Il Medioevo futuro di George Orwell

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Saggio di critica letteraria di DANILO CARUSO / Palermo, marzo 2015

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To be, or not to be.

WILLIAM SHAKESPEARE, "AMLETO”

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no dei grandi romanzi della letteratura novecentesca è “1984” di George Orwell, lavoro della seconda metà degli anni ’40, in cui l’autore immaginò l’assetto mondiale di alcuni decenni dopo. Sulla Terra allora sarebbero tre grandi Stati, dell’Oceania farebbe parte

Londra dove si svolgono le vicende narrate. Comunemente si scorge in “1984” la futura possibile degenerazione dell’esperienza storica del comunismo marxista, lettura da cui in tal verso si ricaverebbe – comunque – un monito contro i pericoli per la libertà e la democrazia. Tuttavia scrutando nel profondo del racconto emer-ge nitida una struttura politica alla radice della società oceaniana la quale rievoca il totalitarismo ideologico della Chiesa cattolica medievale. Un sistema che durò – incontrando crescenti difficoltà – ben oltre il Medioevo, finendo coll’essere messo in definitiva crisi (subite varie scissioni) dall’Illuminismo.

Questa interpretazione non appare priva di basi se consideriamo assieme a Simone Weil1 che la madre di ogni schema totalitario occidentale fu la pratica di potere secolare cattolica (rifacentesi all’impostazione statale teocratica veterote-stamentaria): vedremo quindi in dettaglio che l’Oceania orwelliana si fonda su tale prototipo (in apparenza) laicizzato. Un modello, de facto, dietro diversa veste, mantenente intatta quella sostanza.

Il protagonista del romanzo, il modesto e semplice Winston Smith, il quale entrerà in intimità con la sconosciuta Giulia (Julia), è un impiegato del “ministero della verità” (dicastero preposto a scuola e mass-media, arti e svaghi).

Ve ne sono altri tre: “dell’amore”, “dell’abbondanza”, “della pace”; che si occupano di rispetto dell’ordine costituito, economia, difesa e guerra. La prima cosa saliente di “1984” offerta a questo cammino analitico comparato è la scritta BIG BROTHER IS WATCHING YOU sopra un manifesto: “big brother”, di solito tradotto “grande fratello”, indica il “fratello maggiore”, chi appunto – come nel nostro caso – con esperienza superiore si prenderebbe cura dei fratelli minori; il fatto che ti stia guardando (da notare il costrutto perifrastico il quale rende la pun-tuale ininterrotta attualità di ciò) ricorda l’onniscienza divina. Il Big Brother sor-veglia ognuno dall’alto della sua infallibile sapienza, pronto ad ammonire e a cor-reggere (si pensi a quanto si diceva nell’immediato ultimo dopoguerra in Italia al fine di dissuadere il voto al PCI: «Nella cabina elettorale Dio ti vede, Stalin no»).

La capacità di indagare e tenere sott’occhio, nonché di informare e indottri-nare ad hoc, si concretizza nelle case per mezzo di un televisore («telescreen»), che non si può spegnere, uno schermo attivo in maniera unilaterale, con funzione di telecamera che sorveglia la scena e rileva pure i suoni, al servizio della «Thought

1 A temi teologici affrontati da Simone Weil ho dedicato una monografia in cui li ho rivisitati sotto un profilo storico: “Danilo Caruso, Ermeneutica religiosa weilia-na (2013)”.

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Police». Il nome di quest’organismo ispettivo, inteso nel suo puro valore semanti-co, restituisce il significato di un ente inquisitorio quale quello che fu organo della Chiesa cattolica: “la polizia del (o sull’aver) pensato”, “la polizia del pensiero” che ripulisce il consorzio umano da ciò che è giudicato illecito, nocivo al sistema domi-nante (uno spirito e uno zelo propri dell’Inquisizione).

Nel regime oceaniano i bambini vengono educati da apposite organizza-zioni ad assumere dai sette anni il ruolo di spie dentro le loro famiglie e a segnala-re alla thought police tutto quanto è reputato non conforme a un consono stile di vita; parimenti le giovani donne in particolare si prestano alla ricerca di fenomeni «eterodossi (unhortodoxy)». I concetti, esposti nel testo, di «thought-criminal» e di «thoughtcrime» (“colpevole-di-aver-ragionato” e “reato-di-pensare”) richiamano le categorie teologiche cristiane di “peccatore” e “peccato mortale”.

Winston vive in uno Stato nel quale non esistono più codici di norme posi-tive, non sono stabilite precise infrazioni; ciononostante il comprare e il possedere un quaderno per lui sono ritenuti atti che possono causare problemi (da non tra-scurare che ai componenti del Partito – un genere di ecclesia laica – era proibito far compere in un comune punto di commercio), problemi che potevano condurre a 25 anni di lavori forzati o addirittura alla pena capitale. Il thougtcrime è equiva-lente al peccato mortale poiché la sua origine scaturisce dall’interiorizzazione del senso di colpa di cui Nietzsche parla nella “Genealogia della morale”. Winston annota sul suo diario che «il-reato-di-pensare non provoca morte: il-reato-di-pensare è morte». Il thoughtcrime – dice Orwell è «il crimine di fondo che conte-neva ogni altro in sé», qualcosa di non nascondibile. È dunque la proiezione deter-rente della più profonda colpevolezza nella coscienza degli uomini da parte del Big Brother volta a creare un meccanismo di salvaguardia dalla deviazione di un pensiero autonomo: esso è nevrosi, è peccato. Pertanto in Oceania «non era dal far-ti sentire bensì dallo stare sano che proseguivi l’eredità umana». Il peccato è diffe-rente dal reato e dal concetto di ingiusto consigliato dal diritto di natura: questi due sono in misura tendente all’universale determinati dalla ragione.

Azioni catalogate tra i peccati non sempre sono giudicabili reati (ad esem-pio il divorzio e l’omosessualità). Orwell chiarisce il timore del protagonista ma-schile nel tenere un diario: «Di fronte a lui non si poneva morte ma annientamento [annihilation; n.d.r.]. Il diario sarebbe stato ridotto a ceneri e lui stesso a vapore [vapour; n.d.r.]. Solamente la Thought Police avrebbe letto quanto aveva scritto, prima che avessero cancellato esso dall’esistenza e dalla memoria».

Il colpevole che viene «vaporizzato (vaporized)» e scompare (pensiamo ai desaparecidos nell’ultima dittatura argentina), e il suo ricordo rimosso, rammen-tano l’immagine delle condanne al rogo (dove il fuoco purifica, disintegra: vaporiz-za) e la distruzione delle opere degli eretici. Lo stampo religioso dell’ambiente o-ceaniano è reso evidente, fra l’altro, già da subito quando nel romanzo si sottoli-

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nea la possibilità di atteggiamenti «bigotti (bigoted)», e poi dall’uso di una esplici-ta terminologia. L’antagonista del Fratello Maggiore, che la catechesi ufficiale dà in pasto a intelligenze deformate da un’educazione immobilizzante la compren-sione obiettiva della realtà circostante, viene mostrato nella qualità di «apostata (backslider)», «eretico (heretic)», ispiratore di «eresie (heresies)» (nonché di azioni di danneggiamento). Questo Emmanuel Goldstein (il cui nome teoforico è parec-chio indicativo: Dio-con-noi) è rappresentato dallo stereotipo plurisecolare anti-semita il quale aveva ancora una traccia nel rito del Venerdì santo, precedente il Concilio vaticano II del 1962-65, allorché si sollecitavano i fedeli cattolici a pregare «pro perfidis Iudaeis (per i perfidi Ebrei)».

Goldstein era raffigurato mediante «una magra faccia ebrea, con un aureola riccia di capelli bianchi e una piccola barba a punta – un volto intelligente, e mal-grado tutto in qualche maniera nella sua essenza spregevole». Era il «rinnegato (renegade: apostata, traditore)», che avuto un rango prossimo al Big Brother gli aveva voltato le spalle: «il primo traditore (the primal traitor)» (una via intermedia tra Satana e Giuda), il controrivoluzionario fuggito prima di subire la condanna capitale (una sorta di Trotzkij). Un’autentica e reiterata liturgia dell’odio (si prati-cano una “settimana dell’odio” e i “due minuti d’odio”), sublimata dalla rassicu-rante vicinanza del Fratello Maggiore, polarizza in negativo detto «nemico della gente»: «vedere o perfino pensare a Goldstein producevano paura e ira in modo automatico».

