Il libro dei segni: i segni giovanei: Segno/i nel IV Vangelo · Il vocabolo non è esclusivo di...

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1 Il libro dei segni: i segni giovanei: Segno/i nel IV Vangelo 2:11 Tau,thn evpoi,hsen avrch.n tw/n shmei,wn o` VIhsou/j evn Kana. th/j Galilai,aj kai. evfane, rwsen th.n do, xan auvtou/( kai. evpi,steusan eivj auvto.n oi` maqhtai. auvtou2:18 avpekri,qhsan ou=n oi` VIoudai/oi kai. ei=pan auvtw/|( Ti, shmei/on deiknu,eij h`mi/n o[ti tau/ta poiei/jÈ 2:23 ~Wj de. h=n evn toi/j ~Ierosolu,moij evn tw/| pa,sca evn th/| e`orth/|( polloi. evpi,steusan eivj to. o; noma auvtou/ qewrou/ntej auvtou/ ta. shmei/a a] ev poi,ei\ 3:2 ou- toj h=lqen pro. j auvto. n nukto. j kai. ei=pen auvtw/|( ~Rabbi,( oi;damen o[ti avpo. qeou/ ev lh,luqaj dida,skaloj\ ouvdei.j ga.r du,natai tau/ta ta. shmei/a poiei/n a] su. poiei/j( ev a.n mh. h=| o` qeo. j metV auvtou4:48 ei=pen ou=n o` VIhsou/j pro. j auvto, n( VEa.n mh. shmei/a kai. te,rata i;dhte( ouv mh. pisteu,shteÅ 4:54 Tou/to Îde. Ð pa,lin deu,teron shmei/on ev poi,hsen o` VIhsou/j ev lqw.n evk th/j VIoudai,aj eivj th.n Galilai,anÅ 6:2 hvkolou,qei de. auvtw/| o;cloj polu,j( o[ ti ev qew,roun ta. shmei/a a] ev poi,ei evpi. tw/n avsqenou,ntwnÅ 6:14 Oi` ou=n a;nqrwpoi ivdo, ntej o] evpoi,hsen shmei/on e; legon o[ ti Ou-to, j evstin avlhqw/j o` profh,thj o` ev rco, menoj eivj to.n ko, smonÅ 6:26 avpekri,qh auvtoi/j o` VIhsou/j kai. ei=pen( VAmh.n avmh.n le, gw u`mi/n( zhtei/te, me ouvc o[ ti ei;dete shmei/a( avllV o[ti evfa,gete ev k tw/n a;rtwn kai. evcorta,sqhteÅ 6:30 ei=pon ou=n auvtw/|( Ti, ou=n poiei/j su. shmei/on( i[na i;dwmen kai. pisteu,swme,n soiÈ ti, evrga,zh|È 7:31 VEk tou/ o;clou de. polloi. evpi,steusan eivj auvto.n kai. e;legon( ~O Cristo. j o[ tan e;lqh| mh. plei,ona shmei/a poih,sei w-n ou-toj evpoi,hsenÈ 9:16 e; legon ou=n ev k tw/n Farisai,wn tine, j( Ouvk e;stin ou-toj para. qeou/ o` a;nqrwpoj( o[ti to. sa,bbaton ouv threi/Å a;lloi Îde. Ð e; legon( Pw/j du,natai a;nqrwpoj a`martwlo.j toiau/ta shmei/a poiei/nÈ kai. sci,sma h=n ev n auvtoi/jÅ 10:41 kai. polloi. h=lqon pro.j auvto. n kai. e; legon o[ti VIwa,nnhj me. n shmei/on ev poi,hsen ouvde,n( pa,nta de. o[sa ei=pen VIwa,nnhj peri. tou,tou avlhqh/ h=nÅ 11:47 sunh,gagon ou=n oi` avrcierei/j kai. oi` Farisai/oi sune,drion kai. e; legon( Ti, poiou/men o[ti ou-toj o` a;nqrwpoj polla. poiei/ shmei/aÈ 12:18 dia. tou/to Îkai.Ð u`ph,nthsen auvtw/| o` o; cloj( o[ti h;kousan tou/to auvto. n pepoihke,nai to. shmei/onÅ 12:37 Tosau/ta de. auvtou/ shmei/a pepoihko,toj e;mprosqen auvtw/n ouvk ev pi,steuon eivj auvto,n( 20:30 Polla. me.n ou=n kai. a;lla shmei/a evpoi,hsen o` VIhsou/j evnw,pion tw/n maqhtw/n Îauvtou/Ð( a] ouvk e;stin gegramme, na ev n tw/| bibli,w| tou,tw|\

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Il libro dei segni: i segni giovanei:

Segno/i nel IV Vangelo

2:11 Tau,thn evpoi,hsen avrch.n tw/n shmei,wn o VIhsou/j evn Kana. th/j Galilai,aj kai. evfane,rwsen th.n do,xan auvtou/( kai. evpi,steusan eivj auvto.n oi maqhtai. auvtou/Å 2:18 avpekri,qhsan ou=n oi VIoudai/oi kai. ei=pan auvtw/|( Ti, shmei/on deiknu,eij h`mi/n o[ti tau/ta poiei/jÈ 2:23 ~Wj de. h=n evn toi/j ~Ierosolu,moij evn tw/| pa,sca evn th/| e`orth/|( polloi. evpi,steusan eivj to. o;noma auvtou/ qewrou/ntej auvtou/ ta. shmei/a a] evpoi,ei\ 3:2 ou-toj h=lqen pro.j auvto.n nukto.j kai. ei=pen auvtw/|( ~Rabbi,( oi;damen o[ti avpo. qeou/ evlh,luqaj dida,skaloj\ ouvdei.j ga.r du,natai tau/ta ta. shmei/a poiei/n a] su. poiei/j( eva.n mh. h=| o` qeo.j metV auvtou/Å 4:48 ei=pen ou=n o VIhsou/j pro.j auvto,n( VEa.n mh. shmei/a kai. te,rata i;dhte( ouv mh. pisteu,shteÅ 4:54 Tou/to Îde.Ð pa,lin deu,teron shmei/on evpoi,hsen o VIhsou/j evlqw.n evk th/j VIoudai,aj eivj th.n Galilai,anÅ 6:2 hvkolou,qei de. auvtw/| o;cloj polu,j( o[ti evqew,roun ta. shmei/a a] evpoi,ei evpi. tw/n avsqenou,ntwnÅ 6:14 Oi ou=n a;nqrwpoi ivdo,ntej o] evpoi,hsen shmei/on e;legon o[ti Ou-to,j evstin avlhqw/j o profh,thj o evrco,menoj eivj to.n ko,smonÅ 6:26 avpekri,qh auvtoi/j o` VIhsou/j kai. ei=pen( VAmh.n avmh.n le,gw umi/n( zhtei/te, me ouvc o[ti ei;dete shmei/a( avllV o[ti evfa,gete evk tw/n a;rtwn kai. evcorta,sqhteÅ 6:30 ei=pon ou=n auvtw/|( Ti, ou=n poiei/j su. shmei/on( i[na i;dwmen kai. pisteu,swme,n soiÈ ti, evrga,zh|È 7:31 VEk tou/ o;clou de. polloi. evpi,steusan eivj auvto.n kai. e;legon( ~O Cristo.j o[tan e;lqh| mh. plei,ona shmei/a poih,sei w-n ou-toj evpoi,hsenÈ 9:16 e;legon ou=n evk tw/n Farisai,wn tine,j( Ouvk e;stin ou-toj para. qeou/ o` a;nqrwpoj( o[ti to. sa,bbaton ouv threi/Å a;lloi Îde.Ð e;legon( Pw/j du,natai a;nqrwpoj a`martwlo.j toiau/ta shmei/a poiei/nÈ kai. sci,sma h=n evn auvtoi/jÅ 10:41 kai. polloi. h=lqon pro.j auvto.n kai. e;legon o[ti VIwa,nnhj me.n shmei/on evpoi,hsen ouvde,n( pa,nta de. o[sa ei=pen VIwa,nnhj peri. tou,tou avlhqh/ h=nÅ 11:47 sunh,gagon ou=n oi avrcierei/j kai. oi` Farisai/oi sune,drion kai. e;legon( Ti, poiou/men o[ti ou-toj o a;nqrwpoj polla. poiei/ shmei/aÈ 12:18 dia. tou/to Îkai.Ð uph,nthsen auvtw/| o o;cloj( o[ti h;kousan tou/to auvto.n pepoihke,nai to. shmei/onÅ 12:37 Tosau/ta de. auvtou/ shmei/a pepoihko,toj e;mprosqen auvtw/n ouvk evpi,steuon eivj auvto,n( 20:30 Polla. me.n ou=n kai. a;lla shmei/a evpoi,hsen o VIhsou/j evnw,pion tw/n maqhtw/n Îauvtou/Ð( a] ouvk e;stin gegramme,na evn tw/| bibli,w| tou,tw|\

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Ai “segni” giovannei Schnackenburg dedica un ampio excursus nel I Volume del suo commentario,

già citato in bibliografia, pp. 476-493; negli appunti che seguono non si segue esclusivamente

Schnackenburg.

LA SCELTA DEL TERMINE Naturalmente la prima osservazione va alla preferenza giovannea di “segno” invece che di

“miracolo” dynamis abituale negli altri evangeli. Il vocabolo non è esclusivo di Giovanni (17 volte

nel IV Vangelo), ma l’uso costante per indicare le opere prodigiose di Gesù fa intendere che

l’evangelista privilegia non tanto l’aspetto “prodigioso” di lotta contro potenze caotiche, che si

oppongono a Dio e alla vita (le forze della natura, il caos espresso dal mare in tempesta…) quanto

piuttosto il loro valore di indicatori di un altro significato, più profondo che essi possono svelare a

chi li guarda con la disposizione ad accogliere la rivelazione di cui essi sono portatori. I segni

giovannei restano infatti ambivalenti: loro scopo è condurre alla fede, come viene dichiarato

dall’evangelista stesso eppure possono anche non ottenere questo effetto, persino da parte di chi ne

è direttamente testimone (12,37).

DISTRIBUZIONE E NUMERO DELLE RICORRENZE Osservando poi la distribuzione delle ricorrenze nel testo ci rendiamo subito conto di come esse

interessino la prima parte del Vangelo.

La prima ricorrenza del termine si riferisce al segno di Cana di Galilea, il “primo” o il “principio”

dei segni. Le due ultime ricorrenze sembrano particolarmente significative.

1. In 12,37 vi è come una conclusione sui tanti segni compiuti da Gesù, rispetto ai quali i

giudei comunque non cedettero in lui. Ma il termine lo incontriamo ancora in 20,30 una vera

e propria conclusione all’intero evangelo che da questa conclusione sembrerebbe essere

esattamente una raccolta dei segni che Gesù fece. Dunque anche la seconda parte del

Vangelo va intesa come segno? In particolare la morte-risurrezione sembra essere il segno

principale dal quale scaturisce il significato più profondo di tutti gli altri segni. Non la pensa

così Schnackenburg che esclude che la citazione di 20,30 si riferisca a precedenti narrazioni

di Gesù risorto, perché queste non sono mai chiamate “segni”.

2. Una seconda questione è relativa al numero dei segni riportati da Giovanni:

1. l’acqua trasformata in vino a Cana (2,1-12)

2. la guarigione della figlia del funzionario del re (4,46-54)

3. la guarigione del paralitico di Betzatà (5,1-9) indicato come ergon (non semeion)

importante.

4. la moltiplicazione dei pani (6,16-21)

5. la guarigione del cieco nato (9,1-41)

6. la risurrezione di Lazzaro (11,1-45)

7. la pesca miracolosa (21,1-13)

Il numero dei segni giovannei, nel loro totale 7, stupisce rispetto al numero dei miracoli narrati dai

sinottici (29!). Se si guarda alla prima conclusione del Vangelo, il settimo segno è la morte

resurrezione. Se non ci si ferma qui, ma si considera anche il capitolo 21, questo segno rappresenta

l’ottavo segno, con Gesù già risorto. È un caso questo numero? Sette è il numero della compiutezza

e della perfezione: si tratta dei segni che nel loro insieme (nell’insieme del racconto evangelico

inteso come la raccolta dei segni di Gesù) sono in grado di comunicare la pienezza di grazia e di

verità portata dal Figlio di Dio.

Le osservazioni appena fatte sulle ricorrenze, il numero ecc. di “segno” in Giovanni ha fatto pensare

a molti esegeti ad una vera e propria “fonte dei segni”. Così, per esempio, Bultmann che attribuisce

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a tale fonte (a cui bisognerà poi aggiungere la Offenbarungsreden, la fonte dei discorsi di

rivelazione) non solo i sette miracoli di cui sopra con le due conclusioni, ma anche altri piccoli tratti

dei primi dodici capitoli.

Ciò che comunque si evince dall’uso giovanneo dei segni è certamente il loro profondo significato

teologico; i segni giovannei provengono da Gesù e sono profondamente legati alla sua opera di

rivelatore del Padre… possono essere compresi e accolti solo nella fede.

