IL NUOVO DIRITTO DELLE...

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NORMATIVA, GIURISPRUDENZA, DOTTRINA E PRASSI IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ D IRETTA DA O RESTE C AGNASSO E M AURIZIO I RRERA C OORDINATA DA G ILBERTO G ELOSA IN QUESTO NUMERO: Recesso da società non quotata: valutazione delle azioni Esecuzione anticipata del concordato preventivo Prededucibilità del credito dell’attestatore ItaliaOggi Anno 14 – Numero 22 30 novembre 2016

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NORMATIVA , GIURISPRUDENZA, DOTTRINA E PRASSI

IL N UOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ

D IRETTA DA ORESTE CAGNASSO E M AURIZIO I RRERA

COORDINATA DA G ILBERTO GELOSA

IN QUESTO NUMERO:

• Recesso da società non quotata: valutazione delle azioni

• Esecuzione anticipata del concordato preventivo

• Prededucibilità del credito dell’attestatore

ItaliaOggi

Anno 14 – Numero 22

30 novembre 2016

La Rivista è pubblicata con il supporto degli Ordini dei Dottori

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Maria Di Sarli (coordinatore) Alessandro Bollettinari, Alessandra Bonfante, Maurizio Bottoni, Mario Carena, Marco Sergio

Catalano, Massimiliano Desalvi, Salvatore De Vitis, Elena Fregonara, Giulia Garesio, Sebastiano Garufi, Stefano Graidi, Alessandro Monteverde, Leonardo Nesa, Vittorio Occorsio, Giuseppe Antonio Policaro, Irene Pollastro, Enrico Rossi, Riccardo Russo, Cristina Saracino,

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HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO Maria Di Sarli, Gabriele Potenza, Silvio Tersilla

SEZIONE DI DIRITTO FALLIMENTARE a cura di Luciano Panzani

SEZIONE DI DIRITTO INDUSTRIALE

a cura di Massimo Travostino e Luca Pecoraro

SEZIONE DI DIRITTO TRIBUTARIO a cura di Gilberto Gelosa

SEZIONE DI PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E IMPRESA

a cura di Marco Casavecchia

SEZIONE DI TRUST E NEGOZI FIDUCIARI a cura di Riccardo Rossotto e Annapaola Tonelli

I saggi pubblicati sotto la rubrica “Studi e Opinioni”, quando espressamente indicato, sono sottoposti a blind referees, scelti tra professori universitari appartenenti al Comitato scientifico dei referee, competenti nei vari settori scientifici oggetto della Rivista.

La valutazione degli atti di convegni e degli scritti già pubblicati o di prossima pubblicazione è riservata ai Direttori.

Ogni scritto è accompagnato da un abstract in italiano e in inglese. Vengono pubblicati scritti, oltre che in italiano, in: inglese; francese; spagnolo e portoghese.

INDICE

IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 22/2016

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Pag.

STUDI E OPINIONI

Alcuni spunti dai principi italiani di valutazione per la valutazione delle azioni non quotate ai fini del recesso di Maria Di Sarli

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DIRITTO FALLIMENTARE

L’esecuzione anticipata dei concordati preventivi chiusi di Silvio Tersilla

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COMMENTI A SENTENZE

La prededucibilità del credito dell’attestatore tra funzionalità e corretto adempimento di Gabriele Potenza

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SEGNALAZIONI DI DIRITTO COMMERCIALE 56

SEGNALAZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 62

SOMMARIO

IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 22/2016

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STUDI E OPINIONI

Alcuni spunti dai principi italiani di valutazione per la valutazione delle azioni non quotate ai fini del recesso Il saggio, dopo aver analizzato il quadro giuridico di riferimento per la valutazione delle azioni in caso di recesso - così come esso risulta dopo la riforma organica del 2003 e il d.l. 91/2014 - si sofferma sulla valutazione delle azioni di società non quotate, prendendo in considerazione anche le indicazioni contenute nei principi italiani di valutazione. di Maria Di Sarli DIRITTO FALLIMENTARE

L’esecuzione anticipata dei concordati preventivi chiusi L’Autore considera le implicazioni derivanti dalla riforma dell’art. 163 bis e dell’art. 182 della legge fallimentare. Tali norme permettono, ora, l’esecuzione anticipata dei concordati preventivi chiusi anche prima del decreto di ammissione. l’ interesse dei creditori alla migliore soddisfazione è perseguito dal ricorso alle procedure competitive. L’investitore può procedere immediatamente all’acquisto dell’azienda e il debitore è costretto a prevedere incentivi per ottenere il voto favorevole dei creditori. Si conclude ritenendo la legittimità della esecuzione anticipata anche di fronte alla mancanza del piano e delle certificazioni, dal momento che i creditori sono garantiti, nella sostanza, dall’esperimento della procedura competitiva e, nella forma, dal sindacato di legittimità del Tribunale. di Silvio Tersilla COMMENTI A SENTENZE

La prededucibilità del credito dell’attestatore tra funzionalità e corretto adempimento L’Autore, muovendo da una pronuncia del Tribunale di Milano, esamina i criteri adottati dalla giurisprudenza ai fini della valutazione del credito del professionista attestatore in sede di ammissione al passivo, con particolare riferimento alle ipotesi di totale esclusione dallo stato passivo. di Gabriele Potenza

INDEX-ABSTRACT

IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 22/2016

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Pag.

STUDIES AND OPINIONS

Some reflections, starting point from the Italian Valuation Standards, on the appraisal of unlisted shares in case of withdrawal Essay, after analyzing the legal framework for the appraisal of shares in case of withdrawal according to the Italian Company Act of 2003 and the d.l. 91/2014, focuses on the appraisal of unlisted shares, taking into consideration the Italian Valuation Standars. di Maria Sarli

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BANKRUPTCY LAW

Anticipated implementation of closed “concordati preventivi” The author considers the implications of the reform of art. 163 bis and art. 182 of the legge fallimentare. These rules allow, now, the frontloading of concordati preventivi chiusi even before the decree acknowledging. The interest of the creditors to the best satisfaction is pursued by the use of competitive procedures. The investor can immediately proceed to the purchase of the company and the debtor is forced to provide incentives to obtain the favorable vote of creditors. Finally, it is believed that there is the legitimacy of frontloading also at the lack of plan and certifications, since lenders are guaranteed, in substance, from the experiment of the competitive process and, in the form, the judicial review of the Tribunale. by Silvio Tersilla

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COMMENTS ON JUDGMENTS

The credit of the financial attestor The Author, on the basis of a ruling from the Court of Milan, examines the criteria adopted by the jurisprudence for the inclusion of the credit of the financial attestor (insolvency practitioner) among the list of credits to be repaid, with a special focus on the possibility of total exclusion from the list of liabilities. by Gabriele Potenza

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STUDI E OPINIONI

IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 4/2016

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ALCUNI SPUNTI DAI PRINCIPI ITALIANI DI VALUTAZIONE PER LA VALUTAZIONE DELLE AZIONI NON

QUOTATE AI FINI DEL RECESSO

Il saggio, dopo aver analizzato il quadro giuridico di riferimento per la valutazione delle azioni in caso di recesso - così come esso risulta dopo la riforma organica del

2003 e il d.l. 91/2014 - si sofferma sulla valutazione delle azioni di società non quotate, prendendo in considerazione anche le indicazioni contenute nei principi italiani di

valutazione.

di MARIA DI SARLI 1. Premessa sull’evoluzione della disciplina del recesso. Alcune considerazioni introduttive sugli scopi da essa perseguiti, le quali incidono sulla configurazione di valore da assumere come riferimento per la valutazione. Le indicazioni contenute nei principi italiani di valutazione

I criteri per la determinazione del valore di rimborso delle azioni da riconoscere al socio allorché egli eserciti il diritto di recesso sono contenuti nell’art. l’art. 2437-ter, il quale detta anche alcune regole procedurali, che si aggiungono a quelle più analiticamente previste dall’art. 2437-quater.

I criteri legali di valutazioni non sono univoci: essi sono differenziati, a seconda che la società sia quotata oppure no.

Come è noto, la riforma organica del 2003 ha modificato incisivamente i criteri per la determinazione del valore di liquidazione delle azioni non quotate1: essi infatti

1 Sulla portata della riforma societaria del 2003 sull’ist ituto del recesso, tra l’ampia letteratura, si veda, in part icolare, M. VENTORUZZO, Recesso e valore della partecipazione nelle società di capitali, Milano, 2012, nonché, tra gli altri: V. CALANDRA BUONAURA, Il recesso del socio di società di capitali, in Giur. comm., 2005, I, 291; M. CALIFANO, Il recesso nelle società di capitali, Milano, 2010; M. CALLEGARI , Art. 2437 ter, in Il nuovo diritto societario, diretto da G. Cott ino, G. Bonfante, O. Cagnasso e P. Montalenti, Bologna, 2004, II, 1420; L. CAVALAGLIO , Art. 2437 ter, in Commentario Santosuosso, II, Milano, 2015, 1201; A. DACCÒ, Il recesso nelle s.p.a., in Le nuove s.p.a., diretta da O. Cagnasso, L. Panzani, Bologna, 2010, II, 1397; ID, Il recesso nelle società per azioni quotate tra esigenze dei mercati finanziari ed esigenze dell’attività imprenditoriale, in Società, banche e crisi d’imprese, Liber amicorum Pietro Abbadessa, Milano 2014, II, 1355; G. DE NOVA , Il diritto di recesso del socio di società per

STUDI E OPINIONI RECESSO: VALUTAZIONE DELLE AZIONI NON QUOTATE

IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 22/2016

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non sono più ancorati al bilancio d’esercizio redatto a valori storici bensì al valore economico della società, determinato tenendo conto della consistenza patrimoniale,

delle prospettive reddituali e dell’eventuale valore di mercato della stessa (art. 2437-ter, comma 2). Tale modello, peraltro, è derogabile: i soci, infatti, possono indicare nello statuto criteri diversi da quelli legali per la valutazione delle azioni (art. 2437-ter, comma 4).

Per quanto riguarda le società quotate, le innovazioni introdotte dalla riforma sono state meno significative: il legislatore del 2003, infatti, si è limitato a ribadire che il rimborso delle azioni deve essere effettuato sulla base del loro valore di borsa, ma non ha mancato di apportare alcune precisazioni in ordine all’applicazione della previsione di legge, che hanno risolto talune delle questioni interpretative che si agitavano nel vigore della disciplina anteriore2.

Modificazioni più signif icative, per le società quotate, si devono al d.l. 24 giugno 2014, n. 91, (convertito, con modificazioni dalla l. 11 agosto 2014, n. 116).

Tale provvedimento, in particolare, ha reso derogabile il modello legale di valorizzazione delle azioni quotate, espungendo dal comma 3 dell’art. 2437-ter, il riferimento alla sua “esclusività”3: adesso, infatti si ammette espressamente che lo statuto può prevedere che il valore delle azioni quotate sia determinato applicando il modello legale delle società non quotate, di cui al comma 2 oppure utilizzando dei criteri alternativi stabiliti nello statuto secondo quanto consentito dal comma 4, con il

azioni come opzione di vendita, in Riv. dir. priv., 2004, 329; V. DI CATALDO , Il recesso del socio nelle nuove società per azioni, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P. Abbadessa – G. B. Portale, 3, Torino, 2007, p. 217; G. FERRI

jr , Investimento e conferimento, Milano, 2001; G. GABRIELLI , La disciplina del recesso nel nuovo diritto societario, in Studiun Iuris, 2004, p. 729; D. GALLETTI , Art. 2437 ter, in Codice ipertestuale commentato delle società, a cura di N. Abriani, M. Stella Richeter, Milano, 2010, p. 1639; A. PACIELLO , Art. 2437 ter, in Il codice civile. Commentario, a cura di G. Niccolini, A. Stagno d’Alcontres, Napoli, 2004, II, p. 1125; M. STELLA RICHETER, Diritto di recesso e autonomia statutaria, in Riv. dir. comm., 2004, I, p. 389 e, da ult imo, F. ANNUNZIATA – M. DI

SARLI , Art. 2437 ter, in corso di pubblicazione, in Commentario alla riforma delle società, diretto da P. Marchett i, L. A. Bianchi, F. Ghezzi, M. Notari, Milano, da cui il presente scritto è tratto. 2 Per una ricognizione dei principali aspett i che caratterizzavano la disciplina previgente si rinvia ex multis a G. GRIPPO, Il recesso del socio, in Trattato delle società per azioni, diretto da G. E. Colombo e G. B. Portale, 6*, Torino, Utet, 1993, p. 133 ss. e a D. GALLETTI , Il recesso nelle società di capitali, Milano, 2000. 3 Su questo intervento normativo si vedano le osservazioni di: M. BINI , Il valore di liquidazione delle azioni di società non quotate a fini di recesso, in Società, 2014, supplemento al n. 11, p. 14; P. PISCITELLO, “Valore di disinvestimento” e tutela del recedente nelle società per azioni, in Riv. Soc., 2015, p. 835, ID, Art. 2437-ter, in AA .VV., Le società per azioni. Codice civile e norme complementari, diretto da P. Abbadessa e G. B. Portale, tomo II, Milano, 2016, 2533.

STUDI E OPINIONI RECESSO: VALUTAZIONE DELLE AZIONI NON QUOTATE

IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 22/2016

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limite, però, che al socio recedente non può essere riconosciuta una somma inferiore a quella che gli deriverebbe applicando il modello legale imperniato sui prezzi di

negoziazione delle azioni. Dunque, i due modelli normativi – per le società quotate e non – non viaggiano più su binari sempre paralleli: in alcune circostanze, infatti, essi possono intersecarsi e arrivare persino a coincidere. Grazie alla riforma del 2003 prima e al d.l. 91 del 2014, poi, quindi, si è ridotto il divario – tanto criticato4 - esistente nel sistema previgente fra il criterio di determinazione del valore delle azioni quotate - legato a parametri correnti e di mercato – e quello di valutazione delle azioni non quotate - ancórato, di contro, a parametri storici e contabili propri della disciplina del bilancio civilistico, ispirata, come è noto, a criteri prudenziali5. Nell’odierno sistema legislativo i due modelli hanno entrambi, seppur con diversa intensità, un certo grado di elasticità per rispondere ad una finalità unitaria: pervenire ad un valore di liquidazione delle azioni che sia attuale ed equo6.

4La disciplina previgente è stata oggetto, soprattutto in una prospett iva de iure condendo, di pesanti crit iche che hanno condotto anche a tentativi di censura costituzionale (respinti da Cass. 10.9.1974). Ciò che, soprattutto, veniva rilevato era il divario tra il criterio di valutazione delle azioni quotate - legato a parametri correnti e di mercato – e quello di valutazione delle azioni non quotate - ancorato, di contro, a parametri storici e contabili propri della disciplina ispirata a criteri prudenziali, del bilancio civilist ico. Cfr. anche per ulteriori riferimenti SIMONETTO, I bilanci, p. 44; G. FERRI, Recesso del socio e speciali ragioni di deroga ai criteri legali di valutazione nel bilancio di esercizio, in Riv. dir. comm., 1975, II, p. 134 ss.; GIANNATTASIO, Liquidazione, p. 1705 ss.; L. FENGHI, La riduzione del capitale, Milano, Giuffrè, 1974, p. 99 ss.; L. DE ANGELIS, Sui criteri di valutazione delle azioni al socio recedente, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1977, I, p. 1521 ss.; P. JOVENITTI, Scorporo e diritto di recesso: il caso delle società quotate, in Riv. soc., 1979, p. 640 ss.; R. ADANI, Rimborso delle azioni espropriate e art. 2437: profili di incostituzionalità, in Giur. Comm., 1982, II, p. 524; G. PRESTI, Questioni in tema di recesso nelle società di capitali, in Giur. comm., 1982, I, p. 112 ss.; G. GRIPPO, Il recesso del socio, in Trattato delle società per azioni, diretto da G. E. Colombo e G. B. Portale, 6*, Torino, Utet, 1993, p. 188 s. 5 Il bilancio d’esercizio redatto in applicazione delle regole civilist iche risulta inadeguato a far emergere il valore economico della società, esso infatt i trova la sua principale finalità nella determinazione dell’ut ile distribuibile. Cfr. sul punto G. STRAMPELLI, Art. 2423, in Del bilancio, in Le società per azioni. Codice civile e norme complementari, diretto da P. Abbadessa e G. B. Portale, Milano, 2016, p. 4 ss. 6 In questo senso, in part icolare: V. CALANDRA BUONAURA, Il recesso del socio, cit., p. 313; V. DI CATALDO , Il recesso, cit ., p. 234; M. CIAN , La liquidazione della quota del socio recedente al valore nominale (in margine ad una clausola statutaria in deroga ai criteri legali di valutazione delle azioni), in Riv. dir. Soc., 2010, I, p. 303; M. MAUGERI, H. FLEISCHER, cit , p,

STUDI E OPINIONI RECESSO: VALUTAZIONE DELLE AZIONI NON QUOTATE

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Attuale, nel senso che il valore delle azioni da riconoscere al socio recedente

deve rif lette il valore dell’azienda così come essa di presenta (in termini di struttura finanziaria, organizzazione manageriale, etc.) al momento della valutazione, senza cioè che in esso vengano “scontate” potenzialità e opportunità future dell’azienda7.

Equo, invece, nel senso che il valore di liquidazione delle azioni non deve comportare indebiti trasferimenti di ricchezza tra soci8.

A ben vedere, però, questa non è l’unica finalità che può essere assegnata alla disciplina in esame.

L’art. 2437-ter attribuisce agli amministratori il compito di determinare il valore di rimborso delle azioni del socio recedente, ma ancóra il loro operato all’ impiego di specifici canoni valutativi nella società non quotata e addirittura all’effettuazione di un calcolo meramente matematico in quella quotata. Essi dunque, in ipotesi di recesso, diversamente che nella fusione allorché devono determinare il rapporto di cambio (cfr. art. 2501-sexies)9, godono di una minore autonomia nella selezione e applicazione dei criteri di valutazione.

Nel caso del recesso, dunque, si ravvisa la precisa volontà del legislatore di contenere, entro un determinato perimetro, la discrezionalità tecnica degli amministratori. Esso è senz’altro consapevole che i modelli legali di valorizzazione hanno dei limiti nella ricerca del valore attuale delle azioni, tant’è che offre, in primo luogo, agli amministratori (delle società non quotate) margini di elasticità per “sistemare” il valore ottenuto in applicazione delle norme di legge e, in secondo luogo, ai soci la possibilità di derogarvi con una esplicita previsione statutaria. Ciò che appare essenziale però è che gli amministratori impieghino criteri predeterminati dalla legge o dallo statuto per tutelare l’affidamento dei soci e dei terzi dal rischio di arbitrarie e opportunistiche quantificazioni.

Ne consegue, dunque, che gli amministratori, nell’esercizio della loro discrezionalità tecnica, non possano spingersi fino ad utilizzare criteri “innominati”10 benché contemplati e generalmente accettati dalla prassi aziendalistica per la valutazione dell’azienda al di là dello scopo per il quale essa viene condotta.

89; P. PISCITELLO, “Valore di disinvestimento” e tutela del recedente nelle società per azioni, in Riv. Soc., 2015, p. 835. 7 Così correttamente M. BINI , Il valore, p. 20. 8 Sul punto ancora M. BINI, Il valore, p. 19. 9 Sull’ampiezza della discrezionalità tecnica degli amministratori nella determinazione del rapporto di cambio si rinvia all’ampia trattazione di L.A. Bianchi, La congruità del rapporto di cambio nella fusione, Milano, 2002, p. 176 ss. 10Per un’opinione contraria si vedano in part icolare M. MAUGERI, H. FLEISCHER, Problemi giuridici in tema di valutazione delle azioni de socio recedente: un confronto tra diritto tedesco e diritto italiano, in Riv. soc., 2013, p. 89.

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L’intrinseca discrezionalità tecnica che caratterizza ogni operazione valutativa, anche nel caso del recesso, è circoscritta mediante precisi vincoli, peraltro, in modo

non dissimile da quanto avviene in ipotesi di redazione del bilancio11. Anzitutto, un primo vincolo va individuato nello scopo stesso della valutazione: la determinazione del valore attuale dell’azienda nello stato in cui essa operativamente si trova al momento del recesso12. Questo obiettivo restringe il numero delle opzioni teoricamente disponibili per il valutatore il quale, per esempio, non potrà utilizzare metodi, considerare elementi, formulare ipotesi che conducano alla valorizzazione di benefici futuri dell’azienda13.

Può dunque affermarsi che ai f ini dell’attribuzione del valore alle azioni del socio recedente, il margine di soggettività lasciato agli amministratori risulta circoscritto “entro i limiti tra i quali può oscillare la stima fondata sulla veritiera assunzione di premesse di fatto e sull’applicazione obiettiva di criteri tecnicamente idonei”14 al conseguimento dello scopo perseguito con la valutazione. L’attività valutativa dunque non è squisitamente discrezionale: essa deve essere condotta con l’obiettivo/vincolo di addivenire ad un valore di rimborso delle azioni che sia equo nel senso più sopra precisato ed è per di più sorretta da (seppur laconiche) previsioni di legge nonché dalle indicazioni contenute nei principi italiani di valutazione (PIV), recentemente emanati dall’Organismo italiano di valutazione (ODV)15 ai quali può essere riconosciuta una funzione interpretativa e integrativa delle norme di legge in

11 Sui l imit i alla discrezionalità valutativa del redattore del bilancio si vedano le recenti note di G. STRAMPELLI, La valutazione del bilancio tra non veridicità (civile) e falsità (penale): spunti sulla punibilità dei falsi valutativi, in Riv. soc., 2016, p. 130 ss. 12 Cfr. ORGANISMO ITALIANO DI VALUTAZIONE – OIV, Principi italiani di valutazione - PIV, 2015, par. IV.6.3 ove si prevede che “ il valore intrinseco deve riferirsi all’impresa “as is” e non deve riflettere i benefici attesi dalle decisioni che hanno fatto scattare il recesso”. In quest’ott ima l’azienda deve essere valutata in una prospett iva di funzionamento e non di cessione. Così, correttamente, anche in giurisprudenza, cfr. Cass. 12 marzo 2014, n. 16168, in Giur. comm., 2015, II, p. 481 e in Giur. it, 2015, p. 119. 13 Cfr. M. BINI , Il valore, cit. p. 20 il quale, muovendo dalla convinzione che la configurazione di valore da assumere ai fini del recesso, sia quella del valore intrinseco, esclude l’applicabilità dei seguenti metodi di valutazione: a) fra i metodi patrimoniali, criteri che stimano i beni al valore di cessione, b) fra i metodi reddituali, il criterio delle opzioni reali o il DFC quando si basa su flussi di cassa a lungo termine; c) fra i metodi di mercato, il criterio dei mult ipli di transazioni comparabili. 14 Così, con riferimento alle st ime di bilancio, G. E. COLOMBO, Il bilancio di esercizio, in Trattato delle società per azioni, diretto da G. E. Colombo e G. B. Portale, 7*, Torino, 1994, p. 63. 15 I Principi italiani di valutazione, varati dall’Organismo Italiano di Valutazione nel 2015, sono consultabili sul sito www.fondazioneoiv.it.

