Il mistero svelato - Vicariato di Roma • Ufficio Liturgico...sto. Un mistero d’amore svelato...

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FORMAZIONE LITURGICA Culmine e Fonte 6-2004 1 I l Mistero cristiano non è un se- greto impronunciabile, né un’in- conoscibile realtà nascosta, im- possibile da conoscere e da rivelare. Gesù è colui che ha rivelato il Miste- ro nascosto perché lo ha realizzato nella nostra storia, nella nostra vita, lo ha reso luminoso e tangibile per tutti noi attraverso la sua mirabile discesa tra noi. Il Signore nella sua incarnazione ha fatto della terra il cielo, trasformando la nostra natura umana, debole e peccatrice, in un luogo stupendo di grazia mediante il suo miracoloso gesto d’amore infi- nito con cui ha abbracciato la crea- zione, assumendola per redimerla. Per nove mesi ha fatto propria la nostra realtà umana nel grembo della Vergine Maria e per trentatré anni l’ha assunta amandola, giorno dopo giorno, attimo dopo attimo, vivendo la nostra vita terrena come la vita del Figlio di Dio. Proprio que- sta inaudita e mirabile realtà s’è re- sa visibile a noi in Cristo Salvatore, fatto uomo per noi, in quella stu- penda realtà che è l’opera della Sal- vezza. Questo è il Mistero nascosto agli uomini e agli angeli che Dio conser- vava gelosamente nel suo cuore e che finalmente ha svelato per noi in Cristo Gesù. Così ci dice Paolo nella lettera gli Efesini: “I gentili sono am- messi alla stessa eredità, sono mem- bri dello stesso corpo e partecipi del- la stessa promessa in Cristo Gesù me- diante il Vangelo” (Ef 4,3ss). È il dise- gno eterno della salvezza universale per mezzo di Cristo Salvatore, il trionfo dell’amore di Dio che nell’in- carnazione di suo Figlio ha ribaltato ogni umana certezza fondando la sublime nuova verità dell’uomo re- dento sulla Croce di Cristo. È questa la sapienza nuova ed eterna, la divina verità di Dio che ne- gli ultimi tempi ci è stata rivelata in Cristo Gesù (Eb 1). Lo Spirito, che scruta ogni cosa, è la nostra guida al- la comprensione del Mistero e que- sto, svelandosi, ci illumina e ci conso- la perché mostra la volontà salvifica di Dio farsi vicina e prossima a cia- scuno di noi per mezzo di Gesù Cri- sto. Un mistero d’amore svelato “ai suoi santi”, cioè a noi battezzati (Col 1,26) capaci di comprendere “l’altez- za, la lunghezza e la profondità” di questo divino mistero. La liturgia ci fa vivere questo Mi- stero celebrandolo, l’anno liturgico ci accompagna attraverso tutti gli eventi salvifici di Cristo che svelano il mistero di grazia e ce ne rendono partecipi at- traverso i sacramenti e la preghiera. L’Avvento rinnova in noi l’attesa di questo svelamento e la gioia di ritro- vare Cristo annunciato, atteso, rivela- to per noi: è il tempo in cui il Mistero si dischiude al mondo e nello stupore universale offre a ogni uomo la sal- vezza. Il mistero svelato di mons. Marco Frisina

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    I l Mistero cristiano non è un se-greto impronunciabile, né un’in-conoscibile realtà nascosta, im-possibile da conoscere e da rivelare.Gesù è colui che ha rivelato il Miste-ro nascosto perché lo ha realizzatonella nostra storia, nella nostra vita,lo ha reso luminoso e tangibile pertutti noi attraverso la sua mirabilediscesa tra noi. Il Signore nella suaincarnazione ha fatto della terra ilcielo, trasformando la nostra naturaumana, debole e peccatrice, in unluogo stupendo di grazia medianteil suo miracoloso gesto d’amore infi-nito con cui ha abbracciato la crea-zione, assumendola per redimerla.Per nove mesi ha fatto propria lanostra realtà umana nel grembodella Vergine Maria e per trentatréanni l’ha assunta amandola, giornodopo giorno, attimo dopo attimo,vivendo la nostra vita terrena comela vita del Figlio di Dio. Proprio que-sta inaudita e mirabile realtà s’è re-sa visibile a noi in Cristo Salvatore,fatto uomo per noi, in quella stu-penda realtà che è l’opera della Sal-vezza.

    Questo è il Mistero nascosto agliuomini e agli angeli che Dio conser-vava gelosamente nel suo cuore eche finalmente ha svelato per noi inCristo Gesù. Così ci dice Paolo nellalettera gli Efesini: “I gentili sono am-messi alla stessa eredità, sono mem-bri dello stesso corpo e partecipi del-

    la stessa promessa in Cristo Gesù me-diante il Vangelo” (Ef 4,3ss). È il dise-gno eterno della salvezza universaleper mezzo di Cristo Salvatore, i ltrionfo dell’amore di Dio che nell’in-carnazione di suo Figlio ha ribaltatoogni umana certezza fondando lasublime nuova verità dell’uomo re-dento sulla Croce di Cristo.

    È questa la sapienza nuova edeterna, la divina verità di Dio che ne-gli ultimi tempi ci è stata rivelata inCristo Gesù (Eb 1). Lo Spirito, chescruta ogni cosa, è la nostra guida al-la comprensione del Mistero e que-sto, svelandosi, ci illumina e ci conso-la perché mostra la volontà salvificadi Dio farsi vicina e prossima a cia-scuno di noi per mezzo di Gesù Cri-sto. Un mistero d’amore svelato “aisuoi santi”, cioè a noi battezzati (Col1,26) capaci di comprendere “l’altez-za, la lunghezza e la profondità” diquesto divino mistero.

    La liturgia ci fa vivere questo Mi-stero celebrandolo, l’anno liturgico ciaccompagna attraverso tutti gli eventisalvifici di Cristo che svelano il misterodi grazia e ce ne rendono partecipi at-traverso i sacramenti e la preghiera.L’Avvento rinnova in noi l’attesa diquesto svelamento e la gioia di ritro-vare Cristo annunciato, atteso, rivela-to per noi: è il tempo in cui il Misterosi dischiude al mondo e nello stuporeuniversale offre a ogni uomo la sal-vezza.

    Il mistero svelatodi mons. Marco Frisina

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    L e spiegazioni etimologiche del-le parole greche mysterion -mysteria sono incerte, anche sel’idea basilare che esprimono è quelladi un segreto da celare o da rivelare apochi. Non stupisce dunque che siastato proposto di farle derivare damyein, che significa ‘chiudersi’ o ’esse-re chiuso’, con riferimento specificoagli occhi o alle labbra; in senso trasla-to ‘non parlare’, ‘osservare un religio-so silenzio’, donde il senso derivato di‘iniziare’ (a culti segreti).

    Le forme prime di iniziazione si rin-tracciano presso i cosiddetti primitivi,hanno carattere esoterico e introduco-no in una esperienza di morte e di rina-scita che rende possibile vivere con pie-nezza ed essere accolti nella comunitàdegli adulti. L’iniziazione primordialeha carattere esoterico ed implica un di-vieto di parlare ad altri, ai profani, deiriti e dell’esperienza vissuta. In modopiù specifico, quando comunemente siparla di ‘misteri’’ ci si riferisce a quelledottrine, a quegli istituti e soprattuttoa quelle forme rituali che conosciamoessersi diffuse presso i Greci in età clas-sica, come ci prova lo stesso vocabolocon cui, come si diceva, sono definiti.

    Il loro modello più antico si ritrovanel culto praticato ad Eleusi (città nonlontana da Atene) a cominciare dall’VIIIsecolo a.C., forse, come vogliono alcunistudiosi, collegato a manifestazioni re-ligiose più antiche. Anche i misteri diDioniso e quelli degli dèi di Samotracia

    sono molto antichi. Ma la fioritura piùgrande di un tale tipo di esperienza re-ligiosa, non solo in Grecia, ma anche inRoma avviene in epoca ellenistica, ossiain quell’epoca che trascorre fra la con-quista dell’Impero persiano da parte diAlessandro Magno (+331 a. C.) e lacomparsa dell’Impero romano, con labattaglia di Azio nel 31 a.C.. È il perio-do in cui la civiltà greca si espande intutte le terre mediterranee del vicinoOriente, dalla Macedonia all’Asia Mi-nore, dalla Siria alla Palestina all’Egitto,sotto il dominio dei diadochi, successoridi Alessandro. In quell’ambito ha corsouna cultura unitaria, la lingua che si faveicolo di quella cultura è unica: si trat-ta del greco in cui il dialetto attico pre-vale sugli altri dialetti, dando vita aquella lingua che si suole denominare‘comune’, ‘koinê dialektos’, destinata arimanere viva per secoli. È il periodo incui, accanto ad altre discipline - dallamatematica all’astronomia, dalla filolo-gia alla medicina -, la filosofia assumegrande importanza attraverso le scuolecui dà vita, in particolare la scuola epi-curea e quella stoica, le quali tuttavianon riescono a rispondere alle molte-plici domande che gli uomini vannoponendosi.

    Si assiste allora all’inizio di un feno-meno storico di grande portata cheavrà massimo sviluppo nei primi secolidopo Cristo: il prevalere del VicinoOriente sull’Occidente, che, ormai datempo, aveva trovato un nuovo prota-

    I misteri nelle religioni antichedi Paolo Siniscalco

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    gonista sulla scena politica: Roma. Cer-to Roma riesce a conquistare militar-mente e a dominare per il diritto el’amministrazione quelle terre, ma ne èsoggiogata sul versante religioso (enon solo). Attraverso la diffusione dellereligioni misteriche d’origine orientale,la reazione allo status quo comincia amanifestarsi dagli ultimi decenni dellaRepubblica, nel I secolo a. C., per diven-tare incontenibile nei tempi successivi.La res publica romana dapprima tendea contrastarle, in quanto elementi di-sgregatori della più antica tradizione,successivamente però è costretta a rico-noscerle, con l’intento almeno di con-trollarle. Le religioni misteriche orien-tali promettono infatti ciò che il paga-nesimo tradizionale non poteva dare; ein questo si ha da vedere la ragione pri-ma del loro successo. Esse vanno incon-tro ad esigenze di comportamento e disentimento dell’uomo a loro contem-poraneo, valendosi anche di riti nuovi ecoinvolgenti. L’Oriente, oltre al cultodel genius, ossia dello spirito o divinitàprotettrice dell’imperatore, e poi dellasua stessa persona e alla venerazionedegli astri, in particolare del Sole, tra-smette all’Occidente romano appuntoculti misterici. Essi sono in genere legatia una religiosità agraria, hanno un ca-rattere segreto, suppongono una de-terminata iniziazione, propongono ve-rità accessibili ai devoti solo per mezzodi pratiche specifiche (non comunicabilidirettamente da un iniziato a un profa-no), in particolari circostanze compor-tano una rivelazione accessibile ai neo-fiti, impongono certi obblighi religiosi,i quali di norma intendono garantirel’equilibrio tra il regno dei vivi e quellodei morti. E ancora, se l’iniziazione è

    amministrata un’unica volta, altri ritisono più e più volte ripetuti: infatti tal-volta il destino della divinità venerata èrappresentato dall’azione sacra, di cuil’iniziato è reso partecipe. L’apparte-nenza all’una o all’altra religione di mi-steri non sembra sia stata esclusiva. So-no molte le metamorfosi che le dottri-ne misteriche subiscono; nella fase piùtardiva, accanto all’accento marcata-mente esoterico che mantengono,mettono in luce un carattere soteriolo-gico, vale a dire indicano la via da per-correre per raggiungere la salvezza, daintendere nel senso di una sopravviven-za ultraterrena.

