Il "modello astronauta" e l'utopia ecologica possibile

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Il ʺmodello astronautaʺ e l’utopia ecologica possibile Già Kant, ancora prima del Romanticismo, si rese conto dell’importanza che riveste il rapporto dell’uomo con la natura, arrivando a parlare di sentimento del sublime, ossia ciò che l’io prova nel confrontarsi con il mondo naturale circostante. Nella riflessione kantiana, tanto il sublime matematico (quando la natura mostra la sua grandezza e immensità spaziale: oceani, deserti, il cosmo) quanto il sublime dinamico (quando la natura mostra tutta la sua potenza: terremoti, uragani, catastrofi), sono declinazioni di quell’originale taumazein che caratterizza l’animo umano. Di fronte a fenomeni così potenti e smisurati l’uomo prova paura, smarrimento, inferiorità, e ancora angoscia, ansia, agitazione. Ma anche un segreto, sotterraneo, eccitante e misterioso sentimento di entusiasmo ed esaltazione, poiché la mente umana si lascia spesso trascinare da una potente fantasia e capacità immaginativa in grado di creare scenari sconfinati, come quelli della fantascienza. E’ singolare che il connubio tra natura, sentire umano (il sublime kantiano) e fantascienza abbia spesso partorito aberrazioni ecologiche come gli scenari del filone apocalittico e post-apocalittico. La fantascienza declinata in senso pessimistico ha dato luogo infatti nel corso della storia della letteratura e del cinema all’immaginazione di distopie in cui un cataclisma naturale ha distrutto il mondo per come lo conosciamo noi oggi, dando vita ad una nuova era in cui si lotta per sopravvivere e la società è regredita ad un primitivo stadio pre-industriale. Perché questa riflessione sulle caratteristiche e i cliché della fantascienza di consumo? Cosa ci dice tutto questo? Forse che l’uomo, inconsciamente o più o meno consciamente, anche quando non è uno scienziato o un esperto in materia o un giornalista ambientale, ma magari un semplice scrittore o regista, si rende conto che il nostro atteggiamento anti-ecologico nei confronti del pianeta e della natura ci porterà, in un tempo lontanissimo o forse semplicemente lontano o neanche molto lontano, ad una catastrofe che probabilmente non avverrà nel modo improvviso e distruttivo come la letteratura o la filmografia del genere prevedono, ma in modo lento, graduale e ugualmente deleterio. Sono poche, invece, le previsioni letterarie o cinematografiche pensate in senso ottimistico, l’utopia felice, o, in questo senso, l’utopia ecologica, una campanelliana Città del sole declinata in senso ambientalista. Sono poche o perché in un mondo perfetto ci sarebbe poco di interessante da raccontare oppure, più verosimilmente, perché nessuno ci crede. Ma esiste o può esistere il contrario della distopia catastrofica, ovvero una utopia ecologica possibile? Forse una strategia esiste. Un metodo, un sistema, uno schema, che in questa sede potremmo definire il ʺmodello astronautaʺ. Il mondo contemporaneo vive l’urgenza e la necessità imminente di individuare un modello di sviluppo che consenta un’evoluzione in grado di affrontare il problema del limite delle risorse e gestirlo coscienziosamente. Vivere bene ma vivere senza sprechi, senza sperperi, senza consumismi, vivere bene ma vivere all’insegna della sobrietà e della frugalità, eliminando il superfluo, alla ricerca di ciò che è davvero essenziale. Il ʺmodello astronautaʺ è questo: una gestione moderata, coscienziosa ed oculata delle risorse, previdente e lungimirante, un giusto ed equilibrato sentiero di mezzo tra il troppo e il troppo poco, come solo un astronauta nello spazio sa fare, perché sa che se non lo farà ne andrà di mezzo la sua stessa vita. Tutto, in un habitat tecnologico orbitante, è controllato, organizzato, prestabilito, misurato, centellinato. Dal cibo ai nutrimenti di vario genere, dal vestiario agli oggetti personali, dalle modalità di igiene personale allo smaltimento dei rifiuti, finanche all’ossigeno che si respira e che permette di essere vivi. Una gestione delle risorse incredibilmente funzionale ed efficiente, estremamente pianificata e parsimoniosa, estremamente razionalizzata e parcellizzata, insomma proprio quel tipo di gestione delle risorse di cui l’umanità ha

