Il Pavimento Cosmatesco della Cattedrale di Civita Castellana: nuove analisi ed ipotesi.

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Il pavimento cosmatesco della cattedrale di Civita castellana è un'opera realizzata dai marmorari romani della famiglia dei Cosmati di Iacopo di Lorenzo e Cosma. La sua facies odierna però è completamente alterata, rispetto a come doveva essere in origine, a causa degli importanti rifacimenti e restauri occorsi almeno dal XVI al XVIII secolo. In questo libro l'autore ripercorre la storia di questa opera alla luce di tutta la letteratura che la riguarda e aggiungendo la propria analisi stilistica e le conseguenti nuove ipotesi.

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NICOLA SEVERINO

IL PAVIMENTO COSMATESCO

DELLA CATTEDRALE

DI CIVITA CASTELLANA

La storia, l’analisi, le nuove ipotesi

Edizioni ilmiolibro.it

Roma 2012

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“Ogni pietra di questa cattedrale ripete in

suono di laude i nomi cosmateschi di Lorenzo,

Iacopo, Cosma, Luca e Drudo, di questi artisti di

genio, che facendo anima della propria anima la

latinità e la classicità della loro stirpe, se ne

mostrarono degni componendo con lembi di

porpora e d’oro la fantastica pompa della loro arte

magnifica”

Antonietta Maria Bessone Aurelij

I Marmorari Romani, 1935

Cattedrale di Civita Castellana, foto di Giorgio Clementi

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Nicola Severino

Il Pavimento Cosmatesco della Cattedrale di Civita Castellana

Prima edizione, ilmiolibro.it, Luglio 2012

Stampa Cromografica, Roma, 2012

Dove non diversamente specificato, tutte le immagini sono di

Nicola Severino

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Prefazione

ominante la valle del Tevere sopra un vasto altipiano, alle falde

del monte Cimino, sulla sponda di un torrente, la piccola città

di Civita Castellana è contornata pittorescamente da profondi

burroni scavati dalle acque...

Era l’antica Faleria, importante città etrusca, caduta in potere dei

Romani dopo tre secoli che Roma esisteva. Vi si vedono ancora avanzi delle

vetuste mura. Nel 998 papa Gregorio V le diede il titolo di città, ma nulla

vi era di rimarchevole fuor di quelle mura secolari, quando circa il 1200 la

famiglia dei Cosmati Tebaldo vi profuse la bellezza e la ricchezza della sua

gaia scienza edificando la meravigliosa cattedrale.

Studiate le antiche costruzioni romane, fattone schizzi, fissando nella

mente il concetto e sulla carta il disegno, i maestri marmorari partiti da

Roma hanno per ben cinquantadue chilometri attraverso la via Cassia, che

come nastro si snoda per lungo tratto tra l’arida campagna, e poi sale su

verdi colli, fino alla piccola città, trasportati su carri i marmi, le colonne, le

decorazioni per creare il loro capolavoro.

Così Antonietta Maria Bessone Aurelij dipinge il quadro della

partenza dei Cosmati da Roma per Civita Castellana. Io ci sono

stato un paio di volte in quella cittadina, percorrendo

comodamente in auto l’autostrada fino allo svincolo di Magliano

Sabina e continuando per le comode strade provinciali asfaltate. E

mentre salivo al paese attraversando ponti, affrontando salite e

curve a gomito, mi domandavo come dovette essere il viaggio dei

marmorari romani sul selciato dell’antica Cassia, per i sentieri e le

strade brecciate, nella continua nube di polvere sollevata dai carri

pieni di marmi, lentamente e faticosamente trainati da cavalli e

muli. Certo non doveva essere facile fare un viaggio del genere con

la necessità di trasportare ingente materiale lapideo, nonostante il

sicuro e forte approvvigionamento di marmi che i maestri si

procurarono dalle rovine etrusco-romane della vicina Falerii Novi.

Il fatto che la cattedrale di Civita Castellana sia considerata oggi il

capolavoro dei Cosmati, la più alta espressione della loro arte

decorativa e architettonica, induce a chiedersi come mai i maestri

romani, o chi per essi, decisero di rendere unica proprio questa

cattedrale, ovvero la sua facciata, con una ricerca quasi esasperata

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dell’arte decorativa cosmatesca di cui non si ritrova alcun esempio

uguale, così sfarzoso, nelle basiliche romane. Questa riflessione ha

indotto Peter Cornelius Claussen a scrivere appositamente un

saggio per il convegno internazionale di studi, La cattedrale

cosmatesca di Civita Castellana, organizzato dal Comune di Civita

Castellana per i festeggiamenti dell’ottavo centenario della

costruzione e decorazione del portico della cattedrale (1210-2010).

L’intervento di Claussen intitolato Perchè non tante facciate come

quella di Civita Castellana? Identità e rivalità -periferia e centro, ha il

seguente abstract: “Come mai la facciata del Duomo di Civita

Castellana, con il suo portico trionfale, è così unica? Perchè in

confronto le facciate delle chiese medievali nella città di Roma

hanno un carattere più modesto? A queste domande - e, in

particolare, alla sorprendente inversione della comune valenza fra

centro e periferia - si cercherà di dare una risposta e una

spiegazione. Verranno allo scopo esaminati alcuni dati storici, le

circostanze della committenza e i differenti livelli di pretesa.

Quest’analisi porterà a ipotizzare una differenza tra le esigenze di

Roma e quelle delle città vescovili dello Stato della Chiesa”.

Quale che possa essere la risposta, ammesso che ve ne sia una,

più soddisfacente a simili domande, è da considerare che il cantiere

di Civita Castellana esprime il momento di maggiore intensità

espressiva dell’arte decorativa dei Cosmati. Qui essi ebbero modo

di sviluppare e portare al culmine la loro poesia cosmatesca in

almeno quattro generazioni di artisti, tramandandosi di padre in

figlio i segreti della loro arte. Il 1210 è l’anno della piena maturità

artistica di Iacopo ed è l’anno in cui Cosma, in qualità di filio suo

carisimo, che ritengo giovane intorno ai quindici anni di età, doveva

essere ardentemente desideroso di manifestare la sua bravura in

quell’arte ereditata dai suoi avi. La potenza della committenza, in

quel periodo necessariamente derivata dall’autorità del papato di

Innocenzo III, richiedeva ai maestri probabilmente un atto di

dimostrazione in più, rispetto alle basiliche romane, che doveva

evidenziare quella “porta” sul confine del Patrimonium Sancti Petri a

nord del Lazio, come a Sud era forse testimoniata dalla cattedrale di

Terracina. Questo concetto è stato evidenziato in modo mirabile da

Peter Cornelius Claussen: “La facciata ad arco trionfale di Civita

Castellana rende monumentale l’architettura sacra e mette in scena

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nel 1210 il trionfo e le ambizioni del potere papale sotto Innocenzo

III. In alto, nel fregio della trabeazione che chiude la sommità

dell’arco, la firma di Jacopo di Lorenzo e di su figlio Cosma,

cittadini romani...Vista così questa architettura non è solo un

monumento trionfale per Innocenzo III, ma anche un trionfo

dell’arte romana...A questa porta trionfale ai confini settentrionali

dell’immediata zona di influenza romana corrisponde ai confini

meridionali, nel duomo di Terracina, una facciata a portico del tutto

simile, con arco centrale sopraelevato, eretta quasi

contemporaneamente”1.

Tuttavia, credo di dover evidenziare che l’impressione di ritenere

lavori speciali quelli svolti dai Cosmati sul duomo di Civita

Castellana, derivi anche in buona parte dal fatto che il portico della

cattedrale non è mai andato distrutto nel tempo e si è conservato

abbastanza bene, nonostante parte delle decorazioni e

dell’iscrizione sul grande arco fossero andate quasi perdute nel

tempo. In effetti, sono rimasto abbastanza sorpreso nel constatare il

modo superficiale con cui gli autori di fine Ottocento hanno scritto

relativamente all’osservazione fatta da alcuni viaggiatori e studiosi

di antichità, secondo i quali l’iscrizione sulla trabeazione che chiude

la sommità dell’arco fosse almeno in parte mutila. Luca Creti,

nonostante nel 2009 abbia pubblicato un dottissimo saggio

architettonico sul portico di Civita Castellana nel suo libro In

Marmoris Arte Periti (si veda più avanti), non accenna minimamente

a questo fatto, trattando l’iscrizione come fosse stata così da

sempre. La supposizione, invece, di una iscrizione mutila è stata

trattata da Giovannoni a partire dal quale è stata poi riproposta in

modo ridondante da tutti gli altri autori. Il Cimarra così si esprime:

“ Riporto direttamente dal Giovannoni (Note sui marmorari romani in

ASRSP, vol. XX, 1904, pag. 9, nota 1): «Taluni autori, tra questi il

Cavalcaselle (Storia della pittura in Italia, Firenze 1875, p. 151) ed il

1 E a tal proposito voglio ricordare che le mie ipotesi sul pavimento

cosmatesco della cattedrale di Terracina, prevedono un ampio intervento

della bottega di Lorenzo, ben visibile nelle cospicue tracce che ci ha lasciato

in alcune zone del litostrato, dove si osservano quei canoni tanto cari a

Iacopo nel grande quincux asimmetrico centrale e in quelli sul presbiterio.

Per un approfondimento, si veda N. Severino Le Luminarie della Fede vol. 5,

Ititerari d’Arte Cosmatesca nel Basso Lazio, ed. ilmiolibro.it, Roma, 2011.

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Frey (Genealogie der Cosmati, in “Jarhbuch der K. Preuss.

Kunstsammlungen”, 1885) hanno supposto che l’iscrizione dell’arco

trionfale di Civita Castellana fosse mutila e che al MCCX dovesse

originariamente essere aggiunta qualche unità: ipotesi compiacente per

spostare di qualche poco la data del primo lavoro di Cosma, smentita

completamente dall’esame diretto del monumento»2.

Se l’osservazione di Giovannoni è giusta per quanto riguarda la

correttezza della data del MCCX che non ha aggiunte di sorta, è

sbagliata, invece, per quanto riguarda l’integrità dell’iscrizione

completa la quale si presentava veramente in buona parte mutila a

chi la osservava fino al 1880, anno in cui la facciata fu restaurata,

come si evince con precisione dallo scritto del Sac. Antonio

Cardinali, Vicario parroco della chiesa cattedrale di Civita

Castellana, intitolato Cenni storici della Chiesa Cattedrale di Civita

Castellana, Roma, Tipografia Agostiniana, 1935: «La facciata

dell’antica Basilica cosmatesca, innalzata di qualche metro nella

restaurazione del 1736-40, era stata deturpata con intonaco di calce;

il tetto del portico, costruito con travatura di legno, minacciava

rovina; perciò bisognava restaurare e restituire al primitivo

splendore e l’uno e l’altra.

Il Governo Italiano con lettera in data 18 Marzo 1876, diretta al

Sig. Pretore della Città, fece noto questo suo proposito, ed i lavori,

incominciati nel 1880, durarono oltre il 1883. Questi consistettero

nel togliere l’intonaco alla facciata del portico e della chiesa, a fare

riprese del muro a cortina, nuova travatura del tetto del portico,

basi delle colonne, scalinata esterna in travertino, chiusa con

cancellata di ferro.

L’Ing. Conte Cozza, Direttore dell’Antichità, nel 1888 per incarico

del Ministero e col concorso del R.mo Capitolo, fece restaurare i

mosaici dei portali, dei capitelli e delle fascie del portico. Il

medesimo Ingegnere allo scopo di iniziare un museo locale,

raccolte varie antichità e frammenti, insieme ad altri esemplari

posseduti dalla chiesa, nell’anno 1890 li fece collocare nelle due ali

laterali del portico. In questa occasione della sistemazione del

portico, fu chiuso con un muro il lato sinistro, il quale comunicava

2 L. Cimarra, Artefici e committenti nelle iscrizioni cosmatesche di Civita

Castellana, in “Biblioteca e Società”, V, 3-4, 1983, pp. 39, nota 11.

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con l’ingresso, che mette al piazzale dell’episcopio».

Si comprende, quindi, che i viaggiatori e studiosi che osservavano

la facciata della cattedrale prima del 1880, vedevano l’iscrizione

mutila, o incompleta, la quale fu restituita intera durante i restauri e

tutti coloro che la vedevano dopo il 1888, compreso il Giovannoni,

leggevano ciò che era stato restaurato. Nulla però ho trovato sui

dettagli di come fu decisa l’integrazione dell’iscrizione. Che questa

fosse molto deteriorata verso la metà del XIX secolo, è testimoniato

dall’autorità di Giuseppe Cappelletti perchè nella sua opera Le

chiese d’Italia dalla loro origine sino ai nostri giorni, pubblicata nel

1847, così si esprimeva: “La cattedrale è antica: la sua esteriore

faccia offre nel maggior volto dell’atrio un disegno a mosaico, in cui

non altro si può leggere fuorchè l’anno MCCX”.

Prima di lui però almeno due autori riportano l’iscrizione senza

alcuna esitazione, come se questa si leggesse ancora bene per

intero. Carlo Promis in Notizie epigrafiche degli Artefici Marmorari

Romani dal X al XV secolo, nel 1836, così la riferisce leggendola su

una sola riga a lettere d’oro su fondo turchino: “MAGISTER•

IACOBVS•CIVIS•ROMANVS•CVM•COSMA•FILIO•SVO•FIERI

• FECIT•HOC•OPUS•ANNO•DNI•MCCX”.

Non parla di incertezze il Promis che sembra leggere per intero e

senza dubbio alcuno l’iscrizione. Nello stesso anno, Geoerg Kaspar

Nagler3 la riporta così: “MAGISTER IACOBVS CIVIS ROMANVS

CVM COSMA SVO FECIT OHC OPVS ANNO 1210”. In cui si vede

l’OHC trascritto correttamente e la data in numeri arabi!

C. Schnaase4, nel 1854, la legge nel modo seguente: “Magister

Jacobus civis Romanus cum Cosma filio suo fecit hoc opus.

MCCX”.

Amico Ricci, nel 1858, sembra leggerla ancora senza incertezze

così: “Magis. Jacobus. Civis. Romanus. Cum. Cosma. Filio. Suo.

Fieri. Fecit. Hoc. Opus. Anno. Dni. MCCX”.

Camillo Boito, pur nella sua importante Architettura Cosmatesca,

del 1860, riporta ancora:

“MAGISTER•IACOBVS•CIVIS•ROMANVS•CVM•COSMA•

3 In: Neues alogemeines Kunstler Lexicon oder Nachrichten von dem

Leben un den...alla voce Die Cosmaten. 4 Geschichte der bildenden Kunste, vol. 4, parte 2, pag. 96.

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FILIO•SVO•FIERI• FECIT•HOC•OPUS•ANNO•DNI•MCCX”.

Nell’opera The Ecclesiologist del 1867, viene ripetuta in modo

identico. Lo stesso fa Charles Isidore Hemans5 nel 1867, lasciando

pensare che fino a quel momento l’iscrizione potesse essere letta

senza incertezze nel modo riportato.

Ma almeno dal 1864 Joseph Archer Crow e Giovanni Battista

Cavalcaselle, pubblicavano l’iscrizione sul portico di Civita

Castellana in modo mutilo:

A vederla ridotta così, non si può certo dare gran torto a

Cappelletti quando diceva che quasi nulla si leggeva fuorché la

data del MCCX!

E’ ovvio che a parte questi autori, diversi altri trascrivevano

l’iscrizione copiando da altre fonti, perchè altrimenti coloro che la

pubblicarono dopo il 1864 avrebbero dovuto riportarla nel modo

mutilo che si vede sopra.

Ai restauri del portico compiuti tra il 1880 e oltre il 1883, come

indicato da Cardinali prima, si deve quindi la restituzione

dell’iscrizione nel modo che è stata poi studiata e divulgata dagli

autori successivi. Si comprende, quindi, come il Giovannoni

avendola analizzata de visu solo dopo i restauri, dia per sbagliata la

versione “mutila” di Cavalcaselle, mentre coloro che si ritrovarono

a copiarla da altre fonti la riportarono ora in un modo ora in

un’altro, per diverso tempo. Tomassetti6, per esempio, la trascrisse

nel vecchio modo proprio mentre i restauratori stavano per

integrarla. Crow e Cavalcaselle, nell’edizione del 1869 della stessa

opera, la rimettono in modo identico.

5 A history of medieval Christianity and Sacred Art in Italy, Vol. 1, pag.

404. 6 Della campagna romana nel medioevo, Archivio della Reale Società

Romana di Storia Patria, vol. VII, Roma, 1884, pag. 437. “magister

Jacobus civis Romanus cum Cosma filio...suo fierit fecit hoc opus a

dni mccx...”. Lasciando intendere con i puntini le incertezze che vi

erano nella lettura sia al centro della frase che alla fine della data.

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Ad iniziare almeno da Clausse nel 1897 e tutti gli autori

successivi, come Zimmermann (1899), la Cyclopaedia inglese (1903),

il Giovannoni (1905), Marucchi (1909), e via dicendo, l’iscrizione

viene riportata come si legge nel modo attuale.

Il pavimento cosmatesco della cattedrale di Santa Maria

maestri Cosmati iniziarono a lavorare presso Civita

Castellana in tempi anteriori alla realizzazione di quello che

viene generalmente definito il loro testamento artistico,

formato dal complesso delle realizzazioni decorative e

architettoniche della facciata e degli interni medievali, ormai quasi

del tutto scomparsi, della fabbrica della cattedrale di Santa Maria.

Infatti, si può ragionevolmente ipotizzare che Lorenzo e un

giovanissimo Iacopo fossero incaricati di alcuni lavori nel

complesso religioso cistercense dell’abbazia di Falleri. Ciò lo si

deduce dall’attestato di paternità che essi stessi scolpirono sul

pregevole portale di quell’abbazia, ancora oggi ben visibile. Il fatto

che tale lavoro sia da considerarsi anteriore alle campagne

decorative del duomo di Civita Castellana, lo si deduce facilmente

sia da considerazioni di ordine stilistico-architettonico, analizzate e

già dimostrare da Luca Creti, sia da una constatazione cronologica

derivata da una seconda epigrafe.

