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Il numero 29 di inFolio apre una nuova fase della rivista: alle tematiche della pianificazione urbana e territoriale si affiancano quelle della storia dell’architettura e della città e della storia dell’arte. Con l’obiettivo di restituire una visione trasversale delle tematiche affrontate dal nuovo corso di Dottorato, si propone una sessione tematica che, nella scelta della parola-chiave “Sfide” – punto di vista con cui i vari autori guardano con occhio critico alle tematiche e alle questioni aperte delle diverse discipline – offre riflessioni critico-analitiche, possibili proposte operative e indirizzi per nuovi percorsi di ricerca. La rivista, inoltre, propone gli esiti dei percorsi di ricerca in corso o completati all’interno del dottorato, quale momento di discussione sulle dinamiche che influenzano le trasformazioni territoriali e la ricostruzione di vicende storiche per una maggiore conoscenza del patrimonio architettonico e artistico. VENT’ANNI E NON SENTIRLI: PASSATO E FUTURO DI UN DOTTORATO DI RICERCA Francesco Lo Piccolo DOTTORATO DI RICERCA IN STORIA DELL’ARCHITET- TURA. VENTI ANNI DI ATTIVITÀ Marco Rosario Nobile PER LA RICERCA DELLA STORIA DELL’ARTE IN SICILIA Maria Concetta Di Natale RIPENSARE LA PIANIFICAZIONE: LE COMMUNITY LAND TRUST Vincenza Bondì IL RIUSO COME OPPORTUNITÀ DI RIVITALIZZAZIONE UR- BANA Daniela Di Raffaele THE CHALLENGE OF URBAN PLANNING IN CONFLICT ZONES Abdelrahman Halawani LA GRANDE SFIDA: VERSO LA CITTÀ “SMART” PER UN TERRITORIO SOSTENIBILE Giuseppina Limblici QUANDO LE CITTÀ SI SFIDANO: RETORICHE DELLA COMPE- TIZIONE Angelo Priolo URBANIZZAZIONE, CITTÀ E SVILUPPO SOSTENIBILE Luisa Rossini IL CASTELLO A MARE DI PALERMO: IPOTESI PER UNA RI- COSTRUZIONE CONGETTURALE Tommaso Abbate UN NUOVO DESAFÍO: INFLUENCIAS ARQUITECTÓNICAS EN EL PALACIO REAL DE PALERMO Eloy Bermejo Malumbres LA SFIDA CONTRO I SICILIANI: IL VICEREGNO DI DOME- NICO CARACCIOLO Evelyn Messina LA SFIDA DI MISTRETTA PER UNA RINASCITA CULTURALE ATTRAVERSO LA VALORIZZAZIONE DEL SUO PATRIMONIO STORICO-ARTISTICO Salvatore Serio GLOBALIZZAZIONE E SISTEMI URBANI: EFFETTI, RELA- ZIONI, ESPRESSIONI TERRITORIALI Annalisa Contato PAESAGGIO, URBANISTICA E AMBIENTE: UN PATTO PER IL GOVERNO DEL TERRITORIO Fabio Cutaia STORIOGRAFIA E ARCHITETTURA: IL CASO GURLITT / VALGUARNERA Antonio Belvedere IL CONVENTO DI SAN DOMENICO A CAGLIARI. NOTE E DO- CUMENTI Federico Maria Giammusso GOVERNARE I TERRITORI FLUVIALI. IL CONTRATTO DI FIUME, STRUMENTO PER UNA GESTIONE INTEGRATA ALLA SCALA DEL BACINO IDROGRAFICO Maria Laura Scaduto LA CAPPELLA PALATINA DI PALERMO: MISURA, INTER- PRETAZIONE, RAPPRESENTAZIONE Mirco Cannella XV CONFERENZA NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DEGLI URBANISTI: L’URBANISTICA CHE CAMBIA Elena Giannola AESOP 2012 PHD WORKSHOP AND CONFERENCE Mohamed Ali M. Khalil VOLUMI SENALATI a cura di Fabio Cutaia, Eleonora Marrone, Salvatore Serio URBANISTICA: LA SFIDA DEL FUTURO di Elena Giannola ISSN 1828-2482 Francesco Lo Piccolo Marco Rosario Nobile Maria Concetta Di Natale Vincenza Bondì Daniela Di Raffaele Abdelrahman Halawani Giuseppina Limblici Angelo Priolo Luisa Rossini Tommaso Abbate Eloy Bermejo Malumbres Evelyn Messina Salvatore Serio Annalisa Contato Fabio Cutaia Antonio Belvedere Federico Maria Giammusso Maria Laura Scaduto Mirco Cannella Elena Giannola Mohamed Ali M. Khalil Eleonora Marrone IN FOLIO Dicembre 2012 29 RIVISTA DEL DOTTORATO DI RICERCA IN ANALISI, RAPPRESENTAZIONE E PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE TERRITORIALI, URBANE, STORICO-ARCHITETTONICHE E ARTISTICHE DELL’UNIVERSITÀ DI PALERMO RIVISTA DEL DOTTORATO DI RICERCA IN ANALISI, RAPPRESENTAZIONE E PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE TERRITORIALI, URBANE, STORICO-ARCHITETTONICHE E ARTISTICHE DELL’UNIVERSITÀ DI PALERMO INFOLIO Dipartimento di Architettura Viale delle Scienze, Edificio 8, scala F4 - 1°P - 90128, Palermo tel. +39 091488562 - Fax +3909123865403 [email protected] - [email protected] (pec)

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Il numero 29 di inFolio apre una nuova fase della rivista: alle tematiche della pianificazione urbana e territoriale si affiancano quelle della storia dell’architettura e della città e della storia dell’arte. Con l’obiettivo di restituire una visionetrasversale delle tematiche affrontate dal nuovo corso di Dottorato, si propone una sessione tematica che, nellascelta della parola-chiave “Sfide” – punto di vista con cui i vari autori guardano con occhio critico alle tematiche ealle questioni aperte delle diverse discipline – offre riflessioni critico-analitiche, possibili proposte operative e indirizziper nuovi percorsi di ricerca.La rivista, inoltre, propone gli esiti dei percorsi di ricerca in corso o completati all’interno del dottorato, quale momentodi discussione sulle dinamiche che influenzano le trasformazioni territoriali e la ricostruzione di vicende storiche peruna maggiore conoscenza del patrimonio architettonico e artistico.

VENT’ANNI E NON SENTIRLI: PASSATO E FUTURO DI UNDOTTORATO DI RICERCAFrancesco Lo Piccolo

DOTTORATO DI RICERCA IN STORIA DELL’ARCHITET-TURA. VENTI ANNI DI ATTIVITÀMarco Rosario Nobile

PER LA RICERCA DELLA STORIA DELL’ARTE IN SICILIAMaria Concetta Di Natale

RIPENSARE LA PIANIFICAZIONE: LE COMMUNITY LANDTRUSTVincenza Bondì

IL RIUSO COME OPPORTUNITÀ DI RIVITALIZZAZIONE UR-BANADaniela Di Raffaele

THE CHALLENGE OF URBAN PLANNING IN CONFLICTZONESAbdelrahman Halawani

LA GRANDE SFIDA: VERSO LA CITTÀ “SMART” PER UNTERRITORIO SOSTENIBILEGiuseppina Limblici

QUANDO LE CITTÀ SI SFIDANO: RETORICHE DELLA COMPE-TIZIONEAngelo Priolo

URBANIZZAZIONE, CITTÀ E SVILUPPO SOSTENIBILELuisa Rossini

IL CASTELLO A MARE DI PALERMO: IPOTESI PER UNA RI-COSTRUZIONE CONGETTURALETommaso Abbate

UN NUOVO DESAFÍO: INFLUENCIAS ARQUITECTÓNICASEN EL PALACIO REAL DE PALERMO Eloy Bermejo Malumbres

LA SFIDA CONTRO I SICILIANI: IL VICEREGNO DI DOME-NICO CARACCIOLOEvelyn Messina

LA SFIDA DI MISTRETTA PER UNA RINASCITA CULTURALEATTRAVERSO LA VALORIZZAZIONE DEL SUO PATRIMONIOSTORICO-ARTISTICOSalvatore Serio

GLOBALIZZAZIONE E SISTEMI URBANI: EFFETTI, RELA-ZIONI, ESPRESSIONI TERRITORIALIAnnalisa Contato

PAESAGGIO, URBANISTICA E AMBIENTE: UN PATTO PERIL GOVERNO DEL TERRITORIOFabio Cutaia

STORIOGRAFIA E ARCHITETTURA: IL CASO GURLITT /VALGUARNERAAntonio Belvedere

IL CONVENTO DI SAN DOMENICO A CAGLIARI. NOTE E DO-CUMENTI Federico Maria Giammusso

GOVERNARE I TERRITORI FLUVIALI. IL CONTRATTO DIFIUME, STRUMENTO PER UNA GESTIONE INTEGRATAALLA SCALA DEL BACINO IDROGRAFICOMaria Laura Scaduto

LA CAPPELLA PALATINA DI PALERMO: MISURA, INTER-PRETAZIONE, RAPPRESENTAZIONEMirco Cannella

XV CONFERENZA NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANADEGLI URBANISTI: L’URBANISTICA CHE CAMBIAElena Giannola

AESOP 2012 PHD WORKSHOP AND CONFERENCEMohamed Ali M. Khalil

VOLUMI SENALATIa cura di Fabio Cutaia, Eleonora Marrone, Salvatore Serio

URBANISTICA: LA SFIDA DEL FUTUROdi Elena Giannola

ISSN 1828-2482

Francesco Lo Piccolo

Marco Rosario Nobile

Maria Concetta Di Natale

Vincenza Bondì

Daniela Di Raffaele

Abdelrahman Halawani

Giuseppina Limblici

Angelo Priolo

Luisa Rossini

Tommaso Abbate

Eloy Bermejo Malumbres

Evelyn Messina

Salvatore Serio

Annalisa Contato

Fabio Cutaia

Antonio Belvedere

Federico Maria Giammusso

Maria Laura Scaduto

Mirco Cannella

Elena Giannola

Mohamed Ali M. Khalil

Eleonora MarroneINFO

LIODicembre 2012

29R IV I STA DEL DOTTORATO D I R ICERCA IN ANAL IS I , RAPPRESENTAZ IONE E P IAN I F ICAZ IONE DELLE R ISORSE TERR I TOR IAL I ,

URBANE , STOR ICO -ARCH ITETTON ICHE E ART IST ICHE DELL’UN IVERS I TÀ D I PALERMOR IV ISTA DEL DOTTORATO D I R ICERCA IN ANAL IS I , RAPPRESENTAZ IONE E P IAN I F ICAZ IONE DELLE R ISORSE TERR I TOR IAL I ,

URBANE , STOR ICO -ARCH ITETTON ICHE E ART IST ICHE DELL’UN IVERS I TÀ D I PALERMO

INFOLIODipartimento di Architettura

Viale delle Scienze, Edificio 8, scala F4 - 1°P - 90128, Palermotel. +39 091488562 - Fax +3909123865403

[email protected] - [email protected] (pec)

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R I V I S TA D E L D O T T O R A T O D I R I C E R C A I N A N A L I S I , R A P P R E S E N TA Z I O N E E P I A N I F I C A Z I O N E D E L L E R I S O R S E T E R R I T O R I A L I ,U R B A N E , S T O R I C O - A R C H I T E T T O N I C H E E A R T I S T I C H E D E L L’ U N I V E R S I T À D I PA L E R M O

Indice3

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Sessionetematica“Sfide”

Editoriali VENT’ANNI E NON SENTIRLI: PASSATO E FUTURO DI UN DOTTORATO DI RICERCAFrancesco Lo Piccolo

DOTTORATO DI RICERCA IN STORIA DELL’ARCHITETTURA. VENTI ANNI DI ATTIVITÀMarco Rosario Nobile

PER LA RICERCA DELLA STORIA DELL’ARTE IN SICILIAMaria Concetta Di Natale

RIPENSARE LA PIANIFICAZIONE: LE COMMUNITY LAND TRUSTVincenza Bondì

IL RIUSO COME OPPORTUNITÀ DI RIVITALIZZAZIONE URBANADaniela Di Raffaele

THE CHALLENGE OF URBAN PLANNING IN CONFLICT ZONESAbdelrahman Halawani

LA GRANDE SFIDA: VERSO LA CITTÀ “SMART” PER UN TERRITORIO SOSTENIBILEGiuseppina Limblici

QUANDO LE CITTÀ SI SFIDANO: RETORICHE DELLA COMPETIZIONEAngelo Priolo

URBANIZZAZIONE, CITTÀ E SVILUPPO SOSTENIBILELuisa Rossini

IL CASTELLO A MARE DI PALERMO: IPOTESI PER UNA RICOSTRUZIONE CONGETTURALETommaso Abbate

UN NUOVO DESAFÍO: INFLUENCIAS ARQUITECTÓNICAS EN EL PALACIO REAL DE PALERMO Eloy Bermejo Malumbres

LA SFIDA CONTRO I SICILIANI: IL VICEREGNO DI DOMENICO CARACCIOLOEvelyn Messina

LA SFIDA DI MISTRETTA PER UNA RINASCITA CULTURALE ATTRAVERSO LA VALORIZZAZIONE DELSUO PATRIMONIO STORICO-ARTISTICOSalvatore Serio

GLOBALIZZAZIONE E SISTEMI URBANI: EFFETTI, RELAZIONI, ESPRESSIONI TERRITORIALIAnnalisa Contato

PAESAGGIO, URBANISTICA E AMBIENTE: UN PATTO PER IL GOVERNO DEL TERRITORIOFabio Cutaia

INFOLIO 29

ISSN 1828?2482

1Dicembre 2012INFOLIO 29

Ricerche

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STORIOGRAFIA E ARCHITETTURA: IL CASO GURLITT / VALGUARNERAAntonio Belvedere

IL CONVENTO DI SAN DOMENICO A CAGLIARI. NOTE E DOCUMENTI Federico Maria Giammusso

GOVERNARE I TERRITORI FLUVIALI. IL CONTRATTO DI FIUME, STRUMENTO PER UNA GESTIONEINTEGRATA ALLA SCALA DEL BACINO IDROGRAFICOMaria Laura Scaduto

LA CAPPELLA PALATINA DI PALERMO: MISURA, INTERPRETAZIONE, RAPPRESENTAZIONEMirco Cannella

XV CONFERENZA NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DEGLI URBANISTI: L’URBANISTICA CHECAMBIAElena Giannola

AESOP 2012 PHD WORKSHOP AND CONFERENCEMohamed Ali M. Khalil

VOLUMI SEGNALATIa cura di Fabio Cutaia, Eleonora Marrone, Salvatore Serio

URBANISTICA: LA SFIDA DEL FUTUROdi Elena Giannola

FONTI DELLE ILLUSTRAZIONI

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2 Dicembre 2012 INFOLIO 29

Reti

Tesi

Letture

Resort

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3Dicembre 2012INFOLIO 29

Vent’anni e non sentirli: passatoe futuro di un dottorato di ricerca

Questo numero di inFolio inaugura una nuova stagionedel Dottorato di ricerca e, di conseguenza, una nuovaveste e configurazione della rivista stessa. La strutturain cui inFolio oggi si articola riflette una rinnovata com-posizione, e titolazione, del dottorato, esito di un pro-cesso di aggregazione e integrazione fra dottorati diricerca preesistenti. Tale processo, che già negli ultimidue anni è stato condizionato da successive fasi di rias-setto, è destinato con molta probabilità ad affrontareun’ulteriore, e complessiva, fase di riformulazione, aseguito dell’imminente percorso di accreditamento pre-visto in ambito nazionale.In realtà questo editoriale registra con un certo ritardofenomeni già avvenuti e scelte faticosamente maturate,e destinate a ennesimi cambiamenti. Tutto questo nonè casuale, ma testimonia la difficoltà del tempo pre-sente, e il convergere e talvolta l’affannoso sovrapporsidi profondi mutamenti dell’assetto universitario ita-liano; ciò necessiterebbe un’approfondita e meditata ri-flessione, che certo non può essere contenuta in questepoche righe. Non tutti gli eventi e le trasformazioni ri-guardano direttamente la sorte e la natura dei dottoratidi ricerca, ma è certo che il dottorato può essere consi-derato un indicatore sensibile, forse più di altri, delletrasformazioni in atto, esplicite e implicite. Prima di affrontare, nell’immediato futuro prossimo, leproblematiche che l’accreditamento prefigura, un bilan-cio del cammino intrapreso è doveroso, per quel che at-tiene al Dottorato, oggi Indirizzo e domaniprobabilmente Curriculum, in Pianificazione urbana eterritoriale: bilancio non di breve termine, in quanto il2013 coincide con il ventennale del dottorato, così comel’anno seguente segnerà i venti anni della rivista.Avremmo dovuto festeggiarne il compleanno, ma il sus-seguirsi degli impegni, e degli adempimenti da affron-tare, non concede molto spazio al looking back, eperaltro – forse per ragioni personali banalmente ana-grafiche – credo sia maggiormente stimolante proiet-tarsi nella dimensione futura, piuttosto che indulgerenelle pur piacevoli, e per certi versi consolatorie, ri-membranze del tempo, e del lavoro, trascorsi. Il percorso intrapreso, e le ricerche accumulatesi neglianni, sono peraltro ampiamente documentati dai numeridi inFolio, che costituiscono una rassegna esaustiva diquesti venti anni di attività. Questa è una delle ragiond’essere, fra le tante, della rivista, che è sopravvissutaa non poche difficoltà e ripensamenti in corso d’opera,ancora nella sua versione orgogliosamente cartacea, cuisi affianca una versione on line la cui accessibilità è atratti condizionata dalle sorti mutevoli dei siti web diateneo e di dipartimento, a loro volta oggetto in questiultimi anni di metamorfosi e rigenerazioni. Motivo

d’orgoglio è soprattutto poter affermare che inFolio rap-presenta la più longeva, in termini di continuità tempo-rale e numero di fascicoli pubblicati, rivista di dottoratoin urbanistica e pianificazione in Italia. Anche attra-verso di essa la riconoscibilità scientifica e disciplinaredella sede ha acquistato, negli anni, spessore e valuta-zioni positive. Il dottorato infatti, qui come altrove, può essere consi-derato un indicatore sensibile e privilegiato, anche seovviamente non l’unico, della vivacità e della capacitàdi innovazione di un ambito disciplinare, attraverso ri-cerche, iniziative, dibattiti sviluppati al suo interno oche in esso si riverberano: nelle pagine accumulatesiappunto in un arco di venti anni è possibile passare inrassegna un campione significativo di questioni affron-tate, temi dibattuti, reti di ricerca nazionali e internazio-nali, percorsi di crescita e confronto di individui egruppi. Le centinaia e centinaia di pagine della rivistacostituiscono un vero e proprio ritratto collettivo dellanostra comunità scientifica, quasi fossero una dinamica,contemporanea e plurale serie di conversation pieces,appunto in un esterno, che non è il paesaggio delle te-nute agricole delle più o meno illustri famiglie inglesisettecentesche, locali e sostanzialmente provinciali, mal’esterno globale e privo di confini proprietari del pa-norama della ricerca internazionale.Questa metafora, e la sua interpretazione, racchiude lospirito del dottorato di ricerca così come – insieme adaltri, un tempo dottorandi, oggi colleghi – ho cercato disvilupparlo, e che sottende l’idea di ricerca che, non dirado faticosamente, si persegue: una ricerca dal forte ri-conoscimento disciplinare nella sua fertile ibridazionee confronto con altri saperi, tradizioni e discipline; dallacostante e strutturata predisposizione al confronto in-ternazionale; dalla robusta e ostinatamente perseguitafondazione su metodologie chiaramente identificabili eampiamente riconoscibili; innervata dalla teoria, anchequando il tema richieda il misurarsi con le pratiche, oaddirittura con la cronaca; rigorosa nel suo dispiegarsi,ma libera e indipendente nell’affrontare ambiti e pro-blematiche che non sono precostituiti, o irrigiditi dasteccati eretti dal sapere e dalle esperienze precedente-mente accumulati. In poche parole, la ricerca come benecomune, nella sua costruzione così come nel suo uti-lizzo e diffusione. Con questo ideale, e conseguente ap-proccio, ritengo sia opportuno affrontare le sfide –difficili, e non del tutto condivisibili – che ci vedrannoimpegnati nel prossimo futuro: sufficientemente adultie consapevoli sulla base delle esperienze – e dei risultati– dei venti anni trascorsi, ma al tempo stesso ancora ingrado di affrontare con la dovuta freschezza intellettualeulteriori cambiamenti e prospettive di ricerca.

Francesco Lo Piccolo

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4 Dicembre 2012 INFOLIO 29

Dottorato di ricerca in Storiadell’Architettura. Venti anni di attività.

Per chi svolge il mestiere di storico, anche il riassuntodella breve storia di un dottorato comporta l’assunzionedi uno sguardo franco e disincantato; ed è necessariodichiarare in premessa che sarebbe disonesto spacciareper consapevoli scelte culturali alcune variazioni (rela-tive a titolazioni e sfumature di contenuto) che nel corsodel tempo si sono susseguite. L’impressione è che, comespesso succede nella vita, il caso e le contingenze (nonnecessariamente peggiorando le cose) abbiano avuto unruolo significativo nei processi che ci portano all’oggi.Il Dottorato di ricerca in Storia dell’Architettura e Con-servazione dei Beni architettonici è stato istituito pressoil Dipartimento di Storia e Progetto nell’Architetturadell’Università degli Studi di Palermo nell’a.a. 1993/94.Per molteplici cicli, ha avuto coordinatori autorevoli (insuccessione cronologica: i professori Gianluigi Ciotta,Maria Giuffrè, Aldo Casamento); consorzi con le uni-versità degli studi di Genova, di Reggio Calabria, diMessina, di Siracusa; collegi di docenti appartenenti adifferenti settori disciplinari, ma con una base costantedi professori appartenenti al settore ICAR 18.Nel corso del tempo, la “conservazione” è stata sosti-tuita - direi proficuamente e senza snaturare l’anima eil senso dei progetti di ricerca - dalla “rappresenta-zione”, mentre l’attuale connubio con la Storia del-l’Arte, benché in qualche modo obbligato dallecontingenze, si fonda certamente su un sodalizio com-posto da intenti paralleli e da metodologie condivise. Indipendentemente dalle modifiche di titolazione maforse in qualche modo in relazione a un panorama di-sciplinare in movimento, gli argomenti prescelti per lericerche di dottorato, discusse nel corso degli anni, di-segnano un possibile percorso da interpretare. Così, soloper fare un esempio, il suggerimento rivolto ad affron-tare ipotesi di lavoro e temi specifici, individuati quasisempre in una fabbrica da indagare verticalmente, si ègradualmente disarticolato e le tesi sono state rivolteanche a profili biografici di committenti e di architetti,a “serie” tipologiche, sino all’analisi più complessa diinteri comparti o di periodi. Su un fronte diverso, i programmi del corso, i cicli diconferenze, le lezioni metodologiche sono stati costan-temente incentrati sul problema della cosciente assun-zione di un dovere etico che ogni ricerca comporta;sullo scrupolo necessario in ogni fase del lavoro: dalla

selezione delle fonti sino alla stesura del testo. La va-rietà di approcci credo sia stata funzionale anche indi-rettamente a trasmettere, almeno ai più avvertiti, unasana diffidenza per le scorciatoie, per la facilità con cuitroppo spesso si passa da teorie generali, elaborate daaltri, a casi singoli, finendo per predisporre dimostra-zioni circolari. Oggi molte tesi elaborate (e l’alto numero di libri e diarticoli nati da quelle tesi) non costituiscono un inertearchivio delle attività svolte, ma contributi che proiet-tano all’esterno l’immagine di una Sicilia vivace, com-plessa, internazionalmente relazionata più di quanto sipotesse solo presumere negli anni ottanta.Il dottorato è stato certamente qualcosa di più che unostrumento di formazione; probabilmente si tratta dellapiù formidabile palestra di scambi che Palermo e la Si-cilia abbiano mai avuto in questa disciplina; il luogodove i giovani hanno talora obbligato i maestri a spo-stare lo sguardo, a rivedere assunti e convinzioni. Nonesiste dubbio che la formazione degli allievi sia stata –neanche tanto velatamente - una straordinaria occasionedi scambio, lo stimolo a riflettere continuamente sui pe-rimetri e sugli obiettivi del nostro lavoro, sulle strategiee sui modelli possibili.In fondo, l’obbligo del confronto, talora davanti a ospitiqualificati, comportava la necessità di evitare la derivadella irresponsabilità, di quella tendenza latente che pre-tenderebbe che ogni punto di vista soggettivo abbia ilmedesimo valore. Il rigore, l’onere della prova, l’ob-bligo di rimettere in discussione ogni enunciato prece-dente, le dosi equilibrate di filologia e di retorica hannoformato non solo studiosi, ma anche cittadini. Venti annidi percorso forse sono anche il tempo giusto per valu-tare effetti più profondi di quanto possano permettersidi fare le fluttuanti valutazioni richieste per il rinnovoannuale dei cicli. Constatare oggi che il collegio dei do-centi appartenenti al settore disciplinare ICAR 18 siacomposto in maggior parte da giovani e da ex giovaniformatisi all’interno del Dottorato, fa intuire un fram-mento di quel fluido impalpabile che lega le genera-zioni, della staffetta discontinua e imprecisa chepermette alle civiltà e alle istituzioni di sopravvivere,di adeguarsi al mondo e di contribuire incessantementea reinterpretarlo.

Marco Rosario Nobile

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5Dicembre 2012INFOLIO 29

Per la ricerca della Storia dell’Artein Sicilia

Il Dottorato di ricerca in “Storia dell’Arte Medievale eModerna in Sicilia” è nato nel 1994 grazie all’impegnodel prof. Giuseppe Bellafiore, allora Direttore dell’Isti-tuto di Storia dell’Arte della Facoltà di Lettere e Filo-sofia dell’Università degli Studi di Palermo, primocoordinatore. Dal 2001 il Dottorato si è allargato sia te-maticamente e temporalmente, come dichiara il nuovotitolo “Storia dell’Arte Medievale Moderna e Contem-poranea”, sia spazialmente, con il consorzio con l’Uni-versità di Messina promosso dalla nuova coordinatriceprof. Teresa Pugliatti. Dal 2005 (coordinamento di Maria Concetta Di Natale)il Dottorato si apre da un lato a una maggiore attenzioneallo studio della Storia delle Arti decorative, della Mu-seologia, del Collezionismo, e dall’altro all’internazio-nalizzazione con privilegio per l’area mediterranea,stringendo stretti rapporti soprattutto con la Spagna. Siattua, inoltre, l’inserimento nel corpo dei docenti di sto-rici, fisici e chimici, con mirata attenzione alla ricercadocumentaria da una parte e a problematiche di restaurodall’altra, con stretta collaborazione tra il Corso di lau-rea specialistica in “Storia dell’Arte” e quello di “Con-servazione e Restauro dei Beni Culturali”. La recente eauspicata fusione con il Dottorato di Architettura con-sente, infine, di poter raggiungere quella imprescindi-bile unità di studi di tutta l’arte, al di là dellaconvenzionale suddivisione in sezioni. Nuova denomi-nazione del Dottorato è “Analisi, Rappresentazione ePianificazione delle risorse territoriali, urbane, storico-architettoniche e artistiche”, mentre quella dello speci-fico indirizzo, già “Arte, Storia e Conservazione inSicilia”, oggi è “ Storia, Rappresentazione, Conserva-zione dell’Arte, dell’Architettura e della Città” (refe-renti dell’indirizzo proff. Maria Concetta Di Natale eMarco Rosario Nobile).La ricerca dei dottorandi è stata negli anni indirizzataad approfondimenti storico-artistici di cicli figurativi,personalità di maestri, committenza in relazione al con-testo storico, con riferimento privilegiato al patrimonioinedito, con significativi risultati in diversi aspetti, nonultimo quello delle arti decorative, con attenzione ancheal disegno, al patrimonio documentario e bibliograficoper lo studio delle fonti, della letteratura artistica e dellacritica d’arte.Nell’ambito del restauro sono state affrontate proble-

matiche relative alla conservazione sia del patrimoniomobile sia della decorazione architettonica, nonché leanalisi della composizione materiale dei manufatti, pro-pedeutiche ad ogni progetto di manutenzione e valoriz-zazione dei Beni Culturali.Nell’obiettivo di formare studiosi in grado di svolgereautonomamente la ricerca scientifica altamente specia-listica, dotati di specifici strumenti metodologici checonsentano loro di orientarsi e al tempo stesso di favo-rire l’avanzamento degli studi storico-artistici, non sisono trascurate l’attenzione alle possibilità d’inseri-mento nel mondo lavorativo, dalla Scuola all’Univer-sità, dalle Accademie di Belle Arti alle Biblioteche,dagli Archivi, alle Soprintendenze ai Musei, nelle piùampie sfaccettature, in ultima analisi nei più svariatiambiti dei Beni e del Turismo Culturale.Per un approfondimento più ampio possibile delle di-verse tematiche inerenti le varie sfaccettature del Dot-torato, sono stati organizzati cicli di seminari diqualificati e rinomati docenti italiani ed europei chehanno affiancato le lezioni specifiche dei corsi locali esi è favorita la permanenza all’estero dei dottorandi.E’ stata, inoltre, promossa l’esperienza diretta dei dot-torandi, attraverso stage, in diversi Musei siciliani, siastatali, sia comunali, sia diocesani, nonché in Bibliote-che e Archivi pubblici e privati non solo italiani, maanche esteri.Il Dottorato ha promosso, in ultima analisi, lo sviluppodella ricerca sull’arte siciliana nel più ampio ambito deglistudi del settore in linea con gli attuali orientamenti scien-tifici e metodologici connotandosi per le spiccate e profi-cue caratteristiche di interdisciplinarietà che aprono, nellanuova composizione di significativa collaborazione al-l’interno del Dipartimento di Architettura, nuove piùampie e interessanti prospettive di ricerca.Alle numerose pubblicazioni dovute ai Dottori di ricercadegli anni passati si affianca oggi la rivista inFolio comestrumento che, caratterizzandosi per serietà di ricercascientifica, offre ai nuovi dottorandi importanti possibilità di cimentarsi negli specifici campi di indagine.

Maria Concetta Di Natale

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6 Dicembre 2012 INFOLIO 29

Il modello di sviluppo economico ed urbano dominantefino a gran parte del XX secolo vive oggi una crisi irre-versibile, che ha ridisegnato le mappe dei rapporti fraproduzione ed urbanizzazione. Fino a non molti decennifa, erano le dinamiche produttive a determinare in largaparte lo sviluppo morfologico delle città e la conse-guente distribuzione sociale. Oggi, la trasformazioneeconomica, la cronicità delle crisi cicliche e la preca-rizzazione della nuova composizione del mondo del la-voro hanno prodotto una tendenza delle città, per usareun’espressione di Lucio Gambi, a “squagliarsi”, vale adire a spezzare il legame diretto fra produzione ed ur-banizzazione, fra costruzione di nuovi modelli spazialie composizione unitaria della città (Gambi, 1990, 25-28). La crisi economica investe differenti fasce della po-polazione che vive in condizioni precarie, nonriuscendo a trovare un impiego stabile e ben retribuito,oppure non trovando alloggio in affitto a prezzi acces-sibili o entrambe le condizioni: giovani disoccupati oprecari, giovani coppie, famiglie composte da genitorisingle, anziani, studenti fuori sede ed immigrati. Questaconsistente fascia di popolazione non trova molte op-portunità d’alloggio a causa delle condizioni che il mer-cato immobiliare impone e dei conseguenti costi deldiritto all’abitare. Secondo i dati del CRESME, in Italia,tra il 1999 e il 2009, sono stati costruiti 300 milioni dimetri cubi all’anno; al contempo, tra il 1999 ed il 2007i valori delle case sono aumentati in otto anni dal +25%nelle isole, al +30% al nord, fino al +60% nel centroItalia. Come sostiene Yann Maury (2011), questo generedi dati risulta “paradossale”: se da un lato il mercato im-mobiliare spinge in direzione della costruzione di nuovivolumi d’abitato (spinta di natura sia quantitativa, siaqualitativa), dall’altro si assiste ad un fenomeno di inac-cessibilità di questa stessa continua costruzione per granparte della popolazione più povera.In realtà, negli ultimi anni si è vieppiù sostenuto chenon si può non tenere conto della quantità di patrimonioedilizio esistente riutilizzabile per fare fronte all’as-senza cospicua di alloggi. Le politiche di housing so-ciale partono da questo assunto, per far sì che il progettodell’abitare assuma un connotato configurante nuoviatti, processi e pratiche per la pianificazione urbana. IlCecodhas – Comité Européen de Coordination de l’Ha-bitat Social – definisce il social housing come l’insieme

di alloggi e servizi a forte valenza sociale, per coloro iquali non riescono a trovare una risposta al fabbisognoabitativo sul mercato a causa di ragioni economiche oper l’assenza di un’offerta adeguata. Il social housingrappresenta una risposta concreta al disagio abitativo edassume un ruolo centrale nell’elaborazione di forme disostenibilità sul piano socio-economico, soprattutto perciò che riguarda la costruzione sociale di alloggi, la lorocondivisione, l’abitabilità e la messa in comune. Fra leforme di social housing troviamo pratiche come quelledell’auto-recupero, delle forme cooperative e dell’au-tocostruzione. Esse puntano da un lato in direzione diun risparmio notevole in termini economici, soprattuttograzie all’utilizzo di strumenti e tecnologie alternative;dall’altro facilitano ed amplificano percorsi di socialitàattiva, tornando a far rivivere il vicinato e creando in-clusione tra differenti attori sociali. Inoltre, il socialhousing mira ad elaborare una nuova cultura dell’abi-tare, ispirata ai principi di solidarietà e partecipazione,favorendo un mix sociale e facendo convivere fasce dipopolazione con differenti esigenze. Insomma, global-mente e da un punto di vista teorico e culturale, le poli-tiche di social housing vanno concepite come unprocesso di “rivitalizzazione” urbana, per rispondere aibisogni abitativi delle comunità, in termini di rilancioeconomico e culturale, costruendo modelli di società lo-cale.L’housing sociale, dunque, va visto in termini di oppor-tunità di nuove pratiche di generazione urbana. Unesempio europeo di housing sociale è costituito dalleCommunity Land Trust (CLT), particolarmente svilup-patesi in Gran Bretagna e negli Stati Uniti d’America.Cosa sono esattamente le CLT? Si tratta di gruppi coo-perativi, caratterizzati da un’aspirazione alla democra-zia interna e da una pratica di cooperazioneequo-solidale. La terra in questione (land) viene invececoncepita come un bene comune (un commons), di pro-prietà perpetua ed inalienabile del gruppo cooperativo,e non degli individui. La “fiducia” (il Trust), invece, co-stituisce il principio fondatore del progetto stesso: è unafiducia reciproca tra i cooperanti e non è sottoponibilealle oscillazioni valoriali delle logiche di mercato. LeCLT rappresentano, secondo alcuni studiosi, un modelloabitativo e della proprietà concreto e non speculativo.Il loro obiettivo è duplice: da una parte esse mirano alla

Ripensare la pianificazione: leCommunity Land Trust

Vincenza BondìSess

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conservazione delle risorse naturali, dall’altra puntanoal mantenimento dei prezzi degli alloggi, affinché re-stino contenuti. L’interesse delle CLT, inoltre, risiedenel fatto che l’accesso al fondo viene realizzato comeuna proprietà collettiva perpetua ed inalienabile. In piùesso non dipende esclusivamente dagli individui cheformano la comunità, ma anche e soprattutto dal“gruppo dei cooperatori” (Community). Grazie a questicriteri, l’accesso all’alloggio individuale (sia sotto ilversante dell’acquisto, sia sotto quello della locazione)è sempre messo in un regime di indipendenza dalle con-dizioni imposte dal mercato. Ciò implica, come corol-lario, che qualora un membro o un individuodesiderasse lasciare l’alloggio, sia costretto ad attenersiad una norma in virtù della quale egli non può rivenderela proprietà secondo criteri di mercato, ma secondo cri-teri da questo totalmente dissociati. Normalmente, icooperatori di una CLT svolgono differenti ruoli e con-dividono una serie di operazioni di vera e propria pia-nificazione partecipata e condivisa, sia di progettazionedell’alloggio individuale che non. Essi si occupano, in-fatti, dell’identificazione dei terreni, della progettazionedegli spazi e degli alloggi (in sintesi, del progetto di co-struzione), della scelta dei materiali richiesti e delle tec-niche di costruzione, della concessione di un prestito,della definizione del costo di vendita e dei margini fi-nanziari, etc. In questo concerto, ciascun operatore è in-timamente legato alla globalità del progetto e si aspettadi ottenere risultati e di soddisfare il proprio interesseimmediato, grazie al lavoro e alla pianificazione collet-tiva. Il principio da cui le CLT partono, come hanno evi-denziato alcuni studiosi, è quello del riuso delpatrimonio edilizio esistente. Accanto a questo principiodi base, le CLT si preoccupano sostanzialmente di va-lorizzare le competenze dei cittadini-cooperatori coin-

volti nel processo, facendo in modo che oltre alle capa-cità decisionali e gestionali si sviluppino un insieme dicompetenze e di saperi tecnici riutilizzabili al di là delcontesto di partenza. Per la realizzazione di tali obiettiviè necessaria la partecipazione anche di soggetti pub-blico-privati che, dialogando tra loro, sostengono partedei costi del progetto. Le CLT, insomma, mettono in-sieme due cose: da un lato il tentativo di limitare con-cretamente la speculazione fondiaria e i suoi effetti,rispondendo in maniera efficace al problema della do-manda di alloggi; dall’altro, attraverso il recupero d’a-ree degradate, il tentativo di creare società localiauto-sostenibili, dove convivano una pluralità di eco-nomie possibili. L’urbanistica, allora, come viene affer-mato anche negli Atti della XIV Conferenza dellaSocietà Italiana degli Urbanisti (2012), può e deve af-frontare il problema dell’abitare, tenendo d’occhiomolto seriamente le politiche di social housing, conce-pendole come strumenti fondamentali delle trasforma-zioni urbane e osservando le esperienze delle CLT comepossibili esperimenti di pianificazione partecipata cherispondono alle esigenze primarie del vivere e dell’abi-tare quotidiano.