L’istigazione all’odio fine a intrappolare e irrigidire il pensiero suscita in Winston, nelle prime pagine del racconto, seppur insospettito e dubbioso nei con-fronti della reale bontà del Big Brother, una tendenza a cercare bersagli, vari in se-quenza, terminanti nell’ancora non conosciuta Giulia: «Vivide e magnifiche allu-cinazioni balenavano attraverso la sua mente. La colpirebbe a morte con un man-ganello in caucciù. La legherebbe a un palo e la ucciderebbe piena di frecce sca-gliate come san Sebastiano. La violenterebbe e taglierebbe la sua gola al momento culminante. Meglio di prima, inoltre, comprese che il motivo di ciò era che lui la odiasse. La odiava perché era giovane e bella e come un’asessuata [Giulia è iscritta alla “Lega giovanile antisesso”; n.d.r.], giacché vorrebbe andare a letto con lei e mai lo farebbe, poiché attorno alla sua piacevole e flessuosa vita, la quale sembra-va chiederti di abbracciarla, là era solo l’odiosa scarlatta fascia [della “Junior Anti-Sex League; n.d.r.”], aggressivo simbolo di castità». Riguardo a questo è da mette-re in evidenza in parallelo l’attitudine sessuofobica della Chiesa medievale, una disposizione misogina2 che portò ad atti repressivi e all’insensata, irrazionale e

2 Circa la comparsa della misoginia nel Giudaismo e nel Cristianesimo suggerisco di leggere il mio studio intitolato “Antropogonia e androginia nel Simposio e nella Genesi”, riportato nel saggio “Danilo Caruso, Considerazioni letterarie (2014)”.

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nevrotica caccia alla streghe. Per san Tommaso d’Aquino la donna sarebbe stata prodotta da Dio in un insieme naturale completo di cui non era degna, e perciò unicamente in un secondo tempo per bisogno. Quanto pensa Winston è frutto del-la repressione sessuale e di un paritetico sprone all’odio il quale satura grazie a un contenuto negativo la psiche e spinge a nevrosi compulsive e a comportamenti di-sturbati. Durante i due minuti d’odio accadeva appunto che «un’orrenda estasi fatta di paura e spirito di vendetta, un desiderio di uccidere, torturare, colpire con violenza facce con un martello da fabbro, parevano fluire attraverso il gruppo in-tero di persone a guisa di una corrente elettrica, mutante uno perfino contro la sua volontà in un essere che fa smorfie, in un pazzo che grida».

Agli Oceaniani è tolta di mano la possibilità di un esame corretto delle cose. All’esordio del suo diario (4 agosto 1984) Winston, la cui speranza è rivolta ai suoi potenziali lettori futuri, scrive che le immagini al cinema dell’uccisione di un uo-mo fossero risultate così grottesche al punto di suscitare molteplici risa: in aggiun-ta l’affondamento di una barca carica di bimbi strappò un vivo applauso ai com-ponenti del Partito (seduti nell’area a loro riservata), soltanto una donna di popolo protestò a causa dell’inadeguatezza di tali scene agli occhi dei più piccoli, e venne condotta via dalle forze dell’ordine. La sadica distrazione degli Oceaniani è mor-bosa (si veda a proposito il discorso di Syme nel cap. V della parte I): le pubbliche esecuzioni a morte sono abbastanza frequenti e costituiscono uno «spettacolo po-polare (popular spectacle)».

Nella medesima maniera in cui si perseguitavano pagani, eretici, streghe ed Ebrei, qui – una variante laica della Cristianità medievale – avvengono cacce e condanne a carico dei sostenitori di Goldstein.

Si stigmatizza addirittura il valore del “libro” (classico mezzo di accultura-zione ed emancipazione mentale): l’opera scritta di Goldstein, il quale rivendicava i diritti a un non inquinato sviluppo intellettuale, a manifestare le proprie lecite idee senza innaturali vincoli e alla libertà di potersi riunire per giusti motivi, era infatti nota col nome di «the book». Il prendere di mira semantico in senso lato di questa parola ci ricollega all’offensiva inquisitiva voluta dalla Chiesa allo scopo di censurare e distruggere i prodotti letterari che non si adeguavano all’ideologia cat-tolica (uno dei suoi strumenti, l’indice dei libri proibiti, è stato abolito solo nel 1966). In Oceania, dove «cacciare e distruggere i libri erano stati fatti con pari cura nei quartieri proletari come altrove», gli abitanti subiscono un assedio psicologico simile a quello che il Cattolicesimo concentrò sui suoi seguaci e su tutti coloro che volle convertire. Nella prima, oltre a quanto detto, anche elicotteri della polizia si spingono a vigilare negli interni delle case soffermandosi in prossimità delle fine-stre. Questa invasione fisica della privacy ha il suo complemento, come visto, in quella psichica (molto ravvicinata e interiore). Il presidio impiantato dalla Chiesa nella coscienza umana si avvale dell’innesto del thoughtcrime (il peccato, la nevrosi

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di colpa slegata da parametri razionali): così pure gli Oceaniani accolgono tale ca-vallo di Troia che apre le porte alla presa del controllo. Nella religione il sacramen-to della confessione garantisce l’accesso ai sorveglianti (il compito del telescreen è stato svolto dal pulpito e dal confessionale).

Per gli abitanti dell’Oceania la stretta è notevole: l’imago del Fratello Mag-giore si trova quasi in ogni posto, accompagnata da uno spirito analogo alla pre-senza dell’arte sacra negli spazi pubblici. La dimensione religiosa di questo regi-me, nella forma apparente aconfessionale, è testimoniata nei “due minuti d’odio” in apertura del romanzo da una donna che chiama con tono evangelico il Big Bro-ther «mio salvatore (my saviour)», la quale senza indugiare poi si raccoglie in pre-ghiera («… ella nascose il suo volto tra le mani. Era palese che stesse pregando»).

Degno di menzione inoltre che, al termine di detta liturgia collegiale, se-guisse una pratica di breve canto nell’abbandono osannante al Big Brother (e si sa che il canto è momento dell’esercizio di preghiera cattolico). Un ulteriore aspetto restituisce quell’ethos comunitario improntato a una religiosità affine a quella cri-stiana: gli individui inter se si appellano genericamente «comrade». L’etimologia di questo termine indica “chi condivide una stanza”, “il compagno di camera”, “il camerata”. Però l’utilizzo che se ne fa in “1984” non ha coloritura politica.

Coloro che condividono la propria stanza da bambini (alla cui stregua ven-gono trattati i cittadini di Oceania, e in quale modo Kant – che coincidenza vuole si chiamasse Immanuel – vedeva ridotti gli uomini prima dell’Illuminismo) sono i fratelli: pertanto – ascoltando il parere di Wittgenstein secondo cui il significato di una parola è influenzato dal suo uso – sembra più appropriato tradurre «comra-de» “fratello” o “sorella” a seconda dei casi. Siffatti appellativi evangelici sono ti-pici di raggruppamenti cristiani, e non stonano in una società con un «ministero dell’amore», e un «Fratello Maggiore» alla sua guida.

Collante della pseudofratellanza oceaniana è l’ideologia adottata dalla dit-tatura: l’«Ingsoc», il “socialismo inglese («English Socialism»)”; nella denomina-zione della «nuova lingua (newspeak)», la quale è uno dei pilastri della gabbia dove bloccare la libera critica. A fianco di questo progetto di scrematura concettu-ale e semantica – diretto a inaridire l’orizzonte della comprensione e la facoltà di ragionare (ben illustrato dal filologo Syme a Winston nel cap. V della parte I) – si colloca altra metodologia: Orwell li chiama insieme «i sacri principi dell’Ingsoc (the sacred principles of Ingsoc)».