Nel suo libro In Marmoris Arte Periti. La Bottega Cosmatesca di

Lorenzo tra il XII e il XIII secolo, pubblicato a Roma da Quasar

edizioni nel 2009, l’architetto e studioso dei Cosmati Luca Creti,

analizza in modo esemplare il portale dell’abbazia di Falleri

evidenziando nell’iscrizione che reca la firma degli artisti come “la

lettura della frase rende evidente la probabile giovane età di

Iacopo” e come “l’esame della struttura compositiva del periodo

rileva l’assoluta identità tra la formula lessicale utilizzata a Falleri e

quella incisa sull’architrave frammentario che funge da traversa

dell’attuale seconda porta di entrata al Sacro Speco di San

Benedetto a Subiaco, nonché la sua notevole somiglianza con la

firma riscontrabile sull’unico lavoro attribuito agli stessi artefici di

cui si conosca con certezza l’anno di costruzione, l’altro frammento

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di architrave conservato nel seminario arcivescovile di Segni,

realizzato nel 1185”. Grazie alla comparazione con questi altri

reperti Creti conclude che “la probabile fase di completamento

dell’opus eretto nell’abbazia falerina non dovette pertanto

discostarsi di molto da questa data, e fu di sicuro precedente a

quella del portale maggiore del duomo di Civita Castellana, dove i

marmorari sono posti sul medesimo piano artistico e vengono citati

entrambi con la qualifica di magistri, accompagnata dall’attributo

doctissimi”. Nella nota 1, Creti riporta brevemente una cronologia

essenziale delle fasi storiche legate all’architettura dell’abbazia i cui

eventi si snodano a partire dalla metà del XII secolo, essendo

menzionata in diversi documenti dal 1145 al 1155, per arrivare alla

prima datazione certa del 1179, quando papa Alessandro III (1159-

1181) decreta con una Bolla i possessi dei monaci cistercensi.

Mentre nel 1183 e nel 1186 Pietro, episcopo civitatis castellanae,

consacrava due altari. Ora, se dei lavori furono commissionati ai

Cosmati, è lecito supporre che questi dovessero essere terminati

entro l’anno di consacrazione del primo altare dedicato ai santi

martiri Cosma e Damiano e a S. Tommaso vescovo e martire, nel

11837. In tal caso, l’epigrafe con la firma di Lorenzo e Iacopo si

collocherebbe di due anni anteriore a quella di Segni, che nel

frattempo oggi è conservata nel locale Museo Archeologico

Comunale e sarebbe quindi da considerarsi la più antica

testimonianza firmata della collaborazione tra i due marmorari

romani.

Tutto ciò per evidenziare l’importanza di una probabile datazione

anteriore dei lavori cosmateschi svolti nell’abbazia di Falleri,

rispetto a quelli del duomo di Civita Castellana. Ora, la cosa più

difficile, è quella di capire se nell’abbazia di Falleri i lavori di

Lorenzo e Iacopo furono limitati esclusivamente alla realizzazione

del portale, il che sembrerebbe davvero poca cosa, o, più

7 Probabilmente l’epigrafe fu riportata per la prima volta da Ughelli nel

1644, citato da Creti nella nota 1 del suo libro. Quella cui faccio riferimento

è invece riportata da Giuseppe Cappelletti in Le chiese d’Italia dalla loro

origine sino ai nostri giorni, vol. 6, Venezia, 1847, pag. 18: HOC ALTARE

DEDICATVM EST A PETRO CASTELLANAE CIVITATIS EPISCOPO IN

HONOREM SS. MARTYRVM COSMAE ET DAMIANI AC S. THOMAE EPISCOPI

MARTYRIS DIE III MARTII ANNO AB INCARNATIONE DOMINI M.C.LXXXIII.

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probabilmente, se essi realizzarono anche parte o tutto l’arredo

presbiteriale interno ed eventualmente un pavimento cosmatesco.

Su questo punto, non sembra si siano espressi in modo esplicito gli

studiosi. Personalmente ritengo abbastanza limitativo per una

bottega marmoraria di prestigio, in cui Iacopo poteva sicuramente

vantare di ricoprire una carica così importante presso la curia

pontificia quale membro della esclusiva Schola addestratorum

mappulariorum et cubiculariorum8, ricevere una committenza isolata e

specifica relativa alla sola realizzazione di un portale esterno nel

periodo in cui tutta la fabbrica dell’edificio veniva terminata e gli

altari consacrati. Se ciò è confermato, i lavori cosmateschi

dell’abbazia di Falleri precedettero di circa un ventennio quelli del

duomo di Civita Castellana in cui Iacopo non è più menzionato

come allievo, ma quale “maestro dottissimo” al pari del padre

Lorenzo. La domanda che ci si pone e che potrebbe rivelarsi di una

certa importanza è: fu realizzato un pavimento cosmatesco

nell’abbazia di Falleri? E, in caso affermativo, che fine ha fatto nel

tempo? Insieme a questa domanda, dobbiamo farcene un’altra

ancora più insidiosa che è la seguente: i cospicui resti di pavimenti

cosmateschi che si osservano nella basilica di S. Anastasio a Castel

Sant’Elia presso Nepi, nella cattedrale di Sutri, nella chiesa di

Sant’Andrea in Flumine a Ponzano Romano e in quella di S.

Antimo a Nazzano, sono da considerarsi tutti come originali avanzi

di un antico pavimento musivo locale originale, o potrebbero essere

stati ivi trasportati da un altro luogo, come per esempio dalla vicina

abbazia di Falleri in una imprecisata epoca in cui si decise di

smantellare l’antico litostrato per adeguare la chiesa medievale ai

nuovi rifacimenti?

E’ una domanda a cui è molto difficile rispondere. Ma credo che

sia interessante porla, perchè trasferimenti di arredi e di porzioni

pavimentali sono da considerarsi, dopo le mie recenti indagini, una

forma abbastanza comune di reimpiego delle spoliae delle chiese

medievali durante i rinnovamenti barocchi occorsi tra il XV e il

XVII secolo. Roma è una testimonianza fondamentale in questo

8 Ipotesi proposta da Corrado Bozzoni nel suo scritto I Cosmati, maestri

romani in una dimensione europea, quale saggio introduttivo all’opera di

Luca Creti citata, in quanto Luca, nipote di Iacopo ricopriva ancora questa

carica nel 1255.

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senso perchè da quanto si può osservare, tali trasferimenti sono

abbastanza numerosi e confermano questa “moda” di adoperare gli

avanzi delle decorazioni e dei pavimenti cosmateschi medievali,

per decorare chiese minori antiche o barocche durante i loro

restauri.

Quanto detto, prende forma soprattutto se si considera che i

pavimenti delle chiese citate mostrano tutti inequivocabilmente le

tracce stilistiche della bottega di Lorenzo. E’ abbastanza difficile,

quindi, immaginare i membri della famiglia laurenziana attivi

quasi contemporaneamente in diversi cantieri coevi nella Tuscia,

come nel viterbese, a Tuscania, a Tarquinia, a Ferentino, ad Anagni,

a Subiaco e in Roma. E’ più semplice pensare a delle singole ed

importanti committenze, come Falleri e Civita Castellana, piuttosto

che a tutte le altre chiese minori dove oggi si osservano tracce delle

loro opere (specie per i pavimenti), insieme a quelle di altre

botteghe, che potrebbero provenire da altri luoghi. Un presunto

pavimento cosmatesco nell’abbazia di Falleri doveva essere

talmente grande da poter ben contenere in superficie tutti i resti

pavimentali che si osservano nelle predette chiese.

Il problema principale, quindi, è cercare di capire se il lavoro dei

Cosmati nella zona di Civita Castellana si possa distinguere

principalmente in un paio di committenze più importanti, come

quella di Falleri e del Duomo civitonico, o se ciò che si osserva nel

resto delle chiese menzionate debba considerarsi il risultato di

singoli lavori autonomi svolti dalla stessa bottega in periodi

differenti.

Per esempio, il pavimento della chiesa di S. Anastasio a Castel

Sant’Elia, nonostante mostri molto chiaramente essere il risultato di

una ricostruzione, riferibile al XV o al XVI secolo, assolutamente

arbitraria che reimpiega gli avanzi di un pavimento cosmatesco

antico, contiene dei dettagli che possono farlo associare con estrema

sicurezza alla manodopera degli artisti che realizzarono il

pavimento del duomo civitonico; anzi, a mio parere, esso sembra

essere una parte distaccata e mal ricostruita del pavimento della

cattedrale di Civita Castellana.

Quindi, o si tratta di un lavoro indipendente ma della stessa

bottega, identificabile chiaramente con quella di Lorenzo e Iacopo,

o si tratta di una porzione del pavimento del duomo di Civita

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Castellana smantellato ai tempi della costruzione del coro

cinquecentesco e trasferito nella basilica di Castel Sant’Elia. Ciò

spiegherebbe perfettamente sia lo stile che le modalità costruttive,

insieme alle tipologie e allo stato di conservazione del materiale

impiegato (una buona percentuale delle tessere originali e dei

listelli marmorei bianchi di guida del disegno del pavimento

risalgono al XV-XVI secolo; analogie iconologiche in alcuni dettagli

simbolici, come il ripetuto fiore del tipo tulipano che si osserva

anche nella cattedrale di Civita Castellana, i motivi geometrici, i

colori e l’uso del quincux asimmetrico in questo caso realizzato in

modo molto superficiale ed approssimativo, risarcito in gran parte

con lastre marmoree di varie epoche, ecc.).

E che dire del pavimento cosmatesco della cattedrale di Sutri,

dove sebbene vi sia la testimonianza di lavori dei Cosmati nel

portale, stavolta non firmati, il pavimento sembra anch’esso essere

totalmente ricostruito? Basterebbe per questo osservare il grande

quincux centrale che per le dimensioni e forma sembrerebbe del

tipo precosmatesco della seconda metà del XII secolo, ma che è

totalmente deturpato da una ricostruzione arbitraria che ha

modificato i dischi porfiretici delle ruote esterne, sostituendoli con

una normale campitura musiva in una soluzione mai vista in

nessun pavimento cosmatesco che si conosca. Anche in questo caso,

tessere, stile e tipologia sono della bottega di Lorenzo, più o meno

coeve al pavimento di Civita Castellana. E visto che quello di Castel

Sant’Elia è formato da una sorta di quincux asimmetrico ricostruito,

da un altro quincux di dimensioni minori che sembra quasi

originale, da una grande girale cosmatesca disposta longitu-

dinalmente insieme ad una breve guilloche e a pochi altri rettangoli

musivi compresi nella navata centrale e nel presbiterio, e

considerati i numerosi rettangoli ed il quincux centrale del

pavimento della cattedrale di Sutri, verrebbe da pensare se gli

elementi che formano tali pavimenti non fossero per caso quelli

mancanti alla superficie totale dell’antico litostrato della cattedrale

civitonica o di parte del pavimento dell’abbazia di Falleri. Sono solo

ipotesi, ma mi sembra giusto ridefinire il problema anche da questo

punto di vista che fino ad oggi non è stato mai considerato dagli

studiosi. E queste domande diventano tanto più legittime, quanto

più difficile riesce oggi trovare una spiegazione alle singole

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problematiche che si pongono quando si cerchi di svelare la storia

ed i relativi problemi insoluti legati ai pavimenti delle citate chiese.

Il pavimento della chiesa di Sant’Andrea in Flumine a Ponzano

Romano è formato dagli stessi elementi, molto simili anche

stilisticamente, visti a Castel Sant’Elia, come la girale cosmatesca, e

da un quincux piccolo nello stesso stile di quelli di Cosma in

Anagni, il tutto assemblato arbitrariamente in una ricostruzione

totale, che reimpiega plutei di recinzione o di amboni, lastre

marmoree di varia tipologia, e via dicendo. Lo stesso discorso vale

per finta ricostruzione della piccola guilloche nella ricostruita schola

cantorum della chiesa di Sant’Antimo a Nazzano Romano, che

richiama lo stile del coro della basilica di San Clemente a Roma.

Tutto ciò, porta a riflettere anche su un altro particolare che pone

un nuovo quesito a cui nessuno finora ha mai dato una risposta

esauriente. Nei cantieri di certa attribuzione, come appunto Civita

Castellana e l’abbazia di Falleri, Lorenzo, Iacopo e Cosma

firmarono i loro lavori nelle note iscrizioni epigrafiche che ci sono

giunte intatte. Non vi è ragione per pensare che tali attestati di

paternità fossero realizzati solo in certi cantieri più o meno

importanti, in quanto essi dovevano costituire una tradizione

familiare valida e ripetuta per tutti i lavori portati a termine e di cui

le numerose iscrizioni in cui tali artisti sono attestati, costituiscono

una valida testimonianza. A questo punto allora è lecito chiedersi:

se i Cosmati si firmavano puntualmente in tutti i lavori eseguiti,

come mai non ci sono pervenute le iscrizioni di Castel Sant’Elia, di

Nepi, di Sutri, di Ponzano Romano, di Nazzano Romano, ecc.?

Possibile che esse fossero andate tutte perdute?

La legittimità di porsi domande del genere trova una

giustificazione ancora più profonda quando si tiene conto di

ulteriori interrogativi che prima non sono stati presi in

considerazione: la cripta della cattedrale di Civita Castellana, era

dotata anch’essa originariamente di un pavimento cosmatesco?

Nessun autore sembra averne parlato, ma secondo una prassi che

volesse attenersi ad una logica dei progetti cosmateschi, ed

all’oggettivo riscontro che alcune cripte avevano un pavimento

cosmatesco, come quella della cattedrale di Anagni, di Sant’Agnese

in Agone, o quella della basilica di Santa Maria in Cosmedin a

Roma per la quale sembra esistere qualche testimonianza storica

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che attesti l’esistenza di pavimenti musivi al suo interno, sarebbe

lecito ipotizzare che, normalmente, anche le cripte dovevano essere

dotate di pavimenti musivi.

Una breve, ma significativa, testimonianza storica che potrebbe

dirci dell’esistenza di un pavimento musivo anche nella cripta della

cattedrale civitonica lo si ricava da un passo dell’Ugonio, ripreso

dal Forthingham, dal De Rossi e da Mariano Armellini

relativamente ad un passo che descrive la chiesa di Santa Maria in

Monticelli a Roma, nell’omonima via, dove si conserva una parte

del pavimento cosmatesco datato dagli studiosi al 1227, sebbene i

restauri più noti riportati dagli autori antichi siano quelli di

Pasquale II nel 1101 e di Innocenzo II nel 1143. La notizia, però,

proviene da una fonte antica e molto attendibile riportata da

Mariano Armellini, in Le Chiese di Roma (op. cit. 2° edizione del 1891,

pag. 404), nel seguente modo: “Nel Theatrum Urbis dell' Ugonio,

nella Barberiniana, si legge una descrizione di questa chiesa, che

allora conservava l' antica forma. Ivi si dice che il coro era formato

di commessi marmorei cosmateschi, opera di un artefice Andrea

e suo figlio nel 1227. L' epigrafe era la seguente:

MAGISTER ANDREAS CVM FILIO SVO ANDREA HOC

OPVS FECERVNT A. D. MCCXXVII.

Era simile a quello conservato ancora nella cripta della cattedrale

di Civita Castellana”. Questa dell’Ugonio è una notizia

eccezionale. Infatti, egli paragona per similitudine stilistica il

“commesso marmoreo cosmatesco” del coro della chiesa di Santa

Maria in Monticelli, con quello esistente in parte, ai suoi tempi,

nella cripta della cattedrale di Civita Castellana, dove oggi, invece

non si vede più nulla. In tal modo Ugonio ci da la preziosa

informazione che nella cripta della cattedrale civitonica esisteva un

pavimento cosmatesco di cui nel XVI secolo osservava ancora delle

tracce! Il fatto che egli specifichi trattarsi della cripta della

cattedrale, esclude che con le parole “commesso marmoreo” si

riferisse a delle lastre marmoree che adornavano una schola

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cantorum9.

E’ ovviamente quasi del tutto impossibile poter stabilire quali

possano essere le zone del pavimento musivo della cripta che sono

state ricostruite in qualche parte della cattedrale se non addirittura

trasportate in qualcuna delle chiese menzionate sopra. E’ anche

ovvio che non è facile accettare bonariamente una simile ipotesi,

tuttavia è doveroso, credo, doversi porre certe domande e cercare

di trovare delle risposte quanto più plausibili seppure rimanendo

sempre nel campo delle speculazioni ammissibili.

Nell’esaminare i pavimenti cosmateschi, ciò che dopo circa un

anno mi ha stupito di più è stato constatare come tutti gli autori, da

Hutton a Glass, da Pajares a Bassan fino al Creti, hanno descritto

questi monumenti come se si trattasse indubbiamente di opere

originali, a volte nell’assetto completo unitario, a volte in un assetto

parziale, ma opere “intatte”, o “largamente originali”, come spesso

vengono definite, senza avanzare mai il minimo dubbio

sull’autenticità della loro facies, dal tempo in cui furono realizzati, o

del fatto che in molti casi essi sono il frutto di porzioni pavimentali

9 Questa notizia mi costringe a fare una piccola digressione perchè avendo

visitato da poco tempo la cattedrale di Santa Maria a Civita Castellana, ed

avendo analizzato il suo pavimento cosmatesco, per il quale ho ipotizzato

una più o meno completa ricostruzione, in parte arbitraria, si può giungere

alla conclusione che una parte del pavimento odierno possa essere stata

ricostruita nei possibili restauri della fine del XVI secolo anche con quei

resti di litostrato cosmatesco che vide Ugonio nella cripta i quali

potrebbero essere anche i due quincuxes che oggi si osservano nel transetto

e nel presbiterio della chiesa. Ciò conferma che il cantiere pavimentale

della cattedrale di Civita Castellana, costituì una sorta di prototipo dei

lavori svolti dal Cosma maturo, con i figli Luca e Iacopo nella città di

Anagni tra il 1227 e il 1231 e una prova in più sul fatto che anche la cripta

di Santa Maria in Cosmedin doveva essere dotata di pavimento

cosmatesco. E come ho detto nel capitolo specifico su questa basilica, mi è

parsa attendibile l’ipotesi che i tre quincuxes disposti arbitrariamente nella

schola cantorum, provenissero in realtà dalla cripta. Se queste notizie fossero

confermate da altre evidenze, si potrebbe pensare che nel XVI secolo era in

voga la rimozione dei pavimenti cosmateschi nelle cripte delle chiese per

essere reintegrati nelle ricostruzioni dei pavimenti delle navate maggiori

con il reimpiego del materiale cosmatesco originale.