BibliografiaBello E., Stasi B., Vitale Brovarone E. (a cura di) (2012) , Abitare l’I-talia. Territori, economie, diseguaglianze, XIV Conferenza SocietàItaliana degli Urbanisti, Franco Angeli, Milano.Gambi L. (1990), “Ragionando di confini della città”, in Giancarlo Paba(a cura di), La città e il limite, La casa Usher, Firenze, pp. 25-28.Maury Y. (2011), Coopératives d’autorecupero (Rome) et CommunityLand Trust (Gb), entre reconfiguration de l’habitat et requalificationd’habitants, disponibile online su: http//www.forum-ecoquartiers.stras-bourg.eu/uploads/File/ppt/ppt_YannMAURY.pdf

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Tra le sfide più rilevanti di una grande città (italiana oeuropea) c’è certamente quella di definire strategie ca-paci di valorizzare le risorse locali ed il capitale sociale,ma al contempo di introdurre elementi d’innovazione(di contenuto e di processo) che ne accrescano la com-petitività non solo in chiave regionale o nazionale, maanche internazionale.Dalla storia recente delle trasformazioni urbane ab-biamo desunto che il modello di crescita industriale haspesso considerato il patrimonio territoriale ed ambien-tale come supporto fisico delle attività economiche.Gli effetti di questo processo sono individuabili nellaprogressiva distruzione della cultura, dell’identità, deisistemi produttivi locali, dei paesaggi e dei beni cultu-rali ed ambientali ormai compromessi. In tempi più re-centi la formazione di una coscienza collettiva in gradodi percepire il patrimonio territoriale come spazio es-senziale di sviluppo e di realizzazione di un popolo haconsentito la formulazione di un nuovo paradigma incui le politiche per il territorio, al contrario di quantoaccaduto in passato, valorizzano le identità e le poten-zialità produttive dei luoghi, a partire proprio da queglispazi che, simboli di un’identità perduta, possono dive-nire uno strumento importante per la sostenibilità locale(Magnaghi, 1994).Succede così che le regole della nuova strategia di svi-luppo locale si fondino sulla relazione tra insediamentoumano ed ambiente, realizzata attraverso processi di au-togoverno, in cui la società locale si rende responsabiledella valorizzazione del proprio territorio e che i pro-getti di riuso si sviluppino attraverso un percorso par-tecipativo in cui una pluralità di attori individuainteressi comuni nella valorizzazione delle risorse delterritorio riconosciuto come bene collettivo.Viene così promossa la partecipazione efficace dei cit-tadini, sia nella fase di pianificazione, sia successiva-mente, in quella del controllo, evidenziando inquest’ottica l’obiettivo primario secondo cui i bisognidegli attori più deboli e le necessità delle generazionifuture garantiscano la sostenibilità, contro lo sfrutta-mento delle risorse umane e materiali da parte degli at-tori forti, promuovendo il rispetto della salvaguardiaambientale e della qualità territoriale.A fronte dell’attuale interesse strategico verso cui lenuove dinamiche urbane volgono l’attenzione, la que-

stione della riqualificazione delle aree dismesse mostrala capacità di un sistema locale di partecipare alle op-portunità di innovazione del tessuto fisico e dell’eco-nomia, attraverso le competenze delle municipalità edei governi locali. È importante sottolineare come l’opportunità all’internodel progetto di riqualificazione sia rappresenta dallascala di azione. Affrontare problemi e processi di svi-luppo, laddove le aree sono molto estese o interessanopiù comuni o nel caso in cui sulle stesse ricadono pro-blematiche di bonifica, rende necessario il coinvolgi-mento di più soggetti istituzionali. Questa interazioneconfigura il passaggio dall’ottica della pianificazionedelle città al governo partecipato delle reti urbane, fa-vorendo una rinnovata competitività a livello interna-zionale più qualitativa e sostenibile.Un altro aspetto interno alla questione della sostenibilitàlocale è rappresentato dall’importanza della sussidia-rietà, come la capacità da parte degli attori coinvolti diverificare che le azioni da intraprendere a livello localesiano giustificate rispetto alle possibilità offerte a livellosovralocale attraverso la cooperazione, espressa sottola forma della concertazione.Se finora sono stati affrontati gli aspetti strategici chelo sviluppo locale porta con sé, non bisogna sottovalu-tare il rischio che un qualsiasi intervento di riqualifica-zione, se anche riuscisse a mantenere le apparenzeformali di conservazione delle strutture architettoniche,di qualità di materiali e di manufatti, potrebbe compor-tare la banalizzazione delle scelte, introducendo nei luo-ghi recuperati, attività che ne snaturano i valori e nedisperdono l’identità.In questo quadro appare rilevante una peculiare carat-teristica della nozione di riuso. Il riuso è, infatti, un attodi riappropriazione, in cui lo stesso oggetto è sottopostoa modalità fruitive diverse, attraverso circostanze checambiano.Tale consapevolezza è vera nel caso del riusodei luoghi. Un luogo è per prima cosa uno spazio con-trassegnato da una identità e l’identità di un territorio èsicuramente un valore.Esso quindi va ben amministrato e diffuso. Così con-statiamo come nella città storica il vuoto faceva corpocon il pieno del costruito e nella città moderna il vuotocome spazio pubblico consentiva, canalizzando losguardo, la narrazione urbana. Oggi il vuoto domina sul

Il riuso come opportunità di rivitalizzazione urbana

Daniela Di Raffaele

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pieno annullando ogni correlazione (Boniburini, 2009).Per questo è importante che nella progettazione per ilriuso si individuino preventivamente quei fattori di “vo-cazionalità” di un’area che, riassumendo in sé tutti gliaspetti caratterizzanti del sistema locale, ne costitui-scono l’identità più profonda.

Pertanto le più recenti esperienze nell’ambito della riqua-lificazione delle aree dismesse rivelano come l’attenzionesi sia spostata dal censimento per fini conoscitivi, all’in-terpretazione del ruolo che le aree dismesse hanno nelleattuali dinamiche territoriali, in quanto risorsa economica,sociale, culturale ed ambientale.In particolare, il programma di ricerca di chi scrive in-tende verificare la capacità o meno dei processi di re-cupero degli ultimi venti anni di partecipare allosviluppo locale. Insomma, si intende far luce sulle dif-ferenze che caratterizzano le politiche per le aree di-smesse degli ultimi decenni, fra quante “riusano”semplicemente i siti abbandonati, banalizzando il sensodel patrimonio e quelle che, al contrario, agiscono a fa-vore dei processi di sviluppo locale, aderendo invece adun approccio di recente formulazione, che guarda ai se-dimenti patrimoniali, e quindi anche alle aree dismesse,come ad un insieme di potenzialità endogene capaci dicontribuire all’attivazione di processi di sviluppo locale(Dansero, Emanuel, Governa, 2003).Parecchi esempi di riuso testimoniano come in molti casi,qualora l’area superi la soglia del disinteresse, si ricerchila riutilizzazione a tutti i costi con il rischio della canni-balizzazione e dello svuotamento di significato dei luoghi.Come nel caso delle grandi aree impiegate per usi tem-

poranei come depositi o parcheggi nella prospettiva di eli-minare “luoghi problematici” legati anche a situazioni didegrado sociale, segregazione o devianza. La rigenerazione urbana oggi si presenta in termini disfida da affrontare anche attraverso nuove misure di go-verno e di pianificazione territoriale e l’adesione da

parte dei paesi avanzati al rinnovato paradigma dellosviluppo urbano sostenibile inaugura una nuova tappanelle politiche di rigenerazione urbana.La “città sostenibile” (Mazzola, 2010), si configura

come un meccanismo complesso e sensibile, i cui in-granaggi, componenti di una più ampia unità, sono ingrado di affrontare i molti squilibri urbani, da quelli ar-chitettonici a quelli sociali, economici, politici e am-bientali. Al tempo stesso, a scala più locale, i problemi più piccolipossono essere risolti in maniera integrata e sostenibile.Ogni città ha la sua specificità e pertanto occorre checiascuna trovi la propria via, nel rispetto dei principi disostenibilità, a partire dalle proprie risorse, per costruireappropriate strategie locali efficaci anche negli scenariglobali.

BibliografiaBoniburini I. (2009), Alla ricerca della città vivibile, Alinea, Firenze.Dansero E., Emanuel C., Governa F. (2003), I patrimoni industriali.Una geografia per lo sviluppo locale, Franco Angeli, Milano.Magnaghi A. (a cura di) (1994), Il territorio dell’abitare. Lo sviluppolocale come alternativa strategica, Franco Angeli, Milano.Mazzola E.M. (2010), La città sostenibile è possibile / the sustainablecity is possible, Cangemi Editore, Roma.

Fig. 1. Effetti dell’eccessivo consumo di suolo. Lago di Poyang secco in Cina.

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This article seeks to examine the actual role of the urbanplanning in conflict zones. My argument is that themain role of urban planning exercised by dominantpower in conflict zones is territorial and social control.Understanding the actual role of urban planning in con-flict zones brings us to a fundamental question concern-ing the role of planners in contested geography. Whatis so important after the explorations and the examina-tions is addressing a sensitive question about the sup-posed role of the planner in conflict zones when theplanner finds himself in the center of the conflict.

The transformative role of planning practice in conflictThe transformations that occurred in nineteenth centuryin the world, the gradual breakdown of the organicorder of the feudal society and the emergence industrialrevolutions, were the main factors for shaping planningtheories. Some of these theories concerned with thefunction of planning, the relation between planning andpolitics and the relationship between powers in com-munities (Friedman, 1987) and classified the intellec-tuals that linked knowledge to action into fourperspectives: policy analysis, social learning, social re-form, and social mobilization. This sorting forms aframework for organizing the planning theory.According to (Friedman, 1987) policy analysis perspec-tive emerged after the Second World War, focuses onimproving the administrative behavior especially inlarge organizations. Social learning perspective focuseson overcoming the contradictions between theory andpractice, or between knowing and acting. This perspec-tive believes that social behavior can be changedthrough social experimentation, in order to come upwith results that can be used for change. Social reformperspective focuses on the role of the state in guidingthe society, trying to explore devices for making thestate more effective. Social mobilization perspective isa counter-movement to the social guidance and socialreform. It is a movement to change from the root. Inother words it is a revolutionary movement of change,because it is a reaction of human pain and oppressioncaused by capitalism.The practice of planning based on the mentioned per-spectives, despite its differences, aims to make theworld a better place and provide happiness for people

and can be considered as reform methods. However,some intellectuals such as Flyvbjerg, Yiftachel andBollen see that this analysis finally reaches to the pointthat planning, despite the differences in time and place,aims to contribute to the attainment of reformation incommunities. Hence, these intellectuals see that thisanalysis is too narrow and idealistic and does not reflectthe whole story and all aspects of planning.Flyvbjerg argues that planners can take the role of thedeceiver, and deploy knowledge to reduce the power ofthe deceived groups in communities. He described plan-ners as «servants to interest organizations and privatecompanies that pay their salaries and expect them topromote their interests» (Flyvbjerg, 1996, 386). His de-scription of the planners as deceivers opens the doorabout the dark side of planning. This role can be clearlytouched in conflict regions. The reasoning behind thatis that planners are part of state apparatus and planningis a twin of politics. Hence, urban policies can play animportant role in achieving political goals (Bollens,1998). Consequently, it is hard to find neutral planningpractices in conflict zones whether the conflict is be-tween different ethnic groups within communities ordue to colonization.Yiftachel in his article “The Dark side of Modernism:Planning as Control of ethnic Minority” argues thatplanning can act as a regressive agent of change, par-ticularly in the context of ethnic relations. Planning inthis context can be used as a control and a repressiontool, «the very same planning tools usually introducedto assist social reform and improvement in people’squality of life can be used as a means of controlling andrepressing minority groups» (Yiftachel, 1995, 537).

Symbol of domination in conflict zones The power of urban planning in shaping spaces and giv-ing them meanings and symbols is obvious. Conflictnegatively touches the structure of the built-up environ-ment in cities. In conflict zones, spaces become the targetfor the dominant power to construct its own identity.Hence, through urban planning a dominant power articu-lates a sense of power within spaces on a weaker groupin society (Sen, 2010, 205) points out that most of Britisharchitecture and urban planning in India since the lateeighteenth century has been created to express the sense

The Challenge of Urban Planning in Conflict Zones

Abdelrahman Halawani

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of British power on Indians. For example, efforts weremade to change the fabric of Calcutta city to the aim tolegitimize the imperial British presence, and increase sur-veillance over the indigenous population (ibid).The practice of urban planning as a domination tooldoes not just affects the structure urban pattern physi-cally, but it also can alter the distribution of ethnicgroups in built-up environment, forming a racial segre-gation. Racial segregation appeared in India during theimperial period. Two terms came to surface: the blacktown and the white town, the white town describes thecity of palaces and the black town that is completelycontrast to the white one which is characterized bycrowded and high density houses (Sen, 2010, 220).In South Africa during the apartheid period (1948–1994) that started during the colonization period, somecities experienced racial segregation. During coloniza-tion, planners participated in rearranging the society ac-cording to the racial consideration and they usedmodern city planning ideas to create apartheid in thecities. Some towns were exclusively for the white peo-ple while black Africans were forced to live in informalsettlements in urban periphery. These zones were sepa-rated from the well-developed urban fabric of the cityusing green belts, or industrial zones, or transportationlines (Landman, 2006). In Palestine, since the Israeli occupation, a symbol ofdomination and control have appeared in the environ-ment. For example, a walk through Jerusalem watchingthe apartheid wall, the checkpoints, the military obser-vation towers, and the Jewish colonies gives the feelingof domination and raises many questions about the roleof urban planning in reshaping and transforming thespaces of the city and its identity.

The role of urban planners in conflict zones Bollens (1998) divides urban planning strategies thaturban government regime can adopt to govern in a con-tested city to four strategies: neutral urban strategy, par-tisan urban strategy, equity strategy, and resolverstrategy. The first strategy is a neutral urban strategywhich keeps itself apart from issues of ethnic identities,power inequalities, and political exclusion. It seeks tosolve problems away from political consideration. Thepartisan urban strategy seeks to enrich the dominant roleof the superior ethnic group over the other groups. Theequity strategy interests to decrease the ethnic group in-equalities within the same city. The final strategy is aresolver strategy that makes its own duty to suggestpractical proposals to decrease and eliminate the rootcauses urban polarization, power imbalances, and dis-empowerment. In conflict zones governments could choose one of the

four described models (neutral, partisan, equity, and re-solver). Consequently, planners mostly follow thestrategies of the regimes they work with, because plan-ning as described is not neutral and planners usuallywork under the umbrella of politics. However, when thegovernment applies partisan urban strategy which main-tains or increases disparities between ethnic groups incommunities, planners can act under the ethical obliga-tion of improving the population’s life without regardto their ethnicity. This trend urges planners for search-ing for just cities and justice in space despite that some-times authorities seek to ignore moral concepts(McKay, 2010, 426); moreover emphasizes the impor-tance of ethics in the planning profession that are de-fined as «planners obtain specialized knowledge andskill sets to serve society and protect the public interestpublic interest with honesty and integrity». Committingto ethic by the planners reduces the impact of the dom-inating power over the conflict zone.Urban planners might argue that ethics rules can be fol-lowed after the political solutions are reached. Despitethe difficulty of following ethical rules in contested ge-ography, urban planners can play a significant role inachieving moral goals and not to wait for a political re-solution for the political conflict.

BibliografiaBollens S. (1998), “Urban planning amidst ethnic conflict: Jerusalemand Johannesburg”, Urban Studies, v.35, n.4, pp.729-750. Friedmann J. (1987), Planning in the public domain: from knowledgeto action, Princeton University Press, New Jersey. Flyvbjerg B. (1996), “The Dark Side of Planning: Rationality and(Realrationalita’t)”, in Mandelbaum S., Mazza L., Burchell R. (eds.),Explorations in Planning Theory, Center for Urban Policy Research,New Jersey, pp. 383-393.Landman K. (2006), “Privatising public space in post-apartheid SouthAfrican cities through neighborhood enclosures”, GeoJournal, n. 66,pp. 133-146. McKay S. (2010), “Efficacy and ethics: an investigation into the roleof ethics, legitimacy and power in planning”, Town Planning Review,v.81, n.4, pp.425-444. Sen S. (2010), “Between dominance, dependence, negotiation, andcompromise: European architecture and urban planning practices incolonial India”, Journal of planning History, v. 9, n. 4, pp. 203-231. Yiftachel O. (1994), “The Dark side of Modernism: Planning as Con-trol of ethnic Minority”, in Watson S., Gibson K. (eds.), PostmodernCity and Spaces, Basil Blackwell, Oxford, pp.261-242.

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La città del futuro sarà tutta Smart? Le Smart Citiessono città che affrontano oggi le maggiori sfide futuredella società. Quello delle Smart Cities è un concettomultidimensionale che si sviluppa su sei assi fondamen-tali quali “l’economia, la popolazione, i sistemi di go-vernance, la mobilità, l’ambiente e la qualità della vita”.In base ai sei elementi cardine, la Smart City richiedel’individuazione di soluzioni innovative per la gestionedelle infrastrutture di trasporto, per un approvvigiona-mento energetico pulito, per i sistemi informativi di mo-nitoraggio e per l’equità sociale e la tutela.È Smart la città che promuove azioni concrete nella plu-ralità di ambiti che la caratterizzano - trasporti, energia,comunicazioni, servizi pubblici, infrastrutture e sicu-rezza - perseguendo come obiettivo l’aumento del be-nessere di chi vi risiede. Sono questi gli elementifondanti della sostenibilità e, in particolare, della re-sponsabilità sociale. Le città sono sistemi estremamentecomplessi, costituiti da una serie di infrastrutture mate-riali ed immateriali che si relazionano e si sovrappon-gono fra loro e sono caratterizzate da un equilibrioestremamente fragile. Parlare di sviluppo urbano soste-nibile assume centralità in virtù dei processi di accre-sciuta interazione economica globale e offre una visionealternativa ad un tipo di modello economico improntatoesclusivamente al mercato ed alla finanza. Parlare disviluppo urbano implica prestare prevalente attenzionea processi che mirano al miglioramento della qualitàdella vita e del benessere dei cittadini. Senza un processo di sviluppo che sappia fare leva sullecapacità che risiedono nei territori, difficilmente si pos-sono immaginare percorsi di sviluppo sostenibili, ov-vero estesi nel tempo e non deleteri per le risorse locali(Ciapetti, 2010). Già negli anni ‘60, il sociologo ed ur-banista Lewis Mumford affermava: «Ieri la città era unmondo, oggi il mondo è diventato una città» (1961, 78).Ad oggi i territori urbanizzati occupano circa il 2% dellasuperficie del pianeta e sono responsabili del consumodi quasi tutte le risorse ambientali disponibili, riuscendoad utilizzare il 75% dell’energia prodotta a livello mon-diale. Inoltre, emettono circa l’80% dell’anidride car-bonica presente nell’atmosfera (Ratti, 2011). A questo va aggiunto il continuo aumento della popo-lazione mondiale che, in base alla stima effettuata dalleNazioni Unite, potrebbe passare nel 2050 dagli odierni

7 miliardi a quasi 11 miliardi (United Nations, 2004),con un aumento percentuale di circa il 51%. Questa per-centuale rappresenta anche lo stesso valore che identi-fica la quantità di popolazione che oggi vive in areeurbane (Ratti, 2011). Questa urbanizzazione è emblema-tica del progresso economico e sociale del XXI secolo edà prova di come le città siano il motore dell’economia,oltre che il luogo privilegiato della ricerca, dell’innova-zione, della partecipazione e della convivenza, della cul-tura e dell’istruzione. Tuttavia, le città moderne e soprattutto post-globalizza-zione sono anche luoghi in cui convergono tensioni divaria natura: le sfide dei mercati internazionali, la crisieconomica, quella energetica, la necessità di uno svi-luppo sostenibile, etc. Le città, quindi, pur avendo il po-tenziale per fornire trasformazioni positive all’umanità,devono fronteggiare sfide e minacce che rischiano dicompromettere la loro stessa sostenibilità. La città e gliabitanti delle città devono anche preoccuparsi della di-fesa dell’ambiente globale. Francois Moriconi-Ebrard(1994) parlava della città come del sistema di organiz-zazione più conveniente che la società abbia inventatoper permettere ad una popolazione numerosa di viveresu una superficie il più ridotta possibile.Di fronte a queste sfide gravi e correlate fra loro, di-venta evidente che fare le cose nel solito modo non èpiù una possibilità attuabile. Le città devono usare illoro nuovo potere per diventare Smart, ossia più intel-ligenti. Affrontare le sfide urbane, oggi, significa inven-tare un nuovo modello di città, in grado di parteciparead uno sviluppo sostenibile del pianeta.L’Agenzia europea dell’ambiente ha stabilito una seriedi criteri che permettono di valutare l’evoluzione del-l’ambiente urbano: indicatori relativi alle caratteristichestrutturali (popolazione/totale, densità, copertura delsuolo edificato/non edificato, rete, trasporti, etc.); indi-catori relativi ai flussi urbani (consumi di acqua, ge-stione delle acque reflue, energia - consumo/produzione-, etc.); indicatori relativi alla qualità dell’ambiente ur-bano propriamente detto (qualità dell’acqua e dell’aria,rumore, sicurezza della circolazione stradale, qualitàdelle abitazioni, accessibilità degli spazi verdi, etc.).La definizione di una serie di criteri è sempre utile, inquanto la loro utilizzazione permette di descrivere conchiarezza una situazione e di misurare i progressi rea-

La grande sfida: verso la città“Smart” per un territorio sostenibile

Giuseppina Limblici

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lizzati. La gestione dell’ambiente urbano rischia di di-ventare una questione tecnica, dimenticando che le di-mensioni umana e sociale sono, invece, essenziali. Laqualità dell’ambiente urbano non si esaurisce negli ele-menti ecologici. Ad esempio, il grado di mescolanza so-ciale potrebbe essere un criterio per valutare la qualitàdella vita degli abitanti di una città.Per migliorare l’ambiente urbano è sicuramente neces-sario sviluppare un sistema di trasporti efficace e pocoinquinante, limitare la produzione di rifiuti e “lottarecontro il rumore”, ma bisogna incoraggiare modi di pro-duzione e modi di vita differenti, ad esempio che con-sumino meno risorse non rinnovabili e che immettanonell’atmosfera meno sostanze nocive per la salute. Poi-ché la città è un sistema all’interno di un sistema di città,si rende necessario un approccio globale al problemadell’urbanizzazione (Véron, 2008). La riflessione sui rapporti tra urbanizzazione e svilupponon può ignorare che la città è un “tutto”, nei suoiaspetti materiali e immateriali. Pertanto, tutte le dimen-sioni della città vanno considerate contemporanea-mente. È proprio da queste sfide che nasce lasperimentazione di nuovi approcci di pianificazione,progettazione, finanziamento, gestione e funzionamentodelle infrastrutture urbane e dei servizi, che prende ilnome di Smart City.Ma quando una città è Smart? Il rischio maggiore è at-tribuire l’intelligenza alle sue dotazioni tecnologiche(ICT). Di Smart City non si può discutere solamente daun punto di vista tecnologico, ma anche “culturale”, inquanto senza il trasferimento di conoscenze tra centridi ricerca, Università, Pubblica Amministrazione ed im-prese, non si può avere uno sviluppo sostenibile. Fra le varie definizioni di Smart City quella che descrivein modo esaustivo questo nuovo modello di città èquella di Nicos Komninos. Egli sostiene che la SmartCity è un territorio con alta capacità di apprendimentoe innovazione che è costruito sulla base della creativitàdelle sue comunità, delle sue istituzioni per la creazionedi conoscenza e della sua infrastruttura digitale per lacomunicazione e la gestione della conoscenza (Komni-nos, 2002), individuando all’interno di questa defini-zione le componenti fondamentali di una cittàintelligente, quali la creatività, l’innovazione, la cono-scenza, le persone che costituiscono le comunità e la

tecnologia. Questi elementi possono essere suddivisi indue categorie. La prima è “l’infrastruttura sociale”, co-stituita dal tessuto sociale che caratterizza una città (ca-pitale umano e sociale), quindi persone, relazioni,cultura, modi di fare. Questa “infrastruttura soft” può essere associata al con-cetto di Smart Community nel momento in cui vienecorrettamente relazionata con la seconda categoria checaratterizza la Smart City: “l’infrastruttura intelligente”,composta dalle tecnologie per l’informazione e la co-municazione. Queste tecnologie, se integrate in modoefficace nel tessuto urbano e nelle comunità, possonogarantire un attento ed efficiente utilizzo delle risorse,riducendo gli sprechi e massimizzando il recupero so-stenibile dell’esistente e, al tempo stesso, possonocreare un ambiente attrattivo, sia a livello sociale cheeconomico, in cui cittadini, imprese e governo vivono,lavorano ed interagiscono fra loro costantemente(Berthon, 2011).Nell’epoca della conoscenza, il territorio ritorna cen-

trale nella produzione di ricchezza e nella creazione divantaggi competitivi (cioè sostenibili nel tempo),uscendo da quel cono d’ombra dove la cultura indu-striale, con le “città dormitorio”, lo aveva confinato ediventando una delle chiavi dell’economia post-indu-striale. La domanda che è lecito porsi è se sia possibilepartire dalla dimensione locale per pensare allo svilupposostenibile di un Paese, attraverso le Smart Cities.

BibliografiaBerthon B., Guittat P. (2011), “Ascesa della città intelligente”, Outlook, n.2. Ciapetti L. (2010), Lo sviluppo Locale, Il Mulino, Bologna, pp.7-8.Komninos N. (2002), Intelligent Cities: Innovation, knowledge sys-tems and digital spaces, London and New York, Routledge.Moriconi-Ebrard F. (1994), Geopolis: pour comparer les villes duMonde, Economica-Anthropos, Collection Villes, Paris.Mumford L. (1961), The City in History: Its Origins, Its Transforma-tions and Its Prospects, New York.Ratti C. (30 giugno 2011), Lectio magistralis: Le Città Digitali, Milano.Véron J. (2008), L’urbanizzazione nel mondo, Il Mulino, Bologna.United Nations (2004), World population to 2030, United Nations, New York.

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Negli ultimi trent’anni, la questione della “competiti-vità”, argomento di matrice economica e aziendale, hafatto sempre più breccia nel campo delle politiche ur-bane, influenzando il modo di intendere la città e lo svi-luppo territoriale.Il concetto della competizione urbana o territoriale è

entrato stabilmente nel dibattito delle discipline urba-nistiche, ad indicare un nuovo approccio al governodella città e delle trasformazioni urbane, caratterizzatoda atteggiamenti tipicamente imprenditoriali. Le città,a partire dagli anni ‘80, infatti, hanno cominciato adagire come attori economici, entrando in concorrenzatra loro (Hall, Hubbard, 1998). Ciò è avvenuto conse-guentemente all’entrata in crisi dei sistemi economici eproduttivi occidentali, per effetto della ristrutturazioneeconomica globale e, contemporaneamente, ha vistol’affermarsi di spregiudicate politiche economiche libe-rali. Nella letteratura emerge una ampia e ormai conso-lidata convergenza di opinioni intorno ai fattorideterminanti che hanno scatenato la competizione tracittà:a) La creazione del mercato unico globale. La “globa-lizzazione” ha messo fortemente in crisi le economietradizionali dei Paesi sviluppati, provocando declino in-dustriale, delocalizzazione, specializzazione, contra-zione della produzione e disoccupazione. Rispetto ainuovi giganti economici – Cina e India –, le economieoccidentali perdono su un doppio fronte: quello dellaproduzione dei beni e servizi e quello del mercato dellavoro (Indovina, 2003). La libera competizione globalesi configura, in questo caso, come una gara “pazza”, incui le regole non sono uguali per tutti – diritti e tutelesociali, normative ambientali – e con contendenti chenon dispongono degli stessi mezzi, in condizioni di evi-denti sproporzioni di forze.b) La contrazione dei finanziamenti pubblici. Declino in-dustriale, crisi delle politiche keynesiane su scala nazio-nale, affermazione liberista nelle economie urbane, hannocomportato, da parte degli amministratori locali, crescentidifficoltà nel recepimento dei finanziamenti pubblici,spingendoli «a sviluppare forme più originali di reperi-mento delle risorse e quindi a produrre strategie di aper-tura internazionale e sinergie dirette con referenti esternie grandi attori economici internazionali» (Vinci 2002, 72).c) Il decentramento dei poteri politici e amministrativi.

La contrazione della spesa pubblica ha determinato unariduzione dei trasferimenti ai livelli di governo piùbassi. Contemporaneamente, visto il fallimento delleRegioni nelle politiche di sviluppo urbano, molti go-verni nazionali hanno aumentato le responsabilità poli-tiche e operative dei governi locali, convincendo leamministrazioni delle città ad assumere atteggiamentipiù intraprendenti nella costruzione di politiche di svi-luppo (Vinci, 2002).Le città, dunque, inserite in uno scenario economicopost-industriale, globale, dominato dalle logiche liberi-ste, per poter competere con l’obiettivo di attrarre nuoviinvestimenti, hanno cominciato ad intensificare le loroconnessioni ai circuiti internazionali, mettendo incampo politiche affini a quelle tradizionalmente realiz-zate da attori economici e promuovendo la propria ap-petibilità attraverso l’uso massiccio del marketingurbano. Si è verificato, così, il passaggio da una politicadella città di tipo tradizionale, rivolta alla comunità perfornire welfare e servizi, ad una di tipo “imprendito-riale”, caratterizzata da politiche orientate all’esterno,volte a favorire e incoraggiare la crescita e lo sviluppoeconomico (Hall, Hubbard, 1998). Le politiche di rigenerazione urbana, avviate in Europaa partire dagli anni ‘80, hanno rappresentato la rispostaoperativa per affrontare la ristrutturazione economica eavviare le città verso la fase post-fordista. Le azioni co-muni a molti processi di rigenerazione sono state: rein-venzione della struttura economica, puntando sui settori“immateriali” legati alla cultura e ai servizi (moda, co-municazione, alta finanza, turismo); attivazione di part-nership con i privati per sviluppare grandi progettiimmobiliari; creazione di nuove immagini urbane mag-giormente attrattive per le nuove élite di consumatori eimprese; la vendita dei nuovi spazi grazie al ricorso disempre più decisive strategie comunicative (Vinci,2002). Oggi, le strategie di rigenerazione urbana pun-tano sempre più sulla cultura, o piuttosto sull’industriaculturale, che sembra essere diventato il nuovo ele-mento competitivo. Tuttavia, da certe operazioni, emerge, nei fatti, un di-sinteresse totale per la “cultura dei luoghi”. Gli inter-venti di rigenerazione spesso si fondano su istallazionidi Archistars, “artisti” di fama mondiale, le cui operesono “indifferenti”, indistinte tra loro e, sostanzial-

Quando le città si sfidano:retoriche della competizione

Angelo Priolo

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mente, replicate, clonate e collocate in tutto il mondo.Tutto si può localizzare ovunque. Così la stessa operapuò essere ammirata a Londra, a Barcellona, a Pechinoo a Los Angeles così come a Bilbao. Oggetti pensati e progettati “in bottega”, concettual-mente comparabili ai barattoli di Piero Manzoni, la lorocollocazione risulta indifferente, non ricercando alcunarelazione col contesto e il territorio, facendo “a botte”con l’identità del luogo. Un’eccessiva tendenza all’imprenditorialità, negli anni,ha finito con l’aver prodotto costi sociali anche moltoalti: spesso le azioni di rigenerazione hanno innescatomeccanismi di valorizzazione fondiaria, con conse-guente espulsione delle fasce di popolazioni più deboli,fenomeni di gentrification e conflitti sociali. La retoricadella competizione tra città, che punta sul requisitodell’imprenditorialità, finisce per distorcere il senso ela natura della città, orientandola ad assecondare le esi-genze del mercato globale piuttosto che i reali bisognie i diritti dei cittadini.Tuttavia, i riferimenti alla competitività urbana e terri-toriale hanno continuato ad animare il dibattito sullosviluppo urbano e ad avere successo, tanto che sonoprogrediti fino ai nostri giorni evolvendosi in nuove de-clinazioni: dalle “città creative” alle smart cities. Neinuovi paradigmi, ciò che rimane costante è il riferi-mento alla qualità della vita che, però, sembra esseresolo in maniera apparente e superficiale il campo in cuisi gioca la “nuova” competizione, il fattore di attrazionedi maggiore rilievo. La sfida consiste nel riuscire ad accaparrarsi le companypiù prestigiose, le agenzie dei grandi organismi inter-nazionali, magari anche qualche “grande evento”, iltutto cercando di costruire un ambiente urbano che sod-disfi le esigenze dei manager, delle professionalità piùcreative (Florida, 2002), dei ceti più ricchi e delle cele-brità dello sport o del cinema. Le città che possono offrire elevati standard di qualità– un’amministrazione efficiente, una città sicura e privadi conflitti, buone università, collegamenti efficienti, at-trezzature per il tempo libero, luoghi ameni, di presti-gio, un’intensa vita mondana – sono poche e, spesso,fanno parte della ristretta cerchia delle “città globali”;ma altrettanto poche sono le imprese che basano le loroscelte localizzative valutando certe caratteristiche (In-dovina, 2003). Tutte le altre città, che per tradizione nonbeneficiano di una posizione direzionale internazionale,per partecipare alla gara e attrarre investimenti, dovreb-bero sostenere spese altissime al fine di colmare il gap

pregresso di tecnologia, infrastrutture, istituzioni. Ap-pare opportuno ricordare il momento di estrema crisi dialcuni Paesi (Irlanda, Spagna, Grecia) che hanno pun-tato molto sulla competizione urbana, seguendo le lo-giche appena descritte. La competizione tra città può rappresentare un argo-mento assai retorico – se connesso alla qualità urbana,alla cultura o a tutto ciò che è “buono” –, oppure utile agiustificare certe politiche ed atteggiamenti degli am-ministratori locali, eccessivamente orientate al mercatoo eterodirette. In Italia, quale dispositivo volto a mal ce-lare un chiaro disinteresse per il territorio e la dimen-sione locale, appare un modo per caricareeccessivamente le responsabilità delle città, dal mo-mento che lo Stato ha delegato fin troppo competenzee poteri, disimpegnandosi dalle proprie funzioni di in-dirizzo e di regolatore delle storture del mercato.Una città che voglia competere in virtù delle proprie ca-pacità creative o imprenditoriali, se sceglie di essere ac-cogliente solo per una accurata selezione dicittadini-consumatori, se non è aperta, se favorisce laproliferazione di gated comunitiy, se toglie il “diritto dicittà” ai più deboli, a chi non è “creativo” o non puòpermettersi uno smart phone, se decide, insomma, diprodurre nuovi esclusi, come potrebbe mai raggiungerel’obiettivo di migliorare la qualità della vita, se non inmisura parziale e iniqua?La sua performance, potrebbe essere valutata solo at-traverso metodi monetari di analisi costi-benefici. Perrealizzare una città socialmente aperta, culturalmentericca, meno discriminante e meno ingiusta, non servonoformule retoriche, né nuove “nuvole di vetro”, ma ungoverno delle trasformazioni che ammorbidisca - se nonabbandoni - le velleità competitive basate su una con-cezione indifferenziata dei luoghi e che esalti, invece,differenze, identità e specificità locali da mettere al ser-vizio di logiche cooperative.