STUDI E OPINIONI RECESSO: VALUTAZIONE DELLE AZIONI NON QUOTATE

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ragione della loro generale accettazione, alla stregua di quanto avviene per gli standard tecnici elaborati dall’Organismo italiano di contabilità (OIC) in materia di bilancio16.

Muovendo da queste prime osservazioni, per una corretta interpretazione dell’art. 2437-ter è necessario, inoltre, porre mente anche all’intero quadro normativo sul recesso, il quale è uscito profondamente rinnovato a seguito della riforma societaria del 2003 e del più recente intervento avvenuto ad opera del d. l. 24 giugno 2014, n. 91.

Come è stato già ampiamento osservato17, il legislatore del 2003 intervenendo sulla disciplina del recesso ha operato una vera e propria “rivoluzione” perché ha conferito all’istituto una funzione centrale nella dinamica dei rapporti fra i soci a fronte di un ruolo marginale che esso aveva invece nel sistema del 1942.

Nel sistema previgente, infatti, col timore di pregiudicare i creditori attraverso la liquidazione delle azioni ( la quale comportava, nella maggior parte dei casi, una riduzione del capitale sociale), il recesso, pur venendo riconosciuto - sul piano teorico - come un necessario strumento di tutela delle minoranze, di fatto, veniva relegato a soluzione di ultima istanza18, essendo esercitabile solo in casi molto limitati e, nelle società non quotate, come già ricordato, a condizioni economiche scoraggianti.

Il legislatore del 2003, per ovviare a questo problema, ha introdotto un nuovo procedimento di liquidazione delle azioni (art. 2437-quater), che limita l’impatto del recesso sulla consistenza patrimoniale della società e in tal modo ha impresso maggiore efficacia19 all’ istituto in esame quale strumento di tutela delle minoranze, avendone così

16 Invero l’OIV, diversamente dall’OIC non è (ancora) stato individuato ufficialmente come standard setter. L’art. 9-bis del d.lgs. n. 38/2005 prevede che l’OIC “emana i principi contabili nazionali, ispirati alla migliore prassi operativa, per la redazione dei bilanci secondo le disposizioni del codice civile”. In virtù di tale norma, tuttavia, i principi contabili elaborati dall’OIC non si può dire siano stati elevati a rango di legge. Essi restano cioè pur sempre principi tecnici con funzione integrativa e applicativa delle norme di legge alla stessa stregua dei PIV. 17Si veda, ex multis, anche per ulteriori riferimenti: C. ANGELICI, La società per azioni. Principi e problemi, in Trattato di diritto civile, diretto da A. Cicu – F. Messineo, L. Mengoni, continuato da P. Schlesinger, Milano, 2012, p. 62; V. DI CATALDO , Il recesso del socio di società per azioni, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P. Abbadessa – G.B. Portale, 3, Torino, 2007, p. 225 e M. VENTORUZZO, Recesso e valore della partecipazione nelle società di capitali, Milano, 2012, p. 62. 18 Per una ricognizione dei principali aspett i della disciplina previgente che segnavano i disfavore verso l’ist ituto del recesso si rinvia, nuovamente, a G. GRIPPO, Il recesso del socio, in Trattato delle società per azioni, diretto da G.E. COLOMBO – G.B. PORTALE, 6*, Torino, 1993, p. 133 ss.; D. GALLETTI , Il recesso nelle società di capitali, Milano, 2000, p. 259 ss. 19 Come è stato lucidamente affermato, infatt i, l’ut ilità pratica del recesso dipende in misura decisiva dalle condizioni di uscita, così M. MAUGERI – H. FLEISHER, Problemi giuridici, cit., p. 78.

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potuto, da un lato, ampliare le cause di esercizio, dall’altro, rimodulare i criteri di valutazione delle azioni.

Nel sistema attuale, dunque, il legislatore pur non frustrando le esigenze di tutela dei creditori, valorizza maggiormente l’interesse del socio di minoranza a sciogliere il vincolo corporativo e gli mette a disposizione uno strumento alternativo alla vendita delle azioni che, al verif icarsi di alcuni presupposti, gli consente di uscire dalla società a condizioni eque ossia scomputando la sua quota parte dal valore complessivo dell’azienda che egli ha contribuito a formare20.

Risulta fin d’ora evidente come la determinazione del valore di liquidazione delle azioni sia un’attività delicata e critica perché essa deve contemperare molteplici interessi21: quello del recedente a vedersi rimborsato il valore attuale delle azioni in una misura che gli r iconosca una congrua remunerazione dell’investimento a suo tempo effettuato; quello dei creditori e dell’istituto-impresa di evitare la dispersione del patrimonio sociale e quello degli altri soci a non attribuire al socio uscente un importo che superi il valore effettivo delle azioni, anche perché tale valore rappresenta, tralaltro, il prezzo al quale potranno acquistare i titoli ex art. 2437- quater, comma 122.

In definitiva e molto sinteticamente, il valore di rimborso deve essere fissato in una misura equa che non favorisca in modo ingiustificato né i soci che esercitano il recesso né quelli che restano nella società23, affinché non si dia luogo ad indebiti trasferimenti di ricchezza fra soci24.

L’insieme di tali premesse costituisce il quadro concettuale alla base della disciplina in esame, pertanto i problemi applicativi posti dall’art. 2437-ter devono essere risolti in coerenza con esso.

20 Cfr. le convincente dimostrazione di M. BINI , Il valore, cit., p. 19 ss. in ordine all’identificazione dell’oggetto della valutazione (l’azienda nel suo complesso) e alla configurazione di valore spettante al socio (il valore intrinseco) che deve consistere in un valore attuale e non in un valore potenziale. 21 La dottrina ha già messo in evidenza il ruolo “mult iforme” del recesso quale ist ituto che tutela una pluralità di interessi e persegue una molteplicità di scopi. Sul punto si rinvia a V. DI

CATALDO , Il recesso del socio di società per azioni, cit., p. 222 ss. e a C. FRIGENI, Partecipazioni in società di capitali e diritto al disinvestimento, Milano, 2009, p. 105 ss. 22 Cfr. M. BINI , Il valore di liquidazione delle azioni, p. 16; M. ROSSI, Sulla valutazione delle azioni in caso di recesso, in Corr. giur., 2013, p. 1405, con analoghe considerazioni riprese da P. PISCITELLO, “ Valore di disinvestimento” e tutela del recedente nelle società per azioni, in Riv. soc., 2015, p. 835 testo e nota 20. 23 Così molto efficacemente P. PISCITELLO, Ibidem, p. 841. 24 Sul punto molto chiaramente M. BINI , Il valore di liquidazione, cit., p. 14.

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2. Il quadro concettuale alla base della valutazione delle azioni non quotate

Con riferimento alle azioni non quotate, il secondo comma dell’art. 2437-ter dispone che il loro valore è determinato dagli amministratori, sentito il parere del collegio sindacale e della società di revisione legale25, tenuto conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali, nonché dell’eventuale valore di mercato.

In primo luogo, si può rilevale che, stante il tenore letterale dell’art. 2381, quella degli amministratori non è una competenza indelegabile sicché il compito di determinare il valore delle azioni del socio recedente può essere attribuito ad un organo delegato, eventualmente anche appositamente istituito26.

In secondo luogo, come già anticipato, la determinazione del valore di liquidazione delle azioni non è più calcolato “in proporzione del patrimonio sociale risultante dal bilancio dell’ultimo esercizio”, ma diviene frutto di un processo di stima che - sotto questo profilo - avvicina la disciplina delle società per azioni a quella propria delle società personali.

La norma non individua un criterio rigido di valutazione, per contro, come già più sopra evidenziato, non lascia neppure una delega “in bianco” agli amministratori i quali devono “tenere conto” di tre precisi parametri: la consistenza patrimoniale, le prospettive reddituali e l’eventuale valore di mercato della società.

La disposizione, dunque, si caratterizza per una certa elasticità: la determinazione del valore di liquidazione delle azioni non quotate, infatti, non consegue da una mera operazione matematica, ma costituisce il frutto di una complessa attività valutativa che lascia agli amministratori notevoli, seppur non illimitati, margini di discrezionalità27.

Il legislatore infatti non individua specificatamente dei criteri di valutazione, ma si limita ad indicare i canoni economico-aziendali cui ricondurre la valutazione. Da essi,

25Sebbene la norma non lo precisi, è da ritenere che si tratt i di due pareri dist int i e autonomi. Tuttavia, entrambi non hanno portata vincolante. I pareri in questione devono contenere, in part icolare, le osservazioni in merito all’adeguatezza dei metodi di valutazione adottati dagli amministratori, un giudizio in ordine alla loro corretta applicazione oltre ad una descrizione delle eventuali difficoltà incontrate dal sindaco o dal revisore nello svolgimento del proprio lavoro. Sul ruolo della società di revisione e sulla portata del parere reso dalla stessa si veda ASSIREVI, Il parere della società di revisione ai sensi dell’art. 2437-ter e ss. Del codice civile (esercizio del diritto di recesso da parte del socio). Documento di ricerca n. 189, marzo 2015, disponibile sul sito www.assirevi.it. 26 M. VENTORUZZO, Recesso e valore, cit., p. 66. 27 A. BALDISSERA – F. MANFRIN, La valutazione della partecipazione del socio recedente da società di capitali: incertezze, arbitrarietà, patologie, Brescia, 2011, p. 3. (Paper n. 124 disponibile all’indirizzo web: http://www.unibs.it/dipartimenti/economia-aziendale).

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quindi, gli amministratori devono poi trarre i metodi e desumere dei parametri (ad esempio il tasso di sconto, l’orizzonte temporale per l’attualizzazione o la

capitalizzazione delle grandezze) più aderenti alla voluntas legis28. Peraltro, quelli indicati non rappresentano tre diversi canoni di valutazione fra

loro alternativi né può dirsi esistente fra gli stessi un rapporto gerarchico29: si tratta invece di tre criteri-quadro, tre elementi di giudizio di cui gli amministratori devono “tenere conto”, attraverso un meccanismo di “calibrazione incrociata” degli stessi30 al fine di individuare il valore attuale della società da cui uno o più soci stanno recedendo. A ben vedere, la relazione esistente fra i tre approcci valutativi selezionati dal legislatore è quella di reciproco controllo. Essi, infatti, se applicati correttamente, e cioè con una prospettiva uniforme e, precisamente, nel caso di specie, con l’obiettivo (comune) di determinare il valore attuale dell’azienda così come essa operativamente si presenta al momento della valutazione, dovrebbero condurre a risultati non troppo difformi l’uno dall’altro31, andando a individuare una “fascia di valori” tutti ragionevolmente attribuibili all’azienda oggetto di valutazione.

In linea teorica, infatti, i tre diversi approcci valutativi “dovrebbero fornire indicazioni utili ad un progressivo avvicinamento dei valori stimati”32. Se, tuttavia, permangono divari importanti fra i risultati derivanti dall’applicazione dei tre approcci,

28 Così, efficacemente A. BALDISSERA – F. MANFRIN, La valutazione della partecipazione, p. 3. 29 In questo ordine di idee in part icolare V. DI CATALDO , Il recesso del socio nelle nuove società per azioni, cit ., p. 225 seguito anche da A. BALDISSERRA, L’economicità e la giuridicità del recesso nella s.r.l., Padova. 2012, p. 72 e P. PISCITELLO, “ Valore e disinvestimento”, cit, p. 845. In giurisprudenza il principio è stato affermato da Trib. Roma 5 marzo 2013, in Riv. dir. comm., 2013, II, p. 343, con nota di A. PACIELLO. 30In questo senso: M. BINI , Il valore, p. 21. Tale operazione appare diversa da quella suggerita da M. VENTORUZZO, Recesso e valore, cit., p. 70 il quale prospetta invece l’impiego di una vera e propria operazione matematica e più precisamente una media ponderata, che consenta agli amministratori, di dare diverso peso ai risultati ottenuti impiegando i tre diversi metodi di valutazione (patrimoniale, reddituale e di mercato). Negano l’ammissibilità di procedere ad una media ponderata dei risultati cui conducono i singoli metodi di valutazione elencati dall’art. 2437-ter, comma 2 M. MAUGERI, HOLGER FLEISCHER, Problemi giuridici, cit., p. 92 i quali sostengono che la ponderazione conduce inevitabilmente ad una diluizione del valore della partecipazione rispetto all’ipotesi di applicazione esclusiva del metodo più congruo in base alla situazione concreta, con pregiudizio del socio recedente. Invero la ponderazione non porta necessariamente ad una diluizione del valore piuttosto ad una “normalizzazione” dello stesso. Il metodo di valutazione prescelto per esempio potrebbe condurre ad un valore più basso rispetto ai metodi “scartati” e quindi attraverso la ponderazione si avrebbe un incremento e non certo una diluizione del valore che a ben vedere si tradurre in un pregiudizio per i soci non recedenti, che pure vanno tutelati. 31 M. BINI , Il valore, cit. p. 21. 32 M. BINI , Ibidem.

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gli amministratori devono fissare il valore di rimborso delle azioni sulla base dei risultati ottenuti con il criterio che nel caso di specie è maggiormente in grado di

“catturare” il valore attuale delle società in quanto alimentato da input più affidabili o caratterizzato da minori difficoltà applicative33.

In questa prospettiva, appare evidente come il legislatore, oltre ad aver selezionato i criteri-quadro di valutazione a cui gli amministratori debbono rifarsi, ha anche dettato un metodo di lavoro che gli stessi devono seguire. E’ da ritenere, infatti, che gli amministratori - anche laddove le circostanze del caso suggeriscano di determinare il valore delle azioni sulla base del r isultato derivante dall’applicazione di uno solo dei metodi di valutazione legali34 - debbano comunque effettuare sempre sia la stima patrimoniale sia quella reddituale e quando possibile acquisire il valore di mercato.

In definitiva, gli amministratori non solo devono compiere il processo di valutazione, ma sono anche tenuti a “tracciare” le fasi di tale processo e a giustificare sotto il profilo economico le scelte lasciate alla loro disponibilità. Si tratta, quindi, di rendere ripercorribile e dunque verificabile il processo di formazione del valore di rimborso delle azioni.

Seppure con una soluzione non del tutto meccanicistica, la linea di tendenza appare chiara: se, infatti, non si può negare che nell’applicazione del criterio legale di valutazione delle azioni non quotate sia implicito un margine di discrezionalità, è pur vero che tale discrezionalità non è assoluta, ma è connotata, da un lato, da precisi criteri tecnici di cui gli amministratori devono tener conto e, dall’altro, dall’ imposizione di un’ineludibile e precisa procedura di valutazione. Si delinea così una garanzia minimale offerta dal legislatore, in particolare, al socio recedente.

Infatti, la circostanza che la valutazione non sia affidata ad un valutatore esterno e indipendente, ma agli amministratori35 fa sì che essi siano portati a fissare il valore di

33 M. BINI , Ibidem. 34 Per esempio la dottrina rit iene che nel caso delle società immobiliari, delle holding pure di partecipazione, delle imprese in fase di start-up di quelle inatt ive il metodo di valutazione più appropriate è quello patrimoniale semplice. In tal senso si vedano in part icolare: M.

CARATOZZOLO, Criteri di valutazione delle azioni del socio recedente nella s.p.a. (I parte), in Società, 2005, p. 1217; M. REBOA, Criteri di stima delle azioni in caso di recesso del socio: alcune riflessioni sull’art. 2437-ter, cod. civ., in Dialoghi tra aziendalisti e giuristi, a cura di M. Notari, Milano, 2009, p. 403; M. MAUGERI, H. FLEISCHER, Problemi giuridici, cit., p. 90. 35 Cfr. le osservazioni di P. M. IOVENITTI, Il nuovo diritto di recesso: aspetti valutativi, in Riv. Soc., 2005, p. 461 il quale giustifica l’attribuzione della competenza in esame nel testo agli amministratori in ragione del fatto che essi sono i soggett i presuntivamente più informati circa il valore dell’azienda.

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rimborso delle azioni in una misura capace, per un verso, di r idurre al minimo la fuoriuscita di capitali dall’impresa e, per altro verso, di scongiurare impugnazioni36.

In tale ottica, nel processo di valutazione in oggetto è stata individuata una forma di contrattazione implicita37, confermata anche dalla numerosità dei soggetti che partecipano ex lege allo stesso: gli amministratori, il collegio sindacale, il soggetto incaricato della revisione legale e l’esperto nominato dal Tribunale, in caso di contestazione38.

3. I parametri valutativi della “consistenza patrimoniale”, delle “prospettive

reddituali” e dell’ “eventuale valore di mercato” Per determinare il valore di liquidazione delle azioni, l’opzione del legislatore è

stata quella di rinviare, seppur implicitamente, ai principali canoni di valutazione elaborati dalle scienze e prassi economico-aziendali39.

Gli amministratori nella selezione e applicazione delle numerose metodologie di valutazione devono perseguire l’obiettivo di assicurare ai soci - recedenti e non - la liquidazione delle azioni ad un valore attuale ed equo: tale scopo individua la configurazione di valore posta alla base della valutazione sicché esso, come si è già più sopra evidenziato, rappresenta, allo stesso tempo, l’obiettivo e il vincolo dell’attività valutativa degli amministratori.

Tale attività ha ad oggetto l’azienda nel suo complesso benché la norma in commento richieda che il valore sia espresso per azioni. Ricavare questo dato però è operazione assai agevole, almeno nel caso in cui la società abbia emesso un’unica tipologia di azioni ed in assenza di obbligazioni convertibili, warrant ed altre opzioni. Basta infatti dividere il valore dell’azienda risultante dalla stima per il numero di azioni emesse.

Identificare l’unità oggetto di valutazione nell’azienda implica alcune conseguenze metodologiche: i) non sono applicabili né premi di maggioranza, né sconti di minoranza40; ii) diversamente, sono invece da considerare sconti riferibili alle

36 Sul punto, già nel vigore della previgente disciplina, M. NOTARI, Diritto di recesso in caso di fusioni e scissioni, in La disciplina delle società quotate nel testo unico della finanza d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, a cura di P. Marchett i - L.A. Bianchi, Milano, 1999, 1150 osservava come il rimborso al socio receduto non dia luogo ad una piena soddisfazione dell’interesse ad ottenere il valore effett ivo, ma ad una composizione tra tale interesse e quello degli altri soci a proseguire l’att ività d’impresa. 37 In questo senso A. BALDISSERRA – F. MANFRIN, La valutazione, cit., p. 3. 38 Sul ruolo e le funzioni dei diversi soggett i coinvolt i nel procedimento di valutazione delle azioni ex art. 2437-ter si rinvia a P. M. IOVENITTI, Il nuovo diritto di recesso, cit ., p. 461. 39 Cfr. L. GUATRI – M. BINI , La valutazione delle aziende, Milano, 2007. 40 Nello stesso ordine di idee la dottrina prevalente seppur sulla base dell'assunto che la valutazione va effettuata entro i quindici giorni che precedono la data fissata dall’assemblea, in

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peculiarità dell’azienda nel caso specifico (es. per dipendenza da persona chiave, per mancanza di liquidità, etc.)41

Detto ciò, il primo parametro di riferimento del procedimento valutativo previsto dal secondo comma dell’art. 2437-ter c.c. è rappresentato dalla “consistenza patrimoniale” che deve essere determinata applicando metodi di valutazione di tipo “patrimoniale”. Gli studiosi di materie aziendali hanno elaborato diverse varianti di tale metodo i quali dipendono essenzialmente dalle molteplici configurazioni di costo che possono essere assunte per la (ri)valutazione degli asset aziendali42, essi tuttavia hanno in comune il fatto che la stima prende avvio dall’individuazione delle singole attività e passività che compongono il patrimonio. Sotto tale profilo, il primo problema che viene in rilievo è la possibilità o meno di tenere conto di “utilità produttive” di cui l’azienda gode, ma che non risultano iscritte in bilancio43. Si tratta essenzialmente degli intangible autogenerati, e quindi, in primo luogo, dell’avviamento.

Il dubbio che il legislatore abbia voluto escludere tale grandezza dalle attività suscettibili di valorizzazione deriva dal contenuto della Relazione illustrativa al d.lgs. n. 6 del 2004, la quale menziona esplicitamente l’avviamento solo con riferimento ai criteri di valutazione statutari, alternativi a quelli legali, prevedendo che di esso possa tenersi conto, se statutariamente previsto44.

un momento in cui quindi ancora non è noto l’identità di chi recede e conseguentemente l’entità della sua partecipazione. Sul punto si veda in part icolare M. VENTORUZZO, Recesso, p. 116, ove ulteriori riferimenti alla dottrina conforme. A. TOFFOLETTO, La valutazione delle azioni, cit., p. 27 osserva inoltre come il riconoscimento di valori di rimborso differenziati penalizzerebbe i piccoli azionisti, in contrasto con gli scopi perseguit i dalla disciplina di cui agli artt. 2437 ss. volta proprio a favorire il disinvestimento di tali soggett i. Invece, in giurisprudenza, per ora, si registra una soluzione affermativa, v.: Trib. Roma, 5 marzo 2013, in Riv. dir. comm., 2013, con nota contraria di A. Paciello. 41 Sul punto più analit icamente ORGANISMO ITALIANO DI VALUTAZIONE , Principi italiani di valutazione, par. IV.6.1., p. 316. 42 Per alcuni esempi circa le diverse tecniche di misurazione del valore dei beni aziendali si rinvia a M. VENTORUZZO, Recesso e valore, p. 73. 43 Sotto tale profilo possiamo distinguere tra un metodo patrimoniale “semplice” che prende in considerazione il solo valore del capitale netto rett ificato e un metodo patrimoniale “complesso”, che tenga altresì conto, oltre al capitale netto rett ificato, anche del valore complessivo dei componenti patrimoniali non contabilizzati, nonché dell’avviamento. Per una disamina dei diversi criteri di valutazione così come elaborati dalla dottrina aziendale si rinvia, in luogo di molt i, a: I. GREZZINI, La valutazione delle imprese industriali in funzionamento. Analisi comparata dei metodi di stima del “capitale economico” d’azienda, Padova, 2005, pp. 43-44. 44 Per tali osservazioni si veda M. CALLEGARI , Commento agli artt. 2437-2437 ter – 2437 sexies, in M. Sandulli - V. Santoro (a cura di), La riforma delle società, Torino, 2003, p. 1425.