    2. I culti misterici sono stati numero-si. Qui si dirà dei maggiori. Si è fattocenno al più antico, tra i Greci, il cultodi Eleusi che avveniva attraverso l’evo-cazione delle apparizioni mitiche diDemetra, dea madre e dea della ferti-lità dei campi, e di Core, fanciulla divi-na, figlia di Zeus e appunto di Deme-tra. Da parte degli studiosi si discutesul significato della morte e della rina-scita nella dottrina eleusina, dal mo-mento che i documenti che vi si riferi-scono parlano di un’esperienza nonesauribile razionalmente, che porta al-la felicità e che in certo modo ‘salva’, inquanto permette di guardare alla mor-te quale realtà facente parte della vita.

    Un altro culto molto diffuso in Gre-cia è stato quello di Dioniso, dio d’ori-gine greca - come molti critici voglio-no - e non tracia, che ci è noto attra-verso racconti mitici tra loro assai dif-ferenti. Era la divinità della vegetazio-ne, della vita e del vino ed era al cen-tro dei misteri orgiastici. Le Dionisie,feste in suo onore, si tenevano in Gre-

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    cia (le più importanti si svolgevano adAtene), ma anche in Asia Minore, inMacedonia e a Roma, con i Baccanali(giacché Bacco era identificato in am-biente italico con Dioniso). Durante leDionisie si portava in processione suun carro il simulacro del dio, si svolge-vano concorsi di musica e di poesia, sidava spazio ad agoni ditirambici edrammatici (non si può dimenticare laparte che le feste in onore di quelladivinità hanno avuto nella storia dellapoesia lirica e del teatro). Il tutto poiculminava nel cuore della notte inbanchetti sfrenati. I devoti del dio,meglio, le sue devote, le menadi, siidentificavano con lui, raggiungendolo stato di ‘furore estatico’, di invasa-mento divino. Le teofanie, o appari-zioni divine, da cui è interessata la fi-gura del dio sembrano ricondurre siaal ciclo della vita e della morte sia afrangenti particolarmente sofferti del-l’esistenza, come le fasi di ‘passaggio’delle stagioni, degli anni, delle etàdell’uomo, in particolare il ‘passaggio’dalla pubertà all’età adulta.

    Diversa la vicenda del Pitagorismoispirato dalla figura storica del filo-sofo greco Pitagora (che vive nellaMagna Grecia a Crotone e a Metapon-to) nel VI secolo a.C. Dalle notiziemolto più tarde che lo concernono siapprende che egli avrebbe fondatocomunità di vita e di beni regolate dalsilenzio imposto ai neofiti e dal segre-to sugli insegnamenti del maestro, co-munità etico-religiose quindi che sem-bra abbiano avuto legami sia con l’Or-fismo sia con i misteri dionisiaci. E perciò se ne parla qui in breve. Per en-trarvi vigeva la pratica dell’iniziazionee poi la norma di mantenere il segreto

    sulla vita condotta: solo osservandolasi era in grado di raggiungere lo sta-dio mistico della perfezione. Il Pitago-rismo tuttavia non si annovera pro-priamente tra le religioni misteriche.

    A tale proposito ben più significati-ve sono le successive manifestazionid’origine orientale, tra le quali si puòricordare il culto di Cibele - la GrandeMadre degli dèi, somma divinità deiFrigi - che aveva sfondo orgiastico einvitava a gravi eccessi, come fin daitempi più antichi altri culti dell’AsiaMinore. Ad esso era congiunto il cultodi Attis, il quale, secondo una versionedel suo mito, avrebbe istituito in Lidiail culto di Cibele e sarebbe stato uccisoda un cinghiale aizzatogli contro daZeus adirato. Seguendo un’opinionecomune, la figura di Attis rappresen-terebbe una divinità agraria, la cuimorte implicherebbe una rinascita, ce-lebrata ritualmente con lo svolgersidella stagione primaverile. Diffusosi inAsia Minore, già nel V secolo a.C. quelculto penetrò in Grecia, dove Rea,sposa del fratello Crono - mostruosonell’inghiottire i figli non appena usci-vano dal grembo materno - fu confu-sa con Cibele, per cui nacque la reli-gione della Grande Madre Rea-Cibele.Più tardi, alla fine del III secolo a.C.,pervenne in Roma, per trovare grandefortuna nei primi tre secoli d.C.. Ivi esi-steva una collegio di sacerdoti (chenel prestare il culto alla dea si evirava-no), a capo del quale era l’archigallus.

    Proveniente dall’Egitto era il cultodi Iside e Serapide, che già prima dellafine della Repubblica era conosciuto epraticato in Roma. Se Augusto e Tibe-rio cercarono di ostacolarlo - ma inva-no -, con Caligola esso ottenne un rico-

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    noscimento ufficiale: l’imperatore in-fatti fece costruire nel Campo Marzioun tempio grandioso dedicato a quelladivinità, sorella e sposa di Osiride e co-me lui figlia della Terra e del Cielo.Stando alle parole di Giovenale, i devo-ti della dea nel cuore dell’inverno rom-pevano il ghiaccio del Tevere per ba-gnarsi nelle sue acque e facevano il gi-ro del tempio sulle ginocchia insangui-nate per espiare le loro colpe e trovareil perdono. Tra le feste dedicatele si an-noveravano processioni solenni comequella descritta magistralmente daApuleio nelle Metamorfosi. Iside mito-logicamente era il simbolo della sposae della madre ideale; non a caso eraprotettrice delle donne, capace di tute-lare le loro passioni (ma era anche pro-tettrice dei naviganti e dea del mondosotterraneo); ritualmente era una divi-nità di carattere funerario, in quantoprestava assistenza ai defunti: del re-sto, dopo l’assassinio del marito Osiri-de, essa si era messa alla ricerca del suocadavere e l’aveva trovato.

    Su un altro culto ci si vuole infinesoffermare brevemente, sul culto diMitra, divinità di origine indoiranicache assumeva ruoli diversi a secondadelle aree religiose, culturali e geo-grafiche in cui veniva venerato. Inepoca romana Mitra appare quale dioastrale, talvolta distinto e talvolta ri-conosciuto nel Sole - Sol invictus -, hacaratteri demiurgici, ma rappresentaanche tratti morali, essendo il dio del-la lotta conto il male. Il culto di Mitraoriginariamente non era misterico, madivenne tale in età ellenistica. Il mi-traismo si propagò in modo impressio-nante non solo a Roma, ma anche nel-le più lontane province sui confini del-

    l’Impero, in particolare maniera ad este a nord, dalla fine del I secolo d. C.,specialmente negli ambienti militari.Verso la fine del III secolo, l’imperato-re Aureliano introdusse ufficialmenteil culto del dio Sole, identificato conMitra, e Diocleziano dedicò a quelladivinità un santuario a Carnuntum, sulDanubio. Numerosi sono i mitrei rima-sti, per lo più sotterranei, che, oltre al-l’altare situato nel mezzo, conservanoin genere una lastra marmorea raffi-gurante la tauroctonia, ossia la rap-presentazione di Mitra nell’atto di uc-cidere un toro, colpendolo con la spa-da: è il toro cosmico, dal cui sangue eda parti del cui corpo hanno origine lavita vegetale e animale. Sia pur attra-verso modalità differenti, ancora unavolta sembra ci si trovi dinanzi ad unmito fondato su riti agrari destinati asostenere la fecondità e la crescita d’ ogni essere inanimato e animato.

    Se volessimo, meglio comprendere ilnucleo essenziale di quelle manifesta-zioni che vanno sotto il nome di ‘miste-ri’ dovremmo, seguendo un più rigoro-so esame, parlare in primo luogo delloro sviluppo storico e inoltre delle lorocaratteristiche profonde. In questa se-de si farà un brevissimo cenno all’unoe altro argomento, non nascondendoal lettore la complessità delle questioniche non possono essere affrontate.Compiremo il nostro rapido camminoispirandoci ad un saggio di Hugo Rah-ner, storico della Chiesa e patrologo,fratello del non meno famoso teologoKarl. I misteri dunque emergono dalleprofondità della vita greca, sono un’e-redità di quel mondo da cui i Greciprovenivano. Ora si sa che a un certo

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    momento dello sviluppo della loro ci-viltà, giusto a cominciare dall’età elle-nistica, i misteri si dimostrano via d’u-scita da una situazione di grande diffi-coltà. Non sfugge infatti che già lo spi-rito della commedia e poi il razionali-smo di certe filosofie in auge avevanoesercitato un’ azione costantementedisgregatrice sulla fede negli dèi tradi-zionali, sconcertando l’uomo della tar-da grecità, il quale, per salvarsi dallasua angoscia, trovò conforto nella reli-gione dei culti misterici che dall’Orien-te inondarono l’Occidente, prima laGrecia e poi Roma. Essi “in realtà rap-presentano un tipo di pietà più progre-dita di quella nazionale antica. Sonomeno primitivi, meno semplici, organi-camente più complessi dell’antica ido-latria greco-italica” (F.Cumont). Glistessi autori antichi ne sono consape-voli. Scrive Cicerone nel De legibus (II,14, 36). “In queste azioni sacre ricono-sciamo le fondamenta del vivere civilee apprendiamo non solo a vivere sere-ni, ma anche a morire con miglioresperanza”. D’altronde nella diffusa at-mosfera spirituale e culturale che sicrea dal II secolo d.C. (che ha il proprionucleo nella credenza in una divinitàmaggiore, unica, pur ammettendo l’e-sistenza di altre divinità) e nell’atteg-giamento di anime bramose di salvez-za, vengono in certo modo potenziatele svariate forme delle celebrazioni mi-steriche: esse si estendono dappertuttoe in qualche caso perdono la loro natu-ra originaria.

    Quanto alla natura dei misteri, alcu-ni elementi comuni li accomunano: essisono riti della fecondità, espressioni diuna religiosità “materna”: la GrandeMadre è la personificazione della forza

    della Natura. Tutto ciò che vive si intur-gidisce nel grembo materno della terrae in quel grembo ritorna, in una vicen-da continua di morte e di rinascita. Unsecondo elemento che caratterizza imisteri è una religiosità sentimentale.Non propongono né una ‘dottrina’, néun ‘dogma’, ma consistono nell’eserci-zio di determinati riti tramandati datempi remoti, che si valgono di fortimezzi esteriori volti al sentimento e auna ambigua simbolica che sublima gliavvenimenti più semplici, trasforman-doli in proiezioni di misteri sovrasensi-bili. Un terzo ed ultimo elemento si ri-scontra specialmente per i misteri qualisi presentano nel loro stadio finale, nelloro dissimularsi e in qualche modo neldissolversi: lo stato d’animo che carat-terizza le persone pie della Tarda Anti-chità, devote ai misteri, è come “unanervosa insicurezza della salvezza, qua-si l’oscillare di una fantomatica forzavitale che promana da una religioneormai morente”.

    Qui si aprirebbe il problema pienodi interesse circa il rapporto tra i mi-steri pagani e il mistero cristiano; unproblema dibattuto fin dal XVII secoloe approfondito in special modo nellaprima metà del XX da studiosi di lin-gua tedesca e che oggi, a dire il vero,incontra meno attenzione, avendo laricerca conseguito esiti ritenuti plausi-bili e apportato notevoli chiarimenti.Ma non è mio compito sviluppare quiuna tale tematica. Ne dà un quadrochiaro e per quanto riguarda lo svilup-po storico e per quanto riguarda la so-stanza, lo studioso che si è sopra men-zionato, H. Rahner, a cui non possoche rimandare, pure per le indicazioni

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    bibliografiche che indica e discute eche sono qui sotto in parte segnalate.Segnalo pure un’altra fonte di infor-mazione e di copiosa bibliografia, an-che recente, nel contributo di DieterZeller, in Theologische Realenzyclopä-die (TRE), vol. XXIII, Berlin New York1994, pp. 504-526, s.v. Mysterien/My-sterienreligionen.

    Bibliografia

    Proprio nell’indagare le relazionitra i misteri nelle religioni antiche e ilmistero nel cristianesimo, di cui ora sidiceva, si sono meglio messi a fuoco icaratteri dei culti misterici. Qui di se-guito sono indicati contributi e alcunemonografie di indole generale, chetrattano la problematica secondo va-rie, differenti interpretazioni.