Talvolta Giovanni utilizza anche il termine “opera” accanto a “segno”: non sembra sia necessario

ipotizzare la provenienza da diverse fonti, nemmeno però “varianti” di uno stesso pensiero (non

sono mai l’uno accanto all’altro) Dice Schnackenburg: «L’evangelista deve aver collegato ai

termini “segni” ed “opere” aspetti e contenuti ben determinati…».

IL RIMANDO SIMBOLICO

Pur accogliendo l’invito di molti esegeti alla prudenza nel parlare di simbolismo (vedi per es.

Ashton), mi pare indubbio che la stessa scelta di parlare di segni, piuttosto che di miracoli o altro,

chiami in causa, se ve ne fosse bisogno, un uso simbolico di determinate immagini del racconto

giovanneo

Da Cana a Cana

Prima unità:

Da Cana a Cana: inclusione 2,11//4,54. Le tre regioni della Palestina (Galilea, Giudea e Samaria);

incontro con figure rappresentative dell’ambiente etnico e socioculturale…

1. Le nozze di Cana 2,1-11.12

2. Gesù a Gerusalemme 2,13-25

3. Incontro e dialogo con Nicodemo 3,1-21

4. Gesù e Giovanni: confronto e ultima testimonianza 3,22-36

5. Incontro con la Samaritana 4,1-42

6. Guarigione della figlia di un funzionario regale 4,43-54

Fabris, insieme ad altri autori1, identifica in questi tre capitoli una unità osservando l’inclusione

creata da 2,11 e 4,45. Il capitolo 1 costituisce una introduzione che prepara il campo a quanto verrà

narrato in seguito. È noto come il prologo costituisca un inquadramento complessivo del Vangelo e

della sua presentazione di Gesù, incluso già il rifiuto dai suoi, nel tipico linguaggio giovanneo che

tuttavia nel prologo assume una forma ed un lessico del tutto particolare. Sarà perciò esaminato a

parte. 1,19-34 presenta la testimonianza di Giovanni Battista che riprende e approfondisce quanto

annunciato dal prologo, nelle parti narrative relative esattamente alla testimonianza del Battista su

Gesù. I vv. 35-51 dello stesso capitolo 1 introducono la chiamata dei discepoli per la quale troviamo

l’interessante notizia (storica) del passaggio da Giovanni Battista a Gesù (si ricordi quanto già detto

nell’introduzione a proposito dell’importanza degli elementi battisti nel gruppo di Giovanni!).

Queste due parti, testimonianza di Giovanni il Battista e chiamata dei primi discepoli sembrano

costituire una introduzione all’intera narrazione che segue. Altri invece li considerano come facenti

parte della prima unità 1,19-4,54.

Schnackenburg raccoglie la sezione 1,19-4,54 sotto il titolo “gli inizi della rivelazione di Gesù” vol

I p. 375 sulla base delle indicazioni cronologiche, osservando che questa prima parte si differenzia

da ciò che segue anche per la mancanza di grandi discorsi di Gesù mantenendo uno stile piuttosto

narrativo e informativo.

1 Così, tra gli altri, Tillmann, Bultmann, Wikenhauser, Dodd (che fa incominciare da qui il libro dei segni)

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La Bibbia di Gerusalemme privilegia la successione dei giorni che scandiscono la “settimana

inaugurale” che culmina nel segno di Cana, la prima settimana dell’operato di Gesù attraverso la

successione di giorni:

1,29 Il giorno dopo, Giovanni vedendo Gesù venire verso di lui disse: «Ecco l'agnello di Dio, ecco

colui che toglie il peccato del mondo!

1,35 Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli

1,43 Il giorno dopo Gesù aveva stabilito di partire per la Galilea; incontrò Filippo e gli disse:

«Seguimi».

2,1 Tre giorni dopo, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c'era la madre di Gesù.

L’enumerazione dei giorni riprende in 4,43

4,43 Trascorsi due giorni, partì di là per andare in Galilea.

mentre divide poi, sempre seguendo il criterio temporale,2,13 per la prima citazione di una delle tre

feste di Pasqua citate dall’evangelista.

Vi sono tuttavia altri elementi, oltre la citazione dei due segni a Cana, che depongono a favore di

una presentazione unitaria del materiale raccolto in questa prima unità che si presenta quasi come

un prologo al dramma che si svilupperà successivamente (2-4):

1. un ciclo geografico completo che rappresenta l’attività di Gesù nelle tre regioni della

Palestina del tempo:

2:1 Tre giorni dopo ci fu una festa di nozze in Cana di Galilea e c' era là la madre di Gesù.

2,11 Questo inizio dei segni fece Gesù in Cana di Galilea e rivelò la sua gloria e i suoi discepoli

credettero in lui.

3:22 In seguito Gesù e i suoi discepoli vennero nel territorio della Giudea e lì si trattenne con loro e

battezzava.

4:3 lasciò la Giudea e ritornò verso la Galilea.

4:4 Egli doveva passare per la Samaria.

4:5 Ora, arriva ad una città della Samaria chiamata Sichar, vicino al podere che Giacobbe aveva

dato al figlio suo Giuseppe.

4:7 Viene una donna della Samaria ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere».

4:43 Dopo questi due giorni ripartì di là per la Galilea.

4:45 Ora, quando Gesù arrivò in Galilea, i Galilei lo accolsero bene, avendo visto tutte le cose che

aveva fatto a Gerusalemme durante la festa, poiché anch' essi erano andati alla festa.

4:46 Gesù tornò dunque a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l' acqua in vino. C' era un

funzionario regio, il cui figlio era ammalato, a Cafarnao.

4:47 Avendo egli saputo che Gesù era venuto dalla Giudea alla Galilea, si recò da lui e lo pregava

di scendere e guarire il figlio suo, perché stava per morire.

4:54 Gesù compì questo secondo segno ritornando dalla Giudea alla Galilea.

2. Dal punto di vista narrativo si osserva l’accoglienza positiva, non ostile anche da parte

giudaica, riservata a Gesù e ai segni che compie:

2[11]Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi

discepoli credettero in lui.

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2 [22]Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e

credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.

2[23]Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa molti, vedendo i segni che faceva,

credettero nel suo nome.

3[1]C'era tra i farisei un uomo chiamato Nicodèmo, un capo dei Giudei. [2]Egli andò da Gesù, di

notte, e gli disse: «Rabbì, sappiamo che sei un maestro venuto da Dio; nessuno infatti può fare i

segni che tu fai, se Dio non è con lui».

4[39]Molti Samaritani di quella città credettero in lui per le parole della donna che dichiarava: «Mi

ha detto tutto quello che ho fatto». [40]E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregarono di

fermarsi con loro ed egli vi rimase due giorni. [41]Molti di più credettero per la sua parola [42]e

dicevano alla donna: «Non è più per la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo

udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».

4[43]Trascorsi due giorni, partì di là per andare in Galilea. [44]Ma Gesù stesso aveva dichiarato che

un profeta non riceve onore nella sua patria. [45]Quando però giunse in Galilea, i Galilei lo

accolsero con gioia, poiché avevano visto tutto quello che aveva fatto a Gerusalemme durante la

festa; anch'essi infatti erano andati alla festa.

4 [53]Il padre [funzionario regio] riconobbe che proprio in quell'ora Gesù gli aveva detto: «Tuo

figlio vive» e credette lui con tutta la sua famiglia.

3. Sempre dal punto di vista narrativo si osserva la presentazione di diversi contesti e

personaggi che rappresentano le differenze della Palestina del suo tempo:

Nozze di Cana (matrimonio giudaico): Sposi galilei, Maria la medre di Gesù, fratelli e

discepoli di Gesù 2,12

Purificazione del tempio: Pasqua dei Giudei; Nicodemo, capo dei giudei;

Battesimo: Giovanni Battista; discepoli del battista

Samaritana: Samaritani;

Galilei: accolgono con piacere Gesù

Funzionario del re: familiari del funzionario regio

4. È in questa prima unità che Gesù vive la sua prima Pasqua a Gerusalemme, con

accoglienza positiva da parte di molti giudei (2,23)

5. È da osservare inoltre, dal punto di vista narrativo, che “i Giudei” saranno presentati

esplicitamente in maniera aggressiva contro Gesù solo a partire dal capitolo 5, dopo la

guarigione dell’infermo a Betzaetà, quando i Giudei lo accusano di violare il sabato e

soprattutto di farsi uguale a Dio (5,18)

Arricchiamo adesso il quadro della prima unità:

1. Primo segno: Le nozze di Cana 2,1-11.12

2. Gesù a Gerusalemme 2,13-25

3. Incontro e dialogo con Nicodemo 3,1-21

4. Gesù e Giovanni (amico dello sposo): confronto e ultima testimonianza 3,22-36

5. Incontro e dialogo con la Samaritana 4,1-42

6. Secondo segno: Guarigione della figlia di un funzionario regale a Cana 4,43-54

Un primo sommario sguardo allo sviluppo narrativo: da Cana a Cana, in titolo che abbiamo dato

alla sezione, sottolinea la cornice narrativa di questa unità che raccoglie i primi incontri di Gesù tra

due “segni” introducendo così l’intera prima parte di Giovanni, il cosiddetto libro dei segni.

Sull’Alleanza: A Cana di Galilea tutto si svolge nel contesto matrimoniale, simbolismo

dell’alleanza (matrimonio, acqua trasformata, vino… stupore e sottolineatura del Maestro di tavola:

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il meglio dato alla fine!) Il contesto tradizionale è giudaico e giudaica la risposta all’attesa

dell’Alleanza nuova…

Sul Tempio: La prima salita di Gesù a Gerusalemme corrisponde alla cacciata dei venditori dal

tempio… in polemica »profetica) con la situazione attuale in cui il tempio versa… Accenno alla

risurrezione (che si comprenderà solo dopo Pasqua). Messa in questione del ruolo attuale del

tempio.

Cresce la fama di Gesù per i suoi “segni”

Sulla necessità di rinascere dall’alto nella fede nel Figlio: Chiarimento con Nicodemo, capo dei

Giudei, sulla necessità di rinascere dall’alto… motivo della missione del Figlio. Necessità della fede

nel Figlio di Dio inviato dal Padre.

Sul rapporto Gesù / Giovanni Battista (amico dello sposo) e ancora sulla provenienza del Figlio

dall’alto… e sulla necessità della fede in lui

Sul rapporto con i Samaritani e la loro disposizione a credere in Gesù come Taheb e salvatore del

mondo

Sul rapporto con i pagani: il funzionario del re arriva alla fede in Gesù con tutta la sua famiglia

Quindi dal chiarimento di Gesù circa il giudaismo, le sue attese, le sue istituzioni, la necessità di

accogliere Gesù come Figlio inviato del Padre, all’accoglienza di Gesù, nella fede, da parte dei non-

giudei.

Il segno dell’acqua trasformata in vino: Gv 2:1-12 1 Kai. th/| h`me,ra| th/| tri,th| ga,moj evge,neto evn Kana. th/j Galilai,aj( kai. h=n h` mh,thr tou/ VIhsou/ evkei/\ 2 evklh,qh de. kai. o` VIhsou/j kai. oi` maqhtai. auvtou/ eivj to.n ga,monÅ 3 kai. u`sterh,santoj oi;nou le,gei h` mh,thr tou/ VIhsou/ pro.j auvto,n( Oi=non ouvk e;cousinÅ 4 Îkai.Ð le,gei auvth/| o` VIhsou/j( Ti, evmoi. kai. soi,( gu,naiÈ ou;pw h[kei h` w[ra mouÅ 5 le,gei h mh,thr auvtou/ toi/j diako,noij( {O ti a'n le,gh| u`mi/n poih,sateÅ 6 h=san de. evkei/ li,qinai u`dri,ai e]x kata. to.n kaqarismo.n tw/n VIoudai,wn kei,menai( cwrou/sai avna. metrhta.j du,o h' trei/jÅ 7 le,gei auvtoi/j o VIhsou/j( Gemi,sate ta.j u`dri,aj u[datojÅ kai. evge,misan auvta.j e[wj a;nwÅ 8 kai. le,gei auvtoi/j( VAntlh,sate nu/n kai. fe,rete tw/| avrcitrikli,nw|\ oi de. h;negkanÅ 9 wj de. evgeu,sato o avrcitri,klinoj to. u[dwr oi=non gegenhme,non kai. ouvk h;|dei po,qen evsti,n( oi de. dia,konoi h;|deisan oi hvntlhko,tej to. u[dwr( fwnei/ to.n numfi,on o` avrcitri,klinoj 10 kai. le,gei auvtw/|( Pa/j a;nqrwpoj prw/ton to.n kalo.n oi=non ti,qhsin kai. o[tan mequsqw/sin to.n evla,ssw\ su. teth,rhkaj to.n kalo.n oi=non e[wj a;rtiÅ 11 Tau,thn evpoi,hsen avrch.n tw/n shmei,wn o VIhsou/j evn Kana. th/j Galilai,aj

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kai. evfane,rwsen th.n do,xan auvtou/( kai. evpi,steusan eivj auvto.n oi` maqhtai. auvtou/Å Meta. tou/to kate,bh eivj Kafarnaou.m auvto.j kai. h` mh,thr auvtou/ kai. oi` avdelfoi. Îauvtou/Ð kai. oi` maqhtai. auvtou/ kai. evkei/ e;meinan ouv polla.j h`me,rajÅ 12 Kai. evggu.j h=n to. pa,sca tw/n VIoudai,wn( kai. avne,bh eivj ~Ieroso,luma o VIhsou/j Come sempre è opportuno che si facciano quelle operazioni che potrebbero essere considerate

ovvie: l’osservazione della pericope per delimitarla, giustificare perché e dove inizia e finisce,

organizzarla in una quadro strutturale più chiaro (distinguendo cornice narrativa, parti descrittive,

parti dialogate…) per avere inizialmente un quadro più chiaro benchè non determinante, tuttavia

utile per l’interpretazione. A queste osservazioni vanno aggiunte le normali osservazioni di critica

testuale (se sono di una qualche pur minima importanza).