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Tale interpretazione però frustra l’obiettivo di fondo della disciplina ossia

determinare un valore attuale di liquidazione delle azioni che assicuri la parità di trattamento fra i soci prescindendo dal tipo o dal grado di apertura al mercato della società45.

L’avviamento, non solo nella letteratura aziendale, ma anche in quella giuridica è considerato il delta di valore positivo (goodwill) o negativo (badwill) rispetto alla sommatoria dei singoli valori patrimoniali dei beni che compongono l’azienda che è essenzialmente riconducibile alla capacità della stessa di produrre un profitto46.

Sulla base di tali considerazioni l’avviamento viene ormai pacificamente conteggiato per la valorizzazione della quota di liquidazione del socio receduto da società di persone47. Nelle società quotate esso, invece, risulta implicitamente “scontato” nei prezzi di negoziazione.

Escludere l’avviamento dal computo del valore economico dell’azienda condurrebbe a contraddire gli scopi che il legislatore ha voluto perseguire con la riforma della disciplina del recesso nei termini più sopra accennati, ma soprattutto ci pare che un siffatto modo di procedere condurrebbe ad un errore metodologico: posto che l’avviamento riflette la capacità reddituale dell’impresa di esso non potrà non tenersi conto almeno nell’ambito della valorizzazione delle prospettive reddituali dell’azienda48 così come richiesto espressamente dalla legge.

Le “prospettive reddituali” infatti rappresentano la seconda evidenza di cui tenere conto nel procedimento di valutazione previsto dall’art. 2437-ter, c.c.

Più precisamente, ci pare che i primi due criteri che devono guidare il processo valutativo compiuto dagli amministratori, rappresentati dalla «consistenza patrimoniale» e dalle «prospettive reddituali» della società, proprio attraverso l’anello di congiunzione dell’avviamento, suggeriscano, di fatto, l’impiego di metodi di valutazione cosiddetti «misti» patrimoniali-reddituali, nelle loro diverse possibili varianti49. Come ha ben

45 Già A. GRAZIANI , Diritto delle società, 5ª ed., Napoli, 1963, p. 342 rilevava come circostanze estrinseche (come ad esempio la quotazione) non avrebbero dovuto avere rilevanza ai fini della determinazione dei diritt i patrimoniali del socio recedente. 46 G. F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale. 1. Diritto dell’impresa, Torino, 2000, p. 136. 47Nella giurisprudenza più recente si vedano: Cass. 16 gennaio 2009, n. 1036, in Foro it., 2010, I. 214; Cass. 4 settembre 1999, n. 9392, in Giur. Comm., 1999, 1906; Cass. 11 febbraio 1998, n. 1403, in Riv. dir. Comm., 1999, p. 106; Cass. 2 agosto 1995, n. 8470, Giur. It., 1996, I, 1, p. 470; Cass., 10 luglio 1993, n. 7595, in Foro it., 1994, I, p. 2210. 48Per queste osservazioni M. VENTORUZZO, Recesso e valore, cit., p. 77. 49 Cfr. L. GUATRI – M. BINI , La valutazione delle aziende, Milano, 2007, p. 441 ove si osserva che i parametri valutativi di cui all’art. 2437- ter c.c. si traducono “sul piano minimale:

a. nel ricorso al modello misto patrimoniale-reddituale, dove il calcolo, ne è il caso, si svilupperà considerando anche il valore di intangibili specifici;

b. nel ricorso alla valutazione patrimoniale, integrata dalla verifica reddituale.

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chiarito la più meditata dottrina50, tali metodi mirano “ad esprimere il valore di un’azienda attraverso una media aritmetica o ponderata tra il valore che emergerebbe

applicando un criterio patrimoniale “puro” e quello che risulterebbe dal ricorso a metodi reddituali”.

In altre parole, i due valori derivanti uno dall’applicazione del metodo patrimoniale e l’altro del metodo reddituale non sono assunti stand alone: gli amministratori infatti, nella prospettiva di fissare il valore di rimborso delle azioni in una misura equa nei termini più sopra descritti, devono “tenere conto” di entrambi i risultati e sulla base di essi pervenire ad un giudizio composito.

Ciò che invece non pare ammissibile è che gli amministratori, a priori, non effettuino del tutto la stima con il metodo patrimoniale oppure con il metodo reddituale51. Essi, infatti, prima di fissare il valore di liquidazione delle azioni, devono necessariamente acquisire tutti gli elementi di giudizio richiesti dalla legge e nella prospettiva di favorire la ripercorribilità del processo valutativo, ne devono illustrare tutti i passaggi. A norma dell’art. 2437-ter, comma 2, per completare il processo di valutazione, gli amministratori devono tenere conto altresì dell’“eventuale” valore di mercato delle azioni. Trattandosi di società non quotate, il legislatore, opportunamente, non dà per scontato che tale valore sia disponibile per gli amministratori, peraltro anche laddove le azioni siano state oggetto di negoziazioni in un periodo prossimo a quello in cui è stato esercitato il recesso, è possibile che gli amministratori non siano a conoscenza del prezzo al quale le azioni sono state scambiate considerato che tali operazioni nelle società che stiamo considerando non sono soggette a forme di pubblicità52.

Gli amministratori, dunque, nell’eventualità in cui abbiano a disposizione anche tale elemento sono obbligati a tenerne conto. E pare ragionevole l’opinione di chi ritiene che gli amministratori siano tenuti a “pesare” questo dato anche quando derivi da sporadiche o addirittura isolate operazioni di compravendita anziché da una serie sistematica e continuata di negoziazioni53. La dimensione del volume degli scambi

Le combinazioni consigliate prevedono inoltre la considerazione, in aggiunta e per ambedue le ipotesi precedenti, della prova dei moltiplicatori impliciti. Questo completamento del processo valutativo adempie anche all’obbligo di tenere conto, indirettamente, del valore di mercato delle azioni”. 50 M. VENTORUZZO, Recesso e valore, cit, p. 84. 51 Diversamente M. MAUGERI, H. FLEISCHER, Problemi giuridici, cit., p. 92 ritengono che gli amministratori non abbiano l’obbligo di applicare contestualmente tutt i i metodi evocati dall’art. 2437-ter, c.c. 52 M. VENTORUZZO, Recesso e valore, cit., p. 90. 53 M. VENTORUZZO, Recesso e valore, cit., p. 89. Di diverso avviso G. FERRI JR – G. GUIZZI , In tema di recesso ex art. 2497 quater lett. c., c.c., in Società, 2014, supplemento al n. 11, p. 49 i

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tuttavia non è una variabile del tutto irrilevante, essa, infatti, va ad incidere sul grado di signif icatività del prezzo pertanto gli amministratori dovranno tenerne conto durante il

processo di valutazione54. Più controversa invece appare la possibilità, in assenza di una specifica previsione statutaria, di impiegare metodi di valutazione non espressamente contemplati dal legislatore oppure dallo statuto, come per esempio il metodo finanziario55. Il dubbio, come anticipato in premessa, non risiede in una presunta inadeguatezza del criterio, ma piuttosto nella convinzione che sia necessario tutelare l’aff idamento dei soci (recedenti e non) e dei creditori circa l’utilizzo di metodi di valutazione predeterminati dalla legge oppure dallo statuto56 al fine di ridurre il rischio di arbitrarie e opportunistiche quantificazioni. Considerata dunque la complessità di tradurre in termini numerici tutti i dati sui quali gli amministratori devono fondare il loro giudizio potrebbe aversi una notevole discrasia temporale fra la data alla quale è riferita la stima e quella in cui avviene il deposito della relativa relazione. In tale periodo potrebbero verificarsi degli eventi capaci di rendere la stima del valore delle azioni non più attuale57. Quando gli eventi sopravvenuti incidono sulla valutazione in modo rilevante il rimedio attivabile è quello della contestazione di cui al comma 6 della norma in commento58: in tal caso però la nuova perizia è effettuata non più dagli amministratori, ma da un esperto nominato dal Tribunale. Tuttavia, si ritiene che, anche nell’inerzia dei soci, in presenza di eventi straordinari, un aggiornamento della perizia sia comunque quali ritengono che il valore di mercato rileva ai fini della valutazione della quota del socio recedente solo quando le azioni siano state oggetto di negoziazione in misura rilevante. 54 M. VENTORUZZO, Ibidem. 55 Tra gli altri M. REBOA, Criteri di stima, cit., p 403; A. M. BISCOTTI, Il diritto di recesso nelle società di capitali alla luce della novella legislativa. Alcune considerazioni civilistiche, economiche e contabili, Roma, 2007, p. 29; M. MAUGERI – H. FLEISHER, Problemi, cit., p. 90. 56 Di diverso avviso P. PISCITELLO, “Valore di disinvestimento”, cit., p. 845 il quale valorizza, invece, la necessità di pervenire al valore reale delle azioni. 57 Diversa questione è invece quella relativa alle conseguenze del recesso oppure al rilievo di operazioni societarie future che hanno legitt imato il recesso sul valore della quota di liquidazione di cui pare preferibile non tenere conto. In questo senso sia M. VENTORUZZO, Recesso e valore, p. 114 sia P. PISCITELLO, “ Valore di disinvestimento”, p. 844, nt. 27 il quale cita per la giurisprudenza conforme App. Venezia, 21 aprile 2009, in Giur. comm., 2011, II, 133 e – per una posizione contraria - Trib. Siena 27 settembre 2006, in Giur. comm., 2008, II, 197 secondo cui, in pendenza del termine per l’esercizio dell’opzione, è necessario considerare la diluizione della quota di partecipazione che si realizza per effetto della sottoscrizione solo da parte degli altri soci. 58 Così M. BIONE, Informazione ed exit: brevi note in tema di recesso nella s.p.a., in Il nuovo diritto delle società: liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P. Abbadessa - G. B. Portale, III, Torino, 2007, p. 209.

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necessaria59 e in tal caso il compito spetta agli amministratori, anche in virtù di un generale principio di diligenza.

4. Individuazione del momento al quale riferire la valutazione

L’individuazione del momento al quale riferire la valutazione è rilevante perché incide sui dati disponibili per la stima60 e pertanto sarebbe opportuno che essa non venisse lasciata alla discrezionalità tecnica degli amministratori61, ma si basasse su criteri uniformi.

Al riguardo, sembra necessario distinguere il caso in cui il recesso consegua ad una delibera assembleare da casi diversi da quest’ultimo.

Nel primo caso, l’obbligo – posto a carico degli amministratori – di depositare la valutazione nei quindici giorni precedenti la deliberazione comporta, giocoforza, che il quindicesimo giorno antecedente la deliberazione stessa vada assunto come momento di riferimento per la valutazione: ciò può apparire strano là dove, in realtà, tale momento non coincida né con quello dell’assunzione della decisione che legittima il recesso, né con quello in cui il recesso produce effetto. D’altronde, alla luce del sistema disegnato dal legislatore, la conclusione non sembra possa essere diversa: non può essere anteriore, in quanto non vi è nessun altro riferimento, prima del termine per il deposito, al quale ancorare la valutazione; non può essere successivo, giacché gli amministratori non possono tenere in considerazione fatti che si verificano dopo il momento in cui sono tenuti a depositare il valore di liquidazione. Nel caso in cui gli amministratori si debbano discostare da tale regola saranno tenuti evidenziarne le ragioni e spiegare come la scelta compiuta non abbia conseguenze distorsive sul risultato della valutazione62.

Allorché il recesso prescindesse da una deliberazione assembleare, l’alternativa che si pone consiste, essenzialmente, nello stabilire se il momento debba coincidere: (i) con quello in cui si verifica il fatto; (ii) con quello dell’invio della dichiarazione di recesso, ovvero (iii) con quello in cui la dichiarazione viene ricevuta dalla società e dunque produce i propri effetti. Stante il silenzio della norma, la soluzione sembra da

59 Del resto questa è la soluzione accolta anche per le perizie redatte ai fini di una fusione (e scissione) oppure di un conferimento. Cfr. in part icolare sulla necessità di aggiornamento della perizia al verificarsi di casi eccezionali: L. A. BIANCHI, Problemi in tema di conferimento di rami d’azienda costituiti da sportelli bancari, in Bilanci, operazioni straordinarie e governo dell’impresa, Milano, 2013, p. 305; M. ANGELONI, Conferimenti in natura – validità temporale della relazione peritale prevista dall’art. 2343 del codice civile, in Impresa comm, ind., 2000, p. 1000. 60 Cosi il Conceptual framework dell’ORGANISMO ITALIANO DI VALUTAZIONE -OIV, Principi italiani di valutazione, p. 39. 61 A. TOFFOLETTO, La valutazione di azioni e quote in caso di recesso: note a margine del contributo di Mauro Bini, in Società, 2014, Supplemento n. 11, p. 26. 62 A. TOFFOLETTO, Ibidem.

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ricercare nei principi generali e, in particolare, pare discendere dalla natura ricettizia della dichiarazione di recesso: dunque, il momento di riferimento della valutazione

dovrà individuarsi nel giorno in cui la dichiarazione è ricevuta dalla società, e il recesso può dirsi efficace63. A tale regola generale, fa eccezione, però, il caso in cui la legge o lo statuto abbiano stabilito un termine di preavviso: in questo caso la dichiarazione produce i suoi effetti soltanto allo spirare dello stesso64. 5. Sulla permanenza dell’obbligo di redigere un apposito bilancio

Come già più sopra anticipato, l’art. 2437-ter non fa più esplicito riferimento al bilancio dell’ultimo esercizio65, ma si riferisce, invece, alla “consistenza patrimoniale della società” e alle sue “prospettive reddituali”: è però indubbio che il bilancio rappresenti un ineludibile punto di partenza del processo valutativo funzionale alla stima patrimoniale o mista patrimoniale-reddituale.

In tale ambito occorre, tuttavia, stabilire quale sia il bilancio da assumere a riferimento per il processo di valutazione. La soluzione della questione deve essenzialmente ricercarsi nella nuova impostazione che sembra emergere dall’art. 2437-ter, in base alla quale l’attività degli amministratori dovrebbe condurre all’individuazione di un valore di liquidazione che rifletta, in qualche misura, il valore «intrinseco» della società.

Orbene, soprattutto se il fatto che legittima il recesso si verifica in una data non ravvicinata rispetto alla data di riferimento dell’ultimo bilancio approvato, tale ultimo bilancio potrebbe non essere significativo, e non riflettere adeguatamente la “consistenza patrimoniale” della società; ma anche se si dispone di una situazione più recente, è da ritenere che essa vada comunque aggiornata, o rettificata, per tener conto di eventi successivi e/o dell’utile o della perdita in corso di formazione. Sembra allora plausibile ritenere che gli amministratori debbano predisporre, nell’ambito del processo

63 Per una diversa opinione, si veda M. VENTORUZZO, Recesso, cit., p. 109 il quale rit iene che quando il recesso si fonda su un “ fatto” e non su una deliberazione assembleare, il valore di rimborso delle azioni deve essere determinato facendo riferimento, caso per caso, al momento nel quale il presupposto (del recesso) risulta verificato. 64 In questo senso T. Roma, 24 maggio 2010. L’impostazione è accolta da A. TOFFOLETTO, La valutazione, cit., p. 26, il quale dist ingue l’ipotesi del recesso da una società contratta a tempo indeterminato o nella quale sia stata pattuita la clausola di recesso ad nutum in cui la data di efficacia del recesso e quindi di riferimento della valutazione coincide con il momento della completa decorrenza del preavviso. 65 La nozione di “bilancio dell’ult imo esercizio” ha sollevato qualche difficoltà interpretativa, la cui ricostruzione conserva una valenza puramente storica: si vedano comunque, da ult imo, le precisazioni di Cass. 22 aprile 2002, n. 5850, Foro It., 2003, I, p. 266; precedentemente Trib. Milano 2 maggio 1996, Foro it.1998, I, 262. In dottrina, per tutt i, G. GRIPPO, Il recesso, cit., p. 187.

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di valutazione, un documento contabile straordinario66, “aggiornato” al momento di riferimento della valutazione67.

Più precisamente si tratta di un bilancio c.d. straordinario68, sotto due distinti profili: quello temporale, perché è infrannuale nel senso che non è redatto in coincidenza della chiusura dell’esercizio, ma del momento al quale è riferita la valutazione; e quello valutativo perché è redatto con criteri diversi r ispetto al bilancio d’esercizio in quanto, in coerenza con l’obiettivo di determinare il valore attuale delle azioni del socio recedente, scopo di tale bilancio non è misurare il patrimonio netto contabile bensì quello economico della società69, in una prospettiva di funzionamento70

66 Con riferimento all’art. 131 TUF, già si è ritenuto, peraltro, che il bilancio dell’ult imo esercizio debba essere sostituito con il bilancio di fusione o scissione, redatt i ai sensi dell’art. 2501-ter, ove riferito ad una data successiva: così M. NOTARI, Commento, p. 1142; contra, però, G. GRIPPO, Il recesso, cit ., p. 194. La conclusione appare tanto più valida nel nuovo sistema, nel quale i criteri legali di valutazione vanno indubbiamente verso un’approssimazione maggiore al valore “effett ivo” della partecipazione del recedente: è dunque senz’altro da preferirsi, come punto di partenza del processo di valutazione, un bilancio più aggiornato a quello dell’ult imo esercizio. 67 Non è forse del tutto inutile osservare come la nuova soluzione normativa si avvicini anche alla posizione di coloro che, nel vigore della disciplina previgente, avevano tentato di sostenere l’applicabilità delle “speciali ragioni” di deroga dei criteri di valutazione delle poste di bilancio, per “correggere” il dato normativo dell’art. 2437 riferito alla valutazione delle azioni non quotate (in questo senso in part icolare G. B. PORTALE, I bilanci straordinari delle società per azioni, in Riv. soc., 1978, p. 305 e E. SIMONETTO, I bilanci, Padova, 1972, p. 318. Il tentativo era però stato immediatamente contrastato dalla giurisprudenza per il semplice motivo che il ricorso alle speciali ragioni non può ritenersi ammissibile per soddisfare esigenze proprie di alcuni soci soltanto: si vedano, in merito, Cass. 10 settembre 1974; App. Milano, 25 gennaio 1972. In dottrina fra gli altri: G. GRIPPO, Recesso del socio, valutazioni di bilancio e tutela delle minoranze nelle società di capitali, in Giur. it., 1974, I, p. 865 ss; P. JAEGER, Deroghe alle valutazioni “legali” di bilancio in presenza di “speciali ragioni”, in Giur. comm., 1974, p. 21; M. VENTORUZZO, La disapplicazione obbligatoria delle disposizioni sul bilancio, in AA . VV. (a cura di) L. A. Bianchi, La disciplina giuridica del bilancio d’esercizio, Milano, 2001, p. 73; M. NOTARI, Commento art. 131, cit, p. 1142. 68 Sulla nozione di bilancio straordinario si veda M. CONFALONIERI, Bilanci e operazioni straordinarie, Milano, 2000. 69 Cfr. A. M. BISCOTTI, Il diritto di recesso nelle società di capitali alla luce della novella legislativa. Alcune considerazioni civilistiche, economiche e contabili, Roma, 2007, p. 21 il quale osserva come l’attuale dicitura “consistenza patrimoniale della società” rispetto a quella previgente che faceva riferimento al patrimonio risultante dall’ult imo bilancio d’esercizio sembra perseguire la finalità di tenere conto dei valori reali del patrimonio e non di quelli meramente contabili. 70 Come spiega efficacemente M. BINI , Il valore, cit ., p. 20 “sono da escludere i criteri che stimano il valore delle att ività operative sulla base del valore di cessione separata sul mercato”.

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e non di cessione della stessa71. In tale ottica, in primo luogo, in esso devono figurare tutte le attività (ad esempio gli intangible, primo fra tutti l’avviamento) e le passività

(ad esempio le passività potenziali non iscritte in bilancio in quanto aventi una probabilità di manifestazione inferiore al 50%) non presenti nel bilancio civilistico, ma suscettibili di incidere sul valore attuale dell’azienda e, in secondo luogo, le diverse poste sono iscritte al valore attuale anziché al costo storico.

Tale bilancio ha rilievo meramente interno, peraltro esso non avendo lo scopo di misurare il reddito prodotto con la gestione non si compone anche del conto economico e né pare della nota integrativa. Si ritiene opportuno però che esso sia corredato da una relazione illustrativa degli amministratori in cui vengono specificati e descritti i criteri da essi utilizzati per la sua redazione72.

La valutazione deve essere effettuata in una prospett iva di funzionamento dell’azienda in ragione delle sue concrete condizioni operative. 71 Nel senso di determinare il valore della società nella prospett iva di una ipotetica cessione V.

CALANDRA BUONAURA, Il recesso del socio, cit., 316. 72 Sul punto si veda M. CARATOZZOLO, Criteri di valutazione delle azioni del socio recedente di s.p.a. (II parte), in Società, 2005, p. 1346, ma già anteriormente alla riforma M. CONFALONIERI, Bilanci, cit., p. 246.

DIRITTO FALLIMENTARE (A CURA DI LUCIANO PANZANI )

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L’ESECUZIONE ANTICIPATA DEI CONCORDATI PREVENTIVI CHIUSI

L’Autore considera le implicazioni derivanti dalla riforma dell’art. 163 bis e dell’art. 182 della legge fallimentare. Tali norme permettono, ora, l’esecuzione anticipata dei concordati preventivi chiusi anche prima del decreto di ammissione. l’interesse dei

creditori alla migliore soddisfazione è perseguito dal ricorso alle procedure competitive. L’investitore può procedere immediatamente all’acquisto dell’azienda e il debitore è costretto a prevedere incentivi per ottenere il voto favorevole dei creditori. Si

conclude ritenendo la legittimità della esecuzione anticipata anche di fronte alla mancanza del piano e delle certificazioni, dal momento che i creditori sono garantiti,

nella sostanza, dall’esperimento della procedura competitiva e, nella forma, dal sindacato di legittimità del Tribunale.

di SILVIO TERSILLA

1. Introduzione

La lettura dell’ennesima riforma della legge fallimentare è complessa perché incide sugli interessi di ciascuna parte coinvolta dalla composizione della crisi. Sicuramente la posizione dell’ impresa in crisi appare la più delicata: l’ introduzione di “soglie” e l’abrogazione del “silenzio assenso” rende sicuramente più difficile l’omologazione dei concordati preventivi.