Successiva al thoughtcrime è la pubblica tecnica per manipolare gli intelletti tramite cui il governo rende assimilabili alla psiche umana i suoi diktat: il «dou-blethink». Il “pensiero doppio” è una strategia mentale stando alla quale giudizi contrari sono simultaneamente possibili: una logica irrazionale (e l’ossimoro espri-me il potere mistificatorio della sua essenza) grazie a cui A e non-A si pongono nello stesso tempo a beneficio di un interesse di scelta. Reputare accettabile la con-

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temporaneità degli opposti determina un pensiero antinomico. Orwell spiega a chiare lettere questo pensare-per-antinomie: «Sapere e non sapere. Essere convinti della completa veridicità mentre si dicono menzogne costruite ad arte, sostenere in maniera simultanea due opinioni che si sono annullate, sapendole contradditto-rie e credendo in entrambe di loro, usare la logica a svantaggio della logica, ripu-diare la moralità mentre si pone una rivendicazione a essa, credere che la demo-crazia era impossibile e che il Partito era il guardiano della democrazia, dimenti-care qualunque cosa era necessario dimenticare, poi riportarla di nuovo alla me-moria quando ce ne fosse bisogno, quindi prontamente dimenticarla ancora una volta: e soprattutto, applicare un uguale processo al processo medesimo. Il che era l’ultima sottigliezza: in modo consapevole indurre l’inconsapevolezza, e poi, di nuovo, divenire inconsapevoli dell’atto di ipnosi che hai appena compiuto. Anche capire la parola doublethink coinvolgeva l’utilizzo del doublethink». Le vicende del Cristianesimo e la sua predicazione dottrinaria hanno riflettuto ciò. Nel Catto-licesimo per esempio il purgatorio è stato imposto in una seconda fase, ma è come se ci fosse già stato (viceversa il limbo adesso è stato abolito). I dogmi a volte han-no affermato tesi in contrasto con scienza e logicità (per dirne alcune: la nascita verginale di Gesù, o la Trinità nella quale tre Persone distinte sono un solo sogget-to), tuttavia ritenute vere accanto a una parallela normalità di segno opposto.

La chiusura della Chiesa alle scienze (astronomia, medicina, etc.), le voca-zioni misogina e antisemita, sono via via scomparse, alla maniera dell’Oceania in cui il Big Brother ha proiettato a ritroso la propria immagine ideale eterna sulla scena svuotata della storia: «se tutti gli altri accettavano la menzogna che il Partito im-poneva – se ogni documento raccontava l’identica cosa – allora la menzogna as-sumeva la dignità di storia e diveniva verità. “Chi controlla il passato”, recitava il motto del Partito, “controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passa-to”». Parlando della Chiesa, il genere di argomenti includenti la “falsa donazione di Costantino” (prima non c’era, dopo c’è stata, infine è come se non fosse mai sta-ta rivendicata) e il programmatico annichilimento a scapito del cosmo alternativo (testi apocrifi, prove compromettenti, culti diversi, etc.) si aggiungono al tentativo di minimizzare i cosiddetti errori umani delle poco evangeliche persecuzioni, even-ti tutti destinati a essere affondati nell’oblio.

Comunque, il doublethink si dimostra un no-think: un non-pensare-affatto, a cui, più o meno consci, individui comuni hanno sacrificato l’autonomia di una ragione e di una morale che Dio ha dato agli uomini per mezzo del logos, il quale li unisce in una reale fratellanza universale.

Quest’ultima è la meta del socialisti, un sogno che condividono coi Cristiani (in relazione all’Inghilterra e a “1984” si guardi l’anticlericale Robert Owen): una simile analogia di obiettivi colora l’Ingsoc di un manto religioso tessuto di ipocri-sia. Spegnendo la ratio, la mente umana si apre alla “banalità del male” teorizzata

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da Hannah Arendt, e si degrada a questa specie di orwelliano hard disk formatta-bile a comando, in virtù del virus del thoughtcrime annidato nel boot, perché manca un efficace antivirus. Però questa non è la sorte di Winston. Benché i per-sonali ricordi degli Oceaniani non siano univoci né esistano strumenti di verifica, in lui – il cui intelletto non è in toto vittima del pensiero antinomico – affiorano visioni difformi dall’ultima vulgata riveduta e corretta: Estasia e Oceania, legate da un’alleanza, combattevano contro l’Eurasia, ma egli rammentava che non era stato di continuo così: «Ufficialmente il cambio di alleati non era mai avvenuto. L’Oceania era in guerra con l’Eurasia: quindi l’Oceania era stata in guerra con l’Eurasia senza interruzione. Il nemico del momento rappresentava sempre il male assoluto, e conseguenza di ciò era che qualsiasi accordo passato o futuro con lui era impossibile». Il suddetto conflitto con un avversario esterno è paragonabile alle Crociate medievali. Su una facciata del ministero della verità oceaniano sono riportate scritti tre dogmi basilari di quel sistema illiberale responsabile «di grandi purghe (great purges)» interne: LA GUERRA È PACE / LA LIBERTÀ È SCHIA-VITÙ / L’IGNORANZA κ FORZA. Appare evidente l’intima contraddizione di ciascuno, vanificata dal doublethink. Tale dialettica sterile, al contrario di quella hegeliana, non permette di superare il contrasto: si impantana in una riproposi-zione intellettuale del nichilismo gorgiano fondato su antinomie negative riguar-danti l’“on” e il “me on”.

Per un abitatore dell’Oceania la conoscenza degli eventi procede dal legge-re in primis la scrittura nella memoria individuale, emendabile facendo tabula ra-sa, a cura del Fratello Maggiore, il quale, sul modello dei difensori dell’inerranza biblica, si erge altresì a garante dell’inerranza delle cronache (a partire da quelle scritte: le potenziali prime, e non le uniche cose, corrette passando dal rimpiazzo disintegratore delle vecchie versioni e da una minuziosa opera gestita dal dicaste-ro della verità; un settore presso cui lavora il disincantato Winston).

La «guerra» che si fa «pace» (un illogico “si vis pacem para bellum”) evoca un paio di brani dei Vangeli – i quali lasciano perplessi3 – dove Gesù esclama: «Non pensate che io sia venuto a metter pace sulla terra; non sono venuto a metter pace bensì spada (Mt 10,34)»; «Voi pensate che io sia venuto a portar pace sulla terra? No, vi dico, ma piuttosto divisione (Lc 12,51)».

Al di là dell’esegesi di essi, la Chiesa cattolica non ha mantenuto una perfet-ta condotta evangelica davanti a evenienze di belligeranza e di conquista politica: oltre alle Crociate, non vanno – fra l’altro – trascurate le azioni militari in prima persona dello Stato pontificio. La «libertà» trasformantesi in «schiavitù» ricorda il

3 Riguardo alla gestazione del fenomeno cristiano invito alla lettura di una mia analisi (“L’origine ideologica del Cristianesimo”), inserita nel saggio “Danilo Ca-ruso, Considerazioni critiche (2014)”.

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discorso del “grande inquisitore” di Dostoevskij – ne “I fratelli Karamazov” – al-lorché costui riconosce merito del Cattolicesimo l’aver sollevato gli uomini dal pe-so della responsabilità del male, al costo però della loro libertà: il riscatto – la nuo-va libertà – da questo intollerabile status esce dunque dall’asservimento a chi possa assolverlo dai peccati. La Chiesa ha il potere di trasferire i contenuti riprovevoli dell’anima in assolutori dipinti di Dorian Gray, i quali si imbruttiscono lontano dai proprietari: il museo che espone i quadri è denominato Satana (l’astrazione cumu-lativa delle singole colpe). Gli Oceaniani vivono un pari destino ripercorrendo det-ta falsariga: nella loro quotidianità laica, spoglia di un conclamato abito religioso i più, i mediocri, i peggiori, persi i diritti fondamentali del cittadino, ottengono li-cenza dall’impegno sociale per cercare di migliorare il mondo.

Come nella dialettica di Hegel tra signore e servo, la paura subordina co-storo a chi si manifesta superiore, a chi ha rischiato e non ha temuto. Purtroppo il double think non dà adito a una seguente fase, cosicché la vuotezza nella quale rimane l’uomo-che-si-rassegna-al-pensare-per-antinomie è la sostanza della sua «ignoranza». Questa è la «forza» della sua salvezza, la «forza» su cui si può basare il controllo – indebito – di un consorzio civico (l’ignoranza presta il fianco a qual-siasi oppiaceo proselitismo). Con ingenuità, Winston (consapevole nonostante tut-to che si tratta di costruire un passato irreale) e i suoi colleghi del ministero accol-gono le direttive di emendare, ordini sapientemente presentati in veste di non ri-levanti disposizioni correttive. Nel cap. IV della parte I di “1984” la semplicità con la quale il protagonista orwelliano inventa la celebrativa biografia dello scomparso «fratello Ogilvy» pare speculare a certa letteratura agiografica cattolica, accolta nei secoli dalla credulità popolare, che ha raccontato fatti e miracoli difficilmente veri-ficabili (si vedano ad esempio le vicende di santa Winifred o di san Giorgio).

