Il nucleare in Italia. Una partita tutta da giocare

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AS 05 [2009] 353-363 353 Fatti e commenti © FCSF - Aggiornamenti Sociali Il nucleare in Italia Una partita tutta da giocare Chiara Tintori * E ra il novembre del 1987, un anno e mezzo dopo l’incidente alla centrale nucleare di Chernobyl (Bielorussia), quando i cittadini italiani si espressero sul nucleare con un referendum. La partecipazione al voto fu di poco più del 65% degli aventi diritto e tutti e tre i quesiti registrarono una larga maggioranza contro l’uso dell’energia nucleare 1 . Poco più di vent’anni dopo, la coalizione di centro-destra vince le elezioni politiche (13-14 aprile 2008) con un esplicito riferimento, nel programma elettorale, alla «partecipazione ai progetti europei di energia nucleare di ultima generazione» 2 . Sulla scia di questo impegno preso con gli elettori, non sono mancati in que- sto primo anno del IV Governo Berlusconi interventi nella direzione di un ritor- no dell’Italia all’energia nucleare: dal Piano triennale per lo sviluppo 3 del 2008, dove sono contenute le prime norme per la definizione della strategia energetica nazionale, al disegno di legge — già approvato dalla Camera dei Deputati e at- tualmente in discussione presso la X Commissione (Industria, commercio, turismo) del Senato — che dovrebbe fissare il quadro normativo in materia 4 . In particola- * di «Aggiornamenti Sociali». 1 Il primo quesito riguardava l’abrogazione della norma che consentiva al CIPE (Comitato interministe- riale per la programmazione economica) di decidere la localizzazione delle centrali nucleari nel caso in cui gli enti locali non lo avessero fatto nei tempi stabiliti (sì dell’80,6% dei voti validi); il secondo l’abrogazione della norma che stabiliva i compensi monetari ai Comuni che ospitavano centrali nucleari (vinse il sì con il 79,7%); il terzo l’abrogazione della norma che consentiva all’ENEL (Ente nazionale per l’energia elettrica) di partecipa- re ad accordi internazionali per la costruzione e la gestione di centrali nucleari all’estero (vittoria del sì con il 71,9%); cfr <http://referendum.interno.it/dati/tutti%20i%20ref-solo%20tot%20nazionale.zip>. 2 Sette missioni per il futuro del Paese. Il programma del PDL, n. 1, <www.alleanzanazionale.it/Notizie. aspx?p=&key=&id=591>. 3 Cfr MINISTERO PER LO SVILUPPO ECONOMICO, Piano triennale per lo sviluppo, <www.sviluppoeconomico. gov.it/pdf_upload/pacchetto_cdm_18_6_08r_2_.pdf>. Il piano, varato nel giugno 2008 dal Governo, è stato assorbito dalla Legge 6 agosto 2008, n. 133, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competi- tività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria. 4 Cfr Disegno di legge n. 1195, Disposizioni per lo sviluppo e l’internalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia, in <www.senato.it>. L’iter procede a rilento, con incertezze sui tempi di approvazione. Cfr RENDINA F., «Slitta il piano per il nucleare», in Il Sole 24 Ore, 3 aprile 2009.

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La rivista dei gesuiti di Milano, Aggiornamenti Sociali, ha offerto ai suoi lettori alcune riflessioni in merito al nucleare, a partire dalla lettura parallela di tre libri:Testa C., Tornare al nucleare? L’Italia, l’energia, l’ambiente, Einaudi, Torino 2008; Clô A., Il rebus energetico, il Mulino, Bologna 2008; Baracca A., L’Italia torna al nucleare? I costi, i rischi, le bugie, Jaca Book, Milano 2008.Di seguito l’articolo uscito nel numero di maggio 2009.

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Il nucleare in ItaliaUna partita tutta da giocare

Chiara Tintori *

Era il novembre del 1987, un anno e mezzo dopo l’incidente alla centrale nucleare di Chernobyl (Bielorussia), quando i cittadini

italiani si espressero sul nucleare con un referendum. La partecipazione al voto fu di poco più del 65% degli aventi diritto e tutti e tre i quesiti registrarono una larga maggioranza contro l’uso dell’energia nucleare 1. Poco più di vent’anni dopo, la coalizione di centro-destra vince le elezioni politiche (13-14 aprile 2008) con un esplicito riferimento, nel programma elettorale, alla «partecipazione ai progetti europei di energia nucleare di ultima generazione» 2.