BibliografiaFlorida R. (2002), The Rise Of The Creative Class: And How It’sTransforming Work, Leisure, Community And Everyday Life, BasicBooks, New York.Hall T., Hubbard P. (1998), The Entrepreneurial City: Geographies ofPolitics, Regime and Representation, John Wiley & Sons, London.Indovina F. (2003), “La ‘metropolizzazione del territorio’. Nuove ge-rarchie territoriali”, Economia e società regionale, n. 3/4, pp. 46-85.Vinci I. (2002), Politica urbana e dinamica dei sistemi territoriali. Attori e strategie nell’Europa degli anni novanta, Franco Angeli, Milano.

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«Malgrado i tentativi di minimizzarne la portata, la re-cessione in corso è la più grave dalla grande crisi del1929 e, con ogni probabilità, è ancora più grave perchési intreccia con la crisi energetica e ambientale e le sueconseguenze a livello climatico» (Pallante, 2009, 10).Negli ultimi trent’anni, a cavallo tra il XX e il XXI se-colo, le città hanno vissuto il delinearsi di una grandesfida, quella tra la crescita della dimensione urbana,come motore dello sviluppo economico, e i tentativi difar rientrare questo sviluppo urbano nei margini dellasostenibilità climatico-ambientale e socio-economica1,descritti come sempre più urgenti nelle agende dellapianificazione e delle politiche urbane. Mentre in cin-quant’anni, nel mondo, gli abitanti delle città sono tri-plicati, il territorio urbanizzato e di conseguenza ilconsumo di suolo sono aumentati molto di più: «piùstrade, più case, più attrezzature collettive, per perse-guire livelli di efficienza prima impensabili, o comun-que non richiesti» (Piccinato, 2002, 7). Da uno sguardogenerale sul pianeta appaiono, infatti, fisicamente disa-bitate ormai quasi unicamente aree in cui non sia pos-sibile sfruttare il suolo con mezzi meccanici perl’agricoltura oppure occuparlo con efficacia per ambitourbano (Clèment, 2004); tutte le aree del pianeta “ac-cessibili” risultano completamente utilizzate o sovra-utilizzate, con conseguenti continui ricorsi all’utilizzodi risorse energetiche. Ed è proprio in questi anni chela città, che si è sempre posta come qualitativamente su-periore alla campagna, ora lo diventa anche in terminiquantitativi (Piccinato, 2002) avendo la popolazione ur-bana del pianeta superato quella rurale, per la primavolta nella storia (Barbieri, 2010, 3). Questo mondo, fatto di città, è inoltre caratterizzato, permezzo di un artificio tecnologico, dalla forte inter-rela-zione tra di esse, reso possibile dalla creazione di nu-merose infrastrutture di collegamento a tutti i livelli. Maanche la realizzazione ed il mantenimento di questigrandi sistemi di collegamento sembrano risultare sem-pre meno sostenibili, sia da un punto di vista ambientale- per i pesanti interventi necessari sul territorio ed ilconsumo di suolo - sia da quello economico.Il tema basilare da affrontare, causa ed effetto di talipremesse, è la crescente produzione di urbanizzazionee dislocazione avvenuta negli ultimi anni. È stata con-dotta solo a seguito di reali analisi costi/benefici?

O si sono sostenuti appostiti provvedimenti al sostegnodi un’economia che si alimenta della valorizzazione delsuolo urbano e della rigenerazione continua della ren-dita fondiaria (Harvey, 1989), dimenticando la sosteni-bilità dal punto di vista sociale, economico, climaticoed ambientale? Tra i vari Paesi europei, la Spagna èstata uno dei protagonisti, negli ultimi vent’anni, di que-sto tipo di politiche che legano le strategie di crescitaeconomica alle trasformazioni urbane e la realizzazionedi grandi opere. Se osserviamo, ad esempio, la Comu-nidad de Madrid notiamo come, dalla fine degli anni’80 in poi, sia avvenuta una crescita spaventosa in ter-mini di nuova urbanizzazione. Questo è ancora più evi-dente se consideriamo l’urbanizzazione come larealizzazione di un’articolazione di reti al servizio delsistema economico, comprendendo come e perché larealizzazione di grandi infrastrutture di collegamentopossa, ad oggi, essere considerata dalle amministrazionilocali e dallo stato come sempre positiva, tanto da met-tere in discussione il bisogno di comprenderne la realenecessità/sostenibilità2. Ed è in quest’ottica che, dal1985 in poi, inizia la realizzazione di un consistente si-stema viario composto dalla circonvallazione M-40, ag-giuntasi alla precedente circonvallazione autostradaleM-30, della M-45, della M-50 e da numerose altre im-portanti arterie di collegamento tra cui il grande tunnelsotto il monte del Pardo; nel ’92 l’inaugurazione dellanuova linea AVE (treno ad alta velocità) Madrid-Sevillae in seguito i nuovi collegamenti con Valencia e il Norddella Spagna; nel 2006 l’ultimo ampliamento dell’ae-roporto di Madrid-Barajas - altri ampliamenti sono statieffettuati durante gli anni ’90 e 2000 - che, con un mi-lione di metri quadri distribuiti su cinque terminal e 104uscite, è divenuto l’aeroporto più grande del mondo persuperficie dei terminal3. Nella città di Madrid si è passati da un consumo disuolo pari a 112 m2 per abitante nel 1956, a 196m2 nel1980, a 269 m2 nel 2005, ossia, due volte e mezzoquello che si consumava nel 1956. Come si distribuiscequesta urbanizzazione? Nel 2000 il consumo di territo-rio per abitazione sembrava diminuito, segnalandoun’apparente diminuzione di crescita per dispersione,con una maggiore concentrazione di numero di abita-zioni per lotto. In realtà la dispersione c’è stata, ma per via della cre-

Urbanizzazione, città e svilupposostenibile1

Luisa Rossini

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scita degli usi indiretti. Le zone industriali, commercialie di trasporto, tra il 1990 e il 2000, si sono moltiplicatedi due volte e mezzo; le zone di estrazione, di scarico edi costruzione, due volte; la zona di verde artificiale nonagricolo, tre volte. È l’urbanizzazione che è cresciuta, ossia tutto ciò cheviene messo al servizio del resto del sistema. Propor-zionalmente all’aumentare del raggio della città, au-menta la dimensione di infrastrutture necessarie aservizio degli spazi abitati e il numero di spazi di risulta.Tutto il nuovo sistema infrastrutturale ha, di fatto, pro-dotto un doppio fenomeno di esplosione/implosionespaziale. Mentre rendeva fortemente accessibili partidella città e del territorio, creava, allo stesso tempo, unaforte concentrazione e una presenza crescente di spaziinterstiziali. Si rileva, in questi spazi di risulta, una con-dizione di forte degrado, in quanto privi di connettivitàcon il territorio circostante e aventi connotati di margi-nalità. Non sono esclusi da questa diffusa realtà di de-grado alcuni luoghi anche interni alla città, chiamati daAja barrios vulnerables4. Divenuti oggetti di studio, i quartieri vulnerabili risul-tano raddoppiati nel decennio tra il 1991 e il 2001. Que-sto significa che, alla luce di un’analisi a posteriori, lepolitiche di trasformazione urbana promosse dal go-verno locale, finalizzate al miglioramento dei servizi of-ferti dalla città ed alla loro accessibilità, e l’enormenumero di nuove abitazioni realizzate, non sono risul-tate né sostenibili da un punto di vista ambientale osocio-economico né utili, né necessarie ad impedire chesi creassero luoghi di esclusione. Una parte della città è stata abbandonata, alcune aree sisono trovate isolate, proprio a causa di quelle infrastrut-ture che avrebbero dovuto renderle più accessibili. Unnumero sempre maggiore di luoghi nella città, ognianno, cade in una condizione di degrado e marginalità.Ciò che manca è la previsione a medio e lungo terminedi come possano funzionare le nostre città nel contestodi questa crisi. Nella lettura di Aja, bisogna ragionare al-lora su tre livelli: città, urbanizzazione e sostenibilità.“Città” intesa come uno spazio di costruzione collettiva emateriale basata su alcune visioni di speranza come: lasperanza della libertà individuale; il tema del controllo deltempo e dello spazio relativi all’accessibilità urbana; lasperanza della responsabilità sociale, ossia la creazione diattività socialmente utili e di spazi per lo sviluppo delle

attività umane; la protezione dei più deboli. “Urbanizzazione” come strumento del governo localee congegno artificiale, creato per essere messo a dispo-sizione originariamente del sistema urbano/industrialeed oggi di quello finanziario. Ed infine “Sostenibilità”.Essa ci obbliga a riflettere sulla capacità di consumo,di riciclaggio - la necessità di non produrre residui su-periori al tasso di assorbimento possibile - e sul concettodi capitale naturale, bilancio sociale ed ecologico, tuttielementi che la città contemporanea non può esimersidal tenere in conto. Non possono più sussistere condizioni speculative in-sostenibili, quelle che hanno reso più conveniente in-vestire sul mattone più che coltivare un campo e fattoapparire come “spreco” il mantenimento di terreni nonurbanizzabili.

Note1 Sfida espressa dalle linee guida dell’Agenda 21 Locale, strumentoofferto da ICLEI – International Council for Local EnvironmentalInitiatives – alle città che partecipano o intendono partecipare alla Eu-ropean Sustainable Cities & Towns Campaign.2 Per l’interramento della linea M30 il comune di Madrid si è impe-gnato in un mutuo di 45 anni con un corrispettivo di circa 320 milionidi euro all’anno.3 Per la realizzazione del Terminal 4 e 4s, avvenuta tra il 2000 e il2006, è stato necessario cambiare il corso del fiume Jarama per untratto significativo, senza che questo presupponesse la richiesta di au-torizzazione d’impatto ambientale. Già negli anni ‘60, a Madrid, larealizzazione dell’autostrada M- 30 richiese l’interramento del fiumeAbroñigal.4 I barrios vulnerables sono definiti attraverso alcuni requisiti identi-ficativi: presenza di una popolazione con un livello di studio per il50% inferiore alla media nazionale, un livello di disoccupazione peril 50% al di sopra della media nazionale ed un problema di emergenzaabitativa superiore alla media nazionale.

BibliografiaBarbieri P. (2010), È successo qualcosa alla città, Donzelli editore,Roma.Clèment G. (2004), Manifeste du Tiers paysage, Éditions Sujet/objet,B.C.L.A (ed. it. Manifesto del Terzo paesaggio, Quodlibet, Macerata, 2005).Harvey D. (1989), The Urban Experience, The Johns Hopkins UniversityPress, Baltimore.Pallante M. (2009), La felicità sostenibile, Rizzoli, Milano.Piccinato G. (2002), Un mondo di città, Edizioni di Comunità, Torino.

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Nel 1922 l’ingegnere Enrico Simoncini predisponevaun Progetto di Massima per la completa sistemazionedel Porto di Palermo (Simoncini, 1922)1 che interessavale aree a nord della Cala (fig. 1); nei due anni successivicariche di dinamite radevano al suolo l’antico Castelloa Mare, per far posto alla nuova sede della dogana. Grazie all’intervento della Società Siciliana per la StoriaPatria venivano risparmiati dalle demolizioni il monu-mentale ingresso aragonese, una porzione del MaschioArabo-Normanno e la cinquecentesca torre a base cir-colare. Nei cinquant’anni che seguirono i pochi restidella fortezza si ridussero a ruderi.Alla fine degli anni Ottanta del Novecento una campa-gna di scavi archeologici nell’area del castello risve-gliava l’interesse per il monumento perduto. Le fontidocumentarie e archivistiche disponibili hanno permessodi tracciare la storia del forte2 , caratterizzata da vuoti nonancora colmati e da questioni rimaste irrisolte. Gli esigui resti oggi osservabili non consentono, nellamaggior parte dei casi, di rispondere ai numerosi inter-rogativi sulla configurazione della fortezza al momentodella sua demolizione.

Le principali fonti letterarie indicano la presenza di un“Palatium vetus quod dicitur Maris Castellum” (Fal-cando, 1189) nei pressi della Cala, di impianto quadran-golare e provvisto di torri ai salienti. Tale configurazione, ravvisabile nella miniatura di Pie-tro da Eboli3 (fig. 2), rimane probabilmente invariatafino alla metà del Quattrocento, quando le precarie con-dizioni delle fabbriche rendono necessari interventi dimanutenzione (Sardina, 2007).Alla fine del secolo, su iniziativa della corte imperiale,

veniva avviato il rinnovamento delle difese isolane; ilcastrummedievale viene allora cinto da un secondo cir-cuito murario e dotato di una poderosa porta d’ingresso.Recenti acquisizioni documentarie (Vesco, 2009) fannoluce sui rapidi mutamenti che investono il presidio agliinizi del Cinquecento; il progetto dell’ingegnere mili-tare Pietro Antonio Tomasello4 prevede ai salienti la co-struzione di “turrigloni” cilindrici dotati di spessemerlature per il posizionamento delle artiglierie. L’im-portanza dell’intervento di trasformazione è testimoniatadalla nomina di Antonio Belguardo, “magister” di com-provata fama, a capomastro della fabbrica (Vesco, 2006). Alla morte di Tomasello (1535), il suo successore An-tonio Ferramolino progetta i bastioni lanceolati portatialla luce durante gli scavi archeologici degli anni Ot-tanta; a seguito di tali interventi il presidio assume laconfigurazione che manterrà pressoché invariata finoalla fine dell’Ottocento.Tale configurazione è documentata da cartografie e da di-segni in prospettiva5, prodotti a partire dal secolo XVI confinalità descrittive: gli atlanti commissionati dal sovranogarantiscono, attraverso l’impiego della prospettiva a volod’uccello, “un affidabile studio volumetrico e al contempoun disegno facilmente comprensibile” (De Rubertis,1994). Degne di nota sono le piante e le sezioni dei prin-cipali elementi difensivi del castello redatte nel 1823 dal-l’ingegnere austriaco B. Schauroth (fig. 3).Il repertorio iconografico oggi disponibile è arricchitoda due piante del castello, redatte sulla base di un rilievodel Genio Militare (1909) e conservate presso l’ISCAGdi Roma6 (fig. 4); le prime fasi di demolizione del fortee alcuni degli elementi oggi perduti sono infine docu-mentati in una raccolta fotografica custodita nel fondoValenti della Biblioteca Comunale di Palermo.L’analisi storica e la ricognizione delle fonti disponibilihanno fornito i presupposti per una ricostruzione con-getturale del manufatto, nello status quo ante le demo-lizioni del 1922.L’analisi congiunta dei disegni, della documentazione fo-tografica e delle caratteristiche tipologiche di fabbrichecoeve, ha consentito di individuare alcuni elementi ricor-renti e di fissare alcuni valori dimensionali di riferimentoper le successive fasi di restituzione.Il dimensionamento del manufatto è stato realizzato coni metodi della restituzione prospettica; il confronto tra i

Il Castello a Mare di Palermo:ipotesi per una ricostruzionecongetturale

Tommaso Abbate

Fig. 1. Ampliamento del porto previsto dall'ing. Simoncini.

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dati metrici ottenuti e quelli ricavati da elementi tipo-logicamente affini ha delineato un range di valori com-patibili con le caratteristiche dei materiali e con letecniche costruttive impiegate. È stato infine realizzato un modello digitale del manu-fatto, sottoposto ad un processo di texturing con laproiezione delle stesse immagini fotografiche sulle cor-rispondenti superfici del modello.Il modello “materializza” la configurazione spaziale

occultata dal tempo e consente di analizzare gli elementidistintivi dell’opera e valutare le sue matrici spaziali.Esiti significativi sono stati conseguiti analizzando lequote di calpestio degli edifici prospettanti sulla Cala, cuicorrispondono, sul fronte esterno, aperture disallineate edeterogenee; attraverso il modello si è riscontrata la pre-senza di un livello seminterrato, servito da un cortile,

posto ad una quota inferiore rispetto alla piazza d’armi eaccessibile per mezzo di cordonate; tale livello, dotato diaperture che affacciano sulla Cala, doveva probabilmenteospitare le segrete del castello (fig. 5).In prossimità della chiesa del castello, per effetto dellapendenza del terreno, la quota del livello seminterratocoincide con si raccorda alla quota della piazza d’armi,dalla quale si accedeha accesso direttamente alla chiesa;nel fronte esterno, in prossimità della chiesa, si apre unsolo varco nello spessore murario, coperto da una pic-cola volta a botte; presumibilmente ideato come via difuga in caso di assedio.Il modello ha fornito inoltre lo spunto per analizzare ilsistema di rampe che dovevano garantire l’accesso alleterrazze sud-est della fortezza interna; da alcune imma-gini fotografiche è visibile il monumentale scalone suarchi rampanti, probabilmente realizzato sul modellodella cinquecentesca escalera descubierta costruita daBelguardo nel vicino Palazzo Steri (Vesco, 2008). Talescalone si raccorda ad un secondo sistema di rampe8 perl’accesso alle terrazze di nord-ovest, facendo emergereuna complessa struttura di percorsi difensivi a diversequote. Un ulteriore cammino di ronda corre lungo lemura perimetrali ed è dotato di passaggi coperti e ac-

Fig. 2. Nell'angolo inferiore destro il Castello a Mare di Palermo(Barbera Azzarello, 1980, tav. 1).

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Fig. 3. Sezione del corpo d'ingresso al forte (B. Sschauroth, "Durchschnitte durch das Castell a Mare", Archivio Militare di Vienna).

Fig. 4. Pianta del castello secondo i rilievi dell'ISCAG (1909)

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cessi in quota attraverso rampe e cordonate (fig. 6); l’in-tero sistema doveva configurarsi come un circuito unicoe interamente percorribile dalla guarnigione in caso diattacco da più fronti.L’esperienza di studio del Castello a Mare ha utilizzatotecniche consolidate - restituzione prospettica - e metodirelativamente recenti - modellazione digitale - comestrumenti per l’analisi storica, per la validazione di ipo-tesi plausibili e l’individuazione di questioni ancoraaperte. Lo studio del Castello a Mare dimostra che l’usodelle tecniche di rappresentazione digitale può arricchiregli studi di architettura in due modi distinti: verificando osmentendo precedenti ipotesi grazie a strumenti digitaliche consentono analisi della documentazione iconograficapiù accurate che in passato; producendo nuove e inedite“immagini” dell’opera come stimolo a nuove suggestionie ipotesi interpretative.

Note1 Si ringrazia l’ing. Barbera Azzarello per aver permesso la consulta-zione del documento.2 Per la storia del Castello a Mare si vedano: La Duca, 1980; Santoro, 1996.3 La miniatura, contenuta nel Liber ad honorem Augusti (1195) e dal ti-tolo «Il dolore della città di Palermo per la morte di Guglielmo II», raf-figura il forte dotato di alte torri e di una struttura triangolare alla base(pubblicata in Barbera Azzarello, 1980).4 La consolidata letteratura storiografica ha per anni indicato l’inge-gnere militare Antonio Ferramolino (Tadini, 1977) come unico tec-nico di spicco nell’entourage viceregio; ricerche ancora in corso

hanno appurato l’impiego sistematico, da parte del governo, di figurealtamente specializzate nell’arte fortificatoria.5 A titolo esemplificativo si citano: la proiezione assonometrica di Braune Hogenberg (1588); le prospettive di Negro (1640) e Merelli (1677).6 Istituto di Storia e Cultura dell’Arma del Genio.7 Documentabili attraverso le tracce murarie visibili in fotografia.

BibliografiaBarbera Azzarello C. (1980), Raffigurazioni, Vedute e Piante di Pa-lermo dal sec. XV al sec. XIX, Edigraphica Sud Europa, Palermo.De Rubertis R. (1994), Il disegno d’architettura, La nuova Italiascientifica, Roma.Falcando U. (1189), Liber de Regno Siciliae, in Siragusa G.B. (1897),La Historia o Liber de Regno Sicilie e la Epistola ad Petrum Panor-mitane Ecclesie thesaurarium, F.I.S.I., Roma.La Duca R. (1980), Il Castello a mare di Palermo, EPOS, Palermo.Santoro R. (1996), “La fortezza del Castellammare in Palermo. Primiscavi e restauri”, in Quaderno del B.C.A. Sicilia, n. 21.Sardina P. (2007), “Gestione e manutenzione del castrum ad mare di Pa-lermo nella prima metà del Quattrocento”, Lexicon, n. 4, pp. 29-41.Simoncini E. (1922), Nuovo porto di Palermo, Studio arti graficheG. Fecarotta, Palermo (mimeo).Tadini G. (1977), Ferramolino da Bergamo. L’ingegnere militare chenel ‘500 fortificò la Sicilia, Poligrafiche Bolis, Bergamo.Vesco M. (2006), “Committenti e capomastri a Palermo nel primoCinquecento: note sulla famiglia De Andrea e sull’attività di AntonioBelguardo”, Lexicon, n. 2, pp. 41-50.Vesco M. (2008), “Cantieri e capomastri a Palermo tra Tardogotico eRinascimento: nuove acquisizioni documentarie”, Lexicon, n. 5/6, pp.47-64.Vesco M. (2009), “Pietro Antonio Tomasello da Padova e la fortifi-cazione in Sicilia nel secondo ventennio del Cinquecento”, Espacio,tiempo y forma, serie VII, n. 22-23, pp. 45-73.

Fig. 5. Sezione del modello digitale sul cortile interno alla piazza d'armi; si noti il sistema di rampe di collegamento (elaborazione dell'autore).

Fig. 6. Cordonate di collegamento ai passaggi di ronda perimetrali (LaDuca, 1980).

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El desafío de este trabajo consiste en intentar abrir fu-turas vías de investigación sobre la reestructuración queexperimenta el palacio Real de Palermo durante la se-gunda mitad del siglo XVI, un tema sobre el que ha tra-bajado profundamente Maria Sofia Di Fede1 (Di Fede,2003) y que se ha visto enriquecido por las últimasaportaciones de Angelo Pettineo2 (Pettineo, 2010) sobrealgunas intervenciones llevadas a cabo en el palacioReal durante los años Sesenta del siglo XVI.Estas nue-vas aportaciones han permitido establecer nuevas con-sideraciones para poder comprender quien fue elcreador de un proyecto de restructuración tan intere-sante como atractivo por sus particularidades y por lainfluencia que ejercieron en el mismo, modelos dezonas geográficas diferentes, destacando sobre todoaquellos españoles además de italianos, concretamentegenoveses.Durante el periodo en que el palacio Real de Palermoacogía las dependencias de la Inquisición es posible quese produjese alguna transformación, de las que sólo co-nocemos que se rebajaron algunas torres, se derribaronotras y se destruyó la Sala Verde del palacio.En 1553 el virrey don Juan de Vega decide trasladar denuevo la sede virreinal al Palacio Real – donde perma-necerá hasta el siglo XVIII – desde el Castello a mare,que desde este momento acogerá las dependencias dela Inquisición. Este traslado comportó que el complejopalaciego se sometiera a una serie de intervencionespara modernizar el palacio y que se buscase una nuevafuncionalidad para el edificio.Serán las actuaciones llevadas a cabo en el palacio Realde Palermo a partir del traslado de la sede virreinal lasque mejor permitan comprender los objetivos y méto-dos de actuación llevados a cabo por los virreyes, asícomo todo el debate arquitectónico surgido en Palermoen la segunda mitad del siglo XVI. No conocemos con exactitud las intervenciones reali-zadas en el palacio durante el virreinato de Juan DeVega (1547-1557), ya que solo poseemos noticias de ar-chivo a partir de los años Sesenta del Quinientos. Po-demos eso sí, hacernos una idea de cómo se encontrabael palacio antes de las intervenciones sufridas en el sigloXVI, gracias a la reconstrucción elaborada por Fran-cesco Valenti (Valenti, 1925) que se basa en las descrip-ciones de Tommaso Fazello (Fazello, 1558). Sabemos

gracias a las últimas aportaciones sobre el tema, que lasactuaciones llevadas a cabo durante este periodo remi-tirían a contemporáneas elaboraciones de la arquitecturaimperial española, en concreto aquellas llevadas a caboen las restructuraciones de los Reales Alcázares3, sobretodo en el Alcázar de Toledo, bajo la voluntad de CarlosV y continuadas por su hijo Felipe II con la intenciónde unir la dinastía de los Augsburgo con los lugares dela tradición monárquica española. A partir de 1537, Car-los V ya piensa remodelar el Alcázar de Toledo bajo ladirección del arquitecto Alonso de Covarrubias, cuyasobras se extenderán en el tiempo. Cuando Juan De Vegaen 1553 traslada la sede virreinal, en el Alcázar de To-ledo ya se trabajaba – el primer contrato de obras es de1545 – en el vestíbulo – formado por una arquería abo-vedada que daría acceso al patio desde la parte septen-trional del Alcázar –, la portada, las techumbres de loslados norte y oeste, el patio con sus correspondientesarquerías y en la escalera de ingreso.Queda bastante claro que seguramente se redactó unproyecto para modernizar el conjunto palaciego duranteel gobierno de don Juan De Vega y cómo esto se con-firma por las sucesivas intervenciones para unir en unmismo edificio las funciones administrativas y de re-presentación de la autoridad virreinal.Tampoco durante el posterior gobierno de don Juan dela Cerda (1557-1564), duque de Medinaceli las noticiasson muy claras. Parece ser que a partir de 1560, el virreyordenó la demolición de una serie de construccionesmedievales situadas delante del bastión defensivo delpalacio que debieron de permitir la construcción de lasala grande destinada a albergar los parlamentos delreino y que se edificó en años posteriores.Conocemos además, por las cartas recopiladas por Vin-cenzo Di Giovanni (Di Giovanni, 1887), que el virreydon Garcia de Toledo (1564 – 1568), envía al Presidentedel Reino, Carlo d’Aragona en 1568, en las que se hacereferencia a continuar con las intenciones de don JuanDe Vega de intervenir sobre la planta del palacio paraliberarla de algunas construcciones que se situaban en-frente del hospital de San Giacomo, evidentemente paracrear la indispensable plaza de armas necesaria para larealización de las ceremonias reales que existía un pro-yecto correspondiente al Cortile della Fontana, queafectaría a la construcción de la fachada mediante log-

Un nuevo desafío: influenciasarquitectónicas en el PalacioReal de Palermo

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gie. Por la correspondencia entre don Garcia de Toledoy el Presidente del Reino, sabemos que las obras parala reconfiguración del palacio durante el gobierno deeste virrey se localizaban en algunas construccionescomo la escudería, la definitiva liberalización de laplanta del palacio y la realización de una fachada quedesde la Torre Pisana a la Torre Greca formase un mo-numental loggiato dirigido hacia la actual Plaza de laVictoria que finalmente no llegará a construirse nuncacon esta tipología. Esta fachada será erigida solo parcialmente y en los nive-les inferiores y, posteriormente, será eliminada por el alaconstruída en tiempos del virrey Maqueda (1596-1601).El 19 de octubre de 1566 se firma el contrato con el ca-pomastro Nicolò Fachenti, especialista en la elabora-ción de loggiati. Posteriormente, el propio virrey no semuestra muy concorde con el proyecto y decide modi-ficarlo, notificando este cambio al Presidente del Reinoen una carta del 31 de diciembre de 1566. Otra de lasmuestras que refuerza la figura e importancia de donGarcia en la reconstrucción del palacio Real es la peti-ción personal entre enero y abril de 1567 de la construc-ción de una loggia para colocarla posiblemente en suapartamento privado.El contrato del 7 de julio de 1567 es el último acto de unproyecto muy ambicioso, produciéndose un cambio en elproyecto, ya que hasta ahora la construcción de la loggiaera doble, sin embargo a partir de este momento será tri-ple. En esta modificación de nuevo del proyecto, por pe-tición de don Garcia, se pone en valor el antiguo acceso alos apartamentos reales con la creación de un gran portalen clave renacentista por parte de Giacomo Gagini.La influencia que pudo ejercer Génova en la modificaciónde este proyecto queda clara gracias a que el 14 de marzode 1567 el virrey Toledo encarga a maestros genoveses lamanufactura de las columnas, balcones, arcos y el pavi-mento para el palacio Real de Palermo, siguiendo los mo-delos de los palacios construidos en la Strada Nuova deGénova a partir de la apertura de la calle en 1550. Si bien parece bastante claro que los modelos españolesde los Alcázares Reales influyeron en la remodelacióndel palacio Real de Palermo durante el virrey Juan De

Vega, también influyeron en el desarrollo del palacio delos antiguos monarcas normandos los modelos genove-ses de los palacios situados en la Strada Nuova. Ambosproyectos suponen el constante desafío por intentar co-nocer las posibles influencias de uno y otro sobre el pa-lacio Real de Palermo en la mitad del siglo XVI.

Note1 El tema ha sido profundamente tratado en el libro de la autora queremitimos en la bibliografía.2 En concreto sobre las intervenciones realizadas bajo el virreinato dedon Garcia de Toledo (1564-1568).3 Sabemos, gracias a Fernando Marías (Marías, 1989), que el Alcázarde Toledo se encuentra bajo una serie de restructuraciones promovidasya en época de Carlos V y continuadas por Felipe II. Concretamenteno conocemos como era el Alcázar Real de Toledo a principios delsiglo XVI, seguramente un agregado heterogéneo de diferentes cuer-pos de edificios levantados durante la Edad Media y seguramente confinalidades diferentes. Las obras de remodelación de los Alcázares deToledo y Madrid fueron encargadas por Carlos V a Alonso de Covar-rubias (Toledo) y a Luis de Vega (Madrid). Las obras de remodelaciónen el Alcázar de Toledo no comenzaron hasta 1545 y se comenzó porla fachada septentrional.

BibliografiaDi Fede M.S. (2003), Il Palazzo Reale di Palermo tra il XVI e il XVIIsecolo (1535-1647), Medina, Palermo.Di Giovanni V. (1887), Il Vicerè Don Garcia di Toledo e le nuove fab-briche del R. Palazzo di Palermo nel secolo XVI, Archivio StoricoSiciliano, pp. 229-244.Fazello T. (1558), De rebus siculis decades duae, Palermo (ed. it. Sto-ria di Sicilia, a cura di Ganci M., Palermo 1990).Marías F. (1989), El largo siglo XVI, los usos artísticos del Renaci-miento español, Taurus, Madrid.Pettineo A. (2010), “Giorgio di Fazio e i Gagini al Palazzo Reale diPalermo”, Paleokastro, n.s., n. 2, pp. 50-58.Valenti F. (1925), “Il Palazzo Reale di Palermo”, Bollettino d’Arte del Ministero della P.I., n. 11, p. 512.

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Domenico Caracciolo, marchese di Villamaina, fu unuomo politico dai grandi ideali innovativi per i tempi incui operò, ma soprattutto per il difficile contesto socialecol quale si dovette scontrare. La vita di Caracciolo era stata segnata da importantiesperienze formative che lo avevano visto protagonistadi incarichi prestigiosi: fu inviato straordinario a Lon-dra, tra il 1764 e il 1771, ambasciatore del Regno di Na-poli a Parigi, tra il 1771 e il 1780. La sua carriera dadiplomatico fu interrotta nel 1780, quando FerdinandoIV di Borbone lo nominò viceré di Sicilia, costringen-dolo ad abbandonare Parigi per un compito molto piùprestigioso, ma molto più complicato.Il 16 ottobre del 1781, quasi un anno dopo la nomina,Caracciolo arrivò a Palermo con un programma di la-voro chiaro e ben definito, diretto a comprimere il po-tere aristocratico che impediva, a suo giudizio, losviluppo dei grandi potenziali dell’isola. Il nuovo vicerési impegnò fin da subito su più fronti, anche se ignarodel fatto che avrebbe vissuto un periodo pieno di scontried ostilità. Portò avanti provvedimenti come: l’imposi-zione della tassa sulle carrozze per il rifacimento dellalastricatura delle strade; l’abolizione del tribunale del-l’Inquisizione e il vano tentativo di ridurre da sei a trele giornate di festa dedicate a Santa Rosalia. È inutiledire che le iniziative del viceré spesso accesero glianimi del popolo siciliano, senza però mai scoraggiarlonel continuare a perseguire altre misure mirate alla ri-duzione del potere baronale. Le condizioni di arretra-tezza degli strumenti agricoli e la persistenzadell’economia feudale, opposta a forme contrattuali ido-nee alla classe operaia, impedivano l’ambizioso pro-gramma riformistico del Caracciolo, ma non servironoa frenarlo e il controllo del commercio, la riduzionedelle gabelle imposte dai baroni sui prodotti delle loroterre furono solo alcune delle decisioni prese per raffor-zare l’economia siciliana in un momento così restio aicambiamenti. Gli ideali del nuovo viceré entravano insintonia con il clima di fervido rinnovamento urbano chela Sicilia, ed in particolare Palermo, vivevano già da qual-che tempo, grazie anche alla presenza di personalità comeCarlo III di Borbone, il viceré Caramanico, predecessoredi Caracciolo ed il Pretore della città che, nella secondametà del Settecento, si impegnarono verso una politica dirifunzionalizzazione dell’edilizia pubblica.

Dopo la realizzazione, nel 1778, dello stradone Maqueda,il viceré intuì la zona d’espansione della città e poiché tro-vava «assai miserabile il teatro di Santa Cecilia […] pensòdi farne costruire uno novello di pianta ampio e fastoso,fuori Porta Maqueda […] poi tale progetto non ebbe ef-fetto, sortendo la stessa sorte di tutte le altre opere carac-cioliane che restarono fra noi nel nulla e nella più neraimperfezione» (Villabianca, 1783)1.L’attenzione per le condizioni di salute pubblica e perla mancanza di infrastrutture necessarie convinsero Ca-racciolo a impegnarsi per la realizzazione di un cimiteropubblico fuori la città. Il Regno di Napoli aveva già emanato un provvedi-mento che vietava la sepoltura all’interno del centro ur-bano e, solo dopo quattro mesi dall’incarico di viceré,Caracciolo interpellò la Deputazione alla Sanità del Se-nato, la Giunta dei Presidenti e il Consultore del Regnoper consentire rapidamente l’elaborazione del progetto(ASPa, vol. 5178, 1782).Non è ancora del tutto chiara la vicenda progettuale delcimitero, ma dalle fonti archivistiche sappiamo che sisono susseguiti tre progetti e che nel 1782 la Giunta deiPresidenti commissionò il progetto a Salvatore Attinelli,architetto coadiutore del Senato (ASPa, vol. 5178, 1782).Il secondo progetto fu realizzato da Carlo Chenchi, ar-chitetto delle Antichità di Sicilia, e inviato dal marcheseSambuca a Caracciolo, come indicato nella lettera del29 marzo del 1783 (ASPa, vol. 5178, 1783).Probabilmente doveva esistere anche un terzo progettoben descritto dallo stesso Caracciolo, come attesta lalettera inviata al Re Ferdinando IV il 22 gennaio del1784, in cui il viceré stesso scriveva: «È questo edificio[…] in forma di un grandissimo e magnifico Tempio or-nato in ogni lato di un gran numero di cappelle […]. Lasua figura è di un rettangolo […] circondato nell’internodi un portico di antica e semplice architettura e ognunode’ suoi archi […] riesce di una cappella, in cui è un al-tare ed una sepoltura […] nel piano o campo di mezzosaranno in buon ordine disposte 366 sepolture […]. Die-tro la Chiesa […] sarà una grandissima fossa o sepolturanella quale si trasporteranno ogni anno le ossa dallealtre 366 sepolture […]» (ASPa, vol. 5178, 1784). Lastruttura rimase incompiuta per la mancanza di risorsefinanziarie a disposizione e successivamente venne de-molita (Piazza, 2007).

