IL LEVIATANO

48
C aro Lettore, è passato quasi un anno dall'uscita del primo numero della nostra rivista. Molte cose sono cambiate, mentre molte altre sono rimaste le medesime. Un anno sta per terminare, e il tempo – stacanovista per natura – continua col suo inesorabile lavoro. Un'altra stagione ci abbandona, e mi sembra ieri che in redazione stavamo organizzando il materiale per questo numero, cercando di capire quali potessero essere i testi migliori da porgervi perché, in un certo qual modo, ci avrebbe fatto piacere far parte del vostro Natale. É inderogabile che il numero invernale di una rivista sia probabilmente quello più importante. Bisogna cercare di non scadere nel moralismo o, ancor peggio, nel buonismo. Gli articoli e gli scritti proposti devono avvolgere ma non soffocare. Devono essere più simili a una carezza che a una stretta. Si dice sempre che questa sia la festa più commerciale dell'anno. Non penso esista frase più banale. Il Natale è l'esaltazione di uno stato d'animo che ci appartiene a priori: la persona venale o pessimista avvertirà questa festa in modo commerciale, quella placida e ottimista come un'occasione per stare assieme. D'altronde il Natale è una festa che ognuno si crea. Ma perdonatemi, non voglio di certo cavillare sul Natale. Da parte nostra però vi posso dire che abbiamo deciso di non inserire pubblicità in questo numero, cosicché, a modo suo, possa essere consi derato unico. Abbiamo intessuto pagine di argomenti che sveleranno alcuni segreti di questa celebrazione, e nel contempo abbiamo voluto non dimenticare l'attualità. È vero che il Natale è anche la festa della memoria passata e dei pensieri più lievi, ma non possiamo non consi derare che in questo periodo sono accaduti molti fatti sconcertanti, pri mo fra tutti l'alluvione che ha colpito la nostra regione. Dunque anche di questo si parlerà. Oltre a non aver inserito pubblicità, abbiamo deciso di regalare la nostra rivista. Nei bar, locali, librerie, edicole di tutta la città infatti sarà possibi le trovarla. Ma se voi state leggendo queste parole significa che dunque ne avete una copia in mano. Allora prendetene una copia in più e rega latela a qualche amico o conoscente, portatela ai vostri parenti, po trebbe essere un modo alternativo per dire “Buon Natale!”. Da metà gennaio 2011 ci potrete trovare in tutte le edicole del Veneto, a tenervi compagnia per un altro anno, ma questa è un'altra storia. Con queste parole vi saluto, a nome mio e di tutta la redazione, e assie me vi auguriamo Buon Natale e un felice Anno Nuovo. Emanuele Scicolone e e d d i i t t o o r r i i a a l l e e HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO Carlo Ferri, Claudia Parola, Diego Corona, Marcello Piu, Michele Sciarra, Emiliano Ventura Gli articoli non firmati sono ad opera della Redazione IN COPERTINA The Nutcracker , Hong Kong Ballet, particolare I I l l L L e e v v i i a a t t a a n n o o Pubblicato da A.C. IL LEVIATANO Reg. Trib. di Padova n. 2204 del 01/12/2009 Reg. R.O.C. n. 19140 del 19/02/2010 Direttore Responsabile GIORGIO D'AUSILIO Caporedattore EMANUELE SCICOLONE Vicecaporedattore ALESSANDRO ROMANO Redazione CARLO FERRI BIANCA MARIA DA RIF EMILIANO VENTURA CLAUDIA PAROLA Segreteria di Redazione VALERIA SATTA Realizzazione Grafica EMANUELE SCICOLONE Stampa CENTROOFFSET MASTER S.R.L. (PD) Manoscritti Spedite i vostri testi inediti all'indirizzo mail della nostra Redazione Abbonamento annuale 6 numeri 18 euro Arretrati 5 euro a numero dell'anno corrente 6 euro a numero dell'anno precedente Pubblicità Contattare la Redazione Contatti SEDE REDAZIONE via Europa, 39 35030 RUBANO (PD) TELEFONO 049 9872760 (orario: 913 e 1418 da lunedì a venerdì) EMAIL REDAZIONE [email protected] EMAIL UFFICIO STAMPA [email protected] SITO INTERNET UFFICIALE www.illeviatano.com Rivista fondata da E. Scicolone e A. Romano ABBONAMENTO ANNUALE ALLA RIVISTA fare versamento di 18 euro IBAN: IT58H0200812140000101133991 INTESTATO A: ASSOCIAZIONE CULTURALE IL LEVIATANO

description

ANNO 1, NUMERO 4 Novembre-Dicembre

Transcript of IL LEVIATANO

Page 1: IL LEVIATANO

Caro Lettore, è passato quasi un anno dall'uscita del primonumero della nostra rivista. Molte cose sono cambiate,mentre molte altre sono rimaste le medesime. Un anno

sta per terminare, e il tempo – stacanovista per natura –continua col suo inesorabile lavoro. Un'altra stagione ci

abbandona, e mi sembra ieri che in redazione stavamo organizzando ilmateriale per questo numero, cercando di capire quali potessero essere

i testi migliori da porgervi perché, in un certo qual modo, ci avrebbefatto piacere far parte del vostro Natale.

É inderogabile che il numero invernale di una rivista sia probabilmentequello più importante. Bisogna cercare di non scadere nel moralismo o,

ancor peggio, nel buonismo. Gli articoli e gli scritti proposti devonoavvolgere ma non soffocare. Devono essere più simili a una carezza

che a una stretta. Si dice sempre che questa sia la festa piùcommerciale dell'anno. Non penso esista frase più banale. Il Natale è

l'esaltazione di uno stato d'animo che ci appartiene a priori: la personavenale o pessimista avvertirà questa festa in modo commerciale, quella

placida e ottimista come un'occasione per stare assieme.D'altronde il Natale è una festa che ognuno si crea.

Ma perdonatemi, non voglio di certo cavillare sul Natale.Da parte nostra però vi posso dire che abbiamo deciso di non inserire

pubblicità in questo numero, cosicché, a modo suo, possa essere consi­derato unico. Abbiamo intessuto pagine di argomenti che svelerannoalcuni segreti di questa celebrazione, e nel contempo abbiamo volutonon dimenticare l'attualità. È vero che il Natale è anche la festa della

memoria passata e dei pensieri più lievi, ma non possiamo non consi­derare che in questo periodo sono accaduti molti fatti sconcertanti, pri­

mo fra tutti l'alluvione che ha colpito la nostra regione.Dunque anche di questo si parlerà.

Oltre a non aver inserito pubblicità, abbiamo deciso di regalare la nostrarivista. Nei bar, locali, librerie, edicole di tutta la città infatti sarà possibi­

le trovarla. Ma se voi state leggendo queste parole significa che dunquene avete una copia in mano. Allora prendetene una copia in più e rega­

latela a qualche amico o conoscente, portatela ai vostri parenti, po­trebbe essere un modo alternativo per dire “Buon Natale!”.

Da metà gennaio 2011 ci potrete trovare in tutte le edicole del Veneto, atenervi compagnia per un altro anno, ma questa è un'altra storia.

Con queste parole vi saluto, a nome mio e di tutta la redazione, e assie­me vi auguriamo Buon Natale e un felice Anno Nuovo.