Sulla scia di questo impegno preso con gli elettori, non sono mancati in que-sto primo anno del IV Governo Berlusconi interventi nella direzione di un ritor-no dell’Italia all’energia nucleare: dal Piano triennale per lo sviluppo 3 del 2008, dove sono contenute le prime norme per la definizione della strategia energetica nazionale, al disegno di legge — già approvato dalla Camera dei Deputati e at-tualmente in discussione presso la X Commissione (Industria, commercio, turismo) del Senato — che dovrebbe fissare il quadro normativo in materia 4. In particola-

* di «Aggiornamenti Sociali».1 Il primo quesito riguardava l’abrogazione della norma che consentiva al CIPE (Comitato interministe-

riale per la programmazione economica) di decidere la localizzazione delle centrali nucleari nel caso in cui gli enti locali non lo avessero fatto nei tempi stabiliti (sì dell’80,6% dei voti validi); il secondo l’abrogazione della norma che stabiliva i compensi monetari ai Comuni che ospitavano centrali nucleari (vinse il sì con il 79,7%); il terzo l’abrogazione della norma che consentiva all’ENEL (Ente nazionale per l’energia elettrica) di partecipa-re ad accordi internazionali per la costruzione e la gestione di centrali nucleari all’estero (vittoria del sì con il 71,9%); cfr <http://referendum.interno.it/dati/tutti%20i%20ref-solo%20tot%20nazionale.zip>.

2 Sette missioni per il futuro del Paese. Il programma del PDL, n. 1, <www.alleanzanazionale.it/Notizie.aspx?p=&key=&id=591>.

3 Cfr ministero Per lo sviluPPo economico, Piano triennale per lo sviluppo, <www.sviluppoeconomico.gov.it/pdf_upload/pacchetto_cdm_18_6_08r_2_.pdf>. Il piano, varato nel giugno 2008 dal Governo, è stato assorbito dalla Legge 6 agosto 2008, n. 133, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competi-tività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria.

4 Cfr Disegno di legge n. 1195, Disposizioni per lo sviluppo e l’internalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia, in <www.senato.it>. L’iter procede a rilento, con incertezze sui tempi di approvazione. Cfr renDina F., «Slitta il piano per il nucleare», in Il Sole 24 Ore, 3 aprile 2009.

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re, l’art. 14 prevede di conferire delega al Governo per stabilire i «criteri per la disciplina della localizzazione di impianti di produzione di energia elettrica nu-cleare nonché dei sistemi di stoccaggio dei rifiuti radioattivi e del materiale nu-cleare nel territorio nazionale e per la definizione delle misure compensative da corrispondere alle popolazioni interessate». L’ultimo atto, in ordine di tempo, è stata la stipula del «Protocollo di accordo sulla materia di cooperazione nel set-tore dell’energia nucleare» 5, firmato dal Presidente del Consiglio italiano e dal presidente francese Nicolas Sarkozy, il 24 febbraio 2009, nel quale, tra l’altro, viene riconosciuto che l’energia nucleare contribuisce alla lotta contro il cambia-mento climatico, riduce la dipendenza dei due Paesi in materia di importazioni di combustibili fossili e assicura energia elettrica a un prezzo competitivo e sta-bile nel tempo 6. Contestualmente al Protocollo, sono stati stipulati due memoran-dum d’intesa tra enel e edf (Electricité de France, l’equivalente francese di enel) per sviluppare e ampliare l’attuale partnership tra le due aziende nel settore dell’energia nucleare; in uno di questi accordi è previsto che, quando sarà com-pletato positivamente l’iter legislativo per il ritorno del nucleare in Italia, le due società collaboreranno per sviluppare, costruire e far entrare in esercizio in Italia almeno quattro centrali nucleari, operative dal 2020.

La questione è molto complessa e non è banalmente riconducibile a «nu-cleare sì» o «nucleare no», ma, più in generale, andrebbe orientata verso alcune domande di fondo: quali opportunità energetiche vogliamo cogliere, a partire dalle condizioni e potenzialità dell’Italia? Sarà la battaglia contro i cambiamen-ti climatici a ridare lustro all’atomo, in virtù del fatto che l’utilizzo di quest’ulti-mo ha emissioni di anidride carbonica molto vicine allo zero? Quali saranno i costi economici, sociali e ambientali? Ancora: il momento attuale di crisi eco-nomica offre condizioni di credito opportune per iniziare la costruzione di nuove centrali? Ma, soprattutto, con quale metodo si intende affrontare il problema?

1. Tre letture sul e del nucleare

Per abbozzare alcune risposte a queste domande, ci lasciamo guidare dalla lettura parallela di tre testi recenti sull’opzione nucleare 7. Si tratta di volumi pensati e scritti con finalità e approcci metodologici differenti: biografico- ambientalista quello di Chicco Testa, tra i fondatori di Legambiente e poi presi-dente di enel dal 1996 al 2002; economico-politico quello di Alberto Clô, già

5 Per il testo del Protocollo cfr <www.archivionucleare.com/files/protocollo-cooperazione-nucleare-italia-francia.pdf>.

6 Sui contenuti del Protocollo si veda l’audizione del ministro Scajola (seduta congiunta delle X Commis-sioni di Camera e Senato) dell’11 marzo 2009. Resoconto sommario in <www.senato.it>; testo integrale dell’intervento in <www.claudioscajola.it>.

7 I volumi analizzati nel presente lavoro sono i seguenti: testa C., Tornare al nucleare? L’Italia, l’energia, l’ambiente, Einaudi, Torino 2008; clô A., Il rebus energetico, il Mulino, Bologna 2008; baracca A., L’Italia torna al nucleare? I costi, i rischi, le bugie, Jaca Book, Milano 2008.

