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http://www.lavoce.info/il-nepotismo-accademico-tra-mito-e-realta/ May 3, 2013 Il nepotismo accademico tra mito e realtà Si è diffusa la convinzione che un qualsiasi legame di parentela all’interno di un’università sia da etichettare come forma di nepotismo. Tanto che per limitare il fenomeno è stata anche approvata una legge. Ma è una norma discriminatoria perché l’evidenza empirica non giustifica i pregiudizi. FIGLI NELL’UNIVERSIT À In un paese con i livelli di corruzione e clientelismo come il nostro e con un sistema universit ario privo di quei meccanismi competitivi che stimolano il miglioramento continuo e inducono efficienza nella selezione del personale, è quasi inevitabile che un qualsiasi legame parentale all’interno di un’università sia automaticamente etichettato come espressione di nepotismo. Una convinzione tanto profonda e diffusa che si è inteso perfino legiferare in merito. La legge n. 240 del 30 dicembre 2010 stabilisce all’articolo 18 che non possono partecipare ai procedimenti di chiamata dei professori coloro che abbiano un grado di parentela o di affinità fino al quarto grado compreso, con un professore appartenente al dipartimento o alla struttura che effettua la chiamata ovvero con il rettore, il direttore generale o un componente del consiglio di amministrazione dell’ateneo. In realtà, le evidenze empiriche che legittimano questa posizione sono molto deboli, perché se è vero che gli alti tassi di omonimia nelle università italiane non possono essere ritenuti casuali, l’evidenza in sé non può essere considerata prova di nepotismo. (1) Infatti nulla esclude che i “figli” abbiano effettivamente meritato la loro posizione universitaria. Una varietà di studi sociologici ha dimostrato che i genitori possono trasmettere ai figli conoscenze specialistiche utili ai fini della carriera. Altri lavori a sostegno dell’evidenza del nepotismo, mostrano una correlazione forte e negativa tra tassi di omonimia nelle facoltà italiane e performance scientifica delle stesse. (2) Le conclusioni risultano però affette da due debolezze non trascurabili. In primis, il numero dei “figli” è in genere relativamente modesto rispetto allo staff dell’intera facoltà per poter immaginare che la performance dei primi possa incidere in modo così rilevante su quella della seconda. Inoltre, le classifiche di performance utilizzate dagli autori (prodotte da Censis, Crui, e Civr) scaturiscono da procedimenti di misura del tutto inadeguati sul piano scientifico e troppo approssimati per poter essere considerati affidabili. CONFRONT O FRA PRODUT T IVIT À E CARRIERE Per provare a dirimere la questione, abbiamo confrontato individualmente la performance di ricerca dei “f igli” con quella dei “non f igli” dello stesso settore scientifico disciplinare, ruolo d’inquadramento e anzianità. La misura, condotta con tecniche bibliometriche, ha riguardato la produttività di ricerca nel quinquennio 2004-2008 degli accademici delle discipline scientifico- tecnologiche assunti o avanzati di ruolo nei tre anni precedenti. (3) I risultati rivelano che in media i “figli”, la cui concentrazione è piuttosto omogenea nelle diverse aree disciplinari analizzate, hanno una performance di ricerca che non è significativamente diversa da quella dei colleghi “non figli”. (4) Un approfondimento a livello geografico ha mostrato addirittura che nelle università del Centro Italia i “figli” hanno in media una produttività di ricerca maggiore di quella dei “non figli”, mentre al Nord e al Sud i valori di produttività sono pressoché identici. Un’ulteriore analisi dei successivi avanzamenti di carriera ha evidenziato che la proporzione dei “figli” vincitori di concorso nel periodo 2004-2008 è del tutto simile a quella dei “non figli” e, in effetti, la loro performance scientifica è in media molto superiore a quella di coloro che non sono avanzati di posizione. Infine, i “figli” non risultano meno discriminati dei “non figli”, infatti il 26 per cento dei “figli” che si collocano al top 20 per cento per performance non è riuscito a ottenere un pur meritato avanzamento di carriera, contro il 23 per cento dei “non figli”. Si può quindi concludere che le università siano immuni dal virus del nepotismo? Assolutamente no: il 7 per cento dei “figli” non ha realizzato alcuna pubblicazione scientifica in

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Il nepotismo accademico tra mito e realtà

Si è diffusa la convinzione che un qualsiasi legame di parentela all’interno di un’università sia daetichettare come forma di nepotismo. Tanto che per limitare il fenomeno è stata anche approvatauna legge. Ma è una norma discriminatoria perché l’evidenza empirica non giustifica i pregiudizi.