La delimitazione appare nel nostro caso piuttosto chiara: al v. 1 si dice che si celebrarono delle

nozze a Cana di Galilea, al versetto 11 si dice che «così Gesù diede inizio ai suoi segni in Cana di

Galilea». Nel v. 12, inoltre, l’ambientazione cambia attraverso lo spostamento geografico.

Se si osserva l’organizzazione della narrazione non è difficle considerare il v. 1 e il v. 12 come

cornice narrativa che inquadra il racconto geograficamente con, alla fine, una sottolineatura

sull’importanza di quanto è accaduto ad opera di Gesù a Cana.

Dentro alla cornice distinguiamo

Il breve e in parte misterioso colloquio madre-Gesù che parte dall’intervento di questa, alla

misteriosa risposta di Gesù (negativa?) e alle disposizioni che essa impartisce ai sevi vv 3-5.

Il miracolo della trasformazione dell’acqua in vino (con descrizione delle giare, ordine di Gesù e

constatazione del cambiamento prodigioso) vv. 6-9.

Lunga (rispetto agli altri interventi) osservazione del Maestro di tavola v.10

Sempre in modo ancora superficiale, si può facilmente osservare come lo spazio dedicato al

racconto del “miracolo” sia molto ridotto (v.9), e soprattutto come non vi siano reazioni immediate

al fatto in sé, cioè al prodigio di una trasformazione del genere: l’acqua in vino. C’è invece, come

osservazione su quanto accade quanto dice il maestro di tavola sul tempo in cui di solito si serve il

vino buono rispetto a quello in cui si serve il vino meno buono. È l’intervento più ampio che venga

riportato….

Già queste piccole e semplici osservazioni di superficie orientano, come si diceva, l’interpretazione

in quanto è immediatamente percepibile che il senso di questo “segno” non risiede nel prodigio in

sé, quanto piuttosto nel significato che da esso trae il maestro di tavola.

Il fatto inoltre che venga segnalato che si tratta dell’inizio dei segni, primo di altri segni, connette

direttamente il nostro brano con una successione che si conclude in 12:

[37]Sebbene avesse compiuto tanti segni davanti a loro, non credevano in lui;

[41]Questo disse Isaia quando vide la sua gloria e parlò di lui….

Dal punto di vista della critica testuale possiamo osservare:

v. 2 … kai. oi` maqhtai. auvtou…. E sostituito in una antica tradizione Epistula apostolorum dalla

lectio «e i suoi fratelli» che secondo Boismard potrebbe essere quella originale.

v.3: diverse versioni antiche presentano un testo più lungo con la spiegazione dell’esaurimento del

vino…

v.12 “vi rimasero” nei codici e papiri più importanti; tuttavia nell’Alessandrino e in altri cod.

minuscoli si ha il singolare.

8

Altre osservazioni sono relative alla critica stilistica: il passo molto stringato dà più la sensazione

di un racconto sinottico, che giovanneo; non vi sono passaggi (anche se vi sono parole) che

appartengano allo stile giovanneo… forse un racconto già esistente?

Forse si tratta di tradizioni proprie raccolte a Cana, insieme al segno del figlio del funzionario reale

(c. 4)? Ma l’accenno all’ora presenta l’indubbia impronta giovannea, segno di rielaborazione di una

eventuale tradizione scritta a lui precedente. Del resto lo “stile” di un racconto che dedica così poco

spazio al miracolo in se stesso e invece dà rilievo alle annotazioni teologiche, indicando la lettura

più profonda del segno, ricorre spesso anche nelle altre narrazioni giovannee.

Osservazioni di dettaglio:

1 Kai. th/| h`me,ra| th/| tri,th| ga,moj evge,neto evn Kana. th/j Galilai,aj( kai. h=n h` mh,thr tou/ VIhsou/ evkei/\ Abbiamo già osservato l’indicazione temporale th/| h`me,ra| th/| tri,th a partire da 1,19 intercorre

dunque una settimana. Boismard ne parla come della settimana della rigenerazione da contrapporre

a quella della nuova creazione (passione morte risurrezione). Il riferimento al terzo giorno può

riferirsi ai tre giorni della risurrezione (il riferimento alla gloria)? Ciò va nel senso del miracolo di

Cana come anticipazione di quello che avverrà. Per Schnackenburg ed altri esegeti si tratta più

semplicemente dell’indicazione di un tempo breve.

Cana viene identificata con Kafr Kenna (6 km nord ovest di Nazareth), ma è il trasferimento

tradizionale dell’originaria località di Khirbet Qana, 13 Km a nord di Nazaret. Comunque vicina a

Nazaret, il che giustifica la conoscenza degli sposi da parte dei familiari di Gesù.

2 evklh,qh de. kai. o` VIhsou/j kai. oi` maqhtai. auvtou/ eivj to.n ga,monÅ

Gesù viene qui associato ai suoi discepoli, piuttosto che alla madre che viene citata nella scena

precedente, nella descrizione delle nozze! (Maria – Israele?). I discepoli erano stati citati poco

prima, coloro che lo avevano seguito e che diventano qui i testimoni privilegiati del segno.

3 kai. u`sterh,santoj oi;nou le,gei h mh,thr tou/ VIhsou/ pro.j auvto,n( Oi=non ouvk e;cousinÅ Il verbo hysteréô, usato qui nel participio aoristo attivo (gen. masch. sing.) indica la mancanza, il

bisogno di… È da ricordare che il matrimonio prevedeva una settimana di festa. Il vino era

fondamentale e la sua mancanza è comprensibile che crei imbarazzo. Molti Padri hanno ritenuto

che Maria volesse chiedere un miracolo a Gesù, ma ciò non risulta chiaramente dal testo.

4 Îkai.Ð le,gei auvth/| o` VIhsou/j( Ti, evmoi. kai. soi,( gu,naiÈ ou;pw h[kei h` w[ra mouÅ

Ecco un versetto dal significato misterioso, o quasi offensivo. Gesù dice alla madre che non deve

intromettersi nella sua missione messianica? E perché l’uso di una forma che almeno in apparenza è

tanto reattiva: Ti, evmoi. kai. soi,( gu,naiÈ Cosa vuol dire?

Le dice Gesù: «Che vuoi da me, o donna? Non è ancora venuta la mia ora».

Oppure «Che c’è tra me e te, donna?….»

L’espressione è documentata sia nel mondo veterotestamentario (mah-li walak, cfr. Gdc 11,12;

2Sam 16,10….) come in quello ellenistico. Si ricordi inoltre l’uso che se ne fa, per es. in Mc 1,24: tì

hêmin kai soi = che c’entri con noi… è quanto dice a Gesù l’uomo posseduto dallo spirito

immondo. La stessa espressione giovannea anche in Mc 5,6, anche qui pronunciata da un

posseduto…

È interessante al proposito leggere diverse posizioni, comprese quelle ereticali ricordate da S.

Tommaso d’Aquino nel suo commento a Giovanni (cfr. II, 348-353). L’interpretazione che viene

9

ripresa allora, come oggi da molti commentatori spirituali, è la funzione “mediatrice” di Maria

nell’opera del Figlio…

Mateos traduce: che ci importa a me e a te, donna?. Qui l’interpretazione è simbolica: Maria

=Israele. Le parole di Gesù sono indirizzate a Israele che ha perso fiducia, invitandolo a rompere

con il passato. Gesù rileva che quella realtà è decaduta e non deve essere rivitalizzata; la sua opera

non poggerà sulle antiche istituzioni ma porterà una novità radicale, rappresentata appunto dalla

sostituzione del vino all’acqua….

Certo l’appellativo “donna” non è consueto (lo ritroveremo però nel secondo passo in cuii Gv cita la

madre di Gesù nelle parole di lui 19,26) Proprio la seconda ricorrenza non fa pensare a un

atteggiamento irriguardoso, quanto piuttosto collegato alla seconda parte: “non è ancora giunta la

mia ora”. Molti esegeti, antichi e moderni, propendono per interpretare la prima parte come un

interrogativo retorico: “Che vuoi da me, donna? la mia ora è venuta.” Ma più semplicemente qui

sembra che si voglia indicare non l’opposizione di Gesù alla richiesta di interessamento della

madre, quanto piuttosto la sottolineatura che esiste una distanza tra la madre stessa e l’ora di Gesù

che dipende invece dal Padre. Rispetto al volere e al progetto del Padre anche la volontà, la richiesta

della madre è subordinata. Si noti come questa interpretazione sia concorde con l’insieme

evangelico, per esempio nella risposta di Gesù alla ricerca di lui bambino nel tempio, ricordata dai

sinottici.

Dunque è il Padre che dispone di Gesù e della sua opera, dato che, come dirà più avanti

l’evangelista, il Padre opera nel Figlio. A questo primo significato si unisce anche il riferimento

all’ora della glorificazione del Figlio, quella della morte: in questo senso il segno di Cana non può

essere che una parziale, forse simbolica anticipazione (il vino/sangue offerto da Gesù).

Schnackenburg osserva tuttavia che tale interpretazione ridurrebbe la portata dell’azione di Gesù

nella quale già risplende la doxa, quella che è presente nel Verbo Incarnato (1,14). Il segno non ha

solo il compito di indicare ma anche di manifestare la gloria presente nella persona di Gesù,

dispensatore dei doni escatologici del Padre.

Schnackenburg osserva che comunque si interpreti la risposta di Gesù alla madre, rimane il fatto

che ella concorre alla preparazione del miracolo: 5 le,gei h mh,thr auvtou/ toi/j diako,noij( {O ti a'n le,gh| u`mi/n poih,sateÅ dunque Maria non può aver compreso la risposta di Gesù come un rifiuto totale a darsi da fare. Si

fida del Figlio.

6 h=san de. evkei/ li,qinai u`dri,ai e]x kata. to.n kaqarismo.n tw/n VIoudai,wn kei,menai( cwrou/sai avna. metrhta.j du,o h' trei/jÅ

L’attenzione si sposta ora alle idrie di pietra, ciascuna delle quali contiene circa 100 litri d’acqua (2-

3 metrete: 1 metreta = litri 39,39). Recipienti piantati nel suolo, generalmente di argilla, considerati

migliori quelli di pietra perché non soggetti alle impurità di cui parla il Levitico (11,33).

Mateos interpreta simbolicamente il riferimento al numero e al materiale delle idrie. Anzi sottolinea

anche il riferimento alla loro grande capacità di contenuto, indirettamente legato all’immobilità….

Le idrie presidiano così, come segno dell’Alleanza Antica, le nozze/Alleanza.

“di pietra” fa riferimento alle tavole della Legge (es 31,18 ecc) Dunque il riferimento è alla Legge

mosaica; al cuore di pietra fa riferimento Ezechiele (36,26) che parla della sostituzione con un cuore

di carne. Il tutto rappresenta la necessità di purificazione derivante dall’idea di impurità e di

indegnità. L’uomo di conseguenza è legato a Dio dal timore più che dall’amore. Il tutto

costituituiva un formidabile strumento di potere nelle mani del sacerdozio di Gerusalemme che

poteva tenere così assoggettati gli israeliti. Si osservi che il testo dice esplicitamente “dei Giudei”, i

dirigenti del regime. Ma non basta. Si dirà di riempire le idrie, segno che esse erano vuote

dell’acqua che doveva servire per la purificazione, segno di un potere iniquo ed inefficace, vuoro. Il

10

numero sei, numero dell’incompleto, si contrappone al sette, quello della completezza. Sei è il

numero delle feste giudaiche che verranno registrate da Gv. L’attività di Gesù si svolge in sei

giorni: l’opera creatrice non è ancora conclusa.

Alla legge antica manca il vino dell’amore. Il primo segno che Gesù realizza, come nuovo sposo,

annuncia il cambio dalla vecchia alla nuova alleanza, offrendo un assaggio del suo vino.

È una interpretazione simbolica molto interessante che tuttavia forza alcuni elementi…

Nei vv 7 e 8 si susseguono le azioni senza alcuna obiezione da parte di coloro che eseguono le

disposizioni di Gesù. Il riempire le idrie fino all’orlo rappresenta la grandezza del gesto che Gesù

sta per compiere.