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ministro dell’Industria; «apertamente e volutamente di parte» 8 (antinucleare) quello di Angelo Baracca, professore di Fisica nell’Università di Firenze.

a) Chicco Testa: la conversione di un ambientalista

Sin dalla prima pagina del libro, Testa viene allo scoperto affermando che sulla questione del nucleare ha cambiato idea. Rispetto agli anni ’80, in cui l’autore stesso era in prima fila a manifestare contro il nucleare, sono cambiate almeno quattro cose: il mondo ha bisogno di tanta energia per «crescere economicamente, per continuare a svilupparsi, per uscire dalla povertà che ancora colpisce miliardi di persone» 9. Inoltre, poiché le fonti rinnovabili non sono divenute veramente alternative, «non ci sono modi nuovi per produrre energia in quantità rilevanti e in modo continuo» (p. 10). Terza ragione, molto «ambientalista»: i gas a effetto serra, responsabili del riscaldamento globale. «Va allora onestamente riconosciuto che la conseguenza delle battaglie antinu-cleari è stata anche quella di avere lasciato ulteriore spazio ai combustibili fossili. Con il risultato paradossale di avere contribuito a generare un problema sicuramente maggiore di quello che si riteneva di risolvere» (p. 11). Questa «confessione» sostiene l’intera impalcatura della conversione di Testa al nuclea-re: «Possiamo [...] permetterci di fare a meno dell’unica “grande” fonte di ener-gia praticamente priva di emissioni di gas serra?» (ivi). Infine, la quarta ragione, sul versante della salute pubblica: gli altri gas inquinanti, prodotti non solo dall’utilizzo di combustibili fossili, ma anche dal traffico e dagli impianti indu-striali, sono responsabili di moltissimi decessi (cfr ivi).

Testa affronta la possibilità di scenari alternativi al nucleare: né il rispar-mio o l’efficienza energetica derivanti dalle innovazioni tecnologiche, né lo sviluppo delle fonti rinnovabili potrebbero limitare il ricorso ai combustibili fossili. L’«energia nucleare non è e non sarà l’unica soluzione ai problemi ener-getici e ambientali del pianeta. [...] Solo la cooperazione fra varie fonti di energia — fossili, nucleare, rinnovabili — è in grado di sostenere la crescita economica e dare una mano all’ambiente» (p. 51).

Due capitoli sono dedicati alla percezione del rischio del nucleare negli italiani: «Non vi è dubbio che, fra il parcheggiare il proprio figlio all’interno di una centrale nucleare e regalargli un motorino, la seconda cosa comporti rischi infini-tamente superiori. Eppure regaliamo motorini ai nostri figli e scendiamo in piazza contro le centrali nucleari» (p. 74). Se una certa dose di rischio fa parte della nostra vita quotidiana, perché il nucleare genera tanti timori? L’A. fornisce tre ragioni: l’«impressione prodotta sull’opinione pubblica dall’incidente nella centrale nucle-are di Chernobyl (1986)», le «preoccupazioni relative allo smaltimento delle scorie radioattive prodotte dal normale funzionamento delle centrali» e l’«opposizione

8 baracca A., L’Italia torna al nucleare?, cit., 22.9 testa C., Tornare al nucleare?, cit., 9 (dal volume sono tratte tutte le citazioni di questo paragrafo, con

l’indicazione del numero di pagina nel testo tra parentesi).

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“politica” nei confronti di questa energia [...] in nome di una via alternativa basata sul risparmio energetico e sullo sviluppo delle fonti rinnovabili» (p. 75).

In merito alla questione dei rifiuti radioattivi, Testa non ha remore a defi-nirlo il problema più serio (cfr p. 83), almeno per quanto riguarda i rifiuti ad alta attività 10, in quanto si tratta di individuare un sito, geologicamente stabile e impermeabile alle acque sotterranee, nel quale seppellirli in modo definitivo. È la parola «seppellire» a creare preoccupazioni, perché «i rifiuti nucleari [...] rimangono attivi e pericolosi per migliaia di anni» (p. 84). Di fronte a tale sfida si tratta di «avere o non avere fiducia nella nostra capacità di trovare soluzioni anche a problemi complessi, di cui questo è certamente un esempio. [...] I bene-fici che potremmo ottenere, in termini ambientali e sanitari, dall’uso dell’energia nucleare, comparati ai danni che ci derivano dall’impiego dei combustibili fos-sili, sono tali da spingerci a trovare soluzioni sempre migliori, piuttosto che ad arrenderci e a dichiararci impotenti» (pp. 85 s.).

Il problema del legame tra l’utilizzo pacifico e quello per scopi bellici dell’energia nucleare è liquidato con due considerazioni: la prima è che «la gran parte dello sviluppo nucleare avviene in Stati che possiedono da tempo la bomba atomica» (p. 89); la seconda è che esistono altre minacce, come la guerra chimi-ca e biologica, in grado di produrre danni ugualmente gravi e non controllabili.