Ad ogni modo, sostenere che i concordati preventivi saranno omologati con più difficoltà non vuol dire che gli stessi non saranno più proposti, né che non siano più un valido strumento per la composizione della crisi. La riforma, infatti, ha introdotto delle norme che chiaramente agevolano la cessione dell’azienda dell’impresa in crisi a prescindere dall’esito dell’omologazione.

Si prenda il tipico caso dell’aff itto d’azienda con proposta di acquisto. Ebbene, le norme della riforma prevedono ora che il trasferimento dell’azienda si può realizzare immediatamente con un acquisto incondizionato perfezionato durante la fase del pre-concordato. La riforma ha, quindi, anticipato gli effetti dell’esecuzione del concordato preventivo chiuso, permettendo la cessione dell’azienda a partire dalla fase del pre-concordato, a prescindere dalla sua omologazione. L’espletamento della procedura competitiva, tesa a perseguire la migliore soddisfazione dei creditori, e il decreto di autorizzazione del Tribunale rappresentano, rispettivamente, requisiti di sostanza e di forma idonei a riconoscere stabilità agli effetti della cessione anche in una successiva

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procedura fallimentare che nasca dalla mancata presentazione della proposta di concordato o dalla sua mancata omologazione.

2. Le norme pre-riforma e la nuova procedura competitiva Il presente scritto si occupa del cosiddetto concordato “chiuso” ovvero di una

proposta di concordato il cui piano si basa su un contratto di affitto accompagnato da una proposta ferma d’acquisto 1. Il largo uso del concordato “chiuso” dipende dalla circostanza che lo stesso risponde alle esigenze dei principali attori della proposta concordataria: il debitore e l’ investitore. Il contratto di affitto con proposta ferma di acquisto, anche se stipulato prima del deposito del pre-concordato, ma in vista della soluzione concorsuale, permette al debitore ed all’investitore di preservare l’avviamento dell’azienda, senza privare l’imprenditore della titolarità dell’azienda. La cessione del bene si inserisce, infatti, all’interno di una procedura di concordato preventivo dove, in definitiva, sono i creditori, prima, ed il tribunale, poi, a decidere le sorti dell’azienda. In un contesto siffatto, se il concordato è approvato ed omologato l’azienda è ceduta all’investitore; diversamente, il debitore può essere dichiarato fallito e, ferma restando l’efficacia del contratto di affitto (fino al relativo scioglimento che può essere invocato dal curatore), l’azienda può essere ceduta a terzi nell’ambito di un procedimento competitivo.

1 La dottrina parla di “schema collaudato” (Mauro Vit iello, Vendite concorsuali e offerte concorrenti: la fine dell’era delle proposte di concordato chiuse, in www.ilfallimentarista.it). La numerosa giurisprudenza in materia ha conosciuto il contributo di molt i T ribunali italiani, a riprova di quanto sia comune nella prassi il concordato preventivo “chiuso”. La giurisprudenza ha avuto modo di interessarsi allo schema predetto al fine di valutare se lo stesso possa rientrare nella fatt ispecie del c.d. concordato con continuità aziendale, previsto dall’art. 186-bis L.F. Secondo Tribunale Monza 11 giugno 2013 in www.ilcaso.it , “Il contratto di affitto d’azienda è compatibile con lo strumento del concordato con continuità aziendale quando è propedeutico alla successiva cessione dell’azienda funzionante all’affittuario, cessione che, deve, pertanto, essere prevista come obbligatoria nella proposta di concordato”. In tal senso, Tribunale Roma 24 marzo 2015 in www.ilcaso.it ; T ribunale di Bolzano 10 marzo 2015; Tribunale Avezzano 22 ottobre 2014 ivi; Tribunale Cassino 31 luglio 2014, ivi; Tribunale Crotone 29 ottobre 2013 ivi; Tribunale di Bolzano 27 febbraio 2013 ivi. In senso contrario, Tribunale Terni 28 gennaio 2013 ivi; Tribunale Ravenna 22 ottobre 2014 ivi. Laddove al contratto di affitto non segua una proposta di acquisto, alcuni tribunali ritengono che il piano concordatario sia comunque di continuità (Tribunale Avezzano 22 ottobre 2014 ivi; Tribunale di Vercelli 13 agosto 2014 ivi) e quindi sarebbe applicabile l’art. 186-bis L.F.; altri invece, ritengono che, in assenza della cessione d’azienda, il concordato rappresentato dal solo contratto d’affitto abbia natura liquidatoria e, pertanto, non applicherebbe l’art. 186-bis L.F. (Tribunale Rimini 1 ottobre 2015 ivi; Tribunale Patt i 12 novembre 2013 ivi).

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Ciò che in tale struttura crea “disagio” nelle aule di giustizia e tra i creditori è la natura “chiusa” di tali operazioni 2. Vale a dire il fatto che tali operazioni precostituite dal debitore e dall’ investitore si sottraggono al mercato della crisi e tale sottrazione può pregiudicare gli interessi dei creditori. Se da un lato è vero che i creditori possono, non approvando il concordato, determinare il fallimento dell’imprenditore, è pur vero che è difficile (se non inutile 3) per il curatore sciogliersi dal contratto d’affitto se, alla fine, l’affittuario è il candidato migliore per acquistare l’azienda dal fallimento. In altre parole, dopo diversi mesi dalla stipula del contratto d’affitto, è difficile trovare nel mercato un investitore interessato ad alterare gli interessi già composti dal debitore e

2 Senza dubbio il caso che più di altri ha affrontato il tema del possibile conflitto, all’interno di un concordato chiuso, tra il debitore e l’investitore, da una parte, e la tutela dei creditori al miglior soddisfacimento possibile, dall’altra parte, è stato quello che ha avuto ad oggetto la procedura di concordato preventivo della Fondazione San Raffaele. Si riportano qui i passi salienti del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo del Tribunale di Milano 28 ottobre 2011 (in Fallimento, 2012, p.84) ove il tema viene affrontato “Deve poi darsi atto che l’Ufficio del PM ha segnalato in senso critico il conflitto d’interessi a suo dire sussistente fra il consiglio di amministrazione della Fondazione e gli Investitori, essendo questi ultimi componenti di tale organo gestorio, direttamente o per interposto rappresentante. Osserva il Tribunale che tale soggiacente conflitto d’interessi, per quanto allo stato rilevabile solo sub specie di situazione astratta e potenziale perché ancora non sfociata in atti ed effetti già percepibilmente pregiudizievoli per la Fondazione e/o per i suoi creditori, possa in effetti gettare un velo d’ombra sulle modalità con cui il piano concordatario è stato disegnato proprio in funzione e sulla falsariga dell’offerta formulata dai suddetti Investitori. Non è dubbio, del resto, che la Fondazione, anziché limitarsi a ricevere e veicolare poi tal quale, all’esterno e ai fini concordatari, l’offerta irrevocabile d’acquisto formulata dagli Investitori, l’abbia subito “accettata” già prima di proporre il concordato, così facendola propria ed estendendo a se stessa il relativo contenuto obbligatorio. In tal modo, lungi dall’utilizzare l’offerta unilaterale irrevocabile all’acquisto (delle azioni della costituenda NewCo) proveniente dai terzi Investitori - e quindi impegnativa solo per questi ultimi - quale semplice forma di garanzia utile (solo) a dimostrare la serietà e fattibilità della proposta cessione dei beni ai creditori secondo la prescelta forma tecnica di configurazione del concordato, la Fondazione ha di fatto “blindato” tale offerta (quanto meno in parte, restandone fuori, infatti, solo gli assets non soggetti a conferimento in NewCo e da liquidare quindi in capo ad OldCo), conformando su di essa la propria proposta concordataria sulla base di un biunivoco collegamento strutturale e funzionale”. Nonostante questo conflitto “astratto e potenziale” la Fondazione San Raffaele è stata ammessa al concordato ma, nell’ambito della procedura, si è comunque svolta una procedura competit iva e l’offerta “blindata” è stata superata da un’offerta concorrente che ha soddisfatto i creditori in misura maggiore dell’originaria proposta (Trib. Milano 10 maggio 2012, in www.ilfallimentarista.it). 3 Si considerino, per esempio, le responsabilità del fallimento in caso di retrocessione dell’azienda con riferimento alla solidarietà nei rapporti di lavoro (Tribunale Cassino 31 luglio 2014 in www.ilcaso.it).

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dall’investitore in sede di ammissione al concordato. L’obiettivo del legislatore della riforma è stato quindi quello di “rafforzare” la posizione dei creditori, così riequilibrando il rapporto tra investitore e debitore, da un lato, e creditori, dall’altro, prima della riforma sbilanciato a favore dei primi.

Il legislatore della riforma, infatti, sembra aver dato per assunto che il concordato “chiuso” sia una composizione che possa ledere l’interesse dei creditori. Questo può accadere ogniqualvolta l’investitore ed il debitore si accordino per la cessione dell’azienda ad un prezzo inferiore rispetto a quello che potrebbe offrire il mercato. Poiché tale accordo difficilmente potrà essere scardinato dai creditori, il legislatore ha voluto riequilibrare la struttura “chiusa” dei concordati mediante il ricorso alle procedure competitive 4.

Il legislatore, in sostanza, ha quindi voluto tradurre in pratica un principio che il precedente legislatore aveva introdotto in alcune norme 5 e da cui si è desunto un principio generale per il concordato preventivo 6: “ la migliore soddisfazione dei creditori”. La procedura competitiva è uno strumento che realizza l’interesse alla migliore soddisfazione dei creditori 7. Nel caso in cui vi sia un’offerta migliorativa rispetto a quella originaria, il proponente di tale offerta migliorativa sarà assegnatario del bene; diversamente, nel caso non vi sia un’offerta migliorativa rispetto a quella originaria, quest’ultima deve necessariamente essere considerata come l’unica offerta disponibile e quindi la migliore offerta per i creditori.

Grazie alla sollecitazione di offerte concorrenti, l’eventuale f inale aggiudicazione dell’azienda all’originario investitore non potrà essere ritenuta pregiudizievole per i creditori: se il mercato non ha manifestato interesse per l’azienda, allora la soluzione proposta dal debitore non può ritenersi pregiudizievole per i creditori anche se

4 Luciano Panzani, Le alternative al fallimento. Il concordato e gli accordi di ristrutturazione dopo il d.l. 83/2015, in Il Nuovo Diritto delle Società, 21/2015 p. 24. 5 Ci si riferisce alla legge 7 agosto 2012 n. 134 che ha convertito con modifiche il decreto legge 22 giugno 2012, n. 83. L’espressione “miglior soddisfacimento dei creditori” è stata introdotta nell’art. 182-quinques, primo comma, L.F., in tema di finanziamenti prededucibili; nell’art. 182-quinques, quinto comma, L.F., in tema di pagamento di credit i anteriori e, infine, nell’art. 186, comma secondo, lett. b), L.F., in tema di concordati con continuità aziendale. 6 Adriano Patt i, Il miglior soddisfacimento dei creditori: una clausola generale per il concordato preventivo, in Fallimento, 2013 p. 1099. Si veda anche in tal senso Appello Venezia 30 gennaio 2014 in www.ilcaso.it . 7 In un unico caso riscontrato è stata autorizzata la cessione d’azienda ex art. 161, comma 7, L.F. (Tribunale di Padova 6 marzo 2015, in www.ilcaso.it). Nel decreto il Tribunale ha anticipato il contenuto della riforma affermando che la migliore tutela degli interessi dei creditori si realizza nella procedura competit iva “che di regola deve comunque precedere la vendita a soggetto determinato”.

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l’originario investitore ha avuto e continua ad avere un qualche interesse nel salvataggio della società in crisi.

Ne consegue che, anche se non è detto che per effetto dell’applicazione delle nuove norme non si avranno più concordati “chiusi”, sicuramente i concordati “chiusi” sono oggi aperti alla concorrenza8.

3. Il processo competitivo e l’intervento del socio o degli amministratori Occorre ora analizzare la posizione del socio e degli amministratori che

intervengono direttamente o indirettamente (i.e. di concerto con un investitore terzo) con una proposta di acquisto d’azienda nel concordato chiuso. Infatti, nel caso di un intervento diretto del socio o dell’amministratore si potrebbe argomentare che l’offerta per l’azienda sia al di sotto del prezzo di mercato, essendo nell’interesse del socio o dell’amministratore di offrire il prezzo più basso possibile; ugualmente, nel caso dell’intervento di un investitore, di concerto con il socio o l’amministratore, si potrebbe argomentare che l’offerta per l’azienda non riconosca ai creditori il prezzo di mercato perché parte di questo valore viene corrisposto al socio o all’amministratore per garantirsi il loro supporto.

Il ricorso alle procedure competitive supera queste argomentazioni. Il mercato, infatti, saprà dire qual è il valore effettivo dell’azienda e se il socio o l’amministratore, eventualmente in accordo con l’investitore hanno offerto troppo poco; in ogni caso, i creditori saranno comunque soddisfatti dalla offerta (se del caso concorrente) di maggior valore.

D’altro canto, privare i creditori del possibile intervento del socio o dell’amministratore può pregiudicare irrimediabilmente i loro interessi. Spesso nella realtà questi sono gli unici soggetti a credere nell’azienda tanto da organizzarne il salvataggio tramite il concordato chiuso oppure possono essere indispensabili per la futura gestione dell’azienda a tal punto che, colui che fornisce i capitali per l’acquisto della medesima, non potrebbe prescindere dal loro supporto.

Grazie alle offerte concorrenti la pregiudiziale nei confronti del socio o dell’amministratore viene meno: questi possono essere investitori o partecipare all’investimento nella misura in cui la propria proposta sia, all’esito della procedura competitiva, la migliore possibile sul mercato.

La0 preclusione dell’intervento del socio nella ristrutturazione dell’impresa in crisi non potrebbe essere peraltro neanche ricavata dal terzo e dal quarto comma dell’articolo 165 L.F. Nel disciplinare le informazioni che il commissario giudiziale fornisce ai creditori, il terzo comma richiamato prevede che “In ogni caso si applica il divieto di cui all’articolo 124, comma primo, ultimo periodo”. Al quarto comma, nel disciplinare le offerte concorrenti, l’art 165 citato richiama la disciplina del terzo comma e quindi

8 Mauro Vit iello, in op. ult. cit.

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anche l’art. 124, comma prima, ultimo periodo che prevede: “[La proposta di concordato fallimentare] non può essere presentata dal fallito, da società cui egli partecipi o da società sottoposte a comune controllo se non dopo il decorso di un anno dalla dichiarazione di fallimento e purché non siano decorso due anni dal decreto che rende esecutivo lo stato passivo”.

In buona sostanza, dal combinato disposto dei due commi dell’art. 165 L.F. considerati sembra esclusivamente discendere una preclusione per i soggetti indicati nell’articolo 124 L.F. a proporre proposte concorrenti ed offerte concorrenti. In altre parole, ai soggetti indicati nell’articolo 124 L.F. è riconosciuto il dir itto di partecipare per primi al salvataggio dell’ impresa in crisi ma non è concesso loro di partecipare successivamente al salvataggio qualora la proposta e l’offerta di un terzo sia stata originariamente fatta propria dal debitore con lo schema del concordato chiuso.

In altre parole, il gruppo a cui partecipa l’impresa in crisi ha il diritto di fare la prima offerta o di presentare la prima proposta. Nel caso in cui nessuna società del gruppo abbia esercitato tale diritto e, quindi, la prima offerta o la prima proposta sia stata presentata da un terzo, nessuna società del gruppo potrà partecipare agli ulteriori rilanci. La ratio di tale norma è evidente: evitare che una società del gruppo dell’impresa in crisi possa strumentalmente utilizzare la proposta concorrente o l’offerta concorrente per rendere la contendibilità dell’azienda in crisi più difficoltosa 9.

Anche una lettura della norma nel modo prospettato appare in ogni caso poco coerente con la collocazione della stessa all’interno della previsione riguardante le informazioni. Forse sarebbe stato opportuno inserire tale norma nel corpo delle disposizioni sulle offerte concorrenti. Ad ogni modo, tale collocazione potrebbe trovare una giustificazione qualora volesse ritenersi che i soggetti destinatari del divieto sono soggetti che, in quanto appartenenti al gruppo della società in crisi, possono agevolmente avere accesso alle informazioni e che, pertanto il commissario giudiziale non sia tenuto a fornire a tali soggetti informazioni acquisibili autonomamente.

Un’interpretazione di tal genere non solo sembra essere coerente con il testo della norma ma anche con i principi della riforma: un’eventuale preclusione nei confronti del socio, quale esponente del gruppo di imprese che, per esperienza, è tra i soggetti più interessati al salvataggio della impresa in crisi potrebbe pregiudicare i creditori dal momento che quest’ultimi sarebbero privati della “base d’asta” che i Tribunali normalmente utilizzano per la sollecitazione dei terzi investitori. 9 Anche una lettura della norma nel modo prospettato appare in ogni caso poco coerente con la collocazione della stessa all’interno della previsione riguardante le informazioni. Forse sarebbe stato opportuno inserire tale norma nel corpo delle disposizioni sulle offerte concorrenti. Ad ogni modo, tale collocazione potrebbe trovare una giustificazione qualora volesse ritenersi che i soggett i destinatari del divieto sono soggett i che, in quanto appartenenti al gruppo della società in crisi, possono agevolmente avere accesso alle informazioni e che, pertanto il commissario giudiziale non sia tenuto a fornire a tali soggett i informazioni acquisibili autonomamente.

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4. I creditori al voto della proposta di concordato chiusa Prima della riforma il voto dei creditori sulla proposta “chiusa” aveva un oggetto

immediato e uno mediato. L’oggetto immediato era la “proposta”, la soddisfazione percentuale offerta dal debitore; l’oggetto mediato era la proposta di investimento chiusa alla base del piano 10. Infatti, con il voto negativo i creditori non solo rigettavano la proposta di soddisfazione ma anche la proposta di investimento alla base del piano concordatario. I l voto era anche il momento in cui i creditori, con l’ausilio della relazione del commissario giudiziale, valutavano la proposta di investimento sottoposta dal terzo.

Ad ogni modo, anche se i creditori avessero rigettato la proposta di concordato chiusa, come si è già avuto modo di evidenziare, nel successivo fallimento, molto probabilmente, l’aff ittuario avrebbe comunque acquistato l’azienda nell’ambito della procedura competitiva fallimentare: dopo diversi mesi dalla stipula del contratto d’affitto era difficile trovare nel mercato un investitore interessato ad alterare gli interessi già composti dal debitore in sede di ammissione al concordato acquisendo una azienda che di fatto già apparteneva all’affittuario.

Si è anche dato atto del fatto che la soggezione dei creditori rispetto al concordato preventivo chiuso è stata completamente ribaltata dal legislatore della riforma: se, di fatto, prima i creditori erano in balia del debitore in concordato, oggi, di fatto, il debitore in concordato è in balia dei creditori.

A seguito della riforma, una volta esperito il processo competitivo prima della votazione e venduti i beni al migliore offerente, i creditori non avranno più interesse alla proposta di investimento “chiusa” ma solo alla proposta di soddisfazione del loro credito. Ebbene la relazione del commissario giudiziale non può affermare che il concordato preventivo è più conveniente del fallimento. Gli attivi ormai liquidati sono gli stessi a seconda che vengano distribuiti nel concordato o in un fallimento 11. Sebbene tutta la composizione sia stata realizzata ed abbia perseguito la migliore soddisfazione dei creditori, questi ultimi non sono incentivati ad approvare la proposta di concordato.

Avendo il creditore raggiunto la soddisfazione che gli sarebbe stata comunque riconosciuta nel fallimento, gli difetterebbe un reale interesse a sostenere la proposta di concordato. La situazione diventa assai più grave per il debitore se si considera che la

10 Si veda Cassazione Sezioni Unite del 23 gennaio 2013 n. 1521 in Fallimento, 2013, p. 149 dove si afferma che “Nella procedura di concordato preventivo, la valutazione prognostica in ordine alla fattibilità del piano, presupposto della convenienza economica della soluzione concordataria il cui giudizio spetta esclusivamente ai creditori, non compete al giudice, in nessuna delle varie fasi in cui è potenzialmente chiamato ad intervenire. 11 Il fallimento sarà più conveniente del concordato ogniqualvolta nella relazione del commissario giudiziale si evidenzi la possibilità, per il curatore del fallimento, di realizzare ulteriore att ivo da azioni revocatorie o di responsabilità verso gli organi gestori non disponibili in sede concordataria.

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riforma ha abrogato il principio del “silenzio assenso”. Spetta quindi al debitore creare dei meccanismi incentivanti che possano indurre i creditori ad approvare il concordato. Soccorre in tal caso la postergazione di crediti o la “nuova finanza” condizionate all’omologazione del concordato. Si tratta di impegni che sono messi a disposizione solo ed esclusivamente dei creditori del concordato (e non sarebbero disponibili ai creditori del fallimento), che dovrebbero quindi incentivare i creditori a votare favorevolmente il concordato onde evitare di avere una minore soddisfazione nel successivo fallimento .

5. L’interesse al buon esito della procedura di concordato preventivo e l’ “utilità” del socio

Nello scenario appena descritto affermare che il concordato preventivo è più conveniente per i creditori rispetto al fallimento equivale a dire che il concordato preventivo è più costoso per il debitore. Infatti, come si vedrà meglio in seguito, l’investitore è normalmente interessato all’acquisto dell’azienda al prezzo che risulta dalla procedura competitiva e non all’omologazione del concordato; il suo acquisto dell’azienda, infatti, non sarebbe pregiudicato dal successivo fallimento del debitore. L’investitore (come i creditori di cui si è detto nel precedente paragrafo) non ha interesse al buon esito della procedura concordataria. L’unico soggetto che ha interesse all’omologazione del concordato è quindi il debitore che potrebbe preferire evitare il danno reputazionale derivante dalla dichiarazione di fallimento. In questo senso l’interesse del debitore si allinea con l’interesse del socio, anch’esso potenzialmente allarmato del danno reputazionale.

Se allora il soggetto interessato al buon esito della procedura di concordato preventivo è il debitore o il suo socio, è su tali soggetti che ricade, di fatto, l’onere economico necessario per facilitare il buon esito della procedura di concordato preventivo.

Ebbene, tale onere economico è controbilanciato dall’“utilità” che nei concordati chiusi è talvolta riconosciuta al socio dall’investitore. Può accadere, infatti, che nei concordati chiusi, sebbene la soddisfazione dei crediti del socio della società in crisi sia normalmente subordinato alla soddisfazione dei creditori di quest’ultima, allo stesso sia riconosciuta una qualche “utilità” da parte dell’investitore, vale a dire una partecipazione nella nuova società o un contratto di consulenza con una convenzione para-concordataria.