Emanuele Scicolone

eeddiittoorriiaallee

HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMEROCarlo Ferri, Claudia Parola, Diego Corona, Marcello Piu, Michele Sciarra, Emiliano Ventura

Gli articoli non firmati sono ad opera della RedazioneIN COPERTINA

The Nutcracker, Hong Kong Ballet, particolare

IIll LLeevviiaattaannooPPuubbbblliiccaattoo ddaa AA..CC.. IILL LLEEVVIIAATTAANNOORReegg.. TTrriibb.. ddii PPaaddoovvaa nn.. 22220044 ddeell0011//1122//22000099RReegg.. RR..OO..CC.. nn.. 1199114400 ddeell 1199//0022//22001100DDiirreettttoorree RReessppoonnssaabbiilleeGGIIOORRGGIIOO DD''AAUUSSIILLIIOOCCaappoorreeddaattttoorreeEEMMAANNUUEELLEE SSCCIICCOOLLOONNEEVViicceeccaappoorreeddaattttoorreeAALLEESSSSAANNDDRROO RROOMMAANNOORReeddaazziioonneeCCAARRLLOO FFEERRRRIIBBIIAANNCCAA MMAARRIIAA DDAA RRIIFFEEMMIILLIIAANNOO VVEENNTTUURRAACCLLAAUUDDIIAA PPAARROOLLAASSeeggrreetteerriiaa ddii RReeddaazziioonneeVVAALLEERRIIAA SSAATTTTAARReeaalliizzzzaazziioonnee GGrraaffiiccaaEEMMAANNUUEELLEE SSCCIICCOOLLOONNEESSttaammppaaCCEENNTTRROOOOFFFFSSEETT MMAASSTTEERR SS..RR..LL.. ((PPDD))MMaannoossccrriittttiiSSppeeddiittee ii vvoossttrrii tteessttii iinneeddiittiiaallll''iinnddiirriizzzzoo mmaaiillddeellllaa nnoossttrraa RReeddaazziioonneeAAbbbboonnaammeennttoo aannnnuuaallee66 nnuummeerrii ­­ 1188 eeuurrooAArrrreettrraattii55 eeuurroo aa nnuummeerroo ddeellll''aannnnoo ccoorrrreennttee66 eeuurroo aa nnuummeerroo ddeellll''aannnnoo pprreecceeddeenntteePPuubbbblliicciittààCCoonnttaattttaarree llaa RReeddaazziioonneeCCoonnttaattttiiSSEEDDEE RREEDDAAZZIIOONNEEvviiaa EEuurrooppaa,, 33993355003300 RRUUBBAANNOO ((PPDD))TTEELLEEFFOONNOO004499 99887722776600((oorraarriioo:: 99­­1133 ee 1144­­1188 ddaa lluunneeddìì aavveenneerrddìì))EEMMAAIILL RREEDDAAZZIIOONNEErreeddaazziioonnee@@iilllleevviiaattaannoo..ccoommEEMMAAIILL UUFFFFIICCIIOO SSTTAAMMPPAAuuffffiicciioossttaammppaa@@iilllleevviiaattaannoo..ccoommSSIITTOO IINNTTEERRNNEETT UUFFFFIICCIIAALLEEwwwwww..iilllleevviiaattaannoo..ccoommRRiivviissttaa ffoonnddaattaa ddaaEE.. SScciiccoolloonnee ee AA.. RRoommaannoo

AABBBBOONNAAMMEENNTTOO AANNNNUUAALLEE AALLLLAA RRIIVVIISSTTAA ffaarree vveerrssaammeennttoo ddii 1188 eeuurrooIIBBAANN:: IITT5588HH00220000881122114400000000110011113333999911 IINNTTEESSTTAATTOO AA:: AASSSSOOCCIIAAZZIIOONNEE CCUULLTTUURRAALLEE IILL LLEEVVIIAATTAANNOO

Page 2: IL LEVIATANO

I GIORNI DELL'AQUILARomanzo ad episodiTerzo EpisodioLa Terza guerra Mondiale

ALLA DERIVA DELLA NOTTENoir & Detective's Stories• BALLATA DEI GIARDINI D'AUTUNNO

Racconto

DA LEGGERSI ALL'IMBRUNIREMistero & Soprannaturale

LOVECRAFT •Letteratura

FANTASMI A NATALE •Mistero

LA LEGGENDA DEI DUE BUCANEVE •Leggende

MONDO PERDUTOStoria & Avventura• COLOMBO

Storia• IL CUORE CHE RINASCE

Racconto• ON THE ROAD: USA ­ Terza Parte

Itinerari

LO SCHIACCIANOCISpettacoli

RUBRICHEQUARTO POTERE

L'alluvione: ricordi di una tragediaI RACCONTI DELLA REDAZIONE

Un altro Canto di NataleJ'ACCUSE

Dante: il paradiso e l'infernoCITTÀ MAGICHE

Padova: Il PedrocchiL'ARTE DELLA GUERRA

Il Backgammon: le aperture miglioriLO SAPEVATE CHE... ?

Curiosità dal mondo del Natale

ssoommmmaarriioo

L'UOMO CHE SFIDÒ SE STESSOLetteratura

PARADISO DI METALLOScienza & Fantascienza• A SPASSO PER IL CYBERSPAZIO

Fantascienza• LA NOTTE POLARE

AstronomiaPOESIELe vostre poesie

LO SCRITTOIONarrativaBUIO IN SALACinema• FELLINI: TEATRO DEL SOGNOArticolo

3

64

8

12

18

17

PAOLO RUFFILLIIntervista

TTeerrzzaa ddii CCooppeerrttiinnaaUUNN CCEENNOONNEE DDAA FFAAVVOOLLAANNoonn ssaappeettee ccoossaa pprreeppaarraarree aallllaaVViiggiilliiaa ddii NNaattaallee?? EEccccoo qquuaattttrroorriicceettttee ppeerr uunn cceennoonnee aa bbaassee ddiippeessccee ppeerr uunnaa sseerraattaa mmaaggiiccaa ddaattrraassccoorrrreerree rroommaannttiiccaammeenntteeoo ccoonn ggllii aammiiccii..

26

30

323940

34

42

46

2838

DEL TEATRO VENETO E DEL SUO DRAMMATeatro10

Page 3: IL LEVIATANO

Alle prime luci dell’alba,un rumore sordo, co­me di automezzi in mo­vimento e vociindistinte di alto­

parlanti, mi ha fatto sobbalzare, ealla vista mi è apparsa una scenaapocalittica: brevi onde intense edimpetuose di acqua color ocra sta­vano velocemente occupando tuttigli spazi allagando il cortile ed ilgiardino pensile della Corte dei Ro­da, da me abitata, facendomi imme­diatamente intuire che i sottostantigarage erano già tutti completa­mente saturi di acqua, per ogni do­ve, risultato drammaticodell’invasione del fiume.Da subito mi è apparsa chiara la di­mensione della tragedia che si sta­va consumando, quando ho vistopersone che, con l’acqua fino allacintola, in calzoncini, a piedi nudi ocon scarpe e jeans, si avventurava­no barcollando in questo pantano li­quido e maleodorante, doveiridescenti chiazze di gasolio rende­vano ancora più grottesco il qua­dro. Ormai la situazione era chiara:l’esondazione del fiume era in attoed il dramma che si stava consu­mando appariva di momento in mo­mento sempre più grave efortemente preoccupante.L’aspetto che via via si presentavaai miei occhi era sempre più alluci­nante. Dalla volta di accesso allacorte entrava una processionegalleggiante di ogni genere: casso­netti della nettezza urbana di ognidimensione e colore che, roteando

nella corrente, perdevano continua­mente il loro maleodorante caricodi sacchetti, mentre sterpaglie,tronchi mozzi, mobiletti, sedie, tavo­le, scale di legno, cuscini e materas­si mi scorrevano davanti in undrammatico susseguirsi, per poidisperdersi chissà dove. Intanto, unsordo scoppio con imprevistascomparsa della luce, mi avvertivache erano saltate tutte le centralinedella corrente elettrica. Ora ero ve­ramente isolato mentre, aiutata daun cielo plumbeo, l’oscurità avanza­va rapidamente.Due candele erano tutta la mia luceed il cellulare, unico mio contattocon il mondo esterno, si stava rapi­damente esaurendo. Confesso cheun po’ di ansioso sconforto si stavaimpadronendo di me, ma cercavodi vincerlo leggendo o scrivendo,insomma tenendo impegnata lamente. Le tenebre fitte ormai miavvolgevano in un silenzio surrealerotto solo dallo sciabordiodell’acqua che la corrente del fiumecontinuava a sospingere. L’acquacontinuava a salire di livello e giàaveva invaso la prima rampa di sca­le. Ogni tanto, qualche flebile lucesi affacciava a qualche finestra delcircondario della corte accompa­gnata da voci che si interrogavanosul da farsi, con sempre maggiorepreoccupazione: dei disperati cerca­vano di avere o dare conforto adaltri disperati!Le ore passano monotone e si­lenziose, quando vengo colpito daun grosso faro che rompe le tene­

bre. Dei vigili del fuoco, accompa­gnando un gommone, come angelicustodi si sono accampati sotto lavolta di ingresso. Una voce si leva,ingiungendoci di lasciare le abita­zioni, per chi non l’avesse già fatto,in quanto il muro di contenimentoche ci separava dal Bacchiglioneera crollato, aprendo una falla dicirca 20 metri. Eravamo un tutt’unocon il fiume, con i rischi che ciòcomportava: continuava a pioveree non si poteva attendere oltre. Ve­niamo anche informati che la nevecaduta da poco si stava rapida­mente sciogliendo sotto lo sci­rocco. Dai 2000 metri in giùpioveva e quindi si attendevaun’altra piena. Eravamo all’epilogo.Raccolte in fretta poche, indi­spensabili cose, sulle spalle dei vi­gili del fuoco, veramenteeccezionali, siamo stati portati ecaricati su un grosso mezzo anfi­bio, mentre tutti gli occhi lucidi siincrociavano muti, accomunati daun commosso sentimento. Una ulti­ma occhiata e via: ora eravamo ve­ramente degli sfollati, cuirimanevano stampate nella mentee nel cuore queste due allucinantigiornate. Lasciamo sul posto tantanostalgia e tanto fango, solo fangonauseabondo, ma anche tantarabbia per una tragedia sottovalu­tata. Qualcuno con la coscienzasporca c’è di sicuro ma, tanto,avendo la villa in collina, tutta que­sta desolazione non lo tocca mini­mamente. Il pelo sulla stomaco deipolitici è sempre più fitto.