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trasferite da altre chiese e di ricostruzioni più o meno arbitrarie,

eseguite ex novo o sulla base di ricordi dell’antica forma del disegno

cosmatesco. E’ stupefacente leggere le parole della Glass

relativamente al pavimento della chiesa di S. Anastasio a Castel

Sant’Elia: “...sembra che la superficie complessiva del pavimento

non fu alterata. Molto del pavimento è completamente distrutto,

ma ciò che rimane ha mantenuto il suo disegno originale...”. Ciò

che sembra, invece, è che la studiosa non abbia visto con i propri

occhi il manufatto perchè altrimenti si sarebbe resa conto che il

pavimento di quella chiesa non è altro che una sommaria

ricostruzione che reimpiega frammenti e lastre marmoree di ogni

tipo secondo una scelta arbitraria dovuta a restauri e

rimaneggiamenti effettuati in diverse epoche.

Ma procediamo con ordine e vediamo i diversi elementi che

emergono dalle analisi effettuate dai più importanti autori del

passato.

Edward Hutton, in The Cosmati, del 1950, non dice nulla di

particolare sul pavimento di Civita Castellana e dalle sue parole

sembra volerlo assegnare ai marmorari che si sono firmati nel

portico10.

Bessone Aurelij non aggiunge molto, fermandosi ad una breve e

suggestiva descrizione: “Nell’interno avanti l’altar maggiore, ed in

tutta la navata centrale il pavimento cosmatesco continua la gioiosa

ridda di tessere musive un pò ottenebrata dall’ombra, che i piedi

umani vi ha messa nella continuità degli anni. Calmi ed equilibrati

disegni si susseguono interrotti ai lati dell’intreccio più ricco

formati da frammenti dell’Ambone”.

Mastrocola11, che viene riportato da Creti12, attribuisce il

pavimento a Drudo de Trivio “osservando come tra le tessere

musive si riscontri la prevalenza del motivo geometrico delle stelle

a otto punte che caratterizza il ciborio del duomo di Ferentino”. Ma

10 “Some of these works are signed or assignable to definite

craftsmen”, pag. 27. 11 Mastrocola M., Il portale di S. Maria di Falleri. Il portale della

cattedrale di Civita Castellana. I Cosmati, in Miscellanea di Studi

Viterbesi, Viterbo, 1962, pp. 400-407. 12 Creti Luca, In marmoris arte periti, op. cit., pag. 55 nota 57.

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le stelle in generale erano utilizzate in massima parte da tutti i

marmorari decoratori del medioevo. Le opere musive del centro e

dell’Italia meridionale sono piene di decorazioni a motivi stellari di

ogni genere. E vorrei ricordare come il motivo della stella cosmatesca

già così definita da Agincourt alla fine dell’Ottocento, sia stato da

me riscontrato ed evidenziato più volte nei miei scritti come una

caratteristica specifica, specie nell’uso particolare che Lorenzo e

Iacopo ne fanno nei pavimenti. Non credo, quindi, che

l’osservazione di Mastrocola possa essere d’aiuto nelle ipotesi di

attribuzione.

L’analisi di Dorothy Glass13, pubblicata nel 1980, è la prima che

cerca di svelare la storia del pavimento della Cattedrale di Civita

Castellana che merita di essere esaminata in queste pagine con

qualche dettaglio, evitando le sole parti descrittive dell’assetto

odierno del litostrato. E’ probabilmente dalle sue parole iniziali

“The pavement in the Cathedral at Civita Castellana is neither

securely attribuited nor dated”, che gli autori successivi hanno

inteso essere uno dei pochi pavimenti cosmateschi non datati e non

firmati, ma facilmente attribuibile ai Cosmati per il resto dei lavori

che si vedono nella fabbrica civitonica. La studiosa osserva che la

stessa famiglia dei Cosmati lavorò durante i primi decenni del XIII

secolo nella cattedrale di Santa Maria in Anagni e ritiene

indubbiamente utile fare dei confronti con i relativi pavimenti.

Anche la sua impressione che “the pavement in the nave of S.

Maria Maggiore is largely original, althoung individual patterns

have been restored”, dev’essere stata universalmente accettata

dagli studiosi che la seguirono, perchè tale opinione è ancora

generalmente diffusa. Glass nota una prima cosa che non quadra,

cioè il lungo allineamento dei dischi collegati nella forma di

guilloche che biseca la navata longitudinalmente, senza essere

interrotto da uno o più quinconce fino al presbiterio. Lo ritiene un

“arrangiamento” unico che non si osserva in nessun altro

pavimento cosmatesco conosciuto e comprende che ciò costituisce

una prima forte anomalia. Il raffronto con l’esempio di Anagni,

convince Glass che essi sono i “soli pavimenti cosmateschi

13 Dorothy Glass, Studies on Cosmatesque Pavements, BAR International

Series 82, Oxford, 1980, pagg. 63-64.

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relativamente completi ancora esistenti”. Ravvisa che l’intero

disegno pavimentale non è composto di sole tessere originali,

attribuendo quelle più moderne ai restauri avvenuti tra il 1736 e il

1740 voluti da mons. Tenderini. Riconoscendo una evidenza

stilistica dei patterns con il pavimento della cripta di San Magno

nella cattedrale di Anagni, e tenendo conto delle testimonianze

epigrafiche nella facciata della cattedrale di Civita Castellana,

stabilisce che il pavimento in analisi è databile al primo quarto del

XIII secolo.

In definitiva, Glass nota qualcosa che non va nell’assetto del

pavimento, ma lo ritiene quasi completo, sebbene siano totalmente

assenti pannelli musivi nelle navate laterali, difficilmente

spiegabile, dato che non si comprende per quale motivo i Cosmati

avrebbero dovuto realizzare un mosaico solo nella navata centrale.

La studiosa osserva i numerosi inserti di marmi e lastre di diversa

provenienza del pavimento, così come si accorge che il quincux sul

presbiterio rialzato è in parte antico e in parte restaurato nel

Settecento, ma non trova alcuna spiegazione riguardo l’assetto

generale che considera “largamente originale”.

Gli autori successivi, hanno più o meno ripreso a piene lettere le

ipotesi di Glass alle quali hanno aggiunto qualche breve

considerazione, come Parlato e Romano14, ancora citati da Creti, i

quali ipotizzano l’esecuzione del pavimento nel 1230 forse per la

consacrazione del nuovo altare maggiore. Ma tale datazione è

impossibile, perchè nel 1230 Lorenzo e Iacopo non c’erano più e

Cosma con i figli era impegnato in Anagni. Al più, la datazione

dovrebbe essere posticipata di qualche anno, come per esempio tra

il 1232 e il 1240, ma se il pavimento di Anagni è firmato da Cosma il

quale realizzò ivi in prevalenza delle file di quincuxes, non si

comprende perchè lo stesso artista, quasi nello stesso periodo,

dovesse realizzare invece una fila interminabile di dischi collegati a

guilloche nella cattedrale di Civita Castellana.

Enrico Bassan, in Itinerari Cosmateschi: Lazio e dintorni, del 2006,

pag. 43, data il pavimento ai primi anni del XIII secolo e dice “che

evidenzia ancora tratti ben conservati nella navata centrale”;

mentre nel suo articolo Iacopo di Lorenzo, nell’Enciclopedia dell’Arte

14 E. Parlato, S. Romano, Roma e il Lazio (Italia Romanica 13), Milano 1992.

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Medievale, del 1996 (pagg. 246-249), rifiuta le tesi di Glass e indica

genericamente l’attribuzione del pavimento alla bottega di Lorenzo.

L’architetto Luca Creti, oggi professore di Storia dell’Architettura

Antica e Medievale all’Università degli Studi di Roma “La

Sapienza”, facoltà di Architettura “L. Quaroni”, più di tutti ha

curato una approfondita analisi delle opere cosmatesche

architettoniche della bottega di Lorenzo e soprattutto di quelle

presenti nel duomo di Civita Castellana. Tra i suoi studi, pubblicati

in quello che attualmente è un libro di base da cui non si può

prescindere per ogni eventuale ricerca in merito, intitolato “In

Marmoris Arte Periti. La Bottega Cosmatesca di Lorenzo tra il XII e il

XIII secolo”, Quasar ed., Roma, 2009, vi è un capitolo specifico

dedicato al pavimento cosmatesco della cattedrale di Civita

Castellana. In realtà, Creti aveva già redatto un sunto delle sue

analisi in un articolo scritto in collaborazione con Silvia Boscolo e

Consuelo Mastelloni dal titolo Il pavimento cosmatesco della Cattedrale

di Civita Castellana, pubblicato nel 1993 che tralascio di esaminare in

quanto l’essenza del suo contenuto è ampiamente ripreso nel

capitolo dall’autore nel libro suddetto. Solo riporto le tesi

fondamentali che in breve così si possono riassumere: “il

pavimento della cattedrale civitonica è opera ancora non attribuita,

ma probabilmente eseguita da un membro dei Cosmati...; può

essere datato ai primi anni del XIII secolo...; esso si è conservato

praticamente intatto nella zona relativa all’attuale navata; la

preservazione si deve a Giovanni Francesco Tenderini, vescovo di

Civita Castellana, Orte e Gallese tra il 1718 e il 1739”15.

Nell’articolo vengono riportate alcune notizie storicamente

importanti ma che nulla aggiungono per capire in che modo il

pavimento sia stato trasformato durante i restauri che sconvolsero

la cattedrale in quel tempo: “Tenderini, durante i lavori di

ristrutturazione della chiesa, eseguiti per sua volontà nel periodo

1736-40, vietò infatti espressamente l’asportazione delle tessere

marmoree della navata centrale”. Gli autori aggiungono in nota che

“questa volontà è chiaramente espressa nella IV Visita Pastorale di

15 Gaetano Moroni, in Dizionario di erudizione storica ecclesiastica...riporta la

data del 1717 in cui Tenderini avrebbe “riedificato” la cattedrale.

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Mons. Tenderini, eseguita nella cattedrale il 7 giugno del 173616 e

conservata nell’Archivio Vescovile. Sotto la voce De Pavimento così

recita il cronista: Confirmavit decretum ut nullo modo cavari possit

medium...”. Nonostante questo passo, però, non è stato possibile

ricostruire le vicende architettoniche che trasformarono la chiesa:

“L’intervento settecentesco, che stravolse l’originaria tipologia della

fabbrica, rende tuttavia impossibile la verifica del

proporzionamento globale del pavimento nonché l’analisi del

rapporto che legava la sua iconografia alle funzioni liturgiche”.

Tra le diverse considerazioni finali che gli autori fanno, devo

evidenziarne una che, a mio avviso, è molto fuorviante nello studio

dei pavimenti cosmateschi. Dopo aver sottolineato che i disegni

delle partizioni reticolari della navata sono molto semplici,

elementari, mentre le decorazioni musive della lunga guilloche

delle navata e del quincux nel transetto sono complesse “con una

riduzione quasi esasperata delle dimensioni delle tessere che le

compongono”, gli autori accennano all’analisi dei colori impiegati

(senza peraltro evidenziare che essi sono per la maggior parte

dominati da asimmetria) raggruppandoli in due tipologie: “i colori

chiari, composti da vari tipi di marmo di Carrara e dal marmo

giallo antico (in genere raro nelle opere cosmatesche) e quelli scuri

rappresentati dai due tipi di porfido, il rosso e il verde”. Che il

giallo antico sia un “colore raro nelle opere cosmatesche”, è forse

vero, ma solo nel caso di opere diverse da quelle della bottega di

Lorenzo. Abbiamo visto, infatti, che in tutti i pavimenti cosmateschi

delle basiliche e chiese di Roma17, il giallo antico è una prerogativa

dello stile di Lorenzo e Iacopo che va a sfumare leggermente forse

solo con le opere pavimentali di Cosma e dei figli Luca e Iacopo

alter. Il giallo antico era un marmo pregiatissimo e richiestissimo e

le rare testimonianze storiche indicano che esso era oggetto di

continui furti ed appropriazioni (come quelli avvenuti tra il

Rinascimento e il Barocco nella basilica di Santa Maria in

Cosmedin). Ciò significa che il giallo antico che doveva essere

presenta nei pavimenti cosmateschi della bottega di Lorenzo,

16 E’ un caso che io stia scrivendo questo articolo proprio il 7 giugno del

2012? 17 Nicola Severino, Pavimenti Cosmateschi di Roma, ed. ilmiolibro.it, Roma,

2012

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doveva essere ancora maggiore di quello che si apprezza oggi nei

pochi resti originali visibili. Tale constatazione, non può che

confermare l’erroneità dell’asserzione precedente circa la “rarità del

giallo antico nelle opere cosmatesche”.

Il Creti, nel libro citato, riprende puntualmente queste tesi,

aggiungendo personali considerazioni metrologiche tra gli elementi

del pavimento che metterebbero in risalto “l’esistenza di un

controllo geometrico nelle proporzioni del pavimento...La volontà

di ordine e di simmetria si riscontra anche nell’analisi dei motivi

centrali della fascia mediana, 14 dei quali adottano dischi marmorei

interi, mentre 3 sono composti da figure geometriche complesse. La

loro disposizione non è casuale, ma segue una precisa legge

compositiva”. L’analisi di Creti è suggestiva ed affascinante, ma è

in contrasto con quanto lui stesso, insieme agli altri autori, aveva

scritto nell’articolo citato circa l’impossibilità di una verifica del

proporzionamento globale del pavimento. Le tesi di Creti sarebbero

significative e preziose qualora avessimo la certezza che il

pavimento della navata (visto che quello del transetto e del

presbiterio rialzato è ormai assodato che sia stato ricostruito per

intero) sia veramente rimasto “largamente originale” e

“conservatosi praticamente intatto”, come asseriscono gli autori in

entrambi i lavori esaminati. Ma io ho i miei dubbi che le cose siano

andate veramente così. E, a dirla tutta, anche Creti ha espresso

qualche timida perplessità nel suo libro quando ha scritto che le

modifiche del pavimento “non sono state tuttavia causate dai lavori

settecenteschi, nel corso dei quali il pavimento fu anzi coperto con

cura con uno spesso strato di terra per preservarlo dagli eventuali

danni provocati dalla demolizione delle colonne e dei settori a esse

sovrapposti. E’ probabile che l’aspetto disomogeneo sia invece da

attribuire a un non documentato rinnovamento del tardo XVI o

dell’inizio del XVII secolo, conseguente all’entrata in vigore della

riforma gregoriana...”. Questo passo è in perfetto accordo con le

mie tesi secondo le quali molti dei pavimenti cosmateschi delle

basiliche romane e del Lazio, quindi compresa questa di Civita

Castellana, furono demoliti e ricostruiti, o “risarciti”, quando non

trasferiti a pezzi più o meno significativi per adornare altre chiese,

tra il XV e il XVI secolo. Infatti, dopo aver analizzato il pavimento,

sono convinto che quello che si vede oggi nella cattedrale di Civita

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Castellana, sia in gran parte il risultato dei lavori di restauri non

bene documentati avvenuti nel XVI secolo. Mons. Tenderini ebbe il

merito di preservare non un pavimento completamente originale,

ma un pavimento ricostruito, o largamente modificato, in una

epoca precedente, mentre ai suoi restauri del 1736-40 si devono con

certezza attribuire le modifiche apportate al transetto e al

rialzamento del presbiterio.

E’ probabile, quindi, che il documento che testimonia l’espressa

volontà di vietare l’asportazione delle tessere del pavimento, abbia

indotto gli autori a credere che il pavimento della navata centrale

fosse “largamente originale”. Se così fosse stato, si sarebbero

dovute osservare quelle caratteristiche musive, cromatiche,

stilistiche e di tecnica che devono per forza essere comuni sia

all’opera del portico e dei portali della facciata esterna della

cattedrale, sia al pavimento, entrambe realizzate dalla stessa

bottega di marmorari. Ma, come si è visto, così non è, perchè ciò che

si osserva nel pavimento non è certo degno di essere paragonato al

gusto e alla tecnica dell’opera eseguita sulla facciata esterna della

cattedrale. Anzi, personalmente devo dire, dopo aver analizzato

tutti i pavimenti cosmateschi del Lazio, che questo di Civita

Castellana è “classificabile” appena come mediocre rispetto a quelli

di Ferentino, Anagni, e delle basiliche romane dei Santi Quattro

Coronati, di San Clemente, di San Crisogono, di Santa Maria in

Cosmedin, di San Gregorio al Celio, dei Santi Giovanni e Paolo, e

opera assolutamente minore rispetto a quello che doveva essere

forse un incredibile pavimento precosmatesco nella basilica di

Santa Maria in Aracoeli, almeno stando all’osservazione dei

meravigliosi pochissimi reperti preservati ed inglobati nel litostrato

attuale.

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Fig. 1. Facciata della cattedrale disegnata dall’architetto Gustave

Clausse nel suo libro Le Marbriers Romains, Paris, 1897, pag. 351.

Proseguendo con le mie considerazioni personali sul pavimento

civitonico, i due quincuxes, per stile e dimensioni, non trovano

corrispondenza e analogia con quelli dei pavimenti di Ferentino e

Anagni, sebbene quello di Ferentino sia di dimensioni quasi uguali,

ma di stile diverso. Le dimensioni di quelli della cattedrale di Civita

Castellana corrispondono ai quincuxes che potremmo definire di

“transizione” tra il periodo precosmatesco del XII secolo e quello

cosmatesco del XIII secolo. Come giustamente fa notare Creti, se ne

trovano esempi identici nella basilica di Santa Francesca Romana e

in quella di San Crisogono a Roma.