L’“utilità” non attiene pertanto ai beni dell’impresa in crisi, che sono destinati alla esclusiva soddisfazione dei creditori. L’“utilità” di cui si sta discutendo e che il socio persegue rappresenta il corrispettivo per un suo proprio e specifico “impegno” rispetto all’investimento. Non è raro il caso in cui, senza il contributo del socio, remunerato con una partecipazione nella società acquirente dell’azienda o con un contratto di consulenza, l’azienda aggiudicata all’investitore non avrebbe avuto il valore che la

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stessa è stata in grado di liquidare. Se così non è, ovvero se il contributo del socio non ha un apprezzabile valore economico, è evidente che l’offerta concorrente sarà in grado di prevalere sulla offerta chiusa attribuendo l’“utilità” in sede di r ilancio ai creditori piuttosto che al socio.

Nel concordato chiuso di cui si discute si ipotizza la cessione dell’azienda. Il debitore, quindi, r isponde con il suo patrimonio per i debiti contratti 12. Inoltre mediante la procedura competitiva la società in crisi liquida l’azienda nel miglior modo possibile destinando il r icavato ai creditori. Il debitore risponde con i propri beni dei propri debiti ed il socio non interferisce sulla liquidazione dal momento che il prezzo si forma in un contesto competitivo.

In conclusione si può ritenere che il principio di responsabilità patrimoniale del debitore non è pregiudicato dall’“utilità” riconosciuta al socio. Alla luce di quanto detto è auspicabile che i concordati “chiusi” siano oggi più trasparenti evitando di ricorrere come è (stata) la prassi prevalente a società ed amministratori “schermo” al fine di evitare “pregiudizi” che il sistema pre-riforma non permetteva di gestire.

6. L’investitore e l’acquisto immediato Fino all’entrata in vigore della riforma lo schema del contratto d’affitto e della

proposta ferma d’acquisto era un interessante strumento per l’investitore che desiderava entrare in possesso dell’azienda. Ovviamente l’investitore desiderava avere il titolo sull’azienda e la necessità di aspettare l’omologazione rendeva lo strumento meno attraente. Il trasferimento differito della titolarità dell’azienda era considerato un rischio: nel tempo necessario al trasferimento si potevano manifestare pretese di terzi.

Diverse erano le ragioni del differimento del trasferimento. Si è considerato come i creditori, in assenza di un meccanismo che assicurasse loro la migliore soddisfazione, avessero interesse a esprimere il loro voto sulla proposta di concordato e, in ultima analisi, sulla proposta di investimento sottesa al piano concordatario. Ebbene, alla luce della procedura competitiva tale interesse si è ridimensionato: il creditore ha la certezza che l’azienda del debitore sarà venduta al migliore offerente.

All’immediato trasferimento del bene si opponeva, inoltre, l’incertezza relativa alla solidarietà passiva del cessionario per i debiti dell’azienda ceduta. Infatti, la vecchia formulazione dell’art. 182 L.F., comma quito, prevedeva l’applicazione degli articoli da 12 La violazione dell’art. 2740 c.c. sembra rilevante solo nel caso dei concordati liquidatori (Tribunale Roma 5 marzo 2013 in Giur. Merito, 2013, 1817, n. Filippi e Tribunale Roma 25 luglio 2012 in Fallimento, 2013, 748, n. Trentini), infatt i dal momento che nei concordati in continuità si consente al proponente di accedere ad una liquidazione solo parziale e di perseguire nell’esercizio prospettando un pagamento ai creditori con gli ut ili derivanti dalla prosecuzione di quell’impresa (Tribunale Vibo Valentia 7 marzo 2013 in Corti Calabresi, 2013, 599 n. Caruso).

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105 a 108-ter L.F. solo alle cessioni di beni in esecuzione di un concordato omologato. In altre parole, prima della riforma, l’esclusione dalla solidarietà passiva prevista dall’art. 105, comma quarto, L.F. (“Salva diversa convenzione, è esclusa la responsabilità dell’acquirente per i debiti relativi all’esercizio delle aziende cedute, sorti prima del trasferimento”) poteva essere invocata dall’investitore solo per le cessioni avvenute successivamente al decreto di omologa.

L’acquisto dell’azienda prima del decreto di omologazione comportava il r ischio per l’investitore della assunzione del debito dell’impresa in crisi relativo all’azienda ceduta, ai sensi di quanto previsto dall’art. 2112, comma secondo, e dall’art. 2560, comma secondo, c.c. 13. La mancanza di un’espressa previsione di legge che estendesse l’esclusione della solidarietà passiva nella fase precedente all’omologa rappresentava un freno all’ immediato acquisto della titolarità dell’azienda e, in ultima analisi, alla migliore soddisfazione dei creditori.

La riforma ha modificato tale principio prevedendo nell’art. 182, comma quinto, L.F. che “Alle vendite, alle cessioni e ai trasferimenti legalmente posti in essere dopo il deposito della domanda di concordato o in esecuzione di questo si applicano gli articoli da 105 a 108-ter in quanto compatibili”. Dal nuovo dettato legislativo risulta pertanto evidente che l’acquirente non è responsabile dei debiti dell’azienda ceduta anche nel caso in cui tali cessioni sono effettuate prima dell’omologa e comunque dopo il deposito del pre-concordato.

La migliore soddisfazione dei creditori garantita dalla procedura competitiva e l’acquisto dell’azienda priva di debiti determina un allineamento di interessi tra i creditori e l’investitore verso un’operazione che sia immediatamente efficace anche prima dell’ammissione alla procedura di concordato. Inoltre l’investitore potrà immediatamente acquistare il titolo ed il possesso sull’azienda ceduta evitando i rischi derivanti dal periodo transitorio dell’affitto. Sembra quindi ragionevole ritenere che nel futuro si assisterà a concordati preventivi in cui la fase della liquidazione verrà anticipata quanto più possibile.

13 Si veda in dottrina Giuseppe Bozza, La vendita dell’azienda nelle procedure concorsuali, Ipsoa Informatica, 1988, p. 194: “Il problema riguarda particolarmente l’applicabilità degli artt. 2560, comma secondo e 2112 comma secondo, Codice Civile, ed, a mio avviso la normativa sulla sorte dei debiti è, in via astratta, compatibile con il concordato”. Unico provvedimento giurisprudenziale contrario alla ricostruzione appena proposta T . Torino, 25 gennaio 2000, in Giur. it ., 2001, 552, secondo cui “In caso di cessione di azienda avvenuta durante la procedura concorsuale del concordato preventivo non trova applicazione la regola secondo cui l’acquirente dell’azienda risponde dei debiti inerenti l’esercizio dell’azienda ceduta se essi risultano dai libri contabili obbligatori”.

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7. L’autorizzazione alla cessione d’azienda nel pre-concordato L’art. 161, comma 7, L.F. prevede che dopo il deposito della domanda di pre-

concordato e fino al decreto di ammissione “il debitore può compiere gli atti urgenti di straordinaria amministrazione previa autorizzazione del tribunale, il quale può assumere sommarie informazioni e deve acquisire il parere del commissario giudiziale, se nominato”.

Mentre la norma sembra richiedere al debitore la redazione di un’istanza ove, nell’illustrare l’operazione straordinaria, viene soprattutto indicata la ragione di “urgenza”, la giurisprudenza più conservativa ha ritenuto necessaria che, oltre all’istanza, vi siano “le necessarie attestazioni dei professionisti …; diversamente ragionando l’automatismo nella concessione del beneficio sospensivo unitamente alla pendenza del termine per il deposito del piano di concordato con le relative attestazioni in merito, conferirebbe al tribunale – sia pure in sede anticipata – la autorizzazione al compimento di atti di straordinaria amministrazione con un potere tanto ampio … sino ad ipotizzare, in assenza delle necessarie attestazioni sugli atti da compiere, un ruolo fisiologico di supplenza tribunalizia nel giudizio di fattibilità” 14.

Altra giurisprudenza pone l’accento sull’urgenza da intendersi nel senso che l’atto, se non compiuto immediatamente, determina un danno ovvero una mancata utilità per la massa dei creditori. Partendo da questo assunto si distingue tra le operazioni afferenti l’attività strategica del piano, la cui utilità o il cui danno possono essere apprezzati solo a fronte della presentazione dello stesso, e operazioni non afferenti l’attività strategica, la cui utilità o il cui danno possono essere apprezzati a prescindere dal piano. In definitiva, secondo questa giurisprudenza, qualora sussista l’urgenza, solo un’operazione straordinaria che non riguarda una attività strategica del piano potrebbe essere autorizzata in assenza del piano 15. Non sembra per tale giurisprudenza lecita la cessione dell’azienda in assenza di piano, costituendo tale disposizione un’operazione straordinaria afferente al piano.

Altra dottrina e giurisprudenza ancora ritengono che l’urgenza e l’utilità dell’atto straordinario siano di per sé sufficienti a giustificare il provvedimento autorizzatorio a prescindere dall’esistenza del piano o delle certificazioni. L’autorizzazione è coerente, o quanto meno non incompatibile, con quell’assetto di ontologica precarietà che caratterizza una domanda di concordato “in bianco”, giacché le ragioni di urgenza

14 T ribunale Roma 21 dicembre 2012 in www.ilfallimentarista.it . Tale posizione sembra condivisa anche da Massimo Fabiani, Riflessioni precoci sull’evoluzione della disciplina della regolazione concordata della crisi di impresa, in www.ilcaso.it . 15 T ribunale Torino 3 gennaio 2013 in www.ilfallimentarista.it .

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equivalgono ad uno “stato di necessità” quasi sempre imprevedibile, che è aleatorio, per definizione, rispetto alle preventive progettazioni contenute in piani o proposte 16.

Su questo quadro di riferimento si innesta il nuovo art. 163-bis L.F. che disciplina il concordato preventivo chiuso con l’offerta di acquisto dell’azienda nel piano concordatario. Nello specifico, l’art. 163-bis, ultimo comma, L.F. prevede che la disciplina delle offerte concorrenti si applica anche agli atti straordinari da autorizzare ai sensi dell’art. 161, comma 7, L.F. nonché all’aff itto di azienda o di uno o più rami d’azienda. Dal combinato disposto dell’art. 161, 7 comma, e dell’art. 163-bis, quinto comma, L.F. si desume che il legislatore ha espressamente previsto che la cessione dell’azienda possa avvenire (prima dell’omologa e) a partire dalla fase di pre-concordato.

Prima della riforma la giurisprudenza di merito e la dottrina ritenevano legittima la vendita dell’azienda durante la procedura di concordato ai sensi dell’art. 167 L.F 17 pur in assenza della procedura competitiva oggi introdotta dal legislatore. I l giudizio di merito sulla cessione del contratto era rimesso all’apprezzamento degli organi della procedura: l’autorizzazione costituiva una conferma del controllo di legittimità e di merito dell’atto posto in essere dal debitore, nonché della sua rispondenza allo scopo cui era destinato il concordato nell’interesse dei ceditori 18.

Rispetto al precedente regime il legislatore è stato ancor più garantista delle ragioni dei creditori, subordinando la cessione dell’azienda a una procedura competitiva che ha eleminato il sindacato di merito del giudice aff idandolo al mercato. Il decreto del Tribunale, infatti, autorizza l’impresa in crisi alla stipula della cessione d’azienda con il contraente che avrà presentato la migliore offerta. L’interesse alla migliore soddisfazione è dunque garantito dalla procedura competitiva.

16 Filippo Lamanna, La problematica relazione tra pre-concordato e concordato con continuità aziendale alla luce delle speciali autorizzazioni del tribunale, in www.ilfallimentarista.it , p. 6. Si veda Tribunale Milano 11 dicembre 2012 in www.ilfallimentarista.it . 17 In giurisprudenza, Tribunale di Reggio Emilia 28 gennaio 1980, in Fallimento, 1980, 979; Tribunale di Verona 18 marzo 1991 in Giustizia Civile, I, 1825; Tribunale di Napoli 19 maggio 1992 in Diritto fallimentare, 1992, II, 1103. In tal senso in dottrina Giovani Lo Cascio, La vendita dell’azienda nel concordato preventivo, in Giustizia civile, 1991, I, 1831; Giuseppe Bozza, La vendita dell’azienda nelle procedure concorsuali, cit ., p. 194. Contra, la giurisprudenza della Cassazione (risalente) sul tema considerava illegitt ima la cessione effettuata prima della omologazione (Cassazione 9 luglio 1968 n. 2354 in Dir. fall., 1968, II, 948) poiché impediva agli organi della procedura di vigilare sul procedimento di vendita (in tal senso anche Cass. 17 gennaio 1985, n. 65 in Fallimento, 1985, che rit iene autorizzabili gli att i di vendita di prodott i finit i, semilavorati e scorte e quegli att i che, come il leasing, non comportano la perdita della proprietà). 18 Giovani Lo Cascio, in op. ult. cit., 1832 e Giuseppe Bozza, ibidem.

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A questo punto occorre verificare se la procedura competitiva e la sussistenza delle ragioni di urgenza rendano oggi lecita la cessione d’azienda nel contesto di una domanda di pre-concordato, pur in assenza di un piano concordatario o delle relative certificazioni. Non sfugge, infatti, che (in assenza di contestazioni) si tratta di autorizzare un atto idoneo a rimaneredefinitivo (stante quanto previsto dall’art. 67, terzo comma, lett. e) L.F.) nel successivo eventuale fallimento.

Il sindacato di legittimità del Tribunale si estende a valutare le ragioni di urgenza alla base della richiesta autorizzazione: il controllo di legittimità del Tribunale che si concretizza nell’autorizzazione è ulteriore motivo di tutela dei creditori.

In sostanza, il legislatore sembra avere riproposto in un momento assai inziale della procedura di concordato preventivo uno schema di tutele e garanzie già operante in sede fallimentare dove, stante l’urgenza, il curatore può procedere alla liquidazione di assets anche prima dell’approvazione del programma di liquidazione (art. 104, comma 7, L.F.)

19. L’urgenza e la migliore soddisfazione dei creditori prevalgono sugli atti che sono destinati a informare quest’ultimi sull’attività liquidatoria.

Peraltro, il tempo necessario per redigere un piano ed ottenere le necessarie certificazioni potrebbe porsi in netto contrasto con la migliore soddisfazione dei creditori. I tempi necessari per la redazione di tali documenti potrebbero pregiudicare l’interesse dell’ investitore ad acquistare l’azienda. Inoltre, può accadere che il piano non risulti fattibile o che le certificazioni non siano concesse e che pertanto la proposta di concordato non venga mai depositata. Anche in tal caso la migliore soddisfazione dei creditori non dovrebbe soccombere di fronte alla inesistenza del piano o delle certificazioni.

Il piano e le certificazioni sono strumenti approntati dal legislatore al fine di permettere ai creditori di esercitare il proprio diritto di voto in modo informato 20. Tali strumenti non possono essere elementi ostativi al migliore soddisfacimento dei creditori. Nella cessione d’azienda precedente al decreto di ammissione i creditori sono garantiti, per quanto concerne la sostanza, dall’esperimento della procedura competitiva e, per quanto concerne la forma, dal sindacato di legittimità del Tribunale 21. I creditori, per

19 In tal senso si legge anche l’art. 182 quinques, comma 3, L.F. che, in caso di urgenza, prevede che il Tribunale possa autorizzare il debitore a contrarre un finanziamento in assenza di un piano concordatario. 20 Si veda Cassazione Sezioni Unite 23 gennaio 2013 n. 1521 in Fallimento, 2013, p. 149, dove si afferma che “Nella procedura di concordato preventivo, la valutazione prognostica in ordine alla fattibilità del piano, presupposto della convenienza economica della soluzione concordataria il cui giudizio spetta esclusivamente ai creditori, non compete al giudice, in nessuna delle varie fasi in cui è potenzialmente chiamato ad intervenire. 21 In tal senso Mauro Vit iello ult. op. cit. “ …se la vendita viene pubblicizzata nel modo più idoneo a garantire la massima diffusione possibile della notizia, la natura competitiva del procedimento inteso ad individuare l’acquirente garantisce in merio alla ottimizzazione del

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effetto della cessione, potranno essere destinatari di un piano concordatario che darà atto della avvenuta liquidazione 22 (con le implicazioni di cui si è discusso) o creditori di un fallimento che ha già liquidato parte dell’attivo. Per il creditore la cessione dell’azienda, pur essendo un atto irreversibile, non è pregiudizievole. Sarà, invece, pregiudizievole per i creditori la mancata autorizzazione alla cessione -per mancanza del piano o delle certificazioni- se, nel corso della procedura concorsuale (sia esso il concordato preventivo o il successivo eventuale fallimento), non si ripresenti al debitore un’offerta d’acquisto d’azienda altrettanto conveniente.

8. Il nuovo assetto degli interessi nel concordato preventivo chiuso Alla fine di questa analisi alcune considerazioni e previsioni possono

ragionevolmente essere fatte. E’ ragionevole ritenere che lo schema del contratto d’affitto con proposta irrevocabile d’acquisto sarà nella prassi superato dalla proposta per l’immediato acquisto dell’azienda, poiché tale strumento è maggiormente gradito dall’investitore. La migliore soddisfazione dei creditori sarebbe comunque garantita dalla procedura competitiva e dal controllo di legittimità del Tribunale sulle ragioni di urgenza. Il debitore si vedrà costretto a creare degli strumenti incentivanti per ottenere l’approvazione del concordato.

Il legislatore ha “disintermediato” la cessione dell’azienda dalla procedura concorsuale. Le aziende di imprese in crisi, sussistendo ragioni di urgenza, sono divenute oggi contendibili. La tipologia di procedura concorsuale adita non rileva, ciò che è importante è la protezione dell’avviamento dell’azienda mediante il quale si tutela l’interesse dei creditori (e, qualora possibile, dell’indotto).

Se da un lato tale riforma si pone come uno strumento capace di scardinare eventuali limiti alla circolazione dell’azienda imposti dal debitore in conflitto di interessi con i propri creditori, dall’altro lato, e nella maggior parte dei casi, la procedura competitiva rappresenta uno strumento per dare “credibilità” ad operazioni di salvataggio proposte dal socio o da soggetti collegati alla impresa in crisi. La mancata competizione rispetto all’offerta chiusa presentata da quest’ultimi “legittima” il salvataggio proposto dal socio o dai soggetti collegati alla impresa in crisi come unica composizione possibile e “tranquillizza” i creditori che la operazione di salvataggio non è stata fatta a loro spese.

realizzo nell’interesse dei creditori, e ciò rende irrilevante l’eventale mancanza del piano concordatario”. 22 Il piano di concordato, le relative attestazioni e il parere del commissario giudiziale sarebbero semplificati, consistendo nella descrizione della qualità del credito derivante dalla liquidazione (se l’importo non è già stato interamente corrisposto dal cessionario dell’azienda) dei beni e nell’allocazione dello stesso ai creditori.

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LA LAPREDEDUCIBILITA’ DEL CREDITO DELL’ATTESTATORE

TRA FUNZIONALITA’ E CORRETTO ADEMPIMENTO TRIB . MILANO 15 GIUGNO 2016

L’Autore, muovendo da una pronuncia del Tribunale di Milano, esamina i criteri

adottati dalla giurisprudenza ai fini della valutazione del credito del professionista attestatore in sede di ammissione al passivo, con particolare riferimento alle ipotesi di

totale esclusione dallo stato passivo.

di GABRIELE POTENZA 1. La questione

La pronuncia in commento, nell’affrontare il tema dell’ammissione al passivo del fallimento del credito del professionista attestatore per l’attività resa in favore della società in concordato preventivo, ha esaminato le condizioni alle quali è legittimo prospettare la natura prededucibile del credito dell’attestatore1.

Il Tribunale di Milano, intervenendo su una questione che ha visto il susseguirsi di diverse pronunce giurisprudenziali di merito, ha affermato il principio (anche se non in maniera chiaramente esplicita) secondo cui, oltre alla mera strumentalità e adeguatezza funzionale della prestazione dell’attestatore rispetto alla procedura concordataria e, dunque, al ceto creditorio, l’attività dell’attestatore andrebbe esaminata anche sotto il diverso profilo del corretto adempimento della prestazione di cui all’art. 1 Cfr. sul punto, VITIELLO, Attestazione di veridicità e fattibilità nelle soluzioni concordate della crisi d’impresa: profili problematici, in AA.VV., Le soluzioni concordate delle crisi d’impresa, in Quaderni di Giur. Comm., Milano, 2012, 44 ss.; PATTI , Esclusione della prededucibilità dei crediti di professionisti diversi dall’attestatore del piano ex art. 161, comma 3, L. fall., in Fall.,2011, 1337; AMBROSINI, Profili civili e penali delle soluzioni negoziate nella L. n. 122/2010, in Fall., 2011, 646; FERRO-FILOCAMO , sub art. 182-quater, in La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico, a cura di M. Ferro, Padova, 2011, 2196.

COMMENTI A SENTENZE CREDITO DELL’ATTESTATORE: PREDEDUCIBILITÀ

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1218 c.c., che, di conseguenza, legittima la Curatela - tanto in sede di verifica del credito quanto in sede di opposizione allo stato passivo – alla proposizione dell’eccezione di inadempimento.

Dunque, il provvedimento, seguendo il solco tracciato dalla dottrina2 e da isolate pronunce giurisprudenziali, allarga, seppur implicitamente, il perimetro di valutazione della prestazione del professionista attestatore ai fini del riconoscimento della prededuzione non solo al dettato di cui all’art. 111 l.f., ma altresì ai noti principi di diritto civile in materia di adempimento delle prestazioni professionali.

2. Il fatto Con atto di opposizione allo stato passivo ex art. 98 l.f., l’opponente chiedeva al

Tribunale di Milano – in riforma dello stato passivo opposto - di disporre l’ammissione al passivo del Fallimento - in prededuzione o, in subordine, al privilegio - del proprio credito concernente l’attività professionale svolta dallo stesso opponente nella sua qualità di attestatore del secondo piano di concordato preventivo presentato (che faceva seguito alla rinuncia della prima domanda di concordato preventivo) dalla società, poi, fallita.