LL''AALLLLUUVVIIOONNEERRIICCOORRDDII DDII UUNNAA TTRRAAGGEEDDIIAAddii GGiioorrggiioo DD''AAuussiilliioo

VViicceennzzaa,, iill BBaacccchhiigglliioonnee,, llaa ppiiooggggiiaa:: uunnaa ttrraaggeeddiiaa pprroobbaabbiillmmeennttee ssoottttoovvaalluuttaattaa.. AA ppoorrttaarrcceennee uunnaatteessttiimmoonniiaannzzaa vviivvaa èè GGiioorrggiioo DD''AAuussiilliioo,, iill qquuaallee hhaa vviissssuuttoo iinn pprriimmaa ppeerrssoonnaa uunnaa vviicceennddaaaappooccaalliittttiiccaa..

quarto potere

Page 4: IL LEVIATANO

uunn aallttrroo ccaannttoo ddii NNaattaalleeEra il giorno di Natale, e il mio collega ed ioeravamo come al solito in redazione. Puòapparire strano come fatto: chi è che lavo­ra in un giorno come questo? Ma forse èmeglio fare un piccolo passo indietro.

Tutto ebbe inizio la sera del 24 dicembre.Come di consuetudine avevamo dato una festa di Nata­le in redazione, e avevamo invitato tutti i nostri collabo­ratori. Tra crostini al salmone e calici di spumantestavamo festeggiando l’inizio delle vacanze e la fine diun altro anno della nostra rivista. Si mangiò e si bevveabbondantemente, e verso la mezzanotte la seratavolse al termine.«E adesso dobbiamo pulire, prima di tornare a casa!»disse il mio collega.«Dai, in un’oretta facciamo tutto» conclusi, ancora ine­briato dallo spumante.E mentre il mio collega ripuliva con solerzia, io mi se­detti alla mia scrivania, e mi addormentai.Quando ebbe finito mi svegliò, ringraziandomi dell’aiu­to, indispensabile, che gli avevo dato.«Torna pure a casa» mi disse «chiudo io la redazione.»Ci salutammo e me ne andai.La mattina di Natale ricevetti la sua chiamata. Disseche era urgente e che dovevo recarmi immediatamentein redazione. Pensai a una burla inizialmente. Maquando lo raggiunsi, i miei occhi non credettero aquello che vedevano!«Ma com'è potuto succedere!» gli dissi allibito.«Non ne so niente! Stamane mi ero ricordato di aver di­menticato il menabò in redazione. Sono venuto imme­diatamente qui. Quindi, appena ho aperto la porta,ecco quello che ho trovato!»«E i vestiti che indossi? Nemmeno di quelli sainiente?»«Appena ho acceso la luce me li sono trovati addosso!Ma non fare tanto il sorpreso: guarda come sei vestitotu!»Guardai i miei abiti, e mi accorsi che erano simili aquelli del mio collega.Eravamo entrambi vestiti come due redattori di inizionovecento, con tanto di bretelle, papillon e cappello intesta. La redazione stessa sembrava uscita dagli annitrenta: al posto dei nostri computer c’erano vecchissi­me macchine da scrivere.Gli oggetti di plastica erano tutti spariti. Le penne si era­no tramutate in penne d’oca con tanto di calamaio, e iquadri appesi alle pareti erano diventati vecchie

stampe ingiallite.La fotocopiatrice era sparita, così come la macchinettadel caffè col suo mobiletto. La radio adesso era unvecchio modello sempre degli anni trenta, e persino lanostra rivista aveva cambiato forma. Adesso contavasolamente quattro fogli enormi, i caratteri erano pieni disbavature di inchiostro, e il prezzo era di 3 lire.Come un pazzo allora uscii in terrazzo e osservai lacittà: una lieve nevicata cominciava a coprire quel pa­norama di macchine d’epoca e di eleganti signori inpapillon.C'erano alcuni ragazzetti che correvano per le strade,felici per l’improvvisa nevicata.«Ragazzo!» urlai a uno di questi «sai dirmi che giornoè oggi?»«Oggi è il giorno di Natale, signore» mi disse.«Sì, ma di che anno?»Il ragazzo mi guardò con occhi straniti e disse «del1930!» e corse via.Io rientrai sconsolato, e guardai il mio collega.«Ma come può essere successo?!» dissi.«Non riesco nemmeno a immaginarlo! Anch’io non rie­sco a credere ai miei occhi.»Si erano fatte le 11 del mattino, e noi eravamo ancoraseduti sulle nostre sedie di legno, a fissare le nostrevecchie macchine da scrivere. Nel frattempo fuori eratutto innevato.«Proprio un gran bel guaio!» disse il mio collega.«Proprio grande!» dissi. «Soprattutto se le cose ri­mangono in questo modo. Ti immagini se non torniamopiù nel 2010? Come facciamo a stampare la rivista?»«Sarebbe il caso di andare in tipografia a vedere seanche là si trovano nella nostra stessa situazione.»«Ti ricordo che oggi è il giorno di Natale!»«Non importa. Andiamo solo a dare un’occhiata. Vuoivedere che siamo i soli che si rendono conto di quelloche è accaduto?»Quando raggiungemmo le nostre macchine facemmoun’altra bella scoperta. Di queste non vi era l’ombra,dato che entrambe erano di marche straniere. C’eranosolamente due misere biciclette, arrugginite, nere esenza freni.«Meglio di niente» disse il mio collega. «Perlomenonon sono cavalli…»Ci impiegammo non poco a raggiungere la tipografia.Grazie a Dio era ancora là, seppur l’edificio era fati­scente e privo di insegne. C’era solo un misero cartellocon scritto “Tipografo”.

i racconti della redazione

Page 5: IL LEVIATANO

«Meglio di niente» disse nuovamente il mio collega.«Smetti di ripeterlo…» dissi a mia volta. E tornammo inredazione.Oramai erano le 3 del pomeriggio. Non avevamo neppuremangiato.«Ascoltami,» infine disse il mio collega «è inutile perdersid’animo. Mandiamo avanti la rivista come niente fosse, epoi vediamo cosa succede.»Verso le 6 di sera ci salutammo, dandoci appuntamentoper l’indomani.Trascorremmo tutto il giorno di Santo Stefano a scrivere.Provammo anche a telefonare ai nostri collaboratori ma,nel momento in cui scoprimmo che appena alzata lacornetta rispondeva il centralino domandandoci il numerodi chi volevamo contattare, noi non sapevamo cosa ri­spondere. I nostri cellulari erano chiaramente scomparsi,e con essi anche i numeri utili.Non ci rimaneva che scrivere in quanto, avendo la nostrarivista cambiato formato, ogni articolo era da accorciare eadattare all’epoca in cui ci trovavamo.Un po’ alla volta, col trascorrere dei giorni, ci abituammoa quella nuova – seppur più remota – epoca. Facemmoamicizia coi giornalai e i giovani strilloni, e con tutti coloroche vivevano nel quartiere. Erano tutte persone differentirispetto a quelle che nel 2010 vi risiedevano. Solamentenoi due eravamo gli unici provenienti da un’altra epoca.La sera dell’ultimo dell’anno decidemmo dunque di dareuna festa in redazione, e invitammo alcuni dei nostri nuo­vi amici.A pochi minuti dalla mezzanotte ci preparammo tutti astappare le bottiglie di vino portate in dono dal bottegaioall’angolo.Non so cosa accadde ma a mezzanotte in punto si udì ungrosso boato: erano cominciati i fuochi d’artificio. La portadella terrazza si spalancò e un terribile vento invase la re­dazione. La gente urlò e la luce se ne andò. Mentre era­vamo al buio realizzammo che, man mano che siaffievolivano le urla dei nostri ospiti, aumentava il rumoredei fuochi.Finalmente il mio collega riuscì a ripristinare la luce. Erasolamente scattato l’interruttore generale…Ci guardammo attorno. A parte noi due non c’era nessunaltro in redazione. I computer erano ai loro posti, e i nostrivestiti erano quelli di tutti i giorni.«Vuoi vedere che è stato tutto un sogno?» dissi.Il mio collega mi guardò e fece un lieve sorriso, e indicò ilcalendario. Era segnato il primo giorno di gennaio del2011.