La sfida contro i siciliani: il Viceregno di Domenico Caracciolo

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La grande innovatività dell’idea progettuale di un cimi-tero extra moenia era certamente in linea con le inizia-tive che nel frattempo venivano sperimentate in Europa,ma ancora troppo prematura per un popolo così anco-rato alle tradizioni e all’aspetto devozionale, qualequello siciliano, legato all’idea di sepoltura all’internodelle chiese.Il viceré committente di opere pubbliche, continuò lasua sfida contro i siciliani con l’operazione di riadatta-mento di piazze e strade: è il caso di piazza della Boc-ceria della foglia, chiamata così perché destinata allavendita di verdura e successivamente nominata “piazzaCaracciolo” per la nuova configurazione voluta dallostesso viceré. Il modello di piazza-mercato porticataproposto traeva spunto da esempi già realizzati in Siciliae dall’esperienza europea delle città di Londra e Parigi(Vesco, 2005).Dalle fonti storiografiche risulta che a partire dal XVsecolo la piazza fu protagonista di numerosi interventidi rimaneggiamento (Basile, 1938).In seguito alla realizzazione della via Roma la piazzasubì pesanti interventi che ne causarono un notevole re-stringimento: il portico occidentale che riportava la la-pide commemorativa dell’opera voluta dal Caracciolovenne distrutto e costruito al suo posto un grande edifi-cio che oggi ospita uffici comunali.Nel 1784, subito dopo la ricostruzione di piazza dellaBocceria, il viceré pensò di replicare un analogo pro-getto per la piazza di Ballarò: questa volta però dovettescontrarsi con i proprietari delle case del luogo che siopposero alla demolizione di queste, dal momento chela realizzazione dei portici lungo il perimetro dellapiazza avrebbe reso troppo angusto lo spazio (Villa-bianca, 1783).Le idee sull’architettura cimiteriale e sul modello dipiazza-mercato porticata entrarono in contrasto con leproblematiche del tempo, ma certamente fondarono lebasi per i provvedimenti legislativi che di lì a poco ilgoverno borbonico avrebbe emanato. Le disposizioni adottate nel 1817 riguardarono, infatti, la

chiusura delle sepolture dentro i centri abitati e la costru-zione in ogni comune di campisanti fissi che dovevanotener conto del metodo di seppellimento per inumazionee non dell’essiccazione dei cadaveri. Mentre nel 1823 ilmodello di piazza – mercato porticata veniva propostoanche per la sistemazione di piazza Nuova.L’impegno che Caracciolo manifestò per le iniziative so-stenute e che purtroppo spesso non riuscì a portare a com-pimento si tradusse in un cambiamento, sia a livelloistituzionale, sia urbanistico, che investì la Sicilia a partiredal suo viceregno fino a tutto il corso dell’Ottocento.

Note1 Manoscritto presso la Biblioteca Comunale di Palermo, ai segniQq D 93-117. Dall’anno 1746 al 1784 i diari vengono trascritti eannotati da Gioacchino Di Marzo e vengono pubblicati nella “Bi-blioteca Storica e Letteraria di Sicilia”, Prima serie, voll. XII-XIX.Palermo, Luigi Pedone Lauriel, 1874-1886.

BibliografiaArchivio di Stato di Palermo (d’ora in poi ASPa), Fondo Real Se-greteria, Incartamenti, vol. 5178, lettera del 29 marzo 1782.ASPa, Fondo Real Segreteria, Incartamenti, vol. 5178, lettera del29 marzo 1783.ASPa, Fondo Real Segreteria, Incartamenti, vol. 5178, lettera del22 gennaio 1784.Cardella S. (a cura di) (1938), “Antiche strade e piazze di Palermo”in N. Basile, Palermo felicissima: divagazioni d’arte e di storia,Serie terza, Amm. Prov., Palermo, pp. 225-235.Piazza S. (2007), “Nascita e sviluppo dei cimiteri siciliani in etàborbonica”, in Giuffrè M., Mangone F., et al. (a cura di), L’architet-tura della memoria in Italia: cimiteri, monumenti e città: 1750-1939, Skira, Milano, pp. 159-166.Vesco M. (2005), “Piazze di mercato porticate a Palermo al tempodel riformismo borbonico: rinnovamento urbano ed indagine tipolo-gico nel “Nulla Caraccioliano”, in Il tesoro delle città: strennadell’Associazione Storia della città, n. III, pp. 566-576.Villabianca F.M.E. (1783), Diari palermitani con note storiche atti-nenti ad alcune città del Regno di Sicilia dall’anno 1745 sino al 21gennaio 1802, volumi 25.

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In un momento storico dominato dall’inseguimento esa-sperato di tecnologie che mirano più alla quantità chealla qualità, l’arte diventa un importante punto di rife-rimento, per rinnovare il fulcro della natura umana, evi-denziandone il suo “genio”, libero e fantasioso, capacedi percorrere le infinite strade della sua creatività. L’arteha, così, il compito di insistere sulla dignità umana epermette di arrivare all’immortalità. Le opere d’arteeternano, attraverso i secoli, il ricordo e l’autorevolezzadi civiltà passate e sono esempi dai quali poter trarreidee e consigli da applicare nel presente. «Non passa invano il tempo. Si appropria di uomini ecose e li restituisce, lasciando il segno. Quel che resta èla negazione del tempo, il segno tangibile del passatoche si ripropone secondo itinerari sempre nuovi, imma-teriali, rivissuti da altre generazioni. Il segno è l’ormadel tempo che gli uomini ripercorrono, la traccia che se-guono inevitabilmente, il progetto di future trasforma-zioni» (Di Natale, 2006, 7). Il tempo è il reliquiario el’ostensorio, la corona e il calice, l’argento e l’oro, lostudio delle cose conosciute e il desiderio di non la-sciarle morire, la storia che continua.«Il più grande valore intrinseco delle opere d’arte con-siste dunque nel segno mutevole e pur sempre ricono-scibile che la nostra storia tramanda e in cui nonpossiamo non riconoscerci» (Ibidem). Su questa scia laParrocchia di Santa Lucia di Mistretta, ormai da anni,sta portando avanti un importante progetto di restauroche ha interessato, e che interesserà, molteplici operefacenti parte dell’enorme patrimonio storico-artisticoda essa custodito. Questo intervento permetterà di ren-dere fruibili a tutti i manufatti e contribuirà ad un rilan-cio culturale dell’intera comunità nebroidea, facendoriscoprire valori che ormai erano quasi estinti.Tra le opere recentemente restaurate vi è una serie disuppellettili liturgiche in argento appartenenti prevalen-temente alla Chiesa Madre di Santa Lucia. L’operazionesegue, idealmente, il restauro e il ritorno all’anticosplendore della Chiesa Madre, in modo particolare deglialtari in marmi mischi, nuovamente fruibili ai fedeli,nonché il restauro delle tele che adornano le pareti dellachiesa intitolata al Santo patrono, San Sebastiano.Questo gruppo di argenti, nel dettaglio, è costituito daotto pezzi inediti e più precisamente da: un ostensorio,una pisside, un servizio per l’incensazione costituito da

turibolo e navetta, una croce da tavolo, un secchiellocorredato di aspersorio, una croce astile; si aggiungeanche il reliquiario di San Sebastiano, l’unico manu-fatto pertinente alla Chiesa dedicata al Santo Patrono diMistretta e già edito (Travagliato, 2007, 409-413). I la-vori di restauro e consolidamento delle opere argenteesacre è stato affidato alla ditta Amato di Palermo, fami-glia di argentieri da generazioni, che ha soddisfatto ap-pieno la committenza. Tutte le suppellettili analizzate sono di particolare pre-gio artistico, elemento che il restauro ha ovviamenteevidenziato e posto in particolare risalto. Un’accurataanalisi ha permesso di datare le opere, stabilirne la pro-venienza e la maestranza che le ha realizzate, nonchédare un nome al console che ne ha garantito la qualitàapponendo il proprio punzone.Tra i manufatti restaurati l’opera più antica è il reliquia-rio architettonico ad edicola di S. Sebastiano che, no-nostante l’assenza del marchio della maestranza degliargentieri, è da datare alla fine del XVI - inizi del XVIIsecolo, come si evince dal nodo ovoidale e dalla basepolilobata. Tale opera è la stessa che in un inventariodel 1750 viene descritta come «un reliquiario del Santod’argento libre due ed once dieci, rotoli» (Travagliato,1995, 57). Studi condotti dal prof. Giovanni Travagliatolo vedono attribuire a Nibilio Gagini «non solo per leanalogie formali e stilistiche con la monumentale cu-stodia dallo stesso realizzata negli anni 1601-1604 perMistretta […], ma anche per l’identità del committente,il sacerdote Giovanni Filippo Mongiovì […] dichiaratodallo stemma ‘parlante’ […] inciso sulla base» (Trava-gliato, 2007, 409). Di produzione settecentesca e di maestranza palermi-tana sono un gruppo di suppellettili come la pisside chepresenta il marchio con l’aquila a volo alto, della cittàdi Palermo, con la sigla RVP (Regia Urbs Panormi) eADF54, vidimazione del console Agostino Di Filippoin carica nel 1754-55 (Barraja, 1996, 77). Del 1772-73è la navetta con i tipici motivi à cartouche, decorazionetipica dello stile Rococò, che reca il marchio con l’a-quila a volo alto e la sigla SCC 72 del console SimoneChiapparo (Idem, 1996, 79), mentre del 1776-77 è il tu-ribolo vidimato da Antonino Lo Bianco a cui fa riferi-mento la sigla AB 76. Espressione stilistica del gustoRococò, sono i motivi decorativi che si riscontrano nella

La sfida di Mistretta per una rinascita culturale attraverso lavalorizzazione del suo patrimoniostorico-artistico

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parte inferiore dell’aspersorio, mentre la parte supe-riore, del pomo a forma di pigna, è caratterizzato da untraforo a squame di pesce. Di notevole pregio è la raf-finatissima croce da tavolo o d’altare in lamina d’ar-gento, sbalzata e cesellata, su supporto di legno. Sullaparte argentea si rileva il marchio del console don Fran-cesco Solazzo in carica nel 1787 ed identificato con lasigla DFS 87 (Idem, 1996, 81).

Un’altra croce è presente tra le suppellettili recente-mente restaurate, ma in questo caso si tratta della tipo-logia astile, che, posta su un’asta nel prolungamento delbraccio verticale, viene usualmente portata in proces-sione precedendo il corteo dei celebranti, assolvendocosì al compito d’apertura delle cerimonie liturgiche.L’opera, non presentando nessun marchio, è databile daun’analisi stilistica, da cui si evince che la croce è dellafine del XVII secolo come le volute dei capicroce de-nunciano, mentre il motivo alla greca del nodo permettedi datarlo alla fine del XVIII - inizi XIX secolo. Di produzione più attardata, come conferma la presenzadi elementi ormai ispirati allo stile Neoclassico, è l’o-stensorio che reca il marchio CME04 del console Co-stantino Lo Meo a capo della maestranza degliargentieri palermitani nel 1804 (Idem, 1996, 83). Di

produzione siciliana è il secchiello che reca il marchiocon la Testina di Cerere e il numero 8, cifra indicante imillesimi dell’argento. Tale marchio entrò in vigore,con “Regio Decreto” del re Francesco I, il 14 Aprile1826 e rimase in vigore sino al Maggio del 1872,quando con un altro Regio Decreto di Vittorio Ema-nuele II, il marchio per l’argento fu la testa dell’Italiaturrita con i titoli 950, 900 e 800 dei millesimi, rimastoin vigore fino al 1934 (Idem, 1996, 54-57 e 105).Il manufatto analizzato presenta anche il marchio con unleone, simbolo del saggiatore Matteo Serretta in carica dal3 agosto del 1837 (Idem, 1996, 56) e la sigla dell’argen-tiere artefice OMA, di non facile identificazione.Queste opere restaurate sono solo una piccola partedell’enorme patrimonio che viene custodito nelle chiesedella Parrocchia di Santa Lucia della città amastratina,che però danno un’idea della sensibilità al bello dellacommittenza laica e religiosa e dell’antico splendore diquella che un tempo era considerata la capitale dellacultura dei Nebrodi. «…In una cultura, talvolta disgregata, si è chiamati adiniziative volte a far riscoprire ciò che culturalmente espiritualmente appartiene alla collettività, non nel sensostrettamente turistico, ma in quello propriamente uma-nistico. In questo senso è infatti possibile riscoprire lefinalità del patrimonio storico-artistico, così da fruirlocome bene culturale» (Pontificia Commissione, 2001).

Bibliografia Barraja S. (1996), I marchi degli argentieri e orafi di Palermo dalXVII secolo ad oggi, Publieditor, Milano.Di Natale M. C. (2006), I tesori nella contea dei Ventimiglia oreficeriaa Geraci Siculo, Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta.Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa (2001), Let-tera circolare sulla funzione pastorale dei Musei Ecclesiastici del 15agosto 2001, Città del Vaticano.Travagliato G. (1995), Libro d’Inventarii delle Chiese della Città diMistretta. 1750, trascrizione e commento, Mistretta.Travagliato G. (2007), “Su Vincenzo Greco e l’arte ‘applicata’ allereliquie tra Roma e la Sicilia nel ’600”, in Di Natale M. C. (a curadi), Storia, critica e tutela dell’arte nel Novecento. Un’esperienza si-ciliana a confronto con il dibattito nazionale. Atti del Convegno In-ternazionale di Studi in onore di Maria Accascina, Salvatore SciasciaEditore, Caltanissetta.

Fig. 1. Croce da tavolo datata 1787.

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Globalizzazione ed economia mondiale: gli effetti sui sistemi urbaniLa globalizzazione può essere descritta come quel fenomeno che ha condotto aduna maggiore integrazione tra i Paesi e i popoli del mondo, grazie alla riduzionedei costi di trasporto, allo sviluppo tecnologico nel campo delle comunicazioni1,all’abbattimento delle barriere spaziali e alla circolazione internazionale di beni,servizi, capitali, conoscenza e persone, riducendo il senso di isolamento percepitosoprattutto dai paesi in via di sviluppo. Questi fattori stanno influenzando notevol-mente gli aspetti della vita socioeconomica, da un lato perché gli aiuti dall’esterohanno creato benefici a milioni di persone (aspetto della globalizzazione che vienespesso trascurato), ma dall’altro non ha portato i vantaggi economici sperati, conl’effetto di innalzare ulteriormente il divario tra ricchi e poveri, invece di ottenereun maggiore equilibrio ed un aumento della fascia media. Infatti, mentre i Paesipiù poveri hanno eliminato le barriere commerciali, i Paesi occidentali hanno man-tenuto le proprie, impedendo così ai primi di poter esportare i loro prodotti e di usu-fruire di un’economia di cui hanno bisogno, determinando un peggioramento dellaloro situazione già precaria (Stiglits, 2002).«Globalisation takes place in cities and cities embody and reflect globalisation.Global processes lead to changes in the city and cities rework and situate globali-sation. Contemporary global dynamics are the spatial expression of globalisation,while urban changes reshape and reform the processes of globalisation» (Short andKim, 1999, 9). Il cambiamento della natura delle attività economiche e il crescentesviluppo dei servizi ha modificato non solo l’aspetto sociale delle città, ma anchel’assetto spaziale. La delocalizzazione delle industrie manifatturiere nei Paesi doveil costo della manodopera è minore e la localizzazione nei centri delle città dellefunzioni di comando e delle sedi dei principali servizi nei settori terziario e quater-nario, stanno cambiando l’assetto originario delle città, creando vuoti urbani chenecessitano di rigenerazione, modificando il rapporto casa-lavoro con conseguenzesull’assetto della mobilità, e generando l’esigenza di nuovi spazi che richiedonouna posizione centrale. Inoltre, dal punto di vista infrastrutturale e logistico, le cittànecessitano di ampliare ed innovare quelle aree necessarie alla connessione globale,per facilitare lo scambio di persone e merci, ma soprattutto per potersi proporre nelsistema dei flussi globali come luoghi fortemente interconnessi, dotati di avanzatestrutture logistiche e delle più evolute soluzioni tecnologiche.Questi aspetti della globalizzazione permettono di comprendere come gli effetti ditale fenomeno agiscono, in maniera indiretta, sulle relazioni inter ed intra-urbane, generando nuove configurazionispaziali, polarizzazioni, ghetti, vuoti urbani e nuovi cluster urbani, e che si riscontrano in tutte le città, indipenden-temente dal modo in cui sono coinvolte in questo processo. «Globalizing cities is thus the term we are using, to re-flect two different points: that (almost) all cities are touched by the process of globalization and that involvementin that process is not a matter of being either at the top or the bottom of it, but rather of the nature and extent ofinfluence of the process» (Marcuse, Kempen, 2000, 263).Accanto alla globalizzazione, come causa dei cambiamenti nell’ordine spaziale, vi è l’economia globale che, grazieall’economia dell’informazione2, ha notevolmente ampliato le possibilità di mobilitazione dei capitali, soprattuttoin ambito transnazionale, creando flussi che attraversano l’intero globo abbattendo la distanza fisica. In questo con-testo, le città assumono un ruolo chiave per la localizzazione delle funzioni di comando e delle infrastrutture stra-tegiche (territorializzazione della globalizzazione), tracciando una nuova geografia che segue i flussi dell’economia

L’era del post-fordismo, l’avventodella società della

conoscenza, laglobalizzazione, laliberalizzazione dei mercati,l’economia mondiale el’evoluzione tecnologica,sono elementi che oltre adinfluire a livello sociale,economico e relazionale,stanno producendosignificativi cambiamentinella sfera delletrasformazioni urbane, siain termini spaziali cherelazionali, rendendo lastruttura delle città unsistema sempre piùcomplesso e in costanteriorganizzazione. Da questeconsiderazioni la ricerca,da cui questo articolo èestratto, intende elaborareun modello di sviluppo e digoverno delle città,indirizzando lo studio alsistema insediativo di tiporeticolare, riscontrandonelle reti e nei nodi queglielementi in grado diintercettare la nuova logicaspaziale dei flussi.

Globalizzazione e sistemi urbani:effetti, relazioni, espressioni territoriali

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mondiale, dove la scelta della localizzazione segue leleggi del massimo profitto: le funzioni di comando, cheinnalzano il rango di una città, trovano, pertanto, loca-lizzazione nelle città occidentali in condizioni di svi-luppo avanzate; mentre le zone di trasformazione perl’esportazione vengono localizzate nei Paesi in cui i sa-lari sono molto bassi e le imprese (occidentali) sonoesentate dal pagamento di dazi aggiuntivi. Si assiste, dunque, ad un duplice modo in cui i sistemi ter-ritoriali mondiali vengono utilizzati: da un lato i continuisviluppi del settore delle comunicazioni e l’espansionedell’industria dell’informazione hanno prodotto una ten-denza alla dispersione territoriale delle attività economi-che; dall’altro si osserva una contrapposta tendenza,ovvero la concentrazione territoriale di attività altamentespecializzate, di funzioni superiori di controllo e dire-zione, che stanno generando veri e propri nodi territorialicentralizzati, caratterizzati da una iperconcentrazione distrutture materiali, che si pongono come luoghi strategiciglobali delle città e che interconnessi fra loro disegnanole reti entro cui si territorializza l’economia mondiale e siforma il sistema economico globale. L’assetto urbano delle città è, pertanto, in costante tra-sformazione ed è oggetto di nuove configurazioni spa-ziali, infrastrutturali e logistiche che assumono un ruolodeterminante per la definizione di gerarchia, ruolo, op-portunità, possibilità di sviluppo e rango della funzionenel sistema internazionale.Tra gli effetti più evidenti che il processo di globaliz-zazione e, in particolare, il nuovo ordine del capitalismomondiale stanno generando sui sistemi territoriali, si ri-scontrano: il processo di regionalizzazione e la forma-zione delle città globali3.

Dalla dialettica locale/globale alla dialettica nodo/reteInterrogandosi sul futuro dei sistemi territoriali locali edell’identità dei luoghi, se questi continuano ad avereimportanza o se i processi globali li hanno totalmentesopraffatti, si è osservato che, contrariamente alle primeipotesi che proclamavano la fine delle città, i sistemiterritoriali locali si sono dimostrati realtà ad elevato po-tenziale competitivo, dove la differenza, la varietà e l’i-dentità rappresentano elementi in grado di emergere nelglobale. Infatti, accanto ai processi governati dalle cittàglobali, che variano continuamente i nodi delle propriereti sulla base della convenienza e del maggior profitto,si è affiancata una nuova tendenza che valorizza la di-versità e che vede, nelle dinamiche che la globalizza-zione offre, una potenzialità che non era stata percepitaall’inizio. Questa inversione di tendenza deriva dal ri-fiuto del territorio di essere rappresentato come imma-gine del globale (Dematteis, 1985), dalla necessità diessere parte dei processi competitivi internazionali e diintercettare i flussi globali. In questo contesto, la dialettica locale/globale assumeun nuovo significato e i due termini (da sempre con-trapposti) vengono oggi presi contemporaneamente inconsiderazione nelle analisi delle relazioni dei sistemi

territoriali, individuando due diversi sistemi di rela-zioni: relazioni di tipo orizzontale tra sistemi apparte-nenti allo stesso livello; relazioni di tipo verticale trasistemi appartenenti a livelli gerarchicamente diversi.Particolare importanza acquista, pertanto, l’analisi deiprocessi in cui i due sistemi relazionali interagiscono,ovvero come il locale entra in contatto con il globale:interpretando le dinamiche di interazione dei territoriattraverso l’uso della struttura reticolare, la dialetticalocale/globale può essere trasposta alla dialetticanodo/rete, trovando così il rapporto, il punto di congiun-zione, tra sistemi urbani locali e organizzazioni a rete.Questo tipo di rappresentazione contiene una moltepli-cità di letture relazionali: relazioni orizzontali (tra i nodidi una stessa rete); relazioni verticali (tra reti di diversolivello); relazioni tra un nodo e reti diverse a livelli di-versi (che esprime la capacità di un nodo di interagirecon più reti e a diverse scale territoriali). I territori locali che si sviluppano secondo processi en-dogeni di valorizzazione delle proprie risorse diventano,così, i luoghi in cui i processi globali si localizzano nonin maniera indifferenziata, ma secondo una logica che,questa volta, ha scelto la localizzazione proprio per lasua non riproducibilità. In tal modo, questi sono con-temporaneamente sistemi territoriali locali e nodi di retiglobali: le reti globali attingono alle esternalità prodottedalle specificità territoriali e funzionali del sistema lo-cale, ridando importanza alla localizzazione, al luogo. In questo contesto, il processo di sviluppo locale nondeve ridursi ad una valorizzazione territoriale semplice,prodotta e regolata da attori esogeni, perché in questomodo le dinamiche esterne verrebbero assunte passiva-mente, l’autonomia del sistema locale negata, e il si-stema locale (non producendo esternalità che derivanodal proprio milieu) diventerebbe nodo di una rete finchénon variano le condizioni esterne, che possono decidereche quel nodo non è più parte della rete, producendouna disgregazione del nodo stesso. Per evitare questoprocesso, il sistema locale deve attivarsi attraverso pro-cessi di networking attivo. Il sistema locale, nella logica della rete, può assumerecontemporaneamente il ruolo di nodo e rete, divenendocosì luogo di interfaccia, di commutatore di servizi, diinterazione tra il locale e il globale: al livello globale, ilsistema locale è un nodo che dialoga, attraverso rela-zioni orizzontali, con gli altri nodi della stessa rete; allivello locale, uno stesso nodo può essere o rete del suostesso sistema i cui nodi sono i diversi soggetti che locompongono (Dematteis, 1995), ovvero i diversi polifunzionali che caratterizzano la città policentrica, onodo di una rete che connette il sistema locale con altrisistemi locali, geograficamente prossimi, che attraversoqueste connessioni aumentano le proprie potenzialitàcompetitive, ovvero il sistema insediativo policentrico.

La sfida delle città medieParticolare attenzione va posta alle piccole e mediecittà, composizione prevalentemente dello spazio euro-

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peo. Se nelle prime fasi del processo di globalizzazionedell’economia queste città sono entrate in crisi a causadella delocalizzazione delle aree produttive, adesso sipongono come territori fertili per lo sviluppo grazie allaloro capacità di collaborazione e coesione: attraversol’interazione, questi territori sono capaci di raggiungerela massa critica necessaria per rispondere alla competi-zione internazionale, avendo a disposizione spazio fles-sibile, risorse territoriali, identità uniche. Questi territori offrono, oggi, un’importante sfida: la ca-pacità di poter competere con le global cities grazie allacooperazione, ai processi di networking attivo e, quindi,alla creazione di networks. Ognuna di esse può diven-tare nodo di un tessuto complesso, attrattore e genera-tore di flussi e di relazioni materiali e immateriali alivello globale. Pertanto, si può affermare che all’arma-tura urbana delle città globali si interseca l’armaturadelle città di secondo livello, che offrono alternative disviluppo, la cui forza propulsiva è intrinseca nelle loropeculiari identità, nelle differenze che alimentano le op-portunità di connettersi alle reti globali, nella capacitàdi far percepire il senso della cittadinanza. Le città nondevono essere solo attrattori di flussi, ma devono esserein grado di generare flussi, produrre identità, economiee nuove geografie, valorizzando il proprio milieu,creando dinamismo urbano e interazioni spaziali capacidi attratte le reti globali, non solo come un nodo in cuii flussi globali atterrano, ma luoghi da cui partono nuoviflussi.

La rete come espressione del processo di globalizzazionePeter Taylor nei suoi studi sulle città globali, analiz-zando il modo in cui i fenomeni della globalizzazionee dell’economia mondiale producono trasformazioninelle città, sottolinea l’importanza delle relazioni che lecittà intrattengono con altre città sparse per il globo(Taylor, 2004) e, ponendo l’attenzione sui nodi di que-sto sistema relazionale, afferma che «leading cities canonly be identified and understood in the context of theirrelations with myriad other cities across the world. Thatis to say, if London is indeed to be interpreted as a‘global city’ it will be because many other cities,through their dependences and interdependences withLondon, make London special. […] Cities, historicallyand today, operate together in groups that form net-works of activities. Whether it is early modern diaspo-ras of merchants across European cities from theMediterranean to the Baltic, or contemporary multina-tional corporations with their multilocation global poli-cies centred on cities world-wide, every city exists as acluster of activities that are interlinked to clusters of ac-tivities in other cities. In other words, cities form inter-locking networks; under conditions of contemporaryglobalisation these are world city networks» (Taylor,2005, 1594). Le città diventano così nodi di una rete,che fa capo ad una città principale, nodo di maggior ri-lievo connesso alle reti globali, ed attraverso questotraggono vantaggio e si relazionano al contesto interna-

zionale. Nelle analisi di Taylor, infatti, si fa riferimentoa city networks che si configurano intorno ad un nodoprincipale, una global city, con cui intrattengono unaforte relazione di dipendenza. Secondo il modello pro-posto proprio da Taylor, è possibile poter misurare il po-tere di un nodo, in una specifica funzione, rispetto aglialtri nodi della rete (Taylor et al, 2002; Taylor, 2005).Paolo Perulli osserva come negli ultimi decenni i pro-cessi sociali ed economici si stanno riorganizzando se-condo logiche di rete che vanno oltre i confini nazionali.«Il collegamento in reti è fondamentale per l’esistenzadella città, e tende a sostituire la vecchia centralità in-tesa come servizio a una regione circostante o a un im-mediato hinterland. I centri, del resto, corrispondonooggi a città globali che detengono l’intera gamma dellefunzioni superiori e di comando; ma essi possono essereanche pensati come centri di sistemi reticolari i cui nodisono rappresentati da città di minori dimensioni.Il modello gerarchico-areale spiega sempre meno que-ste relazioni reticolari. Esse sembrano svilupparsi in duedirezioni: metropoli generaliste (o città globali) colle-gate a una rete di città più specializzate, o reti di cittàche strutturano le proprie relazioni tra grappoli di cittànon gerarchizzate» (Perulli, 1998, 39). L’autore, quindi,individua due diversi tipi di rete: la prima è la stessa cheha individuato Taylor; la seconda, invece, è formata daquelle città, che non sono città globali, ma che utiliz-zano la rete per aumentare le proprie capacità competi-tive, costruendo nuove posizioni di vantaggio eridefinendo i confini. Le reti di cui le città possono essere dotate sono di duetipi: reti interne e reti esterne, ovvero, reti integrate oriz-zontalmente (reti locali) e/o verticalmente (dal locale alglobale). Queste non sono del tutto prive di gerarchia,ma la differenza rispetto ai tradizionali modelli gerar-chici è insita nella natura aperta e globale della retestessa: nessuno la possiede e tutti ne possono fare parte.La rete possiede, quindi, una doppia natura: da un latovi sono alcuni nodi in cui si concentra il potere, dall’al-tro è un operatore spazio-temporale5 non gerarchico,flessibile e capace di connettere situazioni eterogenee.La città torna così ad essere un luogo denso di impor-tanza, in cui si territorializzano le dinamiche globali, incui avviene l’integrazione tra contesti locali e globali,grazie proprio alla struttura reticolare: «nel denso terri-torio europeo emergono nuovi fenomeni urbani: la città-nodo, le città-regioni, le città-rete sono forme diirradiamento e di innovazione» (Perulli, 2007, 14).Si può concludere affermando che sia le città globaliche le regioni globali, ma anche i sistemi locali, trag-gono vantaggio e rafforzano il proprio ruolo e le propriecapacità competitive dall’organizzarsi in sistemi retico-lari. Pertanto, sembra che la rete si ponga, morfologi-camente, come la forma più adatta alla complessitàdelle interazioni ed ai nuovi modelli di sviluppo deri-vanti da essi, in termini di organizzazione spaziale perfavorire le connessioni e in termini di organizzazionedelle relazioni verso l’interno e verso l’esterno.

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«La morfologia della rete appare ben adatta alla com-plessità dell’interazione e agli imprevedibili modelli disviluppo derivanti dalla forza creativa di tale intera-zione» (Castells, 2002, 75).

Note1 Secondo Anthony Giddens (2007), l’inizio dell’età globale può es-sere individuato tra gli anni Sessanta e Settanta, quando fu mandatoper la prima volta in orbita un sistema satellitare che permetteva lacomunicazione istantanea tra due punti qualunque del globo. Con ladiffusione di internet, negli anni ‘90, questo processo subisce un’ac-celerazione repentina. 2 La richiesta di maggiore specializzazione dei lavoratori, non solodal punto di vista manuale, ma anche intellettuale, ha prodotto varia-zioni nell’organizzazione della vita per rispondere alle nuove esigenzedi maggiore flessibilità in ambito lavorativo, ma ha anche prodottola necessità di migliorare la qualità dei centri universitari e dei centridi ricerca.3 Per economia dell’informazione si intende «un sistema economicodominato da industrie che producono, manipolano e/o trasmettonoinformazioni; per la precisione, quel settore dell’economia che è co-stituito da industrie del genere, in particolare da quelle che fornisconoservizi specializzati» (Sassen, 2010, 261), ovvero una configurazioneeconomica immateriale che rappresenta la maggiore causa della di-spersione spaziale delle attività economiche.4 John Friedmann (1986) definisce quali sono le principali ragioni cherendono i processi di urbanizzazione strettamente connessi alle forzedell’economia globale, ponendo l’accento sulla nuova divisione in-ternazionale del lavoro che si trasferisce in maniera tangibile sullastruttura spaziale delle città, individuando nelle world cities quellecittà che assolvono le funzioni più importanti di controllo.5 Paolo Perulli definisce la rete un operatore spazio-temporale, ovveroquella struttura spaziale «che ridisegna lo spazio: modifica l’essere-

insieme, riscrive i confini della società, rende equivalenti l’apparte-nenza e l’assenza locale, anzi aumenta l’indifferenza per lo spazial-mente vicino e stringe la relazione con ciò che è spazialmenteremoto» (Perulli, 2007, 53).

BibliografiaCastells M. (2002), La nascita della società in rete, Università Boc-coni, Milano (ed. orig.: The Rise of the Network Society, BlackwcllPublishers Ltd., Oxford, 1996).Dematteis G. (1985), Le metafore della terra. La geografia umanatra mito e scienza, Feltrinelli, Milano.Dematteis G. (1995), Progetto implicito. Il contributo della geografiaumana alle scienze del territorio, Franco Angeli, Milano.Giddens A. (2007), L’Europa nell’età globale, Laterza, Bari.Marcuse P., Kempen van R. (eds.) (2000), Globalizing Cities. A newspatial order?, Blackwell, Oxford.Perulli P. (a cura di) (1998), Neoregionalismo. L’economia-arcipe-lago, Bollati Boringhieri, Torino.Perulli P. (2007), La città. La società europea nello spazio globale,Mondadori Bruno, Milano.Sassen S. (2010), Le città nell’economia mondiale, Il Mulino, Bologna (ed.orig.: Cities in a World Economy, Pine Forge Press, Thousand Oaks, 2006).Short J.R., Kim Y.H. (1999), Globalization and the City, Long-man, London.Stiglits J.E. (2002), La globalizzazione e i suoi oppositori, Einaudi, Torino.Taylor P.J., Catalano G., Walker D.R.F. (2002), “Measurement of theWorld City Network”, Urban Studies, vol. 39, n. 13, pp. 2367–2376.Taylor P.J. (2004), World City Network. A Global Urban Analysis,Routledge, London-New York.Taylor P.J. (2005), “Leading World Cities: Empirical Evaluations ofUrban Nodes in Multiple Networks”, Urban Studies, vol. 42, n. 9, pp.1593-1608.

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PremesseCosì come sostiene Luca Ricolfi (1997), la ricerca empirica va pensata come ri-sposta a domande di conoscenza, anziché come soluzione a problemi di teoria. Se-guendo questo ragionamento, il modello logico di riferimento della ricerca quipresentata è caratterizzato dalla sequenza “realtà – domande – indagine – risposte”.La ricerca nasce dalla riflessione circa il consolidato sfaldamento tra la disciplinapaesaggistica e quella urbanistica e prende avvio da un preciso interrogativo: comeintegrare la pianificazione del paesaggio nella pianificazione territoriale?La naturale adesione della pianificazione ai temi del paesaggio, della sua interpre-tazione e modificazione, si è affermata nel nostro Paese solo da qualche tempo; po-tremmo considerare complici di questo ritardo tre importanti fattori: un apparatolegislativo rigidamente settoriale; una netta separazione delle competenze istitu-zionali tra i Ministeri rispettivamente preposti alla tutela del paesaggio e alla pia-nificazione urbanistica; la dimensione marcatamente intra moenia che hacaratterizzato il dibattito urbanistico dell’ultimo cinquantennio e che, almeno sottoil profilo operativo, ha posto in secondo piano la pianificazione di area vasta. Questeconcause, tra loro fortemente interrelate, rivelano a loro volta una comune matricedi ordine prettamente concettuale e filosofico che ha sempre ispirato, in Italia, tuttele norme di tutela del paesaggio (Provenzano, Trombino, 2009).Grazie alla documentazione internazionale prodotta, oggi, quando si richiama lanozione di paesaggio, non si vuol più far riferimento ad esso in termini di monu-mento o di bene isolato, ma a quella «determinata parte di territorio, così come èpercepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/oumani e dalle loro interrelazioni». Sono queste le parole della Convenzione Europeadel Paesaggio (CEP) ratificata a Firenze nel 2000, ma nella cui traduzione risenteancora della tradizione tutta italiana di individuare “determinate” e specifiche parti.La CEP ha rivoluzionato il modo di intendere il paesaggio, chiarendo che non puòessere definito a priori; esso non è né naturale, né antropico, ma presenta, al con-tempo, forme naturali, seminaturali e antropiche. Il paesaggio è forma di ciò che èpresente in un luogo, ovvero è frutto di elementi completamente naturali, di ele-menti che, seppure naturali, manifestano un condizionamento antropico, e, infine,è espressione di elementi prodotti esclusivamente dall’uomo.

Il tema di ricercaNonostante le recenti “conquiste”, siamo però ancora lontani dalla Convenzione Europea. Se da un lato l’attualedibattito disciplinare riconosce la complessità della nozione di “paesaggio” e stimola alla cooperazione studiosi etecnici appartenenti ai diversi ambiti del “sapere” (Peano, 2011), dall’altro il “Codice dei beni culturali e del pae-saggio” – principale riferimento normativo italiano che attribuisce al Ministero per i Beni e le Attività Culturali ilcompito di tutelare, conservare e valorizzare il patrimonio culturale dell’Italia – resta lontano dalla Convenzionein quanto separa ancora i beni culturali da quelli paesaggistici, in aderenza alla tradizione italiana delle strade pa-rallele delle tutele sancite dalle leggi del 1939 (Provenzano, Trombino, 2009). Ma ancor più grave è il fatto di nonentrare nel merito degli stretti rapporti che intercorrono tra governo del territorio e pianificazione del paesaggio.Da quanto già espresso emerge l’obiettivo della ricerca: l’impellente necessità di una rivisitazione dei paradigmi istitutivila disciplina di tutela del paesaggio e di una ricerca di convergenza di quest’ultima con le discipline urbanistiche.Le modifiche apportate al D.lgs. n.152/2006, che reca norme in materia ambientale, nell’introdurre una nuova e

La consolidataseparazione traUrbanistica e

Paesaggio poggia le suefondamenta su una precisavisione del paesaggio intermini prettamente esteticie culturali. La Vas, unnuovo strumentoindividuato dalla ComunitàEuropea per integrareconsiderazioni di naturaambientale nei piani e neiprogrammi e migliorarne laqualità decisionalecomplessiva, riconducel’attenzione dei diversioperatori alle componentistrutturali del paesaggio.Per questa ragione, la Vas,se ben costruita, puòdispiegare appieno le suereali potenzialità, anche nelnostro Paese, ed essereconsiderata la “cerniera”trasversale che consental’integrazione, nel piano,della sostenibilitàambientale, economica esociale.