Questa tipologia di “quincux nel quincux” ha delle caratteristiche

abbastanza inusuali nel repertorio dei Cosmati perchè essa è più

frequente nelle opere pavimentali di influenza siculo-campane. Nei

pavimenti delle basiliche romane, sembra siano testimoniati solo i

due esempi citati sopra ai quali si potrebbe forse aggiungere il

quincux della stessa tipologia, ma ampiamente precosmatesco, che

esiste oggi nel pavimento della chiesa di San Nicola a Genazzano

che però sappiamo essere stato derivato dall’antico pavimento della

basilica di San Giovanni in Laterano e fatto spostare a Genazzano

da papa Martino V nel 1426 circa. Curiosamente, uno degli esempi

romani si trova nella chiesa di San Crisogono dove ho constatato

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che lo stile del pavimento sembra mostrare una fusione tra lo stile

classico dei Cosmati con quello di possibili restauri o aggiunte da

parte di marmorari di più chiara estrazione stilistica delle botteghe

siculo-campane. Infatti, è accertato ed evidente che tali quincuxes

sono nettamente in contrapposizione con lo stile classico, sobrio e

tipicamente romano di quelli che si vedono oggi in Santa Croce in

Gerusalemme, Santa Maria in Cosmedin, Santi Giovanni e Paolo,

San Lorenzo fuori le Mura, Santa Maria Maggiore, Santa Maria in

Trastevere, Santi Quattro Coronati, San Saba e San Benedetto in

Piscinula. Che la tipologia di “quincux nel quincux” sia più

frequente invece nelle chiese fuori di Roma, potrebbe essere

indicativo del fatto che i Cosmati adottarono spesso questa

soluzione per le opere realizzate nel territorio del Patrimonium

Sancti Petri, ma allo stato attuale non siamo in grado di

comprendere pienamente il significato di un scelta simile. Possiamo

solo constatare che tale tipologia si osserva oggi nei pavimenti delle

chiese di S. Anastasio a Castel Sant’Elia (sebbene ricostruito e poco

visibile), nella cattedrale di Civita Castellana, nella chiesa di San

Nicola a Genazzano, nella chiesa di San Francesco a Vetralla, nella

cattedrale di Salerno e nella cattedrale di Terracina. In tutti questi

pavimenti ho ipotizzato una possibile manodopera, o forse solo un

contributo, una collaborazione, di maestranze romane, come nel

caso di Salerno, ma appartenenti alle botteghe di scuola cosmatesca.

Inoltre, casi similari, dove al posto del quincux interno troviamo un

quadrato, o altro disegno, fermo restando la tipologia, si ritrovano

non di rado sia in Roma che nelle chiese nel resto del Lazio. Se ne

vedono esempi nel duomo di Anagni, nella chiesa di S. Maria

Assunta a Lugnano in Teverina, nella Badia di SS. Severi e Martirio

a Orvieto, nella chiesa di S. Andrea in Flumine a Ponzano Romano

(sebbene il pannello sembri provenire da uno smembrato ambone

più che dal pavimento), nella basilica dei SS. Bonifacio e Alessio a

Roma, in San Lorenzo fuori le Mura, sul presbiterio, in Santa Maria

Maggiore a Roma, nella chiesa dell’Assunta a Spoleto, e via

dicendo.

Da un articolo di Augusto Ciarrocchi, si leggono notizie dei

restauri: “Dopo cinque secoli, diventata ormai una «spelonca

rovinosa», la chiesa fu abbondantemente ristrutturata durante il

vescovato di mons. Francesco Maria Tenderini. All’interno soltanto

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il pavimento non fu smantellato, tutto il resto subì la profonda

trasformazione settecentesca”18. Passi come questi hanno

contribuito, come ho già detto, a destare l’impressione che il

pavimento della navata centrale fosse totalmente originale all’epoca

in cui mons. Tenderini ordinava i restauri. Eppure lo stesso

Ciarrocchi, subito dopo, scrive: “Tra questi due importantissimi

momenti costruttivi si pone la realizzazione del coro avvenuta nella

prima metà del ‘500”. E questi sono i non bene documentati restauri

di cui parlava Creti nel suo libro. Lo smantellamento del coro

medievale e la ricostruzione del coro rinascimentale, non è

un’operazione da poco. Può apportare gravi sconvolgimenti alla

struttura originale della chiesa e soprattutto al pavimento. Questi

lavori furono realizzati nei primi decenni del ‘500, come conclude

Ciarrocchi nel suo articolo: “Possiamo pertanto affermare che la

costruzione del coro non si pone come un episodio isolato nella vita

di Civita Castellana rinascimentale, ma va collocato in quel periodo

particolarmente felice vissuto dalla città nel trentennio che va dalla

costruzione del Forte al passaggio dei Lanzichenecchi nel 1527.

Questo fausto periodo dal punto di vista artistico ed architettonico

è strettamente collegato, o meglio ne è il riflesso, di quello vissuto

da Roma sotto i pontificati di Alessandro VI, Giulio II e Leone X”.

Questa datazione si pone correttamente nella cronologia che ho

indicato in queste pagine, relativamente all’osservazione da parte

di Pompeo Ugonio, che ne darà notizia in un suo manoscritto della

seconda metà del ‘500, del mosaico tessellato nella cripta della

cattedrale e scomparso, evidentemente, dopo i lavori di costruzione

del coro rinascimentale.

Infine, nulla di importante si può scorgere nel documento che

descrive la visita pastorale del vescovo Tenderini il 5 febbraio del

1738 dove si legge solo che “il pavimento della navata di mezzo è

tutto tassellato di pietre mischie dure composte e disposte in varie

maniere”19.

18 A. Ciarrocchi, Il coro rinascimentale della cattedrale di Civita Castellana, in

Biblioteca e Società di Viterbo, rivista del Consorzio delle Biblioteche di

Viterbo, Vol. IX, n. 1-2, giugno 1991. 19 Enea Cisbani, Il Tiburio nei restauri della cattedrale di Civita Castellana (1734-

1750), in Biblioteca e Società di Viterbo, n. 3, sett. 2010, pag. 19.

Page 31: Il Pavimento Cosmatesco della Cattedrale di Civita Castellana: nuove analisi ed ipotesi.

31

Fig. 2. Ingresso stradale a Civita Castellana con le insegne che indicano il “Duomo

dei Cosmati”.

Fig. 3. Una stampa antica con la facciata della Cattedrale di Santa Maria.

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32

Fig. 4. Le mura romane con l’arco a tutto sesto che fa da accesso al viale che porta

all’abbazia di Falleri. Disegno di Giuseppe Antonio Guattani, in Monumenti

Sabini, 1827.

Fig. 5. L’abbazia di Falleri, con il portale cosmatesco.

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33

Fig. 6. L’interno della cattedrale di Santa Maria

Fig. 7. La fila di dischi annodati a guilloche al centro della navata

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34

Fig. 8. Il pavimento visto dall’alto della loggetta dell’organo.

Page 35: Il Pavimento Cosmatesco della Cattedrale di Civita Castellana: nuove analisi ed ipotesi.

35

ANALISI CRITICA DEL PAVIMENTO ATTUALE

Civita Castellana e Anagni: un confronto è più che doveroso.

na analisi veramente critica del pavimento della cattedrale

di Santa Maria a Civita Castellana, non può prescindere da

possibili raffronti e comparazioni tipologiche, iconologiche

e stilistiche con il resto della produzione di opere simili, realizzate

dalla stessa scuola di marmorari, che oggi si possono ammirare in

molte delle basiliche e chiese romane. Ma come ha già indicato

Glass nel suo libro Studies on cosmatesque pavements, del 1980,

l’accostamento più vicino che può farsi, per cronologia, analogia e

stile, è quello con il pavimento attuale della cripta di San Magno

nella cattedrale di Santa Maria in Anagni.

Tuttavia, tale confronto deve essere inteso alla luce delle mie ultime

ipotesi20 sulle opere anagnine che, se verificate, sconvolgono

completamente il quadro della situazione. Nel mio volume indicato

in nota, ho supposto che l’intero litostrato cosmatesco della cripta

anagnina forse potrebbe non essere un’opera distinta realizzata

appositamente da Cosma e i figli Luca e Iacopo, come si legge

nell’iscrizione del famoso gradino. Ho dimostrato facilmente che il

marmo con tale iscrizione, attualmente posizionato lungo il bordo

sinistro del gradino che gira intorno all’altare (a sinistra se si

guarda l’altare frontalmente), non può essere considerato parte

integra del gradino originale dell’altare perchè è l’unico pezzo di

marmo che è totalmente diverso dagli altri che compongono lo

stesso gradino. Inoltre, ho dimostrato che l’iscrizione è consunta nel

modo da far credere che tale gradino fosse un tempo posizionato in

un luogo dove era calpestato continuamente dai fedeli, come il

primo gradino del portale di una chiesa, o del presbiterio. Questa

considerazione, insieme al fatto oggettivo che l’iscrizione non si

riferisce specificamente ad un’opera pavimentale, come nel caso

dell’epigrafe presso la Cappella Caetani che sta nel pavimento della

basilica superiore della cattedrale di Anagni, riferita a Cosma, e

dall’osservazione chiarissima che la porzione pari a un quincux e

20 N. Severino, Il pavimento cosmatesco della cattedrale di Anagni: la storia,

l’analisi, le nuove ipotesi, ed. ilmiolibro.it, Roma, Chromografica, 2012.

U

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36

mezzo che attualmente sta nella vicina chiesa di San Pietro in

Vineis in Anagni, è perfettamente identica nelle dimensioni, nello

stile, nella tipologia dei marmi, e perfino nello stato di

conservazione, ai quincuxes della cripta di San Magno, mi ha

portato a concludere ed ipotizzare che i quincuxes della cripta

fossero in realtà provenienti, insieme al gradino con l’iscrizione,

proprio dalla chiesa di San Pietro in Vineis. Qui, infatti, Cosma con

i figli Luca e Iacopo, avrebbero potuto realizzare un pavimento ex

novo, che fu deturpato nei secoli fino a quando il vescovo Seneca,

nei restauri di fine ‘500 inizio ‘600 in cui rifece completamente il

presbiterio della cattedrale e il pavimento della navata maggiore,

decise, forse anche con l’intento di preservare almeno una parte più

significativa del pavimento della chiesa di San Pietro in Vineis, di

far trasferire la lunga fila di quincuxes che qui erano, nella cripta di

San Magno. Questo forse potrebbe spiegare anche il motivo per cui

nella chiesa di San Pietro in Vineis sia rimasto solo un quincux e

mezzo e pochi altri rettangoli ricostruiti, mentre il resto del

pavimento, come anche ipotizzato da Glass, fu trasferito in tempi e

modi sconosciuti (ma che credo si possano riferire tutti al tempo del

vescovo Seneca) nelle chiese di San Giacomo in San Paolo e in S.

Andrea.

Alla luce di queste considerazioni, se si mette a confronto il

pavimento della cripta anagnina con quello di Civita Castellana, si

possono osservare alcune analogie significative, se non

fondamentali, partendo dal presupposto che entrambi i pavimenti

sono il frutto di una completa ricostruzione del disegno unitario,

con la sola eccezione, forse, di parti intere che compongono alcuni

riquadri o quincuxes. Più specificamente, le parti che sembrano

essere rimaste più o meno originali, sebbene comunque ritoccate da

restauri e rimaneggiamenti, possono essere riconosciute in alcune

bande decorative del motivo a guilloche che annoda i 17 dischi

della navata maggiore; parte delle decorazioni nelle campiture e

intorno ai dischi; pochi rari spezzoni di riquadri musivi

riposizionati in modo casuale nel pavimento e una discreta parte

delle decorazioni dei due quincuxes, cioè nel transetto e sul

presbiterio. Ciò sta ad indicare che, sebbene sia stata effettuata una

ricostruzione quasi totale del piano pavimentale, come

suggeriscono anche le ipotesi che prevedono il rifacimento del

Page 37: Il Pavimento Cosmatesco della Cattedrale di Civita Castellana: nuove analisi ed ipotesi.

37

livello di quota dell’attuale pavimento, come era d’uso tra il XVI e il

XVIII secolo, venivano “segate” parti intere di litostrato

cosmatesco, come appunto le bande musive più pregiate, per essere

reimpiegate nella ricostruzione arbitraria, a discapito della funzione

iconologica che la facies originale del pavimento poteva avere

secondo l’intento dei maestri marmorari.

E’ indubbio che nei pavimenti anagnini e in questo civitonico, tali

caratteristiche siano piuttosto evidenti, anche perché nessuno, fino

ad oggi, è mai riuscito a spiegare razionalmente il motivo

dell’esistenza del quincux totalmente decentrato nel transetto della

chiesa dove sono visibili rifacimenti pavimentali di ogni tipo,

dall’introduzione di lastre marmoree estranee, a quelle provenienti

dall’arredo presbiteriale, fino a rappezzi di ogni genere, ciò che

prova inequivocabilmente una ricostruzione totale del pavimento

in quella zona. Ciò che non è possibile stabilire con certezza è se la

lunga guilloche centrale, con l’esclusione dei pannelli rettangolari

che la affiancano a destra e a sinistra, sia in realtà anch’essa una

ricostruzione totale o se fosse originale nell’intento dei Cosmati.

Di solito, ad iniziare dai pavimenti precosmateschi, come

chiaramente si vede nei resti dei litostrati di questo genere nelle

basiliche romane, le lunghe file di dischi connessi in forma di

guilloche venivano interrotte al centro della navata con

l’introduzione di un elemento fondamentale nei pavimenti

cosmateschi: il quincux, di grandi dimensioni nei tipi

precosmateschi, fino ad essere ridimensionato nei pavimenti di

Iacopo alla fine del XII secolo, per raggiungere la soluzione minore

e di continuità, come in Anagni, da parte di Cosma e figli.

Ritornando al confronto con il pavimento di Anagni, si può

osservare una caratteristica forse fondamentale che più di ogni

epigrafe può spiegarci alcune cose molto importanti. Nelle

ricostruzioni dei pavimenti cosmateschi effettuate tra il XVI e il

XVIII secolo, si nota che le bande di marmo bianco che formano il

disegno dei motivi decorativi intorno ai dischi, delle partizioni

reticolari e delle guilloche, sono quelle che in genere venivano

sostituite con materiale nuovo, lasciando qua e la quelle meglio

conservate dall’originale. In questo caso, si nota che tali fasce

marmoree, sono realizzate collegando tra loro spezzoni molto corti,

specie nel formare le decorazioni circolari intorno ai dischi. Tale

Page 38: Il Pavimento Cosmatesco della Cattedrale di Civita Castellana: nuove analisi ed ipotesi.

38

caratteristica è comune e mostra analogie ed identità uniche nei

pavimenti di San Pietro in Vineis, in quello della cripta di San

Magno in Anagni e in questo di Civita Castellana. Quasi identico

può considerarsi anche lo stato conservativo del materiale lapideo

per cui, se le mie ipotesi sono attendibili, come credo, il pavimento

civitonico è dimostrato essere una ricomposizione realizzata nei

restauri poco documentati del XVI secolo, prima di quelli dovuti a

mons. Tenderini. Le bande marmoree bianche composte di

spezzoni corti si incontrano nei pavimenti restaurati o rifatti tra il

XVI e il XVIII secolo di cui alcuni esempi di vedono in Roma nelle

basiliche di San Clemente, San Crisogono, San Saba, Santa Croce in

Gerusalemme, Santa Maria in Aracoeli, nella chiese di San

Benedetto in Piscinula (dove la maggior parte delle bande di

marmo sono originali), nei due quincuxes del Sancta Sanctorum al

Laterano e nel pavimento della cattedrale di Ferentino prima dei

restauri. Mentre nei restauri moderni tali bande di marmo sono

formate da spezzoni più o meno lunghi intorno ai dischi piccoli dei

quincuxes, come si vede nelle basiliche di Santa Prassede e di Santa

Maria in Trastevere.

Lo stato di conservazione, come dicevo prima, l’assetto generale e

la tipologia del materiale del pavimento di Civita Castellana, trova

le più forti analogie proprio con il pavimento della cripta di San

Magno in Anagni. Tuttavia, quest’ultimo fu eseguito da Cosma e

figli probabilmente nel 1231, come indicherebbe l’epigrafe nella

cripta anagnina se si riferisse davvero ad esso: dovremmo, quindi,

ipotizzare una datazione coeva anche per il pavimento civitonico?

La risposta è no ed è data essenzialmente dalle considerazioni che

si possono fare sulle caratteristiche specifiche delle decorazioni

musive e soprattutto dalla tipologia dei due quincuxes nella

cattedrale di Civita Castellana. Se Cosma avesse acquisito come

stile quello di realizzare i quincuxes, in file più o meno lunghe, o

singoli, ma comunque nelle dimensioni ridotte come si vedono

negli esempi di certa attribuzione in Anagni e nell’oratorio di San

Silvestro nella basilica dei Santi Quattro Coronati, allora possiamo

essere sicuri che i due quincuxes del pavimento di Civita Castellana

non sono una sua opera, ma probabilmente sono riferibili al maturo

Iacopo di Lorenzo che deve aver eseguito il pavimento, forse

aiutato dal giovane apprendista Cosma, prima della realizzazione

Page 39: Il Pavimento Cosmatesco della Cattedrale di Civita Castellana: nuove analisi ed ipotesi.

39

del portico della cattedrale, cioè prima del 1210. Tuttavia, se si

confronta il quincux di Ferentino, attribuito a Iacopo da prova

documentale storica (manoscritto del ‘700 nella Curia Vescovile),

con quelli in esame, sembra abbastanza evidente che il loro stile è

molto diverso: quelli di Civita Castellana sembrano potersi riferire

ad un periodo che non va oltre il secondo quarto del XII secolo,

mentre quello di Ferentino è datato tra il 1204 e il 1207. Sulla base di

quanto esposto, allora, il pavimento della cattedrale di Civita

Castellana potrebbe essere stato eseguito la prima volta da Lorenzo

in età matura, insieme al figlio Iacopo, tra il 1185 e la fine del XII

secolo e la loro opera sarebbe visibile principalmente nei due

quincuxes sopravvissuti e nei caratteri ancora elementari dello

sviluppo che portò Cosma alla scomposizione dei dischi interni di

guilloche e quincuxes, come fece in Anagni. Infatti, a Civita tali

disegni possono considerarsi elementari rispetto a quelli, più

complessi e meglio riusciti, sviluppati nei pavimenti di Ferentino e

Anagni tra il 1204 e il 1231, sia da Iacopo che da Cosma e figli.

In definitiva, il pavimento civitonico potrebbe considerarsi il

risultato di un rimaneggiamento effettuato dagli stessi maestri

Cosmati che si sono succeduti di generazione in generazione nel

cantiere della cattedrale. Lorenzo fu sicuramente il primo a fare il

pavimento, coadiuvato dal giovane Iacopo, tra il 1185 e la fine del

XII secolo; Iacopo continuò l’opera, forse restaurando e

modificando in parte l’opera pavimentale paterna. Cosma forse

avrebbe potuto solo rimaneggiare alcuni elementi del pavimento, o

può darsi che non l’abbia toccato affatto perchè il litostrato, come si

presenta, risulta essere anteriore a quelli anagnini realizzati tra il

1226 e 1231.