5

ddii EEmmaannuueellee SScciiccoolloonneeÈÈ iill ggiioorrnnoo ddii NNaattaallee.. EElleeggaannttii ccooppppiieeppaasssseeggggiiaannoo ppeerr ii vviiaallii iinnnneevvaattii ee iirraaggaazzzzii ddeell ppaaeessee ssii ddiivveerrttoonnoo aaggiiooccaarree aa ppaallllee ddii nneevvee.. TTuuttttoo sseemmbbrraaiinnccaannttaattoo,, ee ffoorrssee lloo èè:: qquuaallccoossaa ddiibbiizzzzaarrrroo ee mmaaggiiccoo èè aaccccaadduuttoo,, aanncchheessee,, aa qquuaannttoo ppaarree,, ssoolloo ii dduuee rreeddaattttoorriiddeellllaa RRiivviissttaa sseemmbbrraannoo aaccccoorrggeerrsseennee......

Page 6: IL LEVIATANO

DDAANNTTEE

C'è stato un Beni­gni che facevaBenigni, e riscuo­teva ottimosuccesso. Piace­

va perché era genuino, e non vo­leva esser niente di più di sestesso. Chi non lo ricorda ne Ilpiccolo diavolo, commediabrillante di rara intelligenza, o neidivertenti Johnny Stecchino e Ilmostro? A quei tempi Roberto Beni­gni era regista e attore. Un ottimo ri­sultato, si potrebbe pensare.Dopodiché accade l'irreparabile. Persfruttare il successo e la toscanità diBenigni, improvvisamente quest'ulti­mo è stato improvvisato cantoredantesco. In un'Italia in cui la DivinaCommedia non si conosce, si studiamale a scuola e, purtroppo, non inte­ressa, chiaramente un Benigni diventala reincarnazione di Dante Alighieri.Impossibile non dimenticare la suainterpretazione cantilenante, più simile auno stornello o a una filastrocca, priva didizione, in cui Benigni non mette di pro­prio neppure i pensieri, considerato chechiaramente ogni sua parola è statascritta da qualcuno per lui.

Far leggere Dante a Benigni equivaleall'incirca a far leggere Shakespeare a

Benny Hill. Non voglio essere caustico,tuttavia è difficile non esserlo nel momentoin cui l'attore toscano pretende un cachet di1 milione e mezzo di euro per una singolaserata di recitazione dantesca. La serata,chiaramente cancellata a causa dell'ele­vatissimo costo, era prevista per questo di­cembre.E pensare che stiamo parlando della stessapersona che una volta, davanti all'Italiaintera e in prima serata, ha elencato centomodi di denominare l'organo riproduttivomaschile...Si è accennato a Shakespeare. Come que­st'ultimo anche Dante ha una sua prepo­tente severità e solennità, e non può essererecitato da chiunque, per la stessa ragioneche non è un testo che chiunque potrebbescrivere. Negare questo fatto è una profa­nazione, obbedire al sistema commercialesfruttando Dante è un abuso. Chiedere 1milione e mezzo di euro per massacrareDante è un crimine.La memoria degli italiani è – ahinoi! – cortae discutibile. Sono passati solo 10 annidalla dipartita dell'immenso Vittorio Gass­man, uno dei più grandi interpreti di Dantee della sua opera, eppure gli italiani non nehanno più memoria.Ma perché, seppur non c'è paragone traGassman e Benigni, il secondo ha avutoquesto enorme successo? Per il semplicefatto che questi ha ridotto la potenza dellaDivina Commedia a quella di un qualsiasi

di Emanuele ScicoloneVittorio Gassman e Roberto Benigni. Il primo è statoprobabilmente il più grande attore italiano e uno dei piùimportanti a livello mondiale, un raffinato intellettuale, uninterprete poliedrico e versatile. Il secondo è un comicofiorentino, autore di uno dei film più sopravvalutati del nostrocinema, La vita è bella, oggi in tour con TuttoDante, spettacolo

teatrale semiserio su Dante.

6

iill ppaarraaddiissoo ee ll''iinnffeerrnnooii dduuee vvoollttii ddeellllaa DDiivviinnaa CCoommmmeeddiiaa

Page 7: IL LEVIATANO

carosello popolare. In questo mo­do, chiunque ha avuto il sentore di"partecipare" all'opera dantesca ealla sua grandezza. In realtà hapartecipato esclusivamente a unoshow di Benigni.

Dante Alighieri, autore diun'opera soprannaturale emistica, ne è uscito male.

Benigni ci ha insegnato che Dantefa parte di quella colonna di scrittirecitabili da chiunque e chechiunque, senza gran impegno,può permettersi di far suo. Perché ilDante di Benigni è privo di devozio­ne, di sentimento, di musicalità, diritmo, di ispirazione, di fuoco sacro.Riascoltando Gassman, come unserpente antico sembra risorgeredalle viscere per strappare l'anima:è il demone dell'arte. Gassman cifa immergere tra i dannati quandorecita un canto dell'Inferno, sola­mente per farci planare nella diafa­na regione del Paradiso con uncenno o una parola. La sua recita­zione è impeccabile, più simile a untesto teatrale, pur senza perdernein musicalità e ritmo. La sua voce sifa misterica e sotterranea, piena difoglie autunnali e di radici, sola­mente per rinascere come unalancia

di gigli e rose.Benigni invece non recita. Ripete amemoria le terzine apprese,sempre con la stessa cadenza,sempre con quella monocordearitmia che rischia di fare andare aipazzi chiunque abbia una minimaconoscenza di drammaturgia. Si po­trebbe paragonare a una gocciad'acqua che seguita a battere sullostesso punto del cranio fino allasua inesorabile rottura. Il flussoacquifero di Gassman invece è co­me la sorgente improvvisa che dis­seta colui che ha attraversato ildeserto.Principalmente la differenza è cheGassman è attore di teatro, unintellettuale raffinato, Benigni inve­ce è un guitto – non in senso spre­giativo, sia ben chiaro –, un attoreche ha successo solamente nellasua regionalità.Molta confusione in Benigni. E la sipuò percepire anche da uno deisuoi ultimi film, La tigre e la neve,in un certo qual modo concepitosotto l'ebrezza dantesca. Il protago­nista (lo stesso Benigni) è autoredella silloge eponima, di ispirazionedantesca. Fa sorridere il fatto che iltitolo tuttavia ricordi di più unaraccolta haiku piuttosto che un'ope­ra dantesca.Il New York Times etichettò il filmcome “un affronto brucianteall’intelligenza degli italiani, degli ira­

cheni e del pubblico cinematografi­co ovunque“. Paradosso deiparadossi, visto che il film non èaltro che una versione piùaggiornata ma altrettanto buonistade La vita è bella, pellicola pluripre­miata agli Oscar.Quel che è triste è che Benigni eraun buon attore comico, adesso èsolamente un pessimo attoredrammatico.Ricordo alcune letture di Gassman.Senza essere pedante e accade­mico, interpretava Dante e ilpubblico stava in un solenne si­lenzio fino all'ultima parola. Dopo­diché esplodeva in un'ovazione.Non si ascoltavano risate ocommenti come accade con Beni­gni. Il pubblico di Gassman nonaveva bisogno di capire e interpre­tare le sue parole. Le avvertiva nelprofondo dell'anima, perchégiungevano dall'alto.Benigni invece ha preso la DivinaCommedia e l'ha resa l'ennesimomezzuccio per parlare ­ e nemme­no troppo velatamente ­ di politica,tirando in ballo il solito Berlusconi.Dante e politica di parte nel mede­simo calderone. Tutto questo èemblematico, fa paura e non do­vrebbe essere trascurato: in Italia,oggigiorno, tutto è profanabile. E diquesta violenza i telegiornali nonne parlano mai.