Paesaggio, urbanistica e ambienteun patto per il governo del territorio

Fabio Cutaia Rice

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più convincente regolamentazione del processo di Va-lutazione ambientale strategica (Vas) dei piani urbani-stici, hanno significativamente ampliato gli originariambiti di valutazione, includendovi anche il patrimonioculturale, inteso come «l’insieme costituito dai beni cul-turali e dai beni paesaggistici», così come questo vienedefinito ed interpretato dal “Codice dei beni culturali edel paesaggio” e, quindi, in termini prettamente cultu-rali, alla stessa maniera della Convenzione Europea del2000. L’importante, seppure tardiva, introduzione delladimensione paesaggistica nel processo di valutazionestrategica, rappresenta l’occasione per la definitiva con-vergenza dell’urbanistica con il paesaggio. In quest’ot-tica, la Vas può essere considerata come un momentodi sintesi tra le diverse dimensioni che caratterizzano laconcezione moderna di “paesaggio” e può, sincronica-mente, offrire risposte alle varie istanze che si riferi-scono ad un medesimo territorio.La Vas, quindi, non si limita alla semplice tutela delbene culturale, ma tiene conto delle innumerevoli inte-razioni tra le pressioni economiche, sociali e culturalidel territorio. Inoltre, la dimensione ex ante delle valu-tazioni, che caratterizza la stessa natura della Vas, con-sente di strutturare i piani e i programmi nella pienaconsapevolezza dei vincoli e del quadro strategico entrocui operano i vari gradi della pianificazione sovraordi-nata, tra cui quella paesaggistica. Un altro significativoapporto che la Vas può dare ad una nuova modalità diintendere il paesaggio, nei processi di pianificazione, èrelativo all’introduzione di metodi partecipativi nellescelte e al monitoraggio delle varie fasi di formazionedi un piano. Le ragioni dell’opzione partecipativa, come guida esupporto alle dinamiche di modificazione del territorio,perseguono i principi ratificati nella Convenzione diAarhus (1998) e dalla Comunità Europea, che impe-gnano i Paesi membri a promuovere la partecipazioneai processi decisionali.Da queste riflessioni emergono nuovi interrogativi che,chiarendo e specificando il fine della ricerca, delimitanoil campo di indagine: come trasferire la lettura del pae-saggio nella pianificazione territoriale attraverso proce-dimenti di tipo valutativo? Come si può valutare,attraverso i metodi “quantitativi”, propri delle proce-dure di valutazione ambientale, l’impatto paesaggisticodelle azioni urbanistiche? Ed ancora, come integrare, inun contesto in cui si procede mediante indicatori, unavalutazione il più possibile oggettiva, condivisa, parte-cipata e trasmissibile della dimensione culturale e per-cettiva del paesaggio?

Il metodo di ricercaSic stantibus rebus, è stato possibile individuare un me-todo atto all’elaborazione dello studio. Il metodo utiliz-zato nel processo di ricerca è di tipo deduttivo (Blaxteret al., 1996) e si avvale dell’analisi comparativa appli-cata a più casi di studio, mediante approcci quantitativie qualitativi che permettono la costituzione di un solido

apparato conoscitivo. L’apparato conoscitivo e quelloteorico di riferimento consentono di riflettere in meritoalla possibilità di considerare la Vas uno strumento diintegrazione, nel piano, della sostenibilità ambientale,economica e sociale.Da una questione di ordine generale, formalizzata e spe-cificata, si procede in seguito all’analisi dei casi e allaloro comparazione, al fine di individuare gli elementiricorrenti e le strategie intraprese: queste rappresentanoi risultati della ricerca e determinano gli indirizzi perl’integrazione delle politiche urbanistiche, ambientali,agricole, sociali ed economiche per una più efficaceforma di governo del territorio. Concretamente, il me-todo prevede quattro importanti fasi:- Costruzione del quadro conoscitivo;- Selezione di casi studio: osservazione e rilevamentodi opportunità e limiti;- Esposizione dei risultati;- Conclusione.Avendo rilevato le possibilità insite nell’istituto dellaVas, l’intento della prima parte è quello di rappresentarelo stato dell’arte in merito alla disciplina. Nella fatti-specie, è stato necessario ricostruire le origini dei me-todi di valutazione ambientale, sia al fine di“storicizzare” la ricerca, reputando indispensabile la co-noscenza dell’evoluzione storica della disciplina, sia perinterpretare correttamente gli eventi e comprenderne leattuali dinamiche di trasformazione. Ciò permette di«leggere l’attualità come il risultato di un processo sto-rico in cui al confronto tra differenti ideologie ed ap-procci culturali si sono intrecciati, nel tempo, aspettisociali, economici e politici» (Pinzello, 2008, 363).Segue, quindi, lo studio della normativa di riferimentoai livelli europeo, italiano e regionale. La ricerca in Ur-banistica è, infatti, in continua evoluzione per via delcambiamento del quadro normativo internazionale e na-zionale e del conseguente recepimento regionale. Attra-verso l’osservazione dello sviluppo della disciplina disettore, è altresì possibile delineare i profili dei possibilicasi studio. È questo il momento in cui, dopo una com-pleta presentazione dei metodi di valutazione ambien-tale, nella prospettiva di ricondurle ad unum, si passa aun loro confronto per meglio mettere in luce affinità edivergenze.La prima fase della ricerca si conclude con la trattazionedegli “indicatori ambientali”: strumenti necessari per laconoscenza dello stato di fatto, per la misura dei possi-bili impatti sull’ambiente, per il monitoraggio e, altresì,modalità di valutazione delle pressioni sulla compo-nente culturale del paesaggio. Con l’avvio del processodi Vas, infatti, assume rinnovato risalto la questionedegli indicatori, che, nel caso specifico del paesaggio,rappresenta una questione di non facile approccio e so-luzione. Gli indicatori del paesaggio costituiscono an-cora oggi una problematica aperta e dibattuta, poiché,per quanto concerne il valore paesaggistico, non dispo-niamo di strumenti di misura. Ma non per questo, tutta-via, non possiamo esprimere il valore paesaggistico

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tramite il linguaggio dei numeri. In linea generale, si puòaffermare che tutti i fenomeni sono “quantificabili”, valea dire esprimibili con un linguaggio numerico: alcuni sonofenomeni fisici misurabili, altri sono fenomeni culturali osociologici, esprimibili quantitativamente solo ricorrendoad opportuni metodi di ponderazione. Quello del linguaggio è un problema comune un po’ atutti i settori disciplinari, soprattutto a quelli che hannola multidisciplinarietà e la trasversalità come caratteri-stica dominante. Come è noto, la paesaggistica appar-tiene a quest’ultima categoria. Quando si intendemisurare le parti meno oggettivabili del paesaggio – vi-sibilità, percezione, apprezzamento, etc. – i problemi sicomplicano e, come sottolineato nelle premesse al pre-sente lavoro, paghiamo la nostra storia umanistica neiconfronti del paesaggio. Per di più, chi si occupa del-l’implementazione di detti strumenti, nonché del moni-toraggio ambientale, in genere, non ha una formazionetecnico-scientifica e il tema “indicatori” risulta olistico:non vengono ritenuti uno strumento adatto neanche permisurare le parti misurabili che, comunque, ci sono;inoltre, il termine “soggettivo” viene spesso intesocome “arbitrario”. “Soggettivo” è un giudizio personale(Devoto, Oli, 2011), la cui peculiarità può essere moltomitigata nei processi di valutazione grazie alle cono-scenze del soggetto rispetto al tema indagato, al numeroe ai tipi di soggetti coinvolti nella valutazione, alla mo-dalità di impostazione delle analisi, ai fattori correttivi,etc. Invece, “arbitrario” è un giudizio non necessaria-mente personale, ma certamente non suffragato da al-cuna norma, regola o legge (Devoto, Oli, 2011). Ungiudizio arbitrario è effettivamente impossibile da uti-lizzare in una scala di valori, al contrario «giudizi sog-gettivi, se debitamente considerati, possono essereutilizzati vantaggiosamente, soprattutto se accompa-gnati da valutazioni oggettive» (Gibelli, 2008, 34). Gran parte del successo della Vas dipende dalla possi-bilità di associare ad ogni azione di piano almeno un in-dicatore d’impatto, che sia agevolmente monitorabile.Il monitoraggio di un fenomeno d’interesse pubblico,come la sostenibilità, richiede indicatori quantitativi, af-finché possa essere fornita al pubblico un’informazioneespressa in un linguaggio il più esatto possibile, in que-sto caso l’esattezza è anche una condizione per la veri-ficabilità democratica.La selezione dei casi studio, seconda fase del processodi ricerca, ha l’obiettivo di esaminare i risultati di espe-rienze già realizzate per stabilire il grado di integrazionedelle tematiche ambientali nel piano, del paesaggionell’urbanistica, tramite un approccio integrato tra le di-verse forme e livelli di governo del territorio, nel pano-rama internazionale, europeo e italiano. L’osservazioneesperienziale, infatti, dà modo di fare emergere gli ele-menti che hanno permesso di legare paesaggio, urbani-stica e ambiente nella pratica del governo del territorioe quei dispositivi che introducono, nella pianificazione,la componente culturale del paesaggio, in sintonia conquanto richiesto dalla CEP e dal D.lgs. 4/2004. Inoltre,

lo studio dei casi, da un lato pretende di offrire un’in-terpretazione circa le relazioni intercorrenti tra paesag-gio, urbanistica e ambiente, individuando i nodi criticie le questioni aperte relative al ruolo della pianifica-zione nel nostro Paese, dall’altro di individuare gli stru-menti e i metodi per un’integrazione efficace chefavorisca lo sviluppo della disciplina. La scelta di allargare il campo di osservazione all’e-sterno della Comunità Europea è dovuta al fatto che imetodi di valutazione degli impatti e degli effetti sul-l’ambiente trovano origine nei Paesi americani, in se-guito allo sviluppo della Landscape Ecology e alladiffusa coscienza dei danni ambientali dovuti ad alcuneattività antropiche. Infatti, tra la seconda metà dell’Ot-tocento e l’inizio del Novecento, in Nord-America, laconsapevolezza dei profondi cambiamenti territoriali,determinati dall’industrializzazione, fece nascere iprimi movimenti spontanei per la difesa del paesaggio,gli stessi che in seguito si fecero promotori delle primearee protette. La scelta del contesto dell’Europa comu-nitaria è invece motivata dal fatto che la “Direttiva Vas”ha, ovviamente, carattere europeo. Saranno privilegiatisoprattutto casi di matrice anglosassone, per i lusin-ghieri risultati prodotti nell’elaborazione degli strumentidi pianificazione, e la Spagna, accomunata al nostroPaese per il fatto di dovere considerare il patrimonioculturale nelle valutazioni ambientali. Dal contesto eu-ropeo ci si propone di passare alla disamina di alcuneesperienze italiane, non limitando l’osservazione allasola verifica dell’applicazione dei processi di Vas, maconsiderando la costruzione e implementazione delledifferenti tipologie di indicatori paesaggistici adottati.L’esposizione dei risultati comporta la necessaria rifles-sione sul rapporto tra la valutazione ambientale e le di-scipline di gestione e governo del territorio. Si entra nelvivo della questione attraverso tre momenti. Il primoprende atto del ruolo che gli strumenti di pianificazione,a ogni scala territoriale, hanno assunto nei riguardi delpaesaggio. Nel nostro ordinamento giuridico, la tutelapaesaggistica e ambientale ha comportato una genera-lizzata mancanza di coordinamento tra pianificazionepaesaggistica e pianificazione territoriale, trasformandoin tal maniera anche i piani da strumenti di pianifica-zione a strumenti di limitazione delle attività.L’integrazione della dimensione paesaggistica nell’am-bito delle valutazioni richieste dal processo di Vas è ilsecondo momento, che definisce un’ulteriore gamma diproblematiche relative alla modalità attraverso cui laVas, in mancanza di uno strumento sovraordinato di pia-nificazione paesaggistica, debba produrre autonoma-mente una valutazione sul paesaggio, così per comequesto è inteso dal vigente Codice dei Beni Culturali,ovvero in termini prettamente percettivi e culturali.Il terzo momento, invece, vuole mettere in luce le oppor-tunità offerte dall’applicazione dei processi di Vas di ge-nerare coesione tra la paesaggistica e l’urbanistica, difacilitare la loro unione e reciproca integrazione, senzache alcuna delle due debba rinunciare ai propri caratteri.

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Infine, la parte conclusiva ripercorre e sottopone a ve-rifica l’intero percorso di ricerca. Le conclusioni of-frono un momento di sintesi e di ricomposizioneunitaria delle conoscenze e dei dati raccolti ed espostinelle varie parti della declaratoria, ma soprattutto il mo-mento in cui emergono gli indirizzi per l’integrazionedelle politiche urbanistiche, ambientali, agricole, socialied economiche per una più efficace forma di governodel territorio: un nuovo approccio, rispetto a quello clas-sico e consolidato dell’urbanistica, introdotto dal legi-slatore nella carta costituzionale all’inizio di questonuovo secolo, ma ancora da definire e precisare nei suoicontenuti e nei suoi contorni (Spaziante, 2011).Il percorso sinteticamente illustrato è ordinato al perse-guimento del fine già dichiarato, ovvero rilevare le po-tenzialità insite alla Vas per ricondurre ad unitàoperativa le discipline urbanistiche e paesaggistiche.

Alcune considerazioni conclusiveIl riferimento alla dimensione paesaggistica nel pro-cesso di valutazione strategica potrà rappresentare l’oc-casione per la definitiva convergenza tra paesaggio eurbanistica: un momento di sintesi tra le diverse dimen-sioni che caratterizzano la concezione moderna di pae-saggio, non più e non solo un bene da tutelare, ma dafare rivivere, tenendo conto delle innumerevoli intera-zioni in atto nel territorio. La dimensione culturale chela Vas deve riuscire a valutare, coinvolgendo molti àmbitidisciplinari, si candida a un doppio ruolo, consentendo ex-ante sia la lettura delle condizioni naturali ed antropicheche hanno portato un paesaggio ad assumere la propria fi-sionomia, sia la proposizione di una modalità interdisci-plinare di interpretazione, capace di coniugare i paradigmidella conservazione e quelli dello sviluppo.

La piena integrazione della Vas negli strumenti di pia-nificazione urbana e territoriale sembra potere rappre-sentare «un possibile e valido percorso per costruire unparadigma nel quale le politiche di promozione dellosviluppo, di tutela e valorizzazione del territorio e quelleche puntano invece ad un diverso ordine urbano pos-sano realizzare efficaci ed efficienti sinergie» (Fidanza,2011, 24).

BibliografiaBlaxter L., Hughes C., Tight M. (1996), How To Research, Open Uni-versity Press, Maidenhead.Council of Europe, Ministero dei Beni e delle attività culturali (2000),Convenzione Europea del Paesaggio (trad. it. a cura di Guido M.R.,Sandroni D., Roma).Devoto G., Oli G.C. (2011), Il Devoto-Oli 2011: vocabolario dellalingua italiana, Le Monnier, Milano.Fidanza A. (2011), “La Vas: raccordo tra sviluppo e ambiente”, Ur-banistica Informazioni, n. 236, INU, Roma, pp. 24-26.Gibelli G. (2008), “Indicatori ambientali e paesaggistici”, ValutazioneAmbientale, n. 14, Edicom Edizioni, Monfalcone, pp. 34-40.Peano A. (2011), “Ancora lontani dalla Convenzione europea”, Ur-banistica Informazioni, n. 235, INU, Roma, pp. 43-45.Pinzello I. (2008), “La ricerca nei dottorati in pianificazione urbana eterritoriale. Alcune considerazioni conclusive”, in Bini G., GiampinoA., Gueci D., Lino B., Schifani C., Todaro V. (a cura di), Fare Ricerca:atti del VII Convegno Nazionale Rete Interdottorato in PianificazioneUrbana e Territoriale, vol. II, Alinea Editrice, Firenze, pp. 359-363.Provenzano S., Trombino G. (2009), Valutazione Ambientale Strate-gica: come e quale paesaggio valutare?, XII Conferenza Nazionaledella Società degli Urbanisti, Bari.Ricolfi L. (1997), “La ricerca empirica nelle scienze sociali: una tas-sonomia”, in Ricolfi L. (a cura di), La ricerca qualitativa, Carocci,Roma, pp. 19-43.

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Le vicende costruttive di villa Valguarnera a Bagheria sono state oggetto di studi ericerche d’archivio, intensificatesi negli ultimi anni, ma che non sono ancora per-venuti a sciogliere tutti i nodi di un organismo cosi complesso, vasto e “magnifico”1.La sua fondazione risale alla seconda decade del Settecento e il progetto dell’operaviene ormai con certezza attribuito a Tomaso Maria Napoli, autore riconosciutoanche della vicina e coeva villa Palagonia. Episodi chiave del Barocco in Sicilia,“i progetti per le due ville a Bagheria – ha scritto recentemente Erik H. Neil – su-perarono di gran lunga ogni opera sin lì concepita, e nell’architettura delle ville si-ciliane stabilirono una tendenza verso forme innovative che durò per tutto il XVIIIsecolo” (Neil, 2012, 7).Oggetto di completamenti e di trasformazioni nel corso dell’ultimo trentennio delSettecento, in una mutata congerie culturale, mentre Villa Valguarnera volgerà losguardo all’Europa dei Lumi, a Villa Palagonia si percorreranno le strade di un sur-realismo ante-litteram, ancora da indagare in profondità. La profonda diversità deirifacimenti tardo-settecenteschi operati nelle due ville mette in risalto in modo es-emplare la complessità di un’epoca ricca di cambiamenti repentini, di fughe inavanti e di crisi di assestamento, quale fu l’epoca neoclassica.La villa Valguarnera, in particolare, è stata da sempre oggetto di ammirazione anchein tempi oscuri per la valutazione dell’arte barocca. Molteplici sono le ragioni dellaseduzione esercitata da questo monumento su architetti, viaggiatori e studiosi: ilsuo felice rapporto con il paesaggio e con le vedute, le proporzioni armoniche,concinnitas e commisuratio, la felice simbiosi tra il progetto barocco e le trasfor-mazioni neoclassiche. Nella primavera del 1790 era stato Léon Dufourny a visitarla,riempiendo quattro fogli di appunti e disegni e lasciando questa testimonianza nelsuo “Diario”: «Après déjeuner j’allais visiter la belle maison du Prince Valguar-nera, la plus grande et la plus magnifique - sans contredit - de celles qu’on admireà la Bagaria. Sa longue et magnifique avenue, suivie de l’avant cour et d’une courde figure demi-circulaire, lui donnent un air élégant et imposant. Tout à la fois,rien n’y manque de ce qui peut en rendre le séjour délicieux, on y trouve jusqu’àun théâtre»2.Della stagione neoclassica il complesso monumentale ha perduto molti pezzi, inparticolare il giardino, cancellato dall’insensata espansione urbana di Bagheria.Molte altre tracce (decori di facciata, statuaria, tempere e affreschi nelle sale interne)affiorano nel corso dei cantieri di restauro aperti, seppur tra mille difficoltà, negliultimi decenni. Per tradizioni familiari (dei Valguarnera prima, degli Alliata poi) lavilla sembra essere sempre stato un luogo aperto alla cultura, ospitando architetti –a cominciare dagli artefici, il frate Tommaso Maria Napoli, matematico e ingegneremilitare, a Niccolò Cento, filosofo e matematico (nonché maestro di Giuseppe Ve-nanzio Marvuglia), al giovane Karl Friedrich Schinkel che la visitò nei primi annidell’ottocento – ai tanti viaggiatori stranieri del secolo dei lumi, agli studiosi dioggi che hanno potuto accedervi ed osservarla da vicino3.Numerosi sono stati i contributi, mai tradotti né mai veramente studiati, di studiosi e viaggiatori stranieri che hannoscritto delle ville barocche palermitane e di cui diamo qualche segnalazione in bibliografia. Solo recentemente, adesempio, è stata curata una versione italiana di un importante saggio sulla villa Palagonia dello storico tedesco KarlLohmeyer, che nel 1942, cercò per primo di andare oltre la condanna “classicista” della “follia palagonesca”.

Nel 1916 CorneliusGurlitt, cui vieneattribuito il merito di

avere avviato lariabilitazione storiograficadel Barocco, sta lavorandoalla seconda edizione dellasua “Storia del barocco inItalia”. Un’equipe diricerca inviata in Siciliaesegue un rilievo completo,grafico e fotografico, dellaVilla Valguarnera aBagheria. Il libro non saràmai pubblicato e quellepreziose carte sembranoperdute per sempre. Lostudio dell’architettura delSettecento in Sicilia hadovuto sovente fare a menodei disegni originali dellefabbriche, perdutiirrimediabilmente o, pertaluni edifici, mai esistiti. Ilvuoto di documenti graficioriginali è stato talvoltacolmato dal ritrovamento diqualche raro disegnoeseguito in situ da uno deitanti architetti stranieri -nell’ambito del “Viaggio inSicilia”. Questi disegni,cosi come numerosi studiche gli studiosi stranierihanno dedicato al nostropatrimonio architettonicogiacciono spessodimenticati presso archivi ebiblioteche d’Europa.

Storiografia e architettura: il casoGurlitt / Valguarnera

Antonio Belvedere Rice

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«Quella di Karl Lohmeyer», come ha precisato RitaCedrini, «è una voce contro i luoghi comuni […] l’u-nicità della ‘follia’ del principe si scopre non essere tale». Gli esempi che l’autore riporta di palazzi e villecostruiti, […] soprattutto nell’area germano-renana, maanche di quelli realizzati in Italia a partire dal Rinasci-mento – consentono, continua Cedrini «di porsi difronte a un progetto certamente ‘diverso’ e come tale,più impegnativo nella decodifica delle manifestestranezze» (Cedrini, 2009, 4-5)4.“La villa siciliana nel passaggio dal Barocco al Classi-cismo” è, invece, il titolo di uno studio apparso nel 1916su una rivista d’arte tedesca a firma di Konrad Es-cher5..Frequentemente citato nelle bibliografie special-izzate, ma mai tradotto né studiato in Italia, esso rientraa pieno titolo tra gli studi pionieristici dedicati albarocco meridionale e probabilmente il primo a occu-parsi delle ville siciliane, dopo i fin troppo noti reso-conti dei viaggiatori del tardo Settecento. Cultore del classico, autore di pubblicazioni dedicateall’arte italiana del Rinascimento, Konrad Escher, ar-chitetto e storico dell’arte, allargava in quegli annil’area dei propri interessi, aprendosi gradatamente al-l’arte italiana del Sei e del Settecento, come testimoniaanche uno studio pubblicato nel 1910. Lo studio sulleville siciliane arriva sulla scia dell’attenzione che glistudiosi di area tedesca, storici e architetti, stavano man-ifestando da qualche decennio nei confronti dell’arte edell’architettura barocca in Italia, dopo le scomunichedell’età dei Lumi6. «A giudicare dal loro posiziona-mento e dalle scenografie architettoniche» scrive Es-cher «le ville siciliane presentano caratteri molto diversida quelli delle altre ville italiane, e nel confronto conqueste ultime esse risultano spesso perdenti. Possonoessere capite e apprezzate solo nel loro contesto pae-saggistico incredibilmente rigoglioso, fertile e dai colorisgargianti. Lontane dall’equilibrata strutturazione ar-chitettonica delle ville liguri o di quelle venete, le villesiciliane non sono mai state toccate dallo spirito dell’A-lessi o del Palladio. Vi manca l’eccellente sfruttamentodel terreno e la grazia benevola delle ville toscane, néla monumentalità di quelle romane; per la loro ubi-cazione – molto spesso in pianura – e per la loropredilezione per il dettaglio un po’ grossolano ricordanopiuttosto le ville lombarde del tardo barocco, dalle qualiperò sono lontane per qualità costruttiva: rispetto allesfarzose costruzioni palaziali della pianura lombarda,le ville siciliane appaiono molto più modeste e ‘allabuona’» (1916, 1). L’attenzione dello storico è volta a registrare il passag-gio dal barocco – ancora circondato da forti pregiudizie spesso considerato “selvatico” e provinciale – alnuovo classicismo di fine Settecento. Non siamo quindi alla rivalutazione piena, ma la stradaè aperta e l’interesse è palese.«[…] La villa Valguarnera, come la maggior parte delleville dei dintorni, presenta caratteri classicisti, che sonoil risultato di trasformazioni avvenute nel tardo Sette-

cento. Lo stile calmo, chiaro e oggettivo di architetticome G.V. Marvuglia irrompeva con forza nei palazziurbani e nelle ville fuori porta.

[…] Una certa regolarità fu imposta alla costruzionecon l’applicazione di intonaco nei muretti d’attico e conl’adozione di timpani per coprire le grandi aperture delpiano nobile» (Escher, 1916, 5). Nell’osservare le re-lazioni tra parti edificate e sistemazioni a verde, l’autoreesterna alcune considerazioni originali, che lasciano tut-tavia qualche dubbio: «[…] L’impianto delle ville piùgrandi è generalmente organizzato intorno ad un assecentrale. Tuttavia l’influenza di quest’asse sull’organiz-zazione dello spazio circostante non è così decisivocome nel caso delle ville romane e manifesta spessoqualche incoerenza. Il casino funge sempre da fondalee da punto d’arrivo del viale d’accesso, ma l’effettoscenografico di tale fondale risulta spesso debole poichémanca il contributo essenziale della vegetazione comeelemento aggregante. Eppure, i giardini sono presenti,sia in forma di ordinate composizioni floreali che di fittezone alberate, ma sono giustapposti l’uno accanto al-l’altro, senza che una volontà artistica forte conferiscaloro un ordine compositivo di più ampio respiro» (Es-cher, 1916, 6). Nella sua spedizione siciliana KonradEscher visita le maggiori ville dell’agro palermitano, daBagheria ai Colli, insieme a molti palazzi cittadini: an-notando, confrontando, scrivendo e, da architetto, dis-egnando. Il suo studio sulla villa siciliana, arricchito da un buoncorredo fotografico e da tavole grafiche tratte da prece-denti pubblicazioni (con quattordici illustrazioni ecinque tavole”, recita il sottotitolo) comprendeva -

Fig. 1. Apollo, cornice d'attico di Villa Valguarnera, fronte sud(Bagheria).

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come esplicitamente riportato alla nota tredici del testo- un rilievo completo della Villa Valguarnera, chesarebbe stato pubblicato di lì a poco a corredo della sec-onda edizione della “Storia del Barocco in Italia” diCornelius Gurlitt. Scrive Escher: «L’autore ringrazia peril permesso cortesemente ottenuto dal proprietario,Principe di Valguarnera, di misurare e fotografare tuttala villa. I disegni di tutto l’impianto e in particolare delcasino, che il redattore ha rilevato in situ con l’aiuto didue studenti della scuola superiore tecnica di Zurigo, isignori A. Amman e D. Meyer, saranno pubblicati nellaseconda edizione della “Storia dello Stile Barocco inItalia” di Gurlitt, nella sezione riguardante la Sicilia.L’autore ha ottenuto dalla casa editrice Paul Neff diEsslingen il permesso di pubblicare questo articolo sep-aratamente7 (1916, 6, nota 13).Architetto e storico dell’arte, direttore della TechnischeUniversität di Dresda (1904 -1905 e 1915 -1916), co-fondatore e presidente del Bund Deutscher Architekten,Cornelius Gustav Gurlitt (1850 - 1938) è generalmenteconsiderato uno dei pionieri della ricerca storico-artis-tica sul Barocco, insieme a nomi come Burkhardt,Schmarsow, Riegl e Wölflinn.La sua produzione scritta è notevole e comprende circanovanta testi pubblicati e centinaia di articoli sull’arte,l’architettura, la pianificazione e le politiche urbane.Dopo il suo primo studio - avviato nel 1883 e che pros-egui fino al 1889 - sull’ornamentazione barocca e ro-cocò in Germania, Gurlitt passa in rassegna il baroccodi numerose regioni d’Europa, Italia compresa. «[…] Per studiare gli esempi originali del Barocco, vi-aggiò in Italia dove persino gli studiosi lo guardaronocon sospetto. L’umile disegnatore che lo accompagnavasi rifiutò di lavorare sull’arte di quel periodo e persinoW. Lübke, il suo anziano maestro, lo mise in guardiadal perdere tempo sulla follia barocca»8. La prima edi-zione della sua “Storia del Barocco in Italia” esce nel1887 a Stoccarda. Un anno dopo, il ventiquattrenneHeinrich Wölfflin gli rivolge un severo rimproverodalle pagine del suo “Rinascimento e Barocco”: «Daquesta opera», scrive Wölflinn riferendosi alla “Storia”di Gurlitt «il lettore non può ricavare un concetto chiarosulla vera essenza del Barocco. La definizione secondola quale “il Barocco è quello stile che partendo da unfondo anticheggiante, attraverso un trattamento con-sapevolmente libero e modernamente variato dell’ideacostruttiva, conduce ad una forma di espressioneesagerata fino alla stravaganza”, è troppo vaga» (1928,1-2). In realtà Gurlitt, pur essendo stato tra i pionieri dellariscoperta del barocco, pare non riuscisse a proporre,alla stessa stregua di Escher, una visione nuova delfenomeno nel suo complesso. Anche Alois Riegl glirimproverò di non avere considerato a dovere il con-testo storico e giudicò insufficiente la sua lettura del-l’arte barocca. La seconda edizione della “Storia” diGurlitt non andò mai in stampa. Non escludiamo chevicende esterne e gravi come la grande guerra, la scon-

fitta della Germania o la crisi del dopoguerra abbianoavuto un ruolo decisivo nell’abbandono di questo prog-etto. Le nostre ricerche presso l’archivio Gurlitt conser-vato presso la Technischen Universität di Dresda sonofinora rimaste infruttuose e anche nel bel volume pub-blicato da Matthias Lienert - che racchiude una raccoltacompleta delle lettere di Gurlitt - non vi è traccia né deisuoi rapporti con Escher e neppure con la casa editricePaul Neff di Esslingen, trasferitasi in seguito a Vienna.Deludenti si sono rivelate fino a questo momento anchele nostre ricerche presso gli archivi del politecnico fed-erale di Zurigo, città natale e di residenza di Escher, dadove provenivano gli allievi che lo avevano accompa-gnato in Sicilia. Non possiamo non rilevare, infine, cheveramente scarsa è stata l’attenzione finora rivolta dallastoriografia italiana alle opere di questi due studiosi dilingua tedesca, anche quando si sono occupate dell’arteitaliana e con un ruolo importante.

Note1 Si riprende qui un termine (“magnifico”) che è stato usato ripetuta-mente nelle descrizioni della villa, a partire da Dufourny.2 Il testo qui riportato è la trascrizione dal manoscritto originale delDiario di Dufourny., t.II, journal du 8 juin 1790.3 Segnalo fra tutti lo studio serio e rigoroso di Erik Neil, degli anni no-vanta e il recente contributo di Rosanna Balistreri (2008), che offre nuoveed interessanti chiavi di lettura iconografica dell’insieme delle ville.4 Introduzione all’edizione italiana (2009) del saggio di Loheymer (1942).5 Ho qui tradotto in italiano il titolo del saggio del 1916.6 Tra tutte si ricorda quella di Goethe contenuta nel suo ItalienischeReise, pubblicato nel 1817, resoconto di un viaggio effettuato tra il1786 e il 1788.7 Un originale di questo saggio è conservato alla Kunsbibliothek diBerlino. Una traduzione del saggio, inedita, ci è stata messa cortese-mente a disposizione da Fabio Ficano, germanista, che ringraziamo.Da questa traduzione sono tratte le citazioni che riportiamo nel testo.8 Ho trovato queste informazioni su http://www.dictionaryofarthisto-rians.org/index.htm. La traduzione è nostra. Vogliamo qui ricordareche nel 1920, Cornelius Gurlitt si prodigò per rendere possibile lapubblicazione di Frühlicht, rivista radicale di architettura curata daBruno Taut, che usci da gennaio a settembre come supplemento delquindicinale Stadtbaukunst alter und neuer Zeit diretto da Gurlitt.

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IntroduzionePer un primo tentativo di ricostruzione della storia del complesso di San Domenicopossiamo attualmente avvalerci solo di informazioni parziali e frammentarie de-sunte da fonti di diversa natura; sulla scorta di esse è tuttavia possibile gettare unpo’ di luce sulla vicenda costruttiva della fabbrica, tuttora caratterizzata da vastezone d’ombra.La mancanza cronica di fonti dirette utili a ricostruire la storia “materiale” del con-vento veniva del resto già rilevata nel 1714 dal domenicano cagliaritano Juan Leo-nardo Sanna, il quale ne imputava la colpa all’incuria e agli incendi che avevanocolpito gli archivi della città nelle epoche precedenti2. Se a questo aggiungiamo poila dispersione dell’archivio e della biblioteca del convento, verificatasi in seguitoall’incameramento dei beni ecclesiastici da parte del nuovo stato unitario, e la mas-siccia distruzione causata dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, com-prendiamo meglio perché il materiale a nostra disposizione si riduce a pochissimetestimonianze. In questo scenario dunque rivestono una fondamentale importanzale cronache religiose secentesche e settecentesche dalle quali spesso è possibiletrarre informazioni di un qualche rilievo per la comprensione della fabbrica.

Dalla fondazione alla conquista aragonese della SardegnaIl convento di San Domenico a Cagliari venne fondato da Fra’ Niccolò Fortiguerrada Siena (1180-1270)3 nel 1254. Il frate senese, in visita in Sardegna come nunzioapostolico e riformatore del clero, propose infatti di fondare a Cagliari il primo con-vento domenicano in Sardegna (Diago, 1599, f. 270v). Tuttavia soltanto trent’annidopo, il 18 maggio del 1284, i frati Raynero de Petris e Ugolino de Rapida, inviatia Cagliari da Benedicto de Sigismundis4, con licenza dell’arcivescovo Gallo5 pre-sero giuridicamente possesso del cenobio benedettino di Sant’Anna che si trovavapressoché nello stesso sito attualmente occupato dal convento di San Domenico(Sanna, 1714, f. 2v) in adiacenza delle mura nel quartiere Villanova e nei pressidella porta chiamata Cavañas (Bonfant, 1635, p. 435).Nei decenni successivi alla fondazione, l’azione dei frati dovette verosimilmentelimitarsi a modesti interventi di adattamento delle preesistenti strutture del conventobenedettino6; del resto l’instabilità politica che all’epoca caratterizzava la Sardegnadi certo non favoriva l’attuazione di estesi programmi edilizi. Tuttavia se, come afferma Bonfant, la chiesa diSant’Anna rimase in piedi solamente fino al tempo dell’arcivescovo Gallo7 (Bonfant, 1635, pp. 434-435), possiamoipotizzare che i domenicani ebbero la necessità di costruire una nuova chiesa in un luogo che, differente rispettoalla preesistente chiesa benedettina, coinciderebbe con l’attuale. Bonfant ci fornisce inoltre la localizzazione dellavecchia chiesa che pare si trovasse nel posto occupato dalla cappella della Vergine delle Grazie8 (ibidem); Sanna a suavolta, rifacendosi a Bonfant, precisa ulteriormente la posizione della cappella collocandola vicino alla scala principaleche dava accesso al convento, nell’angolo sud-est del chiostro o angolo mayor9.Una descrizione particolarmente dettagliata di tale area del convento ci viene fornita da Domingo Muscas nel 1728:«es esta parte del Claustro la mayor, y la mas espaciosa: sirve como de Iglesia à una grande, y celebre Capilla de-dicada à la milagrosa imagen de la Virgen Ss. de Gracia, que por los frequentes favores, que comunica à susdevotos su Magestad soberana, es muy frequentada de los fieles, que cada dia acuden para recibir nuevas merce-des» (Muscas, 1728, f. 20v).Nel 1313 la prima chiesa eretta dai domenicani pisani doveva quindi essere già stata costruita10, come attesterebbe

Fondato nel quartiereVillanova di Cagliarida domenicani pisani

nella seconda metà del xiiisecolo, il convento di SanDomenico raggiunse la suamassima espansione nel xvisecolo in seguito adambiziosi programmi edilizimessi in atto sotto l'impulsodei re aragonesi.Ricostruire tali vicende oggirisulta particolarmentedifficile a causa delladispersione dei documenti edella distruzione di unaporzione considerevoledella fabbrica. L'articolodunque si ripropone diripercorrere la storia delconvento facendo direttoriferimento a recentiacquisizioni documentali esulla scorta delleinformazioni contenute inalcune cronachedomenicane del XVII e delXVIII secolo, nel tentativodi apportare un contributoalla comprensione dellastoria della fabbrica.