Scrive inoltre Orwell: «Quanto era richiesto in un membro del Partito era un modo di vedere simile a quello di un antico ebreo il quale sapeva, senza cono-scere molto altro, che tutte le altre nazioni differenti dalla sua adoravano “falsi dei”. Non aveva bisogno di sapere che questi dei erano chiamati Baal, Osiride, Moloch, Astarte, etc. Probabilmente meno ne conosceva su di loro meglio era per la sua ortodossia». Siffatto è lo strumentale influsso dell’ignoranza anche a livelli non bassi: lo studio e la cultura vengono demonizzati. Nel sistema oceaniano «un membro del Partito, a cui era chiesto un giudizio etico o politico dovrebbe essere capace di sputare opinioni ortodosse a guisa di una mitragliatrice».

Sul linguaggio in quanto contenitore di concetti e sul comunicare, in Ocea-nia, si concentra il già menzionato piano di riforma semantica (newspeak): un nuovo vocabolario circoscriverà il raggio di manovra mentale a idee consentite grazie alla radicale riduzione delle voci all’innocuo essenziale. Syme dichiara che in futuro «l’intero clima del pensiero sarà diverso. Non ci sarà appunto il pensare [thought; n.d.r.] come noi lo intendiamo adesso. Ortodossia significa non essere

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pensante – il non essere necessario pensare [not thinking – not needing to think; n.d.r.]. Ortodossia è inconsapevolezza [Orthodoxy is uncosciouness; n.d.r.]». In occasione dell’entrata sulla scena del romanzo (al principio del cap. V della parte I) di tale filologo – uno che «odiava gli eretici (he hated heretics)» – Orwell fa no-tare una cosa quando costui incontra Winston: «C’era il suo amico [friend; n.d.r.] Syme, il quale lavorava al Reparto di ricerca [del dicastero della verità; n.d.r.]. For-se “amico” non era proprio la parola giusta. Tu non avevi al giorno d’oggi amici [friends; n.d.r.], avevi fratelli [comrades; n.d.r.]».

Ulteriori brani testimoniano che il modus vivendi a cui si mira è improntato a uno spirito laico di osservanza fideisitica preteso dall’Ingsoc. Il fatto che «si spe-rava di far uscire i discorsi dalla laringe non coinvolgendo i centri cerebrali più alti» ha corrispettivo exemplum cattolico nella recita mnemonica di preghiere: fino al 1969 la Chiesa celebrò i suoi riti in latino, il quale non era alla portata di ognuno (non si dimentichi d’altro canto che la traduzione delle Sacre scritture dall’ebraico e dal greco antico fu una voltura nel newspeak latino, e poi che l’eventualità di tene-re in una casa comune una Bibbia da leggere da soli fu per lungo tempo preoccu-pante). Il testo orwelliano offre pure un richiamo al concetto di blasfemia: «Era na-turalmente possibile dire eresie (heresies) di un genere assai crudo, delle specie di bestemmia (blasphemy)… Idee ostili all’INGSOC potevano cogliersi soltanto in una vaga forma priva di precise parole corrispondenti, e potevano unicamente es-sere indicate attraverso termini molto generici i quali riunivano e condannavano interi gruppi di eresie (heresies) non definendole nel far ciò».

Una procedura costruttiva del newspeak fa ricorso alla filosofia medievale, la si rileva esplicita nell’appendice di “1984” aggiunta da Orwell. Riguarda il “ra-soio di Ockham”, qui applicato alla lingua e alla semasiologia: «la riduzione del vocabolario era considerata un fine in sé, e a nessuna parola di cui si potrebbe fare a meno era concesso sopravvivere».

L’area d’intervento della repressione psichica condotta dalla dirigenza oce-aniana allargandosi all’ambito sessuale mostra inequivocabili nuove tangenze con dottrine cattoliche. Per le donne, in specie quelle del Partito, profumarsi e truccarsi sono atti indecorosi e disdicevoli (già Tertulliano rifletteva antifemminismo paolino nel suo “De cultu feminarum”).

La Junior Anti-Sex League «difendeva il completo celibato per ambo i sessi [uno degli ideali di perfezione auspicati dal Cattolicesimo, imposto a quasi tutti i religiosi; n.d.r]. Ogni bambino doveva essere generato dall’inseminazione artificia-le [come fosse lo Spirito Santo con la Vergine Maria; n.d.r]… e cresciuto nelle isti-tuzioni pubbliche… un vero love affair era un evento pressoché impensabile. Le donne erano tutte simili. La castità era infusa in loro come prassi di lealtà al Parti-to [uguale devozione alla Chiesa non è esclusiva di suore; n.d.r]… il naturale sen-timento era stato rimosso da loro». A chi sceglieva un percorso diverso da quello

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monastico si prospettava un agostiniano sacramento coniugale: «L’unico scopo ricono-sciuto del matrimonio era generare bambini per il Partito. Il congresso carnale era da ritenersi di secondaria importanza un poco nauseante».

La sessuofobia dell’Ingsoc è affine a quella cattolica: «L’obiettivo del Partito non era soltanto prevenire la costituzione di una fedeltà di coppia che non è facile controllare [per la teologia ministri del sacramento matrimoniale sono gli sposi non il sacerdote; n.d.r.]. Il suo reale non dichiarato proposito era rimuovere tutto il piacere dell’actus coeundi. Più dell’amore il nemico era l’erotismo, dentro e fuori della vita coniugale… Il Partito stava tentando di uccidere l’istinto sessuale [de-molire l’ES a favore di quel SUPER EGO rappresentato dal Fratello Maggiore, un super brother; n.d.r], o se non potesse farlo, allora distorcerlo e sporcarlo… Il coitus, compiuto con successo, era ribellione. Il desiderio era thoughtcrime».

Ritorna la minaccia del peccato; la concupiscenza sessuale è un tipo di thou-ghtcrime: la mulier, tota in utero, può simboleggiare un inviato satanico che libera la libido compressa, e di conseguenza svela all’uomo la duplice sfaccettatura di sé (intellettuale e fisiologica). Sebbene il meretricio in Oceania sia un’attività illecita, è furtivamente ammissibile nella misura in cui alleggerisca la carica libidica (non c’è stata una legge Merlin la quale ha chiuso i bordelli dello Stato pontificio). La promiscuità fra uomini e donne del Partito è condannata, al pari del divorzio (con l’eccezione dell’unione matrimoniale senza prole). L’etica in materia per un ma-schio oceaniano, soprattutto se un dirigente politico, è molto agostiniana: «La sua vita sessuale… era per intero regolata da due parole del newspeak SEXCRIME (immoralità sessuale) e GOODSEX (castità). Il concetto di SEXCRIME copriva ogni misfatto sessuale. Copriva la fornicazione, l’adulterio, l’omosessualità, e le altre perversioni, e in aggiunta la normale copula carnale praticata come fine in sé. Non c’era bisogno di enumerarli separatamente, poiché ognuno era allo stesso modo causa di colpevolezza, e, per principio tutti punibili con la morte… Lui sapeva quanto si voleva enunciare con GOODSEX – il che è dire, normali rapporti sessuali tra uomo e moglie, per l’esclusivo scopo di generare bambini, e senza piacere fisi-co da parte della donna [la frigidità è una virtù; n.d.r.]: tutto il resto era SEXCRI-ME». Ma cercare di sopprimere la libido porta solo a una sua deviazione: naturam expellas furca, tamen usque recurret.

Ciò la converte in aggressività, la quale è indirizzata verso gli avversari in-terni e non dell’Oceania e della Chiesa. Entrambe sono d’accordo sui migliori ruoli femminili: la santa e l’asessuata, la madre.