Il credito in parola risultava escluso dallo stato passivo del Fallimento reso esecutivo con provvedimento del 23 gennaio 2015, dal Giudice Delegato per le seguenti ragioni: “- che la pretesa riguarda il compenso per l'attività svolta, in qualità di attestatore, della proposta di concordato preventivo depositata dalla società in data 29/05/2014; - che, il Tribunale di Milano, con sentenza del 12/06/2014, ha ritenuto che la relazione, presentata dall'istante attestatore "esamina le possibili variabili in modo superficiale e risulta a tratti incongrua e spesso fondata su assunti non suscettibili di riscontro obiettivo, si da essere complessivamente non credibile e perciò non idonea allo scopo di rappresentare ai creditori la situazione effettiva della società e di giustificare loro il giudizio espresso sulla fattibilità della proposta concordataria. Il giudizio del Tribunale si fondava su alcuni evidenti profili di criticità (completezza della domanda sotto il profilo formale e fattibilità della proposta e del piano sotto il profilo giuridico), in considerazione del carattere chiaramente abusivo della seconda domanda di concordato, come volta ad evitare o procrastinare il fallimento della società. In effetti, la seconda domanda si strutturava, esattamente come la prima, e si palesava quale

2 SAVIOLI , L’attestazione del professionista nelle procedure di composizione negoziale delle crisi d’impresa, in Fall., 2010, 273; FORTUNATO, La responsabilità civile del professionista nei piani di sistemazione della crisi d’impresa, in Fall., 2009, 8, 892; MANDRIOLI , Le procedure di composizione negoziale della crisi d’impresa, in La disciplina dell’azione revocatoria, a cura di S. Bonfatt i, Milano, 2005.

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attività necessaria, non opzionale, per evitare la revoca dell’ammissione al concordato, già anticipata dal parere negativo reso dal Commissario giudiziale in sede di relazione ex art. 172 l.f.. Allo stesso modo, la relazione dell’attestatore in relazione alla seconda domanda non era un nuovo opus intellettuale, avendo il mero scopo di tentare di rimediare alle gravi carenze che la prima domanda di concordato presentava.

Il risultato di tale analisi portava alla declaratoria di inammissibilità della seconda domanda di concordato “per motivi attinenti alla completezza della domanda sotto il profilo formale e alla fattibilità della proposta e del piano sotto il profilo giuridico”.

Il Collegio concludeva per il carattere abusivo della seconda proposta, come volta, appunto, a procrastinare la decisione dell’autorità giudiziaria investita dall’istanza di fallimento e a dilatare, così, i tempi di soddisfacimento dei creditori.

Orbene, il Tribunale di Milano, nella sentenza in commento, ritiene condivisibili le contestazioni esposte dal Fallimento opposto in relazione alla eccezione di inadempimento svolta in sede di stato passivo e riproposta in grado di opposizione, sulla base peraltro di considerazioni già svolte dal Tribunale in occasione della declaratoria di inammissibilità della seconda proposta di concordato depositata dalla società fallita.

In particolare, l’attestazione della veridicità dei dati aziendali e della fattibilità del concordato in relazione a specifici aspetti del piano è stata valutata “…come inidonea allo scopo per il quale è stata predisposta, ossia a fornire ai creditori un’analitica e motivata ricostruzione dei principali elementi del piano concordatario, onde consentire agli stessi di esprimere una valutazione consapevole, in ordine alla convenienza della proposta avanzata dalla debitrice”. Tali circostanze, a giudizio del Tribunale di Milano, rendevano l’attestazione palesemente incompleta e inidonea, con la stretta e vincolata conseguenza data dall’esclusione totale del credito.

3. La prededuzione del credito dell’attestatore Il tema del godimento della prededuzione per i compensi dei professionisti che

hanno reso prestazioni funzionali all’avvio di una procedura concordataria è oggetto di disciplina nell’art. 111, comma 2, l.f. il quale stabilisce, per quanto qui rileva, che sono prededucibili i crediti sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali di cui alla legge fallimentare.

Il credito dell’attestatore rientra pacificamente tra i crediti sorti in funzione della presentazione di una domanda di concordato preventivo, che godono della prededuzione ex art. 111, comma 2, l.f., ricorrendo il criterio teleologico che qualifica l’attività del professionista (crediti sorti prima della presentazione della domanda di concordato e strumentali a tale scopo). Del resto, la prestazione del menzionato professionista è

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evidentemente l’unica necessaria e indispensabile, in quanto richiesta dalla legge (art. 161 l.f.) per la presentazione di una domanda di concordato.

E’ d’uopo rammentare che in passato la posizione dell’attestatore era trattata in maniera specifica dall’art. 182 quater l.f. che al comma 4 - nella versione introdotta con DL 78/2010 - subordinava la prededucibilità del credito dell’attestatore al provvedimento con cui il tribunale accoglieva la domanda di ammissione al concordato preventivo.

Tale disposizione risulta oggi abrogata (L. 134/2012), per cui sembrerebbe venuto meno il riconoscimento della prededuzione del credito dell’attestatore alla menzione fattane dal Tribunale nel provvedimento di ammissione al concordato: un intervento che parrebbe disvelare la volontà del legislatore di voler trattare alla stessa stregua dei crediti degli altri professionisti che assistono l’imprenditore nei diversi tentativi di risanamento, anche quello dell’attestatore3.

Nonostante il menzionato intervento del legislatore, l’aggancio della prededuzione all’ammissione al concordato, originariamente menzionata dalla disposizione poi abrogata, resta una questione assai dibattuta.

In effetti, il tema della prededuzione resta sensibile, in quanto direttamente connesso alla gestione di spese preferenziali all’ interno della procedura concordataria4 e legato anche a possibili danni derivanti da incrementi indebiti di crediti verso la massa. Sul punto, non si possono non registrare due orientamenti giurisprudenziali formatisi sulla questione che ci occupa: un primo orientamento, che afferma il r iconoscimento immediato e automatico della prededuzione ai professionisti che assistono la società

3 Inoltre, il d.l. 24 giugno 2014, n. 91 ha abrogato anche la norma di interpretazione autentica dell'art. 111 L.F. contenuta nel d.l. 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9. La norma abrogata così recitava: "La disposizione di cui all'articolo 111, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni, si interpreta nel senso che i crediti sorti in occasione o in funzione della procedura di concordato preventivo aperta ai sensi dell'articolo 161, sesto comma, del medesimo regio decreto n. 267 del 1942, e successive modificazioni, sono prededucibili alla condizione che la proposta, il piano e la documentazione di cui ai commi secondo e terzo siano presentati entro il termine, eventualmente prorogato, fissato dal giudice e che la procedura sia aperta ai sensi dell'articolo 163 del medesimo regio decreto, e successive modificazioni, senza soluzione di continuità rispetto alla presentazione della domanda ai sensi del citato articolo 161, sesto comma." 4 In merito alla finalità di evitare la proliferazione di spese preferenziali all’interno della procedura concordataria, cfr. BOTTAI, Concordato revocato e degradazione al privilegio del credito dell’attestatore. La responsabilità contrattuale del professionista, commento a Trib. Milano 9 febbraio 2012, in IlFallimentarista.it., 17 maggio 2012.

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nell’avvio della procedura (al di là di qualsiasi vaglio operato dal tribunale); mentre un secondo orientamento che, invece, sostiene la necessità di veder soddisfatto il requisito di funzionalità ed utilità per i creditori delle prestazioni svolte dai diversi professionisti.

Ora, l’oscillazione giurisprudenziale appare essere risolta nel senso che il pagamento del credito in modalità prededuttiva dovrebbe rientrare negli interessi della massa. E ciò in quanto non si può prescindere dalla individuazione della ratio dell’attuale disciplina delle procedure concorsuali minori al fine della corretta individuazione dei parametri per la valutazione dell’opus dell’attestatore. La presentazione del piano concordatario non trova ragione nella sola soddisfazione dell’interesse del debitore: il vero interesse dovrebbe essere rivolto al ceto creditorio (i.e. creditor oriented), divenuto residual claimant5che, tra l’altro, ben potrebbe essere finanche pregiudicato dall’automatico riconoscimento della natura prededucibile di crediti antecedenti all’apertura della procedura, sorti al di fuori di qualsivoglia vaglio giurisdizionale di idoneità e correttezza6.

In tale ottica e, nel concepire il concordato preventivo (come anche le altre procedure concorsuali minori) quale strumento di risoluzione e superamento della crisi a vantaggio dei creditori (e, più in generale, della collettività), i quali subiscono direttamente i danni derivanti dalla decozione della società, che bisogna valutare l’attività dell’attestatore. Ed è evidente come la questione non potrebbe essere risolta facendo ricorso – in maniera semplicistica - all’istituto dell’abuso del diritto,e così all’abusivo utilizzo dell’art. 111 l.f., in quanto da una lettura sistematica delle norme del

5 STANGHELLINI , Proprietà e controllo dell'impresa in crisi, in Rivista delle società, 2004, p. 1041 ss. 6 In tal senso, Trib. Firenze, 26 marzo 2008 in IlCaso.it: «Nulla induce a ritenere (ed anzi logica e perfino il buon senso lo escludono) che con tale locuzione la norma abbia ai debito sorti prima della procedura concordataria, col che si sarebbe legittimato l’accesso alla prededuzione ad una vera e propria valanga di crediti, nati per la sola iniziativa dell’imprenditore e (non lo si potrebbe escludere) magari proprio finalizzati a pregiudicare le ragioni dei creditori anteriori. É principio fondante la prededuzione quello secondo cui i crediti a tale stregua trattati in quanto relativi a debiti di massa (e non dell’impresa), debbano seguire l’apertura della procedura ed essere sorti nell’ambito del controllo del giudice. In altri termini, sul punto proviene chiarezza dall’art. 167 l. fall. secondo cui gli atti dalla norma previsti, ove compiti senza autorizzazione del G.D. sono inefficaci rispetto ai creditori del concordato. Sarebbe davvero singolare se quelli compiuti prima dell’apertura della procedura (e dunque senza controllo giurisdizionale) addirittura diventassero prededucibili». Nei medesimi termini, Trib. Pordenone, 8 ottobre 2009, in IlCaso.it. In dottrina si v., per tutt i, BRUSCHETTA,La ripartizione dell’attivo in DIDONE (a cura di), Le riforme della legge fallimentare, Milano, 2009, I, p. 1260.

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diritto fallimentare si possono desumere i canoni per la valutazione del credito dell’attestatore. Valutazione, che dovrebbe effettuarsi mediante un doppio grado di analisi: (i) il primo rappresentato dal più volte menzionato art. 111 l.f. e, dunque, dai concetti di strumentalità e funzionalità della prestazione e (ii) il secondo da una disamina intrinseca della prestazione professionale secondo i canoni del diritto civile.

Da ciò deriva che la verifica del trattamento del credito del professionista che ha assistito la società in una procedura concordataria non ammessa o revocata va fatta alla luce della condotta del debitore come coadiuvato dal professionista incaricato.

A tal proposito, giova evidenziare che l’attestazione per essere giudicata idonea e conforme ai principi deve essere analitica, completa, esaustiva, coerente e non contraddittoria, oltre a essere esplicativa dei controlli posti in essere per concludere positivamente in punto di veridicità e fattibilità7.

Nella relazione è contenuto un giudizio professionale che proprio per la funzione informativa e performativa dell’altrui consenso non può che essere articolatamente argomentato8.

Muovendo da tali assunti, la prededuzione andrebbe pertanto riconosciuta – fuori da automatismi – solo quando le prestazioni professionali si pongono in rapporto di adeguatezza funzionale con le necessità risanatorie dell’impresa e sono state in concreto utili per i creditori9.

Invero, anche secondo la giurisprudenza di legittimità, la prededuzione presuppone un rapporto di strumentalità dell’attività professionale svolta rispetto alla procedura, in virtù del quale la prima deve essere utile al ceto creditorio, secondo la valutazione ex post compiuta dal giudice delegato10.

Come evidente dalla lettura della sentenza, nel caso deciso dal Tribunale di Milano, difetta il presupposto della strumentalità dell’attestazione (e non solo) perché non c’è stata salvaguardia dell’integrità dell’attivo ma piuttosto un’opera professionale prestata per ritardare l’inevitabile dichiarazione di fallimento con la presentazione di un

7 VITIELLO, Attestazione di veridicità e fattibilità nelle soluzioni concordate della crisi d’impresa: profili problematici, cit . 8 FORTUNATO, La responsabilità civile del professionista nei piani di sistemazione delle crisi di impresa, cit . p. 891. 9 Cfr. Cass. civ. sez. I, 8 aprile 2013 n. 8534 in IlCaso.it; Cass. civ. sez I, 13 dicembre 2013 n. 27926, in IlCaso.it. 10 Cass. civ. sez I. 17 aprile 2014 n. 8958, in IlCaso.it: “[…] il pagamento del credito, ancorché avente natura concorsuale, risponda agli scopi della procedura stessa, per i vantaggi che reca in termini di accrescimento dell’attivo o di salvaguardia della sua integrità”; Cass. civ. sez. V, 10 settembre 2014, n. 19031, in IlCaso.it.

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secondo piano concordatario irragionevole e chiaramente abusivo. E’ stata, per tali motivi, esclusa l’utilità della prestazione rispetto ai creditori.

In questa prospettiva, funzionalità e utilità delle prestazioni svolte dall’attestatore sono considerate in vista del positivo incardinamento e omologa della procedura11 sulla base di un giudizio a posteriori: conseguentemente i creditori possono vedersi disconosciuta la posizione preferenziale dopo l’intervenuta prestazione12.

Parallelamente a ciò, funzionalità e utilità per i creditori vanno lette in relazione all’obbligo di attestazione del piano concordatario da parte di un professionista (come previsto dal legislatore), con il precipuo obiettivo di consentire ai terzi di fare affidamento sul contenuto della prestazione resa dall’attestatore, nell’intento di garantire i terzi coinvolti nell’attuazione del piano circa la serietà del piano stesso e il mercato, per evitare che operatori inefficienti protraggano la propria attività con strategie di risanamento infondate13.

È stato allo stesso modo affermato che la prededucibilità andrebbe esclusa quando il debitore si avvale della prestazione professionale per fini egoistici o comunque privi di utilità o di uno specifico interesse per i creditori14: è questa la situazione ricorrente nel caso cui la società in concordato, ad esempio, rinunci alla prima domanda di concordato e proceda alla presentazione della seconda domanda di concordato all’evidente fine di posticipare la dichiarazione di fallimento sulla base dell’istanza già formulata da alcuni creditori.

Seguendo questa chiave ermeneutica, occorre interrogarsi su che tipo di affidamento i creditori possano fare su una relazione lacunosa, contraddittoria e superficiale e se il credito riferito alla prestazione dell’attestazione possa de plano essere ammesso al passivo, se non in prededuzione, almeno col riconoscimento del privilegio ex art. 2751 bis, n. 2, c.c..

In ogni caso, ritorna – e viene affermato di recente - il principio secondo cui occorre una verif ica da parte del giudice delegato in ordine all’utilità di essa prestazione per la massa dei creditori (Trib. Roma 23.02.2015; Trib. Padova 02.03.2015). In particolare, il Tribunale di Padova aveva rigettato il ricorso ex art. 98 l.f. e confermato la decisione di decurtazione degli importi dell’attestatore, sulla base della considerazione per cui il ricorso per concordato depositato dalle parti non aveva 11 Cfr. LAMANNA , I crediti prededucibili perché funzionali alle procedure concorsuali previsti dall’art. 111, comma 2, l.f., 16 aprile 2013, in IlFallimentarista.it. 12 Vedasi LO CASCIO, La prededuzione nelle procedure concorsuali: vecchi e nuovi profili normativi ed interpretativi, in Il Fallimento, 1, 2015, p. 18. 13 Sul punto si rinvia a ROMEO, Piani di risanamento e responsabilità civile del professionista attestatore, in La Responsabilità civile, nn. 8-9, 2012 p. 566 ss. 14 Cfr. G. LO CASCIO, cit.

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consentito l’anticipata emersione della crisi (pendente un’istanza di fallimento, come nel caso commentato), risultando manifestamente inutile per i creditori.

La giurisprudenza di merito sul punto, infatti, adotta la condivisibile posizione secondo cui il tribunale non può fare a meno di verificare in concreto l’attività svolta dal professionista e di accertarne il nesso (cronologico, teleologico e di adeguatezza) con il concordato; all’esito di tali valutazioni si potrà motivare l’esclusione della prededucibilità.

Analogamente a ciò, l’attività professionale prestata in vista di una procedura concordataria che poi si è mostrata carente dei suoi presupposti di base non dovrebbe godere della prededuzione (quanto a dire che un vaglio da parte del Tribunale sarebbe comunque necessario). O anche si è detto che la funzionalità del credito è presunta nell’ammissione alla procedura concordataria: e se anche ci fosse l’ammissione, trattandosi di presunzione,il vaglio ex post sull’adeguatezza della prestazione eseguita dovrebbe essere pur sempre compiuto15.

Peraltro, il vaglio ex post della prestazione dell’attestatore, - intendendo per ex post il momento successivo all’ammissione alla procedura concordataria -, si giustifica altresì per il fatto che la relazione del Commissario Giudiziale ex art. 172 l.f. avviene in epoca anteriore alle operazioni di voto, ma solo dopo l’apertura della procedura.

15 Molteplici sono le pronunce in questo senso (Cass. civ. sez. I, 14 marzo 2014 n. 6031, in IlCaso.it; Cass. civ. Sez. I, 10 maggio 2012, n. 7166, in IlCaso.it: “ Non deve essere ammesso al passivo del fallimento il credito per prestazioni professionali di assistenza al debitore nell'ambito della procedura di concordato preventivo qualora le prestazioni si siano rivelate di nessuna utilità per la massa dei creditori e che, sin dall'inizio, non consentivano di individuare alcun plausibile vantaggio per l’impresa destinata, invece, al fallimento". Si tratta di ipotesi di credit i in parte relativi alla reiterazione di una proposta concordataria dichiarata inammissibile e in parte a fronte di una proposta precedente rinunciata in seguito all’apertura di un procedimento ex art. 173 L.F.; Trib Vicenza 11 marzo 2014 in IlCaso.it; T rib. Rovigo 12 dicembre 2013 in IlCaso.it; T rib. Milano, 09 febbraio 2012, in IlCaso.it, in relazione ad att ività simile a quella oggetto della sentenza in commento, per una domanda di concordato per cui c’era stata prima l’ammissione e poi la revoca ex art. 173 l.f. “il riconoscimento della prededucibilità del credito, una volta che sia intervenuto il fallimento, non potrebbe in nessun caso prescindere da una valutazione rigorosa dell'idoneità dell'attività svolta dal professionista rispetto alla funzione attribuitale dal legislatore e dunque dell'utilità che detta attività ha avuto per i creditori concorsuali, oltre che per il debitore. E, nella fattispecie in esame, è di assoluta evidenza che l'attività del dott. Z. non sia stata di alcuna reale utilità per la massa, considerato che, […] una più approfondita e soprattutto indipendente verifica dei dati aziendali avrebbe fatto emergere una serie di criticità che hanno poi concorso, in concreto, a determinare la revoca del concordato”; Trib. Milano 20.08.2009; Trib. Modena 11.01.2010; Trib. Udine 6 marzo 2010; Trib. Reggio Emilia 14.06.2012, consultabili in IlCaso.it.

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Pertanto, le argomentazioni di coloro i quali propendono per una sorta di portata generale dell’art. 111 l.f., senza restrizioni di sorta, devono fare i ‘conti’ con il criterio dell’adeguatezza funzionale della prestazione: ne consegue che la collocazione in prededuzione del credito del professionista può essere riconosciuta “nella misura in cui le relative prestazioni si pongano in rapporto di adeguatezza funzionale con le necessità risanatorie dell'impresa e siano state in concreto utili per i creditori, per aver loro consentito una sia pur contenuta realizzazione dei crediti” 16.

Altrimenti detto, non viene negata la portata generale della norma, in quanto relativa a tutti i crediti sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali, ma resta l’indefettibile carattere dell’utilità concreta per i creditori che le prestazioni dei professionisti devono rispettare.

Anche in un recente arresto della Cassazione, ovvero la sentenza n. 22450 del 4.11.2015, si osserva che, seppur non appaia necessario accertare ex post il “risultato conseguito”, ossia l’utilità per la massa che dalla prestazione sia derivata, comunque la strumentalità della prestazione va valutata in relazione alla procedura concorsuale in vista della quale è stata svolta la stessa e non può in alcun modo escludersi laddove la domanda di ammissione abbia trovato accoglimento anche se non abbia poi sortito un esito favorevole per il mancato raggiungimento delle maggioranze richieste dall’art. 177, primo comma L.F.. Alla stessa stregua, nell’arresto della Cassazione n. 17821/2015, la portata generale dell’art. 111 l.f. era predicata in parallelo con l’ammissione della società ai benefici del concordato preventivo, con l’affermazione secondo cui “l’avvenuta ammissione alla procedura ha certamente costituito un evento positivo per i creditori godendo questi della garanzia che l'attività d'impresa si sarebbe svolta da quel momento in poi sotto il controllo degli organi della procedura”.

Quanto alla giurisprudenza di merito, si segnala la pronuncia del Tribunale di Roma 23.02.2015 con cui, dapprima, si afferma che “il decreto di inammissibilità del concordato e la conseguente sentenza dichiarativa di fallimento non sono destinate a far venir meno la natura prededucibile del credito vantato dal professionista”, facendo emergere un ulteriore aspetto rimarcato dalla pronuncia citata che così continua “…se viene accertato il rapporto di strumentalità tra tale attività rispetto alla procedura, utile al ceto creditorio secondo una valutazione in concreto del giudice delegato”.

Ancora, sul profilo della presunzione di cui sopra, il Tribunale di Cuneo 10.12.2015 afferma che “La funzionalità (ovvero la strumentalità) delle prestazioni va valutata in relazione alla procedura concorsuale in vista della quale esse sono svolte (cfr. Cass. nn. 5098/2014, 8958/2014): non si vede dunque in qual modo possa

16 Così, Cassazione sez. VI 3 marzo 2014, n. 10110 in IlCaso.it e Cass. civ. sez. I, 8 aprile 2013, n.8533, in IlCaso.it.

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escludersi, una volta che l’ impresa sia stata ammessa al concordato, la funzionalità delle attività di assistenza e consulenza connesse alla presentazione della domanda di concordato ed alle sue successive integrazioni”.

Rimanendo sulla scia del Tribunale di Como, è utile citare un’interessante pronuncia del Tribunale di Milano17 a mente della quale il principio contenuto nell’orientamento della Suprema Corte secondo cui l’art. 111 l.f. detta un precetto di carattere generale non può trasformarsi “in una vera e propria presunzione iuris et de iure, dovendosi ritenere che residui la possibilità di escludere la prededuzione allorquando venga ad essere raggiunta la prova positiva della non utilità della prestazione, creandosi altrimenti il rischio di gravare i fallimenti di oneri prededucibili tali da compromettere radicalmente la possibilità di soddisfacimento dei creditori concorsuali”.