Un pavimento cosmatesco monco, perchè?

Il pavimento cosmatesco della cattedrale di Civita Castellana è

attualmente conservato nella sola navata centrale. La domanda è

lecita: era così in origine, o i Cosmati svilupparono la loro opera

estesa a tutto il litostrato calpestabile della chiesa romanica?

Secondo Luca Creti (op. cit. pag. 57) “i mutamenti subiti

dall’edificio non consentono di determinare con esattezza le

Page 40: Il Pavimento Cosmatesco della Cattedrale di Civita Castellana: nuove analisi ed ipotesi.

40

correlazioni tra il partito decorativo del pavimento e la struttura

interna della chiesa romanica, anche se l’assenza di tessere nelle

navatelle laterali rende probabile l’ipotesi che il litostrato

cosmatesco si sviluppasse soltanto nella navata centrale e nel

presbiterio”. Per quanto mi sforzi di pensare a questa soluzione,

non posso accogliere questa tesi, perchè non esistono prove

evidenti e accertate da fonti documentali che i Cosmati

realizzassero pavimenti cosmateschi monchi, incompleti, o per

abbellire solo alcune parti delle loro chiese. E’ una tesi che ho già

rifiutato per il pavimento musivo del duomo di Salerno, come ho

espresso nel mio libro21, e per altri casi analoghi dove il mosaico

pavimentale è conservato solo nella navata maggiore. Non posso

credere che i marmorari romani limitassero il loro lavoro alla sola

navata centrale, specie in chiese di modesta entità, come appunto

quella di Civita Castellana. A riprova di ciò, basta osservare il

litostrato cosmatesco rimasto, sebbene forse ricostruito, nelle navate

laterali della chiesa più grande di Santa Maria in Castello a

Tarquinia. Se la cattedrale di Civita Castellana, già esistente dal IX

secolo, fu rimodellata completamente dai Cosmati, anche

strutturalmente, non si comprende per quali motivi essi dovessero

limitare l’opera musiva pavimentale alla sola navata centrale. Sarei

più propenso a credere che il pavimento musivo che esisteva nelle

navate laterali, probabilmente costituito non solo di semplici

partizioni rettangolari dato che l’opera doveva essere di una certa

importanza, sia stato trasferito nel tempo in altri luoghi (e non

posso non pensare alla vicina chiesa di Sant’Anastasio a Castel

Sant’Elia o alla cattedrale di Sutri).

Iconologia del pavimento

e il pavimento che osserviamo attualmente è il risultato di una

profonda trasformazione, dovuta a vari rimaneggiamenti e

rifacimenti del litostrato ad iniziare dal XV-XVI secolo in poi,

è difficile poter dire qualcosa di preciso sull’eventuale significato

21 N. Severino, Il pavimento cosmatesco del Duomo di Salerno, ed. ilmiolibro.it,

Chromografica, Roma, 2011.

S

Page 41: Il Pavimento Cosmatesco della Cattedrale di Civita Castellana: nuove analisi ed ipotesi.

41

iconologico del suo aspetto che non corrisponde, sicuramente, alla

facies originale realizzata dai Cosmati, anche nel caso che si volesse

ipotizzare una realizzazione a più riprese dei maestri che si

susseguirono nel cantiere della cattedrale.

Assumendo per buona l’ipotesi, non provata e non accertata, che il

pavimento della navata centrale, almeno nella fila dei diciassette

dischi annodati a guilloche, fosse corrispondente all’intento

originale dei Cosmati, il Creti propone che tale fascia, la quale non

mostra segni di discontinuità, sottolinea “un ruolo di asse visivo

nell’itinerario liturgico e di purificazione del fedele”. E questo è

senz’altro vero, sia che la fascia centrale fosse formata in origine da

una sequenza di dischi porfiretici annodati a guilloche, sia che fosse

formata da una sequenza di quincuxes annodati, o giustapposti

come nel caso del pavimento di Cosma ad Anagni. Purtroppo non

siamo abbastanza edotti sul vero significato religioso, cosmogonico

e filosofico della simbologia, a volte semplice altre volte più

complessa, che caratterizza gli elementi fondamentali dei pavimenti

cosmateschi. Per quanto gli studiosi si siano sforzati, da Glass in

avanti, nel cercare dei punti di riferimento, delle spiegazioni al

repertorio della simbologia medievale utilizzata dai Cosmati,

possiamo dire di essere ancora lontani dal comprenderne tutti i

significati intrinseci legati al loro utilizzo nella formazione dei

pavimenti. Tale compito è reso quasi impossibile dal fatto che la

maggior parte delle opere musive pavimentali sono state

smantellate e ricomposte, spesso in modo arbitrario, nel corso dei

secoli, con il reimpiego di parte del materiale originale mescolato a

quello in uso al tempo dei restauri. Tra le incertezze maggiori, per

esempio, è da annoverare, oltre alla forma precisa dei disegni

unitari dei pavimenti, anche le misure delle fasce marmoree che

delimitano le partizioni reticolari e quelle curvilinee che annodano i

dischi di guilloche e quincuxes. Queste, infatti, sono quelle

maggiormente sostituite nei rifacimenti e restauri, con il reimpiego

di marmi di spoliae provenienti da diversi siti archeologici. Molti

pavimenti cosmateschi di Roma sono stati ricostruiti tra il XVI e il

XVIII secolo reimpiegando spezzoni di lapidi tombali con iscrizioni,

le cui dimensioni non possono, ovviamente, essere prese a modello

negli eventuali studi in cui si sviluppano considerazioni

metrologiche, come hanno fatto diversi autori, tra cui Dorothy

Page 42: Il Pavimento Cosmatesco della Cattedrale di Civita Castellana: nuove analisi ed ipotesi.

42

Glass, Paloma Pajares Ayuela e Luca Creti. Non che tali

considerazioni fossero errate concettualmente; solo, esse si basano

su misure effettuate su elementi spuri che non corrispondono a

quelli adottati in origine dai marmorari romani, producendo così

possibili valutazioni ed interpretazioni abbastanza opinabili.

E’ difficile, per esempio, poter credere che il fedele si lasci guidare

dalla lunga fila di dischi fino al transetto per poi mettere il piede in

fallo, in una zona senza apparente significato e continuità

simbolica, dopo l’ultimo rettangolo che separa il quincux

decentrato dalla guilloche.

Elementi stilistici di Iacopo e di Cosma

motivi geometrici che scompongono i dischi delle guilloche nel

pavimento della cattedrale di Ferentino, sono in sostanza più

complessi, nel componimento musivo e nella particolarità del

disegno, rispetto a quelli che si osservano nel pavimento della

cattedrale di Civita Castellana. Anche questa osservazione ci aiuta a

stabilire che il pavimento civitonico dovrebbe essere, per

concezione, tecnica e tipologia, anteriore a quello di Ferentino,

realizzato tra il 1204 e il 1207 da Iacopo. Tuttavia, è da considerare

che una caratteristica dei pavimenti di Cosma era la scomposizione

quasi onnipresente dei dischi di guilloche e quincuxes, come si

vede in Anagni, o nelle basiliche romane di San Clemente e dei

Santi Giovanni e Paolo. A Civita Castellana, si osservano entrambe

le caratteristiche, cioè la scomposizione dei dischi, sebbene limitata

a pochi esempi, e l’uso dei dischi porfiretici interi nel quincux del

transetto, mentre nel quincux sul presbiterio alcuni sono scomposti

nel suo modo. Non tutto, quindi, è opera di Cosma, perchè li

avrebbe sicuramente scomposti nei soliti noti motivi ad esagono, a

losanghe oblunghe e soprattutto nel triangolo di Sierpinski, elementi

che invece si notano nei dischi della guilloche. Queste

considerazioni, rafforzano l’ipotesi secondo la quale il pavimento di

Civita Castellana è stato rimaneggiato nel tempo da tutti i membri

della famiglia di Lorenzo. Il generoso e ponderato uso del giallo

antico abbiamo imparato a riconoscerlo come una qualità artistica

di Iacopo, ereditata dal padre Lorenzo, mentre il quasi esasperato

I

Page 43: Il Pavimento Cosmatesco della Cattedrale di Civita Castellana: nuove analisi ed ipotesi.

43

uso del serpentino e la “modernizzazione” dei quincuxes, sono

opera di Cosma e figli e qui non se ne vedono. Il quincux del

transetto e quello sul presbiterio sono chiaramente opera di un

Lorenzo maturo o di un giovane Iacopo che esegue le direttive del

padre verso il 1185; mentre i quincuxes di Iacopo artista ormai

maturo, devono considerarsi quelli simili al quincux di Ferentino,

di dimensioni medie e stilisticamente non asimmetrico, come quelli

che il padre realizza in alcune basiliche romane come Santa

Francesca Romana, San Marco, ecc., che vengono ulteriormente

ridotte da Cosma dal 1210 in poi. A dirla tutta, i pochi elementi

attribuibili a Cosma e che si notano in alcuni dischi della guilloche,

sembrano solo un timido tentativo di abbellire o di rendere più

“moderno” un pavimento fatto da Lorenzo e che ai tempi di Cosma

era già diventato obsoleto. L’opera, infatti, nel suo complesso, non è

assolutamente paragonabile per tecnica esecutiva, inventiva e gusto

artistico, né alla grandiosità dell’arco trionfale nella facciata del

duomo, né a molti altri pavimenti cosmateschi di Roma e del Lazio,

risultando essere un’opera del tutto minore se confrontata con

quelle di Ferentino, Anagni ed anche con la sua corrispettiva che

sta sul confine opposto del Patrimonium Sancti Petri, cioè il

pavimento cosmatesco della cattedrale di Terracina, dove pure ho

dimostrato che qualche membro della famiglia dei Cosmati vi lasciò

la sua impronta chiara e forte. Detto questo, però, mi corre l’obbligo

di specificare che quest’opera da me definita “minore” rispetto alle

altre citate, è in realtà il risultato di un probabile smantellamento di

quella principale che, sono certo, doveva reggere il confronto con la

bellezza dell’opera musiva costituita dalla facciata della chiesa.

Se proviamo, infatti, ad immaginare che se il pavimento originale

della cattedrale di Civita Castellana, era formato da quello che si

vede attualmente, sommato ai resti che si vedono nella basilica di S.

Anastasio a Castel Sant’Elia, più quelli della cattedrale di Sutri, ci si

può rendere conto che l’opera originale era tutt’altra cosa rispetto a

ciò che si vede oggi. Più ricca di elementi musivi, come le girali che

richiamano lo stile laurenziano nella basilica di Santa Maria in

Aracoeli.

Page 44: Il Pavimento Cosmatesco della Cattedrale di Civita Castellana: nuove analisi ed ipotesi.

44

Civita Castellana, Castel Sant’Elia, Sutri, Ponzano Romano,

Nazzano: un unico pavimento cosmatesco?

ome ho già accennato all’inizio, mi riesce difficile credere

che i Cosmati fossero all’opera quasi contemporaneamente

nelle basiliche di Roma, altre nel Lazio e in queste cinque o

sei chiese nel viterbese. Lorenzo, Iacopo e Cosma, firmavano

puntualmente i loro lavori, come si vede in quelli accertati di

Anagni, Falleri e Civita Castellana. Probabilmente nelle basiliche

romane dove si firmavano sui portali, intendevano includere anche

i loro lavori pavimentali. A Civita non vi era bisogno di firmare il

pavimento giacché lo avevano già fatto in modo molto evidente sui

portali e sulla facciata. Tuttavia, nessuna firma si riscontra nelle

chiese di Castel Sant’Elia, Sutri, Ponzano Romano e Nazzano e i

resti pavimentali cosmateschi conservati mi fanno pensare a

porzioni ricostruite reimpiegando materiale proveniente da altri

siti. E’ vero che la vicinanza di Castel Sant’Elia a Civita Castellana,

avrebbe potuto indurre i Cosmati a realizzare il pavimento della

basilica di S. Anastasio. Tuttavia, questo è incompleto, totalmente

ricostruito e in alcune parti identico a quello di Civita Castellana,

come il fiore che si vede nell’angolo del quincux asimmetrico

interno sul presbiterio della cattedrale, del tutto identico a quelli

che si vedono nelle girali del pavimento nella navata della basilica

di Castel Sant’Elia. Le fasce marmoree corte di cui accennavo

prima, intorno ai dischi porfiretici di girali e guilloche, sono identici

a quelli civitonici, come anche lo stato conservativo delle tessere e

lo stato dell’assetto pavimentale che riconduce a lavori

rinascimentali, come nella cattedrale di Civita.

La mia opinione è che il pavimento della basilica di Castel Sant’Elia

sia stato ivi trasferito nel XVI secolo dalla cattedrale di Civita

Castellana, come anche una parte o tutto il pavimento che sta oggi

nella cattedrale di Sutri. Mentre le cospicue porzioni dei pavimenti

che oggi si trovano a Ponzano Romano e a Nazzano, potrebbero

essere stati ivi trasferiti dall’abbazia di Falleri. Sono solo ipotesi in

attesa di verifiche, ma io le preferisco al pensiero che i Cosmati

abbiano lavorato indipendentemente in ciascuna delle chiese citate

in un periodo in cui non è possibile trovare spazio nella cronologia

C

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45

dei Cosmati perché dopo Civita Castellana furono tutti impegnati

per diversi anni nel cantiere del monastero di Santa Scolastica e al

Sacro Speco di Subiaco.

Fig. 9. Il fiore nel quincux sul presbiterio della cattedrale di Civita

Castellana.

Fig. 10. Uno dei 4 o 5 fiori ricostruiti nel pavimento della basilica di Castel

Sant’Elia. Da notare nelle due foto, la diversità degli elementi come le fasce

marmoree, più moderne nella prima immagine e più antiche nella seconda.

Il secondo fiore era forse fatto con tessere di giallo antico di cui ne rimane

una sola a destra. Quello della foto sopra, invece è fatto di tessere di

porfido. Uguale è il motivo delle campiture.

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Fig. 11. Uno dei tre dischi della guilloche nella navata centrale, scomposti

secondo lo stile cosmatesco. La ricostruzione è ben evidente, sia nella

tipologia diversa del serpentino e porfido impiegato nelle tessere a rombo

che in quelle oblunghe e nella asimmetria dei colori.

Fig. 12. Il classico triangolo di Sierpinski, presente anche a Roma nella

basilica di San Clemente e in quella dei Santi Giovanni e Paolo. Anche qui

la ricostruzione è evidente, con il mischio di tessere antiche e moderne di

diversi colori e il rappezzo in alto a destra.

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47

Il pavimento della navata centrale

l pavimento della cattedrale di Civita Castellana, inizia subito

dopo il portone ligneo, ma la scorniciatura della lunga guilloche

non si trova ben allineata con i riquadri musivi che la affiancano

e le campiture agli angoli esterni bassi della prima ruota

denunciano già dei semplici rappezzi che fanno pensare ad una

ricostruzione del manufatto. Dei 17 dischi che si snodano nella

fascia centrale, 14 sono uniformi in porfido, serpentino, giallo

antico ed altri marmi e solo 3 di essi sono interi, essendo

caratterizzati da una composizione di varie tessere che formano i

motivi complessi descritti sopra. Secondo il Creti (op. cit. pag. 58)

“la loro disposizione non è casuale, ma segue una precisa legge

compositiva: si susseguono, a partire dall’ingresso, quattro dischi

interi, un motivo geometrico, tre dischi interi, un motivo

geometrico, tre dischi interi, un motivo geometrico, quattro dischi

interi”. Quale sia questa legge compositiva non è molto chiaro,

tanto più che negli altri esempi di concatenazioni di dischi di

porfido annodati in forma di guilloche, una presunta regola

compositiva uguale non si ritrova da nessuna parte. Per esempio,

nella guilloche di Ferentino si ha prima del quincux i dischi:

scomposto-intero-scomposto-intero-scomposto-intero-intero

scomposto-intero-scomposto-intero-scomposto

dopo il quincux

intero-intero-intero-intero-scomposto-scomposto

intero-intero-scomposto-intero-scomposto-intero-scomposto

La guilloche che sta nella Schola cantorum e nella navata della

basilica di San Clemente a Roma, non segue nessuna di queste

leggi, essendo formata di soli dischi uniformi, ad eccezione di uno

solo di essi con il triangolo di Sierpinski, verso la navatella sinistra.

Mentre nulla del genere si evince nella successione dei dischi delle

guilloche della basilica dei Santi Quattro Coronati. Ancora diversa è

la configurazione delle guilloche, pure lunghe, della basilica di

Santa Croce in Gerusalemme e di Santa Prassede, anche se il

pavimento di quest’ultima è stato rifatto da appena un secolo. Non

riesco a vedere una precisa legge compositiva, quindi, nella

successione, a mio parere del tutto casuale, dei dischi nel

I

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48

pavimento della cattedrale di Civita Castellana, soprattutto se si

tiene presente che tutto il pavimento è frutto di una ricostruzione

più o meno arbitraria.

Le fasce marmoree bianche che delimitano la guilloche centrale,

sono costituite da marmi diversi per tipologia, provenienza e stato

di conservazione. Poco dopo l’inizio della fascia destra si vede un

frammento di lastra epigrafica con iscrizione. E’ noto che i Cosmati

riusavano spesso plutei longobardi e frammenti di lastre marmoree

appartenenti a più antiche recinzioni presbiteriali, insieme al

materiale costituito dalle spoliae dei luoghi archeologici vicini, ma

essi utilizzavano solo il retro di tali lastre e non il fronte; quindi, mi

riesce difficile immaginare che essi fossero propensi ad inserire nei

loro lavori frammenti di lastre epigrafiche con l’iscrizione rivolta

verso l’alto. Se la fila di dischi collegati a guilloche fosse rimasta

originale, come è generalmente creduto, si dovrebbero osservare

tutte quelle caratteristiche di un lavoro cosmatesco originale, di cui

l’esempio più autorevole ed immediato è costituito proprio dalle

decorazioni dell’arco trionfale nel portico della cattedrale.