E su quelli da combattere: la strega e la sovversiva, la prostituta. A fronte di schemi così pervasivi esistono tuttavia zone d’ombra. All’inizio del cap. VII della parte I Winston (che è un componente esterno del Partito) annota sul diario: «Se c’è speranza [«di distruggere il Partito»; n.d.r.] essa sta nei proles [in newspeak “proletari”, “povera gente”; n.d.r.]». Un’affermazione di tal fatta, definita al suc-

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cessivo cap. VIII «una verità mistica (a mystical truth)» e «un atto di fede (an act of faith)», sa di pauperismo eretico medievale (in cui rischiò di finire incluso il fran-cescanesimo) misto a marxismo (san Francesco d’Assisi fu un cattolico “Marx” an-te litteram). L’Ingsoc demonizza il capitalismo assorto a metafora di libertà, non per via dei suoi difetti (a proposito di anticapitalismo e Vangelo si ricordi la diffi-coltà per un ricco di entrare nel regno dei cieli). Quando Orwell palesa le impressioni del suo protagonista asserendo che «i proles, se solamente potessero in qualche maniera divenire coscienti della loro forza [strength; n.d.r.], non avrebbero biso-gno di cospirare», si può essere subito indotti a vedere in questi brani una eco marxista, potremmo però anche leggerli con l’ottica di un eretico evangelico, il quale aspira a che i semplici e gli umili siano in grado di cogliere la diretta presen-za di Dio al di là dell’invadente mediazione della Chiesa grazie alla forza data dallo Spi-rito Santo in una nuova Pentecoste liberatrice dagli ostacoli e dai vincoli i quali limitano alla riservatezza (in inglese si può dire “God is our strength”).

Detti proles sono un’anomalia alla dottrina dominante e si trovano ai mar-gini: «In ogni problema di principi morali gli si lasciava seguire il codice avito. Il puritanesimo sessuale del Partito non era un obbligo per loro. La promiscuità non andava punita, il divorzio era consentito». Il motivo è che costoro sono equiparati agli animali: «i proles e le bestie sono liberi». Syme aveva affermato: «I proles non sono esseri umani».

Con ragionamento aristotelico si chiarisce che «i proles erano inferiori per natura, erano da sottomettersi, a guisa degli animali, mediante l’applicazione di alcune semplici regole». Tutto questo argomentare attira l’analisi comparata su vecchie teorie cattoliche per cui i non cristiani potrebbero essere inferiori e non possedere un’anima immortale (enuncerà O’Brien: «L’umanità è il Partito. I re-stanti sono staccati da essa – estranei»). Perciò come un indigeno precolombiano – o altro – non era degno di battesimo ed era tollerato ucciderlo in quanto bestia, co-sì i proles oceaniani non vengono reputati capaci di poter apprendere il double-think e il newspeak, né tanto meno di adeguarsi all’etica dell’Ingsoc e al suo credo. Tale serie di disabilità si sarebbe potuta ritorcere contro: «Non era allettante l’idea che i proles dovessero avere forti sentimenti politici. Quello che gli si chiedeva era un patriottismo primitivo».

È come affermare nel parallelo religioso che ci si aspettava da loro che an-dassero soltanto alle processioni perché entrando nella comunità dei fedeli po-trebbero destabilizzarla e contaminarla con ossequio o dissenso non ortodossi, ef-fetti collaterali di un’animalesca ignoranza che non si presta all’imbrigliamento e fa reagire d’istinto in modo simile a una bestia.

Giacché sono refrattari all’ideologia dell’Ingsoc «la grande maggioranza dei proles non aveva neanche telescreen nelle loro abitazioni. La polizia civile inoltre si interessava di loro molto poco». In Oceania non è roba da dare in pasto ad ani-

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mali un idealismo nichilistico in base a cui «non solo la validità dell’esperienza, bensì la vera e propria esistenza di una realtà esteriore, era tacitamente negata dal-la loro filosofia. L’eresia delle eresie era il senso comune». Si constata l’urto fra una posizione lockiana e una berkeleiana ufficiale non condivisa dal protagonista di “1984”. Allorché all’inizio del cap. I della parte II Winston aiuta a rimettersi in piedi Giulia caduta (tutt’e due lavorano al ministero della verità: lui al reparto de-gli archivi, lei a quello della fiction letteraria), quantunque credesse che ella lo stesse spiando per consegnarlo alla thought police, agisce secondo il più genuino principio evangelico di amare i propri nemici.

Nei punti in cui il romanzo di Orwell contrappone la società dell’Oceania alle sovrastrutture sociali del capitalismo (non ultima la clericale), la forma di ciò – in funzione di questo cammino comparativo – va vista nel conflitto tra la civiltà cristiana medievale e l’universo greco-romano; il Medio Evo citato di sfuggita nel testo è detto «vago periodo (dim period)».

Nella sezione II di “1984” l’eretico Winston si lega alla strega Giulia, alla “porta del diavolo (diaboli ianua; Tertulliano)”; alla quale al primo approccio sessuale chiede ricevendo l’auspicata risposta: «“Ti piace farlo? Non voglio dire se ti piac-cio in parole povere io, voglio dire la cosa in se stessa?” “L’adoro.” Questo era so-prattutto quanto voleva sentire. Non meramente l’amore verso una persona, ma l’istinto animale, il semplice desiderio non differenziato: quella era la forza la qua-le avrebbe frantumato il Partito… Ai vecchi tempi, egli pensò, un uomo guardava il corpo di una ragazza e diceva che era desiderabile, e ciò era la fine della storia. Oggigiorno però non potevi avere un amore puro o una concupiscenza [lust; n.d.r.] pura. Nessuna emozione era pura, poiché ogni cosa era mescolata con pau-ra e odio. Il loro amplesso era stato una battaglia, il culmine una vittoria. Era un colpo scagliato all’indirizzo del Partito. Era un atto politico». Un altro brano di Orwell esprime il parere di Giulia sulla sessualità repressa (e le considerazioni di Winston): «Non era soltanto che l’istinto sessuale creava un cosmo suo proprio al di là del controllo del Partito e che se possibile era da distruggersi. Quello che era più importante era che la privazione sessuale induceva isteria, la quale era deside-rabile giacché poteva trasformarsi in antipacifismo e in culto del leader. La manie-ra in cui la metteva era: “Quando fai l’amore stai consumando energia; e dopo ti senti felice e non ti preoccupi di niente. Loro non possono sopportare che tu ti sen-ta così. Loro vogliono che tu sia sempre carico di energia. Tutto questo marciare su e giù, e l’acclamare e le bandiere ondeggianti sono semplicemente sesso andato in rovina. Se tu sei felice dentro di te, perché ti dovresti infervorare per il Big Brother e il Piano Triennale e i Due Minuti d’Odio e l’intero resto del loro schifo?” Ciò era vero, pensò lui. C’era un intimo diretto nesso fra castità e ortodossia politica. In quale modo potrebbero la paura, l’odio e la credulità alienata, di cui necessitava il Partito nei suoi membri, essere tenuti a un grado conveniente all’infuori di imbot-

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tigliare un potente istinto e usarlo come una forza di guida? L’impulso sessuale era pericoloso per il Partito, e il Partito ne aveva tratto vantaggio».

Tali argomenti anteponendo una visione liberale a una assolutistica in campo sociopolitico, tradotti nell’ambito religioso richiamano altresì la dialettica Cristianesimo/Paganesimo (nel quale ultimo addirittura si praticava una prosti-tuzione al servizio della religione: una concezione agli antipodi della sessuofobia cattolica, che si impegnò a sradicare). Giulia e Winston non sono paragonabili a una prostituta e a un cliente, tutt’altro; nella loro storia sentimentale si anticipa in-vece la teoria marcusiana sulla repressione addizionale della libido, volta – oltre il freudiano necessario – al consolidamento in Occidente di un illiberale establishment (definito principio di prestazione), teoria esposta in “Eros e civiltà (1955)”. Pure per Marcuse accade in questo processo una deviazione libidica funzionale a mire (produttive) alienanti (e alienati sono i componenti oceaniani del Partito, espro-priati nella loro psiche sotto ogni profilo): all’esterno dell’esercizio – nel livello umano migliore – dell’intelligenza e della consapevolezza non ci può essere felici-tà che non sia un illusorio surrogato: «L’ideologia del Partito si imponeva con molto successo su gente incapace di comprenderla, la quale sarebbe stata in grado di accettare le più flagranti violazioni dell’obiettività reale giacché mai afferrava appieno la mostruosità di quanto gli era chiesto». Winston e Giulia – «una ribelle soltanto dalla cintola in giù» le dice lui – esperiscono una via di fuga al principio di prestazione (e alla sua collegata repressione addizionale): una libido liberata li tra-sforma in sovversivi poiché si svincolano dalla causa deviante (la repressione addi-zionale) e dalla causa alienante (il principio di prestazione); una sublimazione adegua-ta genera benessere, che globalizzerebbe il piacere nelle sue sfaccettature esteriori connesse alla vita. L’ideologia estasiatica gemella dell’Ingsoc è la «tanatolatria (Death-Worship)» o «estinzione dell’io (Obliteration of the Self)»: nell’ottica mar-cusiana la pulsione antitetica al piacere viene giudicata una mortificazione, una sconfitta dell’eros che ripiega alla volta della distruzione (condotte sadiche e ma-sochiste non sono mancate tra i personaggi cattolici). Somigliante al bello kantia-no, la libido porrebbe armonia fra gli uomini e il mondo. κ questo un “messaggio” proveniente dalla Grecità pagana ripreso da Winston e Giulia i quali affrontano la madre di tutti i totalitarismi occidentali reincarnatasi in Oceania, nemica della cultura – prodotto libidico – e dell’armonioso sviluppo individuale proteso alla ricerca della felicità. Nella Grecia antica lo ritroviamo nella produzione artistica, nella mi-tologia pertinente e nella filosofia (il “Simposio” platonico e il tiaso saffico sono exempla e veicoli); uno dei limiti della civiltà ellenica fu sì la misoginia4, tuttavia