    G. Anrich, Das antike Mysterienwe-sen in seinem Einfluss aud das Chri-stentum, Göttingen 1894.

    S. Angus, The Mystery-Religion andChristianity, London 1928.

    W. Burkert, Antike Mysterien, 3.ediz., München 1994.

    C. Clemen, Der Einfluss der Myste-rienreligionen auf das älteste Chri-stentum, Giessen 1913.

    Casadio, “Per un’indagine storico-religiosa sui culti di Dioniso in relazio-ne alla fenomenologia dei misteri”, inStudi storico-religiosi 6 (1982), pp.209-234.

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    W. Leipoldt, Sterbende und aufer-stehende Götter, Leipzig 1923.

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    Loisy, Les mystères païens et le my-stère chrétien, Paris 1930.

    Prümm, Der christliche Glaube unddie altheidnische Welt, 2 voll., Leipzig1935.

    Id., Das antike Heidentum nach sei-nen Grundströmungen, München1942.

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    Reitzenstein, Die hellenistischenMysterien nach ihren Grundge-danken und Wirkungen, 7. ediz.,Leipzig 1927.

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    G. Söhngen, Symbol und Wirkli-chkeit im Kutlmysterium, Bonn 1937.

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    R. Turcan, Les cultes orientaux dansle monde romain, Paris 1989.

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    U. von Wilamowitz, Der Glaube derHellenen, 2 voll., Berlin 1932.

    D. Zeller, in Theologisce Realenzy-clopädie, vol. XXIII, Berlin-NewYork1994, pp. 504-526, s.v. Mysterien/My-sterienreligionen.

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    “L’ etimologia di mystérionè un mistero essa stes-sa”. Così esordiva G.Bornkamm nella voce omonima delGrande Lessico del Nuovo Testamento(nel volume che in originale tedescorisale ormai al lontano 1942). Al di làdella sua validità attuale, questa fraseci permette di fare un’osservazionepreliminare, se si vuole banale, di no-tare cioè che la parola italiana, cosìcome la troviamo nel titolo del pre-sente articolo, non è una traduzionedell’originale greco, ma una sua tra-slitterazione (anche in francese, spa-gnolo, spesso in inglese, le bibbie usa-no la traslitterazione; il tedesco invecetraduce con “Geheimnis”). Di qui ladomanda: quello che almeno granparte degli europei intendono comu-nemente quando sentono o pronun-ciano la parola “mistero”, coincide ono con quello che intendevano gli an-tichi scrittori greci e in particolare gliautori del NT?

    Per rispondere con una prima ap-prossimazione, che forse però ci aiutaa inquadrare il tema, possiamo direche se ci si limita all’uso che se ne fanell’ambito profano, come semplicesinonimo di enigma, di qualcosa dioscuro, di nascosto, di cui si ignora lanatura o la causa, allora non si cogliepienamente nel segno. Ci si avvicina alsenso originario di “mistero” invecequando lo si usa in ambito religioso,per esempio nell’espressione generica

    “misteri della fede”; teniamo presen-te inoltre che la tradizione cristianaha usato abbastanza spesso il termine,impiegandolo sia per indicare l’inac-cessibilità alla sola logica naturale deidati fondamentali della rivelazione di-vina, sia per designare a livello cultua-le la celebrazione liturgica e sacra-mentale. Se però, Bibbia alla mano,confrontiamo questo uso cristianosuccessivo, possiamo accorgerci chementre il primo senso è riscontrabilenei testi, pur se non tanto frequente-mente, il secondo (uso cultuale) è pra-ticamente assente. È quindi utile sof-fermarsi a considerare specialmentel’uso specifico e in gran parte origina-le che ne fa il NT e in particolare sanPaolo.

    Origine del termine

    Si accennava all’etimologia: ormaisembra accertato che l’origine sia daricercare nella radice verbale my- (ver-bo myé?), che di per sé significa “chiu-dere”, e che, specificamente usato incampo esoterico-rituale, indicava ilchiudere le labbra o gli occhi (di qui inostri aggettivi derivati, “muto” e“miope”) in presenza di cose percepi-te che non era possibile trasmetteread altri; segnalava quindi l’inesprimi-bile. Questo concetto è collegato aquello espresso dall’altro senso delverbo descritto dai dizionari di greco

    Il mistero in san Paolo1

    di don Giuseppe Pulcinelli

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    classico, e cioè “iniziare” o, al passivo,“essere iniziato” (sottinteso, “ai ritimisterici, ai misteri”); così lo troviamonell’unica ricorrenza del NT in Fil 4,12:“sono iniziato a tutte le cose”; anchese in questo caso è usato in sensoestenuato (infatti nel contesto si rife-risce a circostanze materiali).

    Nel greco classico è usato per lo piùal plurale, come in opere intitolateappunto De Mysteriis, a partire dall’o-razione di Andocide (V-IV sec. a. C.) fi-no al trattato di Giamblico (III-IV sec.d. C.). Lo si usava nella descrizionedelle celebrazioni di culti rivolti a divi-nità benefiche (cf. il più famoso èquello dei “misteri” Eleusi, ampia-mente attestati nelle fonti letterarie).In questi contesti si parla anche perl’appunto di “iniziazione ai misteri”,di obbligo di tacere sulle cose viste eudite nei riti sacri, di una sopravviven-za oltre la morte.

    Questa terminologia si diffondeanche nella filosofia e nel linguaggioprofano (dove viene a indicare sempli-cemente qualcosa di segreto). Soprat-tutto significativo è l’uso frequenteche se ne fa nella letteratura gnostica(II-III sec. d.C.), nel senso specifico di“misteri arcani dello spirito, che cono-sciamo noi soli” (cf. Sermone deiNaasseni, in Ippolito Romano, Ref.5,8,27).

    Nell’AT e nell’apocalittica giu-daica

    Nei LXX mystérion ricorre una ven-tina di volte,2 e soltanto negli scrittipiù tardivi, di epoca ellenistica. Men-tre in Sap. 14,15.23 è un termine tec-

    nico per indicare un rito cultuale pa-gano da rigettare, in altri testi desi-gna solamente dei “segreti” profaniche non vanno rivelati (cf. Gdt 2,2; Sir22,22; 2Mac 13,21; ecc.). In Sap 2,22;6,22 i mysteria sono intesi in sensoteologico, riferiti all’attività creatricedi Dio, essi vanno riconosciuti e an-nunciati.

    Un apporto nuovo alla semanticadel termine deriva dalla traduzionedell’aramaico di origine persiana razche troviamo nel libro di Daniele alcap. 2 (vv. 18.19.27.28.29.30.47bis),dove si tratta della spiegazione del so-gno di Nabucodonosor; Dio viene pre-sentato come “il rivelatore dei miste-ri”, di cose enigmatiche che riguarda-no il futuro.

    Nella letteratura apocalittica (ades. nell’Enoch etiopico, 4 Esdra, Apo-calisse di Baruc, e anche nei mano-scritti di Qumran) il termine assumeuna dimensione temporale-storica invista di un compimento promesso; laprospettiva è quella di un piano salvi-fico (pur se con risvolti catastrofici)che sta per realizzarsi. Da notare chein questa accezione è assente ogni ri-ferimento cultuale.

    Nel NT: soprattutto negli scrittipaolini

    Il vocabolo ricorre 28 volte in tuttonel NT, di cui 23 al singolare. Nei van-geli compare una sola volta nel branoparallelo ai tre sinottici (cf. Mc 4,11:“A voi è dato il mistero del regno deicieli”; in Mt e Lc compare al plurale, esi aggiunge: “a voi [discepoli] è datoconoscere...”). Il regno di Dio è miste-

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    ro in quanto viene dato a conosceresoltanto a chi è discepolo, cioè a chidispone della fede.

    Di tutte le altre ricorrenze, è nell’e-pistolario paolino che si usa con mag-gior frequenza (6 volte in 1Cor, 2 vol-te in Rm; 6 volte in Ef, 4 volte in Col; 1 volta in 2Ts; 2 volte nella 1Tm); le re-stanti 4 volte lo troviamo in Ap.3

    Prima di focalizzarci sull’uso speci-fico paolino menzioniamo le altre ri-correnze nel NT.

    Nel libro dell’Apocalisse si trattasemplicemente del suo significato pro-fano, un sinonimo di enigma, di qual-cosa di occulto, senza una particolarerilevanza teologica (cf. 1,20: “il miste-ro delle sette stelle”).

    Nei restanti due libri (2Ts e 1Tm),considerati tardivi dalla maggioranzadei commentatori, troviamo l’espres-sione “mistero dell’iniquità” (2Ts 2,7),da intendersi in senso epesegetico,cioè esplicativo, “l’iniquità è un miste-ro”; e le due espressioni parallele epraticamente sinonime, “mistero dellafede” e “mistero della pietà” nella1Tm (3,9.16), indicanti molto probabil-mente il contenuto oggettivo della fe-de (cf. la confessione cristologica chesegue in 3,16b).

    Esaminiamo dunque più da vicinol’uso più prettamente paolino. Quan-do Paolo in 1Cor 2,1 descrive il conte-nuto della sua predicazione di Cristocrocifisso come mystérion to? Theo?intende dire che esso risulta inaccessi-bile alla sapienza umana, di fronte al-la quale anzi questo evento salvificoappare come follia. Continua infattipoi ai vv. 6-7: “annunciamo, sì, una sa-

    pienza a quelli che sono perfetti, mauna sapienza non di questo mondo...una sapienza divina, avvolta nel mi-stero, che fu a lungo nascosta e cheDio ha preordinato prima dei tempiper la nostra gloria”.

    Questo mistero della sapienza diDio ha una connotazione apocalittica,come un bene salvifico tenuto nasco-sto da Dio e rivelato ora per mezzodello Spirito. Si intravede qui lo sche-ma di rivelazione che come vedremosi riscontrerà poi specialmente in Col /Ef.

    In 1Cor 4,1 troviamo la più rara ri-correnza al plurale (così anche in 13,2e 14,2): “Ciascuno ci consideri comeservitori di Cristo e dispensatori deimisteri di Dio”; il contesto precedentespinge a vedervi i contenuti della pre-dicazione, di cui fanno parte appuntoi vari aspetti della misteriosa sapienzadivina di cui ha parlato al cap. 2; ilplurale va visto quindi nell’intento diesprimere le varie sfaccettature dell’u-nico mistero. In 1Cor 13,2 (siamo nelcelebre “inno alla carità”) il vocabolocompare dove si esprime il primato as-soluto dell’agape, superiore perfinoalla conoscenza dei misteri intesi co-me la pienezza della penetrazionedelle cose di Dio; qui è usato quasi insenso negativo, in tono polemico eiperbolico (tutti i misteri), proprio peresaltare l’assoluto dell’amore. Anchein 14,2 siamo in contesto polemico;qui infatti Paolo si trova ad avversarele derive spiritualiste e entusiastichepresenti nella comunità, che in questocaso si manifestavano nell’esaltazionedella glossolalia: “Colui che parla inlingua non parla agli uomini, ma aDio; infatti nessuno capisce, perché di-

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    ce cose misteriose nello Spirito (con-cluderà poi dando la preferenza al do-no intelligibile della profezia).

    Nell’ultima ricorrenza in questa let-tera, nel capitolo dedicato alla que-stione della resurrezione, il mistero in-dica la modalità della trasformazionedi coloro che saranno ancora in vita almomento della parusia.

    Nella stessa veste di apocalittico, inRm 11,25, Paolo parla di un altro mi-stero, altrettanto intricato, quello cioèdella salvezza d’Israele che ha oppo-sto il rifiuto al messia: “Non voglioche ignoriate, fratelli, questo mistero,perché non fondiate su voi stessi lavostra sapienza: l’indurimento diIsraele è parziale, fino a che sia entra-ta la pienezza delle genti, e così tuttoIsraele sarà salvato”. Paolo risolvequesto immenso dilemma vedendoviun piano misterioso di Dio che in que-sto modo dà spazio alla conversionedei gentili, fino al momento della pa-rusia, quando appunto tutto Israelesarà salvato.