Principalmente si dovrebbe osservare quella importante

caratteristica della simmetria dei colori nella disposizione delle

tessere nei vari motivi geometrici; una uniformità generale della

tipologia dei marmi che delimitano la fascia centrale; il famoso

lavoro in opus tessellatum con il quale le tessere sono commesse tra

loro nelle proprie celle invece che essere semplicemente pressate

nella malta cementizia; una uniformità dei marmi che formano i

cerchi concentrici delle decorazioni musive intorno ai dischi

porfiretici, e via dicendo. Tuttavia, tutte queste proprietà

intrinseche di un lavoro cosmatesco originale, non mi pare che si

possano osservare nell’attuale pavimento della cattedrale. E’ una

mia opinione che la fascia decorativa di quadratini disposti di

punta che sta nella prima ruota della lunga fila di dischi, dovesse

essere in origine concepita dai maestri marmorari, e forse in modo

specifico da Iacopo di Lorenzo, con i detti quadratini disposti di

punta tutti di giallo antico. Tuttavia, nel pavimento attuale, nella

sola prima ruota, se ne possono osservare solo 13 su 60! Lo stesso si

può dire dei triangoli di giallo antico opposti a quelli di serpentino

che girano intorno al primo disco. La seconda ruota è interessante

anche, per il fatto che mostra traccia di come era concepita

Page 49: Il Pavimento Cosmatesco della Cattedrale di Civita Castellana: nuove analisi ed ipotesi.

49

probabilmente la decorazione originale cosmatesca. Il piccolo disco

di giallo antico al centro ha una prima decorazione di triangoli

isosceli raggianti intorno in una probabile alternanza simmetrica di

porfido e serpentino; a questa si contrapponeva una seconda

decorazione di triangoli equilateri opposti al vertice di cui i soli tre

esemplari di giallo antico, ci fanno immaginare che il gusto dei

Cosmati non fosse andato perso con la discutibile scelta di inserire

triangoli di un brutto bianco marmoreo. Così, possiamo

immaginare la bellezza che doveva offrire questa seconda ruota,

con la decorazione di triangoli di giallo antico contrapposti a quelli

di porfido e serpentino che spezzavano l’abbagliante giallo antico

del disco centrale. Opere meravigliose nell’intento originale che qui

è quasi completamente scomparso. A questa seguiva la seconda

fascia decorativa circolare, ancora con una contrapposizione di

triangoli di serpentino e giallo antico, di cui la prima resta quasi per

intero, mentre la seconda è quasi completamente sostituita dai

triangoli bianchi. Come si fa a dire che questa fascia centrale del

pavimento è rimasta intatta? Tutto questo, con la fascia di

triangolini di giallo antico disposti di punta che collegava a

guilloche le due ruote. Per rendersi conto della bellezza cromatica

data dalla simmetria e dalla tecnica di intarsio originale dei

Cosmati in questo pavimento, che comunque resta un lavoro

normale nell’ambito dei pavimenti cosmateschi, sarebbe necessario

ridisegnare la fascia nei colori giusti, perchè con le tessere inserite

nella ricostruzione, credo si sia perso il 60% della bellezza del

lavoro. Questo discorso fatto per le prime due rotae dev’essere

esteso a tutta la fascia centrale, come a tutto il pavimento. Per

esempio, il terzo disco della terza ruota, è di porfido rosso. Dopo la

prima fascia bianca circolare, si vede una decorazione tripla, cioè

composta di tre file sovrapposte di cui le prime due di triangoli

uniformi disposti in modo concentrico, cioè con la punta rivolta

verso il disco centrale e l’ultima di triangoli uniformi opposti alla

base. Le prime due file rimangono più o meno originali, anche se

non vi è simmetria nella disposizione delle tessere; la terza fila

doveva invece essere tutta di triangoli di giallo antico di cui però

oggi se ne vedono solo pochi esemplari. La banda decorativa

curvilinea con il motivo di triangoli consecutivi, doveva essere tutta

di serpentino, mentre è fatta di alternanza asimmetrica con il

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50

porfido. Ugualmente, attorno al quarto disco della quarta ruota,

composto ancora da un piccolo disco di porfido rosso, vi è una

fascia decorativa circolare fatta di quattro file di triangoli raggianti,

probabilmente composta in origine di una alternanza sequenziale

di una fila di porfido e una di giallo antico, con la contrapposizione

di triangoli di serpentino. La seconda fascia circolare, che mostra

due file di “farfalline” bianche, aveva i piccoli listelli tutti di giallo

antico, come si vede spesso anche in altri pavimenti dei Cosmati;

ma qui ne sono rimasti solo quindici mentre i rimanenti sono

bianchi. Il settimo disco, nella settima ruota, mostra lo stesso

problema. Un piccolo disco di serpentino verde con una

decorazione di triangoli raggianti di porfido a cui erano

contrapposti triangoli di giallo antico di cui però se ne conservano

solo tre. Azzardo anche ad ipotizzare che il piccolo frammento di

giallo antico nella fascia marmorea circolare, potrebbe suggerire che

in origine essa fosse intesa tutta di quel colore, mentre qui è

sostituita con il marmo bianco. Il tal caso, si può immaginare il forte

effetto cromatico tra il disco di serpentino, i triangoli di porfido e il

giallo antico rimarcato oltre che dai triangoli anche dalla fascia

circolare. Tra l’altro un secondo frammento del genere è presente

nella successiva ottava ruota. La nona ruota è forse la più famosa

del pavimento della cattedrale di Civita Castellana. Diciamo la più

“fotogenica”, perchè mostra un motivo che è divenuto un simbolo

dell’arte cosmatesca. Probabilmente i maestri marmorari non ne

erano a conoscenza, ma essi inventarono indirettamente la figura

frattale del cosiddetto triangolo di Sierpinski22, ottocento anni prima

22 “L’imperativo di riempire lo spazio spiega probabilmente l’apparire di

un terzo tipo di simmetria nei pavimenti dei Cosmati: la simmetria di

similitudine o, come spesso viene oggi chiamata, la simmetria frattale. Gli

spazi, di volta in volta rimasti vuoti nel processo di pavimentazione,

vengono riempiti sistematicamente con forme simili di scala più piccola e il

risultato può essere un motivo localmente auto-simile (cioè una sua

porzione possiede simmetria frattale). I triangoli sono le figure più

frequentemente utilizzate come moduli riempi-spazio, specialmente nelle

aree comprese tra i margini circolari di guilloche e quinconce e i bordi

rettilinei che li circondano. Questi spazi curvi, quasi triangolari, sono

spesso riempiti con un grande triangolo; i rimanenti interstizi sono a loro

volta riempiti da triangoli più piccoli, finché non vi sia altro spazio

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che il matematico Sierpinski ne spiegasse le leggi! Anche in questo

caso, però, si osservano le caratteristiche viste per le ruote

precedenti. Le tre losanghe uniformi nel disco centrale credo che

dovessero essere tutte o di serpentino o di porfido nel pavimento

originale, mentre i triangoli esterni raggianti dovevano essere tutti

di giallo antico, come pure nella seconda fascia circolare. Nella

decima ruota si possono ripetere le stesse osservazioni, con un

interessante dettaglio. Il disco centrale è di porfido rosso, mentre i

triangoli esterni grandi erano di giallo antico. Nella fascia circolare

con il motivo a farfalline si nota una maggiore presenza, come

avevo ipotizzato prima, di giallo antico nella sequenza lineare dei

piccoli listelli, il che prova la correttezza del mio pensiero. Nella

banda curvilinea esterna si vede un motivo fatto di una triplice fila

di quadratini disposti di punta. E’ interessante notare che una

prima parte della fascia, mostra probabilmente l’intento originale

dei Cosmati: la fila centrale era fatta di tutti quadratini di una

alternanza simmetrica di serpentino e porfido su fondo bianco; le

due file esterne erano fatte entrambe di giallo antico su fondo rosso

una e verde l’altra. Tale configurazione però si perde man mano

che ci si allontana dall’inizio della fascia musiva, a testimonianza di

un quasi completo rifacimento della stessa con l’uso di marmi

bianchi. Tutte queste caratteristiche si ripetono puntualmente lungo

tutta la fascia centrale della sequenza di dischi, come anche

l’inusuale presenza di altri frammenti di listelli marmorei di giallo

antico ed altri colori nelle fasce circolari intorno ai dischi i quali mi

fanno pensare che probabilmente i pavimenti dei Cosmati erano

molto più belli di quelli che vediamo oggi, se solo riuscissimo ad

immaginarli con le fasce marmoree di giallo antico, rosa ed altri

colori in abbinamento ai relativi dischi cui giravano intorno, al

posto dei sbiaditi marmi bianchi che si osservano oggi. Queste

preziose tracce nel pavimento della cattedrale civitonica,

confermano, a mio avviso, l’ipotesi che ho appena formulato e cioè

che i pavimenti cosmateschi originali, fossero anche dotati di fasce

disponibile. La configurazione motivo, risultante da questo processo, è

quello che noi oggi definiamo setaccio di Sierpinski”. Così si esprime

l’architetto Kim Williams in un suo recente articolo sui pavimenti

cosmateschi (http://matematica.unibocconi.it/articoli/i-pavimenti-dei-cosmati),

riferendosi in modo specifico alla figura di questa ruota.

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marmoree circolari nei colori che si abbinavano ai dischi porfiretici

delle ruote. Anche queste, quindi, sono andate perdute (anche

perchè i marmi colorati erano preziosi e soggetti a continui furti)

nelle ricostruzioni dei litostrati delle chiese. Le campiture tra le

ruote sono formate da decorazioni musive che ripropongono il

classico repertorio cosmatesco, ma che mostrano le stesse

caratteristiche di ricostruzione intera o parziale. Dopo il 17° disco,

una larga banda fatta di listelli di marmo bianco separa la lunga

guilloche da un riquadro affiancato da due rettangoli musivi. Tre

elementi che non hanno nulla in comune. A sinistra un rettangolo

di quadrati di porfido e serpentino; a destra un rettangolo più

stretto di quadrati diagonali di porfido e serpentino su fondo

bianco. Al centro, un riquadro con una ruota che nulla ha a che fare

con quelle precedenti. Un piccolo disco grigio centrale è contornato

da una larga fascia musiva formata da una triplice fila di triangoli

consecutivi con dimensioni crescenti verso l’esterno della banda, in

modo da formate un effetto ottico di “vortice” per l’osservatore. Le

bande circolari di marmo bianco sono molto strette rispetto a quelle

delle ruote precedenti. La seconda fascia musiva è fatta di rombi di

porfido e serpentino su fondo bianco. Tutta la campitura esterna è

fatta di triangoli in alternanza di porfido e serpentino su fondo

bianco. Tutto il motivo mostra in modo evidente una ricostruzione

totale. Anche qui si può osservare un listello forse originale, di

giallo antico, come per indicare che in origine le bande di marmo di

cornice erano fatte anche di giallo antico. Segue un rettangolo

disposto longitudinalmente con un elegante motivo, sviluppato in

tessitura diagonale, di stelle cosmatesche alternate a tessere quadrate

uniformi di porfido e serpentino. Tale riquadro è contornato da

doppie bande larghe di marmo bianco. Nella decorazione si notano

dei ritocchi in diversi punti, con la sostituzione di tessere quadrate

di giallo antico o di altro colore per cui non credo di poter dire che

questo pannello ci sia giunto intatto. Le partizioni musive che

seguono esprimono in modo totale la storia di una ricostruzione

totale dell’opera cosmatesca e non meritano di essere descritte in

dettaglio.

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Fig. 13. La prima ruota

della sequenza di 17

dischi. Si nota la

decorazione esterna di

quadratini di cui

rimangono solo 17

esemplari di giallo antico

su circa 60. I rimanenti

sono di marmo bianco.

Fig. 14.

Il secondo disco è di giallo

antico e la decorazione di

triangoli raggianti

conserva solo tre tessere

di giallo antico. In basso

a destra si nota un

frammento di lastra

epigrafica reimpiegata,

segno della ricostruzione

della fascia centrale.

Fig. 15.

Il terzo disco di porfido

rosso. Anche qui la

triplice fila di triangoli

doveva avere quella

esterna tutta in giallo

antico che oggi è

scomparso quasi del tutto.

Si nota in basso un punto

di rottura dove mancano

le tessere oblunghe

incrociate.

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Fig. 16. La quarta ruota

con un altro disco di

porfido rosso e quadrupla

fila di triangoli raggianti

nella fascia circolare

decorativa.

Il giallo antico doveva

essere predominante,

come anche nei piccoli

listelli centrali della

seconda fascia.

Fig. 17. La quinta ruota

mostra il primo motivo

geometrico al posto del

disco uniforme. Il classico

motivo di quattro

losanghe oblunghe con la

tessera quadrata al centro,

tutte in serpentino. Una

fascia di rombi di porfido

e serpentino decorano il

motivo. Si nota un primo

frammento di marmo

giallo antico nelle fasce

marmoree circolari.

Fig. 18.

La sesta ruota con un

altro disco di porfido rosso

e un altro frammento di

marmo giallo antico nella

fascia bianca circolare.

Segno che i pavimenti

cosmateschi erano

probabilmente fatti anche

di fasce marmoree colorate

attorno ai dischi delle

ruote.

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Fig. 19. La ruota n. 7: un

piccolo disco di serpentino

con una semplice

decorazione di triangoli

grandi raggianti di cui

quelli concentrici erano

equilateri e di giallo

antico, ma ne rimangono

solo tre tessere. Un altro

piccolo frammento di

marmo giallo nella fascia

bianca.

Fig. 20. L’ottava ruota

con un altro disco di

porfido rosso e

decorazione di rombi in

serpentino e porfido.

Ancora un frammento di

marmo giallo nella fascia

bianca esterna.

Fig. 21.

La nona ruota mostra il

famoso motivo geometrico

del triangolo di Sierpinski

in serpentino su fondo

bianco e due losanghe di

porfido. I triangoli esterni

dovevano essere tutti di

giallo antico.

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Fig. 22. La decima ruota ha

ancora un disco di porfido

rosso. L’inizio della

decorazione nella banda

musiva esterna a sinistra, è

fatta di una triplice fila di

quadratini disposti di punta

di cui quelli centrali in

porfido e serpentino e quelli

esterni erano tutti di giallo

antico. Qui si conservano

solo all’inizio.

Fig. 23. L’undicesima ruota

ha un nuovo disco di porfido

rosso con triangoli raggianti

un tempo tutti di giallo

antico. Un listello giallo tra

le fasce marmoree bianche.

Fig. 24. La dodicesima ruota

è di un marmo rosa diverso

dagli altri. Anche qui la fila

di triangoli “centripeti”

esterni, doveva essere tutta

di giallo antico.

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Fig. 24. La tredicesima

ruota è un motivo molto

caro a Cosma: la stella a

quattro punte formata

dalla disposizione di

punta di quattro losanghe

oblunghe, qui tutte in

porfido rosso. Una tessera

quadrata interna e

campiture di triangoli.

Un frammento di giallo

antico della fascia

marmorea.

Fig. 26. Un disco di

serpentino a cui fa da

cornice una sequenza di

triangoli consecutivi di

porfido e serpentino.

Fig. 27. Un altro disco di

porfido rosso, abbondante

in questa fila centrale, con

decorazione di rombi.

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Fig. 28. La penultima

ruota mostra nella

prima fascia marmorea

circolare due

frammenti di giallo

antico.

Fig. 29. L’ultimo disco,

ancora in porfido rosso,

ha una decorazione di

triangoli rossi e verdi,

due frammenti gialli

nella fascia marmorea e

una triplice

decorazione di

triangoli nella seconda

banda musiva

circolare. Quella

esterna doveva essere

tutta di giallo antico.

Fig. 30. Il primo

riquadro dopo la lunga

guilloche. Un disco

grigio ha per

decorazione esterna

una triplice fila di

triangoli consecutivi.

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Fig. 31. Il riquadro con il motivo elegante di stelle cosmatesche

Fig. 32. Alcune partizioni reticolari che seguono la guilloche. Si rende ben

evidente la ricostruzione totale che reimpiega solo una piccola parte delle

tessere originali. Tuttavia i marmi sono molto antichi, segno che la

ricostruzione è avvenuta almeno nel XVI secolo.

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Fig. 33. La decorazione della decima ruota. Nella fascia esterna ha

la triplice sequenza di quadratini disposti di punta. Quelli esterni

erano tutti gialli, quelli centrali di porfido e serpentino su sfondo

bianco. Possiamo immaginarne la bellezza se vista

complessivamente nel suo totale sviluppo.

Fig. 34. Il motivo di losanghe oblunghe disposte di punta.

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Il pavimento del transetto

l pavimento del transetto nella cattedrale di Civita Castellana, è

dominato dalla presenza di uno straordinario quincux che si

trova in una posizione decentrata rispetto all’asse centrale della

navata. Ma questa non è la sola caratteristica che lo

contraddistingue. Infatti, si nota subito che il suo stile sembra

addirittura essere diverso da quello dell’intero pavimento della

navata e ciò che colpisce di più l’osservatore è il relativamente

moderato uso del giallo antico utilizzato, quasi con il solo intento di

esaltare maggiormente la seriosa eleganza del serpentino e del

porfido che formano forse più dell’80% dell’intero quincux.

Questa evidente variazione cromatica tra il pavimento della navata

centrale, il quincux nel transetto e quello sul presbiterio, è ravvisato

anche da Creti, Boscolo e Mastelloni nell’articolo citato secondi i

quali “la volontà di sottolineare il percorso assiale ingresso-altare

porta all’utilizzazione di colori scuri, che producono

concentrazione, nella fascia mediana e nei quinconce, e di colori

chiari che producono invece distensione, nei campi rettangolari”.

Questa asserzione può esser opinabile, se si considera che nelle

pagine precedenti, la mia analisi della fascia centrale ha ben

evidenziato che essa era caratterizzata in origine da una netta

predominanza di giallo antico, sostituita nei restauri e nelle

ricostruzioni con il volgare marmo bianco di riuso, ed ho fatto

notare come potrebbe essere possibile che i pavimenti cosmateschi

originali, a mio parere soprattutto quelli del XIII secolo, potevano

essere dotati di fasce marmoree colorate anziché bianche, sia nelle

partizioni reticolari che nelle rotae di guilloche e quincuxes.