Compiuto tale percorso, Testa stupisce con conclusioni inattese: non ritiene «né giusto né sbagliato proporre al nostro Paese di ritornare “al nucleare”», ma «scarsamente utile» (p. 113), in quanto mancano le condizioni politiche e istituzionali. Diverse le ragioni: la scarsissima autorevolezza della comunità scientifica italiana, l’opinione pubblica in preda alla sindrome nimby 11 e la «complicità che ogni potenziale protesta trova a livello istituzionale e politico» (p. 110). Una conclusione amara che rasenta il pessimismo, non solo per il de-stino dell’energia nucleare, ma per l’intera società italiana. Siamo certi che «la destrutturazione dei meccanismi decisionali e della coesione in Italia, rendono di fatto impossibile qualsiasi grande progetto che venga percepito dall’opinione pubblica come potenzialmente rischioso»? (p. 109).

b) Il nucleare di Clô tra passato e presente

Alberto Clô non esita a definire «scellerata» 12 la scelta italiana di uscire dal nucleare, dedicando a questo tema due capitoli di un volume più ampio, che tratta della questione energetica secondo una prospettiva economico-politica. Nel primo di questi — «Il nucleare tra aspettative e realtà» — il professore di Economia

10 Non esiste un metodo di definizione e classificazione dei rifiuti radioattivi universalmente accettato. In Italia l’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale; già ANPA e poi APAT) suddivide le scorie nucleari in tre categorie: a tossicità relativamente bassa, media e alta. Solitamente le prime due cate-gorie vengono accorpate ai fini della destinazione finale, mentre la terza necessita di trattamento differente.

11 Cfr tintori C., «NIMBY (Not In My BackYard)», in Aggiornamenti Sociali, 9-10 (2008) 625-628.12 clô A., Il rebus energetico, cit., 128 (dal volume sono tratte tutte le citazioni del paragrafo, con

l’indicazione del numero di pagina nel testo tra parentesi).

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nell’Università di Bologna focalizza l’attenzione sulle vicende storiche ed econo-miche dell’atomo nel panorama mondiale, contrassegnate da fortune ben lon-tane dalle attese. Dagli anni ’50, «l’uso civile del nucleare si diffonderà in un nu-mero crescente ma comunque molto ristretto di Stati — 31 sui 193 che si contano nel mondo — e sostanzialmente circoscritto a quelli industrializzati» (p. 97).

Il massimo contributo fornito dall’energia nucleare si è avuto nel 1996, con il 18% della produzione elettrica mondiale, molto meno di quanto si era profe-tizzato dopo le crisi petrolifere degli anni ’70. Dopodiché un costante ma ine-sorabile declino: «Tra il 1970 e il 1990 entrano in esercizio 338 centrali, circa 17 ogni anno; dal 1990 al 2005 appena 25, pari a 1,7 centrali all’anno. Dal 1978 negli Stati Uniti e dal 1993 in Europa non se ne è ordinata nessuna» (pp. 98 s.). Alla fine del 2007 nessuna centrale risultava in costruzione in Nord America e solo due in Europa (Finlandia e Francia). Emblematico il caso della Gran Bre-tagna, che nel 2006 non è riuscita a trovare investitori nazionali o stranieri per finanziare la sostituzione del parco di centrali nucleari che le garantiscono un quinto della produzione elettrica complessiva.

Ma quali sono i motivi dell’impasse del nucleare? Ieri come oggi, secondo Clô, ad avviare la crisi del nucleare sono state ragioni di carattere politico-sociale — «lo scetticismo se non l’ostilità della più parte dei Governi e delle opinioni pubbliche all’installazione di nuovi reattori o all’esercizio di quelli esistenti, spe-cie per quanto riguarda, giusto o sbagliato che sia, il loro grado di sicurezza» (p. 103) —, associate a prevalenti ragioni economiche, prima ancora che socioam-bientali. Infatti, in passato erano esistite condizioni che avevano favorito la costru-zione delle centrali, come il sostegno pubblico alle imprese elettriche o «politiche tariffarie che garantivano alle imprese un pieno recupero dei costi sostenuti e [...] un’equa remunerazione degli ingenti capitali investiti» (p. 104). Dunque, l’opzio-ne nucleare non è più economicamente competitiva e non riesce ad attirare investitori: «In un contesto di mercato concorrenziale, di incertezza sull’andamen-to dei costi di costruzione e dei prezzi delle fonti concorrenti, di rischio di doman-da, il nucleare soccombe di fronte ad altre opzioni, in primis al metano» (pp. 105 s.). Le condizioni per un suo rilancio risiedono nella capacità da parte delle politiche pubbliche di affrontare tre questioni irrisolte: lo smaltimento delle scorie radioattive, il rischio di proliferazione degli armamenti nucleari e la conci-liazione tra «mercato e interessi generali, quando, come assodato nel nucleare, il primo non sia in grado di dare loro piena soddisfazione» (p. 110).

Il secondo capitolo dedicato al nucleare — «Il caso italiano tra vecchi op-portunismi e nuove illusioni» — è interamente orientato alle vicende italiane, narrate con la lucidità e la competenza di chi le ha vissute da protagonista, pri-ma come esperto nella Commissione Baffi 13, poi come ministro dell’Industria nel Governo Dini (17 gennaio 1995-17 maggio 1996).