    L’unica altra ricorrenza in Rm(16,25), ci permette di trattare dell’u-so specifico del termine mistero cosìcome lo troviamo diffuso (ben 10 vol-te) nelle due lettere di scuola paolina,Col e Ef. Ecco il testo completo delladossologia finale di Rm 16,25-27:

    A Colui che ha il potere di raffor-zarvi secondo il mio vangelo e l’an-nuncio di Gesù Cristo,

    secondo la rivelazione del misterotaciuto per secoli eterni,

    e ora manifestato per mezzo delleScritture profetiche,

    secondo la disposizione del Dioeterno, in vista dell’ obbedienza dellafede di tutte le genti

    a Dio unico e sapiente, per mezzodi Gesù Cristo, a lui la gloria per tutti isecoli! Amen.

    In questo testo e poi in Col / Ef tro-viamo chiaramente sviluppato lo sche-ma di rivelazione, che diviene un veroe proprio tema teologico: ciò che untempo era nascosto (o taciuto) / è oramanifestato.

    Il denominatore comune di questitesti è quindi il passaggio da una si-tuazione a un’altra, nella distinzionedi due periodi di tempo caratterizzatidall’azione salvifica di Dio, secondoun suo piano appunto nascosto primae ora rivelato in Cristo ai credenti inlui (cf. Col 1,26: “il mistero nascostoda secoli eterni e da generazioni pas-sate, ora è svelato ai suoi santi”; cf.anche Ef 3,9-10).

    Più specificamente in Col il mysté-rion in definitiva è il Cristo stesso an-nunciato tra i popoli, come fonda-mento della speranza della gloria chesarà manifesta nel compimento finale(cf. 1,27; 2,2; 3,4; 4,3).

    In Ef manca in mystérion la pro-spettiva escatologica: si tratta di unarealtà compiuta da Dio già presente eoperante; più che di due epoche tem-porali, lo schema di rivelazione riguar-da la distinzione tra due ambiti, quel-lo dell’ignoranza e quello della cono-scenza. In 1,9 il mystérion è la realiz-zazione del piano salvifico di Dio nellaintestazione di tutte le cose in Cristo:“Egli ci ha manifestato il mistero dellasua volontà secondo il suo benevolodisegno che aveva in lui formato, perrealizzarlo nella pienezza dei tempi:intestare nel Cristo tutti gli esseri,quelli celesti e quelli terrestri”. In 3,3sil mistero si riferisce all’inserimento

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    dei gentili nel corpo di Cristo che è laChiesa (cf. 3,6), esso è stato rivelatoagli apostoli e ai profeti (3,5), datoper la predicazione (3.8), manifestatoattraverso la Chiesa (3,10).

    In 6,19 troviamo il binomio “miste-ro del vangelo”, cioè il mistero divinocome contenuto specifico dell’evange-lo. Una menzione speciale merita l’u-nica altra ricorrenza in Ef, il passo del“grande mistero” di cui si parla in ri-ferimento all’amore tra marito e mo-glie (5,32): “il mistero del matrimonionaturale trapassa a qualificare il rap-

    porto di Cristo con la chiesa, e di qui ilmistero, ingrandito in termini nuovi siriverbera di nuovo sulla coppia uma-na, che si dirà cristiana proprio nellamisura in cui rivive in se stessa lostraordinario rapporto esistente fraCristo e la chiesa” (R. Penna, commen-to ad Ef).

    Come si è potuto constatare, anchelimitandoci al campo paolino (e perfi-no all’interno degli scritti che sicura-mente hanno Paolo come autore diret-to, e cioè 1Cor e Rm), il vocabolo “mi-

    stero” assume vari signifi-cati a seconda del contestoin cui viene usato.

    Se volessimo elencare levarie componenti del mi-stero così come comparenel NT4 e specialmente nelcorpus paolino, dobbiamoinnanzitutto vedervi quel-la prettamente “teo-logi-ca”, esso cioè è “di Dio”, èun mistero della sua vo-lontà, del suo disegno, diciò che egli ha deliberatoin ordine alla salvezza del-l’uomo. E allo stesso tem-po è presente una compo-nente cristologica; Cristo èal centro del mistero; ilpiano salvifico di Dio passaattraverso la croce di Cri-sto, che è una nuova einaudita manifestazione -percepita come scandalo estoltezza - della potenzae sapienza di Dio (cf. 1Cor 1,24); inoltre, co-me abbiamo visto, il miste-ro della volontà di Dio èLa Crocifissione, Icona, Monaci del Monte Athos

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    volto al raggiungimento del fine di“intestare tutte le cose nel Cristo” (Ef 1,9-10): è il Risorto in cui si concen-trano e a cui si sottomettono sia larealtà cosmica, sia quella storica.

    C’è inoltre anche una componenteecclesiologica del mistero, evidenziatasoprattutto dal testo di Ef 2,11-3,13, do-ve l’autore presenta la compartecipazio-ne dei gentili alla stessa promessa deigiudei, per formare un solo corpo; que-sta componente è presente anche neltesto di Ef 5,32, dove si legge l’amoresponsale uomo-donna alla luce di quel-lo tra Cristo e la Chiesa (e viceversa).

    C’è infine una componente antro-pologica che fa capolino soprattuttonel tema dell’ “uomo nuovo” (cf. Col 3,9-10; Ef 4,22-24), capace inCristo di stabilire rapporti fraterni contutti.

    Tutto sommato la portata teologicapiù rilevante - e anche la più diffusa -del mistérion paolino va rintracciatanello schema di rivelazione presentespecialmente in Col / Ef di cui abbia-mo detto sopra: l’ora dello svelamen-to del piano salvifico di Dio che si rea-lizza in Gesù Cristo per mezzo dellaChiesa, è il tempo attuale in cui l’uo-

    mo viene ammesso ad una straordina-ria e inimmaginabile familiarità conDio; i destinatari di questa rivelazionesono i credenti (variamente denomi-nati, “a noi”, “ai suoi santi”, “ai suoisanti apostoli e profeti”, “a me Pao-lo”). Va anche sottolineata la portatamissionaria della rivelazione del mi-stero. Ciò che era nascosto e che è sta-to rivelato non deve restare confinatonell’ambito dei suoi primi destinatari,ma deve essere annunciato perché siareso noto in tutto il mondo per la sal-vezza di tutti. E qui va notata la diffe-renza con il mistero così come venivaconcepito nei culti misterici dell’anticaGrecia e nel mondo dell’esoterismo,dove era invece sostanzialmente riser-vato al gruppo ristretto degli iniziati.

    Nonostante la sua rivelazione stori-ca, il piano salvifico di Dio non cessadi essere il mistero per eccellenza: lasua inesauribilità – testimoniata anchedal vocabolario di sovrabbondanzache accompagna i testi sopra citati – èper sua natura eccedente e trascen-dente la portata meramente umana,ed è destinato a compiersi pienamen-te soltanto alla fine dei tempi, oltre lastoria attuale.

    1 Bibliografia essenziale: G. BORNKAMM, Musterion, inGrande Lessico del Nuovo Testamento, a cura di G. Kit-tel, ed. italiana a cura di F. Montagnini, Paideia, Brescia1963-88, vol. VII, coll. 645-716; H. KRÄMER, Musterion, inDizionario Esegetico del Nuovo Testamento, a cura diH. Balz - G. Schneider, ed. italiana a cura di O. Soffritti,Paideia, Brescia 1998, vol. II, coll. 433-441; R. PENNA,“Mistero” in Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, a cu-ra di P. Rossano - G. Ravasi - A. Ghirlanda, San Paolo,Cinisello Balsamo (MI) 1988, pp. 984-993; P.T. O’BRIEN,“Mistero”, in Dizionario di Paolo e delle sue Lettere, a

    cura di G.F. Hawthorne - R.P. Martin - D.G. Reid, ed. ita-liana a cura di R. Penna, San Paolo, Cinisello Balsamo(MI) 1999, pp. 1032-1035.

    2 Gdt 2,2; Tb 12,7.11; 2Mac 13,21; Sap 2,22; 6,22; 14,15.23;Sir 22,22; 27,16s.21; Dn 2,18s.27ss.47;

    3 Ecco l’elenco completo: Mt 13,11; Mc 4,11; Lc 8,10; Rm11,25; 16,25; 1Cor 2,1.7; 4,1; 13,2; 14,2; 15,51; Ef 1,9;3,3.4.9; 5,32; 6,19; Col 1,26.27; 2,2; 4,3; 2Ts 2,7; 1Tm3,9.16; Ap 1,20; 10,7; 17,5.7.

    4 Vedi per questa parte la voce “mistero” nel NDTB curatada R. Penna.

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    Premesse

    L’ espressione “mistero pasqua-le” orienta verso la dimensio-ne più profonda della fedecristiana e della sua stessa compren-sione nella luce della Sacra Scrittura.Per cogliere la ricchezza evangelicadel suo significato è necessario deli-neare il contenuto dei due termini delsintagma nell’orizzonte del NT, equindi, di tutta la Bibbia. È quanto ciproponiamo di sviluppare nelle pagi-ne di questo articolo.

    1. Il mistero della volontà di Dio

    Nella benedizione che si incontra al-l’inizio della lettera agli Efesini, ed è ri-volta al “Padre del Signore nostro GesùCristo”, si proclama che Dio ha abbon-dantemente riversato la ricchezza delsuo amore perché “ci ha fatto conosce-re il mistero della sua volontà” (Ef 1,9)1. Queste parole riflettono, conla solennità del linguaggio liturgico,un’esperienza di fede che si colloca nelflusso vitale della tradizione biblica, inparticolare nella tradizione sapienzialee in quella apocalittica.

    La tradizione sapienziale, dentro ilpopolo di Israele, era giunta a com-prendere che la ricerca del significatoultimo di tutta la realtà trovava la suarisposta piena non nella creazione, ma

    nel Creatore. Tutta la realtà del cosmoe dell’uomo è espressione di un dise-gno eterno di Dio, disegno di vita, diamore, di armonia, di comunione. Al-cune pagine bibliche testimonianoquesta visione profonda alla quale siera innalzata la fede in JHWH, Dio del-la creazione e della redenzione. In essesi parla del disegno del Signore, descri-vendolo con l’immagine della “sapien-za”. La “sapienza”, che da sempre hacostituito la meta della riflessione edella ricerca dei popoli, e dello stessoIsraele, è qui contemplata come se fos-se una persona, è contemplata comela “Sapienza” che è in Dio “prima diogni sua opera” (Pr 8,22), come vinco-lo di perenne comunione tra il Signoree la sua creazione, vincolo nel quale lagioia di Dio è posta “tra i figli degliuomini” (Pr 8,30-31)2. La pagina di Sir24 presenta la Sapienza che, lodandose stessa nell’Assemblea dell’Altissimo,afferma di essere uscita dalla boccadell’Altissimo, di partecipare alla rega-lità del Signore, di esercitare la sua si-gnoria salvifica in ogni popolo e nazio-ne e di “abitare” in Gerusalemme, inmezzo al popolo che sperimenta lagloria del Signore (cf. Sir 24,1-12)3. Quiil disegno di Dio è contemplato nellasua origine immediata da Dio e nellasua caratteristica di comunicabilità.Presentando la Sapienza che esce dallabocca di Dio, proprio come la Parola

    Il mistero pasquale nell’orizzonte della sacra scrittura

    di p. Giovanni Odasso, crs

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    del Signore (cf. Dt 8,3), il testo sottoli-nea che il disegno di Dio è destinatoad essere comunicato all’uomo. Inrealtà la Sapienza esercita la sua signo-ria salvifica tra i popoli, essi nel lorocammino religioso e socio-culturalegiungono a conoscere, accogliere etrasmettere qualcosa del disegno diDio. In modo particolare, la Sapienzarealizza la comunicazione di se stessanel popolo di JHWH, questi la conoscee la sperimenta, in modo eminente,nella Torah che Dio ha donato permezzo di Mosè (cf. Sir 24,22).