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Articolo di Lorenzo De Donato per Giornalisti Nell'Erba

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Il ʺmodello astronautaʺ e l’utopia ecologica possibile

Già Kant, ancora prima del Romanticismo, si rese conto dell’importanza che riveste il rapporto

dell’uomo con la natura, arrivando a parlare di sentimento del sublime, ossia ciò che l’io prova nel confrontarsi con il mondo naturale circostante. Nella riflessione kantiana, tanto il sublime matematico (quando la natura mostra la sua grandezza e immensità spaziale: oceani, deserti, il cosmo) quanto il sublime dinamico (quando la natura mostra tutta la sua potenza: terremoti, uragani, catastrofi), sono declinazioni di quell’originale taumazein che caratterizza l’animo umano. Di fronte a fenomeni così potenti e smisurati l’uomo prova paura, smarrimento, inferiorità, e ancora angoscia, ansia, agitazione. Ma anche un segreto, sotterraneo, eccitante e misterioso sentimento di entusiasmo ed esaltazione, poiché la mente umana si lascia spesso trascinare da una potente fantasia e capacità immaginativa in grado di creare scenari sconfinati, come quelli della fantascienza.

E’ singolare che il connubio tra natura, sentire umano (il sublime kantiano) e fantascienza abbia spesso partorito aberrazioni ecologiche come gli scenari del filone apocalittico e post-apocalittico. La fantascienza declinata in senso pessimistico ha dato luogo infatti nel corso della storia della letteratura e del cinema all’immaginazione di distopie in cui un cataclisma naturale ha distrutto il mondo per come lo conosciamo noi oggi, dando vita ad una nuova era in cui si lotta per sopravvivere e la società è regredita ad un primitivo stadio pre-industriale.

Perché questa riflessione sulle caratteristiche e i cliché della fantascienza di consumo? Cosa ci dice tutto questo? Forse che l’uomo, inconsciamente o più o meno consciamente, anche quando non è uno scienziato o un esperto in materia o un giornalista ambientale, ma magari un semplice scrittore o regista, si rende conto che il nostro atteggiamento anti-ecologico nei confronti del pianeta e della natura ci porterà, in un tempo lontanissimo o forse semplicemente lontano o neanche molto lontano, ad una catastrofe che probabilmente non avverrà nel modo improvviso e distruttivo come la letteratura o la filmografia del genere prevedono, ma in modo lento, graduale e ugualmente deleterio. Sono poche, invece, le previsioni letterarie o cinematografiche pensate in senso ottimistico, l’utopia felice, o, in questo senso, l’utopia ecologica, una campanelliana Città del sole declinata in senso ambientalista. Sono poche o perché in un mondo perfetto ci sarebbe poco di interessante da raccontare oppure, più verosimilmente, perché nessuno ci crede.

Ma esiste o può esistere il contrario della distopia catastrofica, ovvero una utopia ecologica possibile? Forse una strategia esiste. Un metodo, un sistema, uno schema, che in questa sede potremmo definire il ʺmodello astronautaʺ.

Il mondo contemporaneo vive l’urgenza e la necessità imminente di individuare un modello di sviluppo che consenta un’evoluzione in grado di affrontare il problema del limite delle risorse e gestirlo coscienziosamente. Vivere bene ma vivere senza sprechi, senza sperperi, senza consumismi, vivere bene ma vivere all’insegna della sobrietà e della frugalità, eliminando il superfluo, alla ricerca di ciò che è davvero essenziale. Il ʺmodello astronautaʺ è questo: una gestione moderata, coscienziosa ed oculata delle risorse, previdente e lungimirante, un giusto ed equilibrato sentiero di mezzo tra il troppo e il troppo poco, come solo un astronauta nello spazio sa fare, perché sa che se non lo farà ne andrà di mezzo la sua stessa vita. Tutto, in un habitat tecnologico orbitante, è controllato, organizzato, prestabilito, misurato, centellinato. Dal cibo ai nutrimenti di vario genere, dal vestiario agli oggetti personali, dalle modalità di igiene personale allo smaltimento dei rifiuti, finanche all’ossigeno che si respira e che permette di essere vivi. Una gestione delle risorse incredibilmente funzionale ed efficiente, estremamente pianificata e parsimoniosa, estremamente razionalizzata e parcellizzata, insomma proprio quel tipo di gestione delle risorse di cui l’umanità ha

bisogno, quello stesso modello che se esistesse anche sul pianeta, trasferito dal contesto del viaggio spaziale ai contesti della quotidianità, permetterebbe risparmi e miglioramenti incredibilmente vantaggiosi.