Il convento di San Domenico aCagliari. Note e documenti1

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la data riportata in una campana11 trovata nel conventodurante i lavori per la costruzione del quarto nuevoeretto nei primi anni del Seicento nel braccio est soprala Cappella delle Grazie (Sanna, 1714, f. 3r).Nel 1329, in seguito alla conquista aragonese del Castellodi Cagliari12, il convento passò dalla provincia domeni-cana romana alla provincia aragonese; come avvenneanche per altre città sarde, i reali aragonesi non tardaronomolto a sostituire, con il favore di Papa Giovanni XXII13,i religiosi pisani con altri a loro favorevoli.Il pieno controllo dell’isola da parte degli aragonesi si rea-lizzerà soltanto nel 1420 quando, dopo decenni di guerre,epidemie e trattati di pace, la Corona d’Aragona prevarràsull’ultimo Giudicato, quello di Arborea, segnando la finedell’era Giudicale e parallelamente dell’ingerenza dellerepubbliche marinare. Per quel che riguarda questo lungoperiodo, le fonti attualmente disponibili non ci consentonodi stabilire quali siano state le trasformazioni e gli inter-venti messi in atto dai domenicani spagnoli, subentrati nelfrattempo ai frati pisani.

Dal patrocinio reale alla fondazione imperialeNel 1418 un diploma di Alfonso il Magnanimo inaugurauna nuova stagione per il convento: da questo momentoin poi la storia del cenobio cagliaritano fu caratterizzatadal patrocinio della Corona d’Aragona e degli Asburgo. Idomenicani probabilmente intravidero allora la possibilitàdi avviare una radicale trasformazione del convento me-diante l’attuazione di un vasto programma costruttivo.Infatti, con il diploma firmato a Valencia il 27 gennaiodel 141814, il Re Alfonso V dona una porzione di terrenolimitrofo al convento della grandezza di 20x20 cannebarcellonesi: «...damus et concedimus perpetuo dicto

Monasterio Fratrum Prædicatorum et Conventui eiu-sdem viginti cannas Barchinone longitudinis et totidemlatitudinis illius patii nostri quod est versus partem dex-tram orti dicti Monasterii venendo de villa nova præ-dicta ad dictum Monasterium quod quidem patiumconfrontatum cum parietibus orti Conventus eiusdemMonasterii et orti fratris Guillermi Comitis quomdamex una parte et cum muro dictæ villæ ex altera15». Que-st’area di circa 961 metri quadrati potrebbe dunque avercostituito l’area di sedime per la costruzione della nuovachiesa; tuttavia al momento non siamo in grado di sta-bilirlo con certezza.Per quel che riguarda il XV secolo la mancanza di do-cumenti e di riferimenti, alcuni dei quali sembrano sol-tanto apparentemente essere relativi alla chiesa di SanDomenico, non consente al momento di formulare ul-teriori ipotesi. È il caso di una nota contenuta nell’operadi Giuseppe Cappelletti del 1857. Ad una prima letturasembrerebbe infatti che Cappelletti, citando il SacrumTheatrum Dominicanum del domenicano VincenzoMaria Fontana, indichi il 20 novembre 1482 come datadi consacrazione dell’Ara massima della chiesa di SanDomenico ad opera del domenicano Pietro Pilares16

(Cappelletti, 1857); nel testo originale, Fontana, citandoFrancisco Diago, si riferisce in realtà alla chiesa dome-nicana di Huesca (Fontana, 1666)17.Il 17 agosto 1533 nella città di Monzón Carlo V con-cede la propria salvaguardia al convento, ai frati e ailoro possedimenti mobili ed immobili: «…recipimussub nostra Regia protectione spetiali guidaticoque cu-stodia comanda et Salva guardia Vos dictos Priores fra-tres et Combentum dicti monasterii Sancti Dominici»18.Il documento19, pur non precisando alcun donativo eco-

Fig. 1. Quartiere Villanova e convento di San Domenico, prima delle trasformazioni che in epoca contemporanea hanno interessato il conventoe il suo intorno.

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nomico o patrimoniale, potrebbe rappresentare il termi-nus ante quem per la costruzione delle volte che presu-mibilmente intorno alla metà del Cinquecentoricoprirono la navata della chiesa, in sostituzione di unaprecedente copertura. Il diploma, come anche quello del1418, ebbe sulla fabbrica un unico effetto certo e docu-mentato: l’apposizione delle armi imperiali sopra ilfronte del portico sorretto da due arcate, che precedevala porta d’ingresso al convento dal lato di Piazza SanDomenico: «…en la porteria hasta hoy se ven lasarmas de Aragon, y a las espaldas de ellas encerradoel privilegio, y salvasguardias que concedío el Empe-rador Carlos V con su Real despacho expedido en lavilla de Montisonio a los 17 de Agosto del año 1533 […]ab immemoriali, en la puerta mayor, o principal delCombento; […] essa puerta y todo su territorio dondeestan los arcos […] y frentero es del Combento por con-cession Real» 20.Chiude la serie degli interventi reali a favore del con-vento il diploma del 1598 con il quale Filippo II donòai frati 1500 ducati d’oro21 impiegati per la costruzionedei loggiati dei bracci nord ed est del chiostro «…en elqual paraje han fabricado los Dominicos un quartonuevo sobre el Claustro mayor […] costrandolo (sic)la liberalidad del Rey de las Españas Philipo II. El año1598» (Sanna, 1714, f. 3r). Il chiostro, che probabil-mente era rimasto incompiuto o che era stato parzial-mente demolito per ignote cause, viene finalmentecompletato sotto l’impulso del Re: «Tiene nuestra Igle-sia à su lado un claustro magnificamente dividido enquatro partes, que componen un bien formado quadro,tan divertido por su grandeza, como primoroso por suarquitectura […]. El principal Claustro, por ser el masfrequentado, es el que sirve de comun transito para en-trar en la Iglesia por su puerta colateral […] desde lapuerta del atrio, que sirve de principal porteria al Con-vento» (Muscas, 1728, f. 12r).

Le trasformazioni tra Cinquecento e SeicentoLa storia del convento si intreccia anche con le vicendedelle confraternite che lì possedevano cappelle ed ora-tori; nel 1442 ad esempio il convento ed il gremio deiCalzolai (che all’interno del chiostro possedeva la cap-pella di San Pietro Martire22 con un’aula per le congre-gazioni posta alle spalle – fig. 2) ricevettero in lascitoda Antonio Pol diversi censi «y 25 entre terras de Vi-drano […] quales actualmente poseen en laudimio ir-redemible» (Sanna, 1714, f. 20r).Nel 151623 il Priore Antonio Escano cedette la cappelladi San Luca – poi di San Giuseppe – al gremio dei Fa-legnami (Sanna, 1714, f. 20v). Il 16 giungo 1578 vennefondata la cappella della confraternita del Rosario24. Nel diploma25, firmato nel convento in presenza dei rap-presentanti di tutte le maestranze cittadine «congregatiet personaliter constituti in patio ad latus capelle inte-meratæ Virginis mariæ de Monteserrato que est sacri-stia ecclesiæ»26, il Priore cedeva l’area e dava la licenzaper «construere edificare et ad plenum fabricare […]unam Capellam»27. I lavori di costruzione, o più verosimilmente di demo-lizione della precedente cappella che occupava l’area,iniziarono l’anno successivo ad opera dei picapreder

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Fig. 2. Convento di San Domenico, durante le demolizioni per l’apertura della via XXIV Maggio; immagine aerea degli anni Trenta del Nove-cento (Archivio del convento di San Domenico). Nell’angolo sud-ovest dell’isolato è ancora visibile la copertura ottagonale dell’aula delgremio dei Calzolai.

Fig. 3. Fianco sud del convento in seguito alle demolizioni per l’a-pertura della via XXIV Maggio (Archivio del convento di San Dome-nico). Oltre all’aula della confraternita dei Calzolai sono visibili learcheggiature che scandivano l’aula della confraternita del Rosario.

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Gaspare e Michele Barray (Aru, 1930), uno dei quali,Gaspare, viene citato nel diploma. Nel 1590 il PrioreDamiano Serra cedette inoltre alla confraternita un’areaparallela al braccio sud del chiostro per la costruzionedell’oratorio del Rosario28; l’aula, i cui resti sono oggicelati dietro la facciata realizzata dopo l’apertura dellavia XXIV Maggio (fig. 3), era stretta e lunga e scanditada sobrie arcate a tutto sesto. Infine, nel 1598 il vicariogenerale Fra’ Pedro Sisamon concesse al gremio dei Fa-legnami una porzione di terreno per edificare il propriooratorio29 nel secondo patio o huerta30 del convento, difronte all’aula dei Calzolai. Dallo scenario delineato è possibile dunque dedurre chele trasformazioni che interessarono il convento nell’ul-timo quarto del Cinquecento riguardarono prevalente-mente le pertinenze delle confraternite e il chiostro;infatti con molta probabilità era stato abbandonato deltutto il programma di riforma della chiesa intrapreso in-torno alla metà del secolo.Le prime opere realizzate nel Seicento di cui siamo aconoscenza riguardano la costruzione di nuove cellesopra i bracci sud e ovest del chiostro31; l’opera vennerealizzata tra 1631 e il 1632 e fu finanziata utilizzandoelemosine e lasciti di privati32. L’intervento probabil-mente fu eseguito per spostare il Noviziato dalle vec-chie celle dell’ala est che già nel 1598 minacciavanorovina; al loro posto nel 1656 venne sistemata una bi-blioteca a spese del canonico cagliaritano GeronimoCao (Sanna, 1714, f. 3r).

ConclusioniDal panorama delineato emerge che il convento di etàmoderna doveva essere la risultante di vari interventicostruttivi nati sotto l’impulso, più o meno diretto, didiversi promotori: la monarchia aragonese, le confra-ternite fondate nel convento e, sebbene poco documen-tato, il contributo di privati mediante elemosine33, lascitie fondazioni di numerose cappelle private (Spano,1861, pp. 273-274), tanto nel chiostro come nellachiesa. Il convento, oltre alle spese ordinarie, necessi-tava infatti un continuo apporto economico per attuarei vari programmi edilizi che determinarono, già nellaprima metà del Seicento, la crescita di un organismoedilizio molto complesso ed eterogeneo (fig. 1). La fon-dazione delle confraternite potrebbe essere vista proprioin questo senso; la loro presenza infatti garantiva uncontinuo afflusso di elemosine per le messe e le festivitàche le riguardavano34. Sullo stesso piano, potrebbe es-sere vista anche l’istituzione della festa di San Tom-maso d’Aquino voluta dal domenicano Balthasar deHeredia, arcivescovo di Cagliari dal 1548 al 1558,«dexando renta paraque cada año baxe en processiontodo el cabildo a festejarla en el con mucha solemnidady regozijo» (Diago, 1599, f. 271r).

Note1 Per la stesura di questo articolo si ringraziano Marco Cadinu, Ema-nuela Garofalo, Javier Ibáñez Fernández, Marco Rosario Nobile e

Marcello Schirru.2 «…las memorias, que este Convento material, y su parage se con-seruan, que son las que se han podido recoger (aunque con gran tra-bajo) por la quema, que los Archivos de esta Ciudad experimentaronen los siglos antecedentes» (Sanna, 1714, f. 3r).3 Già priore in Romania, Grecia e Terrasanta; nel 1254 fu inviato da PapaInnocenzo IV in Sardegna e Corsica come riformatore del clero (ivi, f. 1v).4 Priore del convento pisano di Santa Caterina da Siena.5 «Gallus Sedem obtinuit ad annum 1281 cuius tempore fuit fundatum Mo-nasterium Sancti Dominici in suburbio Villæ Novæ» (Sanna, 1714, f. 2v).6 «...no edificandolo de nuevo, sino sirviendose para la habitacion, dela mesma, que en siglos atras tuvieron los […] de S. Benito» (ivi, f. 1v).7 In carica dal 1276 al 1290 ca.8 Nota anche come cappella della Visitazione o della Madonna deiMartiri (Spano, 1681, p. 275)9 «Venerase dentro de esse Claustro, y en el angulo mayor vezino àla escala principal por donde se sube al Convento, toda una Capillabaxo la invocaciò de Nuestra Señora de las Gracias, ò de la Visita-cion, que pudo ser memoria, ò Reliquia del templo antiguo de SantaAnna» (Sanna, 1714, ff. 2v-3r).10 Le due cappelle del Crocifisso e della Maddalena che ancoraoggi si aprono nel lato sud dell’aula potrebbero appartenere a que-sto primo impianto.11 «A.D. MCCCXIII. ANNO PRIMO CORONATIONIS DñI HEN-RICI IMPERATORIS III. AD HONOREM DEI, ET DñI NOSTRIIESV CHRISTI, ET BEATæ MARIæ V. ET B. DOMINICI CON-FESSORIS» (Sanna, 1714, f. 3r).12 Nel 1323 la Corona d’Aragona intraprendeva la conquista territo-riale della Sardegna; l’anno successivo, il vantaggio ottenuto dagliaragonesi sui pisani nella battaglia di Lucocisterna consentiva agliaragonesi di strappare Cagliari ai pisani.13 «...el Papa Iuan XXII mandó que todos los conventos de Sardeña,que hasta entonces habían sido governados por Superiores Pisanos,estuvieran en adelante sujetos á las Provincias de Aragón, según pa-rece por su Bulla despachada en 2 de Iunio 1329 que se conserva enla Curia Archiepiscopal Calaritana, y habiendo quedado este Con-vento con los otros que después se fundaron, agregados á la Provinciade Aragón hasta el año 1615» (Sanna, 1714, f. 4r).14 Archivo de la Corona de Aragón (ACA), Cancillería, Registros, nº2626, ff. 125v-126r e f.127r; del documento esiste anche una copiadel XVIII secolo presso l’Archivio Generale O.P. di Roma (AGOP),serie XIV, Liber I, pp. 97-99.15 ACA, Canc., Reg., nº 2626, f. 125v.16 Vescovo di Dolia, fu successivamente anche vescovo di Cagliaridal 1484 al 1514.17 «P.F. Petrus Pillars ex provincia Aragoniæ, Dolien Ecclesiam re-gebat anno milles quadrigentesimo octuagesimo secundo, quo die 20Novemb. Aram maximam ecclesiæ Oscensis Ord. Nostri consecrauit,ut testatur Diagus in Hist. Prov. Arag.», p. 187.18 Biblioteca Universitaria di Cagliari (BUCa), Fondo San Domenico,“Villa Montissoni, 17 agosto 1733 (sic)”, pergamena contenente iltesto originale e i sigilli imperiali. Nello stesso fondo è conservatauna copia del diploma non inventariata; questa è trascritta a mano instampatello (forse dai frati del convento) e reca in alto uno scudo co-lorato con i bastoni catalani.19 Oltre alle due copie conservate a Cagliari esistono due ulteriori ver-sioni del diploma: una nel registro “Sardinie V” del regno di Carlo V(ACA, Canc., Reg., nº 3895, ff. 296r-297r) e una copia autenticata

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del XVIII sec. presso l’Archivio Generale O.P. (AGOP, serie XIV,Liber I, pp. 29-30).20 Archivio Storico Diocesano di Cagliari (ASDCa), Clero Regolare, Vol.V (Domenicani), “1753 – 1771, Cagliari. Causa civil sigue ante el Juesconservador del Real Combento de Santo Domingo de esta Ciudad elGremio de los Sapateros de esta dicha ciudad contra el Real Combentode Santo Domingo”, f. 33r. L’incartamento, rinvenuto durante una ri-cerca realizzata congiuntamente con Marcello Schirru presso l’ArchivioDiocesano di Cagliari, contiene anche informazioni sulle trasformazioniche nel XVII secolo vennero avviate nel chiostro.21 «…teniendo consideracion a la pobreza con que viven los […] fray-les y convento […] y a la falta y necesidad que tienen de ornamentosy para celebrar los divinos officios con la decencia que se deve y dereparo las celdas que se les estan cayendo con con [sic] evidente pe-ligro que si no se les acude se veran en algun trabajo les havemoshecho merced y limosna […] de mil y quinientos ducados por unavez» (ACA, Canc., Reg., nº 4903, f. 104v).22 «...en los años 1319 […] se fundó dentro del Claustro del Conventola Capilla, y Oratorio de San Pedro Martir, que està agregado junto conuna casa, en que se congregan, el gremio de los çapateros; à quienesjuntamente con los PP. Dominicos, mandò Antonio Pol en el año 1442aquel celebre legado de muchos censos» (Sanna, 1714, f. 20r).23 La data di cessione della cappella è riportata anche nella citata causa trail convento e il gremio dei Calzolai (ASDCa, Clero Regolare, Vol. V, cit.).24 La confraternita custodiva il vessillo di guerra del Tiercio de Cer-deña: i 400 archibugieri scelti da Don Giovanni d’Austria come guar-dia personale durante la battaglia di Lepanto (Spano, 1861, p. 276).25 BUCa, Fondo San Domenico, “Cagliari. Villanova (16-6-1578).Atti della confraternita del Rosario”.26 Ibidem.27 Il testo riporta anche: «Dimecres a xj de juny [...] sea tingut con-gregatio general [...] en la qual si trobaren la major part dels çentsetanta germans del numero dela venerable companya del Sant Roser[...] y entre totes sé tracta [...] de fer la Capella [...] dins lá església,entre la Capella de nostra Señora del Roser ques vuy de Don Melc-hioray Merich y la de Sant Blay» (ibidem).28 ASDCa, Clero Regolare, Vol. V, cit., f. 31r.29 Ibidem; Sanna, 1714, f. 20v.

30 «…estava contigua al Oratorio, y casa de dicho Gremio de Çap-pateros, al Combento, y á la pared de la huerta del Oratorio de la Maes-transa de Carpinteros» (ASDCa, Clero Regolare, Vol. V, cit., f. 32v).31 «…estos dos Claustros que están á la entrada de la portería delCombento se llaman de la Virgen de las Graçias, y de San Pedro Mar-tir de la manera que los otros dos se llaman, de la Sacristía y de Pro-fundis. […] Pues las çeldas que estan […] sobre el Claustro de laVirgen de las Graçias y San Pedro Martir, e ò sobre sus capillas fue-ron fabricadas […] en el año 1631» (ivi, ff. 32r-32v).32 Ivi, ff. 83r.33 ACA, Canc., Reg., nº 2627, ff. 5v-6r; ivi, Reg., n° 3396, ff. 185r-185v.34 BUCa, Ms. Orrù 109, “Gremio dei falegnami in 30 fascicoli”.

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Scenario di riferimento e basi di partenza scientificheIn ambito disciplinare, tecnico e politico-istituzionale, viene sempre più riconosciutala necessità di una riflessione che ponga al centro dell’attenzione la gestione coe-rente e integrata delle acque alla scala del bacino idrografico e che tenga contoanche della dimensione sociale e politica, quale condizione necessaria per il rag-giungimento di uno sviluppo sostenibile (GWP 2000; Burton, 2002; Kaczmarek,2003; Teodosiu et al., 2003; Rahaman, Varis, 2005).In tale contesto si inserisce la consapevolezza che “acqua” e “territorio” sono risorse“indissociabili” (Descroix, 2002) e che la gestione integrata delle acque «[…] shouldbe managed based on river basins, not only on administrative boundaries» (Raha-man, Varis, 2005, 19) ovvero che il bacino idrografico rappresenti l’unità spazialeottimale per lo sviluppo integrato delle risorse legate alle acque e al suolo (Molle,2006).La diffusa consapevolezza della necessità di organizzare in modo integrato la WaterResources Management, facendo riferimento agli hydrological boundaries - ovveroal bacino idrografico inteso come «the natural geographical and hydrological unit»(Teodosiu et al., 2003, 381) - e di riconoscere un importante ruolo alla stakeholderparticipation (Jaspers, 2003), ha fatto si che il bacino idrografico da unità geograficastrettamente connessa alle dinamiche e al funzionamento idrogeologico sia diventato«a political and ideological construct» (Molle, 2006, 23).Se è vero che il riferimento al bacino idrografico come ottimale unità di gestione edi pianificazione non è recente, ed è il risultato di un lungo e articolato processoavviato in diversi contesti geografici, per finalità differenti e in continua evoluzione(Molle, 2006), è altresì corretto affermare che tali riflessioni trovano la loro massimaespressione nella nascita, diffusione e affermazione del paradigma gestionale del-l’Integrated Water Resource Management (IWRM) e nella promulgazione della Di-rettiva Europea Quadro sulle Acque (WFD), entrata in vigore nel 2000 (Pahl-Wostl,2006).La direttiva 2000/60/CE, rappresentando il risultato di trent’anni di lavori e rifles-sioni dell’Unione Europea in materia di tutela delle risorse idriche (Kaczmarek,2003), ha apportato un elevato numero di innovazioni, imponendo agli stati membridi raggiungere un obiettivo molto ambizioso: il buono stato di tutte le acque, su-perficiali, sotterranee e costiere, sino al 2015.Conditio sine qua non per il raggiungimento di tale obiettivo è la messa in atto diuna gestione integrata alla scala del bacino, inteso quale ambito di gestione ottimale per le acque superficiali e sot-terranee, tramite un processo di pianificazione capace di assicurare la partecipazione di tutti i portatori di interesseall’interno di un distretto idrografico (Kaczmarek, 2003; Pahl-Wostl , 2006).Questa esigenza, si pone alla base della forte diffusione dello strumento di natura contrattuale che prende il nomedi “Contratto di Fiume” (Buller 1996; Piégay et al., 2002) e che rappresenta uno strumento di programmazione diazioni relative alla pianificazione e alla gestione delle acque alla scala del bacino idrografico (Salles, Zelem, 1998)in cui l’impegno tra i differenti firmatari è innanzitutto “morale” (Brun, 2010).La nascita e lo sviluppo del Contratto di Fiume, si inserisce a pieno titolo nel processo di pianificazione che ha av-viato l’evoluzione della gestione locale in Francia dopo la metà degli anni ‘60, favorendo il passaggio dall’azionepubblica verticale et descendant a dei sistemi di decisione horizontaux e polycentriques basati sulla cooperazionedi attori diversi (Ghiotti, 2007; Brun, 2010).

La tesi si concentrasullo strumento“Contratto di Fiume”

e sulla sua effettivacapacità di avviare unagestione integrata delleacque, del territorio e dellerelative problematiche allascala del bacinoidrografico. Pur trattandosidi uno strumento volontarioche consente il dialogo el’integrazione tra i soggettipubblici e privati cheoperano sul territorio delbacino idrografico,rimangono aperti numerosiinterrogativi sulla efficaciadel Contratto di Fiume perla gestione integrata deiterritori fluviali. Per taleragione, la ricerca,nell’obiettivo più generaledi valutarne l’efficacia perla gestione integrata deiterritori fluviali, si proponedi verificare le relazioniorizzontali e verticali chelegano il Contratto diFiume agli strumenti dipianificazione urbanistico-territoriale di livellosovracomunale e di bacino.

Governare i territori fluviali. Il Contratto di Fiume, strumentoper una gestione integrata allascala del bacino idrografico

Maria Laura ScadutoTesi

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Tesi

Prevedendo diversi livelli di relazione – longitudinale,tra monte e valle del bacino; trasversale tra i diversi at-tori socio-economici; scientifica, tra i diversi studi geo-morfologici, chimico-biologici, socio-economici, etc. –e considerando che il bacino idrografico, costituiscaun’importante entità per la gestione coerente delle ri-sorse idriche, il Contratto di Fiume potrebbe rappresen-tare uno strumento che facilita la gestione integratadelle acque alla scala del bacino. Esso, infatti, applican-dosi al singolo bacino/sottobacino idrografico, consenteuna dettagliata conoscenza delle problematiche locali epotrebbe risolvere uno dei limiti del River Bassin Ma-nagement legato alla necessità dell’attiva partecipazionedegli attori del territorio (Mostert et al., 1999).

Le ragioni della ricerca: rilevanza del tema, conte-nuti e obiettiviA partire dal principio universalmente riconosciutodella necessità di un approccio ecosistemico, olistico epartecipativo alle risorse idriche (Savenije, 2000; Bur-ton, 2002), che si avvalga in primis della gestione inte-grata dei bacini idrografici (Colby, 1991; Johnson et al.,2001; Rahaman, Varis, 2005), la presente ricerca pro-pone un’indagine esplorativa ed empirica, finalizzata avalutare l’efficacia dello strumento Contratto di Fiumeper la gestione integrata delle politiche relative ai terri-tori fluviali.In quanto “contratto” è un accordo volontario tra attoripubblici, semipubblici o privati, che dichiarano di vo-lere perseguire un progetto comune (Bobbio, 2006) im-pegnandosi, ciascuno nel proprio quadro diresponsabilità, su obiettivi mirati a conciliare gli usi ele funzioni molteplici dei corsi d’acqua, dei loro ambitie delle risorse idriche di un intero bacino idrografico.Le prime esperienze di Contrats de rivière sono stateavviate in Francia all’inizio degli anni ’80, su iniziativadel Ministero dell’Ambiente. Oggi, dopo il primo con-tratto sottoscritto a la Thur nel 1983, se ne contano ben241 a diversi stadi di attuazione, tra cui 28 sono tran-sfrontalieri e interessano anche il territorio della Spa-gna, del Belgio e della Svizzera.A partire dalle pioniere esperienze francesi, i Contrattidi Fiume sono stati promossi in altri Paesi europei tracui il Belgio, il Lussemburgo, la Spagna e la Svizzera.La loro diffusione a livello europeo è facilitata dai do-cumenti comunitari che sempre più riconoscono unruolo di primo piano agli strumenti contrattuali, eviden-ziando l’importanza della concertazione tra i diversi attori.In tale contesto si inserisce la sperimentazione avviatadal 2003 anche in Italia e che ha visto un numero sem-pre crescente di Contratti di Fiume su tutto il territorionazionale e, dal 2008, la nascita del gruppo di lavoro“Dalla valorizzazione degli ambiti fluviali all’impegnodei Contratti di fiume” che, afferente al CoordinamentoNazionale delle Agende 21 Italiane, rappresenta la Di-rezione Tecnico-Scientifica di un Tavolo Nazionale suiContratti di Fiume.Si tratta di un vero e proprio “movimento” (Magnaghi,

2008) esteso sull’intero territorio nazionale, nell’ambitodel quale i Contratti di Fiume vengono intesi quali stru-menti di programmazione negoziata, profondamente in-terrelati ai processi di pianificazione territoriale rivoltialla riqualificazione dei bacini fluviali e che possonocontribuire a sviluppare nuove forme integrate di pia-nificazione territoriale (Magnaghi, 2008).In tale ottica il Contratto di Fiume rappresenta uno stru-mento innovativo utile a individuare strategie, azioni eregole condivise per l’integrazione “orizzontale e ver-ticale” tra piani, programmi e politiche, per la parteci-pazione e il coinvolgimento delle comunità locali e perla riqualificazione socio-economica e paesaggistico-ambientale di un bacino fluviale (Voghera, 2009; Ba-stiani, 2011).Magnaghi (2008) sottolinea come, mobilitando la par-tecipazione volontaria di tutti i principali attori che agi-scono in un determinato territorio per la definizione el’attuazione di azioni integrate, tale strumento potrebbeessere in grado di superare le logiche dell’interventosettoriale, attraverso le quali sono state gestite sinora leproblematiche ambientali, a favore di un governo inte-grato del territorio.Tuttavia, sull’efficacia dello strumento per la gestioneintegrata delle politiche relative ai territori fluviali e sucome concretamente si realizzi l’integrazione con glialtri strumenti di pianificazione urbanistico-territorialee di bacino vigenti, rimangono aperti numerosi interro-gativi. Tale incertezza si inserisce, in un’ottica più ge-nerale, in quei “nodi problematici aperti” che da tempola comunità scientifica internazionale e nazionale ha in-dividuato nel rapporto esistente tra pianificazione, ge-stione e governo delle acque e del territorio, che sonostati riconosciuti come fondamentali dalla disciplina ur-banistica (Peano, 2007).Alla luce di quanto esposto, se l’interesse del tema è va-lidato dall’attenzione sempre crescente di amministra-tori e comunità scientifica, la sua rilevanza dal punto divista teorico-disciplinare è rintracciabile nella volontàdi aumentare le conoscenze sullo strumento Contrattodi Fiume, sulla sua efficacia per la riqualificazione deibacini fluviali, e per l’integrazione delle politiche di set-tore, e sulle relazioni orizzontali e verticali che esso in-staura con gli strumenti di pianificazioneurbanistico-territoriale.

Percorso metodologico: fasi e processi della ricercaLa presente ricerca si propone di utilizzare i metodi ele tecniche dei due fondamentali approcci metodologiciutilizzati e riconosciuti in ambito disciplinare sociolo-gico: quantitativo e qualitativo. In realtà si vogliono uti-lizzare contestualmente i due diversi approcciproponendone un’integrazione, al fine di trarre vantag-gio dalle caratteristiche distintive che ne fanno due di-versi metodi all’interno di un unico metodo scientifico(Marradi, 1996; Delli Zotti, 1996).Dal punto di vista tipologico si tratta di una ricerca em-pirica di tipo comparativo in cui l’indagine e lo studio

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dei casi fanno riferimento a due Paesi europei: l’Italiae la Francia.La ricerca si struttura secondo un sistema di relazionidirette tra fasi, processi e parti: a partire dalle quattrofasi e dai quattro gruppi di processi, che le legano e chesi avvalgono di tecniche e strumenti ad hoc, si giungealla definizione delle tre parti in cui essa si articola.La prima fase di tipo “conoscitivo” è finalizzata - a par-tire dalla costruzione del quadro teorico di riferimento- alla definizione e circoscrizione del dominio di inda-gine della ricerca, all’esplicitazione del tema e allaprima formulazione delle ipotesi. Tale fase viene con-dotta tramite l’utilizzo di strumenti teorici, quali le basiscientifiche di riferimento;,,la letteratura nazionale e in-ternazionale, i riferimenti normativi, nazionali e inter-nazionali, e i documenti europei.La seconda fase di tipo “interpretativo” - attraverso ladefinizione dell’ambito di indagine e attraverso lo stu-dio di casi - consente di verificare empiricamente i con-tenuti teorici e le ipotesi di ricerca precedentementeformulate. In particolare in questa fase, scelte le tecni-che e gli strumenti di rilevazione dei dati, viene decli-nata l’indagine comparativa tra le due realtà europee,Italia e Francia, in relazione al livello normativo nazio-nale e regionale e alle esperienze di pianificazione.La terza fase di tipo “valutativo” – tramite l’interpreta-zione e la codifica dei risultati – conduce alla struttura-zione delle considerazioni conclusive sulle tematicheteoriche emerse dall’indagine e alla comunicazionedegli esiti della ricerca. In essa viene definito il contri-buto che la ricerca dà alla disciplina, individuandonuove possibili tracce di indagine.Infine la quarta e ultima fase di tipo “applicativo” - apartire dalla generalizzazione dei risultati - mira a ren-dere concretamente applicabili i risultati teorici tramitela declinazione di possibili scenari per il contesto regio-nale siciliano.

L’indagine comparativa tra due realtà europee: l’I-talia e la FranciaLa presente ricerca si avvale dell’approccio compara-tivo come strumento empirico per controllare, verifi-care, validare o invalidare le ipotesi generali poste, maanche, in un’ottica “esplicativa” e non soltanto “descrit-tiva” (Hassenteufel, 2005), per mettere in evidenza so-miglianze e differenze nella declinazione e applicazionesul territorio dello strumento Contratto di Fiume soprat-tutto in Italia e in Francia.Nello specifico si tratta di una “comparazione binaria”limitata a due Paesi strutturalmente differenti per di-mensioni, situazione socio-economica, caratterizza-zione storica e territoriale - Italia e Francia - sui qualispiegare fenomeni simili (Delli Zotti, 1996). Ma èanche una “comparazione internazionale” condotta non“à distance” (Hantrais, 1995, Hassenteufel, 2005), matramite degli scambi diretti con attori ed esperti italianie francesi che, a partire da un’iniziale studio e analisidel contesto geografico e socio-economico dei due con-

testi territoriali (Seiler, 2004), vuole comparare la de-clinazione e l’applicazione dello strumento Contratto diFiume nei due Paesi Europei, prestando attenzione aquello che Delli Zotti (1996, 159) definisce «pericolodel “nominalismo”» e quindi analizzando con atten-zione il ruolo che due strumenti, apparentemente simili,svolgono nei rispettivi contesti.La scelta di confrontare il contesto italiano con quellofrancese, nasce dalla consapevolezza dell’ampio van-taggio che caratterizza la Francia in materia di pianifi-cazione alla scala del bacino idrografico e gestioneintegrata delle risorse idriche, tanto da essere conside-rata un Paese di riferimento per le politiche e per le pra-tiche di gestione delle acque (Governa, Toldo, 2011).Alla base si colloca la consolidata e articolata tradizionenormativa, amministrativa e operativa francese sui temidella gestione delle risorse idriche e territoriali che vedegià dalla metà degli anni ’60 del secolo scorso il rico-noscimento istituzionale del bacino idrografico qualeunità ottimale di gestione (Ghiotti, 2001; 2006) e che sitraduce anche nell’esistenza di un ricco e diversificatoquadro di strumenti che con contenuti, modalità e fina-lità differenti, operano alla scala del bacino o del sotto-bacino (Governa, Toldo, 2011). Tra questi ultimi, iContrats de rivière, introdotti all’inizio degli anni ’80,testimoniano la trentennale esperienza francese nelcampo della gestione territoriale e negoziata delle ri-sorse idriche (Dervieux, 2005). In Italia, invece, l’avviodelle esperienze di Contratti di Fiume, a partire daiprimi anni del 2000, si inserisce in un quadro debole epoco chiaro di riferimenti normativi e di strumenti cheoperano alla scala del bacino idrografico. Da ciò si ori-gina la scelta di confrontare le esperienze italiane diContratti di Fiume, più recenti e meno consolidate, conquelle francesi di Contrats de rivière, più mature e spe-rimentate, così da potere trarre un bilancio e individuareinteressanti spunti di riflessione, che possano essere diausilio per la realtà italiana e in particolar modo perquella siciliana.L’indagine comparativa di livello nazionale relativa aiContratti di Fiume è stata articolata su quattro livelli:(I) quello dei riferimenti normativi, (II) quello dei con-tenuti e delle procedure, (III) quello dei soggetti chesvolgono un ruolo fondamentale nella realizzazione delcontratto e, infine, (IV) quello delle esperienze avviate,concluse o in corso di realizzazione.L’obiettivo principale dell’approccio comparato èquello di giungere alla trasferibilità e alla messa in pro-spettiva delle specificità osservate nei due contesti diindagine. Per tale ragione l’indagine comparativa si ètradotta empiricamente nella raccolta dei dati sul campoe nell’elaborazione successiva di una griglia di analisidegli “studi di caso” individuati.