FIGLI NELL’UNIVERSITÀ

In un paese con i livelli di corruzione e clientelismo come il nostro e con un sistemauniversitario privo di quei meccanismi compet it ivi che st imolano il miglioramento cont inuo einducono ef f icienza nella selezione del personale, è quasi inevitabile che un qualsiasi legameparentale all’interno di un’università sia automat icamente et ichettato come espressione dinepotismo.Una convinzione tanto profonda e dif fusa che si è inteso perf ino legiferare in merito. La leggen. 240 del 30 dicembre 2010 stabilisce all’art icolo 18 che non possono partecipare aiprocediment i di chiamata dei professori coloro che abbiano un grado di parentela o di af f initàf ino al quarto grado compreso, con un professore appartenente al dipart imento o alla strut turache ef fet tua la chiamata ovvero con il ret tore, il diret tore generale o un componente delconsiglio di amministrazione dell’ateneo.In realtà, le evidenze empiriche che legit t imano questa posizione sono molto deboli, perché seè vero che gli alt i tassi di omonimia nelle università italiane non possono essere ritenut i casuali,l’evidenza in sé non può essere considerata prova di nepot ismo. (1) Infat t i nulla esclude che i“f igli” abbiano ef fet t ivamente meritato la loro posizione universitaria. Una varietà di studisociologici ha dimostrato che i genitori possono trasmettere ai f igli conoscenze specialist icheut ili ai f ini della carriera. Alt ri lavori a sostegno dell’evidenza del nepot ismo, mostrano unacorrelazione forte e negat iva t ra tassi di omonimia nelle facoltà italiane e performancescient if ica delle stesse. (2) Le conclusioni risultano però af fet te da due debolezze nontrascurabili. In primis, il numero dei “f igli” è in genere relat ivamente modesto rispetto allo staf fdell’intera facoltà per poter immaginare che la performance dei primi possa incidere in modocosì rilevante su quella della seconda. Inolt re, le classif iche di performance ut ilizzate dagli autori(prodotte da Censis, Crui, e Civr) scaturiscono da procediment i di misura del tut to inadeguat i sulpiano scient if ico e t roppo approssimat i per poter essere considerat i af f idabili.

CONFRONTO FRA PRODUTTIVITÀ E CARRIERE

Per provare a dirimere la quest ione, abbiamo confrontato individualmente la performance diricerca dei “f igli” con quella dei “non f igli” dello stesso settore scient if ico disciplinare, ruolod’inquadramento e anzianità. La misura, condotta con tecniche bibliometriche, ha riguardato laprodutt ività di ricerca nel quinquennio 2004-2008 degli accademici delle discipline scient if ico-tecnologiche assunt i o avanzat i di ruolo nei t re anni precedent i. (3)I risultat i rivelano che in media i “f igli”, la cui concentrazione è piut tosto omogenea nelle diversearee disciplinari analizzate, hanno una performance di ricerca che non è signif icat ivamentediversa da quella dei colleghi “non f igli”. (4) Un approfondimento a livello geograf ico ha mostratoaddirit tura che nelle università del Centro Italia i “f igli” hanno in media una produtt ività di ricercamaggiore di quella dei “non f igli”, mentre al Nord e al Sud i valori di produtt ività sono pressochéident ici.Un’ulteriore analisi dei successivi avanzament i di carriera ha evidenziato che la proporzione dei“f igli” vincitori di concorso nel periodo 2004-2008 è del tut to simile a quella dei “non f igli” e, inef fet t i, la loro performance scient if ica è in media molto superiore a quella di coloro che nonsono avanzat i di posizione. Inf ine, i “f igli” non risultano meno discriminat i dei “non f igli”, infat t i il26 per cento dei “f igli” che si collocano al top 20 per cento per performance non è riuscito aottenere un pur meritato avanzamento di carriera, contro il 23 per cento dei “non f igli”.Si può quindi concludere che le università siano immuni dal virus del nepotismo?Assolutamente no: il 7 per cento dei “f igli” non ha realizzato alcuna pubblicazione scient if ica in

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cinque anni e il 15 per cento non è mai stato citato; inolt re l’8 per cento dei “f igli” è avanzato diruolo pur facendo parte del 20 per cento degli accademici con la performance più bassa. D’alt rocanto i “non f igli” registrano percentuali superiori: rispett ivamente 10, 16 e 11 per cento. Si puòquindi af fermare con alt ret tanta certezza che la probabilità di commettere un errorenell’accusare un “f iglio” di non meritare la sua posizione accademica è la stessa che si avrebbenell’accusare dello stesso fat to un “non f iglio”.Il dif fuso pregiudizio negat ivo sui “f igli” e, soprat tut to, sui “padri” risulta quindi privo di qualsiasifondamento empirico che possa legit t imarlo. Il disposit ivo di cui all’art icolo 18 della legge 240 èda considerarsi pertanto discriminatorio, in quanto priva i “f igli” della libertà di concorrereall’accesso all’università che più li aggrada per la semplice “colpa” di avere un “padre” nellastessa.

(1) Allesina, S. (2011), “Measuring nepot ism through shared last names: The case of Italianacademia”, PlosONE 6(8)(2) Si veda Durante, R., Labart ino, G., Perot t i, R., Tabellini, G. (2009), “Academic dynast ies”,Bocconi University Working Paper; e Durante, R., Labart ino, G., Perot t i, R. (2011), “Academicdynast ies: decentralizat ion and familism in the Italian academia”, Nber Working Paper No. 17572(3) Calcolata come somma del grado di proprietà delle citazioni standardizzate degli art icolipubblicat i in riviste censite da Web of Science (WoS) nel periodo 2004-2008. Il grado di proprietàè l’inverso del numero degli autori ovvero, nelle scienze della vita, funzione dell’ordine degliautori nella lista. La standardizzazione delle citazioni di ciascun art icolo è condotta dividendoleper la media (senza zeri) delle citazioni degli art icoli dello stesso anno e della stessa categoriaWoS.(4) Abramo G., D’Angelo C.A., Rosat i F., “Relat ives in the same university faculty: nepot ism ormerit?” Working Paper LabRTT.http://www.disp.uniroma2.it/laboratoriortt/TESTI/Working%20paper/Nepostism.pdf