13 Presieduta dal governatore onorario della Banca d’Italia, Paolo Baffi, fu una delle tre commissioni (le altre due, sugli aspetti ambientali e sanitari e su quelli istituzionali, furono guidate rispettivamente da Umberto

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Agli inizi degli anni ’60 l’Italia realizza le prime tre centrali nucleari: Latina (1963), Garigliano e Trino Vercellese (1964). In seguito a vicende legate all’«affaire Ippolito» 14, passano dieci anni (dicembre 1973) prima che il Parla-mento approvi una legge sulle procedure di localizzazione di nuove centrali nu-cleari; nel 1975 il cipe licenzia «il primo (di una lunga serie) Piano energetico nazionale che prevedeva la realizzazione in un decennio di ben 20 centrali nu-cleari per una potenza di 20mila MWe [megawatt elettrici], a cui avrebbero do-vuto seguirne altre per una potenza massima di 62mila MWe. Obiettivo: soddi-sfare in tal modo oltre il 70% dei nostri fabbisogni elettrici, più di quanto andavano decidendo i cugini francesi» (p. 116). Attorno alle modalità di realiz-zazione di quel Piano energetico scoppiò un «estenuante “scontro politico” [...] tra (e all’interno dei) Governi — se ne conteranno ben 14 tra 1973 e 1987 — partiti e loro correnti, sindacati e sindacalisti, Regioni e Comuni, enel, eni, lobby d’ogni sorta» (ivi). In tale «nefasto e biunivoco intreccio tra industria e politica morì il “nucleare all’italiana”»: un violento scontro di interessi per spartirsi una torta «stimabile sino a 100 miliardi di euro attuali» (p. 117). Già nel 1985, dalle 20 centrali inizialmente previste si era scesi a 6, di cui una sola rea-lizzata all’80% (Montalto di Castro) e un’altra (Trino Vercellese 2) appena appal-tata. Paradossalmente, nel 1986, l’anno di Chernobyl, il nucleare raggiunge il suo massimo storico, pari al 4,5% dell’intera produzione elettrica nazionale.

Ma l’«uscita dal nucleare fu [...] una decisione tutta politica» presa prima del referendum del novembre 1987, per la precisione «in occasione delle elezio-ni politiche anticipate del 14 giugno 1987: quando il Partito socialista pose come condizione di ogni futura collaborazione governativa, l’immediato blocco delle centrali nucleari in costruzione [...]. Una decisione ipocrita: perché, da un lato, proibiva la produzione nucleare, ma, dall’altro, ne ammetteva l’impiego tramite importazioni che, da allora, sarebbero più che raddoppiate!» (pp. 118 s.).

La battaglia referendaria, condotta, secondo Clô, sulla base di false argo-mentazioni — prima fra tutte quella che la domanda elettrica nazionale si sareb-be dovuta inevitabilmente ridurre nel tempo — comportò almeno due gravi conseguenze. Innanzitutto, «le grandi competenze, il sapere accumulato nelle scuole universitarie, nelle imprese, nelle risorse umane, in posizione spesso di avanguardia, sarebbe andato irrimediabilmente disperso» (p. 126). In secondo luogo, «un’enorme quantità di denaro che si andava a gettar via per quanto già realizzato, nell’ordine di grandezza di 4 miliardi di euro attuali da rimborsare a enel e una cifra ancor più elevata, ancorché difficile da stimare, per i generosi indennizzi riconosciuti alle aziende fornitrici» (p. 125); a ciò si aggiunga un maggior costo sia delle importazioni di petrolio sia dell’elettricità.

Veronesi e Leopoldo Elia) che preparò il materiale per i lavori della «Conferenza nazionale dell’energia» del 24-27 febbraio 1987, richiesta all’unanimità dal Parlamento all’indomani dell’incidente nucleare di Chernobyl.

14 Felice Ippolito, scienziato e segretario generale del CNEN (Comitato nazionale per l’energia nucleare), fu condannato nel 1963 per malversazione; scontò in carcere 2 anni dei 12 previsti.

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Nonostante questa vicenda, sarebbe «errato ritenere (o auspicare) che l’era del nucleare abbia esaurito le sue potenzialità tecnologico/produttive [...]. Il nucleare è, insieme, opportunità e rischio della società contemporanea. Ne rap-presenta una contraddizione interna più che un impedimento al suo progresso. Rinunciarvi è ancor più erroneo che credervi acriticamente» (p. 98). Tuttavia, le conclusioni per la realtà italiana sono differenti: «È mia opinione che — allo stato delle cose — l’opzione nucleare per il nostro Paese non sia né realistica né conveniente» (p. 129). Come nel volume di Testa, sembrano prevalere l’ama-rezza e il pessimismo.

c) I rischi e le bugie: il j’accuse di Baracca

Un libro «apertamente e volutamente di parte» è quello di Angelo Baracca, attivista del movimento antinucleare ed ecopacifista. Proprio questa matrice pervade l’intera trattazione, declinandosi in due assunti di fondo: 1) il nucleare «è una tecnologia intrinsecamente “a doppio uso” (dual-use), nel senso che le applicazioni civili non possono essere separate in modo netto da quelle militari» 15; 2) i programmi di rilancio del nucleare alimentano «ancora l’illusione che sia possibile continuare a consumare energia e risorse e a crescere impunemente: tanto ci penserà il nucleare, quando è invece ormai chiaro che il Pianeta non sarà in grado di reggere ritmi di crescita e di consumi di questo genere» (p. 21).