I risultati della ricercaSulla base dell’analisi e dell’interpretazione dei risultatiempirici emersi dall’indagine conoscitiva è possibiledefinire gli esiti della ricerca. Questi, relazionandosi di-

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rettamente ai nodi critici che la ricerca ha individuato ealle domande che la muovono, vengono organizzati ericondotti a quattro questioni chiave, singolarmente ri-conoscibili, ma strettamente interrelate: (I) la naturadello strumento; (II) la struttura e i contenuti; (III) ilruolo dei soggetti pubblici e degli attori privati; (IV) lerelazioni con gli strumenti di pianificazione urbanistico-territoriale e di bacino.Se le motivazioni che determinano l’avvio delle espe-rienze di contratti di fiume nei diversi contesti europeisono analoghe e si riconducono alle stesse matrici di ri-ferimento, di contro l’effettiva declinazione dello stru-mento differisce notevolmente e presenta specifichepeculiarità. Queste, oltre a essere legate al diverso gradodi maturità delle esperienze, trovano la loro ragion d’es-sere nelle specificità del contesto amministrativo, isti-tuzionale e normativo in materia di politiche di tutela egestione del territorio e delle risorse idriche in cui ilcontratto di fiume si inserisce. Tale riflessione trovapieno riscontro nei risultati emersi dalla comparazioneItalia, Francia.Sebbene le esperienze italiane di Contratti di Fiume siispirino nei contenuti e nelle procedure al modello fran-cese, tuttavia, all’interno di una cornice comune, è pos-sibile individuare alcune sostanziali differenze nelladeclinazione di tale strumento che si ripercuotono anchesulle potenzialità/criticità che esso presenta.Nel contesto italiano alcune debolezze, come la naturaambigua o l’assenza di portata giuridica, sono più strut-turali e tendono a minare in maniera più marcata la le-gittimità e l’efficacia stessa del dispositivo; altre sonospecifiche e legate al carattere ancora sperimentale delleesperienze in corso e delle relative procedure.Rispetto alle quattro questioni individuate, quella dellascala e della dimensione territoriale del bacino idrogra-fico rappresenta un tema di riflessione trasversale. Lasua unitarietà ecologica e idrogeologica entra però inconflitto con quella amministrativa, istituzionale, eco-nomica, sociale e politica maggiormente radicata sulterritorio. Tale contrasto è più sentito in Italia in cui ilbacino idrografico non è individuato come entità terri-toriale riconoscibile e dotata di autonoma identità, nétantomeno è interpretato come ambito di riferimento perle politiche di sviluppo nazionali o regionali.A partire dalle quattro questioni chiave individuate ealla luce delle considerazioni fatte, si giunge ad una ri-flessione sulle effettive potenzialità dello strumentoContratto di Fiume. In particolare si definisce qual è ilcontributo che tale strumento può fornire, anche nel fa-cilitare il passaggio dai tradizionali e fallimentari ap-procci settoriali e tecnicistici, a una gestione dellerisorse idriche integrata e partecipata.Emerge, in primis, come le principali criticità dello stru-mento Contratto di Fiume siano da ricondurre alla ten-sione tra dimensione normativa e dimensioneconcertativa e negoziale, e al difficile coinvolgimentodegli attori e degli interessi privati, con la conseguentedebolezza dei processi partecipativi.

Tuttavia, facendo tesoro delle pratiche, più o meno vir-tuose, condotte nel contesto francese, è possibile indi-viduare interessanti spunti e indicazioni per aumentarel’efficacia di tale strumento anche nel contesto italiano.La prima considerazione che si può avanzare in talsenso è quella che parte dal considerare l’efficacia de-rivante dall’utilizzo congiunto dello strumento SAGE(Schéma d’Aménagement et Gestion des Eaux) e Con-trat de rivière.Infatti, dal connubio del primo, giuridicamente vinco-lante, con il secondo, volontario e privo di portata giu-ridica, si giunge a rispondere più efficacemente aldiverso grado di problematicità e maturità del territorioe alle indicazioni della direttiva 2000/60/CE.Nel caso italiano una possibile strada da percorrere po-trebbe condurre all’ibridazione tra le due dimensioni,che attualmente convivono in modo poco definito echiaro, all’interno di un medesimo strumento.Si ritiene in tal senso indispensabile prevedere sia unapproccio sistemico alla scala di bacino, sia la possibi-lità di azioni alla scala locale. In alcuni casi può, infatti,risultare più vantaggioso considerare una parte più ri-dotta di un bacino, in altri invece riferirsi all’intera unitàidrografica o a due bacini insieme.L’approfondita analisi del territorio, necessaria primadi avviare un Contratto di Fiume, oltre a permettere diconoscere il contesto su cui si va ad agire, consente diindividuare le situazioni che necessitano di interventisu scala locale. Agire su un ambito territoriale ristrettoconsentirebbe, inoltre, di attivare più efficaci processidi partecipazione e un coinvolgimento attivo di tutti gliattori. Si ritiene, inoltre, che sia fondamentale non inten-dere e concepire il Contratto di Fiume come uno stru-mento settoriale e relativo solo alla tutela delle acque, maallargarne il più possibile il suo campo di azione. Talestrumento dovrebbe superare, con il suo approccio inte-grato, la logica dell’emergenza e garantire una gestioneintegrata e multidisciplinare del territorio.Con riferimento all’aspetto gestionale, il riferimentoalla scala del bacino idrografico, in Italia, non deve ne-cessariamente presupporre l’esistenza di un’unica isti-tuzione preposta a tale compito, ma piuttosto unprocesso basato sulla collaborazione tra le istituzionipubbliche e la partecipazione della popolazione.In tal senso, considerando il già ampio e complessospettro di soggetti che operano nella gestione delleacque e del territorio, si ritiene preferibile riorganizzareil quadro dei soggetti esistenti e delle loro relazioni.Quanto detto consentirebbe di rendere effettivamentevalide le potenzialità riconosciute al Contratto di Fiume.Queste si riconducono alla sua capacità di considerarein modo integrato e non settoriale le problematiche re-lative alla gestione delle risorse idriche, di superare ledivisioni territoriali amministrative e settoriali e di ba-sarsi sul confronto e la negoziazione, coinvolgendo at-tivamente tutti i possibili utenti del sistema delle acque.Una grande potenzialità dello strumento risiede nellasua doppia dimensione: tecnica e settoriale da un lato,

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concertativa e di governance dall’altro. Si tratta di duedimensioni che rispondono ad ambiti territoriali, dina-miche di attuazione e gestione, esigenze, criticità e fi-nalità molto diverse, che per tale ragione innescano unacomplessità difficilmente contenibile in un solo stru-mento. Quest’ultima rappresenta, di contro, una delleprincipali potenzialità dello strumento Contratto diFiume. Un vero punto di forza dello strumento è rap-presentato, infatti, dalla sua volontarietà e, quindi, dallasua capacità di innescare un “comportamento virtuoso”di tutti i soggetti pubblici e privati che vivono e operanointorno al fiume.Naturalmente per raggiungere tale risultato, risulta in-dispensabile l’integrazione verticale e orizzontale delleazioni dei soggetti istituzionali coinvolti, ma anchedelle politiche e degli strumenti vigenti sul territorio.Con riferimento al suo carattere di volontarietà, consape-voli della necessità di mantenere tale aspetto, si ritieneutile un inquadramento e riconoscimento normativo na-zionale da recepire nei diversi contesti regionali, al finedi garantire il rispetto degli impegni stabiliti e di regola-mentare il rapporto con gli altri strumenti.Non secondario è il ruolo che il Contratto di Fiumesvolge nel restituire un’identità non soltanto fisiogra-fica, ma anche amministrativa e progettuale al bacinoidrografico, contribuendo altresì a ricostruire la “co-munità di valle”.Infine, una grande potenzialità risiede nella possibilità cheesso assuma il ruolo di strumento di pianificazione inte-grata che, senza appesantire il già complesso quadro disoggetti e strumenti vigente, sia capace di interagire coni diversi livelli di governo del territorio e, al contempo,svolgere un ruolo di vero e proprio trade d’union.

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La struttura architettonica e le vicende costruttiveCostruita per volontà del re normanno Ruggero II intorno al 11301 la Cappella Pa-latina fu eretta al di sopra delle strutture di una antecedente chiesa già presente inprossimità del castello normanno; si venne a realizzare un sistema di chiese sovrap-poste che rimasero indipendenti fino al XVI secolo quando furono realizzate duescale interne di collegamento (Aurigemma, 2010). La struttura architettonica della Cappella è il risultato della giustapposizione di strutturearchitettoniche riconducibili a tre differenti culture: araba, bizantina e latina.Alla zona presbiteriale, di impianto centrico, si contrappone un corpo longitudinalea tre navate di chiara matrice latina; un soffitto ligneo a muqarnas, dipinto con de-corazioni aniconiche ed elementi figurativi, copre la navata centrale.La zona presbiteriale, posta su un basamento che si innalza su quattro gradini, sipresenta come una struttura triabsidata, con transetti appena accennati a nord e asud, separati dal nucleo centrale da due archi trionfali. I transetti laterali (prothesisa nord e diaconicon a sud) sono delimitati ad est dalle due absidi minori; due voltea botte, disposte lungo l’asse est-ovest, ne definiscono la copertura. Al centro dellaparete est si innesta l’abside, introdotta da un profondo arco. La zona centrale delbema è delimitata da alte transenne e da tre archi trionfali su cui si imposta un tam-buro a pianta quadrata e su di esso la cupola emisferica. Di particolare interessesono le strutture di transizione tra gli archi, il tamburo e la cupola. Il passaggio daltamburo a base quadrata alla cupola a pianta circolare viene realizzato, secondo unoschema comune alle chiese normanne di Sicilia, in due fasi: transizione da quadratoa ottagono con l’inserimento di nicchie angolari costituite da archi concentrici in-cassati e concluse agli angoli da voltine; transizione tra ottagono e circonferenzaattraverso pennacchi sferici. Sulla cupola, che all’esterno si presenta estradossata,si aprono otto piccole finestre. Le navate del corpo longitudinale della Cappella sono separate da arcate composteda cinque archi a sesto acuto su alti piedritti sorretti da colonne di spolio. L’interassedelle colonne non è costante ma diminuisce da ovest verso est; questa variazionedimensionale si ripercuote sull’ampiezza degli archi e sulla quota del concio dichiave, più alto in prossimità della parete occidentale.Al di sopra degli archi, ad una quota di 8.90 m, si aprono sulla navata centrale cinque finestre con arco a sestoacuto; altrettante finestre si aprono sulle navate laterali, ad una quota di 4.30 m dal piano di calpestio.La parete di fondo, ad ovest, è occupata dal cosiddetto trono, un basamento che si innalza su cinque gradini ed oc-cupa per intero la prima campata della navata centrale; sui lati, a sud e a nord, troviamo due alte transenne del tuttosimili a quelle presenti nel bema. La presenza del trono reale denota la doppia funzione che originariamente dovevacaratterizzare la cappella palaziale: religiosa per il presbiterio e cerimoniale per il corpo longitudinale utilizzatopresumibilmente come sala regia.Lungo le pareti delle navate e del bema corre una fascia basamentale di rivestimento marmoreo, alta circa 3,70 m;tale fascia è scandita dalla presenza di ornamenti a motivi geometrici che riquadrano pannelli di porfido, rettangolarie circolari, alternati a lastre di marmo bianco. La decorazione della parte basamentale è delimitata da una largafascia orizzontale ornata a fregi. Al di sopra si sviluppa un articolato e complesso apparato musivo, che rappresentascene dell’Antico e Nuovo Testamento su un fondo costituito da tessere dorate.Le navate laterali, lunghe 18,70 m e larghe 2,50 m, sono coperte da tetti lignei a spiovente, il cui intradosso, dipintocon motivi aniconici e figurativi, è scandito da una sequenza di 42 piccole nicchie disposte secondo le linee di mas-

Lo studio costituisce unnuovo contributo allaconoscenza della

Cappella Palatina nelPalazzo Reale di Palermo.In relazione alle vicendecostruttive della cappellasono stati validati econfutati i dati già esistentie sono state proposte nuovechiavi di lettura grazieall’interpretazione dei datidi misura acquisiti ed alconfronto con precedentirilievi e studi storico-archivistici. Le tecnichedigitali dellarappresentazione utilizzatehanno inoltre permesso dioffrire alla comunitàscientifica un modellodigitale 3D condivisibileche unisce alladocumentazione dellecaratteristiche morfologichedel manufatto la puntualerappresentazione dei suoiapparati decorativi nellaloro configurazionespaziale.

La Cappella Palatina di Palermo:Misura, Interpretazione, Rappresentazione

Mirco Cannella

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sima pendenza del tetto. Il soffitto ligneo a muqarnas che, come si è detto, coprela navata centrale, è di chiara matrice islamica. La lineadi imposta è a quota 11,25 m, ed è messa in rilievo dauna cornice che corre lungo i quattro lati della navataintersecando la parte superiore delle finestre. Nella struttura del soffitto, di altezza complessiva di2,16 m, si distinguono chiaramente due parti: un’areacentrale ad andamento pressoché orizzontale connessaalle pareti della navata attraverso un sistema di raccordocostituito da nicchie aggettanti. La parte orizzontale ècaratterizzata dalla presenza di piccole cupole a piantaottagonale, disposte su due file di dieci elementi cia-scuna separate da “pendenti” a muqarnas.Se all’interno della Cappella Palatina è possibile leggereancora la struttura architettonica originaria, all’esternola lettura risulta più complessa. Tale difficoltà è deter-minata dalla presenza di corpi di fabbrica che si addos-sano alla cappella e che furono realizzati a partire dalXVI secolo per adeguare il vecchio castello normanno,già sede del Tribunale del S. Uffizio (Di Fede, 2000), adimora dei viceré spagnoli. Da quel momento la Cap-pella Palatina perde la sua connotazione di volume iso-lato e viene letteralmente inglobata da nuovecostruzioni: ad ovest dal corpo di fabbrica della Sala

d’Ercole, a nord dal cortile della Fontana, a sud dal log-giato del cortile Maqueda e ad est dal complesso pro-spiciente piazza della Vittoria. A seguito di tali interventi le condizioni di luminositàall’interno della cappella furono profondamente alte-rate: le finestre delle absidi, che un tempo illuminavanoil bema, persero la loro originaria funzione e nella se-conda metà del XVIII secolo vennero chiuse e rivestiteall’interno con nuovi inserti musivi. La costruzione dei corpi di fabbrica intorno alla cappelladeterminò anche il presupposto per la realizzazione dinuovi ambienti al di sopra delle navate. Tali opere grava-rono ulteriormente sulle condizioni di luminosità e avvia-rono un lento ma costante processo di degrado dellestrutture e delle superfici decorate della cappella. Nonostante ciò è possibile ancor oggi leggere traccedella struttura esterna. È visibile ad esempio la netta ste-reotomia del volume che racchiude il bema e, sul latosud di questo, gli archi originari incassati che incorni-ciano le finestre del diaconicon. All’estremità meridionale del fronte est, in prossimitàdell’abside destra, si trova un’apertura che introduce aduna piccola scala, a pianta quadrata, che si sviluppa sinoalle strutture di copertura delle absidi, e che un tempodoveva probabilmente servire un campanile.

Fig. 1. Simulazione virtuale delle condizioni originarie di illuminazione all'interno della Cappella.

Tesi

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Al nucleo compatto del bema si contrappone il corpolongitudinale, costituito da tre distinti volumi corrispon-denti alle tre navate: la copertura delle navate laterali inorigine doveva essere costituita da terrazze piane rive-stite con malta impermeabile, secondo una tecnica am-piamente usata nell’area nord-africana; anche per lanavata centrale gli studiosi concordemente ipotizzanouna copertura a terrazza, benché sia noto che la quotaattuale non corrisponda a quella originaria, essendostata certamente sopraelevata nel XVIII secolo. Addossato alla parete occidentale della cappella si trovaun nartece, suddiviso in tre campate da altrettante voltea crociera. Le volte laterali sottendono due finestre ar-cuate, con ghiere incassate, che si aprono sul muro occi-dentale della cappella in corrispondenza delle navatelaterali; una terza finestra tamponata, di cui non vi è trac-cia all’interno, è inquadrata dalla volta centrale del sud-detto nartece. A una attenta osservazione si può notare tuttavia che levolte a crociera intersecano e nascondono la parte altadelle ghiere incassate: questo elemento induce a credereche il nartece non facesse parte del progetto originariodella cappella.

I rilievi della Cappella Palatina e delle sue perti-nenze tra XVIII e il XXI secoloLa più antica rappresentazione della Cappella Palatinagiunta fino ai nostri giorni si deve a Pietro da Eboli, checorredò di illustrazioni grafiche il suo Liber ad honoremAugusti sive de rebus Siculis, composto nel 1195 inonore di Enrico VI di Svevia. Tra i suoi disegni siscorge, col nome di cappella regia, la Cappella Palatina,raffigurata come una struttura ad arcate su colonne alcui interno si trova il corredo liturgico; all’estremità de-stra si erge una torre campanaria le cui le funi scendonofino alla cappella. In un altro disegno, la cappella è sor-montata da una torre campanaria a sei livelli con unacroce sulla sommità; sullo sfondo si stagliano le alte co-struzioni turrite del Palazzo Reale.Nel 1754 l’ingegnere direttore Joseph Valenzuela rea-lizzò due rappresentazioni planimetriche della cappella,oggi custodite presso il Capitolo Palatino, in vista delprogetto per la nuova sacrestia. Si tratta delle prime piante dettagliate della cappella anoi pervenute: in una in particolare, corredata da unalegenda con la descrizione delle parti della cappella,viene per la prima volta rappresentato l’articolato si-stema di scale che si sviluppava lungo l’ambulacronord, nonché la frammentaria articolazione del nartece.Le parti in sezione sono rappresentate con una leggeracampitura grigia e un accenno di ombre portate. La prima sezione verticale della cappella si deve a LéonDufourny realizzata durante la sua permanenza a Pa-lermo intorno al 1789: il disegno, sotto forma dischizzo, è di particolare importanza ai fini di questo stu-dio poiché in esso sono rappresentate le pareti norddella Cappella e, per la prima volta, il palchetto realenei pressi della prothesis.

Tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo all’in-terno di un rinnovato interesse nei confronti dei monu-menti siciliani, vengono realizzati i primi disegnisistematici della Cappella Palatina.J. I. Hittorff e il suo collaboratore C. L. Zanth, dedicanoquattro tavole alla cappella, all’interno del loro Archi-tecture moderne de la Sicile (1835) (Hittorff, Zanth,1983). Nella prima tavola è raffigurata la pianta dellacappella con una rappresentazione schematica dei mo-tivi geometrici della pavimentazione; nella stessa tavolaè riportata per la prima volta la pianta della chiesa infe-riore, in cui si notano i grossi pilastri di sostegno dellevolte, la porta di accesso a sud e l’altare ad ovest; questielementi verranno modificati dagli interventi di F. Va-lenti e M. Guiotto agli inizi del Novecento (Guiotto,1947). La seconda tavola riporta la sezione longitudi-nale della Cappella verso la navata sud; di particolareinteresse è la rappresentazione delle decorazioni mu-sive, la sezione del nartece con la volta a botte e l’inse-rimento in sezione della chiesa inferiore, che nonrispetta tuttavia le reali relazioni di posizione con lacappella superiore. Due sezioni trasversali sono raffi-gurate nella terza tavola: la prima è rivolta a occidentee la seconda verso le absidi. Nel 1838 Domenico Lo Faso, duca di Serradifalco, pub-blica Del Duomo di Monreale e altre chiese Siculo-nor-manne ragionamenti tre (Serreadifalco, Duca di 1838). Irilievi e i disegni delle architetture normanne di Siciliasono affidati a Francesco Saverio Cavallari. Alla CappellaPalatina sono dedicate le tavole XV, XVI e XVII: nellatavola XV è riprodotta la pianta della Cappella, priva delnartece, con il disegno al tratto dei motivi geometrici dellapavimentazione; nella tavola XVI sono rappresentate duesezioni trasversali, rivolte ancora rispettivamente ad est ead ovest, nelle quali è possibile notare l’eccessiva incli-nazione dei tetti delle navate laterali e l’approssimativarappresentazione del soffitto a muqarnas; la tavola XVII,infine, è dedicata alla sezione longitudinale; anche in que-sta tavola è evidente una rappresentazione molto stilizzatadel soffitto sulla navata centrale ed in generale una scarsacorrispondenza tra il disegno e gli aspetti dimensionali emorfologici della cappella.L’opera dal titolo La Cappella di S. Pietro nella reggiadi Palermo. Dipinta e cromo litografata da AndreaTerzi ed illustrata dai Professori Michele Amari, Save-rio Cavallari, Luigi Boglino ed Isidoro Carini, pubbli-cata a Palermo nel 1889, (Amari et al., 1889) segna unpasso significativo nella storia degli studi relativi allaCappella, sia sotto il profilo storico che per la ricchezzae l’accuratezza dei disegni riprodotti nelle cento tavoleche corredano l’opera; i disegni, al tratto e cromolito-grafati, vengono eseguiti dal cav. Andrea Terzi. Le ta-vole illustrano in maniera doviziosa particolari minutidella decorazione musiva e intere scene dedicate allerappresentazioni bibliche. Di pari accuratezza è la rap-presentazione dei motivi geometrici del pavimento edegli inserti in marmo che decorano le transenne delcoro, dei parapetti dell’ambone e delle scale che con-

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ducono alla cripta. Le tavole più interessanti ai fini diquesto studio sono le rappresentazioni al tratto di piantee sezioni la cui accuratezza fa presumere l’utilizzo diun ponteggio per l’esecuzione dei rilievi.Nel 1890 il bizantinista Alexis Pavlovskij pubblica unvolume dal titolo Pitture della Cappella Palatina di Pa-lermo, unanimemente riconosciuto come prima accu-rata analisi dei caratteri stilistici e simbolici delleraffigurazioni della cappella (Pavlovskij, 1893); le illu-strazioni a corredo di questa pubblicazione sono ese-guite, come dichiara l’autore, dal non meglio precisato(sic.) signor Pomerantzoff e dal suo assistente Tchagine;esse sono principalmente incentrate sulla rappresenta-zione di porzioni della struttura architettonica, dellescene dei paramenti musivi e delle pitture del soffitto.Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo GiuseppePatricolo, e in seguito Francesco Valenti e Mario Guitto,guidano le operazioni di restauro che interessano sia ilPalazzo Reale che la Cappella Palatina. In questa occasione viene effettuata una campagna dirilievo finalizzata alla documentazione delle deforma-zioni strutturali della cappella: vengono così rappresen-tati i locali e le strutture architettoniche al di sopra dellenavate laterali, ed il nartece diviso in vari ambienti dasolai e da tramezzi; tali strutture verranno eliminate nelcorso dei restauri. L’archivio Valenti, custodito presso la Biblioteca Co-munale di Palermo, contiene le tavole dei rilievi eseguitidurante le operazioni di restauro; di particolare interessele sezioni verticali della navata nord, dove sono rappre-sentati la scala su archi rampanti che permetteva di rag-giungere la cereria sul tetto della navata centrale e,successivamente, il lungo corridoio che conduceva al-l’osservatorio astronomico, nonché tutti i locali soprala navata. In un’altra tavola sono rappresentate la pianta della na-vata laterale nord e la sezione trasversale della Cap-pella, in cui è evidenziato lo spanciamento delle arcatenord della navata centrale. Troviamo infine interessanti gli schizzi planimetrici eprospettici sulle ipotesi di ricostruzione della configu-razione originaria del Palazzo e della Cappella. Nel 1993, su incarico della Soprintendenza di Palermo,Carlo Monti (Università di Milano) e Salvatore Prescia(Università di Palermo) coordinano il rilievo della Cap-pella con metodi topografici. Il rilievo, finalizzato alla let-tura della morfologia e delle deformazioni strutturali dellemasse murarie, viene elaborato graficamente in ambienteCAD. Questo rilievo costituirà la base di riferimento peri lavori di restauro condotti a partire dal 2005.Nel 2004 gli architetti Steffi Platte e Monika Thiel delPolitecnico di Berlino eseguono un rilievo topograficodella chiesa inferiore, che verrà pubblicato nel 2005 nelvolume curato da Thomas Dittelbach e Dorothée Sack.

Il rilievo della CappellaAd integrazione dei dati già esistenti si è reso necessa-rio, ai fini di questa ricerca, operare ulteriori rilievi con-

dotti con strumentazioni topografiche e laser scanning;inoltre elementi di dettaglio, come sagome e modana-ture, sono stati rilevati con metodi diretti utilizzando unprofilometro. Il progetto di rilievo ha permesso di indivi-duare e materializzare 16 vertici di una poligonale topogra-fica su più livelli; il rilievo topografico è servito da supportoper l’orientamento assoluto delle scansioni laser2.Numerose scansioni sono state eseguite sia all’internodella cappella che negli spazi limitrofi esterni, nonchénell’ambulacro nord3, nella Chiesa Inferiore e nelle ter-razze di copertura della cappella.

I modelli digitaliIl modello digitale 3D della Cappella Palatina è statorealizzato con tecniche di modellazione poligonale econ l’ausilio di specifici plug-in per la visualizzazionedelle scansioni laser (nuvole di punti) all’interno dellospazio di modellazione 3D4; tali applicativi consentonodi visualizzare la nuvola e le sue componenti di colore(RGB) o di riflettanza, di regolare la dimensione e ladensità dei punti e di nascondere o isolare parte dellanuvola tramite la definizione di un volume di ritaglio(clip-box). Questi nuovi strumenti hanno aperto la pos-sibilità ad un diverso approccio alla modellazione, chesfrutta la flessibilità tipica dei processi di modellazionepoligonale per la costruzione di modelli caratterizzatida un contenuto livello di discretizzazione.La visualizzazione della nuvola di punti nello spazio dilavoro e la possibilità di modificare le primitive elemen-tari per mezzo della manipolazione di vertici e spigolioffrono, infatti, la possibilità di controllare in temporeale la corrispondenza tra i modelli e le superfici rile-vate; tale processo permette di interpretare, discretizzaree descrivere le caratteristiche morfologiche del manu-fatto, nonché di descrivere in maniera puntuale le defor-mazioni della forma originaria. Gli strumenti della modellazione poligonale permettonoinoltre di controllare il numero e la forma dei singolipoligoni, anche al fine di rendere più agevole la visua-lizzazione del modello e l’applicazione di mappe e tex-tures. Uno dei vantaggi della tecnica impiegata per lacostruzione del modello della Cappella Palatina, carat-terizzata dalla presenza di ricchissimi rivestimenti pa-rietali, è la possibilità di eseguire sia la modellazioneche il texturing nello stesso ambiente di lavoro. La vi-sualizzazione della nuvola di punti consente, infatti, dicontrollare in maniera accurata e immediata la corri-spondenza tra le coordinate di mappatura5 della textureproiettata sulla superficie del modello e l’immagine ge-nerata dall’insieme delle componenti cromatiche (o diriflettanza) dei punti della nuvola.

Ricostruzioni congetturali della CappellaI più imponenti interventi di restauro (ripristino) dellaCappella Palatina furono avviati nell’ultimo ventenniodel XIX secolo da Giuseppe Patricolo e portati a com-pimento nella prima metà del XX secolo da FrancescoValenti e Mario Guiotto. In tale circostanza furono de-

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molite alcune delle strutture che erano state addossatealla cappella tra il XVI e il XIX secolo e altre struttureritenute, sulla base di criteri alquanto arbitrari, di scarsovalore storico. Prima di dare avvio alle demolizioni, i soprintendenti inca-ricati commissionarono numerosi rilievi e disegni, che do-cumentarono in modo accurato le strutture poi demolite6.A partire da tali elaborati e dal confronto con il rilievodi numerose tracce rinvenute sulle murature, eseguitonel corso di questo studio, è stato possibile definire unmodello digitale della configurazione dell’assetto spa-ziale della cappella antecedente le demolizioni. Uno dei primi ambienti demoliti (1885) fu una piccolacappella, detta “dei Vicerè”, costruita nel XVII secolosopra la navata nord; tale cappella si affacciava sullanavata centrale della Cappella Palatina ed era decoratacon stucchi e affreschi di Pietro Novelli 7. Tra le strut-ture demolite, è ben documentata, nelle sezioni verticalidella navata settentrionale, una scala su archi rampanticostruita agli inizi del 1800; tale scala permetteva diraggiungere i locali della cereria edificati nel XVIII se-colo sul tetto della navata centrale e, a una quota piùalta, il lungo corridoio che conduceva all’osservatorioastronomico sulla Torre Pisana. Copriva la cappella e ilocali edificati su di essa un tetto a padiglione con ca-priate in legno.

La seconda ricostruzione congetturale, relativa all’as-setto originario della cappella, ha preso le mosse da undisegno realizzato nel 1931 da Pietro Loiacono, che raf-figura un’ipotetica configurazione dell’edificio nel XIIsecolo secondo l’interpretazione di Francesco Valenti.Come già detto, in analogia con altre chiese normannedi Sicilia e con una prassi costruttiva di chiara improntanord-africana, nella ricostruzione di Valenti vengonoipotizzate coperture piane sulle navate laterali e quellacentrale. All’estremità orientale della cappella vieneipotizzato un muro poligonale che nasconde le absidi,

in contrasto con la prassi diffusa nelle chiese normannedi Sicilia, le cui absidi sono sempre estradossate e de-corate con motivi geometrici analoghi a quelli utilizzatiper i prospetti; nella ricostruzione di Valenti, infine, dal-l’angolo sud-est si innalza un campanile sormontato dauna cupola. L’ipotesi di un campanile analogo a quellodella chiesa di San Giovanni degli Eremiti a Palermoappare verosimile ed è supportata dalla presenza, in cor-rispondenza dell’angolo sud-est della cappella, della giàcitata scala a pianta quadrata che ha inizio alla quotadel piano di calpestio della stessa e oggi si interrompealla quota delle strutture di copertura dell’abside.Le analisi di carattere storico e l’esame di tracce rinve-nute sui paramenti murari e sugli apparati decorativihanno fatto emergere alcune incongruenze nella rico-struzione proposta da Valenti e hanno suggerito spuntiper una nuova ipotesi ricostruttiva.La parete esterna della navata sud è oggi rivestita nellaparte inferiore da lastre di marmo e nella parte superioreda un rivestimento musivo del XVIII secolo, caratteriz-zato da evidenti rigonfiamenti. Il confronto con archi-tetture coeve ha condotto ad ipotizzare che questamarcata ondulazione sia da mettere in relazione con lapresenza di una decorazione a ghiere incassate sui frontiesterni, motivo ricorrente nelle architetture normannedi Sicilia; nella Cappella Palatina si ritrovano tracce ditale motivo in corrispondenza del fronte esterno delmuro meridionale del presbiterio, sul fronte occidentaledella cappella8 ed ancora in frammenti visibili sul fronteesterno della navata laterale settentrionale. La chiaracongruenza dimensionale tra la larghezza e lo spessoredelle fasce concentriche degli archi incassati oggi visi-bili e l’andamento della superficie ondulata suggeriscela presenza di tale motivo decorativo anche intorno allefinestre che oggi si aprono sulla parete meridionale. L’ipotesi di una decorazione ad archi incassati sui frontisettentrionale, occidentale e meridionale ben si accor-derebbe con l’esistenza di una soluzione di raccordo an-golare simile a quella adottata in edifici coevi; gli archiincassati che decorano i fronti esterni della chiesa di SanCataldo a Palermo, ad esempio, sono delimitati da unamodanatura che si sviluppa su tutti i fronti senza solu-zione di continuità.Anche per la ricostruzione delle strutture di coperturadella navata centrale è ipotizzabile una copertura di-versa da quella a terrazzo proposta da Valenti. Infatti,una copertura a doppia falda appare più verosimile, allaluce di ulteriori indizi. Ispezionando il vano che fa daintercapedine tra il solaio dell’attuale soffitto a terrazzae l’estradosso del soffitto a muqarnas che copre la na-vata, si osserva che, a partire da una quota di circa 1,80m dal camminamento lungo i bordi di questo vano, uncambiamento della tessitura muraria dei paramenti, incui da conci perfettamente squadrati si passa a conci piùgrossolani; in alcuni tratti della linea di demarcazioneè visibile, inoltre, una trave lignea incassata nella mu-ratura, che doveva presumibilmente avere la funzionedi dormiente. Il cambio di tessitura muraria può essere

Fig. 2. Spaccato assonometrico della Cappella Palatina tra i cor-tili Maqueda e della Fontana.

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posto in relazione con la sopraelevazione dei muri dellanavata che i documenti storici registrano alla fine delXVIII secolo, in concomitanza con la creazione di unacereria sopra la navata centrale. Si può avanzare alloral’ipotesi che la suddetta sopraelevazione sia stata rea-lizzata per sostituire, con un terrazzo piano, una prece-dente copertura a falde su capriate, simile a quellautilizzata nelle chiese normanne a pianta longitudinaledi epoca coeva o poco posteriore alla cappella9.Nella ricostruzione digitale è stato volutamente omessoil portico sud a sei arcate tutt’oggi esistente, che Valentiattribuisce al progetto originario; tale ipotesi non è adoggi confortata da una datazione certa, né dal confrontocon le chiese coeve di Sicilia.L’interno della cappella non ha subito variazioni signi-ficative rispetto al progetto originario; la costruzionedei nuovi corpi di fabbrica e la chiusura di alcune fine-stre, come quelle absidali, hanno tuttavia sensibilmentealterato, come già detto, le condizioni di luminosità na-turale dell’interno. L’originaria luminosità dell’internoviene riproposta in un’elaborazione virtuale, in cuiviene simulata l’eliminazione delle sovrastrutture ad-dossate alla cappella e la riapertura delle finestreostruite e poi murate nel XVIII secolo.

Note1 Non si conosce con esattezza l’anno di fondazione della cappella;per lungo tempo è stata indicata come possibile data l’anno 1132,quando l’arcivescovo Pietro di Palermo eleva a chiesa parrocchialeuna cappella nel Palazzo Reale di Palermo dedicata all’apostolo Pie-tro, ma molti storici non concordano con tale cronologia e attribui-scono la consacrazione del 1132 a una preesistente cappella,presumibilmente l’attuale Chiesa Inferiore, sopra la quale venne suc-cessivamente edificata la Cappella Palatina; per maggiori approfon-dimenti si rimanda a Vladimir Zorić (2002) e Beat Brenk (2010).2 Le scansioni sono state eseguite con uno scanner a tempo di voloLeica ScanStation 2.3 Nel XVI secolo, con la costruzione del cortile della Fontana, sivenne a creare sul fronte nord della cappella uno stretto corridoio chetutt’oggi separa le due strutture.4 Il modello degli interni della cappella è stato realizzato con ilsoftware Autodesk Maya 2011 e il plug-in CloudWorx-VR commer-cializzato dalla Leica Geosystems.5 Sono i valori delle coordinate assegnate ai vertici dei poligoni a se-

guito del processo di proiezione della mappa. La gestione di tali coor-dinate avviene attraverso un editor che permette la sovrapposizionedella mappa alla superficie poligonale proiettata su un piano carte-siano di ascisse (U) e ordinate (V).6 I disegni sono custoditi presso l’archivio Francesco Valenti nella Bi-blioteca Comunale di Palermo. 7 Pietro Novelli (1603-1647), pittore e architetto, è stato un artista in-fluente nel panorama siciliano del Seicento; gli affreschi della cap-pella dei “Vicerè” sono stati staccati prima della demolizione e sonooggi custoditi presso la Galleria Interdisciplinare Regionale della Si-cilia Palazzo Abatellis.8 Il fronte occidentale della cappella si affaccia oggi su un nartece co-perto da volte a crociera, riportate in luce dal Valenti. 9 A tale tipologia appartengono la chiesa della Magione a Palermo ele cattedrali di Monreale e Palermo; in quest’ultima, un tetto a capriateè oggi celato da una volta a botte edificata nel XVIII secolo.

BibliografiaAmari M., Boglino L., Cavallari S., Carini I. (1889), La cappella diS. Pietro nella reggia di Palermo. Dipinta e cromo litografata da An-drea Terzi ed illustrata dai Professori Michele Amari, Saverio Caval-lari, Luigi Boglino ed Isidoro Carini. Brangi Editore, Palermo.Aurigemma M.G. (2010), “PalinsestoPalatina. Le arti, le trasforma-zioni, gli usi e i restauri da Federico II ai Savoia”, in Brenk B. (a curadi) Mirabilia Italiae, La Cappella Palatina di Palermo, Franco Co-simo Panini, Modena.Brenk B. (a cura di) (2010), Mirabilia Italiæ, La Cappella Palatinadi Palermo, Franco Cosimo Panini, Modena.Di Fede M.S. (2000), Il Palazzo Reale di Palermo tra XVI e XVII se-colo, Medina, Palermo. Guiotto M. (1947), Palazzo ex Reale di Palermo. Recenti restauri eritrovamenti, Palermo.Hittorf J., I. Zanth L. (1983), Architecture moderne de la Sicile Parigi1835, Ristampa anastatica, Palermo.Pavlovskij A. (1893), “Décoration des plafonds de la Chapelle Pal-tine”, in Byzantinische Zeitschrift , Gennaio 1893, vol. 2, n. 3, pp.361-412.Serradifalco, Duca di, (Lo Faso Pietrasanta, Domenico) (1838), DelDuomo di Monreale e di altre Chiese siculo-normanne, Palermo.Zorić V. (2002), “Arx praeclara quam Palatium Regale appellunt. Lesue origini e la prima cappella della corte normanna”, in D’AngeloF. (a cura di), La città di Palermo nel Medioevo, Officina di StudiMedioevali, Palermo.