    La comprensione del disegno di Diocome realtà che può essere conosciutasolo nella misura in cui il Signore stes-so la comunica, favorisce lo sviluppodella preghiera con la quale si invocada Dio il dono della Sapienza. La pre-ghiera di Salomone, che chiede a Diola sapienza del cuore, per realizzare lagiustizia e distinguere il bene dal male(1 Re 3,4-14.28), è una testimonianzaeloquente e significativa. Da essa sipuò arguire che in Israele, a partiredalla riflessione teologica deuterono-mistica, la ricerca sapienziale era giun-ta a comprendere la conoscenza degliorientamenti esistenziali della vita co-me frutto di un discernimento, un di-scernimento che non è solo espressio-ne della saggezza e della investigazio-ne dell’uomo, ma è anzitutto e soprat-tutto dono di Dio. Questa prospettivaporterà a vedere nella Torah, intesacome l’«insegnamento» che il Signoreha manifestato e continua a manife-stare al suo popolo, la fonte di quellasapienza e di quell’intelligenza che ca-ratterizza Israele agli occhi dei popoli(cf. Dt 4,6-8). Al culmine di questa con-cezione teologica si trova la preghiera

    posta nuovamente sulle labbra di Salo-mone dall’autore della pericope di Sap 9,1-18. In questa pagina non sichiede solo il dono del discernimentosaggio e intelligente nella vita di ognigiorno e nemmeno si domanda soltan-to di camminare secondo quanto Dioha manifestato nella sua Torah. Quil’orante chiede di partecipare alla Sa-pienza di Dio, di “rintracciare le cosedel cielo”, di conoscere “la volontà” diDio, il suo “ pensiero” (Sap 8,13.16.17).

    L’orizzonte nel quale si muove il li-bro della Sapienza, come è noto, è pie-namente illuminato dalle acquisizionidel movimento apocalittico, in modospeciale dalla fede nella risurrezione(cf. Sap 2, in particolare i vv. 23-24).La tradizione apocalittica è precisa-mente il luogo in cui la fede di Israeleè giunta a confessare il mondo della ri-surrezione4. Le promesse salvifiche diDio hanno caratterizzato il vissuto esi-stenziale della fede di Israele cosìprofondamente e costantemente cheanche la Torah, nel suo insieme, è pre-sentata come la promessa della terra,promessa che ancora deve adempiersi.Quando si comprese che era impossibi-le che le promesse divine si realizzasse-ro pienamente all’interno della storiaumana, quando si capì che non si po-teva pensare alla loro realizzazionenemmeno in una fase della storiaumana qualitativamente diversa dallapresente (come si annunciava nella co-siddetta profezia escatologica), allorala certezza della fedeltà di Dio alla suaParola maturò nella confessionedell’«altro mondo», il mondo della ri-surrezione, il mondo nel quale, con laliberazione dalla morte e l’elevazionedell’umanità alla partecipazione della

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    vita divina, si realizzeranno pienamen-te le parole salvifiche del Signore.

    Questa visione di fede, che scaturi-va essenzialmente dal cuore stessodella Torah, aprì la via a comprendereche la dimensione più profonda deldisegno di Dio - il nucleo luminosodella sua Sapienza – ha la sua pienarealizzazione unicamente nel mondodella risurrezione. È questo il “miste-ro” di Dio, mistero che svela “quelloche avverrà alla fine dei giorni” e, inquesto modo, illumina tutta la storia,manifestando il suo compimento nelregno eterno di Dio. Questo disegno èappunto il “mistero” “che non può es-sere svelato né da saggi, né da astro-logi, né da maghi né da indovini”, mapuò solo essere rivelato da Dio (Dn 2,27-28; cf. Dt 29,28). Il Dio alquale “appartengono la sapienza e lapotenza”, che “concede la sapienza aisapienti”, è contemplato e proclama-to come colui che “svela cose profon-de e occulte” (cf. Dn 2,22), come il Dioche rivela la sua volontà di salvezzache si realizzerà definitivamente nel“mondo che deve venire”, nel mondodella risurrezione.

    Un altro elemento è ancora essen-ziale per comprendere il significato di“mistero” nella riflessione e nei testiapocalittici. Si tratta del fatto che laconfessione del mondo della risurre-zione non riguarda solo Israele, matutte le famiglie dei popoli. Per tutti ipopoli è preparato il banchetto del-l’alleanza, nel quale la morte è stataeliminata per sempre (cf Is 25,6-8).Quando Dio realizzerà il suo regnoeterno, si prostreranno nell’adorazio-ne, davanti a lui, “tutti coloro chedormono sotto terra”, “tutte le fami-

    glie dei popoli” (cf. Sal 22,28-30). Laconcezione secondo cui le genti, nelmondo della risurrezione, saranno re-se partecipi dell’alleanza eterna, libe-ra da errate interpretazioni dell’AT epermette un approccio più genuinoalla Scrittura. La Bibbia contiene lapromessa che riguarda la salvezza nonsolo di Israele, ma di tutte le genti.

    Il “mistero” che il Signore svela alsuo popolo riguarda precisamente ilcompimento del suo disegno d’amore,quando Israele e le genti, nel mondodella risurrezione, saranno associati,sia nella vita dell’alleanza eterna conil Signore, sia nella lode e nel ringra-ziamento perenne del suo Nome. L’o-pera che la Sapienza compie, con lasua dimora in mezzo al popolo dellagloria di Dio, è appunto la rivelazionedi questo mistero, la manifestazioneche tutta l’umanità è nella volontàsalvifica del Signore, nel suo disegnod’amore, nel suo compiacimento.

    2. “Il Cristo, nostra pasqua, èstato immolato” (1 Cor 5,7)

    L’aggettivo “pasquale”, che carat-terizza l’espressione “mistero pasqua-le” deriva dalla testimonianza di fededel NT, che confessa il Signore risorto.

    La confessione del Signore risorto,che rappresenta il nucleo originario,essenziale e vitale della fede cristiana,contiene un insieme di elementi indi-spensabili per la sua corretta com-prensione5.

    Essa suppone, anzitutto, una cer-tezza: il mondo della risurrezione,promesso nelle Scritture, è diventatorealtà nel Cristo. In lui quindi si com-piono le promesse salvifiche di Dio.

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    Anzi, per la fede del NT, il Cristo costi-tuisce il compimento stesso delle pro-messe di Dio. Egli è presentato noncome “un risorto”, ma come “il Risor-to”, colui che è “la risurrezione e la vi-ta” (cf. Gv 11,25). Sotto questo profi-lo, la confessione del Risorto è la pro-clamazione della fedeltà del Padre alsuo amore e alla sua salvezza.

    La confessione delRisorto, in secondo luo-go, è inseparabilmentecongiunta alla vita e al-l’opera di un uomoconcreto: quel Gesù cheè stato crocifisso. Neconsegue che la fedenel Signore risorto è lafonte della confessionedel valore salvifico dellamorte di Gesù: mortoper noi, per i nostri pec-cati, per la nostra sal-vezza, per riconciliarcial Padre. La fede checonfessa la morte salvi-fica del Signore, quindi,nasce e si sviluppa nelcuore di coloro che vi-vono l’esperienza di es-sere partecipi della suarisurrezione. Scaturitadalla gioiosa e interiorecertezza di essere “ri-sorti con Cristo” (cf. Col3,1), la proclamazionedel valore salvifico dellamorte di Gesù costitui-sce, a sua volta, la basedi un meraviglioso e fe-condo cammino di ap-profondimento teologi-co. Proprio perché, nel-

    la luce della risurrezione, la mortenon rinchiude definitivamente Gesù inun sepolcro, al contrario lo innalza al-la piena partecipazione della vita delPadre, essa fu ben presto compresa,nelle prime comunità cristiane, con lacategoria biblica del sacrificio.

    Il sacrificio, nell’orizzonte teologicodella Scrittura, ha il suo valore che tra-

    La Resurrezione di Cristo, Icona,Monaci del Monte Athos

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    scende la pura ritualità dell’azionecultuale, in quanto è simbolo della te-nerezza del Signore che innalza il suopopolo fino a sé, rendendolo parteci-pe della sua stessa vita e del suo amo-re. La proclamazione del sacrificio diGesù appare in modo speciale in un’e-spressione che, molto probabilmente,proviene da un testo liturgico proto-cristiano. Il Cristo - così recita il testo -“ha amato noi e ha dato se stesso pernoi, offrendosi a Dio in sacrificio disoave aroma” (Ef 5,2). La partecipa-zione alla vita dell’alleanza con il Si-gnore, espressa nella teologia del Le-vitico, ha la sua piena realizzazionenella “morte-che-culmina-nella-risur-rezione”, nella morte del Kyrios.

    Al tempo di Gesù, come è noto, ilsacrificio che, all’interno del giudai-smo interstamentario, aveva ricevutola maggiore valorizzazione simbolicaera quello della pasqua: esso orien-tava al compimento della creazione,quando l’umanità, raggiunta dallabenedizione promessa nella aqedahdi Isacco (cf. Gen 22,18) e liberata daogni schiavitù, sarebbe giunta alla ri-surrezione. Alla luce della risurrezio-ne del Kyrios, la morte di Gesù appa-re, in definitiva, come l’esodo dellaPasqua eterna. Colui che è stato cro-cifisso si presenta, agli occhi della fe-de, come colui che ha realizzato ilvero sacrificio; colui che è stato im-molato; colui che, in quanto “agnel-lo immolato”, inaugura la pasquadella risurrezione; colui che è la “no-stra Pasqua” (cf. 1 Cor 5,7).

    Un aspetto, in questo contesto, de-ve necessariamente essere tenuto pre-sente per cogliere il carattere “pasqua-le” della concezione e dell’esperienza

    protocristiana. La Chiesa del NT, nu-trendo la propria fede nel Risorto conil cibo vitale delle Sante Scritture, com-prende che la “salvezza di Dio” rag-giunge tutti gli uomini in quanto liunisce al Signore e li rende partecipidella sua vita risorta nella comunionecon il Padre. Il mistero di Dio, di cui latradizione di Israele attendeva il com-pimento e la piena manifestazione, èora rivelato nel cuore dei credenti e ri-suona nel lieto annuncio del Vangelo.Tutti coloro che lo accolgono, median-te la fede, formano la Chiesa in quan-to è la comunità che è partecipe dellarisurrezione del Signore e vive nella lu-ce della rivelazione6.

    Per la comunità dei discepoli, cheaccolgono la rivelazione del Figlio,questo mistero è intrinsecamente con-nesso con la risurrezione del Signore econ il fatto che tutti ne sono resi par-tecipi. Il mistero del Regno di Dio puòperciò essere presentato anche come il“mistero di Cristo” (cf. Ef 3,4): il dise-gno salvifico del Padre che era statopromesso nelle Scritture si è adempiu-to nella risurrezione del Cristo e neldono di partecipare alla sua vita, donoche Dio comunica a tutti gli uomini.

    Nell’orizzonte apocalittico-cristianoil “mistero” di Dio consiste proprio inquesto: che tutte le genti, secondo lapromessa contenuta nella Scrittura,sono chiamate a formare, insieme al-l’Israele che accoglie il Vangelo, un so-lo corpo e ad essere partecipi dellastessa eredità (cf. Ef 3,6): l’eredità del-le promesse divine, l’eredità che è co-stituita da Dio stesso. Proprio questomistero, “che non era stato manifesta-to agli uomini delle precedenti gene-razioni”, è ora rivelato per mezzo del-

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    lo Spirito agli apostoli e ai profeti (cf. Ef 3,5), anzi a tutti i “santi” (cf. Col 1,26), ossia a tutti i credenti.Quanto sia fondamentale la rivelazio-ne del mistero nella vita dei credenti,appare nella preghiera con cui si invo-ca per i battezzati che il Padre dellagloria conceda loro lo Spirito della sa-pienza e della rivelazione per una piùprofonda conoscenza di lui e della suapotenza che si manifesta appunto nel-la risurrezione del Cristo e nella suaglorificazione messianica (Ef 1,15-23).