VVIITTTTOORRIIOO GGAASSSSMMAANNAAttttoorree ddrraammmmaattiiccoo mmaa nnoonn ssoolloo,,ccoonnoosscciiuuttoo ccoommee ""iill mmaattttaattoorree"",, ffaammoossooppeerr llaa ssuuaa rreecciittaazziioonnee mmaaggnneettiiccaa,, èè ssttaattoouunnoo ddeeii ppiiùù iimmppoorrttaannttii iinntteerrpprreettii ddeellllaaDDiivviinnaa CCoommmmeeddiiaa.. GGrraannddee aattttoorree eeccoonnoosscciittoorree ddii tteeaattrroo,, sseeppppuurr eerraa iinn ggrraaddooddii iimmiittaarree qquuaallssiiaassii ddiiaalleettttoo iittaalliiaannoo,, aavveevvaaiinn ooddiioo qquuaallssiiaassii iinnfflleessssiioonnee ddiiaalleettttaallee eeddiizziioonnee iimmppeerrffeettttaa..

RROOBBEERRTTOO BBEENNIIGGNNIIAAttttoorree ccoommiiccoo ffiioorreennttiinnoo,, iinnddiimmeennttiiccaabbiillee nneellssuuoo IIll ppiiccccoolloo ddiiaavvoolloo,, aabbbbaannddoonnaattoo iill ggeenneerree

ccoommiiccoo bbrriillllaannttee,, ssii èè ddeeddiiccaattoo aallllaa ssaattiirraappoolliittiiccaa ddii ppaarrttee ee aa iimmpprroobbaabbiillii ee ccoonnttrroovveerrssee

lleettttuurree ddeellllaa DDiivviinnaa CCoommmmeeddiiaa.. ÈÈ aauuttoorree ddeellpplluurriipprreemmiiaattoo ffiillmm LLaa vviittaa èè bbeellllaa,, uunnaarriivviissiittaazziioonnee ffiiaabbeessccaa ee iinnccoonnggrruueennttee

ddeellll''oollooccaauussttoo,, iinn ccuuii eemmeerrggee uunnaa ssoorrttaa ddiiffaassttiiddiioossoo bbuuoonniissmmoo aallll''""aammeerriiccaannaa"" cchhee ggllii

hhaa ffaattttoo gguuaaddaaggnnaarree bbeenn 33 pprreemmii OOssccaarr..

j'accuse!

Page 8: IL LEVIATANO

Chiunque voglia fe­steggiare in manieracorretta e consueta ilNatale bisognerebbeascoltasse, ben como­

do su di un divano avvolto dal calo­re di un caminetto, qualche branoda quello che è il signore deiballetti, il capolavoro immancabileche celebra la redenzione e i buonisentimenti, che fa rifletteresull’anno che volge alla conclusio­ne, e su tutto quello che si è fattodurante quel tempo. Mi riferisco aLo Schiaccianoci.La vicenda che tale sublime compo­sizione mette in scena trae spuntoda un racconto del grande novelli­sta tedesco Ernst Theodor Hoff­mann, che lo scrisse nel 1816. Iltitolo completo di quello scritto eraLo Schiaccianoci e il Re dei topi. LoSchiaccianoci in questione altri nonè che un giocattolo, la cui funzioneè comunque quella di rompere lascorza di quei frutti, ma ha la formadi un soldatino. L’incipit è quelloclassico di ogni vigilia di Natale: inuna grande casa, in un paese delNord Europa, si approssima l’arrivodella festa. Clara, la figlia del sinda­co, riceve in dono da un amico di fa­miglia, Drosselmeier, che staintrattenendo tutti i bambini, il picco­lo soldato Schiaccianoci. Dopo lacena, la bambina, piuttosto stanca,

va a dormire ed inizia a fare un so­gno, nel quale l’intera casa prendevita e con essa tutti i giocattoli postisotto l’enorme albero che domina ilsalotto. Assieme ad essi, però, so­no i topi che abitano nelle cantine aprendere possesso della dimora, evogliono impadronirsi delloSchiaccianoci. Egli, di colpo, s’ani­ma e prende parte alla battagliache gli altri giocattoli stanno ini­ziando, opponendosi a quelle mo­struose creature. Durante unoscontro, il Re dei topi e lo Schiaccia­noci si fronteggiano, e quest’ultimoha la meglio, uccidendo il sovrano.Questa azione lo trasforma in unprincipe, il quale porta Clara dentrouna foresta innevata, e di seguitonel Regno dei Dolci. Tutta questaparte costituisce il primo atto. Nelsecondo, assistiamo alle danze chela Fata Confetto, che regna nel luo­go dove Clara e il principe si dirigo­no, fa esibire in loro onore, ed allafine delle quali, possiamo goderedel bellissimo passo a due che li ve­de protagonisti. L’opera si concludecon un ultimo, splendido valzer,congedo del sogno, dal quale Clarasi sveglia, ripensando alla suasplendida avventura, e potendoabbracciare il suo balocco predi­letto.Il balletto, originariamente commis­sionato al direttore del teatro di Mo­sca dalla famiglia degli zar, fu

composto dal musicista russo PёtrIl’ìč Čajkovskij tra il 1891 e il 1892,ed è, assieme a Il lago dei cigni eLa bella addormentata, uno deicapolavori della sua enorme produ­zione, nel merito specifico di que­sto genere. È curioso ricordare,tuttavia, come la prima rappre­sentazione, che avvenne il 18 di­cembre 1892 presso il teatroMarinskij di San Pietroburgo, di­retta dal compositore italianoRiccardo Drigo e coreografata dalballerino Lev Ivanov, non riscosseparticolare successo. La coreogra­fia di base seguiva le indicazioni diun altro coreografo, Marius Petipa,ed è sostanzialmente sul suo reti­colo che l’opera viene messa inscena ancora oggi.La fortuna de Lo Schiaccianoci,che ne ha fatto il banco di prova diqualsiasi interprete di danza, e unadelle immancabili scelte musicali direfrain pubblicitari e soprattutto diopere cinematografiche (da ri­cordare il film Fantasia della Dis­ney in cui fate, funghi e pescidanzano sulle note della suite o lapellicola Angeli con la pistola diFrank Capra) è arrivata, cionondi­meno, gradualmente, nel corso delXX secolo. Innanzitutto, gran partedel merito va ad una suite che lostesso Čajkovskij derivò dalballetto, estraendone sette movi­menti. In seguito l’autore inserì, nel

LLOO SSCCHHIIAACCCCIIAANNOOCCIIddii AAlleessssaannddrroo RRoommaannoo

ÉÉ uunnaa ddeellllee ssttoorriiee ppiiùù cceelleebbrrii ddii NNaattaallee ee pprroobbaabbiillmmeennttee iill bbaalllleettttoo ppiiùù ccoonnoosscciiuuttoo.. CCaappoollaavvoorroo ddiiČČaajjkkoovvsskkiijj,, hhaa aalllliieettaattoo ccoonn llaa ssuuaa mmaaggiiaa ggllii iinnvveerrnnii ggeelliiddii ee bbiiaanncchhii..LLoo SScchhiiaacccciiaannooccii èè uunn''ooppeerraa iimmppeerrddiibbiillee,, ddaa gguussttaarree mmeennttrree sscceennddee llaa nneevvee ee ssii vvuuoollee rriissccoopprriirreell''iinnccaannttoo ddeell NNaattaallee..

spettacoli

Page 9: IL LEVIATANO

secondo atto, uno strumento cheaveva visto a Parigi, la celesta, laquale diede un particolare saporeal già stupefacente lavoro del musi­cista. Col passare del tempo,vennero allestiti diversi spettacoli:da ricordare le versioni di Gorskijnel 1917 e di Lopuchov nel 1929.In tempi più recenti l’opera, che du­ra in verità soltanto novanta minuti,ha subito tagli e aggiunte, a se­conda della sua collocazione e delmezzo scelto per allestirla. In unadattamento televisivo del 1983,per esempio, le musiche originali fu­rono ordinate secondo un’altra sca­letta e persino sostituite da quelledi un altro compositore russo, Mi­chaìl Ippolitov­Ivanov: si tratta diuna versione pensata per unospettacolo di pattinaggio artisticosu ghiaccio, e il cui titolo è proprioLo Schiaccianoci: fantasia sughiaccio. L’attuale popolarità parecomunque essere dovuta a WilliamChristensen, fondatore della compa­gnia San Francisco Ballett, cheimportò lo spettacolo negli USA nel1944. La coreografia di George Ba­lanchine, nella prima rappresenta­zione di dieci anni dopo, creò unavera e propria tradizione invernalenella nazione americana.Il cinema ha sempre cercato direndere in maniera spettacolare LoSchiaccianoci. Si ricordano versionigiocate in gran parte sulla pre­senza scenica dei primi ballerini, co­