9 wj de. evgeu,sato o avrcitri,klinoj to. u[dwr oi=non gegenhme,non kai. ouvk h;|dei po,qen evsti,n( oi de. dia,konoi h;|deisan oi hvntlhko,tej to. u[dwr( fwnei/ to.n numfi,on o` avrcitri,klinoj

Il miracolo in se stesso non viene descritto, si descrivono invece le conseguenze (come per la

moltiplicazione dei pani).

Si sottolinea il po,qen per il significato particolare che assume nel IV Vangelo.

Per la brevità del racconto del miracolo, stupisce ancor di più l’ampio intervento dell’architriclino,

che può essere considerato spiritoso (Schnackenburg). Non sembra riferirsi ad una “norma” quanto

piuttosto ad una considerazione di ordine pratico, forse un po’ furbesca.

10 kai. le,gei auvtw/|( Pa/j a;nqrwpoj prw/ton to.n kalo.n oi=non ti,qhsin kai. o[tan mequsqw/sin to.n evla,ssw\ su. teth,rhkaj to.n kalo.n oi=non e[wj a;rtiÅ Osservazione spiritosa? (Schnackenburg) Il vino buono è quello offerto da Gesù, evidente

significato simbolico…

11 Tau,thn evpoi,hsen avrch.n tw/n shmei,wn o VIhsou/j evn Kana. th/j Galilai,aj kai. evfane,rwsen th.n do,xan auvtou/( kai. evpi,steusan eivj auvto.n oi` maqhtai. auvtou/Å Meta. tou/to kate,bh eivj Kafarnaou.m auvto.j kai. h` mh,thr auvtou/ kai. oi` avdelfoi. Îauvtou/Ð kai. oi` maqhtai. auvtou/ kai. evkei/ e;meinan ouv polla.j h`me,rajÅ

Segue il commento dell’evangelista:

innanzitutto con la sottolineatura del “principio dei segni” in Cana di Galilea,

poi con una osservazioni più approfondita: manifestò la sua gloria, coordinata con la conseguenza

della fede dei suoi discepoli (cosa vuol dire, che i discepoli prima non credevano in Gesù?…)

Segue un’indicazione spazio-temporale nella quale si indica lo spostamento di Gesù a Cafarnao

insieme alla madre, ai fratelli e ai discepoli, dove, si aggiunge, si fermarono molti giorni.

Quello di Cana è dunque il segno della prima “manifestazione” della gloria di Gesù. Contestualizza

precisamente (anche se per noi è inverificabile) l’accadimento; è importante per il carattere stesso

del vangelo di Gv che radica nella memoria dei fatti e non invece in una “conoscenza” superiore.

Nello stesso tempo viene indicato uno dei caratteri fondamentali del “segno” giovanneo: radica

nella fede quelli che lo seguono… come dire che di per sé non può determinare la fede, solo chi

guarda a Gesù con occhio interessato può percepire il significato profondo dei segni che opera e

giungere ad una fede più matura.

In questo primo segno manca un discorso esplicativo di Gesù, come avverrà invece in seguito, che

sveli il significato profondo del segno stesso. Tuttavia le sottolineature dell’evangelista nel v.11

11

dicono in maniera “esemplare” ciò che caratterizza il segno, o i segni, operati da Gesù:

manifestazione della gloria, del Logos che si è fatto carne, che ha come fine la fede di coloro che

attraverso il segno credono in Gesù, Messia e Figlio di Dio (20,31). Si comprende così nel suo

pieno significato l’esemplarità di questo segno che è “inizio” non solo in senso cronologico ma,

appunto, esemplare.

Ma cosa vuol dire, esegeticamente l’espressione kai. evfane,rwsen th.n do,xan auvtou

Bisogna ammettere, dalla dinamica stessa della narrazione, che si tratta innanzitutto della potenza

divina; in sé un concetto che ritroviamo nei sinottici e in Paolo mentre non lo si trova esplicitamente

in Gv: lo stesso segno è soprattutto rimando al significato piuttosto che manifestazione di potenza

contro forze ostili…. La connotazione di potenza è del resto presente nel concetto ebraico di Kābôd,

alla base del concetto giovanneo. Non sembra trattarsi, secondo Schnakenburg, del momentaneo

trasparire della gloria celeste, quasi mettendo da parte la sarx, o trasfigurandola. Anzi, è proprio

quella sarx che il Verbo ha assunto che manifesta quella gloria visibile agli occhi della fede. La

visione celeste del suo splendore è riservata al futuro, presso il Padre (17,24). È invece

manifestazione della doxa che aveva presso il Padre prima di venire nel mondo. Gloria luminosa,

dunque, insieme a potere divino, sono ambedue contenuti nel concetto giovanneo di doxa. La

manifestazione (phaneroo), è percepibile solo in una visione spirituale. La fede dei discepoli viene

così accresciuta dal segno di Cana: “essi cedettero in lui” pisteuein eis si incontra 36 volte nel IV

Vangelo.

L’interpretazione fondamentale della pericope dipende esattamente da queste ultime annotazioni

giovannee, ed è dunque principalmente cristologica: la rivelazione è autorivelazione di Gesù. In tal

senso va interpretata anche la domanda che pone indirettamente l’evangelista: da dove? Essi non

sapevano da dove venisse quel vino… è una domanda piena di significato nel vangelo giovanneo

perché pur conoscendo la provenienza terrena di Gesù, i suoi contemporanei non sanno, non

arrivano a vedere la sua provenienza celeste. Egli viene dal Padre.

L’elemento particolare, il vino, non è senza significato: è offerto “all’ultimo” ed è “abbondante”: è

il dono escatologico del Messia (Am 9,13; Os 2,24; Gl 4,18; Is 29,17; Ger 31,5) e nel tardo

giudaismo.

Si veda in particolare Gn 49,11s.:

`ÎAtWsÐ ¿htoWsÀ ~ybin"[]-~d;b.W Avbul. !yIY:B; sBeKi Antoa] ynIB. hq'reFol;w> ÎAry[iÐ ¿hroy[iÀ !p,G<l; yrIs.ao Egli che lega alla vite il suo asinello e a scelta vite il figlio dell' asina sua; egli che lava nel vino la sua veste e nel sangue dell' uva il suo manto

C’è un riferimento al vino eucaristico? Un parallelo con Gv 6, il miracolo del pane? Dunque una

spiegazione sacramentale? Non è necessario restringere immediatamente il campo a questo tipo di

messaggio specifico, dice Schnackenburg.

Sia lo Schnackenburg che diversi altri autori fanno riferimento a letture simboliche, circa la

trasformazione dell’acqua in vino, che, a partire dall’antichità patristica, hanno spesso assunto la

trasformazione di Cana come segno del superamento del Nuovo con l’Antico, nel senso appunto di

una trasformazione – sostituzione che influiva e confermava l’idea della rottura di Gesù con le

istituzioni israelitiche, il suo culto e le sue leggi, in particolare i rituali di abluzione. Cfr. in

proposito anche il commentario moderno di Mateos. Ciò sarebbe peraltro in linea con il racconto

successivo della purificazione del Tempio. Faccio però notare l’equilibrata spiegazione di San

Tommaso, la terza proposta che elenca il dottore angelico sul motivo per il quale Gesù avrebbe

preferito creare vino dall’acqua anziché dal nulla: «Cristo non volle produrre il vino dal nulla ma

dall’acqua, per mostrare che egli non insegnava una dottrina del tutto nuova, condannando l’antica;

ma voleva perfezionare l’antica; come si legge in Mt 5,17: “Non sono venuto per abolire la Legge,

ma per portarla a compimento». Cosicché quanto l’antica Legge prefigurava e prometteva, Cristo lo

rese presente e lo espose con chiarezza. Di qui le parole evangeliche (Lc 24,45): “Allora aprì loro la

12

mente all’intelligenza delle Scritture”». Ancor prima, V sec., scrive Eusebio il Gallicano nel

Sermone 5°, De Epiphania (II): «In Galilea, per opera di Cristo, l’acqua diventa vino; scompare la

Legge, succede la grazia; fugge l’ombra, subentra la realtà; le cose materiali sono messe a confronto

con quelle spirituali; la vecchia osservanza cede il posto al Nuovo Testamento... Come l’acqua

contenuta nelle giare non perde nulla di quello che era e comincia ad essere quello che non era, così

la Legge non è stata sminuita dalla venuta di Cristo, ma avvantaggiata, perché da essa ha ricevuto il

suo completamento... Mancando il vino, viene sostituito un altro vino; il vino dell’Antico

Testamento è buono; ma quello del Nuovo è migliore» (PLS 3,561s.).

Come si vede qui siamo nella linea non della sostituzione ma della continuità e dell’adempimento

delle promesse…

Questa linea è preferibile poiché in realtà Gesù non si dimostra ostile ai riti purificatori giudaici di

cui spesso parla senza disprezzo.

Come non si può accettare semplicemente in ambito esegetico l’allegoresi spinta dei Padri, così

sembra eccessivo ricorrere al motivo della leggenda di Dioniso (scuola della storia delle religioni:

Bousset, Bultmann) in cui si racconta di trasformazioni simili in feste dedicate alla divinità.

Una diversa ipotesi interpretativa mi pare però più convincente:

suscita qualche perplessità la risposta di Gesù ala madre “donna”. Il tono, al di là di quanto si cerca

di insinuare per attenuarne la durezza, sembra proprio voler sottolineare la dura contestazione di

Gesù circa la sua chiamata in causa, nel matrimonio giudaico che si sta celebrando, da parte della

madre che risulta invadente nel senso letterario del termine: che c’è fra me e te? Del resto non è un

fatto nuovo nei vangeli: anche la ricerca di Gesù nel tempio da parte dei genitori di Gesù presenta

qualcosa di analogo: non sapete che sono venuto per fare la volontà del Padre mio?...

Insomma Gesù precisa anche a Cana che ciò che è venuto a fare riguarda il suo rapporto con

DioPadre e non con la volontà della madre e con la sua preghiera di intervenire. È esattamente il

contrario cioè di quanto si dice nella esegesi piuttosto mariologica del brano.

Di fatto però, per la tradizionale interpretazione dell’acqua trasformata in vino alla fine,

l’affermazione di Gesù, soprattutto la sua precisazione “non è ancora giunta la mia ora” sembrano

in contraddizione. Questo sarebbe da spiegare, stando all’interpretazione tradizionale, proprio per

l’intervento in qualche modo anticipatore di Maria. In tal senso anche l’esegesi del termine “donna”

qui impiegato viene attirato in na interpretazione teologica per così dire positiva: donna nel senso

genesiaco, come Eva, anzi, nuova Eva, madre dei credenti. Non che questo non funzioni, in

generale. Ma rimane l’aspetto piuttosto curioso dell’affermazione di Gesù circa la sua ora non

ancora venuta. Gesù dunque fa un’eccezione? Anticipa qualcosa perché spinto dalla madre? Proprio

per evitare la contraddizione è stato proposto da diversi esegeti di intendere in senso interrogativo la

risposta di Gesù: “non è forse giunta la mia ora?” a cui più ragionevolmente seguirebbe l’azione

della trasformazione dell’acqua in vino.

Mi pare però che tutto fila meglio, senza sforzi interpretativi particolari, se si intende che il

miracolo compiuto da Gesù non consiste nell’aver trasformato le sei giare d’acqua in vino, ma di

aver semplicemente fatto assaggiare all’architriclinio un vino eccezionalmente buono che provoca

l’elogio dell’ignaro maestro di tavola. Infatti ciò che è stato trasformato in vino è l’acqua “attinta” e

portata al maestro. L’indicazione del resto viene dal testo stesso: Dopo aver dato l’ordine di

riempire le giare, ordine eseguito dai servi, Gesù ordina di “attingere” avntlh,sate e portarne al

maestro di tavola. Nella spiegazione che segue, circa il fatto che il maestro non sapeva di dove

venisse quel vino, si aggiunge che lo sapevano i servi che avevano attinto l’acqua oi` hvntlhko,tej to. u[dwr. Ciò che essi hanno attinto per portare al maestro è acqua, non vino. Alcune varianti testuali

aggiungono a questo punto di nuovo la specificazione “diventata vino, segno di un chiarimento che

il testo sembrava richiedere per far capire che essi attingono non acqua bensì acqua già trasformata

in vino. Ciò permette meglio di comprendere la negazione di Gesù e la sua affermazione sul fatto

che non è venuta la sua ora, non può dare adesso il vino che manca. L’ora di Gesù, verrà detto in

13

diversi momenti, verrà più avanti, è quella della passione. L’assaggio è veramente tale, riguarda

solo l’acqua che i servi hanno portato all’architriclino. La lode fatta sul vino servito alla fine allude

così con chiarezza a ciò che Gesù compirà, appunto, alla fine. Dal punto di vista del piano della

narrazione, la parola del maestro di tavola, trattata dagli esegeti con qualche imbarazzo, parlano

infatti di una sorta di norma che tuttavia non è chiaramente parte dell’uso abituale, non costituisce

una vera regola di comportamento, in realtà ha il solo scopo di accennare metaforicamente a quanto

si compirà solo alla fine: Gesù offrirà il vino buono, quello dell’alleanza eterna, quello in cui ci sarà

l’abbondanza escatologica del cibo e del vino secondo la promessa profetica (cf. sopra). Così pure

l’accenno al terzo giorno che viene fatto all’inizio, correttamente compreso di solito come allusione

ai tre giorni della passione, diventa più chiaro ed esplicito: rinvia anch’esso ad un tempo

allusivamente, e solo allusivamente richiamato dall’evento che sta per compiersi. A Cana Gesù non

dà da bere il vino buono, egli ne permette l’assaggio al maestro di tavola e solo a lui, confermando

la sua intenzione a non intervenire per il momento perché non è ancora giunta la sua ora. L’aspetto

miracoloso non cambia un gran che. Cambiare un bicchiere o sei anfore di acqua in vino è la stessa

cosa, ma cambia il senso: Gesù sta dando un assaggio, l’assaggio del maestro di tavola conferma da

una parte la risposta negativa altrimenti non chiaramente comprensibile, dall’altra rinvia a qualcosa

che certamente verrà compiuto e che diventa profezia nelle parole dell’ignaro Maestro, cioè il fatto

che il vino buono verrà distribuito alla fine.