    3. Osservazioni conclusive eorientamenti

    Tenendo insieme questi vari ele-menti, una conseguenza si impone. Ildisegno di Dio, che riguarda la salvez-za di tutte le genti, si realizza nel Si-gnore risorto e nella vocazione di tuttigli uomini ad essere partecipi della vi-ta gloriosa del Cristo. La confessionedel Signore risorto, inoltre, implica lacomprensione del valore salvifico uni-versale della sua vita, che culmina nel-la passione e nella morte: valore che,nella luce della Scrittura, si compren-de con la categoria del sacrificio e, inmodo speciale, con quella del sacrifi-cio pasquale.

    In questa prospettiva l’aggettivo“pasquale” conferisce al termine “mi-stero” due connotazioni. Anzitutto es-so sottolinea il carattere glorioso delmistero di Dio che si realizza appuntonella partecipazione di tutti gli uomi-ni alla risurrezione del Cristo Signore.Al tempo stesso l’aggettivo “pasqua-le” rinvia alla vita di Gesù e in modospeciale alla comprensione della suamorte come sacrificio santo e immaco-

    lato, gradito a Dio e quindi fonte disalvezza.

    La moltitudine di tutte le genti èchiamata ad essere “in Cristo”, inseritanella sua vita gloriosa, trasfigurata inlui. La salvezza di Dio è la risurrezionedel Cristo, è il nostro essere risorti inlui. Ogni uomo, che non si chiude re-sponsabilmente al dono di Dio, è par-tecipe della gloria del Signore risorto.

    Nell’orizzonte teologico del NT,inoltre, la risurrezione del Cristo è la ri-sposta di Dio al Figlio che, nella realtàstorica della sua umanità, ha ascoltatola voce del Padre fino al dono totale disé nell’amore e per amore. Questoaspetto è fondamentale per la vita dicoloro che hanno, nella fede, la gioiosacertezza di partecipare alla risurrezio-ne del Cristo. La contemplazione delsuo amore e il memoriale del suo “sa-crificio” non solo accrescono la parteci-pazione alla risurrezione del Signore,ma al tempo stesso sviluppano di gior-no in giorno le potenzialità di quell’a-more che rende i discepoli “servi diDio” verso tutti per guadagnare a lui ilmaggior numero (cf. 1 Cor 9,19-23).

    Queste riflessioni, che non hanno lapretesa di essere esaustive, focalizzanoalcuni contenuti centrali per la com-prensione dell’espressione “mistero pa-squale”. Da questo approccio iniziale,che si è sviluppato alla luce di tutto ilNT e della Scrittura, derivano impor-tanti conseguenze. L’espressione “mi-stero pasquale” si comprende all’inter-no di una comunità che vive la fede nelVangelo come esperienza di risurrezio-ne e quindi esperienza dell’amore delPadre che nel Signore risorto rivela lasua eterna fedeltà e la sua vivificantetenerezza. Inoltre il ricorso all’espres-

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    sione “mistero pasquale”, perché nonrimanga vuoto e insignificante, devemirare a risvegliare in tutti i battezzatila coscienza della loro identità, la con-sapevolezza del carattere unico dellaloro vocazione. Nel Regno futuro, co-me è testimoniato dall’insieme dellaScrittura, tutti coloro che non hanno ri-fiutato l’amore di Dio, vivranno nellagloria eterna della loro trasfigurazionenell’icona del Signore risorto. Certa-mente l’azione del Signore risorto giàora, nel tempo, raggiunge salvifica-mente tutti coloro che vivono nella ret-titudine della loro coscienza7. Però al-l’interno della storia umana solo coloroche sono stati inseriti nella Chiesa, me-diante il battesimo, vivono nella lucedella risurrezione e della rivelazionedel mistero di Dio in Cristo Gesù. Inquesto mondo solo alla Chiesa è datodi conoscere il mistero del Regno nellarivelazione del mistero del Cristo (cf. Mc 4,11; Rm 16,25).

    La comprensione della fede con lacategoria del mistero pasquale impe-gna la cristianità di oggi a superare leillusorie sicurezze del devozionalismo edel moralismo per aprirsi alla “consola-zione di Dio”, sviluppando una vita difede sempre più ispirata dall’esperien-za profetica della rivelazione e semprepiù impegnata nella ricerca sapienzialedel disegno di Dio e nella testimonian-za profetica del suo Vangelo.

    La via che guida la Chiesa, nellarealtà di tutti i suoi membri, a com-prendere il mistero di Dio e quindi lasua rivelazione è data, come per laChiesa del tempo apostolico, dalla co-noscenza delle Scritture, una cono-scenza che deve essere almeno pro-porzionata al livello di maturazione

    culturale che ciascuno è nella condi-zione di sviluppare in base alle pro-prie condizioni di vita e di professio-ne. La comprensione del “mistero pa-squale”, nell’orizzonte biblico sopradelineato, implica un profondo e rea-le rinnovamento nella formazione ditutti coloro che, nelle varie comunità,sono chiamati a porre la propria vita aservizio del Vangelo nelle varie formeche può assumere la diaconia ministe-riale nella Chiesa8.

    Nell’orizzonte della Scrittura l’e-spressione “mistero pasquale” rinnovala consapevolezza che tutta la creazio-ne e la storia umana sono espressionedel disegno salvifico di Dio. Questa vi-sione non offre certo soluzioni magi-che ai problemi della vita: ogni diffi-coltà richiede di essere affrontata inmodo coerente e sapienziale nel rispet-to della propria natura, nell’individua-zione delle sue cause e nella ricercadelle sue soluzioni. Questa visione,però, offre una certezza che rende pos-sibile la speranza anche quando i pro-blemi sono complessi e le pagine dellastoria sono attraversate da tenebre co-sì fitte da rendere difficile l’individua-zione o l’accoglienza degli itinerarigiusti che conducono concretamentealla luce. I battezzati trovano semprenella loro fede la certezza della vittoriadi Dio e la forza della gioiosa testimo-nianza evangelica, senza lasciarsi tur-bare nelle tribolazioni (1 Ts 3,3).

    In questo contesto, una profondailluminazione e un forte impulso vi-tale può venire dalla sempre rinno-vata comprensione della morte diGesù come sacrificio pasquale, unaspetto fortemente presente nellacategoria del mistero pasquale. Que-

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    sto aspetto infatti pone la speranzacristiana sulla roccia dell’amore diDio, amore che i battezzati accolgo-no e vivono nella propria esistenza,come fece Gesù, fino a dare se stessiper la vita del mondo. Nella luce delmistero pasquale la speranza cristia-na non è mai disgiunta dall’impegnodella propria auto-oblazione perchéil mondo conosca la vita, la scelga ecammini nelle sue vie.

    Analogamente, nella luce del mi-stero pasquale, la Liturgia cristianaunisce l’assemblea al Risorto che in-nalza al Padre il canto eterno della lo-de e del ringraziamento, rivela il mi-stero del Regno ai suoi discepoli e liabilita, con la potenza dello Spirito, arinnovare l’offerta della propria vitacome “sacrificio vivente, santo e gra-dito a Dio” (Rm 12,1).

    La categoria del “mistero pasqua-le”, infine, illumina la relazione dellaChiesa con tutte le genti. Nella misurain cui la comunità cristiana è autenticaessa risplende sicuramente come lucedel mondo e sale della terra. L’impe-gno della testimonianza evangelica èessenziale alla vocazione della Chiesaproprio perché, secondo le Scritture, il

    mondo della risurrezione è per tutte legenti e tutte le genti attendono diascoltare la testimonianza del Risortoe quindi l’annuncio del Vangelo. Altempo stesso – lo abbiamo visto - il NT,compreso nell’orizzonte di tutta laScrittura, testimonia che Dio già orasta realizzando il “mistero del Regno”offrendo a tutti gli uomini il dono dipartecipare alla risurrezione del Cristo.Questa prospettiva orienta la Chiesa, equindi tutti i battezzati, a cogliere ivalori che sono presenti nelle culture enelle tradizioni religiose dell’umanità.In essi si manifesta non solo il fruttodella ricerca dell’uomo, ma l’opera re-gale della Sapienza di Dio, si manifestal’energia del Signore risorto che donail suo Spirito. Questo discernimento sa-pienziale e profetico, che è la condi-zione di un vero dialogo interreligioso,ha anche una funzione vitale per lacomunità cristiana in quanto la impe-gna nel cammino dell’autenticità epuò offrire delle luci che rendono i di-scepoli un segno di speranza con cui ri-sponde agli interrogativi profondi delcuore di ogni uomo e orienta la storiaumana verso la sua meta: la salvezzanella gloria del Regno.

    1 Per il testo di Ef 1,3-14 cf. il ricco commento di H. SCHLIER,La lettera agli Efesini, Brescia 21973, 47-105 (soprattuttole pp.82-92).

    2 Per la comprensione della figura della Sapienza in Prv 1-9è fondamentale la ricerca di G. BAUMANN, Die Weisheit-sgestalt in Proverbien 1-9.Traditionsgeschichtliche undtheologische Studien (FAT 16), Tübingen 1996.

    3 L’importanza e il significato di questo testo per la teolo-gia delle religioni sono stati rilevati da G. ODASSO, Bibbiae religioni, Roma 1998, 209-212

    4 Su questo argomento cf. le interessanti prospettive delinea-te da H. GHESE, Sulla teologia biblica, Brescia 1989, 39-66.

    5 Su questo argomento, con particolare riferimento al si-gnificato soteriologico della confessione del Signore ri-sorto e alla comprensione protocristiana della fede nel

    “Kyrios”, cf. G. ODASSO, Bibbia e religioni, cit., 291-3166 Nel breve periodo di circa due decenni le comunità pro-

    tocristiane giunsero, con l’assemblea di Gerusalemme (cf.At 15), a proclamare esplicitamente che sia i giudei che legenti, già “in questo mondo”, sono chiamati da Dio adessere raggiunti dalla sua salvezza mediante la partecipa-zione alla risurrezione del Cristo.

    7 Per la prospettiva biblica secondo cui tutti gli uomini sonoraggiunti dalla risurrezione del Cristo e in qualche modo nesono partecipi, nella potenza vivificante dello Spirito Santo,cf. G. ODASSO, Bibbia e religioni, cit., 368-371.

    8 Per un’ampia trattazione di questo argomento, con par-ticolare riferimento alla formazione dei presbiteri, cf. G.ODASSO, “La formazione biblica in relazione al ministeropresbiterale”, Seminarium 37 (1997) 56-79.

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    I niziando la riflessione sul misteronell’azione liturgica cristiana, èbene innanzitutto considerare lagamma differenziata di significati chela parola mistero assume nei diversicontesti. Essa comprende e veicolacontenuti diversi quando è utilizzatanel linguaggio comune, quando latroviamo negli scritti veterotestamen-tari o neotestamentari, quando lapropongono i Padri o quando la sen-tiamo pronunciare nell’azione liturgi-ca. I fedeli, entrando nella celebrazio-ne, in un certo senso sono chiamati al-l’utilizzo di una nuova lingua, che po-tremmo definire biblico-liturgica. Èbene chiedersi se ne hanno una ade-guata conoscenza, o in che modo pos-sono essere aiutati a riguardo. Quan-do, ad esempio, all’inizio della cele-brazione eucaristica, ascoltano l’invito“Prima di celebrare i santi misteri…”,quale comprensione potrebbe emer-gere se la parola mistero fosse decodi-ficata solo secondo il significato cheha nel linguaggio comune? Facilmen-te in questo caso la percezione perso-nale potrebbe divenire: “prima di ce-lebrare l’ignoto…” o altrimenti orien-tarsi su altri significati similari, comun-que insufficienti, se non fuorvianti. Laquestione terminologica ci aiuta a co-gliere sfide ben più impegnative e im-portanti sul piano dei contenuti. Co-gliendo questi spunti, potremmo chie-derci ad esempio: in che misura, a se-guito dell’opera di approfondimento

    e di formazione promossa dal Movi-mento liturgico, dal Concilio VaticanoII, dalla Riforma liturgica e dai percor-si post-conciliari la celebrazione cri-stiana, nella coscienza dei fedeli, vie-ne percepita e vissuta come presenzae attuazione del mistero pasquale diCristo? In che misura ciò costituisce ilperno e l’essenziale di ogni azione li-turgica? In quale misura la coscienza ela percezione di questo “centro” de-termina e ordina lo stile celebrativo?