Circa le vicende italiane, si precisa che «dopo il referendum del 1987 (qua-lunque sia il giudizio che se ne dia) tutte le strutture e le competenze che co-munque si erano accumulate in Italia sul nucleare sono state frettolosamente (con stile italiano) smantellate, o dirottate verso altri settori» (p. 31). Basta ciò a ritenere altamente improbabile un rilancio del nucleare nel breve periodo, visto l’elevato grado di complessità di un simile percorso. Nonostante ciò le prospettive sono delle più inquietanti, poiché «questo Governo sembra pronto a lanciarsi nei progetti più folli» (p. 37).

Riguardo alla stagnazione del nucleare civile nel mondo, dal 1990 i pro-grammi non danno segni di ripresa. La costruzione di nuovi reattori è attualmen-te concentrata in Asia, con 29 unità secondo l’iaea (International Atomic Energy Agency, <www.iaea.org>) al 31 dicembre 2007; in Europa, difficilmente si riesce a programmare la sostituzione dei reattori «vecchi» (con 30-40 anni di vita).

Le riflessioni sui disastri sanitari e ambientali costituiscono una sorta di intermezzo del volume, con l’obiettivo prioritario di «sfatare tutta una serie di miti e portare all’attenzione della gente le gravi conseguenze sanitarie e ambien-tali che si sono accumulate durante l’era nucleare» (p. 73). In primo luogo, se-condo Baracca, si è rimosso Chernobyl: a più di vent’anni dal disastro è stata compiuta un’«operazione di minimizzazione e di rimozione» (p. 75). Più in ge-

15 baracca A., L’Italia torna al nucleare?, cit., 12 (dal volume sono tratte tutte le citazioni di questo pa-ragrafo, con l’indicazione del numero di pagina nel testo tra parentesi).

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nerale «l’opinione pubblica viene tenuta all’oscuro degli incidenti che si verifi-cano nei reattori nucleari, molti sono coperti da segreto militare; quando avven-gono si cerca di solito di nasconderli (come l’incidente alla centrale Asco-I avvenuto in Spagna il 7 novembre 2007 e rivelato solo l’8 aprile 2008, e per gli incidenti nelle centrali giapponesi), poi vengono sistematicamente minimizzati dicendo che non vi è stata nessuna conseguenza all’esterno della centrale (come in occasione dell’incidente alla centrale in Slovenia del 4 giugno 2008), e rapi-damente vengono dimenticati: solo così è possibile sbandierare la sicurezza degli impianti nucleari, su cui la lobby nucleare giura!» (pp. 77 s.). A ciò si ag-giunga che la «tecnologia nucleare, in tutte le sue forme, ha [...] provocato un drammatico inquinamento radioattivo dell’atmosfera terrestre, con conseguenze gravissime sulla salute e sull’ambiente» (p. 86).

L’affondo di Baracca è impetuoso e sostenuto da documentati studi: in se-guito a test nucleari in atmosfera (come ammesso dalle autorità governative statunitensi nel 2002) e al crescente numero di reattori nucleari attivi, oggi la popolazione americana «soffre di un’epidemia di malattie legate alle radiazioni: mortalità infantile, sottopeso alla nascita, cancri, leucemie, disturbi cardiaci, autismo, diabete, Parkinson, asma, sindrome da affaticamento cronico, ipotiroi-dismo in neonati, obesità, danni al sistema immunitario» (p. 88).

Baracca dedica ampio spazio alle proposte di rilancio dei programmi nucleari, soffermandosi sui «mitici reattori di 4a generazione, che secondo gli alfieri del nucleare risolveranno tutti i problemi» (p. 95). È previsto che essi debbano rispettare i requisiti di: sostenibilità, ovvero massimo utilizzo del com-bustibile e minimizzazione dei rifiuti radioattivi; economicità, cioè basso costo del ciclo di vita e livello di rischio finanziario equivalente a quello di altri im-pianti energetici; sicurezza e affidabilità, anche nel caso di eventuali gravi erro-ri umani; resistenza alla proliferazione e protezione fisica contro gli attacchi terroristici (cfr pp. 155 s.). Al di là del fatto che non saranno disponibili prima del 2030, essi non risolveranno il problema delle scorie nucleari, né quello della sicurezza dei siti: «Un grave incidente nucleare avrebbe conseguenze di gravità incalcolabile, anche sulle generazioni future, per cui deve essere asso-lutamente escluso!» (p. 127).