Gesù, sollecitato dalla madre, risponde che non interverrà, poiché non è giunta la sua ora, non può

dare il vino che è venuto a portare, quello dell’attesa escatologica. Lo darà a suo tempo. Ne farà

gustare il valore di qualità superiore solo al maestro di tavola che nella lode conferma in realtà che

esso viene conservato per la fine. Inconsapevolmente, come accadrà del resto con Caifa, sta dicendo

qualcosa che si dimostrerà vero con la passione morte risurrezione.

14

INCONTRO CON LA SAMARITANA

4,1-42

N= narratore; G= Gesù; S= Samaritana; D= Discepoli; S= Samaritani

N

~Wj ou=n e;gnw o` VIhsou/j o[ti h;kousan oi` Farisai/oi o[ti VIhsou/j plei,onaj maqhta.j poiei/ kai. bapti,zei h' VIwa,nnhj & kai,toige VIhsou/j auvto.j ouvk evba,ptizen avllV oi maqhtai. auvtou/ & avfh/ken th.n VIoudai,an kai. avph/lqen pa,lin eivj th.n Galilai,anÅ e;dei de. auvto.n die,rcesqai dia. th/j Samarei,ajÅ e;rcetai ou=n eivj po,lin th/j Samarei,aj legome,nhn Suca.r plhsi,on tou/ cwri,ou o] e;dwken VIakw.b Îtw/|Ð VIwsh.f tw/| ui`w/| auvtou/\ h=n de. evkei/ phgh. tou/ VIakw,bÅ o` ou=n VIhsou/j kekopiakw.j evk th/j o`doipori,aj evkaqe,zeto ou[twj evpi. th/| phgh/|\ w[ra h=n wj e[kthÅ :Ercetai gunh. evk th/j Samarei,aj avntlh/sai u[dwrÅ

G le,gei auvth/| o` VIhsou/j( Do,j moi pei/n\

N oi ga.r maqhtai. auvtou/ avpelhlu,qeisan eivj th.n po,lin i[na trofa.j avgora,swsinÅ S le,gei ou=n auvtw/| h` gunh. h` Samari/tij(

Pw/j su. VIoudai/oj w'n parV evmou/ pei/n aivtei/j gunaiko.j Samari,tidoj ou;shjÈ N ouv ga.r sugcrw/ntai VIoudai/oi Samari,taijÅ

G

avpekri,qh VIhsou/j kai. ei=pen auvth/|( Eiv h;|deij th.n dwrea.n tou/ qeou/ kai. ti,j evstin o le,gwn soi( Do,j moi pei/n( su. a'n h;|thsaj auvto.n kai. e;dwken a;n soi u[dwr zw/nÅ

S

le,gei auvtw/| Îh` gunh,Ð( Ku,rie( ou;te a;ntlhma e;ceij kai. to. fre,ar evsti.n baqu,\ po,qen ou=n e;ceij to. u[dwr to. zw/né mh. su. mei,zwn ei= tou/ patro.j h`mw/n VIakw,b( o]j e;dwken h`mi/n to. fre,ar kai. auvto.j evx auvtou/ e;pien kai. oi` uioi. auvtou/ kai. ta. qre,mmata auvtou/È

G

avpekri,qh VIhsou/j kai. ei=pen auvth/|( Pa/j o` pi,nwn evk tou/ u[datoj tou,tou diyh,sei pa,lin\ o]j dV a'n pi,h| evk tou/ u[datoj ou- evgw. dw,sw auvtw/|( ouv mh. diyh,sei eivj to.n aivw/na( avlla. to. u[dwr o] dw,sw auvtw/| genh,setai evn auvtw/| phgh. u[datoj allome,nou eivj zwh.n aivw,nionÅ

S

le,gei pro.j auvto.n h` gunh,( Ku,rie( do,j moi tou/to to. u[dwr( i[na mh. diyw/ mhde. die,rcwmai evnqa,de avntlei/nÅ

G

Le,gei auvth/|( {Upage fw,nhson to.n a;ndra sou kai. evlqe. evnqa,deÅ

S

avpekri,qh h` gunh. kai. ei=pen auvtw/|( Ouvk e;cw a;ndraÅ

G

le,gei auvth/| o` VIhsou/j( Kalw/j ei=paj o[ti :Andra ouvk e;cw\ pe,nte ga.r a;ndraj e;scej kai. nu/n o]n e;ceij ouvk e;stin sou avnh,r\ tou/to avlhqe.j ei;rhkajÅ

15

S

le,gei auvtw/| h` gunh,( Ku,rie( qewrw/ o[ti profh,thj ei= su,Å oi pate,rej hmw/n evn tw/| o;rei tou,tw| proseku,nhsan\ kai. u`mei/j le,gete o[ti evn ~Ierosolu,moij evsti.n o` to,poj o[pou proskunei/n dei/Å

G

le,gei auvth/| o` VIhsou/j( Pi,steue, moi( gu,nai( o[ti e;rcetai w[ra o[te ou;te evn tw/| o;rei tou,tw| ou;te evn ~Ierosolu,moij proskunh,sete tw/| patri,Å u`mei/j proskunei/te o] ouvk oi;date\ h`mei/j proskunou/men o] oi;damen( o[ti h` swthri,a evk tw/n VIoudai,wn evsti,nÅ avlla. e;rcetai w[ra kai. nu/n evstin( o[te oi avlhqinoi. proskunhtai. proskunh,sousin tw/| patri. evn pneu,mati kai. avlhqei,a|\ kai. ga.r o` path.r toiou,touj zhtei/ tou.j proskunou/ntaj auvto,nÅ pneu/ma o qeo,j( kai. tou.j proskunou/ntaj auvto.n evn pneu,mati kai. avlhqei,a| dei/ proskunei/nÅ

S

le,gei auvtw/| h` gunh,( Oi=da o[ti Messi,aj e;rcetai o lego,menoj Cristo,j\ o[tan e;lqh| evkei/noj( avnaggelei/ h`mi/n a[pantaÅ

G

le,gei auvth/| o` VIhsou/j( VEgw, eivmi( o lalw/n soiÅ

N

Kai. evpi. tou,tw| h=lqan oi` maqhtai. auvtou/ kai. evqau,mazon o[ti meta. gunaiko.j evla,lei\ ouvdei.j me,ntoi ei=pen( Ti, zhtei/j h; Ti, lalei/j metV auvth/jÈ avfh/ken ou=n th.n udri,an auvth/j h` gunh. kai. avph/lqen eivj th.n po,lin

S

kai. le,gei toi/j avnqrw,poij( Deu/te i;dete a;nqrwpon o]j ei=pe,n moi pa,nta o[sa evpoi,hsa( mh,ti ou-to,j evstin o` Cristo,jÈ

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evxh/lqon evk th/j po,lewj kai. h;rconto pro.j auvto,nÅ VEn tw/| metaxu. hvrw,twn auvto.n oi maqhtai. le,gontej(

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G

o` de. ei=pen auvtoi/j( VEgw. brw/sin e;cw fagei/n h]n umei/j ouvk oi;dateÅ

D

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G

le,gei auvtoi/j o` VIhsou/j( VEmo.n brw/ma, evstin i[na poih,sw to. qe,lhma tou/ pe,myanto,j me kai. teleiw,sw auvtou/ to. e;rgonÅ ouvc u`mei/j le,gete o[ti :Eti tetra,mhno,j evstin kai. o` qerismo.j e;rcetaiÈ ivdou. le,gw umi/n( evpa,rate tou.j ovfqalmou.j u`mw/n kai. qea,sasqe ta.j cw,raj o[ti leukai, eivsin pro.j qerismo,nÅ h;dh o` qeri,zwn misqo.n lamba,nei kai. suna,gei karpo.n eivj zwh.n aivw,nion( i[na o` spei,rwn o`mou/ cai,rh| kai. o` qeri,zwnÅ evn ga.r tou,tw| o` lo,goj evsti.n avlhqino.j o[ti :Alloj evsti.n o` spei,rwn kai. a;lloj o qeri,zwnÅ evgw. avpe,steila uma/j qeri,zein o] ouvc u`mei/j kekopia,kate\ a;lloi kekopia,kasin kai. u`mei/j eivj to.n ko,pon auvtw/n eivselhlu,qateÅ

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VEk de. th/j po,lewj evkei,nhj polloi. evpi,steusan eivj auvto.n tw/n Samaritw/n dia. to.n lo,gon th/j gunaiko.j marturou,shj o[ti Ei=pe,n moi pa,nta a] evpoi,hsaÅ w`j ou=n h=lqon pro.j auvto.n oi` Samari/tai( hvrw,twn auvto.n mei/nai parV auvtoi/j\ kai. e;meinen evkei/ du,o h`me,rajÅ kai. pollw/| plei,ouj evpi,steusan dia. to.n lo,gon auvtou/(

16

S

th/| te gunaiki. e;legon o[ti Ouvke,ti dia. th.n sh.n lalia.n pisteu,omen\ auvtoi. ga.r avkhko,amen kai. oi;damen o[ti ou-to,j evstin avlhqw/j o` swth.r tou/ ko,smouÅ

Meta. de. ta.j du,o hme,raj evxh/lqen evkei/qen eivj th.n Galilai,an\ Ancora a proposito della prima sezione del Vangelo di Giovanni, da noi intitolata da Cana a Cana,

si inquadra il racconto dell’incontro di Gesù con la donna samaritana (4,1-42). L’evangelista inserisce questo passo in un contesto più vasto cioè quello dei capp. 2-4

1 del “Libro

dei segni”. La sezione si apre con il racconto del primo segno a Cana di Galilea a cui fa seguito quel

particolare “segno” di rivelazione messianica che abbiamo brevemente considerato in elazione alle

narrazioni sinottiche, il “segno” del Tempio a Gerusalemme (2,13-22). Nei dialoghi successivi i tre

personaggi che si intrattengono con Gesù rappresentano tre tipi di accesso alla fede: Nicodemo (3,1-

21); la donna che Gesù incontra al pozzo di Giacobbe (4,1-42); il funzionario regio di Cana di

Galilea (4,43-54). Tutti e tre, si direbbe, hanno valore rappresentativo della fede: sono protagonisti

individuali dell’incontro con Gesù, ciascuno però collocato in rapporto ai loro tre rispettivi gruppi

di appartenenza.

Infatti Nicodemo, giudeo di Gerusalemme e “maestro di Israele” (3,10) rappresenta il tipo dei

giudei “ortodossi” favorevoli a Gesù, che credono sulla base dei soli segni (2,23-3,2), in alternativa

ai giudei che invece ne contestano l’autorità mostrata nel segno del tempio (2,13-22); nella persona

della donna di Sicar (4,5), la cui testimonianza dà luogo alla fede dei Samaritani del suo villaggio,

egli vede avvicinarsi, per così dire, a Gesù il giudaismo scismatico; il funzionario di Cana,

probabilmente un pagano, alla cui fede si associa quella di tutta la sua casa (4,43-54) rappresenta

per l’evangelista il mondo non giudaico.

Queste tre tipologie della fede sono disposte in una sorta di crescendo, che evidenzia sempre

più accentuatamente la fondazione della fede autentica sulla parola di Gesù, e che fa emergere la

dialettica tra il singolo e il gruppo, molto più vivace e rilevante nella pericope sui Samaritani.

L’incontro di Gesù con la Samaritana e i Samaritani è anch’esso composto con la massima cura.

Il narratore inquadra il racconto attraverso una introduzione (1-7a) e una conclusione (39-42) che è

bene considerare specificamente.