La pronuncia prosegue affermando “In sintesi, non è accettabile un’interpretazione dell’art. 111 l.f. che renda configurabile lo scenario – del tutto distonico in un’ottica macroeconomica – di concordati inutili (talmente inutili da arrestarsi in limine, e quindi da non avere neppure inizio) ma idonei a provocare un’erosione (in prospettiva anche totale) delle risorse destinate ai creditori nel successivo fallimento”.

La sentenza conclude ribadendo quanto affermato dalla Suprema Corte, sentenza n. 8958/2014, secondo cui la prestazione è funzionale quando ha arrecato un vantaggio alla massa dei creditori, conservando o salvaguardando l’attivo e così riconoscendo che la prestazione medesima, allorquando sia resa inutiliter o con effetti dannosi per la massa, non può dirsi funzionale e non può pertanto invocare il disposto di cui all’art. 111 l.f..

Dunque, secondo l’impianto del nostro ordinamento la prededuzione ruota attorno alla valutazione degli effetti della prestazione rispetto alla massa dei creditori. In tale delineato contesto, gli approdi della giurisprudenza intervenuta in materia lasciavano però alcuni punti oscuri nel trattamento del credito del professionista: in particolare, l’aver concentrato il piano di indagine prevalentemente sui concetti di strumentalità e funzionalità della prestazione ha lasciato in secondo piano l’indagine sulle conseguenze della mancanza di detti requisiti in ordine al riconoscimento o esclusione totale del credito.

Più precisamente, i provvedimenti dei tribunali si son limitati a valutare, secondo i ragionamenti sopra svolti, soltanto se il credito dell’attestatore potesse essere ammesso o meno in prededuzione: non ci si è spinti sino ad interrogarsi sul fatto che una prestazione peculiare, quale quella dell’attestatore, qualora priva del carattere della

17 T ribunale di Milano, 16 novembre 2015, in IlCaso.it.

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strumentalità e/o funzionalità, meritasse addirittura la totale esclusione dal passivo. Si è dato per scontato, in maniera erronea, che al credito dell’attestatore - in caso di mancato riconoscimento della prededuzione – dovesse essere riconosciuto, quasi in guisa automatica, il privilegio ex art. 2751 bis c.c..

Non si è giunti, molto probabilmente, a trarre le dovute conclusioni, forse, ripetesi, partendo dalla convinzione che l’attestatore dovesse godere di un regime diverso da quello degli altri professionisti; convinzione maturata, secondo una tale impostazione,sotto il vessillo di un certo favor per le procedure concorsuali minori (agevolare il superamento della crisi d’impresa) e così evitare che gli advisor - sottoposti a stringenti criteri per il riconoscimento del credito maturato - avessero remore nell’accettazione dell’incarico considerata, appunto, la crisi dell’impresa e la possibile apertura del concorso tra i creditori in caso di successivo fallimento.

La previsione di un diverso regime per l’attestatore potrebbe essere anche ammissibile, ma dovrebbe portare a conclusioni diverse e non, dunque, alla garanzia del riconoscimento del privilegio speciale, nel caso in cui la prestazione dovesse essere priva di strumentalità rispetto alla procedura. Anzi, considerata la particolare natura dell’incarico svolto per come sopra argomentato, le prime pronunce giurisprudenziali (rese anche nel vigore del nuovo regime) hanno tardato ad innalzare la soglia di sbarramento mediante l’applicazione di un più rigoroso metro di valutazione dell’attività del professionista, giungendo, come sostenuto dalla giurisprudenza infra richiamata, anche all’esclusione totale del credito nell’ ipotesi, ad esempio, di difformità della relazione al modello legale tipico.

Lo stato dell’arte in materia sembra, ora, registrare, e ne è un esempio la pronuncia in commento, una presa d’atto del venir meno della specialità della prestazione dell’attestatore (forse giustificata dal tenore del precedente regime normativo) e l’approdo verso una parificazione del trattamento degli altri professionisti, senza comunque svilire del tutto l’art. 111 l.f..

Se, da un lato, è pur vero che l’attività dell’attestatore possa dar luogo ad un credito prededucibile nel caso in cui sussistano i presupposti della strumentalità e funzionalità alla procedura, da un altro lato, è altrettanto vero che l’attestatore non possa godere di uno statuto speciale, derogando cosi ai principi in materia di obbligazioni contrattuali, ricollegato automaticamente alla natura dell’incarico svolto e che, in assenza dei più volte menzionati presupposti, consenta addirittura il riconoscimento del privilegio ex art. 2751 bis, n. 2, c.c..

Sicché, la sussistenza o meno di uno dei presupposti o, addirittura, di entrambi non può non incidere sul r iconoscimento della prededuzione o del privilegio. Pur trattandosi di obbligazione di mezzi, la prestazione dell’attestatore e, dunque, la sua relazione ex art. 161 l.f. va verif icata tenendo in debito conto sia la particolare natura

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dell’incarico svolto (dunque, sotto il profilo della diligenza ex art. 1176 c.c.) che gli interessi tutelati. Proprio dalla considerazione che l’attestatore svolge la propria prestazione nell’interesse di terzi, la strumentalità non può essere sovrapposta alla funzionalità e viceversa18: strumentale è una attestazione idonea al raggiungimento dei fini per cui è stata svolta, mentre funzionale lo diventa nel momento in cui la domanda di concordato viene ammessa. Nel primo caso, non potrebbe non riconoscersi il privilegio, nel secondo invece la prededuzione. Ciò che non si è detto, prevalentemente nelle pronunce giurisprudenziali, è il trattamento del credito nel caso in cui la prestazione non risulti né strumentale né, tanto meno, funzionale: solo delle ultime pronunce hanno fatto uso del concetto di inadempimento, senza però trasformare la prestazione dell’attestatore da obbligazioni di mezzi a obbligazione di risultato.

4. La corretta esecuzione dell’incarico da parte del professionista Tale ultimo rilievo consente così di introdurre ed approfondire il tema della

corretta esecuzione dell’ incarico da parte del professionista indicato dal debitore19.

18 Da ult imo, è stato chiarito che “la funzionalità presuppone la strumentalità, ma non si esaurisce in essa. Funzionale è - secondo la definizione data dal Dizionario Treccani - ciò "che risponde o tende a rispondere alla funzione cui è assegnato". Nel caso di specie, funzionale alle prestazioni dei professionisti incaricati è un piano idoneo alla ammissione concordataria, presupposto indefettibile per la utilità creditoria. Invero non può sfuggire come il contratto privatistico di opera professionale sia caratterizzato in queste ipotesi spiccatamente dalla finalità di tutela di interessi di terzi, ovvero i creditori dell imprenditore. Tale collegamento è così pregnante da caratterizzare la causa del contratto, assimilandolo, dunque, alla figura di creazione teutonica del contratto con effetti protettivi, da rendere rilevante sul piano giuridico la inidoneità concreta del piano alla ammissione, ai fini del riconoscimento della prededuzione. Laddove, infatti, il piano non manifesti carenze della prestazione professionale, ma sia ritenuto inidoneo sulla base di una valutazione giuridica […] non può non riconoscersi come la prestazione debba essere retribuita e goda del relativo privilegio. La prededuzione, tuttavia, può essere negata in virtù della mancanza di funzionalità, ovvero di utilità per i creditori”, cfr. Trib. Rovigo 14 maggio 2015, in IlCaso.it. 19 Sul tema della responsabilità contrattuale del professionista nei confronti dell’imprenditore, v. LO CASCIO, Il concordato preventivo, Milano, 2011, p. 794; PAJARDI –PALUCHOWSKI, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2008, p. 951; D’AMBROSIO, in Fallimento e altre procedure concorsuali, 3, diretto da G. Fauceglia e L. Panzani, Torino, 2009, 1813; VERNA, I nuovi accordi di ristrutturazione, in Le nuove procedure concorsuali, a cura di S. Ambrosini, Bologna, 2008, p. 586; NARDECCHIA, Crisi d’impresa, autonomia privata e controllo giurisdizionale, Milano, 2007, p. 62; FORTUNATO, La responsabilità civile del professionista attestatore nei piani di sistemazione delle crisi d’impresa, cit ., 893; GALLETTI, I piani di risanamento e di ristrutturazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2006, p., 1211; FERRO, Il piano

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Non è evidentemente sostenibile, come sostenuto dall’orientamento giurisprudenziale maggioritario, che la prestazione professionale dell’incaricato dal debitore abbia ad oggetto la presentazione di concordati palesemente non fattibili o addirittura inammissibili, destinati ad avere funzione meramente dilatoria del fallimento.

Anche coloro che sostengono che la sola strumentalità alla presentazione del piano è requisito sufficiente a far r iconoscere la prededuzione nell’ambito del successivo fallimento, ammettono chiaramente che il credito non va riconosciuto – in virtù dell’eccezione di inadempimento - qualora la prestazione non sia stata correttamente eseguita.

Come chiarito dalla giurisprudenza di merito, l’esclusione del credito del professionista dal novero dei crediti prededucibili è giustificata nel caso in cui si sia verificato l’inadempimento da parte del professionista, su cui ricade l’onere ex art. 1218 c.c. di dimostrare il corretto adempimento della prestazione professionale, onere che può ritenersi assolto in caso di avvenuta ammissione della proposta (Trib. Monza, 11 novembre 2014): nel caso deciso dal Tribunale di Milano, il concordato non è stato ammesso e, per quanto argomentato nella stessa sentenza, non pare che l’attestatore abbia fornito compiuta dimostrazione del proprio adempimento nel ricorso ex art. 98 l.f.. Il tribunale milanese ha giudicato “gravemente carente in termini di completezza” la relazione dell’attestatore, difettando “…ogni vaglio non solo in ordine all’attendibilità delle fonti dalle quali lo stesso attestatore avrebbe tratto il proprio convincimento”, ma altresì l’enunciazione “…di quali sarebbero state le verifiche fatte e le informazioni ricevute”.

Sempre su tale profilo, si condivide la pronuncia del Tribunale di Monza nel punto in cui afferma che l’ inadempimento dell’opponente (i.e. attestatore), rispetto alla sua prestazione, va valutato in applicazione dei criteri di diligenza di cui all’art.1176 c.c.. “In particolare deve notarsi che il professionista, allorché predisponga l’attestazione di cui all’art.161, 3° co., l. f. debba fornire informazioni fondamentali per valutare da un lato l’attendibilità dei dati contabili utilizzati per predisporre il piano e dall’altro un parere imparziale sulla fondatezza economica, finanziaria e patrimoniale delle assunzioni di piano. Ma la relazione, come espressamente indica la norma, deve anche contenere un giudiz io prognostico sulla fattibilità del piano, spiegando in particolare l’idoneità del piano a consentire la ristrutturazione del debito e la soddisfazione dei creditori nella misura indicata nella proposta e la coerenza dei

attestato di risanamento, in La legge fallimentare, a cura di Ferro, Padova, 2007, 488.MEO, I piani attestati di risanamento, in Trattato delle procedure concorsuali. 4. Il superamento della crisi e la conclusione delle procedure, Torino, 2011, 658.

COMMENTI A SENTENZE CREDITO DELL’ATTESTATORE: PREDEDUCIBILITÀ

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programmi industriali e finanziari rispetto alle risorse disponibili. […] Per rispondere a tali caratteristiche la relazione non deve ovviamente far riferimento ad assunti non oggettivamente riscontrabili nonché a situazioni incerte, poiché tutti tali aspetti non sono idonei ad una corretta informazione dei creditori circa le probabilità di attuazione del piano”. Sulla scorta di tali considerazioni, il tribunale brianzolo osserva che la “…(...).la relazione in esame non può dirsi idonea a soddisfare i requisiti che si sono brevemente rassegnati.” Da qui, la conseguente conclusione: “In definitiva le indicate palesi carenze della relazione portano il Tribunale a ritenere che l’obbligazione professionale non sia stata adempiuta dall’opponente nel rispetto dei canoni di diligenza imposti dalla natura dell’attività esercitata (art.1176, 2° co., c.c.), com’è positivamente provato da quanto precede, per cui il provvedimento di esclusione merita integrale conferma.”.

Per questo gli organi della procedura potranno eccepire, ai sensi degli artt. 1218 e 1460 c.c., l’ inadempimento o inesatto adempimento del professionista nel confezionamento di concordati sprovvisti del necessario profilo causale - come individuato dalla Suprema Corte a sezioni unite con la sentenza n. 1521/2013 – ovvero nel confezionamento di attestazioni non corrispondenti al modello legale idoneo allo scopo della piena, veridica e completa informazione dei creditori20.

Davanti a un piano che evidentemente non presenta le qualità richieste dalla normativa per assolvere alla sua funzione, ci si potrebbe spingere a sostenere che il professionista debba rifiutare il r ilascio dell’attestazione, pena la propria responsabilità tanto nei confronti dell’ imprenditore-committente che nei confronti dei terzi21. Il curatore può, quindi, contestare in sede di verifica della domanda e/o di opposizione ex art. 98 l.f. questa sede la corretta esecuzione della prestazione, cosa che apre l’accertamento previsto dall’art. 111 bis l.f., finalizzato ad evitare che ci sia una erosione della percentuale di soddisfacimento dei creditori non prededucibili22.

Sicché, nell’ipotesi in cui la relazione redatta dall’attestatore non sia idonea allo scopo poiché si è attestato negligentemente la ragionevolezza di un piano che non possedeva i requisiti per conseguire tale valutazione, il curatore può eccepire l’inadempimento.

20 VITIELLO , La prededuzione del credito del professionista nel concordato preventivo, cit .; COSENTINO, I crediti prededucibili nel concordato preventivo, in Il diritto fallimentare e delle società commerciali, 6, 2014, p. 855-856. 21 Cfr., FORTUNATO, La responsabilità civile del professionista nei piani di sistemazione delle crisi di impresa,cit ., p. 893. 22 VERNA, Sulla prededuzione “in funzione” nel concordato preventivo, in Il diritto fallimentare e delle società commerciali, 1, 2015, p. 96

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Riguardo agli standard di riferimento minimi di un’attestazione, è utile riportare quanto affermato dal Tribunale Savona (25 novembre 2015), laddove si afferma che la limitazione del sindacato del giudice al solo profilo della fattibilità giuridica del piano e la devoluzione ai creditori del giudizio circa la sua fattibilità economica presuppongono e richiedono la sussistenza di una idonea preventiva attestazione di realizzabilità del piano nell'ambito della quale al professionista viene domandata una valutazione che, pur espressa secondo la propria perizia ed esperienza e pur articolandosi in una congettura, deve tuttavia esprimere una prognosi seria di adempimento nel raffronto tra le componenti essenziali del programma e la situazione economico-patrimoniale dell'impresa. Il giudizio da lui espresso si risolve, pertanto, in una formulazione di motivata idoneità del piano al raggiungimento di risultati esposti dal debitore ed in un'analisi di dettaglio che dia conto dei criteri usati, con la precisazione che, come per la veridicità dei dati aziendali, anche nella prognosi di fattibilità l'esperto deve indicare in modo non generico i tempi e i modi di raggiungimento del risultato prospettato e gli strumenti di verifica dell'obiettivo, rendendo manifesto l'iter logico tecnico, metodologico e giuridico seguito nei riscontri documentali, nelle sue attestazioni, nei suoi giudizi professionali e nelle sue conclusioni, non potendo egli limitarsi a recepire acriticamente i dati contabili dell'imprenditore ma dovendo effettuare una dinamica approfondita delle conclusioni valutative espresse nel piano.

Resta ferma, comunque, da parte della Curatela la riserva di esercitare, nella sede opportuna, apposita azione nei confronti del professionista attestatore. A questo proposito, si rinvia ad alcune teorie (contatto sociale, contratto con effetti protettivi nei confronti dei terzi – come richiamato dalla sentenza del Tribunale di Rovigo 14.05.2015 sopra citata-, dovere di buona fede nei confronti dei terzi), che estendono la tutela contrattuale a fattispecie in cui non esiste un rapporto contrattuale tra danneggiante e danneggiato hanno come precipuo scopo quello di agevolare la tutela del danneggiato medesimo. È ormai acclarato, nei vari orientamenti dottrinali, come il professionista attestatore possa essere dal curatore chiamato a rispondere verso i danneggiati per aver leso l’integrità della garanzia patrimoniale del debitore (per via dell’artificiosa protrazione dell’attività di impresa). Il danno per cui il Curatore agisce è, evidentemente, di massa in quanto subito indistintamente da tutti i creditori23.

Nella sentenza in commento non vi è traccia delle argomentazioni elaborate dalle sentenze sopra citate, limitandosi il giudicante a ritenere implicitamente ammissibile l’eccezione di inadempimento formulata dal Curatore. Eccezione di inadempimento che, una volta accolta proprio come nel caso decisione dalla sentenza in questione, ha portato alla totale esclusione del credito del professionista attestatore.

23 Cfr. VITIELLO , cit.

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La pronuncia, pertanto, va apprezzata per l’approdo a cui è giunta ossia per essersi pronunciata anche sulla domanda formulata dall’opponente, seppur in via gradata, avente ad oggetto il riconoscimento in privilegio del credito dell’attestatore, escludendo in toto il detto credito, all’esito di una valutazione della prestazione sia ai sensi dell’art. 111 l.f. che delle regole tipiche del dir itto civile. Purtroppo, si è persa un’occasione per cristallizzare i passi in avanti della giurisprudenza in materia mediante l’esposizione dell’iter logico – giuridico seguito nella decisione: è rimasto nella penna il percorso motivazionale seguito che, certamente, avrebbe contribuito a fare chiarezza su alcuni punti che, sino a poco tempo fa, erano rimasti nell’ombra. In particolare, il Tribunale avrebbe potuto chiarire, nell’argomentare sulla peculiare posizione dell’attestatore rispetto agli altri professionisti, quali sono – in concreto – gli obblighi a cui deve attenersi il professionista attestatore nella predisposizione della relazione ex art. 160, l. f. e la disciplina fonte di tali obblighi.

Ci si sarebbe aspettati una chiara presa di posizione sull’applicabilità degli art. 1218 e 1176 c.c. alla figura dell’attestatore sino a spingersi a prevedere una sorta di obbligo dello stesso di rinunciare al rilascio della relazione in caso di inidoneità del piano rispetto all’interesse del ceto creditorio.

SEGNALAZIONI (A CURA DI GIULIA GARESIO)

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SEGNALAZIONI DI DIRIT TO COMMERCIALE

NORMATIVA D.L. 31 agosto 2016, n. 168 – È stato convertito con modificazioni dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 29 ottobre 2016, n. 254, il D.L. 31 agosto 2016, n. 168, recante “Misure urgenti per la definizione del contenzioso presso la Corte di Cassazione, per l’efficienza degli uffici giudiziari, nonché per la giustizia amministrativa” (vds. segnalazioni di diritto commerciale sul n. 16/2016 di questa Rivi-sta).

I NDICAZIONI INTERPRETATIVE E APPLICATIVE

M INISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO Start-up innovativa e nota integrativa – Il Ministero dello Sviluppo Economico ha chiarito che – nel r ispetto di quanto previsto dall’art. 25, 2° co., lett. h), n. 1, D.L. n. 179/2012 – occorre che le spese di r icerca e sviluppo continuino ad essere descritte nel-la nota integrativa predisposta dalle start-up innovative, nonostante le modif iche appor-tate medio tempore alla disciplina codicistica del bilancio d’esercizio con il recepimento della Direttiva 2013/34/UE, ad opera del D.Lgs. n. 139/2015. Sicché, per il Ministero, “le start-up innovative che intendono avvalersi del requisito delle spese di ricerca e sviluppo, dovranno continuare a redigere il bilancio d’esercizio con allegata la nota integrativa, nella quale sono descritte le spese in questione”. Tale conclusione deriva, da un lato, dalla necessità di “consentire all’Amministrazione di verificare immediatamente la rispondenza della dichiarazione di possesso del requi-sito” in questione, e, dall’altro, dalla specialità delle disposizioni del D.L. n. 179/2012. Il Parere n. 361851 del 17 novembre 2016 è reperibile sul sito www.sviluppoeconomico.gov.it.