Tesi

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Nel contesto odierno, in cui la velocità e la complessitàdelle trasformazioni in atto stanno mettendo a duraprova i sistemi economici, i meccanismi politici e lestrutture sociali, soprattutto a livello urbano, non si puòprescindere dall’interrogarsi sui possibili scenari che siprospettano nell’immediato futuro. “Cambiamento” e“crisi” sono forse i due termini attualmente più diffusisui giornali, su internet, negli ambienti professionali,nelle aule universitarie, ma anche e soprattutto nei di-scorsi e nelle coscienze dei cittadini di ogni classe so-ciale e di ogni età. La comunità scientifica è dunquesollecitata a trovare nuove risposte e nuove imposta-zioni metodologiche per affrontare le problematiche at-tuali. Parola d’ordine: “riorganizzazione”, come haaffermato il prof. Alessandro Balducci1 durante il di-scorso d’apertura della XV Conferenza della SocietàItaliana degli Urbanisti (SIU), tenutasi dal 10 all’11maggio del 2012 a Pescara. L’urbanistica è coinvolta apieno titolo in questa crisi di valori, di legittimità teoricae utilità pratica: sono cambiati anche i temi di cui si oc-cupa, oggi il campo disciplinare dell’urbanistica com-prende le questioni ambientali, le energie rinnovabili, icambiamenti climatici, la sicurezza, le strategie per farfronte ai tagli di risorse finanziarie, etc. In aggiunta atutto questo, anche i temi classici, quelli relativi aglispazi pubblici, all’identità, al patrimonio storico-cultu-rale, vengono affrontati da punti di vista notevolmentediversi rispetto al passato, considerati in un’ottica diflessibilità e di apertura. Particolare significato acquista,dunque, in questo senso l’interrogativo posto dal prof.Massimo Angrilli2 al termine del suo intervento: comesi inseriscono gli urbanisti in questa dimensione di in-stabilità e mutazione? I contributi di professionisti, do-centi, esponenti del mondo accademico e politico chehanno preso parte alla conferenza sono stati tutti orien-tati ad esprimere pareri, interpretazioni ed esperienzeriguardo tali questioni.I temi affrontati sono stati vari e tutti caratterizzati daun’estrema attualità, primo fra tutti quello del riutilizzodel patrimonio già esistente per evitare spreco di terri-torio, sviluppo urbano diffuso e sprawl generalizzato,aumentando di conseguenza i costi della gestione ur-bana, dei trasporti e dell’infrastrutturazione del territo-rio, sia in termini di risorse finanziarie che in termini dicosti ambientali. Urban recycling VS urban copy-paste,

la logica del risparmio, del rispetto della risorsa “terri-torio”, contro il copia-incolla indiscriminato: così è statadefinita la questione dal prof. Francesc Muñoz3 che,nella sua esposizione, ha trattato anche la costruzionedi una nuova geografia, quella risultante dalle politichedelle compagnie di viaggio low cost, che determina unaridefinizione di scala e di importanza delle città affe-renti a determinati scali aeroportuali. Il ridisegno dina-mico dei luoghi e delle interconnessioni locali einternazionali coinvolge anche il concetto di “identità”:nell’ambito di una globalizzazione sempre più accen-tuata, le ragioni della storia e della tradizione spesso sipiegano a quelle della concorrenzialità e della ricercadi elementi attrattivi. Un esempio eclatante è quello delvillaggio andaluso di Juzcar, che ha ospitato nel 2011 ilset cinematografico del film “I Puffi” di Raja Gosnell.Gli abitanti hanno rinunciato al colore bianco, che ca-ratterizza le costruzioni del luogo da tempi immemora-bili, ed hanno acconsentito a ridipingere di blu l’interovillaggio, trasformandolo in una meta turistica di di-mensioni eccezionali. Il rischio in casi come questo èquello di una sovraesposizione della dimensione localealla globalizzazione e di un utilizzo di tali operazioni dimarketing come soluzioni universalmente valide. Ter-mini come smart city o restyling sono spesso abusati etravisati, utilizzati con superficialità senza compren-derne pienamente il significato. D’altra parte, anchel’applicazione di principi urbanistici riconosciuti come“giusti” e coerenti, come la ricomposizione dello sprawle il tentativo di restituire al territorio un’immaginemeno frammentata e più omogenea, non è un’opera-zione positiva tout court. Forse semplicemente bisognarendersi conto che le città sono cambiate e che bisognain qualche modo adattarsi al cambiamento, piuttosto cheopporsi ad esso: questa l’opinione espressa infine dalprof. Muñoz. Non c’è uno stadio ultimo ideale da rag-giungere o uno status ottimale già raggiunto a cui fareritorno: si tratta di una successione continua di fasi(Lynch, 1960).Sulla stessa linea i contributi di Vedran Mimica4 edErwin Van der Krabben5, entrambi centrati sulla neces-sità di ridurre il consumo di suolo, di gestire la disper-sione urbana con interventi mirati a ristabilire unalogica strutturale nella distribuzione degli insediamenti;nelle loro presentazioni emerge con forza il concetto di

XV Conferenza nazionale dellaSocietà Italiana degli Urbanisti:l’urbanistica che cambia

Elena GiannolaReti

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Reti

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governance, con il quale si intende una partnership trapubblico e privato, condizione oggi indispensabile perriuscire a costruire progetti che abbiano effettive possi-bilità di applicazione e che possiedano realmente unachance di successo.Riuso di spazi, di materiali, di luoghi, ma anche di con-cetti: a tal proposito, il prof. Silvano Tagliagambe6, haaffrontato la questione della ri-attribuzione di valore esignificato alle categorie di spazio e tempo, indivi-duando interessanti spunti di riflessione sull’interpreta-zione della nozione di “luogo” e di “paesaggio”(Clement, 2004). Oggi viviamo in un contesto multi-strato, fatto da più spazi sovrapposti, da più tempi e piùvelocità, per cui la gestione dello sviluppo spesso nonpuò essere condotta in modo coerente ed unitario. Nonsi può più procedere, dunque, secondo un metodo pret-tamente deduttivo e neanche esclusivamente induttivo,come nelle esperienze di governance: oggi la pianifica-zione ha bisogno di una logica “abduttiva”, che per-metta di accostare oggetti ed insiemi di essi in modomolto più selettivo e critico, decostruendo le generaliz-zazioni e individuando parallelismi e differenze per riu-scire ad orientarsi in una complessità che, secondo leleggi dell’entropia, tende a diventare caos nelle “cittàglobali” (Sassen, 1991).Le sessioni plenarie della conferenza sono state animateda dibattiti e riflessioni sul ruolo e sui confini discipli-nari dell’urbanistica odierna, sulle collusioni tra que-st’ultima e gli interessi e i poteri forti, istituzionali enon, sull’idea di futuro e di spazio immaginato: per dirlacon le parole di Ghosh, «Non è che un luogo semplice-mente esista, bisogna che lo si inventi con l’immagina-zione» (1988, 21). Altrettanto molteplici e ricchi dicontributi diversi e innovativi sono stati i nove atelierdi discussione, divisi per macrotemi, all’interno deiquali si è aperta una serie di dibattiti sui temi della cittàdigitale, del conflitto urbano, dell’accessibilità, della si-curezza/rischio e del paesaggio nell’ambito del progettodi territorio.Durante la restituzione dei lavori degli atelier e, infine,

nel corso della sessione conclusiva, assessori ed ammi-nistratori pubblici hanno esposto le proprie esperienzenel campo applicativo della pianificazione. È stata evi-denziata, in ultima analisi, la necessità di andare oltrela crisi, sforzandosi di comprendere le trasformazioniin atto, accettando di farne parte. Quest’idea è chiara-mente espressa dall’immagine-simbolo della confe-renza, un disegno di Millo che raffigura due personeche avvolgono una sorta di filo di Arianna attorno ai pa-lazzi di una città e che ha come titolo la frase: «Nonposso legarti, ma provo a tenerti». Non possiamo evi-tare il cambiamento, ma siamo chiamati a confrontarcicon esso: è la sfida del XXI secolo. Siamo pronti ad ac-cettarla?

Note1 Alessandro Balducci è Segretario della SIU e Pro-Rettore del Poli-tecnico di Milano.2 Massimo Angrilli è Ricercatore, docente di Urbanistica presso la Facoltàdi Architettura di Pescara e membro del Consiglio Direttivo della SIU.3 Francesc Muñoz è Direttore dell’Observatorio de la UrbanizaciónUAB di Barcellona.4 Vedran Mimica è Direttore del Berlage Institute di Amsterdam.5 Erwin Van der Krabben è Docente della Radboud University di Nij-megen ed esperto di Economia urbana.6 Silvano Tagliagambe è Docente di Filosofia della scienza presso l’U-niversità di Sassari.

BibliografiaClement G. (2004), Manifeste du Tiers paysage, Sujet/Objet, Paris(ed. it. Manifesto del terzo paesaggio, Quodlibet, Macerata, 2005).Ghosh A. (1988), The shadow lines, Ravi Dayal, Delhi (ed. it. Le lineed’ombra, Einaudi, Torino, 1990).Lynch K. (1960), The image of the city, Massachussets Institute ofTechnology and the President and Fellows of Harvard College (ed.it. L’immagine della città, Marsilio editore, Padova, 1964).Sassen S. (1991), The Global City: New York, London and Tokyo,Princeton University Press, Princeton N.J. (trad. it. Città globali: NewYork, Londra e Tokio, UTET, Torino, 1997).

Fig. 1. "Non posso legarti, ma provo a tenerti" autore Millo (2012) - L’ocandina SIU 2012.

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Turkey hosted this year two of the most important Eu-ropean academic urban planning events: the 26th

AESOP1 Conference 2012 in Ankara, from 10 to 14thJuly, and the co-organized PhD workshop betweenAESOP and Young Academics Network2 in Izmir, fromthe 6th to 9th July.

AESOP PhD workshopThe PhD workshop was organized by the Departmentof City and Regional Planning in Izmir Institute ofHigh Technology3, where 37 students selected among104 applications were submitted. PhD students fromall over Europe were invited to share their researchideas with senior and scholars in order to establish amutual learning environment, allowing the participantsto give and receive comments on their research ques-tions, goals, and methods.The new president of AESOP, Prof. Gert de Roo,joined the mentors committee with other academicscoming from around the world: Barrie Needham (Rad-boud University of Nijmegen, Netherlands), MichaelNeuman (University of New South Wales, Australia),Laura Saija, (University of Catania, Italy) and PiotrLorens (Technical University of Gdańsk, Poland).From host universities Murat Çelik (Izmir Institute ofTechnology, Turkey), Güldem Özatağan (Izmir Insti-tute of Technology, Turkey) Serap Kayasü (MiddleEast Technical University, Turkey) and Ali Türel (Mid-dle East Technical University, Turkey). Before theworkshop each mentor was given some of student’s pa-pers to read them in order to make constructive com-ments on the researches presented during theworkshop, also each student was given one paper toread and make his own comments on it and act like ref-eree after the presentation.During the workshop, four groups were created, eachof them was managed by two mentors. Each studentwas given one hour; 20 minutes to present his researchand 40 minutes of comments and discussion from men-tors and his mates, that made it very useful scientificdiscussion to all participants and gave each one the op-portunity to give and receive feedback not just frommentors, but also from other colleagues.Before each plenary session, very insightful discus-sions have been raised to touch some of the more com-

mon difficulties of PhD students, at the beginning orin the middle of their research path; among those ses-sions “The relation between knowledge and action” byLaura Sajia, “Methods in planning research” and “Howto get published”, by Barry Needham, “Research De-sign” by Michael Neuman. The workshop also included fantastic social activitiessuch as visiting the metropolitan area of Izmir and theancient city of Ephesus and welcome dinner.

AESOP 26th ConferenceThe AESOP annual congress was hosted by MiddleEast Technical University4 in Ankara, Turkey. The oc-casion also marks the 25th Anniversary of AESOP.The Congress motto – “Planning to Achieve/Planningto Avoid” – has been an umbrella phrase for a widespectrum of planning concerns and an expression tocover the diversity of contemporary global conditions.Problems experienced in globally shared environmen-tal, economic, social, and political contexts today begnew questions, demand new areas of research and newapproaches in the theoretical and practical training ofspatial planners (Balamir et al., 2012).Research papers argued some of the recent debates ofour time: escalating natural and anthropogenic hazardsmake the question of “safe cities” and “geographies ofsurvival” the central issues to spatial policy today. Nat-ural disasters with regional and global impacts aremore frequently experienced. The economic meltdownhas already generated adverse regional and local con-sequences. High rates of urban poverty, persistent un-employment, provoked by socio-spatial inequalities,rural exodus, impoverished environments, pervasiverisk pooling and inability of local communities aresome of the common observations. More comprehen-sive policy frameworks and integrated methods of in-tervention are considered less of a utopia today.Politically, greater reasons seem to exist for the intro-duction of participatory forms in discretionary practicein our representative democracies. The internationaldisasters policy spearheaded by United Nations hasalso shifted its focus from post-disaster cooperation, toefforts of pre-hazard risk reduction. Primary principlesof the new policy are the introduction of risk assess-ment and reduction in all levels of planning activity,

AESOP 2012 PhD Workshop andConference

Mohamed Ali M. Khalil

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participatory decision-making, dedicated engagementon risks of cities and the urban poverty. These princi-ples are adopted by most of the nations of the worldthrough changes in their legal and organizational setup (Balamir et al., 2012).The AESOP 2012 Local Organizing Committee (LOC)announced that there has been an overwhelming re-sponse to the Congress Call-for-Papers, with a total of1005 abstracts received from planners from all over theworld. The Congress hosted planners from more than70 Countries, who presented more than 600 papers in16 tracks during a four-day program of parallel ses-sions. Apart from the conventional areas of interest as“planning theory”, “planning history”, “planning law”,etc., a great number of presentations seems to relate totopics of urban growth and degrowth, climate change,risks and resilience as the Congress Theme suggested(Balamir et al., 2012). A number of keynote speakers were invited to the con-gress, starting with a video massage from David Har-vey5, in response to questions of LOC at the occasionof his visit to METU, and continuing with the presen-tations of Patsy Healey 6, (Struggling for place quality:the contribution of the “planning project” in the 21stCentury), Gert de Ro7 (Planning’s future is non-linear“again”) and Helena Molin-Valdes8 (Making cities re-silient: a game changer for the planners?).The Congress also featured a number of activities tocelebrate the Silver Jubilee of AESOP and concludewith a special plenary roundtable discussion sessiondedicated to the past 25 years and future of AESOP,with contributions from past and current presidents ofthe Association.The Congress is promoted and sponsored by a largenumber of units and institutions, including Star Al-liance and Turkish Airlines, Ankara DevelopmentAgency, Ministry of the Environment and Urbaniza-tion, a number of local municipalities, the Chamber ofCity Planners of Turkey, and numerous planning andengineering firms (Balamir et al., 2012).

Future eventsNext year, the 27th AESOP Congress9, joint to theACSP (The Association of Collegiate Schools of Plan-ning) event, will be held in Ireland, from 15th to 19thJuly 2013, and will be hosted by University CollegeDublin. The Congress focuses on resilience, which hasbecome a new banner for various societal and relatedplanning efforts in cities and regions across the globe,and the theme of the conference will be “Planning forResilient Cities and Regions”.

Note1 The Association of European Schools of Planning (AESOP): wasestablished in 1987 in Belgium as an international association withscientific, artistic and educational purposes and operates accordingto its Charter. With over 150 members, AESOP is the only represen-tation of planning schools of Europe. Given this unique position,

AESOP strengthens its profile as a professional body. AESOP mobi-lizes its resources, taking a leading role and entering its expertise intoongoing debates and initiatives regarding planning education andplanning qualifications of future professionals. AESOP promotes itsagenda with professional bodies, politicians and all other key stake-holders in spatial and urban development and management across Eu-rope (http://www.aesop-planning.eu/).2 Young Academics Network (YA): is an organization, in which every-one can participate, its activities are in particular addressed at plannerswho have only recently entered the academic world: PhD, postdoc,people starting in academic positions. The activities of the YA Net-work are complementary to other activities that are being deployedwithin AESOP as a whole. The YA Network is organized by a Coor-dination Team (CT) of five elected members. Every year, new mem-bers are elected. One person from the CT represents the YA networkin the AESOP executive committee and council. The remaining CTmembers address Website Administration, Outreach work and the spe-cial YA events and activities (http://www.aesop-youngacademics.net/).3 IZTECH: İzmir Institute of Technology is one of the state universitiesin Turkey and one that was established in 1992 with a view to offeringa high level of education and carrying out research in technologicalfields. IZTECH’s Faculty of Architecture was founded in 1994 and ded-icated to excellence in teaching and research, it offers a wide array ofprograms through four departments. The departments are: Architecture,Architectural Restoration, Industrial Design, City and Regional Plan-ning (http://www.iyte.edu.tr/), (http://web.iyte.edu.tr/arch/introduc-tion.htm).4 METU: is founded under the name of “Orta Doğu YüksekTeknoloji Enstitüsü” (Middle East High Technology Institute) onNovember 15th, 1956, to contribute to the development of Turkeyand Middle East Countries and especially to train people so as to cre-ate a skilled workforce in the fields of natural and social sciences(http://www.metu.edu.tr/).5 Distinguished Professor City University of New York.6 Emeritus Professor of Town & Country Planning, Newcastle Uni-versity, School of Architecture, Planning and Landscape.7 Professor in Physical Planning, University of Groningen, Departmentof Spatial Planning and Environment, Faculty of Spatial Sciences.8 Deputy Director, United Nations International Strategies for DisasterReduction “UNISDR”.9 The conference website (http://aesop-acspdublin2013.com/).

BibliografiaAESOP, 2012 Ankara conference website:https://www.arber.com.tr/aesop2012.org/index.php/home last visit(15/7/2012).Balamir M., Ersoy M., Sutcliffe E. (2012) (eds.), AESOP 2012 E-Book of Abstracts, Tolga KOC, Ankara.Cremer-Schulte D. (9/7/2012), Album AESOP summer school 2012, Izmir,6th - 9th July, https://plus.google.com/photos/114723446189384238399/al-bums/5764190003582052833/5764193646440145730?banner=pwa&au-thkey=CK6KyePX7bKkhQE), downloaded (20/9/2012).

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60 Dicembre 2012 INFOLIO 29

Laino G. (2012), Il fuoco nel cuore eil diavolo in corpo. La partecipazionecome attivazione sociale, FrancoAn-geli, Milano.

L’autore, unendo ricerca universitaria,pratica sociale ed osservazione dicampo, opera entro l’approccio del so-cial planner. Insieme al lavoro inedito,propone testi già pubblicati in altre oc-casioni, organizzandoli in maniera daconsentire la lettura unitaria del testo. Illibro è una riflessione sulla democraziae racconta i “dilemmi” della partecipa-zione. Già dalle prime pagine affiora ilpensiero dell’autore: la democrazia as-sociativa quale approccio per l’attiva-zione diretta dei beneficiari, una dellestrade promettenti per superare la crisi.Non basta realizzare iniziative per darevoce, bisogna innanzitutto costruire lecondizioni per rendere esigibili i diritti.Ne danno credito i contributi di donnee uomini italiani che negli anni ‘50hanno lavorato nei cantieri della demo-crazia sostanziale.L’autore sostiene chesia necessaria una riconsiderazione deiparadigmi fondamentali delle disciplinesociali e politico-territoriali per trovareuna via “originale”. Si tratta di ripensarel’universalismo, superare le visioni uni-tariste, la contrapposizione fra efficaciadella democrazia e ruolo delle élite oquella fra iniziative dal basso ed aper-ture dei processi da parte dei respons-abili del governo, favorendo unaconvivenza con le differenze che vadaoltre la mera tolleranza. Ma tale pen-siero rischia di essere ingannevole: seda un lato si distingue per l’innovazionepromossa, dall’altro evidenzia unagrande debolezza. Confutare ogni para-digma e abbattere le categorie consoli-date può dare luogo ad un pensieroforiero di relativismi, che nega il canoneprincipale della ricerca scientifica: la ri-cerca della verità. Infine, il libro proponeun modello di intervento attraverso ilquale associare empowerment e protago-nismo delle persone e segnala un’occa-sione di applicazione nelle attività che ilcomune di Napoli ha avviato a Scampia.

Fabio Cutaia

Hartman H. (2012), London 2012.Sustainable Design, Delivering aGames Legacy, John Wiley & SonsInc., London.

London 2012. Sustainable Design, De-livering a Games Legacy è una mono-grafia pubblicata nel gennaio del 2012,dalla casa editrice americana JohnWiley & Sons Inc., e non ancoratradotta in italiano. In quest’operal’autrice, Hattie Hartman, architetto eurban designer, formatosi alla HarvardUniversity e al Massachusetts Instituteof Technology, scrive alla luce dell’es-perienza maturata come Sustainabilityeditor nel settimanale inglese “The Ar-chitects’ Journal”, edito dal 1896 a com-pendio del famoso mensileinternazionale “The Architectural Re-view”, proponendoci una lettura sullasostenibilità dei lavori per le Olimpiadidi Londra 2012. Il libro appare particolarmente interes-sante non soltanto per il punto di vistache ci viene offerto - di indubbia attual-ità - e per l’accurata e ampia documen-tazione fornita, ma soprattutto perchècostituisce esso stesso un documento dicronaca sugli indirizzi odierni in meritoa due ambiti, quali la sostenibilità e lerealizzazioni per i grandi eventi, chepossono dirsi entrambi “una terra dimezzo”, a volte felice, dove la proget-tazione architettonica, il disegno deldettaglio e un’indispensabile visionepiù ampia, come è quella urbanistica,non disgiunta dagli studi sui trasporti, lasegnaletica e l’illuminazione, possonoconfluire, in alcuni casi solo momen-taneamente, in altri tracciando un segnopiù profondo nel paesaggio e nella strut-tura della città, con ricadute nel temposulle successive realizzazioni, come èstato, ad esempio, per le Olimpiadi diBarcellona del 1992. Questa lettura puòessere integrata con l’altra recentissimaopera The Architecture of London 2012.Vision, Design and Legacy of theOlympic and Paralympic Games in cuiTom Dyckhoff e Claire Barrett focaliz-zano l’attenzione sull’architettura e sulmodo in cui le strutture realizzate,anche quelle temporanee, contribuis-cono alla trasformazione di Londra.

Eleonora Marrone

Di Natale M. C., Cornini G., Utro U.(2012) ( a cura di), Sicilia Ritrovata.Arti decorative dai Musei Vaticani edalla Santa Casa di Loreto, Plumeliaedizioni, Bagheria.

Il catalogo prende il titolo dall’omo-nima mostra “Sicilia Ritrovata. Arti de-corative dai Musei Vaticani e dallaSanta Casa di Loreto” curata da MariaConcetta Di Natale, direttore del MuseoDiocesano di Monreale e massimaesperta di arti decorative siciliane, e An-tonio Paolucci, direttore dei Musei Va-ticani, che dal 7 giugno al 27 settembre2012 è stata allestita nel grande saloneSan Placido del Museo Diocesano diMonreale. Argomento su cui si fonda lamostra sono le opere d’arte realizzate damaestranze siciliane e oggi custodite neiMusei Vaticani. Il progetto, che prendespunto dal recente restauro di un raffi-natissimo corredo d’altare in rame do-rato e corallo, di maestranza trapanesedella fine del XVI - inizi XVII secolo edella prima metà del XVII secolo dellaSanta Casa di Loreto, ha creato l’occa-sione per presentarne il restauro e fartornare in Sicilia, anche se per poco, taliopere insieme ad altre pregevoli suppel-lettili realizzate da artisti siciliani. Al-l’interno del catalogo, a cura di MariaConcetta Di Natale, Guido Cornini eUmberto Utro, vi è una puntuale e inte-ressante relazione del restauro delleopere della Santa Casa di Loreto, realiz-zato dalle restauratrici Eva Mentelli eBarbara Pinto Folicaldi. Saggi e detta-gliate schede su tessuti d’età normannae sveva, avori arabo-siculi, argenti e ar-gentieri palermitani, e per finire unaricca appendice documentaria, danno ri-salto ai manufatti di inestimabile valorestorico-artistico esposti alla mostra, mo-mento unico che ben festeggia il 75° ge-netliaco di Sua Eccellenza MonsignorSalvatore Di Cristina, illuminato Ve-scovo di Monreale.

Salvatore Serio

Volumi Segnalati

Lett

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“Urbanistica: la sfida del futuro”

di Elena Giannola

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FONTI DELLE ILLUSTRAZIONI

Pag. 3 - “Evoluzione di inFolio”, immagine a cura della Redazione.

Pag. 4 - “Senza titolo”, Rosario Gagliardi, sezione della iconografia B (1740 ca.), Siracusa, collezione Mazza.

Pag. 5 - “Senza titolo”, immagine tratta dalla copertina di: Vitella M. (a cura di) (2011), Il Museo d'Arte Sacra della Basilica Santa MariaAssunta di Alcamo, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani.

Pag. 6 - “Composizione”, immagine a cura dell’autrice.

Pag. 8 - “Ciudad_ecologica”, immagine tratta dal sito: http://consumo-responsable.net/category/novedades/ Nel corpo del testo: Fig. 1. “Effetti dell’eccessivo consumo di suolo”. Lago secco di Poyan in Cina”, immagine tratta dal sito:http://blog.zonageografia.scuola.com/2012/i-laghi-della-cina-stanno-sparendo/.

Pag. 10 - “East German border guards look through a gap in the Berlin Wall two days after it was breached, on 11 November 1989. Photograph:Gerard Malie/AFP/Getty Images”, immagine tratta dal sito:http://www.guardian.co.uk/politics/blog+world/berlinwall (in data 25/9/2012).

Pag. 12 - “Smart City”, immagine tratta dal sito: http://www.rinnovabili.it/greenbuilding/accordo-anci-e-miur-per-promuovere-le-smart-cities51190/.

Pag. 14 - “Libeskind_Toronto_05”, immagine tratta dal sito: http://www.cesar-eur.it/show_eventi.php?nid=223

Pag. 16 - “Urbanizzazione, città e sviluppo sostenibile”, immagine a cura dell’autrice.

Pag. 18 - “Scalone su archi rampanti nel Castello a Mare di Palermo”, elaborazione grafica dell'autore. Nel corpo del testo: Fig. 1. “Ampliamento del porto previsto dall'ing. Simoncini”;  Fig. 2. “Nell’angolo inferiore destro il Castelloa Mare di Palermo” (Barbera Azzarello, 1980, tav. 1); Fig. 3. “Sezione del corpo d’ingresso al forte” (Sschauroth B., "Durchschnittedurch das Castell a Mare", Archivio Militare di Vienna); Fig. 4. “Pianta del castello secondo i rilievi dell’ISCAG” (1909); Fig. 5.“Sezione del modello digitale sul cortile interno alla piazza d'armi” (elaborazione dell'autore); Fig. 6. “Cordonate di collegamentoai passaggi di ronda perimetrali” (La Duca, 1980).

Pag. 21 - “Palazzo Reale Palermo”, immagine a cura dell’autore.

Pag. 23 - “Piazza Caracciolo”, disegno della piazza Caracciolo eseguito dal marchese di Villabianca e inserito nel suo Diario manoscritto del1778. Palermo, Biblioteca comunale.

Pag. 25 - “Ostensorio datato 1804”, immagine a cura dell’autore. Nel corpo del testo: Fig. 1. “Croce da tavolo datata 1787”, immagine a cura dell’autore.

Pag. 27 - “Geographic information system map of the all industries multinational network”, tratta da Wall R., Knaap B. v. d. (2011), “SectoralDifferentiation and Network Structure Within Contemporary Worldwide Corporate Networks”, Economic Geography, vol. 87, n. 3,pp. 267-308.

Pag. 31 - “Il ponte giapponese”, Monet C. (1910), olio su tela, 89.5 x 115.3, Museum of Modern Art, New York.

Pag. 35 - “Villa Valguarnera a Bagheria”, dettaglio di un affresco di Palazzo Valguarnera-Ganci a Palermo, tratto da: Balistreri R. (2008), Al-chimia e architettura. Un percorso tra le ville settecentesche di Bagheria, Falcone, Bagheria. Nel corpo del testo: Fig. 1. “Apollo, cornice d'attico di Villa Valguarnera, fronte sud (Bagheria)”, tratta da: Maraini F. (1948-1950),in Balistreri R. (2008), Alchimia e architettura. Un percorso tra le ville settecentesche di Bagheria, Falcone, Bagheria.

Pag. 39 - “Diploma della salvaguardia”, concessa al convento di San Domenico da Carlo V nel 1533 (Biblioteca Universitaria di Cagliari, Ms.LIII/3. Su concessione del Ministero per i Beni e le attività Culturali / Biblioteca Universitaria di Cagliari). Nel corpo del testo: Fig. 1. “Quartiere Villanova e convento di San Domenico” di ASCCa, Fondo Lepori; Fig. 2. “Convento di SanDomenico”, su gentile concessione dei PP. Domenicani del convento di San Domenico a Cagliari; Fig. 3. “Fianco sud del conventoin seguito alle demolizioni per l’apertura della via XXIV Maggio”, dell’Archivio del convento di San Domenico.

Pag. 44 - “Fiume Saloum”, Senegal, immagine tratta dal sito: http://www.geo.fr.

Pag. 50 - “Spaccato assonometrico della Cappella Palatina tra i cortili Maqueda e della Fontana”, elaborazione grafica dell’autore.Nel corpo del testo: Fig. 1. “Simulazione virtuale delle condizioni originarie di illuminazione all'interno della Cappella”, elabora-zione grafica dell’autore; Fig. 2. “Spaccato assonometrico della Cappella Palatina tra i cortili Maqueda e della Fontana”, elabo-razione grafica dell’autore.

Pag. 56 - “Senza titolo”, elaborazione grafica a cura dell’autrice. Nel corpo del testo: Fig. 1 “Non posso legarti, ma provo a tenerti”, autore Millo (2012), immagine tratta dal sito: http://siu.bedita.

Pag. 58 - “AESOP PhD workshop: Cremer-Schulte D.” (9/7/2012), in Album AESOP summer school 2012, Izmir, 6th - 9th July, immaginetratta dal sito:https://plus.google.com/photos/114723446189384238399/albums/5764190003582052833/5764193646440145730?banner=pwa&authkey=CK6KyePX7bKkhQE), downloaded (20/9/2012).

Pag. 61 - “Urbanistica: la sfida del futuro”, disegno a cura dell’autrice.

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INFOLIO 29RIVISTA DEL DOTTORATO IN ANALISI, RAPPRESENTAZIONE E PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE TERRITORIALI,URBANE, STORICO-ARCHITETTONICHE E ARTISTICHEportale.unipa.it/dipartimenti/diarchitettura/Dottorati/analisi/infolio/

Comitato di direzioneFrancesco Lo Piccolo (Coordinatore), Maurizio Carta, Maria Concetta Di Natale, Marco Rosario Nobile.

RedazioneMohamed Ali Khailil, Vincenza Bondì, Lorenzo Canale, Annalisa Contato, Fabio Cutaia, Daniela Di Raffaele, Elena Giannola,Adbelrahman Halawani, Giuseppina Limblici, Angelo Priolo, Luisa Rossini, Maria Laura Celona, Tiziana Sanfilippo, SalvatoreSerio.

Progetto graficoGregorio Indelicato, Adamo Carmelo Lamponi, Paola Santino, Maria Chiara Tomasino

[email protected]

SedeDipartimento di ArchitetturaViale delle Scienze, Edificio 8, scala F4 - 1°P - 90128 Palermo.tel. +39 091488562 - Fax [email protected] - [email protected] (pec)

DottoratiDOTTORATO IN PIANIFICAZIONE URBANA E TERRITORIALE (XXIII - XXIV CICLO)DOTTORATO IN STORIA DELL’ARCHITETTURA E CONSERVAZIONE DEI BENI ARCHITETTONICI (XXIV CICLO)DOTTORATO IN ANALISI, RAPPRESENTAZIONE E PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE TERRITORIALI, URBANE, STORICO-ARCHITETTONICHE E

ARTISTICHE (XXV CICLO)

Sede amministrativaUniversità di Palermo (Dipartimento di Architettura)

CoordinatoreFrancesco Lo Piccolo

Collegio dei docentiDOTTORATO IN PIANIFICAZIONE URBANA E TERRITORIALE

Angela Alessandra Badami, Giulia Bonafede, Teresa Cannarozzo, Maurizio Carta, Teresa A. Cilona, Giuseppe Gangemi, NicolaGiuliano Leone, Manfredi Leone, Francesco Lo Piccolo, Grazia Napoli, Marco Picone, Ignazia Pinzello, Carla Quartarone, Va-leria Scavone, Flavia Schiavo, Filippo Schilleci, Ferdinando Trapani, Giuseppe Trombino, Ignazio Vinci (DARCH).Giuseppe Bazan, Patrizia Campisi, Riccardo Guarino (DiSB).DOTTORATO IN STORIA DELL’ARCHITETTURA E CONSERVAZIONE DEI BENI ARCHITETTONICI

Fabrizio Agnello, Nicola Aricó, Fabrizio Avella, Paola Barbera, Aldo Casamento, Maria Sofia Di Fede, Gianmarco Girgenti,Francesco Maggio, Maria Teresa Marsala, Nunzio Marsiglia, Manuela Milone, Marco Rosario Nobile, Elisabetta Pagello,Stefano Piazza, Fulvia Scaduto, Ettore Sessa.DOTTORATO IN ANALISI, RAPPRESENTAZIONE E PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE TERRITORIALI, URBANE, STORICO-ARCHITETTONICHE E

ARTISTICHE

Indirizzo in Pianificazione Urbana e TerritorialeAngela Alessandra Badami, Giulia Bonafede, Teresa Cannarozzo, Maurizio Carta, Teresa A. Cilona, Giuseppe Gangemi, NicolaGiuliano Leone, Manfredi Leone, Francesco Lo Piccolo, Grazia Napoli, Marco Picone, Carla Quartarone, Valeria Scavone,Flavia Schiavo, Filippo Schilleci, Ferdinando Trapani, Giuseppe Trombino, Ignazio Vinci (DARCH).Patrizia Campisi, Riccardo Guarino (DiSB).

Page 65: Il numero 29 di inFolio apre una nuova fase della rivista: alle … · 2013. 8. 1. · Editoriali INFOLIO 29 Dicembre 2012 3 Vent’anni e non sentirli: passato e futuro di un dottorato

Indirizzo in Storia e Rappresentazione dell’Architettura e della CittàFabrizio Agnello, Nicola Aricò, Fabrizio Avella, Paola Barbera, Aldo Casamento, Maria Sofia Di Fede, Gian Marco Girgenti,Francesco Maggio, Maria Teresa Marsala, Nunzio Marsiglia, Manuela Milone, Marco Rosario Nobile, Elisabetta Pagello,Stefano Piazza, Fulvia Scaduto, Ettore Sessa.Indirizzo in Arte, Storia e Conservazione in SiciliaLaura Bica, Maria Concetta Di Natale, Eva Di Stefano, Giuseppe Gennaro, Mariny Guttilla, Simonetta La Barbera, Paolo LoMeo, Santino Orecchio, Pierfrancesco Palazzotto, Giovanni Rizzo, Maria Antonietta Russo, Daniela Santoro, Patrizia Sardina,Maurizio Vitella.

SegreteriaFilippo Schilleci (DARCH)

PartecipantiDOTTORATO IN PIANIFICAZIONE URBANA E TERRITORIALE

XXIII Ciclo (2009): Domenico Fontana.XXIV Ciclo (2011): Mohamed Ali Khailil, Lorenzo Canale, Annalisa Contato, Fabio Cutaia, Elena Giannola, Luca Raimondo,Claudiu Teodor Chiciudean.

DOTTORATO IN STORIA DELL’ARCHITETTURA E CONSERVAZIONE DEI BENI ARCHITETTONICI

XXIV Ciclo (2011): Antonio Belvedere, Cristina Calì, Federico Maria Giammusso, Francesca Malleo, Eleonora Marrone, CleliaMessina, Vito Migliore, Sabina Montana.

DOTTORATO IN ANALISI, RAPPRESENTAZIONE E PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE TERRITORIALI, URBANE, STORICO-ARCHITETTONICHE E

ARTISTICHE

Indirizzo in Pianificazione Urbana e TerritorialeXXV Ciclo (2012): Vincenza Bondì, Daniela Di Raffaele, Adbelrahman Halawani, Giuseppina Limblici, Angelo Priolo, LuisaRossini.Indirizzo in Storia e Rappresentazione dell’Architettura e della CittàXXV Ciclo (2012): Tommaso Abbate, Eloy Bermejo Malumbres, Evelyn Messina, Tiziana Sanfilippo, Elena Trunfio.Indirizzo in Arte, Storia e Conservazione in SiciliaXXV Ciclo (2012): Maria Laura Celona, Roberta Cruciata, Salvatore Serio.

Supplemento a Lexicon© Dipartimento di Architettura, Viale delle Scienze, Edificio 8, scala F4 - 1°P - 90128 Palermo International Standard Serial Number - ISSN 1828 - 2482

Edizioni Caracol s.n.c. via Mariano Stabile, 110, 90139 Palermo [email protected]

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