me Michaìl Baryšnikov in unaregistrazione del 1977. In granparte si tratta, comunque, di mes­sinscene tradizionali, in cui non vi èuna vera e propria trasposizioneche si adegui al mezzo cinemato­grafico, ma una semplice, calligrafi­ca riproduzione di quel che si puòvedere meglio, e in maniera piùintensa, sulle assi del palcosceni­co. Una versione che tenta di inseri­re anche attori non ballerini, ma purmesso in scena dal New York CityBallett, è datata 1993, per la regiadi Emile Ardolino (autore del filmmusicale Dirty dancing), con prota­gonista l’allora divo bambino Ma­caulay Culkin.Tra breve assisteremo all’uscita neicinema statunitensi, e in seguitoanche in Italia, di una versione in3D ad opera del grande cineastarusso Andrej Končalovskij, giàinscenatore di adattamenti da ope­re del repertorio classico (si ricordauna sua celebre Odissea conArmand Assante), oltre che conosci­tore, per ovvie ragioni, della culturain cui Lo Schiaccianoci è nato. Laversione dovrebbe essere aderenteallo spirito dell’opera originale diHoffmann, più cruda e violenta ri­spetto a quella che fu alla base delballetto, desunta da una versioneredatta dallo scrittore francese Ale­xandre Dumas, padre del ciclo de Itre moschettieri. La sceneggiaturaè stata però riscritta con evidenti

differenze, variazioni che forse su­sciteranno qualche polemica neicuori dei più tradizionalisti.L’importante sarà mantenere lamusica, affidata ad un adattamentoad opera di Eduard Artemev, musi­cista che ha lavorato molto spessocon Končalovskij, e famoso peraver scritto le partiture delle co­lonne sonore per alcuni film del re­gista russo Andrej Tarkovskij(Solaris, Lo specchio, Stalker).Al di là delle trovate e dei cambia­menti che si possano apportare adun’opera così eloquente e intri­gante quale è Lo Schiaccianoci,quel che ci si augura è che anchele nuove generazioni, di bambini edi adulti allo stesso modo, possanogodere della forza del balletto,delle sue fantasmagorie e dellesue sfumature, dei suoi giochi dicolori e del suo gusto spiccato perl’esotico (da ricordare che, nel se­condo atto, Čajkovskij inscenaquattro diverse danze, come se sientrasse in mondi diversi a se­conda delle variazioni musicali: ci­nese, russa, spagnola e araba),che, se da una parte sono il mani­festo di un’epoca che cercava dicontaminare la sua predilezione ro­mantica con influssi di altre culturecon cui a quel tempo veniva acontatto per la prima volta,dall’altra celebrano l’universalitàdel suo messaggio.

9

Page 10: IL LEVIATANO

Una vita data al teatro.Questo è stato il filoconduttore della se­rata che il Comune diTreviso, in collabora­

zione con l’Associazione Punto­spettacolo, ha dedicato sabato 5giugno al commendator Toni Barpi,ultimo erede della irripetibile stagio­ne del grande teatro veneto cheebbe in Cesco Baseggio l’indiscus­so alfiere. La manifestazione ha vo­luto festeggiare il novantesimocompleanno di un attore che prati­camente fin da ragazzo ebbe ilpalcoscenico nel sangue: nato il 13giugno del 1920 a Feltre debutteràa 16 anni a fianco del mitico Ba­seggio, suo unico maestro, facendouna piccola parte in un film girato aRoma (ed immaginiamo un ragazzodi allora che se ne parte dal paesenatio per andare nella capitale conla sua piccola valigia...) e nello stes­so periodo recitando in un testo diGino Rocca, il maggiore commedio­grafo del Novecento veneto: segnoforse non casuale del suo futuro,dato che non solo come lui erafeltrino e i testi del quale interprete­rà spesso nella lunga carriera. Faràparte della Compagnia Baseggioper quasi trent’anni, conoscendo tral’altro in essa Wanda Benedetti, chediventerà la sua compagna di vita.Tra i suoi autori i nomi più prestigio­si del teatro veneto: da Ruzante aGoldoni, da Gallina a Simoni, daRocca a Palmieri, ed altri ancora.Sarà diretto da registi quali Simoni,Fersen, Lodovici, Maffioli, Sbragia,Ronconi, Castri, e con la compagniaBaseggio registrerà diverse comme­die del nostro repertorio a metà de­gli anni Sessanta, lavorando per laRAI in alcuni sceneggiati e in pro­grammi per ragazzi. Ha partecipatoanche a qualche film.Ma il suo vero e grande amore èstato il teatro veneto, del qualeanche in anni recenti ha auspicato ilmeritato ritorno sulla scena nazio­nale, essendo il primo per storia edautori. E proprio su tale importante

10

TTEEAATTRROO OOLLIIMMPPIICCOO DDII VVIICCEENNZZAAEErreettttoo ttrraa iill 11558800 ee iill 11558855 ssuu pprrooggeettttoo ddeellll''aarrcchhiitteettttooppaaddoovvaannoo AAnnddrreeaa PPaallllaaddiioo,, iill tteeaattrroo OOlliimmppiiccoo ddiiVViicceennzzaa èè ccoonnssiiddeerraattoo iill pprriimmoo eesseemmppiioo ddii tteeaattrroossttaabbiillee ccooppeerrttoo ddeellll''eeppooccaa mmooddeerrnnaa.. RReeaalliizzzzaattoosseeccoonnddoo uunnaa ccoonncceezziioonnee rriinnaasscciimmeennttaallee ddeellll''aarrttee,,cchhee rriipprreennddeevvaa ii tteessttii ddeellll''aarrcchhiitteettttoo llaattiinnoo VViittrruuvviioo,,iinn ccoonnssoonnaannzzaa ccoonn llaa ggrraannddee aarrcchhiitteettttuurraa ccllaassssiiccaa,,ffuu iinnaauugguurraattoo mmeetttteennddoo iinn sscceennaa ll''EEddiippoo rree ddiiSSooffooccllee.. LLee sscceennee ffiissssee,, ttuuttttoorraa iinnttaattttee,, ccoossttrruuiittee ppeerrlloo ssppeettttaaccoolloo,, rraapppprreesseennttaannoo llee sseettttee vviiee ddeellllaa cciittttààddii TTeebbee,, ee ffuurroonnoo ooppeerraa ddeelllloo sscceennooggrraaffoo eeddaarrcchhiitteettttoo vviicceennttiinnoo VViinncceennzzoo SSccaammoozzzzii..

Page 11: IL LEVIATANO

DDEELL TTEEAATTRROO VVEENNEETTOOEE DDEELL SSUUOO DDRRAAMMMMAA

di Carlo Manfio

tema ha voluto soffermarsi il Presi­dente della Regione Luca Zaia, chein una lettera di auguri così si èespresso: Toni è stato “alfiere umileed intelligente della letteraturateatrale in lingua veneta, che non èlocale bensì patrimonio culturaleuniversale e lui lo ha dimostratocon applauditissime tournée in tuttii maggiori teatri d’Italia.” Questopunta allora l’accento su un proble­ma assai importante e spinoso, vi­sto che proprio l’ente preposto alladiffusione e alla conoscenza del no­stro patrimonio drammaturgico, ecioè il Teatro Stabile del Veneto,per nulla porta i nostri autori, Goldo­ni a parte, nei grandi teatri italiani:ne è prova che il testo che verràprodotto per la stagione in corso ecioè Se no i xe mati, no li volemo diGino Rocca, andrà fuori del Venetosolo a Milano (e la ragione è sempli­ce: viene coprodotto con il TeatroCarcano in forma di omaggio a Giu­lio Bosetti che lo diresse fino allamorte e lo interpretò nel 1996 congrande successo e pure coraggio,visto che non si rappresentava dadecenni, anche in contemporaneacon l’uscita di Tutto il Teatro, ideatoe curato da chi scrive) e Brescia.Allora così si promuove “il nostrogrande patrimonio di letteraturateatrale in lingua veneta”, per citarele parole di Zaia nella letteramenzionata? Del resto, la dirigenzadel Teatro Stabile, pur informata,non ha avuto la cortesia di manda­re un messaggio augurale, comeinvece hanno fatto diversi attori,operatori, politici: eppure Barpi

molto ha dato al nostro grandeteatro e assai scorretto è stato nonmanifestare la propria vicinanza. Aseguito di tale assenza ho ritenutodoveroso scrivere una lettera al di­rettore Alessandro Gassman e perconoscenza al Presidente Zaia, mapurtroppo dallo Stabile nessuna ri­sposta: probabilmente non mettonoin pratica questa stupenda fraseche il Beato Giovanni XXIII ripetevaspesso: “La cortesia è un ramodella carità”. Altra conferma diquanto anni addietro disse in unaintervista Toni Barpi: “Lo Stabile èveneto di nome ma non di fatto.”