Nel definirsi parte di «quelli del no», Baracca conclude il suo libro denun-ciando «questo modello insensato e iniquo di sviluppo, di consumi e di vita» (p. 193) che viene posto sul banco degli imputati: «I nostri “no” agli inceneritori e alle discariche altro non sono che la logica, inevitabile conseguenza dei “no” che il potere pervicacemente oppone a tutte le proposte di riduzione dei rifiuti, di eliminazione degli sprechi, di elementare razionalizzazione della produzione e della distribuzione» (p. 194). L’A. propone tre alternative al nucleare: valoriz-zare il risparmio energetico, anche come occasione per rimettere in discussione il modo in cui produciamo e consumiamo; eliminare uno degli sprechi più insen-sati e ignobili, le guerre; «spingere il più possibile sulle fonti energetiche rinno-vabili» (p. 200), che consentono una produzione decentrata.

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2. Quando non basta prendere posizione

La lettura di questi tre testi ci ha consentito di situare la questione del nuclea-re nella sua complessità. È molto interessante sottolineare che, a parte Baracca, in partenza già contrario al nucleare, Testa e Clô — il primo ambientalista «conver-tito», il secondo favorevole al nucleare sin dalle origini — pervengono a conclu-sioni simili: pur cogliendo i benefici potenziali dell’opzione nucleare, mostrano la sua irrealizzabilità nell’attuale contesto italiano. Come precisato in apertura, riteniamo banale e fuorviante ridurre la questione del nucleare a una presa di po-sizione a favore o contro; ci pare più proficuo approfondire tre nodi problematici.

a) Nucleare e clima

Non vi è dubbio che l’energia nucleare abbia basse emissioni di anidride carbonica e che un suo impiego comporterebbe in qualche misura benefici nel contrastare i cambiamenti climatici. Tuttavia, far passare il nucleare come la panacea nella lotta agli stessi o la soluzione ai problemi energetici appare inavve-duto, se non altro per le problematiche ancora irrisolte che l’atomo porta con sé.

All’interno del «pacchetto 20-20-20» su energia e cambiamenti climatici 16, il Governo italiano ha preso con l’ue l’impegno di coprire il 20% di consumo di ener-gia da fonti rinnovabili e di portare al 20% il risparmio energetico entro il 2020. Ma lo stesso Governo ritiene che il nucleare possa coprire, nel 2020, il 25% della produzione di energia elettrica. Non è difficile comprendere, date le quantità in gioco, che si tratta di obiettivi nella pratica tra loro incompatibili, anche solo dal punto di vista delle risorse tecnologiche, gestionali e finanziarie da mettere in campo. Certamente, una politica energetica che ostacoli efficacemente i cambia-menti climatici ha bisogno di essere integrata, deve cioè comprendere una combi-nazione di alternative (risparmio energetico, tecnologie per il sequestro del carbo-nio, fonti rinnovabili, ecc.); molti ritengono che vi sia posto anche per il nucleare 17. Esperienze già in atto in Spagna, Germania e Danimarca mostrano come un impe-gno deciso nella direzione delle energie rinnovabili rappresenti già una straordina-ria opportunità per lo sviluppo delle imprese, dell’occupazione e dell’economia.

b) Benefici, costi e rischi

Nel Protocollo firmato con la Francia nel febbraio 2009 si afferma che l’energia nucleare concorre a ridurre la dipendenza in materia di importazione di combustibili fossili. Tuttavia lo stesso ministro Scajola ammette: «È vero poi che dovremmo continuare a importare petrolio per riscaldarci e muoverci, ma l’elettricità pesa molto sui bilanci delle imprese» 18. Anche la Francia importa

16 Cfr tintori C., «Energia e clima: il compromesso europeo», in Aggiornamenti Sociali, 2 (2009) 123-132.17 Cfr aggiornamenti sociali, «Energia, una questione sovranazionale. Intervista a Corrado Clini», in

Aggiornamenti Sociali, 6 (2008) 451-458.18 scaJola C., «Il nucleare», in Corriere della Sera, 13 marzo 2009.

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petrolio e noi, se anche riuscissimo a costruire centrali nucleari in grado di co-prire il 25% dei consumi elettrici attesi nel 2020, dovremmo continuare a im-portare non solo petrolio, ma anche uranio. Verosimilmente l’opzione nucleare non costituisce un beneficio in termini di sicurezza energetica, cioè non renderà l’Italia più autonoma dalle importazioni; al massimo cambierà la pro-spettiva geopolitica e dunque i Paesi da cui l’Italia dipende 19.

Lo stallo del nucleare civile nel mondo fa sorgere qualche dubbio sulla sua sostenibilità economica. Quanto costa costruire una centrale nucleare? Le stime oscillano da 2 a 5 miliardi di euro per 1.000 megawatt: si tratta di investi-menti imponenti, con tempi incerti e con scarse probabilità di ripagarsi, se non in un mercato con prezzi stabili, quale non è quello energetico. Ne è cosciente il ministro Scajola: «Si afferma poi che le centrali nucleari sarebbero troppo costose, valutazione che credo vada lasciata al mercato. Saranno le imprese energetiche a decidere in autonomia se investire nel nucleare» 20.