L’applicazione concreta sul pianeta di questo tipo particolare di economia domestica che l’uomo adotta in certi ambienti come quello cosmico significa ovviamente un cambio di mentalità. ʺDalle stelle alle stalleʺ, e non in senso figurato. Perché l’astronauta ha questa accuratezza e maniacale attenzione nella sua quotidianità a bordo? Per sopravvivere, perche l’ambiente non è il suo, perche l’ambiente gli è ostile e deve adottare strategie inusuali e complesse per sopravvivere. Allo stesso modo il nostro pianeta sta diventando e continuerà a diventare nei decenni e secoli futuri un ambiente talmente ostile da costringerci (chissà) - in uno scenario apocalittico come certi film di cui sopra e lontanissimo nel tempo ma possibile - a vivere sulla terra come un uomo, un astronauta, oggi vive nello spazio. Un paragone forse bizzarro che rende l’idea di quanto il mondo stia andando a rotoli. E di quanto la fantascienza distopica post-apocalittica non abbia esagerato poi così tanto.

A citare il celeberrimo e misterioso «2001: Odissea nello spazio» - sono passati dodici anni dall’anno citato dal titolo e sarà forse ora di iniziare a pensarci - viene in mente che il film rappresenterebbe l’evoluzione dell’umanità da uno stadio bestiale ad uno stadio propriamente umano, successivamente ad uno stadio ʺtecnologicoʺ ed in seguito, nel finale psichedelico del capolavoro kubrickiano, la trasformazione dallo stadio attuale - che è appunto quello presente, il nostro - di ʺuomo tecnologicoʺ a quello di Uomo nuovo, a quello di superuomo (a voler citare l’oltreuomo di nietzschiana memoria). Di conseguenza - più concretamente - perché non fare in modo che la politica e l’economia si impegnino per un’applicazione positiva e lungimirante delle enormi capacità tecnologiche che l’umanità ha oggi a disposizione? Perché non sfruttare la tecnologia di cui disponiamo nella nostra epoca storica e usarla per tentare un ricongiungimento tra fusis e techne, natura e tecnica? Perché non applicare il ʺmodello astronautaʺ sul pianeta fin da subito? Perché non concentrarsi maggiormente sull’essere e meno sull’avere, sul possedere, sulla ricchezza, sulla gloria, sul potere? E per essere si intende non un concetto misticamente pseudo-filosofico, ma l’essere nel senso di vivere e sopravvivere, l’essere nel senso di salvaguardia ambientale e protezione dell’umanità, perché lavorare alla difesa e alla tutela dell’ambiente, della natura, del pianeta, significa lavorare alla difesa e alla tutela della vita umana per allungarne cronologicamente la possibilità di sopravvivenza. Si tratta quindi anche di un proseguimento della Carta dei Diritti delle Generazioni Future di Jean-Jacques Cousteau. Insomma il ʺmodello astronautaʺ non consiste nell’iniziare a passeggiare per le strade con tute e caschi, bensì nell’ideare e applicare strategie di risparmio estremo da poter adottare sul pianeta nell’ottica che il mondo ha ormai una data di scadenza imminente.

Perché allora non provare ad attuare strategie simili fin da subito, senza aspettare il momento in cui - come nei peggiori e più banali e scontati film di fantascienza di serie B - ciò diventerà vitale e necessario per sopravvivere? Perché purtroppo, per come si stanno mettendo le cose in questo mondo, prima o poi, lo diventerà. E forse anche prima del previsto.

Lorenzo De Donato Coordinatore regionale della Campania per GNE

Berlino, Germania

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