Basti allora ricordare che Tra­monto, opera del veroneseRenato Simoni prodotta

dallo Stabile nell’ultima stagione,non era nel programma ufficiale delTeatro Nuovo di Verona e che èstato inserito in fretta e furia primadi Natale (a seguito di una mia se­gnalazione alla segreteria delSindaco) per una serata fuori abbo­namento e di lunedì, giorno notoria­mente di pausa teatrale. Così sirende omaggio ad un grandeconcittadino che è stato una delle fi­gure più importanti nel teatro italia­no del Novecento? Mi piacerebbeconoscere in proposito il parere delprimo cittadino Tosi.Purtroppo il Teatro Stabile del Vene­to non ha ancora compreso comeprima di tutto esso si deve radicarenel territorio di appartenenza e tro­vandosi in una regione che per sto­ria teatrale è prima in Italia deve

valorizzarla e farla conoscere atutta la Nazione appunto perché“patrimonio culturale universale”.Bisogna con amarezza constatareche aveva profondamente ragioneMauro Carbonoli (direttore delloStabile dal ’97 al ’99 quando si di­mise) facendo queste sconsolatedichiarazioni: volevo “organizzareun teatro pubblico, che avesse co­me elemento portante la lingua ve­neta [...] e raccogliesse unacompagnia di attori veneti. Qualco­sa di simile a quello che per tantianni aveva fatto Mario Giusti aCatania, portando in tutta ItaliaSciascia e De Roberto. Sentivoinsomma che si stava ripetendo ilfallimento che si era verificato conGrassi, perché la classe politica delVeneto non aveva interesse ad uncerto tipo di teatro di qualità.” Sonoparole pronunciate nel 2002, mache sembrano di ieri, conservandointatta la loro validità e lezione. Inbuona sostanza vanno nella dire­zione di quanto ha scritto il Presi­dente Luca Zaia nella letteraaugurale inviata a Toni Barpi: datoallora che la Regione è la maggiorsostenitrice a livello economicodell’Ente si fanno voti che autore­volmente possa intervenireaffinché l’impostazione culturale fi­nalmente prenda una via nuova,quella che conduce nel silenzioasolano dove riposa colei che dis­se “Quanto è meschino il teatroquando non sale all’ultimo girone”.Si chiamava Eleonora Duse.

teatro

NNeellllaa nnoossttrraa rreeggiioonnee iill tteeaattrroo ccoonnsseerrvvaa uunn ppaassssaattoo gglloorriioossoo.. AAllllaa ssccooppeerrttaa ddeellllee rraaddiiccii cchhee ll''hhaannnnoo rreessaacceelleebbrree,, uunnaa ddiissiinnccaannttaattaa aannaalliissii ddii qquueell cchhee aavvvviieennee iinn tteemmppii rreecceennttii..

Page 12: IL LEVIATANO

CCTTHHUULLHHUU!!ddii EEmmiilliiaannoo VVeennttuurraa

LLaa ssuuaa mmeennttee hhaa ggeenneerraattoo ll''oorrrroorree ppuurroo.. IIll ssuuoo nnoommee èè lleeggaattoo aa tteerrrriibbiillii mmiittii aanncceessttrraallii.. LLaa ssuuaappeennnnaa hhaa ppaarrttoorriittoo ddiivviinniittàà pprriimmiittiivvee ee bbrruuttaallii,, uunn uunniivveerrssoo ccoommppoossttoo ddaa ppaaeessii ee llooccaalliittàà ssooggggeettttiiaa mmaalleeddiizziioonnii.. IIll ssuuoo NNeeccrroonnoommiiccoonn,, iill lliibbrroo ppeerrdduuttoo ddeeii mmoorrttii,, hhaa iinnfflluueennzzaattoo ggeenneerraazziioonnii ddiissccrriittttoorrii,, cciinneeaassttii ee aarrttiissttii.. ÈÈ LLoovveeccrraafftt,, ffiigglliioo ddeell mmiisstteerroo ee ppaaddrree ddii oossccuurrii sseeggrreettii..

da leggersi all'imbrunire

IILL RRIICCHHIIAAMMOO DDIICCTTHHUULLHHUUCCtthhuullhhuu èè uunnaaccrreeaattuurraa ccoossmmiiccaammoossttrruuoossaa.. NNeell mmiittooccrreeaattoo ddaa LLoovveeccrraafftt,,ccoonnttaattttaa ddeetteerrmmiinnaattiieesssseerrii uummaannii nneellssoonnnnoo ((ppeerr qquueessttaarraaggiioonnee ssii ppaarrllaa ddii uunnvveerroo èè pprroopprriioorriicchhiiaammoo)).. DDaa eeoonniiddoorrmmee ssuull ffoonnddoo ddeellmmaarree nneellll''iissoollaassoommmmeerrssaa ee ddaannnnaattaaddii RR''llyyeehh,, ddoovveeaatttteennddee ssooggnnaannddoo.. IIllccuullttoo èè bbiizzzzaarrrroo eeffaammiiggeerraattoo ppeerr ll''uussooddii rriittoorrnneellllii oorrrreennddii eeaappppaarreenntteemmeennttee pprriivviiddii sseennssoo,, ccoommeePPhh''nngglluuii mmggllww''nnaaffhhCCtthhuullhhuu RR''llyyeehhwwggaahh''nnaaggll ffhhttaaggnn..

Page 13: IL LEVIATANO

Howard Phillips Love­craft nasce il 20 ago­sto del 1890 nelRhode Island nellacasa dei nonni

materni a Providence. Lo stato e lacittadina torneranno spesso nellamemoria e nella letteratura delloscrittore.È considerato uno dei maggioriscrittori di horror e di letteratura delmistero, la sua opera è stataoggetto di culto e di venerazioneper moltissimi appassionati, dopo lamorte diviene autore di culto, si­milmente a quanto avvenuto per ilmondo narrativo di Tolkien.Mai goduto di ottima salute, alto emagro, avrebbe voluto combatterela Prima Guerra Mondiale, ma vie­ne considerato inabile. Introverso epoco incline a socializzare, lavoreràspesso nelle ore notturne ai suoiracconti e all’unica occupazionedella sua vita, la redazione e lacorrezione di testi letterari altrui. Lepoche entrate di questo lavoro se lefarà bastare per il suo aristocraticodisinteresse per il guadagno.Sarà sempre avverso alle metropo­li, al brulicare della folla umana di la­voratori e faccendieri di altre‘razze’. Il nostro autore infatti non èimmune da una forma di razzismo,anche se forse snobismo rende me­glio l’idea della sua visione. Saràsempre anticonsumista, disprezza ildenaro e sebbene abbia pubblicato

molto manterrà sempre un distaccoverso il guadagno con la narrativa.Convinto che la democrazia sia inu­tile si sentirà per tutta la vita ungentleman di provincia.Ai grattacieli di New York preferiscele atmosfere dimesse e decadentidi Providence. Qui ama cercareangoli del passato seguendo gli iti­nerari di Poe, viene anche so­prannominato “il recluso diProvidence”, e da buon reazionarioconsidera il progresso una bruttafantasia.Secondo Victor Hugo “occorre uncaos a chi voglia creare un mondo”:non sappiamo quanto caos vedes­se Lovecraft ma di sicuro è riuscitoa creare un mondo, anzi una veramitologia dell’orrore. Molti scrittoriscrivono racconti dell’orrore, luiun'epopea coerente che diviene co­smografia del male.Gli va riconosciuto il fatto di avercreato un mito popolare; egli non èinfatti solo uno scrittore di raccontidel mistero, bensì un piccolo de­miurgo che dal caos delle idee edella vita estrae una forma coe­rente. Crea il mito di Cthulhu,diffonde con sapienza nelle sueopere l’indizio dell’esistenza di un li­bro maledetto, un grimorio chia­mato Necronomicon, il cui nome sipronuncia solo a bassa voce e dicui è autore l’arabo pazzo AbdulAlhazred. I suoi racconti della matu­rità hanno nomi, fatti, entità preuma­

ne e antichissime, luoghi che siinseguono e si intersecano coe­rentemente in un mondo che distillalentamente un orrore cosmico.Al racconto del terrore e ai suoi to­poi letterari fatti di anime dannate espettri, al gotico inglese, alle appa­rizioni e ai vampiri, Lovecraft ri­sponde con una rivoluzionecosmica. La sua narrativa si spostadal geocentrismo al cosmocentri­smo, le creature del male nonappartengono più a una realtàultraterrena, a un oltre­umanoinfernale. L’orrore di Lovecraft èantichissimo e proviene da regionitemporali e spaziali che sidistendono in milioni di anni luce.Non è un caso che l’astronomia siastata una sua passione.Altri grandi interessi sono l’archi­tettura e la storia coloniale ameri­cana; questi infatti si ritrovanopienamente nelle sue opere. Cosìcapita di visitare antiche architettu­re dall’aura coloniale, come nel me­morabile racconto La casa sfuggita,in aggiunta a una precisa e detta­gliata storia della sua costruzionecon date precise (in questoracconto è impressa l’ombra diPoe, ricordato anche nei luoghi enelle paseggiate che faceva a Pro­vidence). Deve appartenergli ungusto estetico per la numerologia,nelle sue pagine di prosa si trovanoinfatti spesso date e cifre.I suoi testi principali, quelli più noti