4 Sulla misoginia nell’Antichità greca (e su altri aspetti di quel mondo) consiglio di leggere la mia “Breve antropologia del diverso nell’antica Grecia” contenuta nel saggio “Danilo Caruso, Donne della libertà (2012)”.

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ebbe basi in pregiudizi a sfondo pedagogico non in nevrosi sostanziate in religio-ne. La Chiesa, dal canto suo, esigette il celibato sacerdotale e il voto di castità dalla quasi totalità dei religiosi inquadrati, requisiti richiesti in pochi casi dal Paganesi-mo e che non erano dunque norme generali. Per il Cattolicesimo si deve rimanere dentro il perimetro di una rigorosa continenza, illegittima dopo aver superato il confine dell’inammissibile illecito (pedofilia, stupri, etc.) il quale può alimentare come deprecabile effetto collaterale; così pure presso gli Oceaniani «la cosa terribi-le che il Partito aveva fatto era di persuaderti che i meri impulsi, i meri sentimenti erano senza importanza, mentre allo stesso tempo ti privava di tutto il potere sul mondo materiale».

La madre di Winston nelle di lui riflessioni al cap. II della sezione II è testi-monianza di un amore agapico (valore al centro della morale cristiana). Davanti alla prospettiva di cadere in mano, con Giulia, degli inquisitori dell’Ingsoc, il pro-tagonista maschile di “1984” conclude: «Se durante tu puoi SENTIRE che rimanere umani è cosa degna, anche quando ciò non può avere un qualche frutto, tu li hai colpiti». Intanto al cap. IX della parte centrale del romanzo la situazione bellica esterna si capovolge ex abrupto di nuovo: Eurasia non più nemica ma alleata, E-stasia viceversa. Il lavaggio del cervello tinge un’adunata di popolo a Londra, in cui si trovava Winston, di grottesco: di punto in bianco chi parlava per conto del Partito, avvisato in sordina, come nulla fosse successo, inverte la polarità nei per-sonaggi e nelle vicende del suo discorso, cosicché la scenografia antieuroasiatica si tramuta per magia del doublethink in un’azione ordita da ribelli, rimossa e abbattuta da una moltitudine in balia della sofistica.

Ottenuto attraverso O’Brien il book di Goldenstein, Winston ne arriva a leg-gere alcune parti. Orwell fa esporre nelle pagine riportate un’interessante teoria sullo sviluppo storico generale che tripartisce indifferentemente ogni contesto so-ciopolitico nelle categorie degli Alti, dei Medi e dei Bassi. Il primo gruppo è costi-tuito dai detentori del governo; il secondo da coloro i quali subordinati, però non privi di mezzi, ambiscono a rimpiazzarli; il terzo dai rimanenti, esclusi dalla dia-lettica per il primato da tutti i limiti propri di un ceto proletario, tuttavia strumen-talizzabili dai secondi. Si può intravedere in tali etichette appellativi confacenti a soggetti di varie esperienze storiche.

Ad esempio la classe media imperiale romana cristianizzata in seguito alla diffusione popolare della nuova religione conseguì la guida dell’Impero. E poi al proletariato che aveva maturato ideali evangelici e socialisti si oppose un Cattoli-cesimo il quale offriva per lo più giustizia ultraterrena. L’alleanza clerico-nobiliare venne battuta durante la Rivoluzione francese dai Medi della borghesia imprendi-toriale, che propugnava giusti e appassionanti ideali (liberté égalité fraternité): alla fine però il liberalismo tramite l’osservanza della dottrina economica del liberismo sfrenato finì con l’attuare un piano diverso e con il mantenere lo schema triadico

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orwelliano. Chi sta al vertice cerca di raggirare e controllare gli altri. In Oceania non vigono discriminanti di carattere razziale, la discriminante è intellettiva: in ogni suo corpus sociale (l’alto dei dirigenti o Partito Interno, il medio dei funzio-nari o Partito Esterno, il basso dei proles) si accede passando da selezione (sul modello della repubblica platonica; simile all’entrata in seminario o in un conven-to se si parla di Alti o Medi).

A proposito della bontà del metodo selettivo-adottivo rispetto a quello ere-ditario si puntualizza: «I suoi governanti non sono tenuti insieme da vincoli di sangue ma dall’adesione a una dottrina comune… Organizzazioni a struttura a-dottiva come la Chiesa cattolica [una monarchia assoluta elettiva; n.d.r.] sono du-rate a volte centinaia o migliaia di anni. L’essenza del regime oligarchico non è la successione da padre a figlio, bensì la persistenza di un certo punto di vista e di un certo modo di vita, imposto dai morti sui vivi. Un gruppo dominante è un gruppo di governo a patto che possa nominare i suoi successori. Il Partito non si interessa di rendere perpetuo il suo sangue, invece di perpetuare sé. CHI esercita il potere non è importante, a condizione che l’assetto gerarchico rimanga sempre il mede-simo». E in cima vi si trova il Big Brother: imitando Dio e il Papa è «onnipotente» e «infallibile» (il dogma cattolico in quanto tale sull’infallibilità del Papa – eletto da un collegio cardinalizio da lui nominato – è stato ufficializzato tardi, nel 1870, alla vigilia della scomparsa dello Stato pontificio). Goldstein si conferma nel contesto narrativo di “1984” molto marcusiano, vicino allo spirito critico de “L’uomo a una dimensione”: «Dai proletari non c’è niente da temersi. Da soli continueranno di generazione in generazione e di secolo in secolo, lavorando, riproducendosi, e mo-rendo, non solamente senza alcuna spinta a ribellarsi, ma senza la facoltà di com-prendere che il mondo potrebbe essere diverso da quel che è. Potrebbero divenire pericolosi soltanto se il progredire della tecnica industriale facesse necessaria una loro formazione superiore… Quali opinioni le masse abbiano, o non abbiano, è considerata una faccenda di nessuna importanza. Gli si può dare libertà intellettu-ale poiché non hanno un intelletto. In un membro del Partito, d’altra parte, non può essere tollerata la più piccola deviazione di opinione sul più insignificante ar-gomento». Comunque questo descritto è lo scenario uscito fuori dallo scontro tra oscurantismo cattolico e Illuminismo.

Nel book di Goldenstein viene precorso un nuovo tema marcusiano, quello dell’emancipazione dall’eccessiva fatica del lavoro introducendo sistemi produtti-vi meccanizzati, i quali richiedono un impegno ridotto di manodopera a vantaggio dell’acquisizione di maggiori periodi da dedicare a interessi elevati e decorosi, il che si accompagnerebbe a un aumento dei prodotti in virtù delle capacità delle nuove tecnologie: tutto ciò potrebbe liberare l’umanità dal diffuso sperequativo bisogno in cui versa. Questo però a scapito dello status quo: «una società gerarchi-ca era solo possibile su una base di povertà e ignoranza».