    Domande simili riecheggiano nellarecente lettera apostolica promulgatain occasione del XL anniversario dellaSC; essa traccia un bilancio, seppureper linee essenziali, sulla prassi cele-brativa post-conciliare. “A distanza diquarant’anni, è opportuno verificare ilcammino compiuto. …È vissuta la Li-turgia come ‘fonte e culmine’ della vi-ta ecclesiale, secondo l’insegnamentodella Sacrosanctum Concilium?. La ri-scoperta del valore della Parola di Dio,che la riforma liturgica ha operato, hatrovato un riscontro positivo all’inter-no delle nostre celebrazioni? Fino ache punto la Liturgia è entrata nelconcreto vissuto dei fedeli e scandisceil ritmo delle singole comunità? Ècompresa come via di santità, forza in-teriore del dinamismo apostolico edella missionarietà ecclesiale? Il rinno-vamento conciliare della Liturgia hal’espressione più evidente nella pub-blicazione dei libri liturgici. Dopo un

    Inseriti nel mistero pasquale di Cristo di don Concetto Occhipinti

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    primo periodo nel quale c’è stato ungraduale inserimento dei testi rinno-vati all’interno delle celebrazioni litur-giche, si rende necessario un ap-profondimento delle ricchezze e dellepotenzialità che essi racchiudono. Allabase di tale approfondimento deveesserci un principio di piena fedeltàalla Sacra Scrittura e alla Tradizione,autorevolmente interpretate in parti-colare dal Concilio Vaticano II, i cui in-segnamenti sono stati ribaditi e svi-luppati nel Magistero successivo. …Inquesta prospettiva rimane più che mainecessario incrementare la vita liturgi-ca all’interno delle nostre comunità,attraverso una formazione adeguatadei ministri e di tutti i fedeli, in vistadi quella piena, consapevole e attivapartecipazione alle celebrazioni litur-giche che è auspicata dal Concilio”.1

    Collocandoci in questa esigenza enella prospettiva di un necessario ap-profondimento delle ricchezze e dellepotenzialità della riforma liturgicaconciliare, vogliamo evidenziare la de-cisiva importanza che in essa ha avutola realtà del mistero, pienamente ri-scoperta e vissuta nell’azione liturgica.Il senso del mistero cristiano, comel’insieme della storia della salvezza, èstato determinante nel definire l’im-pianto generale di tutta la Costituzio-ne conciliare sulla sacra liturgia. Perdefinire la natura della liturgia cristia-na i primi numeri della SC non tratta-no, infatti, secondo l’uso abituale deltempo, del culto naturale per poigiungere all’approfondimento del cul-to cristiano. Sono dedicati invece altratteggio dei diversi momenti dellastoria della salvezza, all’interno della

    quale risulta autenticamente e piena-mente comprensibile il culto cristianocome momento attuativo e comunica-tivo dell’opera di salvezza celebrata.Padre Neunheuser su questo punto af-ferma: “L’espressione mysterium pa-schale è stata fatta propria dalla costi-tuzione conciliare sulla liturgia SC ne-gli articoli fondamentali che trattanodella natura della liturgia, nei quali èbene espresso l’essenziale della teolo-gia dei misteri. …L’espressione myste-rium paschale intende abbracciare,concentrandosi espressamente sul ver-tice dell’azione salvifica di Cristo, ilmysterium beatae passionis et glorio-sae resurrectionis, tutta l’opera salvifi-ca di Cristo: il mistero della volontàsalvifica divina (conformemente a Ef 1,9), i misteri dei magnalia Dei nel-l’AT, il mistero dell’incarnazione, il mi-stero del passaggio dalla morte alla vi-ta nella passione, risurrezione e eleva-zione alla destra del Padre, il misterodell’effusione dello Spirito Santo e ilmistero della parusia del Signore (cheattendiamo nella speranza); il tuttoora reso presente ai fedeli nei misteridel culto, nei sacramenti dell’iniziazio-ne, nel mistero del memoriale eucari-stico, nei sacramenta paschalia, in bre-ve: nelle actiones sacrae di tutte le ce-lebrazioni liturgiche. Tutta la liturgia,globalmente, è al servizio del compi-mento del disegno salvifico di Dio nel-la vita della chiesa, nella vita di ogniuomo che, avendo ascoltato il messag-gio di Cristo, vuole accettare la voca-zione divina che lo chiama ad una vitaeterna”.2

    Il momento cultuale, nell’ambitodel percorso storico salvifico, data la

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    sua fisionomia attuativa, rappresentala tappa conclusiva rispetto agli altrimomenti che lo precedono. La Costitu-zione conciliare, nelle sue battute ini-ziali, dà subito il senso che il culto cri-stiano assume nell’ambito della storiasalvifica: “La liturgia infatti, mediantela quale, specialmente nel divino sacri-ficio dell’eucarestia, ‘si attua l’operadella nostra redenzione’, contribuiscein sommo grado a che i fedeli esprima-no nella loro vita e manifestino agli al-tri il mistero di Cristo e la genuina na-tura della vera Chiesa”.3 Il primo mo-mento dell’iter storico salvifico è quel-lo che può essere definito “fontale”:Dio …vuole che tutti gli uomini si sal-vino e arrivino alla conoscenza dellaverità (1Tm 2,4).4 Da questa volontàscaturisce il percorso storico salvificocosì delineato: “Quest’opera della re-denzione umana e della perfetta glori-ficazione di Dio, che ha il suo preludionelle mirabili gesta divine operate nelpopolo dell’AT, è stata compiuta daCristo Signore, specialmente per mez-zo del mistero pasquale della sua bea-ta passione, risurrezione da morte egloriosa ascensione…Infatti dal costa-to di Cristo dormiente sulla croce èscaturito il mirabile sacramento di tut-ta la chiesa”.5 Sono facilmente indivi-duabili due distinte tappe: quella ca-ratterizzata dalla profezia e dall’an-nuncio e quella contraddistinta dalcompimento, in Cristo e specialmentenei misteri della sua Pasqua. Si giungecosì a quello che può esser definito ilquarto momento del percorso storicosalvifico. Esso è incentrato tutto attor-no alla missione degli apostoli, i qualisono chiamati non solo ad annunciarema anche ad attuare l’opera della sal-

    vezza, mediante il sacrificio eucaristicoe i sacramenti attorno ai quali gravitatutta la vita liturgica.6 La pregnanza ela forza insite nel verbo attuare, quiutilizzato, assumono senso pieno allaluce del fatto che il soggetto dell’azio-ne liturgica è Cristo stesso, presentenella sua Chiesa; “Per realizzare un’o-pera così grande, Cristo è sempre pre-sente nella sua chiesa, e in modo spe-ciale nelle azioni liturgiche. È presentenel sacrificio della messa... È presentecon la sua virtù nei sacramenti... È pre-sente nella sua Parola... È presente in-fine quando la chiesa supplica e sal-meggia... Perciò ogni celebrazione li-turgica, in quanto opera di Cristo sa-cerdote e del suo corpo, che è la chie-sa, è azione sacra per eccellenza”.7

    Il movimento liturgico ha contri-buito a ravvivare la consapevolezzadel popolo di Dio attorno alla ricchez-za e alla vitalità del mistero cristiano.Casel, che con la sua ricerca sui misteriha certamente dato un apporto decisi-vo in questa presa di coscienza, sotto-linea che gli antichi, quando parlava-no di “misteri”, non intendevano solodottrine teologiche, verità rivelate enozioni teologiche da queste dedotte,ma anche qualcosa di completamentediverso, qualcosa che li toccava e av-vinceva ancor più profondamente diquelle verità, o meglio: qualcosa in cuisoltanto tali verità diventavano vita,azione e realtà efficace; vale a dire:[intendevano] la celebrazione liturgi-ca delle realtà salvifiche cristiane, lasacra azione misterica, quindi unarealtà molto concreta, visibile, tangi-bile e udibile, consistente non solo inoggetti concreti, ma anche in un’azio-

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    ne che si svolge davanti agli occhi de-gli spettatori e a cui essi stessi prendo-no attivamente parte.8 Lo stesso auto-re presenta la liturgia misterica comefrutto dell’unica azione dello Sposo edella Sposa, di Cristo e della sua Chie-sa. Se noi collochiamo a fianco le dueparole, “mistero” e “liturgia” signifi-cano la stessa cosa ma sotto dueaspetti diversi. “Mistero” significa inquesto caso l’aspetto intimo dell’azio-ne e quindi, anzitutto, l’opera reden-trice, proveniente dal Signore glorifi-cato attraverso le azioni sante da luiistituite; d’altro canto “liturgia”, incorrispondenza col suo significato eti-mologico di “opera del popolo” e“servizio”, indica più particolarmentel’azione della Chiesa in unione all’o-pera salvifica di Cristo. Abbiamo vistocome Cristo e la Chiesa operino insie-me nel mistero, inseparabilmente; tut-tavia possiamo usare la parola “miste-ro” piuttosto per esprimere l’azionedello Sposo, la parola “liturgia” perl’azione della Sposa, senza con ciò se-parare troppo le due cose. Giacché sic-come la Chiesa compie i riti esternimentre Cristo opera all’interno e permezzo degli stessi riti, anche l’azionedella Chiesa deve essere chiamata mi-stero.9

    Neunheuser, nell’articolo sopra ci-tato, dopo un’ampia analisi sui diversiapporti di approfondimento dellarealtà del mistero, così come emergo-no sia nella teologia antica che inquella più recente, giunge a questeconclusioni: “Riepilogando possiamodire che, al di là di certe opinioni dellesingole scuole e al di là delle questioniteologiche controverse, la parola chia-

    ve “mistero” - patrimonio comunedella tradizione ecclesiastica e della li-turgia romana sia nei suoi testi origi-nari che in quelli restaurati della rifor-ma post-conciliare - è in grado di sin-tetizzare il piano storico salvifico diDio, la sua realizzazione nella storiadel popolo d’Israele e, giunta la pie-nezza dei tempi, in Gesù Cristo, inparticolare nella sua morte e risurre-zione, e poi l’attualizzazione di talerealizzazione nella chiesa e nelle azio-ni sacre della sua liturgia: il mistero diDio in Cristo e nella chiesa, a nostrasalvezza e a gloria di Dio. Senza biso-gno di legarsi a una determinata scuo-la e conservando la piena libertà perquanto riguarda la formulazione e lasoluzione ultima di singole questioniancora controverse, possiamo dire chequesto concetto chiave e il dispiega-mento del suo contenuto ha impressoun nuovo slancio alla comprensionedel messaggio della fede e alla suaesposizione teologica, oltre a conferir-gli una straordinaria unitarietà senzadanno per la sua ampiezza”.10 Colom-bo in un recente articolo su p. Marsili,in memoria dei venti anni dalla suascomparsa, sottolinea come l’azionemisterica preveda il coinvolgimento ditutta la realtà dell’uomo chiamata adivenire in Cristo offerta gradita al Pa-dre. “Pertanto Marsili ribadisce che,per attuare il sacerdozio di Cristo neifedeli, l’umanità dei quali deve fareunione con Cristo che nel mistero li-turgico dona la vita divina per portarea compimento quella umana nell’al-leanza, si rende necessario vivereesprimendo nel rito liturgico tutta larealtà del mistero di Cristo e tutta larealtà dell’uomo in sé e nelle sue rela-

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    zioni: entrambe le realtà sono offertel’una all’altra in un dono dinamica-mente sempre più coinvolgente. E af-finché il dono sia offerto come segnosacramentale occorre che i simboli ri-tuali rappresentino adeguatamenteentrambe le realtà, divina e umana inrelazione e che pertanto siano attintidalla rivelazione biblica e dalla vitadell’uomo che, fatto a immagine diDio e nell’amore del Figlio di Dio, de-ve, contemporaneamente, continuarecosì la creazione (Gn 1,28) e l’attua-zione della redenzione fino alla finedei tempi”.11

    I fedeli sempre più formati allacomprensione del mistero che è Cri-sto e sempre più pienamente parteci-

    pi della grazia e della missione checontiene, fanno l’esperienza del do-no dello Spirito Santo che è il Conso-latore. “Queste cose vi ho dettoquando ero ancora tra voi. Ma il Con-solatore, lo Spirito Santo che il Padremanderà nel mio nome, egli v’inse-gnerà ogni cosa e vi ricorderà tuttociò che io vi ho detto” (Gv 14,25-26).Lo Spirito Santo ricorda ai fedeli i mi-steri di Cristo e li aiuta a riconoscerlicome tali dentro la loro esperienza divita. I fedeli attraverso questa azionedi memoria e di rivelazione, che loSpirito Santo compie, innanzitutto,all’interno della celebrazione dei san-ti misteri, ricevono la consolazione ela configurazione a Cristo morto, se-polto e risorto.