SEGNALAZIONI DIRITTO COMMERCIALE

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ASSONIME Imprese multinazionali – L’Assonime ha pubblicato il documento Note e Studi n. 17/2016, concernente le “Imprese multinazionali: aspetti societari e fiscali”, con lo sco-po di “avviare la riflessione sui temi centrali” per tali imprese e “costituire il punto di partenza di un osservatorio permanente in Assonime per la materia”. Per quanto attiene ai profili di natura societaria, lo studio si sofferma, in particolare, sui “ criteri d’imputazione della responsabilità in capo alla controllante”, su “corporate go-vernance e assetti organizzativi del gruppo” e sulla “gestione del rischio”, individuando parimenti alcuni “strumenti che, adeguatamente calibrati in base alle caratteristiche proprie delle singole imprese, possono rappresentare una prima guida per le imprese che operano in più Paesi”. Il documento Note e Studi n. 17/2016, reso noto il 22 novembre 2016, è consultabile, con i relativi allegati, sul sito www.assonime.it. BANCA D’I TALIA -CONSOB-IVASS Interessi di mora e principi IAS/IFRS – È stato diffuso da Banca d’Italia, Consob e Ivass, il Documento n. 7 del 9 novembre 2016, avente ad oggetto il “Trattamento in bi-lancio degli interessi di mora ex D.Lgs. n. 231/2002 su crediti non deteriorati acquisiti a titolo definitivo”. L’approfondimento, come chiarito nel comunicato stampa congiunto del 15 novembre 2016, “è rivolto a tutti gli emittenti tenuti ad applicare i principi con-tabili internazionali, indipendentemente dal settore di operatività dell’ impresa (indu-striale, bancario e altri)”, ancorché di “specifico interesse per banche e altri interme-diari finanziari, attivi nel factoring dei crediti”, ed è volto a “fornire i chiarimenti ne-cessari a superare alcuni dubbi applicativi e assicurare un’omogeneità di comporta-mento da parte degli operatori”. Il Documento n. 7, unitamente al correlato comunicato stampa, è disponibile sul sito www.bancaditalia.it, www.consob.it e www.ivass.it. CNDCEC IPSAS – Il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ha avviato una pubblica consultazione sulle traduzioni dei principi contabili internazionali per il settore pubblico emanati dall’International Public Sector Accounting Standards Board (vds. segnalazioni di dir itto commerciale sul n. 6/2015 di questa Rivista). Trattasi, in dettaglio, dei principi IPSAS 3 (“Principi contabili, cambiamenti nelle stime contabili ed errori”), IPSAS 4 (“ Effetti delle variazioni dei cambi delle valute estere”), IPSAS 5 (“Oneri finanziari”), IPSAS 9 (“Proventi da operazioni di scambio”), IPSAS 10 (“ Rendicontazione contabile in economie iperinflazionate”), IPSAS 11 (“ Lavori su or-dinazione”), IPSAS 12 (“Rimanenze”), IPSAS 13 (“Leasing”), IPSAS 14 (“Fatti interve-

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nuti dopo la data di riferimento del bilancio”), IPSAS 16 (“Investimenti immobiliari”) e IPSAS 17 (“Immobili, impianti e macchinari”). La traduzione dei principi IPSAS – in consultazione sino al 22 dicembre 2016 – è repe-ribile sul sito ufficiale del Cndcec, www.commercialisti.it. CONSOB Business judgement rule – La Consob ha divulgato il Quaderno giuridico n. 11, sul tema “Business judgement rule e mercati finanziari”, il quale “si occupa dei limiti e dei criteri rispetto ai quali è possibile sottoporre a scrutinio il merito delle scelte degli amministratori di società per azioni in sede giudiziale ponendo a confronto tra loro la regola giurisprudenziale utilizzata negli Stati Uniti d’America (la business judgement rule – «BJR») con la disciplina sviluppatasi nei paesi di civil law europei ed in partico-lare in Italia”. Nello specifico, tra i diversi profili analizzati, figurano “i limiti e le fina-lità dello scrutinio sulle scelte gestionali degli amministratori delle società vigilate (so-cietà quotate, intermediari e società di gestione dei mercati) compiuto dall’Autorità di vigilanza sui mercati finanziari”, dai quali emerge che “la vigilanza sulla trasparenza dell’informativa e sulla correttezza dei comportamenti è compiuta utilizzando gli stessi criteri, metodi ed approcci definiti nella giurisprudenza civilistica in materia di BJR soprattutto in quelle materie in cui occorre valutare le scelte compiute dagli ammini-stratori”. Il Quaderno giuridico n. 11, reso noto nel mese di novembre 2016, è consultabile sul sito www.consob.it. FONDAZIONE NAZIONALE DEI COMMERCIALISTI False comunicazioni sociali – La Fondazione nazionale dei commercialisti ha diffuso una “Breve disamina del falso in bilancio nelle società non quotate”, in cui – premessa l’analisi degli artt. 2621 e ss. c.c., sulla scorta della giurisprudenza della Cassazione (Cass., SS.UU., n. 22474/2016; vds. segnalazioni di diritto commerciale sul n. 12/2016 di questa Rivista) – si approfondisce il rapporto tra le disposizioni penali codicistiche ed il reato di bancarotta. Il testo, datato 15 novembre 2016, è disponibile sul sito www.fondazionenazionalecommercialisti.it. OIC IFRS 16 – L’Organismo Italiano di Contabilità ha dato avvio ad una pubblica consulta-zione preliminare sull’adozione del novello principio IFRS 16, emanato dall’International Accounting Standards Board il 13 gennaio 2016 (vds. segnalazioni di diritto commerciale sul n. 2/2016 di questa Rivista).

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Si tratta della versione italiana del questionario posto dall’European Financial Repor-ting Advisory Group mediante il Preliminary Consultation Document, che anticipa la diffusione del Draft Endorsement Advice, prevista nel 2017. Il questionario – compilabile on-line sino al 5 dicembre 2016 – è reperibile sul sito www.fondazioneoic.eu.

GIURISPRUDENZA Azione di responsabilità promossa dal curatore – Il Tribunale di Milano ha ribadito che “il danno subito dai creditori a seguito di pagamenti preferenziali fatti in violazione della par condicio creditorum da amministratori e liquidatori di una società dopo che il patrimonio della medesima sia divenuto insufficiente rispetto alla massa dei crediti […] è danno specifico e diretto ai singoli creditori corrispondente alla minore misura in cui ciascuno potrà concorrere sull’attivo liquidato, che dà luogo al diritto di risarcimento di cui all’art. 2395 c.c.”. Conseguentemente, il curatore fallimentare “non è legittimato ad agire per il ristoro del danno subito direttamente ed individualmente dal singolo creditore per effetto della condotta dell’amministratore”. L’ordinanza del Tribunale di Milano del 7 ottobre 2016 è consultabile sul sito www.giurisprudenzadelleimprese.it. Omologa del concordato preventivo – Il Tribunale di Pavia, sul presupposto che “co-stituisce causa concreta della procedura concordataria in continuità diretta il miglior soddisfacimento dei creditori per mezzo della fuoriuscita dell’ impresa dallo stato di cri-si in condizione di persistente operatività”, ha respinto la domanda di omologa del con-cordato in cui “le operazioni poste in essere dall’imprenditore non sono state sufficienti a creare quell’equilibrio economico finanziario che costituisce la causa concreta della procedura azionata”. La decisione scaturisce dal fatto che, “in fase di omologa, il Tribunale, per mezzo del commissario, ha a disposizione anche l’ulteriore elemento del periodo di continuità a-ziendale, svolta durante la pendenza della procedura, ragione per cui può effettuare la propria valutazione non soltanto verificando la correttezza dell’analisi prognostica del piano, ma anche tenendo in considerazione i risultati medio tempore verificatisi che ben possono costituire elemento di prova della prognosi formulata in sede di ammissio-ne della procedura”. Un accertamento, questo, “che si concretizza nella verifica della persistenza della causa concreta della domanda concordataria” e che “costituisce sin-dacato sulla fattibilità giuridica del piano e non sul merito riservato ai creditori”. Il decreto del Tribunale di Pavia del 14 ottobre 2016 è disponibile sul sito www.ilcaso.it.

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Invalidità delle delibere assembleari – Il Tribunale di Roma ha rilevato che “l’art. 2379 c.c. – nel sanzionare la nullità delle deliberazioni assunte dall’assemblea in difet-to di convocazione – tutela l’ interesse di ciascun socio ad intervenire e, dunque, a prendere parte al processo di formazione della volontà della società e, più in particola-re, di influire su di esso”. Ragion per cui “la deliberazione è nulla anche quando la convocazione sia stata omessa con riferimento ad un socio titolare di una partecipazio-ne che non avrebbe comunque potuto influire sull’esito della votazione”, pari, nel caso di specie, al 7%. Sicché, “non si pone un problema di prova di resistenza perché ciò che conta, ai fini della pronunzia di nullità, non è l’esito finale e la possibilità del socio e-scluso di influire sul voto medesimo, ma la sua possibilità di influire sulla discussione assembleare”, atteso che, “a ragionare diversamente, nel caso di società in cui vi è un socio di maggioranza, non si vedrebbe neppure la ragione per la quale dovrebbero te-nersi le assemblee”. Inoltre, per il Tribunale di Roma, l’assenza dei componenti del collegio sindacale all’adunanza assembleare “non si ripercuote, di per sé, sulla validità delle deliberazioni assunte dall’assemblea o dal consiglio” di amministrazione, in quanto le previsioni dell’art. 2405 c.c. incidono “sul rapporto (intercorrente tra società e sindaci) e non già sull’atto assunto dall’organo con la conseguenza che la violazione dell’obbligo di par-tecipazione è causa di decadenza del sindaco (sempre che i sindaci siano stati informati della riunione)”. Tribunale di Roma, 17 ottobre 2016, n. 19326. Atti di frode e concordato preventivo – Il Tribunale di Milano ha stabilito che, ai f ini dell’omologa della domanda di concordato preventivo, “gli atti di frode possono essere rilevati dopo la votazione favorevole dei creditori e indipendentemente dalla medesi-ma”. Una siffatta conclusione poggia, tra l’altro, sul fatto che, “se si favorisse l’interpretazione secondo cui sarebbe sempre possibile sanare la condotta fraudolenta iniziale (ove vi sia prova che questa omissione sia voluta e venga rimossa per effetto di induzione nell’imprenditore alla disclosure per effetto dei rilievi dell’organo commissa-riale), si favorirebbero condotte opportunistiche che subordinerebbero la manifestazio-ne di queste condotte al puro caso in cui l’organo commissariale «scoprisse» tali con-dotte”. Inoltre, in tal senso si è espressa la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 14552/2014), ove si è statuito che “l’accertamento di atti di occultamento o di dissimu-lazione dell’attivo, della dolosa omissione della denuncia di uno o più crediti, dell’esposizione di passività insussistenti o della commissione di altri atti di frode da parte del debitore determina la revoca dell’ammissione al concordato, a norma dell’art. 173 L.F., indipendentemente dal voto espresso dai creditori in adunanza e, quindi, anche nell’ ipotesi in cui questi ultimi siano stati resi edotti di quell’accertamento”.

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La decisione del Tribunale di Milano del 10 novembre 2016 è reperibile sul sito www.ilcaso.it. Opposizione allo stato passivo – La Suprema Corte ha precisato che “il preteso credi-tore il quale proponga opposizione allo stato passivo, dolendosi dell’esclusione di un credito del quale aveva chiesto l’ammissione, è onerato della prova dell’esistenza del credito medesimo, secondo la regola generale stabilita dal 1° co. dell’art. 2697 c.c.”. Di conseguenza, qualora la curatela “dinanzi alla pretesa creditoria azionata nei suoi confronti in sede di opposizione allo stato passivo, pretesa riferita ad una somma dovu-ta in forza di un contratto a prestazioni corrispettive, avanzi un’eccezione di inadempi-mento, il riparto degli oneri probatori segue parimenti le regole ordinarie”, condensate nel principio in forza del quale, “in tema di prova dell’inadempimento di una obbliga-zione, il creditore che agisce per l’adempimento (oltre che per la risoluzione contrattu-ale ovvero per il risarcimento del danno) deve soltanto provare la fonte del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto a-dempimento, ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applica-bile al caso in cui il debitore convenuto si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c.”. La sentenza della Corte di Cassazione del 23 settembre 2016, n. 18705, è consultabile sul sito www.ilcaso.it. Approvazione del bilancio – Conformandosi ad alcuni precedenti arresti di legittimità, la Cassazione ha statuito che “la funzione del bilancio consiste nell’informare i soci e i terzi dell’attività svolta dagli amministratori attraverso la rappresentazione contabile dello stato patrimoniale della società e dei risultati economici della gestione”, di talché “ la relativa delibera di approvazione, non traducendosi nell’approvazione dei singoli atti gestori, non è quindi configurabile come ratifica tacita degli atti giuridici posti in essere da un soggetto che abbia agito in qualità di rappresentante della società senza averne i poteri o eccedendo i limiti delle facoltà conferitegli, a meno che non risulti ac-certata univocamente, al di là della mera approvazione, la volontà specifica – nel caso di specie nemmeno prospettata – di far proprio l’atto posto in essere dal falsus procura-tor”. Corte di Cassazione, 25 ottobre 2016, n. 21517.

SEGNALAZIONI (A CURA DI LEONARDO NESA)

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SEGNALAZIONI DI DIRITTO TRIBUTA RIO

NORMATIVA Convertito in legge il decreto 193/2016, collegato alla manovra di bilancio per il 2017 A seguito dei passaggi parlamentari che ha introdotto numerose modiche al Dl 193/2016 si fornisce di seguito una sintesi delle disposizioni aventi rilevanza fiscale. Soppressione di Equitalia e istituzione di Agenzia delle entrate-Riscossione (articolo 1): A decorrere dal 1° luglio 2017, Equitalia viene soppressa. A partire dalla stessa data, la funzione di riscossione nazionale è affidata all’Agenzia delle entrate, che la esercita tramite Agenzia delle entrate-Riscossione, nuovo ente pubblico economico strumentale, sottoposto all’indirizzo e alla vigilanza del ministro dell’Economia e delle finanze e al monitoraggio dell’Agenzia stessa. Misure per il recupero dell’evasione (articolo 4) Dal 1° gennaio 2017, è abolito lo “spesometro” e sono introdotti due nuovi adempimenti con periodicità trimestrale:

• comunicazione analitica dei dati delle fatture emesse e ricevute: i soggetti passivi Iva trasmettono telematicamente all’Agenzia delle entrate i dati di tutte le fatture emesse e ricevute nel trimestre di riferimento, incluse le bollette doganali, nonché i dati delle relative variazioni, alle seguenti scadenze: 31 maggio, 16 settembre, 30 novembre e ultimo giorno di febbraio. Solo per il 2017 (primo anno di applicazione) si prevede l’invio di una comunicazione semestrale iniziale da effettuare entro il 25 luglio 2017. La comunicazione, che deve essere effettuata in forma analitica secondo modalità stabilite con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate, deve comprendere almeno i seguenti dati: dati identificativi dei soggetti coinvolti nelle operazioni, data e numero della fattura, base imponibile, aliquota applicata, imposta, tipologia di operazione.

• comunicazione dei dati delle liquidazioni periodiche Iva: negli stessi termini e con le stesse modalità previste per la comunicazione analitica dei dati delle fatture, i soggetti passivi comunicano i dati delle liquidazioni periodiche Iva, anche nell’ipotesi di liquidazione con eccedenza a credito (rimangono fermi i termini

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SEGNALAZIONI DIRITTO TRIBUTARIO

ordinari di versamento dell’Iva dovuta in base alle liquidazioni periodiche effettuate).

In caso di omessa o errata trasmissione delle fatture, è prevista una sanzione di 2 euro per ciascuna fattura, con un massimo di 1.000 euro per ciascun trimestre. La sanzione è ridotta alla metà, con un massimo di 500 euro, se la regolarizzazione avviene entro 15 giorni dalla scadenza. In caso di omessa, incompleta o infedele comunicazione dei dati delle liquidazioni, si applica la sanzione da 500 a 2.000 euro, con riduzione alla metà, se la regolarizzazione avviene nei 15 giorni successivi. Dal 1° gennaio 2017 sono soppressi i seguenti adempimenti:

- comunicazione all’Anagrafe tributaria dei dati relativi ai contratti stipulati dalle società di leasing

- limitatamente agli acquisti intracomunitari di beni e alle prestazioni di servizi ricevute da soggetti stabiliti in un altro Stato membro dell’Unione europea, le comunicazioni di cui all’articolo 50, comma 6, Dl 331/1993

- comunicazione delle operazioni intercorse con operatori economici situati in Paesi black list

Cambia il termine di presentazione della dichiarazione Iva: dal 2018 (Iva dovuta per il 2017), andrà trasmessa tra il 1° febbraio e il 30 aprile. Dichiarazione integrativa a favore e ravvedimento (articolo 5) Estesa la possibilità per il contribuente di presentare la dichiarazione integrativa a favore entro il termine per l’accertamento fiscale. In tal caso, il credito d’imposta può essere utilizzato in compensazione per eseguire il versamento di debiti maturati a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione integrativa. Una disciplina analoga è prevista per la dichiarazione integrativa Iva. In tal caso, il credito d’imposta può essere chiesto a rimborso ovvero può essere utilizzato in compensazione per eseguire il versamento di debiti maturati a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in cui è stata presentata l’integrativa. Definizione agevolata (articolo 6) Si prevede la definizione agevolata (rottamazione delle cartelle) dei carichi affidati agli agenti della riscossione negli anni compresi tra il 2000 e il 2016. Il contribuente, aderendo alla procedura, può pagare solo le somme iscritte a ruolo a titolo di capitale, di interessi legali e di remunerazione del servizio di riscossione. Non sono dovute, invece, le sanzioni, gli interessi di mora e le sanzioni e somme aggiuntive gravanti su crediti previdenziali. Sarà necessario presentare un’apposita dichiarazione, entro il 31 marzo 2017, con la quale si manifesta la volontà di avvalersi della definizione agevolata. Rappresentanza e assistenza dei contribuenti (articolo 6-bis)

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Si consente anche ai tributaristi o consulenti tributari, certificati e qualificati ai sensi della legge sulle professioni non organizzate, di svolgere la rappresentanza e fornire assistenza ai contribuenti innanzi agli uffici dell’Amministrazione finanziaria. Riapertura dei termini della procedura di collaborazione volontaria (articolo 7) Si prevede la riapertura dei termini per aderire alla procedura di collaborazione volontaria (voluntary disclosure): dal 24 ottobre 2016 (data di entrata in vigore del decreto legge) al 31 luglio 2017 (voluntary disclosure-bis). Essa trova applicazione, sia per l’emersione di attività estere, sia per le violazioni dichiarative relative a imposte erariali. Le violazioni sanabili sono quelle commesse fino al 30 settembre 2016. Introduzione degli indici sintetici di affidabilità (articolo 7-bis) Dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2017, viene prevista l’abolizione degli studi di settore e la loro sostituzione con gli indici sintetici di affidabilità fiscale, individuati con decreto del ministro dell’Economia e delle finanze. Agli indici sono collegati livelli di premialità per i contribuenti più affidabili, anche in termini di esclusione o riduzione dei termini per gli accertamenti, al fine di stimolare l’assolvimento degli obblighi tributari e il rafforzamento della collaborazione tra l’Amministrazione finanziaria e contribuenti. Disposizioni in materia di semplificazione fiscale (articolo 7-quater) L’articolo contiene una serie di norme di semplificazione fiscale, si riportano di seguito, le più significative: � eliminata la presunzione legale di evasione relativa ai compensi dei professionisti in

riferimento ai rapporti bancari, anche con riguardo ai versamenti. In ordine ai ricavi dei titolari di reddito di impresa, viene indicato un parametro quantitativo oltre il quale scatta la presunzione di evasione (prelievi o versamenti di importo superiore a 1.000 euro giornalieri e a 5mila euro mensili).

� Le prestazioni di viaggio e trasporto acquistate direttamente dal committente non costituiscono compensi in natura per il lavoratore autonomo.

� A decorrere dal 1° luglio 2017 è introdotta la notifica mediante posta elettronica certificata degli avvisi di accertamento e degli altri atti destinati alle imprese individuali, alle società o ai professionisti.

� A decorrere dal 2017 con riferimento alle certificazioni relative al 2016, posticipato dal 28 febbraio al 31 marzo il termine per la consegna della certificazione unica.

� Prevista la sospensione dei termini, dal 1° agosto al 4 settembre, per la trasmissione di documenti e informazioni richiesti ai contribuenti dall’Agenzia delle entrate (o da altri enti impositori), esclusi quelli relativi alle richieste effettuate nel corso delle attività di accesso, ispezione e verifica, nonché delle procedure di rimborso ai fini Iva. Introdotta, anche, la sospensione, dal 1° agosto al 4 settembre, dei termini di 30 giorni previsti per il pagamento delle somme dovute, rispettivamente, a seguito dei

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controlli automatici, dei controlli formali e della liquidazione delle imposte sui redditi assoggettati a tassazione separata (sospensione feriale degli avvisi bonari).

� Si posticipa dal 16 giugno al 30 giugno la data entro la quale effettuare il versamento a saldo dell’Irpef e dell’Irap da parte delle persone fisiche e delle società o associazioni di cui all’articolo 5 Turi. Per i soggetti Ires, il versamento dell’imposta sul reddito e dell’Irap viene fatto slittare all’ultimo giorno del sesto mese successivo a quello di chiusura del periodo di imposta, modificando quindi il vigente termine finale del giorno 16 del sesto mese successivo. Tali modifiche decorrono dal 1° gennaio 2017. Per esigenze di coordinamento, vengono modificate le disposizioni relative ai termini di versamento Iva, allineandoli a quelli delle altre imposte. (Decreto legge n. 193 del 22 ottobre 2016)

INDICAZIONI INTERPRETATIVE E APPLICATIVE Detrazione per l’acquisto di un box auto di pertinenza anche senza bonifico bancario L’Agenzia delle Entrate con documento di prassi fornisce indicazioni per accedere all’agevolazione prevista per l’acquisto di autorimesse e posti auto di pertinenza a immobili residenziali, anche se il pagamento delle spese non è stato disposto mediante bonifico, o se invece il bonifico è stato effettuato in modo non corretto. Le Entrate chiariscono che, nel caso di pagamento che non risulti da un bonifico, il ricevimento delle somme da parte dell’impresa deve risultare attestato dall’atto notarile. Inoltre, il contribuente deve farsi rilasciare una dichiarazione sostitutiva di atto notorio che attesti che i corrispettivi accreditati a suo favore sono stati inclusi nella contabilità dell’impresa ai fini della loro concorrenza alla corretta determinazione del reddito del percipiente. Anche in caso di bonifico bancario compilato in modo tale da non consentire alle banche e a Poste italiane di effettuare la ritenuta d’acconto dell’8%, il contribuente può continuare ad aver diritto all’agevolazione facendosi rilasciare una dichiarazione sostitutiva in cui il venditore afferma di aver ricevuto le somme e di averle incluse nella contabilità dell’impresa. (Agenzia delle entrate, Circolare n. 43/E del 18 novembre 2016 di oggi) GIURISPRUDENZA Se la società omette di pagare l’Iva risponde l’amministratore di fatto La Cassazione ha statuito che il vero responsabile del reato di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto è chi effettivamente gestisce la compagine ed è in

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grado di assolvere gli adempimenti fiscali stabilendo che il dato fattuale della gestione sociale deve prevalere su quello solo formale. L’amministratore di diritto è un mero prestanome, che concorre nel reato a titolo di corresponsabilità per omesso impedimento dell’evento. Questi, difatti, non ha alcun potere di ingerenza nella compagine societaria ma, avendo accettato la carica, ne ha assunto anche i rischi connessi, tra cui quelli dell’articolo 2639 del codice civile. (Corte di Cassazione, sentenza n. 47239 del 10 novembre 2016) Scissione parziale, in caso di violazione tutti i partecipanti sono chiamati a rispondere La Corte di Cassazione stabilisce che per i debiti fiscali derivanti da violazioni commesse prima di una scissione parziale, vige la solidarietà illimitata tra scissa e beneficiaria dovendosi ritenere prevalente la normativa speciale dettata dagli articoli 173, comma 13, del Tuir e 15, comma 2, Dlgs 472/1997 rispetto alla norma civilistica (articolo 2506-quater, comma 3, cc). La società beneficiaria è quindi obbligata in solido, oltre il limite del patrimonio netto conferito, per il debito d’imposta riferito alle violazioni commesse anteriormente all’operazione. (Corte di Cassazione, sentenza 22225 del 3 novembre 2016) VARIE Nuova tranche di alert dell’Agenzia per chi non ha presentato la dichiarazione Iva L’ Agenzia delle Entrate sta inviando delle mail agli indirizzi di posta elettronica certificata (Pec) dei contribuenti che non hanno ancora inviato la dichiarazione IVA 2016, in modo da permettergli di controllare ed eventualmente correggere la propria posizione. Per mettersi in regola i contribuenti che possono regolarizzare la propria posizione avvalendosi dell’istituto del ravvedimento operoso, presentando il modello dichiarativo entro il 29 dicembre 2016 versando le imposte, se dovute, gli interessi e le sanzioni in misura ridotta. (Agenzia delle Entrate, comunicato stampa del 17 novembre 2016)

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