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In linea di massima la storia dimostra che la Chiesa è stata sfavorevole al progresso e a rimuovere sul serio le ragioni di disagio, e costretta invece – volente o nolente – a adeguarsi al mutare dei tempi: «In Oceania al giorno d’oggi, la Scien-za, nel vecchio senso, ha quasi cessato di esistere. Nel Newspeak non c’è una paro-la per “Scienza”. Il metodo empirico del pensiero, su cui ogni impresa scientifica del passato era fondata, è opposto ai più fondamentali principi dell’Ingsoc. E pure il progresso tecnologico avviene soltanto quando i suoi prodotti possono in qual-che maniera essere usati allo scopo di diminuire la libertà umana… Lo scienziato di oggi è o l’uno o l’altro: un misto di psicologo e inquisitore [psychologist and in-quisitor: un primo profilo; n.d.r.]…». La stessa guerra vista nel book e denunciata nella sua veste di opportunità di mantenere inalterato il sistema – equivalente a un er-metico pacifico isolamento dagli avversari impediente pericolosi scambi sociocul-turali fra le genti (da cui l’assunto «la guerra è pace») – non è stata tanto aborrita dal Cattolicesimo oscurantista: «la coscienza di essere in lotta, e quindi in pericolo, comporta che il consegnare l’intero potere a una piccola casta sembri naturale, i-nevitabile condizione di sopravvivenza». Nel regime oceaniano «dal più modesto membro del Partito si attende l’essere competente, industrioso, e anche intelligen-te all’interno di stretti limiti, ma è altresì necessario sia un fanatico credulone e i-gnorante i cui stati d’animo prevalenti siano paura, odio, adulazione, ed esultanza orgiastica. In altre parole è essenziale abbia la mentalità appropriata a un clima di belligeranza. Non importa se la guerra si stia veramente svolgendo, e, giacché una vittoria decisiva non è possibile, non conta se le ostilità stanno andando bene o male. Tutto quello di cui si è avuto bisogno è che lo stato di belligeranza esista. Il frantumare l’intelligenza che il Partito richiede ai suoi componenti, e il quale è di più facile realizzazione in un’atmosfera di guerra, è adesso pressoché universale, però via via in alto si va nei ranghi, via via marcato diviene. È appunto nel Partito Interno dove isterismo bellico e odio del nemico sono più forti. Nella sua funzione dirigenziale, è spesso opportuno a un membro del Partito Interno conoscere che questo o quel dettaglio delle notizie di guerra è falso, ed egli può spesso essere consapevole che l’intera guerra è falsa e non si sta neanche svolgendo o che la si sta muovendo per intenti non conformi a quelli dichiarati: ma tale conoscenza è comodamente neutralizzata dalla tecnica del DOUBLETHINK. Nel frattempo nes-sun componente del Partito tentenna per un istante nel suo mistico credere il con-flitto reale, e legato a una fine vittoriosa, con l’Oceania l’indiscussa padrona del globo. Ogni membro del Partito Interno crede in questa ventura conquista come un articolo di fede [an article of faith, n.d.r.]».

La guerra irreale della Chiesa è quella all’indirizzo del “maligno” (cui tanto si applicò l’Inquisizione): un perfido nemico immaginario molto utile nella nevro-tica qualità di deterrente o di motivo per repressione. Tra le ultime cose che Win-ston riuscirà a leggere un paio d’incisivi brani. Uno sulla strategia mirata a in-

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fluenzare la mente: «Il primo e più semplice grado nella disciplina, insegnabile pure a giovani bambini viene denominato, nel Newspeak, CRIMESTOP. CRIME-STOP indica la facoltà di bloccarsi, quasi per istinto, alla soglia di qualsiasi pensie-ro pericoloso. Ciò include il potere di non comprendere analogie, il far venir meno la percezione di errori logici, di ingannarsi sui più semplici argomenti se sono osti-li all’Ingsoc, di essere annoiato o irritato da qualunque corso del pensiero capace di condurre in una direzione eretica. CRIMESTOP, in breve, significa stupidità protettiva».

E l’altro sulla difesa dell’egemonia: «Se l’uguaglianza umana dev’essere per sempre allontanata – se gli Alti, come li abbiamo chiamati, devono conservare i loro posti in maniera permanente – allora lo stato mentale prevalente dev’essere un’alienazione mentale controllata». Particolare al nostro sguardo quanto viene detto in un punto da Goldstein: «Anche la Chiesa cattolica del Medioevo appariva tollerante rispetto ai moderni standards. Parte della ragione di questo era che nel passato nessun governo aveva la capacità di tenere i suoi cittadini sotto sorve-glianza continua».

Ciò non sminuisce lo spessore della mia analisi, anzi la corrobora: perché mostra il parente prossimo dell’Ingsoc, e perché quest’ultimo è sì l’ideale e perfetta incarnazione del totalitarismo tuttavia letteraria, quella storica e concreta, più vigo-rosa e più raffinata, molto diffusa nello spazio e nel tempo, è, nel modo visto da Simone Weil, quella espressa dalla Chiesa (la quale non mancò di velleità di do-minio). Obiettivo di essa è evangelizzare il pianeta e conquistare le coscienze; nel parallelo oceaniano «ci sono perciò due grandi problemi alla cui soluzione il Parti-to si sta interessando. Uno è come scoprire, contro il suo volere, quanto un altro uomo sta pensando». Nella III parte di “1984 ” Winston e Giulia, arrestati, sono oggetti del disumanizzante iter rieducativo praticato attraverso violenze fisiche e psicologiche dai carcerieri dell’Ingsoc.

A detta di Orwell il «torturatore» e «inquisitore (inquisitor)» O’Brien men-tre tormentava Winston poteva assumere pure «l’aria di un sacerdote (priest)».

Tale esponente del Partito interno durante quei momenti si fa carico di gui-dare la sua vittima sulla via del recupero. In quel dantesco ambiente infernale (muto di ogni luce solare poiché la sede del “ministero dell’amore”, dove si trovano, ben protetta, non ha finestre) gli spiega, con riferimento alla Chiesa medievale, che la dirigenza oceaniana non vuole commettere lo sbaglio di lasciare pubblici martiri per strada, i quali si rivelarono nocivi motivi di sprone all’insubordinazione con-testatrice: condannare a morte sulla piazza coloro che non erano retrocessi dalle loro posizioni di errore era stato molto controproducente.

Un po’ prima gli aveva detto: «Il Partito non è interessato all’azione eviden-te: il pensiero è tutto ciò di cui noi ci prendiamo cura. Non annientiamo soltanto i nostri avversari, li cambiamo». Proseguendo a parlare, aggiunge che i Sovietici, in

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apparenza, perfezionarono il metodo di trattare la protesta, rispetto ai persecutori cattolici, per mezzo di una maggiore aggressività nella gestione dei prigionieri (da degradare meglio al fine di estorcere ammissioni di colpa da presentare al popo-lo): di fatto questi esseri piegati da un’agire violento in maniera visibile termina-vano di nuovo coll’assurgere al ruolo di martiri.

Qui va osservato che la distinzione presentata da O’Brien tra comunismo russo e Inquisizione cattolica appare più di forma che di sostanza tecnica o relati-va alla dimensione degli effetti negativi provocati. La barbarie degli inquisitori della Chiesa non è di natura inferiore a quella comunista novecentesca: la quantità sì, indubbiamente. Si tenga però conto che andando indietro nel tempo i livelli demografici si abbassano, pertanto non è un’asimmetrica differenza di numeri – comunque – che può influire su un giudizio storiografico.

L’estensione cronologica del Cristianesimo totalitario è per esempio supe-riore a quella dei regimi comunisti. Al dunque sembra corretto adeguarsi alla va-lutazione conduttrice di Simone Weil, e concludere che il comunismo nella qualità di prassi liberticida è figlio dell’esperienza cattolica nella politica medievale (ma-dre in Occidente di passioni illiberali).

L’Ingsoc è la perfezione reale, nell’immaginario di “1984”, di questo model-lo cattolico storicizzatosi con tangibili limiti (da tale punto di vista), il quale è per-ciò per forza privo dei connotati materia di vanto di O’Brien (una materia ambita senza successo dai comunisti russi).

