morire per undogma» (G.A., p. 57 [66]).

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E come credere non dipende dalla comprensione, nondipende neanche da una prova assoluta. Questa era la se-conda posizione che Newman desiderava affermare. Vole-va dimostrare che il tipo di prova che soggiace a una cre-denza non è assoluta secondo una dimostrazione severa eformale, ma spesso si compone di un’accumulazione oconvergenza di probabilità. La sua immagine più chiaranon fu utilizzata nella Grammatica, ma apparve in una let-tera inviata il 6 luglio del 1864 a uno dei suoi regolari corri-spondenti, il canonico John Walker. Paragonò la certezzafornita dalla prova assoluta a un’asta di ferro, e la certezzache sostiene una credenza a «un cavo formato da un certonumero di fili separati, ciascuno dei quali debole» che peròuna volta intrecciati insieme, sono indistruttibili (L.D. XXI,p. 146). Immagino che molti capiscano che cosa intendessee concordino. Un esempio che ovviamente posso offrire io,in qualità di rettore di un seminario, è quanto si verificaogni volta che devo consigliare a qualcuno se prendere ivoti. Ho una prova assoluta che tale persona sia adatta?Ovviamente no; potrei sbagliarmi. Ma quando, dopo unperiodo significativo di tempo, mi rendo conto che staemergendo un insieme di fedeltà alla preghiera, competen-za intellettuale e impegno pastorale, tutto ben integrato inuna personalità matura, mi sento in grado e sicuro di potercaldeggiare l’ordinazione. Nessuno di questi elementi –quello spirituale, quello intellettuale, quello pastorale equello umano – preso da solo può assicurare l’attitudineall’ordinazione, ma insieme si combinano in modo da crea-re una certezza. E scopriamo tale certezza utilizzando ciòche Newman nella Grammatica definì il nostro senso illati-vo, che descrive come «una parola importante per una co-sa comune» (L.D. XXIV, p. 375).

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L’illazione è il ragionamento. Il senso illativo quindi, siriferisce alla capacità umana di ragionare, il nostro dono divalutare le prove e, nelle parole di Newman, di farlo inmodo accurato. Naturalmente prove inadeguate ci fuorvie-ranno ma, data una prova, come Newman aveva dichiara-to anni prima, in generale ragioniamo bene (si veda U.S.,p. 395). Era per lui fondamentale questa confidenza nellacondizione umana. Quando utilizziamo il nostro senso il-lativo, soppesiamo le prove, individuiamo gli schemi nelleprobabilità convergenti, e arriviamo alla certezza. Per dipiù, secondo lui il processo era sempre fortemente perso-nale. Come abbiamo precisato prima, verso la fine diGrammatica affermava: «Non intendo lasciarmi convertireda un sillogismo elegante, se mi si chiede di servirmeneper convertire qualcun altro, rispondo che non tengo aconquistare il suo raziocinio senza toccare il suo cuore»(G.A., p. 263 [273]) 7.

Grammatica dell’assenso fu probabilmente il suo massimosuccesso letterario. Nel 1879 arrivò poi una grande sorpresa.

VI

Papa Leone XIII, che l’anno prima era succeduto a PioIX, decise di creare nuovi cardinali e tra essi, sperava, checi fosse Newman. Era un gesto benevolo, ma anche quel-l’occasione fu drammatica. I cardinali che non erano vesco-vi di diocesi solitamente risiedevano a Roma. QuandoNewman fu interpellato e quando gli fu annunciato il desi-derio del Papa, fu profondamente grato dell’onore che gliavrebbe concesso e voleva accettare, ma sentiva che per luilasciare Birmingham alla sua età – aveva 78 anni – era im-