    1 Giovanni Paolo II, lettera apostolica nel XL anniversariodella costituzione Sacrosanctum Concilium sulla sacra li-turgia (4 dicembre 2003), n. 6-7.

    2 Neunheuser B., Mistero, in NDL (a cura di Sartore D. eTriacca A.M.), 815-816; la frase conclusiva è tratta da unoscritto di p. J. Pinell.

    3 SC 2; il testo fa riferimento a un’orazione sulle offertedel Messale Romano.

    4 SC 5.

    5 Ibid.6 SC 6.7 SC 7.8 Cfr. Casel O., Il mistero del culto cristiano, (trad. a cura di

    Neunheuser B.), Borla, Roma 1985, pp. 35-58.9 Casel O., Il mistero, pp. 75-76.10 Neunheuser B., Il mistero, pp. 816-817.11 Colombo A., S. Marsili, profetico fautore delle scienze

    umane in liturgia?, in Rivista Liturgica 90 (2003) 763.

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    N ella preghiera devozionale delRosario della Beata VergineMaria, siamo invitati a con-templare i misteri della nostra reden-zione, dall’incarnazione del Verbo fi-no alla Pentecoste e alla glorificazionedella chiesa, che trova la sua immagi-ne nella assunzione della Vergine enella sua incoronazione come Reginache siede alla destra del Re, suo Figlio.

    Una tale contemplazione è statasempre pensata come soggettiva: il fe-dele medita i singoli misteri fino a es-serne attratto nella contemplazionepura. Seguono poi il Pater e una seriedi dieci Ave, concluse dal Gloria. I mi-steri (fino a ieri 15, da qualche anno20) sono tutti tappe nella realizzazio-ne storica dell’unico mistero nel sensopaolino, cioè del disegno divino di “ri-capitolare in Cristo tutte le cose”.

    La liturgia invece celebra questostesso mistero. La celebrazione liturgicafa molto più che un ricordare alla no-stra mente. Il senso del “memoriale” èche noi ricordiamo, cioè rendiamo pre-sente, a Dio l’evento celebrato. Se unevento è “presente a Dio”, esso esiste,cioè è oggettivamente presente. Que-sto vuol dire la Costituzione liturgicaSacrosanctum Concilium, quando diceche “per mezzo di segni sensibili vienesignificata e viene realizzata, nel modoche ai singoli segni si addice la santifica-zione dell’uomo e viene reso dal Corpomistico, cioè dal Capo e dalle membra,il culto pubblico integrale”.

    Il momento liturgico, specialmentenei segni sacramentali, non è ricordodell’evento, ma evento esso stesso. Nonnel senso che si ripete o si rinnova, main quanto esso viene “ripresentato”, eraggiunge realmente l’assemblea cele-brante e i suoi singoli membri. Portia-mo un esempio. Sappiamo che la lucedel sole impiega otto minuti per rag-giungere la terra. Ma vi sono stelle piùlontane, la cui luce ci raggiunge dopomille, duemila anni luce. Ora è momen-to illuminante non solo il primo istante,nel quale la luce parte dalla stella, maanche il momento nel quale essa arrivaall’occhio che la vede.

    Così la nostra salvezza, operata daCristo duemila anni fa, ci raggiungeeffettivamente nell’istante in cui noicelebriamo il sacramento. Io sono sta-to salvato da Cristo, duemila anni orsono, ma concretamente quando sonostato battezzato, quando celebriamol’eucaristia o un altro sacramento.

    La Chiesa poi celebra nel corso del-l’anno i singoli momenti dell’unico mi-stero, “dall’Incarnazione e dalla Nati-vità fino all’Ascensione e alla beataPentecoste e all’attesa della venutadel Signore” (SC 102). In questi giornila Chiesa canta l’antifona Hodie, cioèoggi. Per esempio: “Oggi Cristo è na-to, è apparso il Salvatore; oggi sullaterra cantano gli angeli, si allietanogli Arcangeli; oggi esultano i giusti,acclamando: ‘Gloria a Dio nell’alto deicieli, alleluia’ ” (Natale del Signore);

    Contemplare o Celebrare? di p. Ildebrando Scicolone, osb

  • FORMAZIONE LITURGICA

    28 Culmine e Fonte 6-2004

    “Oggi la Chiesa, lavata dalla colpa nelfiume Giordano, si unisce a Cristo, suoSposo; accorrono i magi con doni allenozze regali e l’acqua cambiata in vi-no rallegra la mensa” (Epifania); “Og-gi la Pentecoste è compiuta, alleluia,oggi lo Spirito appare come fuoco aidiscepoli…” (Pentecoste).

    “Oggi”, non “come oggi”. S. LeoneMagno spiega: “si dice oggi, per la ce-lebrazione del sacramento”.

    Gli eventi salvifici non sono passati,ma rimangono eternamente presenti,nell’eternità del Risorto. La celebrazioneli rende presenti alla comunità celebran-te. L’eucaristia che attualizza la totalitàdel mistero acquista una con-notazione particolare, aseconda dell’eventocelebrato. L’ho-die liturgico cirende “con-tempora-nei” diC r i s t o .S i a m oc o s ìpresen-ti allanasc i -ta, allamorte,alla ri-surrezio-ne, all’a-scensione,alla Pente-coste…

    Celebrazione e contemplazionenon si oppongono, dal momento cheal memoriale “oggettivo”, reso pre-sente dalla celebrazione deve unirsianche la nostra personale e coscientecontemplazione. Questa è la nostrapartecipazione al mistero. Se tradu-ciamo “memoriale” con “monumen-to”, abbiamo idea della oggettivitàdella presenza, ma il monumento èammirato, ci attira, ci entusiasma.Ora l’Eucaristia e gli altri segni litur-gici sono “il monumento” viventedella Pasqua. Se li percepiamo comepresenza, si realizza quanto la Chiesacanta nel prefazio di Natale: “Nel

    mistero del Verbo incarna-to è apparsa agli oc-

    chi della nostramente la luce

    nuova del tuof u l g o r e ,

    perché co-noscendoDio visi-bilmen-te, permezzos u os iamor a p i t ia l l ’ a -m o r e

    d e l l erealtà in-

    visibili”.

    Adorazione dei Magi. Cor. 5 Cod. MLVI C. 52 r, particolare

  • FORMAZIONE LITURGICA

    Culmine e Fonte 6-2004 29

    L’ Eucaristia “si pone al centrodella vita ecclesiale”, “uni-sce il cielo e la terra, com-prende e pervade tutto il creato”, “èquanto di più prezioso la Chiesa pos-sa avere nel suo cammino nella sto-ria”: sono alcune espressioni trattedalla lettera enciclica di GiovanniPaolo II “Ecclesia de Eucharistia” cheabbiamo presentato nei numeri pre-cedenti di “Culmine e Fonte”. Nellostesso documento il Santo Padre sot-tolinea che dopo il Concilio VaticanoII, nella celebrazione del culto (cfr. n°10) si sono sviluppati elementi positi-vi e negativi, senza tacere gli abusi,motivo di sofferenza per molti.

    Considera dunque suo dovere lan-ciare un “caldo appello perché, nellaCelebrazione eucaristica, le norme li-turgiche siano osservate con grandefedeltà” e aggiunge: “Proprio perrafforzare questo senso profondodelle norme liturgiche, ho chiesto aiDicasteri competenti della Curia Ro-mana di preparare un documentopiù specifico, con richiami anche dicarattere giuridico, su questo temadi grande importanza. A nessuno èconcesso di sottovalutare il Misteroaffidato alle nostre mani: esso ètroppo grande perché qualcuno pos-sa permettersi di trattarlo con arbi-trio personale, che non rispetterebbeil suo carattere sacro e la dimensioneuniversale” (EDE n° 52).

    Queste motivazioni sono alla basedell’Istruzione Redemptionis Sacra-mentum - redatta dalla Congregazioneper il Culto divino e la disciplina dei Sa-cramenti d’intesa con la Congregazio-ne per la Dottrina della fede - approva-ta dal Papa il 19 marzo 2004 e pubbli-cata il 25 marzo seguente. Il ti-tolo completo è: “IstruzioneRedemptionis Sacramentumsu alcune cose che si devonoosservare ed evitare circa laSantissima Eucaristia”.

    L’Istruzione è articolata in una in-troduzione (Proemio), otto capitoli euna conclusione. Secondo la presen-tazione del Card. Francis Arinze, Pre-fetto della Congregazione per il Cul-to divino e la disciplina dei Sacra-menti, il primo capitolo sulla regola-mentazione della sacra Liturgia parladel ruolo della Sede apostolica, delVescovo diocesano, della Conferenzaepiscopale, dei sacerdoti e dei diaco-ni. Il Vescovo diocesano è il grandesacerdote del suo gregge: dirige, in-coraggia, promuove e organizza. Vi-gila sulla musica e l’arte sacra. Stabi-lisce le commissioni necessarie per laliturgia, la musica e l’arte sacra. Cer-ca rimedi agli abusi. I sacerdoti, co-me i diaconi, hanno promesso solen-nemente di esercitare il loro ministe-ro con fedeltà. Ci si aspetta dunqueche la loro vita sia secondo le re-sponsabilità assunte.

    Redemptionis sacramentum (1) di Stefano Lodigiani

    Testi edocumenti

  • FORMAZIONE LITURGICA

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    Il secondo capitolo mette a fuocola partecipazione dei fedeli laici allacelebrazione dell’Eucaristia. Il Battesi-mo è il fondamento del loro sacerdo-zio comune. Il sacerdote ordinato èsempre indispensabile a una comunitàcristiana e i ruoli dei sacerdoti e deifedeli laici non devono essere confusi.Secondo l’Istruzione, non tutti devonofare qualche cosa a ogni momento: sitratta piuttosto di lasciarsi coinvolgerepienamente in questo grande privile-gio, dono di Dio, che è la chiamata a

    partecipare alla liturgia, concuore e mente e con tutta lavita, e per mezzo di essa di ri-cevere la grazia di Dio.

    I capitoli 3, 4 e 5 intendo-no rispondere ad alcune domande,affrontando gli abusi durante la cele-brazione della Messa: chi può e chinon può comunicarsi, la cura necessa-ria per ricevere la comunione sotto ledue specie, le domande concernenti iparamenti ed i vasi sacri, la posizionerichiesta per ricevere la santa Comu-nione e altre domande dello stessogenere.

    Il capitolo 6 tratta la devozioneverso il Santissimo Sacramento del-l’Eucaristia fuori dalla Messa, il ri-spetto dovuto al tabernacolo e alcu-ne pratiche come le visite al Santissi-mo Sacramento, le cappelle per l’a-dorazione perpetua, le processioni e iCongressi eucaristici.

    Il capitolo 7 tratta degli ufficistraordinari affidati ai laici: ministristraordinari della Comunione, re-sponsabili o animatori della preghie-

    ra comunitaria in assenza del sacer-dote. Questi ruoli sono da conside-rarsi distintamente rispetto a ciò chesi è det