Secondo Glass (op. cit. pag. 63) “l’intero disegno non è composto da

tessere originali ed è possibile attribuirlo ai lavori di restauro

intrapresi tra il 1736 e il 1740 da Mons. Tenderini. In quel tempo

pilastri di grandi dimensioni furono installati per sostenere la

cupola che sta immediatamente sopra questa zona. Il pavimento

potrebbe essere stato danneggiato durante questa costruzione”.

Anche il secondo quincux sul presbiterio, secondo la studiosa,

sarebbe una ricostruzione del Settecento. Ipotesi che sono rifiutate

da Luca Creti (op. cit. pag. 58, nota 62) il quale prende per buoni ed

I

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62

originali entrambi, sebbene quello del presbiterio lo definisca

“largamente restaurato”. Molto probabilmente, invece, nessuno di

questi autori ha ritenuto credere che i due quincuxes potessero

essere in parte originali, come la maggior parte delle bande musive

e i dischi, ma smantellati e ricostruiti secondo le esigenze dei lavori

di restauro avvenuti nel 1500 con la ricostruzione del coro e nel

Settecento con Mons. Tenderini.

La percezione che si ravvisa nelle soluzioni cromatiche tra le

partizioni reticolari della navata centrale e i colori scuri e seriosi dei

due quincuxes, più che essere attribuiti alla volontà di sottolineare il

percorso assiale ingresso-altare, come proposto dagli autori predetti,

che è in contrasto, per esempio, con la soluzione cromatica chiara

sia delle guilloche che del quincux nella cattedrale di Ferentino,

opera di Iacopo, potrebbe attribuirsi, invece, ad un riuso di

elementi del pavimento preesistente, opera forse di Lorenzo, o, più

probabilmente, ad un restauro di Cosma o dei figli Iacopo e Luca

che sembrano prediligere colori più scuri (come si vede nei due

quincuxes del Sancta Sanctorum del Laterano, dove il giallo antico è

praticamente assente e l’attribuzione dell’opera è riferibile a Iacopo

di Lorenzo o a Cosma e figli).

Il disegno dei due quincuxes è uguale, ma quello nel presbiterio è

di dimensioni leggermente minori. Iconograficamente lo si ravvisa

già nell’incisione settecentesca di Erasmo Gattola che mostra come

appariva ai suoi tempi nel pavimento precosmatesco della chiesa

abbaziale del monastero benedettino di Montecassino, opera datata

al 1071, anno di consacrazione della basilica. Si tratta quindi di un

motivo grafico che è stato ereditato dal vasto repertorio musivo

bizantino, sebbene l’incisione di Gattola non stabilisce, da sola, che

il pavimento ivi disegnato sia realmente quello originale del 1071 e

non una ricostruzione avvenuta dopo il terribile terremoto del 1349

quando si può lecitamente supporre che gran parte della basilica, e

forse buona parte del suo pavimento originale, andò distrutto. Ma

questa è un’altra storia. Tuttavia, sarebbe interessante scoprire le

origine iconografiche di questo motivo che taluni studiosi

definiscono come “quincux asimmetrico” perchè diversamente da

quello normale, il quadrato e il quincux interno sono ruotati di 45

gradi rispetto ai lati del quadrato che collegano i dischi grandi

esterni. Quincuxes simili a questo si trovano a Roma nelle basiliche

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di Santa Francesca Romana e di San Crisogono, ma in dimensioni

ridotte anche ad Anagni e il disegno fa parte dell’ampio repertorio

musivo degli arredi presbiteriali.

Fig. 35. Il pavimento del transetto, con il quincux asimmetrico decentrato.

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64

Significativo può essere il fatto che il giallo antico sia

completamente assente proprio nelle decorazioni del quincux

interno al quadrato diagonale. Questa scelta può essere

sicuramente legata ad un motivo di ricerca di una profondità di

campo a colori scuri che risaltasse meglio sul giallo antico che

brillava nelle campiture esterne. Ad analizzarlo in dettaglio il

quincux esterno, non mostra proprio una percentuale bassa di

giallo antico nelle zone periferiche, anzi. La mia valutazione

dipende da quanto reale sia stato l’intervento dei restauri che ne

hanno modificato l’aspetto cromatico originale. Che il quincux sia

stato manomesso è ovvio ed è dimostrato facilmente dal fatto che

non si trova più in asse con la guilloche della navata centrale. Ciò

significa che esso è stato smontato completamente e rimontato nel

modo che si vede. Solo valutando lo stato dei singoli elementi si

può dire se buona parte dei motivi decorativi sono stati anch’essi

smontati o se siano stati invece in parte mantenuti intatti, segandoli

interi e solo ritoccati. Prendiamo, per esempio, il disco sinistro

esterno che tange la fascia marmorea orizzontale. Presenta ancora

allo stato attuale, una decorazione ricchissima di giallo antico, in

pratica assolutamente predominante. Questa è fatta nella fascia

esterna di una fila di quadratini disposti di punta di cui quasi la

maggior parte sono di tessere originali di giallo antico; la fascia

circolare interna è forse uno dei pochi esempi conosciuti di

decorazione di stella cosmatesca e quadratini in alternanza di

porfido, serpentino e giallo antico, dove buona parte degli elementi

che lo compongono sembrano essere rimasti intatti. E si nota come

il giallo antico spicchi particolarmente su tutti gli altri colori.

Interessante è anche osservare come nelle altre ruote esterne

rimanenti, sebbene formate da motivi geometrici diversi, le

decorazioni sono soggette alla stessa cospicua proporzione

cromatica con un risalto particolare del giallo antico. E si nota in

modo abbastanza evidente la ricomposizione del motivo, perchè

mostra in troppi punti rimaneggiamenti e caratteristiche tipiche dei

rifacimenti totali. Diversamente, il quincux interno, non presenta

una sola tessera originale di giallo antico, essendo tutto sviluppato

con tessere di porfido, serpentino e bianche. E qui mi sembra a in

diversi tratti le decorazioni siano originali, come quella fittissima

circolare di una triplice fila di triangolini interi e scomposti.

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Fig. 36. La ruota sinistra con la decorazione di quadratini in giallo antico.

Fig. 37. Il quincux interno al quadrato privo di decorazioni con tessere di

giallo antico, ad eccezione delle due piccole campiture esterne negli angoli,

e costituito solo con tessere di porfido, serpentino e bianche.

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Fig. 38. Un dettaglio della fascia decorativa di minutissimi triangoli intorno

al disco centrale del quincux interno nel transetto. Si può vedere che le

tessere bianche a destra, meno consunte e più “moderne” sono diverse da

quelle a sinistra, quasi del tutto consumate. Dato l’evidente diverso stato di

conservazione tra le tessere bianche di sinistra e quelle di destra, che

tuttavia sembra essere in entrambi i casi, antico, questa fascia, forse

originale, potrebbe essere stata soggetta a restauri del XVI secolo.

Fig. 39. Una delle campiture del primo quincux con il motivo di

esagoni intersecantesi. Anche questa sembra essere originale, data

anche l’elevata precisione nella disposizione delle tessere che si

ravvisa facilmente nell’interezza del motivo geometrico.

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Il resto del pavimento che sta attorno al primo quincux e fin sotto i

gradini che portano al presbiterio rialzato, è un assemblaggio di

rettangoli musivi ricostruiti alla meno peggio con una scarsa parte

del materiale originale di cui poche tessere hanno la forza di

accendere il brutto grigiore dei marmi bianchi di cui sono fatte le

tessere uniformi quadrate. Esse, insieme a triangoli di porfido e

serpentino, con qualche sporadica tessera di giallo antico, vanno a

formare motivi semplici sviluppati in tessitura ortogonale o

diagonale. Qui l’intarsio è pessimo ed è il risultato di una

ricostruzione arbitraria poco attenta, probabilmente velocizzata

dalle necessità di terminare i lavori entro breve tempo. Così, nel

lato sinistro si può osservare un vero e proprio rappezzo, formato

però, stranamente, da grandi tessere esagonali nere commesse

malamente tra loro attraverso elementi lapidei minori colorati. Sette

di esse sono racchiuse in una insignificante ruota.

Fig. 40. Il “rappezzo” che sta nel transetto nei pressi della scalinata.

Infine, il pavimento del transetto presenta, come molti altri simili, i

segni della distruzione dell’arredo presbiteriale medievale. Infatti,

vicino alle due rampe di scale che scendono nella cripta, sono

inglobati in modo confuso una decina di lastre provenienti dagli

smembrati amboni antichi. Di queste disiecta membra, le più

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notevoli sono una lastra con un quincux asimmetrico di sicura

attribuzione a maestri diversi dai Cosmati della famiglia di Lorenzo

e credo testimoni molto bene, insieme agli altri reperti, come in

questa cattedrale vi abbiano lavorato molti altri marmorari dopo i

Cosmati. Alcune lastre rettangolari, invece, richiamano fortemente i

motivi e lo stile del portico, e sono attribuibili a Drudo de Trivio o a

Cosma e figli.

Fig. 41. La lastra con

motivo a quincux

asimmetrico,

proveniente da uno

smembrato ambone,

ma di stile chiaramente

non della famiglia di

Lorenzo, come si evince

invece dagli altri pezzi.

Fig. 42. Alcune lastre,

di cui almeno quella

superiore sicuramente

attribuibile ai Cosmati

e che richiama le girali

decorative realizzate

sul portico della

cattedrale.

Fig. 43. Uno spezzone

di lastra musiva con

un meraviglioso

motivo di quadratini

con cui spicca il giallo

antico tra il serpentino.

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69

Il quincux nel presbiterio

ome già accennato, anche questo elemento è ritenuto da

Glass una ricostruzione settecentesca e originale ma

restaurato da Creti. Se nel primo quincux i dischi delle rotae

erano tutti uniformi, qui i due dischi che si trovano sull’asse

parallelo al primo gradino della scala per l’altare maggiore, sono

scomposti in due motivi. Uno è la stella a sei punte inscritta in un

esagono, l’altro è il fiore della vita tanto caro a Iacopo e Cosma. In

questo quincux si osservano straordinariamente le stesse

caratteristiche cromatiche del quincux nel transetto, il che dimostra

indubbiamente che essi sono opera dello stesso marmoraro. Anche

qui le ruote esterne al quadrato e le fasce decorative esterne sono

ricche di giallo antico, mentre nel quincux asimmetrico interno al

quadrato non vi è traccia del pregiato marmo numidico se non nelle

campiture degli angoli esterni. A differenza del primo, questo sul

presbiterio sembra godere di uno stato di conservazione

estremamente migliore, il che farebbe pensare ad un sicuro restauro

accurato, ma a quale epoca riferirlo? Se il rialzo del presbiterio si

deve Mons. Tenderini, evidentemente anche la ricostruzione di

questo quincux deve riferirsi ai lavori eseguiti al suo tempo. Infatti,

le fasce marmoree bianche che delimitano i motivi del quincux,

sono perfettamente compatibili con la datazione entro il 1740, anche

se potrebbero sembrare pure più moderne. In effetti, le tessere che

compongono i motivi si conservano in ottimo stato per essere

quelle originali che abbiamo imparato a riconoscere come

letteralmente “mangiate dal tempo”, anche nei pavimenti delle

basiliche romane e come sono quelle veramente originali in questa

cattedrale. All’esame dettagliato, tuttavia, la maggior parte delle

tessere, nonostante siano davvero in buono stato di conservazione,

credo che possano riferirsi al pavimento cosmatesco originale e il

quincux una ricostruzione che potrebbe aver reimpiegato parti

intere musive giacché in alcuni punti si nota un intarsio eccellente,

in altri molto approssimativo, come anche la regolarità delle griglia

geometrica dei motivi impiegati. Molto di quanto detto si può

osservare nelle immagini che seguono.

C

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70

Fig. 44. La stella esagonale

Fig. 45. Il fiore della vita

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Fig. 46. Pavimento nella chiesa di San Benedetto in Piscinula, Roma

Fig. 47. Pavimento della cattedrale di Civita Castellana

Il raffronto tra le due figure 46 e 47, credo sia molto esplicativo nel

mostrare la differenza di intarsio che esiste tra una porzione

originale cosmatesca del pavimento della chiesa di San Benedetto in

Piscinula e il pavimento della cattedrale di Civita Castellana.

Il primo è un vero “commesso marmoreo”, il secondo è il risultato

di una ricostruzione. Il dettaglio della fig. 47 è preso dal motivo ad

Page 72: Il Pavimento Cosmatesco della Cattedrale di Civita Castellana: nuove analisi ed ipotesi.

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esagoni inframezzati intersecantesi, tra i più eleganti e complessi

del repertorio laurenziano, che è composto in forma di esagono nel

riquadro davanti all’altare medievale sul presbiterio, come si vede

nella fig. 48.

Fig. 48. Il riquadro davanti all’altare.

Fig. 49. Il quincux coperto dai gradini

Il quincux sul

presbiterio è coperto

nel lato settentrionale

per l’ampiezza di una

ruota intera dai tre

larghi gradini barocchi

che salgono all’altare

retrostante. E’ strano

che Mons. Tenderini

abbia mostrato tanta

cura, come sembra evincersi dai manoscritti settecenteschi citati da

Creti, nel proteggere il pavimento della navata ricoprendolo di

terra, per poi coprire deliberatamente e con il marmo il quincux sul

presbiterio. Il resto del pavimento in questa zona è senza alcuna

importanza. Si vedono spezzoni musivi e riquadri ricostruiti in

modo superficiale con la chiara e sola intenzione di andare a

coprire gli eventuali vuoti creatisi durante i lavori di

ristrutturazione.

Page 73: Il Pavimento Cosmatesco della Cattedrale di Civita Castellana: nuove analisi ed ipotesi.

73

Un elemento decorativo anomalo?

rima di lasciare l’argomento del pavimento nel presbiterio

devo ricordare che qui è stato osservato quello che l’arch.

Creti definisce un “elemento decorativo anomalo” che

identifica con una probabile “aquila stilizzata” e che si riscontra in

una forma simile anche nei quincuxes del pavimento della basilica

di San Crisogono e del duomo di Ferentino.

Io credo che il Creti si riferisse alla figura identificabile con un fiore

più che con un’aquila stilizzata; un fiore a forma di calice, o a

campanula, forse un tulipano. Ciò che non è stato evidenziato dagli

altri autori, però, è che la stessa identica figura, eseguita in modo

evidente dalla stessa mano maestra, si ritrova ben cinque volte nel

pavimento della basilica di S. Anastasio a Castel Sant’Elia! Ciò

significa che l’impiego ripetuto di questo elemento fa si che non

fosse poi così insolito, come si è portati a credere. Il fatto poi che si

ritrovi anche a Ferentino e a San Crisogono, non fa che confermare

l’attribuzione di tutti questi pavimenti alla bottega di Lorenzo e più

probabilmente a Iacopo che credo fosse forse il più eclettico tra i

membri della famiglia e forse il più influenzato dalle scuole siculo-

campane con le quali aveva certamente collaborato nei cantieri

meridionali, a partire da Marino di Roma fino a Terracina passando

forse nell’agro pontino fino a Ferentino, e chissà che non abbia

preso parte anche nei lavori del duomo di Salerno, dove ho notato

chiaramente anche la notevole impronta romana del suo stile che si

somma a quelle più esplicite meridionali.

Se elementi del genere possano costituire una caratterizzazione

delle opere eseguite ai confini del Patrimonium Sancti Petri, dove i

marmorari romani si sentivano più liberi di allontanarsi, seppure di

poco, dai canoni classici delle loro botteghe per abbracciare anche la

cultura dell’arte musiva meridionale, non possiamo dirlo con

certezza. Sta di fatto che lo stesso fiore che si osserva anche nel

pavimento della basilica di San Crisogono non è in quel caso un

elemento isolato, come qui a Civita Castellana, perché nella basilica

romana il pavimento è caratterizzato nella fascia centrale da

riquadri che richiamano i modi classici romani, ma anche da

riquadri di chiaro stile campano-cassinese.

P

Page 74: Il Pavimento Cosmatesco della Cattedrale di Civita Castellana: nuove analisi ed ipotesi.

74

Fig.50. Il fiore che si vede

nel quincux del presbiterio

rialzato nella cattedrale di

Civita Castellana. Qui è

completo di tessere in

porfido rosso. Il piccolo

ritaglio potrebbe essere

originale e reimpiegato

nella ricostruzione

settecentesca.

Fig. 51. Uno dei fiori che

sta nel pavimento della

basilica di S. Anastasio a

Castel Sant’Elia. Come si

può vedere è assolutamente

identico a quello

precedente. Qui,

probabilmente di originale

vi è solo la tessera destra.

Fig. 52. Un altro identico

fiore, realizzato però con

marmo bianco.

Probabilmente si tratta di

una ricostruzione.

In tutti e tre i casi si nota

la stessa identica soluzione

musiva, sebbene alterata

dai rifacimenti.

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75

Il pavimento della navata attorno alla guilloche

destra e a sinistra della lunga fila centrale di 17 dischi

annodati a guilloche, vi sono tre file longitudinali di

partizioni reticolari con motivi geometrici caratteristici del

repertorio cosmatesco laurenziano. Una veduta dall’alto mette

subito in evidenza che tali pannelli non mostrano una buona

corrispondenza simmetrica nella loro disposizione, mentre una

discreta simmetria può essere osservata nei motivi geometrici. Una

quarta fila corrisponde all’allineamento dei pilastri e per questo

non è completa, ma “sistemata” ed arrangiata alla meglio. Nelle

navate laterali non si riscontrano pannelli musivi, il che costituisce

per me un fatto che non può semplicisticamente essere spiegato con

una insolita scelta dei marmorari di restringere la decorazione

musiva pavimentale alla sola navata centrale, come ho già

dimostrato nelle pagine precedenti. I pannelli rettangolari

esibiscono motivi geometrici realizzati in tessiture ortogonali

rettilinee, diagonali e curvilinee. Presenti in abbondanza i motivi

definiti ad quadratum e ad triangulum, questi ultimi definiti da

tessitura triangolare e realizzati con tessere piccole triangolari

equilatere come campiture di collegamento tra le tessere uniformi

grandi esagonali. L’articolo di Boscolo, Creti, Mastelloni citato in

precedenza offre una completa panoramica dei patterns utilizzati in

questo pavimento, che sono gli stessi che si riscontrano in molte

altre opere nelle basiliche romane e del Lazio.