La maggioranza degli studiosi sostiene che la pericope Gv 4,1-42 è ben strutturata e si rivela di alto

livello letterario2. Dice R.Fabris: «questa pagina giovannea nella sua forma attuale si presenta come

un’unità letteraria, incentrata sull’incontro-dialogo di Gesù in Samaria con una donna di quella

regione, vicino alla fonte o pozzo di Giacobbe. Infatti il successivo breve dialogo-istruzione di Gesù

con i discepoli prepara il suo incontro-accoglienza di fede da parte dei Samaritani. Quindi la scena è

dominata sempre dalla figura di Gesù attorno alla quale si muovono gli altri personaggi individuali -

la donna Samaritana e collettivi, i discepoli e i Samaritani»3.

INTRODUZIONE

L’introduzione si articola in tre parti:

1. vv. 1-4 in cui viene inquadrato l’attraversamento necessario della Samaria per spostarsi dalla

Giudea verso la Galilea, dopo aver accennato alla notizia circa il battesimo (suo e di

Giovanni). Questa prima parte dell’introduzione inquadra insomma l’episodio della

1 Non tutti gli esegeti sono d’accordo nel considerare 2,1-4,54 come un’unità letteraria, ci riferiamo a R.E.Brown e agli

studi di I.de LA POTTERIE, Gesù e i Samaritani in Studi di cristologia giovannea, ed. Marietti, Genova 1992, p. 69;

C.H.DODD, op. cit., p. 390; R.VIGNOLO, Personaggi del Quarto Vangelo, ed. Glossa, Milano 1994, pp. 100-101. 2 S.A.PANIMOLLE, Lettura pastorale del Vangelo di Giovanni, v.i, ed.Dehoniane, Bologna 1999, p. 370.

3 R.FABRIS, Giovanni, traduzione e commento, ed. Borla, Roma 1992, p. 286.

17

samaritana negli spostamenti di Gesù che dalla Giudea lo riporteranno in Galilea (da Cana a

Cana).

2. Con i vv. 5-6 si specifica che il luogo samaritano in cui Gesù sosterà è la città di Sicar, con il

riferimento ai fatti patriarcali relativi a Giacobbe e Giuseppe e al pozzo di Giacobbe. Viene

altresì puntualizzata l’ora della sosta di Gesù. Il richiamo alla tradizione patriarcale è un

elemento da non trascurare nella narrazione.

3. con il v.7a è introdotta, infine, l’interlocutrice di Gesù definita come “una donna di

Samaria” per attingere acqua.

L’introduzione ha quindi preparato la scena del dialogo. Da questo momento, infatti, ai verbi di

movimento che hanno dominato nell’introduzione, seguono i varba dicendi che introducono gli

interventi alternati tra Gesù e la donna Samaritana.

PRIMA SCENA

Il dialogo tra Gesù e la donna samaritana (vv. 7b – 26):

È il dialogo più lungo di tutto il vangelo di Giovanni e da sempre ha fatto pensare ad un

particolare interesse dell’evangelista per la missione in questa regione4

È Gesù che si rivolge alla donna samaritana ed apre il dialogo, come pure è con l’affermazione

finale di Gesù VEgw, eivmi( o lalw/n soi che termina il dialogo. Unica eccezione sono due

piccoli interventi del narratore: nel v. 8 spiega che i discepoli erano andati a comprare da

mangiare e in 9b spiega il senso dello stupore della samaritana per il fatto che un giudeo rivolga

la parola ad una samaritana.

Gesù si rivela come datore dell’acqua viva (7-15).

Gesù si rivela come profeta (la figura del marito) (16-19).

Gesù si rivela come Messia (il vero culto a Dio Padre)(20-26).

SECONDA SCENA

Entra di nuovo in campo la voce del narratore che introduce in scena i discepoli di ritorno dalla

città (27) e lo spostamento della donna in città dove entrano in scena gli abitanti di Sicar (28). In

pratica alla coppia Gesù samaritana seguono le due coppie Gesù-discepoli; samaritana-

samaritani.

Con il v. 31, e fino al 38 si riprende il dialogo tra Gesù e i discepoli

- Il cibo di Gesù (31-34);

- la mietitura messianica (35-38), con un lungo intervento di Gesù circa il tempo della mietitura

in cui non si trova esplicito riferimento al precedente dialogo con la samaritana.

CONCLUSIONE

Nei vv. 39-42 si registra l’incontro tra Gesù e i samaritani e la presa di distanza degli abitanti

dalla donna samaritana (42) fino alla confessione di fede dei samaritani in Gesù come “il

salvatore del mondo”

4 Cfr.SCHNACKENBURG, op. cit., p. 656.

18

Osservazioni sul testo:

1. INCLUSIONI TEMATICHE

Se tu sapessi...CHI E’ che ti dice (parla)...! (Gv 4,10)

Noi sappiamo che QUESTI E’ veramente il Salvatore del mondo (Gv,4,42)

Alla Samaritana incredula Gesù prospetta il mistero meraviglioso della sua persona (v.10) e alla

fine della scena drammatica i Samaritani scoprono la vera identità di Gesù: egli è il Salvatore

dell’umanità (v. 42).

Questa inclusione indica il tema fondamentale di tutta la narrazione drammatica di Gv 4, 7-42, essa

infatti vuole svelarci il mistero della persona di Gesù, che nella prima sezione ci è presentato come

il rivelatore (vv. 10ss) e nel brano finale appare come il Salvatore del mondo, ossia di tutti gli

uomini e non solo dei Giudei (vv. 39ss).

- Tra i vv. 7 e 15 notiamo un’altra inclusione, in forma parzialmente chiastica, fra le espressioni:

viene una donna... a d a t t i n g e r e ACQUA (v.7),

dammi QUEST’ACQUA, affinché non venga qui a d a t t i n g e r e (v.15)

Anche la presente inclusione indica il tema centrale di questa prima sezione del dialogo con la

Samaritana, che tratta precisamente l’argomento dell’acqua viva, donata da Gesù, in

contrapposizione all’acqua del pozzo di Giacobbe.

- Tra il brano iniziale del colloquio con la samaritana (v.10) e la sentenza finale di questa pericope

(v.26).

Le rispose Gesù dicendo: “CHI E’ che ti dice: Dammi da bere” (v.10)

Le dice Gesù: “IO SONO, colui che ti parlo!” (v.26)

Il mistero della persona di Gesù, che è il dono di Dio per eccellenza, in quanto rivela e comunica la

vita divina (Gv 4,10), è finalmente chiarito in Giovanni 4,26: Gesù è il Messia escatologico, atteso

anche dai samaritani, che rivela tutte le cose.

- Tra i vv. 29 e 42 scorgiamo un’altra corrispondenza tra l’intuizione della Samaritana la quale

pensa che Gesù possa essere il Messia e la professione di fede dei concittadini di questa donna i

quali affermano che Gesù è veramente il Salvatore del mondo. Si confrontino infatti le frasi:

SIA EGLI forse il CRISTO? (ou-to,j evstin o` Cristo,jÈ) (v.29),

QUESTI E’... il SALVATORE (ou-to,j evstin avlhqw/j o` swth.r tou/ ko,smouÅ) (v.42).

Quindi le due ultime sezione di Gv 4,1-42, ossia i vv. 27-42, sono racchiusi da questa inclusione tra

il passo iniziale e l’ultima frase di questa estesa pericope.

- Nel brano finale di Gv 4,27-42 rileviamo altre due inclusioni tra vv. 27.38 e 39.42. Il brano

formato dai vv.27-38 sembra racchiuso dalle due notizie riguardanti i discepoli: essi giungono da

Gesù, dopo aver fatto gli acquisti in città (v.27) e Gesù parla di essi alla fine del brano, ricordando

loro che sono entrati nel lavoro di altre persone (v.38).

- Più manifesta è l’inclusione tematica della pericope finale (Gv 4,39-42), formata dal verbo

“credere”. Essa, infatti, si apre con l’osservazione che molti Samaritani “credettero” in Gesù (v.39)

e si chiude riportando la professione di fede in Gesù Salvatore del mondo espressa da questi primi

discepoli non Giudei:

«Non crediamo più a motivo della tua parola, noi stessi infatti abbiamo ascoltato e sappiamo che

questi è veramente il Salvatore del mondo» (vv.41s). In realtà il tema trattato in Gv 4, 39-42 è la

19

fede dei samaritani: la loro fede iniziale fondata sulla parola della loro concittadina è superata e

approfondita, fino all’adesione esistenziale a Gesù, Salvatore del mondo.

2. PARALLELISMI

Un parallelismo sinonimico tra i vv. 9 e 20ss si trova nella contrapposizione tra i giudei e i

samaritani.

Tra i vv. 22 e 42 si rivela il seguente parallelismo sinonimico, parzialmente antitetico, perché nel

primo passo la salvezza è posta in rapporto con i Giudei e nel secondo Gesù è proclamato Salvatore

di tutta l’umanità. Si osservino in sinossi le due frasi:

la salvezza è d a i g i u d e i (v.22),

questi è veramente il Salvatore d e l m o n d o (v.42).

Altro parallelismo sinonimico lo rileviamo tra i vv. 25 e 29 ed è formato dalle locuzioni:

So che v i e n e il Messia, chiamato Cristo (v.25).

Che s i a e g l i f o r s e il Cristo ? (v. 29).

3. PAROLE TEMATICHE

- Nella prima parte del dialogo tra Gesù e la Samaritana, il verbo dare ricorre ben sette volte

e in Gv 4 s’incontra solo nei vv. 5-15.

- A questo termine si aggiunga il sostantivo dono (), che nel quarto vangelo ricorre

solo in Gv 4,10.

- In modo analogo il vocabolo bere in Gv 4 si trova solo nei vv.7-16 e per sei volte.

- Parimenti il sostantivo acqua s’incontra solo nei vv. 7-15 e per ben otto volte.

- Anche il verbo aver sete in Gv 4 ricorre tre volte e solo nei vv. 13-15.

Dunque le parole tematiche di questa sezione sono rappresentate dall’acqua, il bere, l’aver

sete, il donare. Questa constatazione indica l’argomento principale di Gv 4,7-15: è il dono

dell’acqua, che bisogna bere per dissertarsi.

In Gv 4, 16-19 i termini più frequenti sono:

- il sostantivo marito che in Gv 4 ricorre solo in questo brano per cinque volte, e il verbo avere, che

in Gv 4,1-42 s’incontra unicamente nei vv. 17-18 per quattro volte e poi solo nel v.11.

La pericope di Gv 4,20-26 ha altre parole tematiche molto caratteristiche ed esclusive di

questo brano. Il verbo adorare nei primi otto capitoli del quarto vangelo s’incontra solo in Gv 4,20-

24 e per ben nove volte. In modo analogo la tematica del luogo di culto nel quarto vangelo è trattata

solo in questo brano finale del dialogo con la samaritana: questa donna ritiene che sia sul monte

Garizim, i giudei nel tempio di Gerusalemme e Gesù promulga il nuovo luogo del culto

escatologico: lo Spirito e la Verità.

Nel passo iniziale di Gv 4, 27-38 sono esplicitamente nominati per tre volte i discepoli (vv.

27.31.33). Il gruppo di vocaboli mangiare -cibo è uno dei più importanti nei vv. 31-34: il verbo

mangiare ricorre tre volte (vv.31,32.33) e il sostantivo cibo s’incontra due volte (vv. 32.34).

Nel brano finale di questa pericope (vv.35-38) le parole tematiche sono costituite dai termini

mietitura-mietere, che ricorrono sei volte in questi versetti e poi non s’incontrano mai più nel quarto

vangelo, dal verbo seminare che si trova due volte in questo brano (vv.36s), e dal gruppo di voci

faticare-fatica, che compare tre volte nel v.38. Si osservi infine che anche i vocaboli fatica e

seminare nel quarto vangelo ricorrono solo in questa pericope della permanenza di Gesù in

Samaria.

Gv 4,39-42 ha come parola tematica il verbo credere che ricorre tre volte (vv.39.41-42),

mentre nei restanti brani del racconto sul soggiorno di Gesù in terra samaritana s’incontra solo al

v.21 nell’espressione «credimi, donna»

20

E’ difficile dunque, contestare l’unità globale di questa pagina evangelica sia sotto il profilo

narrativo drammatico, sia sotto quello tematico. E’ innegabile la progressiva rivelazione-scoperta

dell’identità di Gesù. Si passa dal “giudeo” che chiede da bere ad una donna samaritana, Gv 4,9, ma

che con la sua promessa dell’acqua viva pretende di essere “più grande di Giacobbe”, padre dei

Samaritani, Gv 4,12, al riconoscimento del “profeta”, Gv 4, 19, che forse può essere il “messia-

Cristo”, Gv,4,29, e che alla fine viene proclamato “il Salvatore del mondo”, Gv 4, 425.

Tuttavia per avere un’idea complessiva sul tipo di struttura di tutta la pericope che descrive

il soggiorno di Gesù in Samaria, bisogna riconoscere che l’evangelista qui compone con grande

varietà, nonostante il carattere unitario di Gv 4,1-426.

PRINCIPALI OSSERVAZIONI ESEGETICHE

6 h=n de. evkei/ phgh. tou/ VIakw,bÅ o` ou=n VIhsou/j

Il pozzo di Giacobbe è citato come “sorgente” negli scritti rabbinici (non nell’AT). Metri 2,30 di

diametro, mt 32 di profondità! I recipienti toccano l’acqua a notevole profondità.