A essere precisi poi era l’abiura dell’eresia la mira della Chiesa, la stessa che il Partito oceaniano cerca e ottiene con spietato accanimento a prescindere dal de-stino dell’inquisito. All’Ingsoc occorre un’abiura dal logos e una fede nel dogmatico doublethink: quindi si serve della tortura, non uccidendo, sino a raccogliere una convinta conversione e una palingenesi mentale (frutti che i totalitarismi anteriori avevano mancato di conseguire). O’Brien puntualizza: «Il diktat dei vecchi dispo-tismi era “Tu [thou: pronome arcaico adoperato in preghiere; n.d.r.] non devi [shalt: forma arcaica di shall usata come il precedente pronome per tradurre in in-glese i comandamenti biblici; n.d.r.]”. Quello dei totalitari era “Tu devi [Thou shalt; n.d.r.]”. Il nostro è “TU SEI [THOU ART: il verbo è una forma arcaica di to be; n.d.r.]”. Non uno fra chi portiamo in questo luogo resiste mai contro di noi. Cia-scuno è purificato [washed clean; n.d.r.]… Mai proverai ancora un ordinario sen-timento umano. Tutto sarà morto dentro di te. Mai sarai di nuovo capace di amo-re, o di amicizia, o di gioia di vivere, o di ridere, o di curiosità, o di coraggio, o di integrità. Tu sarai vuoto. Ti svuoteremo, allora ti riempiremo con noi». Nel modo in cui nel pensiero filosofico di Berkeley Dio suscita dentro l’intelletto la percezio-ne della realtà e se ne fa garante della regolarità e dell’universalità oggettiva, così il Partito di Oceania prende il posto di Dio in questa concezione fenomenistica manipolante la proiezione dell’esistente nella mente a proprio vantaggio.

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Il punto programmatico centrale dell’Ingsoc è l’egemonia sociale escluden-do qualsiasi meta ideale: il controllo volto al dominio in sé, il cui mantenimento sacrifica il resto. La sovranità e la potenza temporale dell’autocrazia pontificia ed ecclesiastica dei secoli scorsi erano un fine in sé: lo testimonia la storia intercorren-te tra la “falsa donazione di Costantino” e l’anacronistico ostinarsi a non abban-donare una dimensione statale che in Italia ritardò di parecchio l’unità politica.

Un passaggio delle parole di O’Brien a Winston collegate a un concetto af-fermato in precedenza – «il Big Brother è l’incarnazione (embodiment) del Partito» – sono alquanto significative per la presente analisi comparata giacché richiamano non solo la dottrina teologica di Chiesa come corpo mistico di Cristo: «Tu stai pen-sando… che la mia faccia è vecchia e stanca. Tu stai pensando che io parlo di pote-re, eppure non sono ancora in grado di prevenire la decadenza del mio corpo. Non puoi capire, Winston, che l’individuo è soltanto una cellula? La fatica della cellula è il vigore dell’organismo. Muori quando ti tagli le unghie?... Noi siamo i sacerdoti del potere [priests of power; n.d.r.]… Dio è potere [God is power; n.d.r.]. Ma attualmente potere è solo una parola per quanto ti ha riguardato. È ora per te di acquisire qualche idea di che significhi potere. La prima cosa di cui devi render-ti conto è che il potere è collettivo [il seguito è in parte hobbesiano: viene attaccata la dignità e l’autonomia dell’aristotelico ζῷ ν τ όν, altresì ζῷ ν όγ ν ἔχων, simbolo di un’antropologia non cristiana e non repressiva di là dall’illecito; n.d.r.]. L’individuo ha il potere solamente nella misura in cui cessa di essere un singolo. Tu conosci lo slogan del Partito: “La Libertà è schiavitù”. Ti è mai sopravvenuto che è invertibile? La schiavitù è libertà. L’essere umano, solo, in libertà, è sempre sconfitto. E dev’esserlo, ogni essere umano è condannato a morire, il che è il più grande di tutti i fallimenti. Però se può fare completa, assoluta sottomissione, se può scappare dalla sua individualità, se egli può immergersi nel Partito al punto che SIA il Partito allora egli è onnipotente e immortale [come il Big Brother; vedasi inoltre Gv 15,5-6, Rm 12,4-5 e 1 Cor 12,12.27; n.d.r.]. La seconda cosa di cui tu ti devi rendere conto è che il potere è dominio sopra gli esseri umani. Sul corpo – ma, soprattutto, sulla mente».

Nel parallelismo “Cattolicesimo/Ingsoc” si nota un’impronta teocratica comune derivata al primo dall’assetto dello Stato ebraico veterotestamentario.

Mediante l’immersione nel corpus della Chiesa, similare a quella nel Parti-to, l’uomo sconfigge la morte in Cristo, e in Oceania nel Fratello Maggiore di cui il Partito è corpo mistico. Sia l’Ingsoc sia il Cattolicesimo si prefiggono autorità e su-premazia sull’anima degli uomini.

Il Partito oceaniano e l’Inquisizione della Chiesa adottano la medesima stra-tegia: incutere terrore e provocare sofferenza allo scopo di creare un mondo sotto l’egida della continenza estrema, espropriato dell’eros marcusiano. A riguardo di ciò O’Brien si esprime attraverso il peggiore repertorio ideologico e pratico del

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IL MEDIOEVO FUTURO DI GEORGE ORWELL Danilo

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Medioevo cattolico: è la sofferenza a produrre un’incondizionata obbedienza, la quale disgrega pericolosi rapporti interpersonali e la persona stessa in interiore, e pone ognuno ai piedi di una visione totalitaria, non abitata dalla ricerca della feli-cità (piacere), bensì illuminata dal più efficace “divide et impera”.

Il Vangelo (cristiano o socialista) dell’amore e l’amore del Vangelo si tramu-tano in un sistematico rifiuto distruttore del diverso: cosicché si può riassumere che l’amore è odio. “1984” è una “Divina Commedia” di segno negativo. O’Brien si rivela un Virgilio invertito: l’epilogo di fronte a quelle che possono essere le sue vittime è: fatti foste a viver come bruti, non per seguir virtute e canoscenza. Il romanzo di Orwell, dal canto suo, è molto filosofico e attinge al bagaglio inglese.

Nell’andamento narrativo l’iter dantesco è alterato: non si va alla volta di uno status conclusivo di riscatto (inferno/purgatorio/paradiso).

Qui l’itinerario e l’esito sono capovolti. Simile a una tragedia in tre atti (le tre sezioni dell’opera) si segue l’evolversi del Dante/Winston secondo lo schema purgatorio/paradiso/inferno.

La «camera 101», dove Winston è portato in vista del suo ultimo tratto di purificazione, è una metafora dell’inferno mediante il quale i Cristiani vengono mi-nacciati di non allontanarsi dall’ortodossia, l’immagine del peggio – inculcata nel-la testa dei fedeli – che genera paura inibitoria: angoscia, per mezzo di cui tormen-tare e condizionare psicologicamente.

Al termine della mia disamina sono da sottolineare delle tangenze tra gli autori che ho accostato in questo mio lavoro.

George Orwell (1903-1950) e Simone Weil5 (1909-1943), di origine borghese, condussero varie esperienze di sacrificio personale, reagendo al senso opprimente della “forza” e dell’ingiustizia (parteciparono per breve periodo alla guerra civile spagnola, dalla parte dei repubblicani anarchici; entrambi furono antinazisti, e pre-cursori di richiami ripresi e sviluppati da Marcuse nel secondo dopoguerra, quale quello dell’alienazione del soggetto). In politica si collocarono su posizioni di sini-stra sui generis, critiche verso il marxismo. Il monito weiliano di “1984” rivolto da Orwell all’umanità è naturalmente in previsione di un futuro ripetuto serio rischio totalitario: il romanzo (per cui reputo inadatte etichette distopiche: “utopia nega-tiva”, “antiutopia”, etc.), non un prodotto di fantasia astratta né un catalogo di ar-cheologia storico-ideologica, è l’avviso di un uomo che seppe ben vedere nella psiche umana deleterie e contraddittorie vocazioni alla luce (per lui parziale) degli eventi di quello alla fine chiamato “secolo breve”. “La fattoria degli animali” di Orwell è un’allegoria di esplicita condanna del comunismo sovietico6.

5 Uno dei profili della mia opera “Donne della libertà” è destinato a Simone Weil. 6 Del panorama politico-concettuale novecentesco tratta una mia monografia: “Danilo Caruso, La morte delle ideologie (2011)”.

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Palermo

marzo 2015