Fig. 53

A

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76

Fig. 54.

Nelle due figure 53 e 54 si possono vedere due motivi geometrici

sfuggiti alla catalogazione degli autori predetti. Il primo è il motivo

ad triangulum, ma con una ulteriore scomposizione orizzontale del

modulo base; il secondo è un motivo ricostruito in tessitura

ortogonale e composto da una sequenza di tessere esagonali di

giallo antico collegate da un quadrato uniforme disposto di punta e

campiture triangolari. Entrambi i motivi sono stati ricostruiti e si

trovano in prossimità dei gradini sul presbiterio.

Fig. 55.

Se analizziamo il reperto della fig. 55, possiamo fare le seguenti

osservazioni. Sebbene la lastra sia certamente proveniente

dall’arredo presbiteriale e reimpiegata nel pavimento, essa mostra

come l’intento originale dei Cosmati fosse poi “trasformato” nel

corso dei restauri che si sono succeduti. In particolare si nota:

1) Simmetria cromatica perfetta nella successione delle tessere

triangolari sui bordi esterni e quelle quadrate disposte di punta

nella fila centrale;

2) Simmetria cromatica perfetta nelle due file di tessere quadrate

orizzontali di porfido, ad eccezione della seconda in alto, sostituita;

Page 77: Il Pavimento Cosmatesco della Cattedrale di Civita Castellana: nuove analisi ed ipotesi.

77

3) E’ chiaro che l’intento originale cosmatesco era quello di formare

un fondo di giallo antico con le tessere triangolari piccole, sul quale

poggiavano le file di tessere quadrate. Tuttavia, i triangoli gialli

sono sostituiti in buona parte da due tipologie di tessere bianche:

quelle di marmo bianco più grigio e visibilmente più antiche,

dovute ai restauri antichi e quelle più bianche e visibilmente meno

antiche, dovute a ritocchi moderni che ne hanno sconvolto

totalmente la bellezza originaria data dal contrasto dei porfidi, del

serpentino, con il fondo di giallo antico.

Questi canoni dell’arte cosmatesca, che non si ritrovano nel

pavimento, si riscontrano, invece, per la quasi totalità delle

decorazioni della facciata della cattedrale, dove probabilmente i

lavori di restauro hanno provveduto solo a minimi ritocchi nelle

decorazioni e alla pulitura dei marmi. La mia convinzione, come ho

da sempre ribadito nei miei studi, è che la perfetta simmetria

cromatica nella disposizione delle tessere che formano i motivi

geometrici, era una prerogativa dei canoni dell’arte musiva in

generale e dei canoni cosmateschi in particolare, che veniva

automaticamente, e logicamente, estesa dalle opere degli arredi

presbiteriali ai pavimenti delle basiliche. Lo stesso principio,

dunque, dovrebbero esibire i motivi geometrici delle partizioni

reticolari di ogni pavimento cosmatesco nelle basiliche romane, del

Lazio, come della Campania e di tutte le opere simili realizzate nel

medioevo. Dove non si osserva tale principio, vi è certezza della

manomissione di restauri antichi e rifacimenti arbitrari dovuti alle

varie vicende che portarono al disfacimento degli assetti

architettonici e decorativi medievali dopo l’entrata in vigore della

riforma gregoriana, come evidenzia il Creti, op. cit. pag. 56: “la

quale, imponendo il cambio di rito, rese inutili gli ingombranti

arredi presbiteriali delle chiese del tardo Medioevo, con la

conseguente ridefinizione planimetrica e spaziale dei settori

liturgici da essi occupati”. E spesso, per “arredo presbiteriale”, si

intesero anche le pavimentazioni musive che furono puntualmente

smantellate, a volte spicconate, senza troppi riguardi. Le opere

monumentali troppo grandi, come per esempio il pavimento della

basilica di San Giovanni in Laterano, furono suddivise e trasferite

altrove per abbellire le scarne pavimentazioni di altre chiese e

Page 78: Il Pavimento Cosmatesco della Cattedrale di Civita Castellana: nuove analisi ed ipotesi.

78

basiliche; altre furono in parte conservate accumulandole come

montagne di detriti in navate chiuse e riaperte dopo secoli (come

testimonia il ritrovamento, in una navata aperta di recente, dei resti

dell’antico pavimento cosmatesco del duomo di Gaeta23); in molti

casi furono conservati solo gli elementi più significativi, come si

vede nelle basiliche di San Marco e di Santa Francesca Romana a

Roma, dove nella navata centrale rimane solo un quincux, sebbene

parte dell’antico pavimento sia stato ricostruito anche sul

presbiterio. Questa volontà, che se si può considerare forse come

espressione di una troppo debole coscienza del recupero dell’arte

cosmatesca medievale, mentre rimaneva invece ben salda nei secoli

per le opere absidali musive bizantine e medievali, è stata alla base

di quasi tutti gli interventi di recupero architettonico e artistico

delle basiliche romane e del Lazio, dal XV al XIX secolo. E’ per

questo motivo che a Roma si possono vedere molti esempi di

pavimenti incompleti in cui sono conservati principalmente gli

elementi più caratteristici e artisticamente attraenti, come

quincuxes isolati, o riquadri giganteschi di dischi annodati a

guilloche ed elementi singoli di pregio (San Gregorio al Celio, Santi

Giovanni e Paolo); o addirittura motivi cosmateschi intesi come

scorniciatura di lastre marmoree che formano il pavimento, come

nelle basiliche di Santa Maria in Aracoeli e in quella di Santa Sabina

all’Aventino. Mentre pochi sono i pavimenti che si è tentato di

ricostruire in modo completo, come in Santa Maria in Cosmedin, in

Santa Maria in Trastevere, in San Crisogno, in San Clemente, ecc.

Ecco, credo che il pavimento della Cattedrale di Civita Castellana

non sia affatto sfuggito a questa dura campagna di distruzione e

rinnovamento avutasi durante l’epoca barocca. Queste

considerazioni, sono solo un supplemento a quelle più dirette

scaturite dall’analisi stilistica e storica, perché possa essere accolta

senza pregiudizi la mia ipotesi che prevede una ricostruzione

pressoché totale del pavimento della cattedrale civitonica, come

accaduto per la maggior parte delle basiliche romane e del Lazio.

Gli elementi riscontrati sono sufficienti per poter affermare che il

pavimento originale doveva essere un’opera pregevole,

23 N. Severino, Le Luminarie della Fede, vol. 5, Itinerari d’arte cosmatesca nel

basso Lazio, ed. ilmiolibro.it, Chromografica, Roma, 2011. Il duomo di Gaeta.

Page 79: Il Pavimento Cosmatesco della Cattedrale di Civita Castellana: nuove analisi ed ipotesi.

79

probabilmente restaurata e rimaneggiata dagli stessi maestri

Cosmati che si susseguirono nell’arco di quattro generazioni. Gli

elementi stilistici diversi osservati, possono confermare tale

supposizione in quanto, anche se ricostruiti, i pannelli rettangolari

musivi fanno pensare ad un pavimento tutto sommato semplice,

basato sugli standards più modesti del repertorio musivo

cosmatesco laurenziano; i due quincuxes, nel transetto e nel

presbiterio, mostrano caratteristiche stilistiche e di manodopera

identiche, e si discostano sensibilmente dalla qualità e semplicità

dei pannelli pavimentali rettangolari, quanto basta da far pensare

che forse potrebbero essere un’opera aggiunta da Iacopo o più

probabilmente da Cosma e figli.

L’esaltazione dell’arte cosmatesca che si ravvisa nella facciata,

invece, farebbe credere che i maestri furono quasi del tutto assorbiti

dall’impegno di portare a termine un simile sfarzoso progetto

musivo nel 1210 su pressione di papa Innocenzo III e che forse poco

tempo dedicarono al pavimento interno, mentre Drudo de Trivio,

con i figli di Cosma completarono l’arredo liturgico.

Un pavimento, in definitiva, che non è all’altezza della maestosità

dei lavori che i Cosmati hanno effettuato sulla facciata, ma

probabilmente solo per il fatto che mentre questa non è stata affatto

distrutta o smantellata nel tempo, il pavimento ha subito un

radicale mutamento e si presenta solo come il risultato di una

ricostruzione operata tra il XVI e il XVIII secolo in cui non è più

possibile ammirare il lavoro originale dei Cosmati, se non

immaginandolo come ho fatto nelle considerazioni in questo

volume.

Se il pavimento fosse rimasto veramente intatto, chi rimaneva

sbalordito al cospetto della facciata della cattedrale, non poteva

rimanere deluso dal pavimento musivo e dall’arredo liturgico

entrando nella chiesa medievale. I Cosmati non l’avrebbero mai

permesso.

Page 80: Il Pavimento Cosmatesco della Cattedrale di Civita Castellana: nuove analisi ed ipotesi.

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La trabeazione del portino nella zona sinistra

Le girali cosmatesche nell’arco trionfale e di lato la lunga epigrafe

con la firma dei maestri Iacopo e Cosma.

Page 81: Il Pavimento Cosmatesco della Cattedrale di Civita Castellana: nuove analisi ed ipotesi.

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Immaginiamo che

questa lastra

decorativa del portico

della cattedrale, sia

una porzione del

pavimento. I piccoli

cerchi sono le ruote, le

fasce rettangolari le

partizioni musive o le

fasce decorative di

quincuxes e guilloche.

In questa lastra è

espresso il concetto di

armonia geometrica e

simmetria cromatica.

Lo stesso principio

che dovrebbe

osservarsi nei

pavimenti

cosmateschi originali,

ma che non è dato di

vedere in nessun

esemplare

tramandatoci dal

medioevo, se non in

porzioni e frammenti

rimasti

fortunatamente

intatti. Qui le stelle

cosmatesche hanno

tutte i triangolini

bianchi su sfondo

rosso o blu, mentre

l’alternanza dei colori

dei quadratini è

simmetricamente

perfetta. Questo

principio lo si osserva

in quasi tutta l’opera

della facciata

cosmatesca della

cattedrale e il

pavimento non

doveva essere da

meno.

Page 82: Il Pavimento Cosmatesco della Cattedrale di Civita Castellana: nuove analisi ed ipotesi.

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Decorazioni dell’arco trionfale

Un altro esempio del principio di simmetria cromatica perfetta

nella disposizione delle tessere nelle decorazioni della facciata della

cattedrale, anche nei motivi più complessi. Quello centrale lo si

ritrova facilmente nelle fasce curvilinee delle guilloche o dei

quincuxes, ma non lo si vede quasi mai in una simmetria dei colori

come in questo caso.

Page 83: Il Pavimento Cosmatesco della Cattedrale di Civita Castellana: nuove analisi ed ipotesi.

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Un motivo decorativo ad quadratum, dettaglio della foto sopra, che

mostra come dovrebbe essere il suo corrispettivo nei pavimenti

cosmateschi. Anche le stelle ottagonali al centro godono del

principio di simmetria cromatica nella sequenza delle tessere. E’

anche interessante notare la corrispondenza simmetrica delle due

stelle laterali esterne che sono le uniche ad essere composte di

losanghe colorate miste, ma nei colori alternate in modo corretto.

Page 84: Il Pavimento Cosmatesco della Cattedrale di Civita Castellana: nuove analisi ed ipotesi.

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Il semirosone cosmatesco del portale

Colonne, capitelli e decorazioni del portico

Page 85: Il Pavimento Cosmatesco della Cattedrale di Civita Castellana: nuove analisi ed ipotesi.

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89

Nicola Severino

Nasce nel 1960 a Sparanise, un piccolo

paesino agricolo della provincia di Caserta,

ma al centro di un territorio che dal 1071 al

XIII secolo conobbe l’evolversi e

l’espandersi dell’arte cosmatesca per mano

degli artisti che frequentarono la scuola

per mosaicisti istituita dall’abate Desiderio

a Montecassino. Diplomatosi geometra,

intraprende, invece, la carriera musicale

che porta avanti per alcuni decenni. Nel

frattempo si sposa a Gaeta con Daniela

Iacovella, attualmente insegnante di lettere

nelle scuole di primo e secondo grado, e risiede a Roccasecca, patria

di San Tommaso d’Aquino. Dal 1985 coltiva per diversi anni la

passione dell’astronomia osservativa, fonda associazioni di astrofili

e piccole riviste divulgative, collaborando con l’Unione Astrofili

Italiani. Nel 1989 incontra la Gnomonica e la coltiva con amore e

passione per oltre vent’anni, fino allo stato attuale, scrivendo

sull’argomento dozzine di libri e centinaia di articoli a livello

mondiale, divenendo uno dei massimi esponenti della

divulgazione della storia della gnomonica. Nel 2010, nell’ambito di

un progetto di ricognizione degli affreschi medievali presenti sul

territorio del basso Lazio, incontra per la prima volta l’arte

cosmatesca, rimanendone estremamente affascinato. Non è un caso

allora che tale incontro sia avvenuto proprio nel 2010, cioè

nell’ottavo centenario della fabbrica della cattedrale cosmatesca di

Civita Castellana, insigne monumento dei magistri marmorari

romani. Da allora, il pensiero fisso, 24 ore su 24, sono i pavimenti

cosmateschi, il loro mistero, la loro storia, la loro leggenda, le

opinioni degli esperti, le indagini ricognitive, le verità mancate.

Risiedendo a 15 km dall’abbazia di Montecassino, è ovvio che abbia

iniziato il percorso di studio proprio dal capostipite di quelli che

saranno i pavimenti cosmateschi, cioè il pavimento musivo della

chiesa abbaziale cassinese, fatto costruire dall’abate Desiderio in

occasione della sua nuova consacrazione avvenuta nel 1071. Poi la

ricerca e l’analisi ti tutte le opere simili e derivate da Montecassino

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sul territorio dell’alta Campania e del basso Lazio. Infine, la città

cosmatesca per eccellenza: Roma. Sette libri in meno di due anni

non sono pochi e se da una parte essi potrebbero peccare di

approssimazione nella grafica, nell’impaginazione e nello stile di

esposizione del testo rispetto ai canoni della scrittura della storia

dell’arte, dall’altra presentano un nuovo modus operandi che ha

portato a nuove ipotesi, da studiare, verificare, ma che comunque

hanno aperto una nuova pagina da quel lontano 1980 in cui Glass

pubblicò per la prima volta un’opera dedicata esclusivamente ai

pavimenti cosmateschi. Non perché egli non sia uno storico

dell’arte professionista, o un architetto, o uno studioso di storia

antica, gli è preclusa la ricerca dell’analisi di questi monumenti e il

confronto con le fonti ufficiali. Anzi, proprio perchè scarsissime

sono stati i riferimenti specifici ai pavimenti cosmateschi, egli ha

avuto la libertà di muoversi in modo completamente autonomo

rispetto a procedimenti di analisi che in genere vengono stabiliti da

procedure canonizzate dagli esperti. Come per gli edifici antichi,

anche per i pavimenti cosmateschi, ha scoperto che la loro analisi e

la loro storia è stata ricostruita in modo parzialmente oggettivo,

perché in mancanza di documentazioni storiche ed epigrafiche i

pochi studiosi che si sono pronunciati hanno elaborato ipotesi

basate sostanzialmente su cose già scritte in passato e su analisi

alquanto approssimative degli stessi pavimenti. Per esempio,

nessuno ha mai tenuto a conto in modo significativo il fatto che

quasi tutti i pavimenti delle basiliche romane sono una

ricostruzione, spesso arbitraria, con il riuso di ciò che avanzava

degli antichi litostrati cosmateschi smantellati dal XV secolo in poi.

Molti hanno trattato tali pavimenti come se fossero i veri originali,

producendo ipotesi su improbabili significati iconologici e

impossibili analisi di rapporti proporzionali numerici su

monumenti ricostruiti in cui molti elementi erano stati sostituiti,

alterando le misure dei dischi esterni ed interni dei quincuxes e

delle guilloche. Per tale ragione, il modus operandi autonomo, e forse

insolitamente condotto d’istinto, ha permesso all’autore di costruire

le nuove ipotesi basandosi più che sulle fonti ufficiali,

sull’osservazione diretta ed il confronto tra tutti i monumenti

analizzati nel Lazio e nella Campania. Per quanto potrebbe

sembrare insolita, una tale procedura trova la sua spiegazione nelle

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significative parole di Camillo Boito prima e di Antonio Muñoz

dopo trattando dei restauri di Santa Sabina e Santa Prassede, i quali

ricalcando proprio il concetto espresso sopra, così si esprimono:

“Intrapresi le ricerche senza preoccuparmi delle notizie storiche,

che talora, se poste a base di indagini archeologiche, possono sviare

e preoccupare: solo dopo completate le mie osservazioni le

sottoposi al confronto con i dati forniti dalle fonti storiche, tenendo

però presente l’aurea massima di Camillo Boito: “I documenti non

sono la storia dell’edifizio, massime nei suoi vecchi periodi. Giovano si, ma

non bastano; anzi può darsi, e si dà in qualche caso, che il documento

sembri contraddire l’edifizio. Allora ha torto il primo e ragione il secondo”.

Miei siti web:

http://www.cosmati.it

http://cosmati.wordpress.com

http://cosmati.blogspot.com

Voce “Cosmati” e “Iacopo di Lorenzo” su Wikipedia

Video di presentazione di alcuni dei miei libri su

www.youtube.com “nicolaseverino” cosmateschi.

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G. Clausse, porta principale della cattedrale di S. Maria a Civita

Castellana. Dettaglio delle decorazioni.

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G. Clausse, dettaglio del portico della cattedrale.

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INDICE

Prefazione 7

Il pavimento cosmatesco della cattedrale di Santa Maria 13

Analisi critica del pavimento attuale.

Civita Castellana e Anagni: un confronto più che doveroso 35

Un pavimento cosmatesco monco, perchè? 39

Iconologia del pavimento 40

Elementi stilistici di Iacopo e di Cosma 42

Civita Castellana, Castel Sant’Elia, Sutri, Ponzano Romano,

Nazzano: un unico pavimento cosmatesco? 44

Il pavimento della navata centrale 47

Il pavimento del transetto 61

Il quincux nel presbiterio 69

Un elemento decorativo anomalo? 73

Il pavimento della navata attorno alla guilloche 75

Immagini della facciata della cattedrale 80

Bibliografia essenziale 85

L’autore 89

Tavole fuori testo 92

Indice 94