La Samaritana si reca a quell’ora calda perché riconosciuta come pubblica peccatrice?

9 le,gei ou=n auvtw/| h` gunh. h` Samari/tij( Pw/j su. VIoudai/oj w'n parV evmou/ pei/n aivtei/j gunaiko.j Samari,tidoj ou;shjÈ ouv ga.r sugcrw/ntai VIoudai/oi Samari,taijÅ

La spiegazione di Gv rispecchia la storia delle relazioni tra samaritani e giudei…. Cfr. 2 Re

17,24-41.

L’annotazione giovannea in alcuni manoscritti è omessa. Glossa?

10 avpekri,qh VIhsou/j kai. ei=pen auvth/|( Eiv h;|deij th.n dwrea.n tou/ qeou/ kai. ti,j evstin o` le,gwn soi( Do,j moi pei/n( su. a'n h;|thsaj auvto.n kai. e;dwken a;n soi u[dwr zw/nÅ

Si innalza il livello del dialogo. Dall’incontro esteriore all’incontro interiore (ricordarsi anche dello

sviluppo del tema dell’umanità di Gesù nelle lettere giuovannee, oltre che nel prologo). Costruzione

chiastica.

dwrea.n ciò che Dio dona per la salvezza dell’uomo. Per il rabbinismo la torah. Per la com

primitiva lo Spirito Santo. Per Paolo la giustizia di Dio (Rom 5,17) o la salvezza, la grazia.

Importante il simbolismo dell’acqua (soprattuttto nel contesto del VOA): capacità purificatrice,

dissetante, donatrice di vita, produttrice di frutti, risanatrice… così anche in molti culti in Egitto

e Mesopotamia. Vasto movimento battesimale. Collegamento con il linguaggio figurato

dell’AT: Dio è fonte di acqua viva (Ger 2,13; 17,13)… dà refrigerio (Sl 36,9)… L’mmagine

passa poi da Dio alla sapienza (Bar 3,12; Ecclus 15,3; Sap 7,25…) e nel rabbinismo alla Torah,

in Filone al Logos= fonte della sapienza.

Molto vicino a Gv il riferimento all’acqua donata dall’Altissimo nel testo dello scritto gnostico

Odi di Salomone 6,11ss…. La gnosi placa ogni sete.

Altre immagini accanto a quella dell’acqua viva: pane, vite, porta, via…

v.11 Segue il fraintendimento, l’equivoco della samaritana, come precedentemente abbiamo

visto il fraintendimento di Nicodemo (3,4). Chiama Gesù “Signore” e si chiede “da dove?”

5 FABRIS, op. cit., p. 291.

6 PANIMOLLE, op. cit., p. 380.

21

po,qen ou=n e;ceij to. u[dwr to. zw/né come già in 2,9 e in 3,8, cosa che verrà poi spiegata più

avanti (7,27; 8,14…) Da dove viene il Rivelatore e i suoi doni? Bisogna arrivare a riconoscere

l’origine celeste di Gesù (19,9). Il lettore conosce la provenienza.

13-14 Gesù spiega di che acqua si tratta collegandosi a Is 55,1-3, al linguaggio figurato dei

profeti (anche della letteratura sapienziale). Per gli scritti gnostici, già si è detto delle Odi di

Salomone, la sete è placata dalla conoscenza.

L’acqua zampillante ricorda quanto Filone dice del Logos, paragonato al fiume del Paradiso, e

quanto dice il Midrash circa la Torah divina.

L’acqua diventa sorgente stabile e duratura. Rimane, come nei sinottici, un cenno escatologico,

anche se il dono è attuale!

Per molti esegeti antichi e moderni si tratta per Giovanni del dono dello Spirito Santo. Ma

anche la “vita divina”. Le due interpretazioni non si escludono necessariamente.

Di fronte all’insistenza nel fraintendimento (v.15) Gesù imprime una nuova svolta (16): egli

conosce la situazione della donna; è il sapere profondo del Rivelatore che rivelando Dio

all’uomo, rivela l’uomo a se stesso rendendolo capace di accogliere la rivelazione (i Padri

insistono maggiormente sul fatto morale: invito alla conversione).

Vv 17-18: secondo il giudaismo la donna poteva risposarsi due o tre volte… la donna figura

simbolica del popolo samaritano? Infedeltà coniugale=infedeltà religiosa: Schnackenburg la

considera errata.

v.19 innalzamento nell’uso di titoli: profeta, anche per i sinottici uno dei modi per indicare

Gesù. Notare che per l’attesa samaritana del Taheb (Messia) ha grande importanza Dt 18,15-18:

un profeta come Mosè…

In 4,20-24 si affronta la questione dell’adorazione in Spirito e verità. Gli Israeliti, dopo

l’ingresso nella terra dovevano costruire un tempio sul monte Ebal (Dt 27,4-8) ma per i

Samaritani si tratta del Garizim, nominato nel Pent. Samaritano al posto dell’Ebal. Giovanni

Ircano fece distruggere il tempio del Garizim nel 128 a.C.

L’ora in cui i due luoghi di culto perderanno entrambi di importanza è giunta con la persona di

Gesù.

v.27: importante chiarimento da parte di Gesù che illumina grandemente la relazione Gesù-

Giudei per il quarto evangelo.

L’autentica adorazione è in Spirito e Verità: non si tratta dell’adorazione interiore (nello spirito

dell’uomo) ma di realtà divina: Spirito Santo e Verità si identificano con Dio stesso: la realtà

divina portata da Gesù e con la quale i credenti in Gesù sono chiamati a identificarsi. È ciò che

avviene adesso, con Gesù e il dono dello Spirito, secondo Gv… ricevono il potere di diventare

figli di Dio. La vera adorazione nello Spirito è possibile solo nella comunione con Cristo. Lo en

pneumati giovanneo corrisponde allo en Christo paolino. In Gesù la vera adorazione di Dio è

possibile ed è rivolta al Padre.

24 Dio è spirito bisogna perciò essere elevati ad un tipo nuovo di esistenza per la forza stessa di

Dio (lo Spirito) altrimenti si rimane legati alla carne. L’uomo deve diventare uomo pneumatico.

25-26 la donna guarda al futuro messianico mentre Gesù gli parla del dono presente: “equivoco

giovanneo”. Gesù indica in se stesso l’esaudimento della speranza della donna. Il Ta’eb

samaritano (= colui che ritorna, visto anche come capo politico ma discendente da Levi e non da

22

Giuda-Davide, a motivo del suo collegamento a Mosè; essendo egli stesso sacerdote doveva, tra

l’altro, ristabilire il culto) è il profeta della fine che verrà dopo Mosè: il testo di Dt 18,18 è

aggiunto nel Pent. Samaritano al decimo comandamento del decalogo.

Gesù comunica la sua identità messianica con l’espressione ego-eimi, carica di significato per il

contesto biblico.

vv. 31-38: chiaro scopo missionario. Interesse per la missione dei discepoli e in particolare per la

missione in Samaria.

Osservare il nuovo equivoco che si crea nel v.33 circa il “mangiare”

vv.39-42: la fede dei samaritani

Si riprende il filo del racconto (v.30) e si conclude. Qui Giovanni sviluppa una teologia della

fede: la vera fede si ha solo quando si incontra personalmente Gesù e la sua parola

L’invcontro con la donna, e l’annuncio di questa, poteva essere solo lo spunto. Come con Gv Btt,

la donna può essere solo intermediaria.

SI superano le divisioni e le diffidenze (il giudeo Gesù è invitato dai sicariti: la vera fede porta a

superare le divisioni di popoli, razze…

Le parle di Gesù contengono esse stesse una forza divina e rendono partecipi del dono di Dio e

della sua salvezza.

La salvezza di Gesù è portata al mondo intero.

Qui è fede esemplare (testimoniata proprio dai Samaritani!) che non ha bisogno di “segni”.

v. 42 La lalia della donna impallidisce davanti al Logos di Gesù.

Salvatore del mondo: si giunge al massimo degli attributi rivolti a Gesù nel cap. 4.

Anche la speranza dei Samaritani è soddisfatta in maniera inaspettata e più ampia della loro

attesa (il Ta’eb).

È un titolo non ricorrente nel giudaismo, si trova anche in 1Gv 4,14, con una certa importanza

nell’ambiente ellenistico, qui però applicato in maniera esclusiva a Gesù. Titolo kerygmatico,

atterstato anche nel culto all’imperatore: polemica giovannea a partire da quest’uso

contemporaneo?

Gv 4,1-42 le immagini, i simboli e le interpretazioni: l’interpretazione sponsale,

l’interpretazione missionaria, il tema del culto e del discepolato. Ci fermeremo in particolare

sull’interpretazione sponsale della pericope.

L’interpretazione sponsale7 nasce dall’osservazione sulle costanti discpntinuità narrative del

racconto Gv 4, 1-42. Si osservano in particolare i passaggi bruschi nella conversazione: dal tema

dell’acqua viva (4,7-15) alla domanda sul marito (4,16), poi al problema sul vero luogo di culto (4,

20); infine, Gesù parla di semine e di messi.

- È l’AT che detiene la chiave di tale trama, precisamente il costante riferimento alle scene-tipo di

fidanzamento presso il pozzo ed alla vicenda nuziale del profeta Osea (2,4-25) che sicuramente

facevano parte della “memoria collettiva” dei lettori del vangelo giovanneo8. Il racconto di Gv 4,1-

7 In genere i sostenitori di questa interpretazione sono: MATEOS - BARRETO, op. cit., pp. 200-222; GRELOT, la Donna,

op. cit., p. 16; INFANTE, art. cit., pp. 44-50.58-59; con un po’ di riserva SCHNACKENBURG, op. cit., pp. 643s.;

SCHNEIDERS, art. cit., pp. 244.246.249; SKA, Jèsus et la Samaritaine, cit., pp. 641-652; Id., Dal nuovo all’Antico

Testamento, art. cit., pp. 15-19. 8 SKA, Jésus et Samaritaine, cit., p. 651.

23

42 inizia con un viaggio. Gesù passa per la Samaria, un paese straniero… siede presso un pozzo.

Vengono alla memoria alcune scene veterotestamentarie:

1. la missione del servo d’Abramo incaricato di andare a trovare una sposa per Isacco

(Gen 24);

2. l’incontro di Giacobbe e di Rachele (Gentile 29,1-14);

3. la fuga di Mosè nel paese di Madian e il suo incontro con le sette figlie di Reuel

vicino a un pozzo (Es 2,15-22).

I tre racconti iniziano tutti descrivendo il viaggio d’un uomo verso un paese straniero, e la sosta

presso un pozzo… una o più donne vengono al pozzo… conversazione: l’uomo chiede l’acqua

oppure dà l’acqua o abbevera il gregge affidato alla ragazza o alle ragazze5; la donna torna a casa

correndo, racconta che ha incontrato un uomo al pozzo, l’uomo è invitato dai genitori della ragazza,

che in genere, gli offrono da mangiare; la storia finisce con un matrimonio: Isacco e Rebecca,

Giacobbe e Rachele (e Lea), Mosè e Zippora. In realtà, la donna che viene al pozzo è la futura

sposa. Secondo diversi commentatori lo schema di questa “scena tipica” si trova pure in Gv 4,

almeno sostanzialmente. Nel racconto giovanneo la scena non termina con il matrimonio… a ciò

contribuisce non solo l’ora particolare dell’incontro, che indica un problema sottostante, ma anche

l’esplicitazione di esso quando chiede di andare a chiamare il marito… Nei racconti dell’AT chi dà

l’acqua (4,10.14-15) è in effetti il futuro marito (cfr. Gen 29, 10; Es 2,17.19). La stessa idea si

ritrova in Os 2,4-25: al v. 7, il marito indignato cita una delle parole della propria sposa come prova

della sua infedeltà: “Essa ha detto: “Seguirò i miei amanti, che mi danno il mio pane, e la mia

acqua, la mia lana e il mio lino, il mio olio e le mie bevande”. Per il testo di Osea è chiaro che

l’acqua non viene data dagli amanti, ma da JHWH, il Signore di Israele, e quindi la sposa infedele,

sbaglia nel credere che riceve questi doni dai suoi amanti. Di qui il dialogo passa al problema del

tempio: “Dove si deve adorare?” (4,20). Questa volta è indubbiamente Osea che fornisce al lettore

l’anello mancante. Anzitutto perché la Samaritana con i mariti numerosi ha qualcosa in comune con

la sposa infedele del secondo capitolo di Osea, poi l’oracolo di Os 2 mostra bene l’equivalenza tra

“falsi mariti”, i baal, da una parte, e, dall’altra, i “falsi dei”. Dunque la Samaritana, che sempre più

rappresenta il suo popolo, la Samaria9, vuole sapere dove può trovare il suo vero Dio, cioè il suo

vero marito. A questo punto si può dire tranquillamente che il tema di questi versetti, il culto “in

spirito e verità” (Gv 23.24), si ricollega facilmente al tema “coniugale” attraverso Os 2.