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possibile. Ciononostante, non voleva neanche dare l’im-pressione di voler contrattare, di voler mettere delle condi-zioni all’accettazione dell’offerta del Papa. Espose il suodilemma a Ullathorne, la persona che gli aveva annunciatola notizia. Questi gli consigliò di scrivere una lettera al Pa-pa, cosa che Newman fece, in cui gli esprimeva la sua gra-titudine e anche il suo desiderio di rimanere nel suo «tantoamato Oratorio» (L.D. XXIX, p. 19). Ullathorne aggiunsepoi a quella di Newman una sua lettera, in cui indicava inmodo chiaro che Newman desiderava accettare, ma era ri-luttante a lasciare Birmingham, cosa che, precisò, era sicu-ro non fosse mai stata «l’intenzione del Santo Padre» (L.D.XXIX, p. 20). Inviò le due lettere al cardinale Manning chedoveva partire per Roma, perché le consegnasse. Manning,però, inoltrò soltanto la lettera di Newman, senza la spie-gazione di Ullathorne, cosicché l’espresso desiderio di ri-manere a Birmingham sembrò un rifiuto dell’onore confe-ritogli. Fece inoltre girare la notizia che Newman avesse ri-fiutato. Quando la cosa fu nota, ci fu una protesta. Moltis-simi protestarono. E a chi chiedeva spiegazioni sul motivodel rifiuto, Newman rispose in modo chiaro che non avreb-be potuto rifiutare un’offerta che non aveva ancora ricevu-to; non era stato ancora fatto alcun invito ufficiale. Man-ning, compreso l’errore che aveva commesso, si recò subitodal Papa a chiarire la questione. A quel punto fu inviata aBirmingham la notizia ufficiale dell’elevazione di New-man, il quale fu investito del cappello cardinalizio il 15maggio del 1879, a Roma. Come disse, la nuvola che loaveva perseguitato era svanita per sempre. Visse altri un-dici anni e morì nel 1890, a 89 anni.

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VII

Naturalmente la lunga vita di Newman fu molto piùimpegnata e complessa di quanto questo racconto riesca aesprimere. La sua personalità, le sue idee e le loro interpre-tazioni hanno alimentato un intero complesso di studi e ri-cerche. Il suo genio è originale, lungimirante e innovativo.Vi è chi nutre nei confronti di Newman un’ammirazioneincondizionata e pensa che egli non possa aver commessoerrori. Io ammiro Newman e sono consapevole del debitoche ho nei suoi confronti e, tuttavia, non credo che questosia l’atteggiamento che si debba adottare nel presente con-testo. Ci possono sempre essere prospettive alternative.Newman non convince tutti. Alcuni lo trovano personal-mente troppo sensibile, o troppo implacabile nel dibattito,o troppo determinato ad aver sempre ragione. E così sia.

Questo resoconto ha cercato soltanto di descrivere ilpercorso che egli ha seguito nel corso della sua vita, mo-strando come egli abbia cercato di farlo con coerenza eonestà. Prima è stato condotto dall’evangelicalismo, attra-verso il razionalismo, all’anglicanesimo, per poi passare alcattolicesimo; dopodiché, una volta diventato cattolico, ri-manendo sullo stesso percorso, ha sopportato processi eumiliazioni, fino a quando inaspettatamente il Papa l’haonorato creandolo cardinale. Quando morì, come dichiaròl’epitaffio che egli stesso aveva composto, abbandonò leombre e le immagini per abbracciare la verità: ex umbri etimaginibus in veritatem. Tale era stata la destinazione cheaveva sempre desiderato.

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1 Si veda la Festa per la beatificazione di Dominic Barberi, National Ca-lendar of England and Wales, The Divine Office III, p. 435.2 Si veda H.J. Jackson (a cura di), Samuel Taylor Coleridge, Oxford Univer-sity Press, Oxford 1985, pp. 594-595.3 Si veda David Newsome, Two Classes of Men: Platonism and English Ro-mantic Thought, J. Murray, London 1974, p. 72.4 Per una traduzione in italiano di Guidami, luce gentile, si veda JohnHenry Newman, Diario intimo e poesie, La Locusta, Vicenza 1990, p. 73.[N.d.T.]5 Hugo M. de Achaval, J. Derek Holmes (a cura di), The Theological Papersof John Henry Newman on Faith and Certainty, Clarendon Press, Oxford1976, p. 81.6 Si veda C.S. Dessain, John Henry Newman, Nelson, London 1966 eOxford University Press, Oxford 1980, p. 148. Si veda anche G.A., pp.312-313 [318-319].7 Si veda sopra, p. 29.

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