In merito ai rischi, il fatto che l’art. 14 del disegno di legge in discussione al Senato preveda che alle popolazioni interessate dalla localizzazione di una centrale nucleare debbano essere corrisposte misure compensative mani-festa l’elevato grado di rischio a cui verrebbero sottoposte. Dunque ci si può seriamente chiedere se si tratta realmente di un problema di percezione del rischio — vi sarebbe ragione di predisporre meccanismi «indennizzanti»? —, o di un rischio reale, di fronte al quale sarebbe più responsabile attivare percorsi infor-mativi e decisionali all’altezza della complessità del problema. La percezione del nucleare resta comunque problematica, dato che la percentuale di italiani favorevoli a centrali nucleari sul nostro territorio si attesta attorno al 50%, ma scende al 15% se la centrale è situata entro 40 km dalla propria abitazione 21.

Di fatto non esistono centrali nucleari che diano totali garanzie di sicurezza, e il concetto di sicurezza usato per il nucleare non è lo stesso che si applica, ad esempio, ad altri impianti energetici. Se un incidente in una centrale nuclea-re ha probabilità molto basse di verificarsi, è pur vero che potrebbe avere effet-ti devastanti senza paragone. Questa è la posta in gioco: trovarsi di fronte a un rischio con una dimensione qualitativa e quantitativa incomparabile con quella di qualunque alternativa energetica rischiosa 22.

c) Uno sguardo sulle generazioni future

Un fardello non indifferente che il nucleare porta con sé, come affermano concordemente Testa, Clô e Baracca, è il problema dello stoccaggio delle sco-

19 Le miniere di uranio si trovano principalmente in Australia, Canada e Kazachstan. Seguono Niger, Russia, Namibia, Uzbekistan, USA, Sudafrica e Cina.

20 scaJola C., «Il nucleare», cit.21 Cfr ferraguto L. – sileo A., «Per il nucleare un consenso mutante», 25 febbraio 2009, in <www.la

voce.info>; agnoli S., «Il nucleare? Sì per il 55%. Ma solo se lontano da casa», in Corriere della Sera, 21 marzo 2009.

22 Cfr beck U., «La retorica delle eco-centrali», in la Repubblica, 24 luglio 2008.

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rie. A oggi nel mondo esistono solo siti provvisori, che lasciano in eredità alle generazioni future un problema di portata immensa, mettendo in discussione lo sviluppo sostenibile, cioè la possibilità che, soddisfacendo i nostri bisogni, con-sentiamo ai posteri di fare altrettanto, consegnando loro un ambiente che non sia irrimediabilmente distrutto dagli scarti e dai rifiuti delle nostre attività 23.

La responsabilità per le generazioni future, anche e soprattutto di fronte all’opzione nucleare, implica una riflessione sul nostro modello di sviluppo, così difficile da orientare al risparmio e alla riduzione dei consumi. Non va di-menticato che «l’energia ha valore di mezzo, e non di fine, in quanto essa deve avere come obiettivo la soddisfazione dei bisogni vitali e il miglioramento della qualità della vita» 24. Il risparmio energetico, o meglio la «sobrietà energetica» 25, la diffusione di fonti rinnovabili, la produzione di energia decentrata, a caratte-re territoriale, governabile molto di più dal lato della domanda che non da quel-lo dell’offerta, saranno strumenti per far crescere un sistema di valori orientato al domani.

***

Se desta stupore la rapidità con cui l’Italia si è rimessa in gioco sul nuclea-re, resta tuttavia da capire se stiamo assistendo a una grida manzoniana: la ri-presa del nucleare sarà una nuova tav e l’Esecutivo si troverà a duellare ritar-dando la partenza dei lavori o rinviandola all’infinito?

Con la lettura parallela dei tre volumi abbiamo esplorato la complessità della questione; il fatto che manchi un dibattito all’altezza delle difficoltà, un confronto serio tra tutti gli attori in gioco, non solo è miope, ma costituisce un errore di metodo, una carenza democratica. Affinché la costruzione delle centrali nucleari in Italia — ammesso che il mercato risponda con l’entu-siasmo atteso — non si riduca all’ennesima questione di ordine pubblico (come già i rifiuti a Napoli, l’immigrazione, la prostituzione, la riforma scolastica, ecc.) 26, sarebbe opportuno avviare un processo di coinvolgimento e di partecipazione dei cittadini: è «fondamentale fornire informazioni documentate, che diano obietti-vamente conto dei problemi, senza mascherarli, ma anche senza maggiorarli indebitamente, promovendo un interfaccia tra scienza e società basato su una reciproca disponibilità alla comunicazione. [...] Il consenso sociale è la sola via per scongiurare la tentazione del pragmatismo, che conduce alla deeticizzazione delle scelte» 27.

23 Cfr tintori C., «Sviluppo sostenibile», in Aggiornamenti Sociali, 12 (2004) 817-820.24 Piana G., «La questione del “nucleare”: orientamenti etici», in Aggiornamenti Sociali, 2 (1988) 107-

123.25 Cfr tintori C., «Energia e clima», cit., 131.26 Cfr sorge B., «“Tolleranza zero” o cittadinanza attiva?», in Aggiornamenti Sociali, 12 (2008) 725-

730.27 Piana G., Efficienza e solidarietà. L’etica economica nel contesto della globalizzazione, Effatà editrice,

Cantalupa (TO) 2009, 170.