- Con l’arrivo dei discepoli (4,27), il colloquio cambia ancora una volta: si parla di cibo (4,31-

34), poi di semine e di messi (4,35-38). Ancora una volta il riferimento semba essere a Os

2., dove il tema del cibo e della fertilità del suolo è onnipresente10

. La conclusione

dell’oracolo è particolarmente significativa: quando annuncia la futura conversione della

sposa, JHWH descrive il tempo nuovo come una nuova era di prosperità: “ E avverrà in quel

giorno oracolo del Signore io risponderò al cielo ed esso risponderà alla terra; la terra

risponderà con il grano, il vino nuovo e l’olio...” (Os 2,23-24). Ora nel nostro racconto, i

Samaritani scendono dalla città verso il pozzo mentre Gesù conversa con i,discepoli. La

“mietitura” di cui parla Gesù è dunque il popolo samaritano che viene verso di lui per

vederlo e ascoltarlo. Gesù vede la Samaria ritrovare il suo vero marito e la sua fertilità. Il

ritorno al marito vero è simboleggiato dall’immagine di una terra che porta una messe

abbondante.

5 Chiedere l’acqua significa cercare di conoscere le disposizioni della persona alla quale ci si rivolge. Dare l’acqua a chi

la domanda significa mostrarsi accogliente. SKA, Jèsus et Samaritaine, cit., p. 644. 9 La Samaritana è uno dei principali personaggi anonimi del vangelo di Giovanni. A livello narrativo, l’anonimato,

favorisce l’identificazione del lettore con un dato personaggio, ma consente anche una maggiore rappresentatività e

tipizzazione del personaggio in questione. Cfr. GRELOT, La donna, p. 16, n. 7; SCHNEIDERS, art. cit., p. 246;

VIGNOLO, op. cit., p. 162. 10

Cfr. Os 2,5.7.10.11.14.17.23-24.

24

- La conclusione del racconto, con la professione di fede dei samaritani: “sappiamo che questi è

veramente il Salvatore del mondo” (4,42) indica la risposta all’uso del simbolo sponsale e della

incongruenza osservata (mancanza del matrimonio): Giovanni da una parte, riprende la struttura

dell’incontro al pozzo di futuri sposi, dall’altra sviluppa il simbolismo sponsale nel senso di Osea 2,

la storia di Israele-sposa infedele. Per la donna di Samaria non si tratta di trovare marito ma di

mettere ordine nella sua vita: ritrovare il suo vero marito, come la Samaria deve trovare o ritrovare

il suo vero Dio. L’ atto di fede dei samaritani è in tal senso una conclusione logica del racconto. Per

Gesù si è trattato di “parlare al cuore” della sposa infedele per ricondurla al suo unico vero marito

(cfr. Os 2,16). Il matrimonio è già avvenuto molto tempo fa, tra Dio e il suo popolo di Israele-

Samaria. Gesù viene a restaurare quel matrimonio oppure quell’alleanza spezzata e i Samaritani

sono i primi a rivelare le profondità insospettabili di quella salvezza che si estende d’ora in poi a

tutto l’universo (4,42; cfr. 4,21-26). A favore di questa interpretazione sponsale depongono anche le

allusioni sponsali dei capitoli precedenti (1,27.30; 2,1-12; 3,29-30); lo schema delle “scene-tipiche”

presso un pozzo ed il riferimento continuo alla storia di Osea inducono a pensare che la narrazione

di Gv 4,1-12 ha anch’essa un esito nuziale anche se solo simbolico11

. Proprio lei: l’adultera,

l’infedele, la prostituta, l’idolatra (cfr. Os 1,2; 3,1), ridiventa, per la misericordia di Dio, la sposa

che il Messia, lo sposo preannunciato già presente dal Battista, è venuto a cercare e sposare nella

gioia (Gv 3,29).

Appendice patristica

Come è facile immaginare, vi sono splendide pagine dei padri e della tradizione in generale che

commentano questi brani giovannei in maniera ineguagliabile. Non sempre vengono ripresi nel

nostro studio esegetico, ma è bene che la loro consultazione non venga ritenuta inutile o superata.

Benché siano da rispettare le esigenze che l’esegesi moderna ha posto in particolare rilievo, tali testi

presentano infatti una ricchezza difficilmente eguagliata nei nostri commentari moderni, intuizioni

di tipo ermeneutica e spirituale che è bene ricordare.

A mo’ di esempio si consideri per esempio quanto Sant’Agostino diceva a commento della

nostra pericope, in particolare del v. 6: «… Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il

pozzo. Era verso mezzogiorno». Intuizioni spirituali profonde in cui prevale l’aspetto cristologico,

insieme a voli interpretativi che non sono accettabili nell’ambito di una esegesi di tipo storico-

critico… Si veda per esempio come viene spiegato il riferimento di Giovanni alla “stanchezza di

Gesù”:

Iesus fatigatus ex itinere, sedebat super fontem (Jo 4,1-41; Tractatus 15; PL 1511; cfr.

S.Agostino, Commento a S.Giovanni, Città Nuova, p.346):

Iam incipuint mysteria.

Non enim frustra fatigatur Iesus,

non enim frustra fatigatur virtus Dei.

Invenimus fortem Iesum,

et invenimus infirmum Iesum.

Fortitudo Christi te creavit

Infirmitas Christi te recreavit.

Condidit nos fortitudine sua,

Quaesivit nos infirmitate sua.

“Cominciano i misteri” ; la stanchezza di Gesù è vista da S: Agostino come preludio alla passione e ci invita ad entrare più profondamente nel

mistero di Cristo.

È con la sua debolezza che egli nutre i deboli, come la gallina nutre i suoi pulcini.

11

MATEOS – BARRETO, op. cit., pp. 227-249.234s.; INFANTE , art. cit., p. 58; SCHNACKENBURG, op. cit., pp. 643s.;

SCHNEIDERS, art. cit., p. 224; SKA, Jèsus et Samaritaine, cit., p. 649.

25

Ma perché nell’ora sesta? Perché era la sesta età del mondo…

I. Adamo - Noè

II. Noè – Abramo

III. Abramo – Davide

IV. Davide – esilio

V. Esilio – battesimo di Giovanni

VI. Battesimo di Giovanni….

Prosegue S. Agostino: «Perché ti meravigli? Gesù venne in terra e, umiliandosi, giunse fino al

pozzo. Arrivò stanco, perché portava il peso della carne debole. Era l’ora sesta perché era la sesta

età del mondo. E giunse al pozzo, perché egli è disceso fino al fondo di questa nostra dimora…»

Et venit mulier. Forma Ecclesiae, non iam iustificatae, sed iam iustificandae, nam hoc agit sermo…

E arriva una donna. È figura della Chiesa, non ancora giustificata, ma già in via di essere

giustificata: questo il tema della conversazione…

…Si scires, inquit, donum Dei. Donum Dei est Spiritus Sanctus….

…. Gesù vedendo che la donna non capiva, e volendo che capisse, «chiama – le dice – tuo marito».

Ecco perché tu non capisci ciò che ti dico, perché il tuo intelletto non è presente… chiama tuo

marito, rendi presente il tuo intelletto.

Venne l’ora, ed è adesso, in cui i genuini adoratori adoreranno il Padre in Spirito e verità. Noialtri

adoriamo ciò che conosciamo… Lo dice riferendosi ai Giudei come popolo; non lo dice riferendosi

a tutti i Giudei, ai Giudei reprobi; lo dice riferendosi al popolo dei giudei di cui facevano parte gli

Apostoli, i Profeti e tutti quei santi che vendettero i loro beni e ne deposero il ricavato ai piedi degli

Apostoli…

Si osservi come lo stesso testo venga letto soprattutto in chiave morale da Giovanni Crisostomo,

Commento al Vangelo di Giovanni, Città Nuova, vol. II: Discorso XXXI:

…stanco del viaggio = Gesù noncurante del proprio sostentamento… Noi invece ce ne

preoccupiamo (del cibo) appena alzati dal letto…

Rimase solo: abituava i discepoli a rifuggire dalla ricerca delle comodità (i discepoli come suoi

servi).

… Il Cristo diceva una cosa ed ella ne immaginava un’altra, non udendo altro che il suono delle

parole e non essendo ancora in grado di capire il significato sublime….

… chi beve quest’acqua non avrà sete in eterno… La scrittura chiama la grazia dello Spirito ora

fuoco, ora acqua, mostrando che questi nomi sono adatti ad indicare non la sostanza, ma l’effetto

dell’opera.

Perché la salvezza viene dai giudei…Puoi qui constatare come egli predica il Vecchio Testamento e

dichiara che esso è la radice di ogni bene e afferma che lui non è in alcuna cosa contrario alla

Legge, affermando anzi, di derivare dai Giudei l’origine di ogni bene.

26

BREVE PUNTUALIZZAZIONE SUL “DIALOGO” COME STRATEGIA NARRATIVA DI

GIOVANNI9

In 20,30-31 è l’autore che dialoga con il lettore chiamandolo ad entrare nel gioco pro o contro

Gesù. La conclusione estende quanto Gv fa già nella sua narrazione descrivendo diversi dialoghi

di Gesù.

Rivelazione come dialogo interpersonale ed amicale di Dio con gli uomini (DV2). Dialogo tra il

Rivelatore Inviato del Padre e tutti gli uomini, di ogni tipo, in vista della salvezza.

Anche nei sinottici troviamo diversi dialoghi ma in Gv sono molto più elaborati e caratterizzano

il IV Vangelo dall’inizio alla fine.

Caratteristiche del dialogo in Gv:

- frequenti dettagli di tempo e di luogo

- marcata caratterizzazione del personaggio (anche sotto il profilo psicologico)

- forma letteraria (affermazione profetica di Gesù; risposta che rivela incomprensione o

fraintendimento; risposta o rimprovero di Gesù con una spiegazione che corregge il

fraintendimento)

Nel mondo ellenistico esisteva una lunga tradizione sull’uso del dialogo sia religioso che filosofico

(cfr. Platone; gli ermetici) Dodd dopo aver portato diversi esempi dal corpus hermeticum giunge ad

affermare: «È chiaro quindi che lo stesso principio formativo è operante sia nel quarto evangelo sia

nei dialoghi ermetici, per quanto diverso possa essere il contenuto…L’evangelista sembra aver

calato il proprio contenuto nelle forme basate sui correnti modelli ellenistici dell’insegnamento

filosofico e religioso, invece di seguire le forme, di origine giudaica, presenti nei vangeli

sinottici»10

. Osserva giustamente Mannucci che il modo di Gesù nel portare avanti il dialogo è

molto diverso da quello conosciuto nei dialoghi filosofico-religiosi di cui si parla. Si crea, attraverso

i fraintendimenti, una dinamica che tende alla ricerca del chiarimento… vi è spesso il passaggio dal

dialogo al monologi di Gesù in cui l’interlocutore quasi sparisce (cfr. Nicodemo). Sempre

Mannucci fa riflettere sul dialogo come caratteristica forma della rivelazione divina appoggiandosi

a pensatori ebrei come Buber e Rosenzweig.

Nello stesso filone di riflessione sul dialogo cita GROSJEAN J., «Le style johannique», in Variations

Johanniques, Cerf, Paris 1989, 132-136:

« Guardando più da vicino si constata che, se i sinottici ci riferiscono quello che Gesù ha detto, è in

Giovanni che sentiamo parlare Gesù. È in lui che si scopre la vita del linguaggio di Gesù, questa

limpidezza provocante, questa trasparenza che da le vertigini, questa luminosità che sembra

dissolvere gli oggetti per lasciarci in preda alle persone… Egli mira al centro, polverizza i nostri

postulati: “se non rinasce dall’alto… Sei tu che dovresti chiedere a me da bere” (Gv 3,5; 4,10). Egli

non retrocede per attenuare lo choc. Ci si stupisce, e lui rincara la dose. Suscita soprassalti, che

mettono in luce i malintesi. Si percepisce che il linguaggio è dialogo, vale a dire né il monologo

cattedratico né il chiacchiericcio democratico. Allora succede che Nicodemo risponde con gravità

(3,4.9), la samaritana con insolenza (4,9.11.15), Filippo con candore (6,7 e 14,8), Marta con

melanconia (11,24), Tommaso con ostinazione (11,16, 14,5; 20,25), la gente di Cafarnao con

malevolenza (6,30.42.52), la gente del tempio con odio esasperato (8,48) ecc. Ma Gesù sa anche

fare, per noi, la parte di colui che “fraintende”: e l’ufficiale del re se ne accorge (4,46-54) (…).

Giovanni ha saputo trasmetterrci le intonazioni singolari di un Messia che parla a ciascuno

nell’intimo, senza mai far dimenticare che egli è il Signore. La sua profonda amicizia, che è insieme

discreta e gioiosa, mantiene sempre qualcosa di urtante, come se non volesse lasciare a noi

l’appannaggio dell’inettitudine».

9 Cfr. DODD, La tradizione storica del quarto Vangelo, 382-389 e V. MANNUCCI, Giovanni il Vangelo narrante, op. cit.,

pp. 45 ss. 10

DODD, La tradizione storica del quarto Vangelo, op. cit., 388