13

Page 14: IL LEVIATANO

14

e che vanno a comprendere “il ca­none” per gli appassionati love­craftiani, sono: Il richiamo diCthulhu, Il colore venuto dallo spa­zio, L’orrore di Dunwich, Colui chesussurrava nelle tenebre, Allemontagne della follia (anche qui E.A. Poe viene citato spesso), I sognidella casa stregata, L’ombra suInnsmouth, L’ombra venuta daltempo, tutti compresi nell’arcotemporale che corre dal 1926 al1937, data della sua morte.Più che scrittore forse dovremmodefinire Lovecraft un mitografo, co­me Ovidio per Le metamorfosi eNonno di Panopoli per Le dionisia­che. Nella sua visione l’uomo è unapedina nelle mani di entità che nonsono del nostro universo, e sempli­cemente nominando questi esserisi può precipitare nella follia:Azathoth è un dio blasfemo chegorgoglia al centro dell’universo(echeggia l’immagine di Lucifero alcentro dell’inferno dantesco),Nyarlathotep è il messaggero diquesta e altre entità. Tutto l’uni­verso è un ribollente calderone diesseri terribili, il male serpeggiaovunque e se non si manifesta pie­namente è solo perchè la minacciadi farlo è più terrificante. A questomacrocosmo spaziale corrispondeil microcosmo terrestre dello statodel New England, della sua atmo­sfera corrotta e dannata. È qui cheLovecraft fa convergere spesso ilsuo mito.Il suo procedimento narrativo siserve spesso della figura retoricadell’ossimoro, affianca alla novitàtecnologica, un manufatto, unevento o una presenza antichissi­ma, oppure contrappone architemporali grandissimi come ‘tre­cento mila anni’ a uno più ridotto co­me ‘alle undici e un quarto’.Attua nelle sue opere quello chepuò definirsi un processo contro­ini­ziatico. Se un’iniziazione a una reli­gione o a dei misteri ha uno scoponobile e virtuoso, come il camminoverso la conoscenza (sophia) o ladivinità, Lovecraft procede in senso

opposto: la conoscenza per l’uomoè un cammino verso il male e unprecipizio verso una follia dominatada entità di antiche ere preumane.È emblematico il racconto L’Orroredi Dunwich dove una contadinaanalfabeta vergine mette al mondouna creatura mostruosa dotata dipoteri sovrumani. La creatura subi­rà una passione simile a quella diCristo e sacrificata sulla cima delmonte di Dunwich, prima di morirelancia un grido simile, ma corrotto edegradato, all’evangelico “Dio mio,Dio mio perchè mi hai abbando­nato!”Il mistero dell’incarnazione divinadel cristianesimo viene rovesciatonell’incarnazione del mostruoso edel male, perché nell'universo di Lo­vecraft non c’è salvezza, nè su que­sta terra nè tanto meno nell’aldilà.È nel cono d’ombra delle opere me­no note o non compiute che spessosi colgono i lampi per unacomprensione maggiore di un auto­re, Lovecraft non sfugge a questaregola.

Nel 1926 scrive un breve madettagliato saggio critico daltitolo L’orrore soprannatura­

le in letteratura (in italiano pubbli­cato da Sugarco). È l’analisi dellecorrenti e dei maggiori autori delracconto soprannaturale. Il 1926 èanche l’anno in cui cominciano adefinirsi i testi che saranno poi ilsuo ‘canone’, la sua mitologia co­mincia ad attuarsi in quell’anno,perché un testo critico è sempreuna piccola demiurgia, un desideriodi ordine, anche se a dispiegarsi èl’ordine del male. Lo scritto ha il pre­gio di farci conoscere le caratteristi­che che per Lovecraftappartengono all’orrore cosmicoche poi perfezionerà nei racconti,scrive infatti “deve essere presenteuna certa atmosfera di terrore ine­splicabile verso forze esterne eignote [...] una sospensione malefi­ca e particolare, o una sconfitta, diquelle leggi fisse della natura che

sono la nostra unica salvezzacontro gli assalti del caos e dei de­moni dello spazio inesplorato”.È scegliendo un maestro che dia­mo un’impronta alla nostra vita oalla nostra arte, nell’Orrore so­prannaturale nella letteratura Love­craft dichiara chi siano i suoimaestri: Edgar Allan Poe, WilliamHope Hodgson e Lord Dunsany. Èa loro e ai conseguenti scritti chededica più attenzione e un numeromaggiore di pagine. La foce dellanarrativa lovecraftiana deriva daquesti maestri, e da loro apprende isuoi elementi, il risvolto cosmico, lapresenza di entità assalitrici inno­minabili, l’apertura verso un ciclo euna mitologia dell’agire di questeforze. Questo breve saggio non èimmune da errori. Permanenell’opera un senso di oscuranti­smo, pensa ancora che il Medioe­vo sia un’epoca ‘buia’ mentre glistorici avevano già superato que­sta trita ed erronea convinzione(Autunno del Medioevo di Huizingaè del 1919).Lovecraft scrive un opuscolo ma­noscritto dal titolo Commonplacebook, una summa di appunti econsiderazioni sulla composizione(aleggia lo scritto di Poe Filosofiadella composizione). Ho sempreprestato grande interesse al noncompiuto, all’abbozzo o al progettonon realizzato, e in questo scritto sipossono rintracciare diamantigrezzi che la mano dello scrittorenon ha ancora ripulito. È su questepaginette che troviamo una voceche recita: “elemento orripilantefondamentale [...] qualunque pro­gressione, irresistibile e misteriosa,verso un destino”. Questo è forse ilterrore più grande, superiore aqualsiasi caos, l’impossibilità diuscire da un destino, una claustro­fobia esistenziale. Edipo può fuggi­re dove vuole ma non potrà evitaredi uccidere il padre e di giacerecon la madre. Non conosco nientedi più spaventevole di una irrepara­bile predestinazione.

Page 15: IL LEVIATANO

Provate a immaginarecerte gelide serated'inverno, mentre fuo­ri il vento ulula e la ne­ve non cessa di

cadere. Assieme ai vostri familiarive ne state tranquilli, mentre un fo­colare allunga calde e rossicceombre in tutta la stanza. Magariavete messo un vecchio vinile concanzoni natalizie. Il “caldo buono”– come diceva Ungaretti – di casavostra vi rassicura e vi protegge.Ma se abbassate il volume dellamusica e ascoltate con attenzione,potete ascoltare le voci degli spiritidel Natale. Non vi sto ingannando:è proprio così. A Natale infatti neicieli si sbizzarriscono gli spettri piùantichi, volteggiando tra i fiocchi dineve, a cavallo del vento eterno.E di celebri apparizioni invernali vene sono molte.Prime tra tutte quelle dei Natali pas­sati, presenti e futuri del celebreCanto di Natale di Dickens. Il prota­gonista del romanzo, EbenezerScrooge, vecchio avido e misantro­po, riceverà la loro visita proprio du­rante la Vigilia, e compirà con loroun viaggio mistico attraversol'inverno e l'animo umano, ritro­vando ricordi remoti e passioniperdute. Compirà un viaggio di re­denzione, riscoprendo i valori dellavita e tornando a far parte del gene­re umano.Era il lontano 1843. Passano leepoche e cambia anche il modo diparlare di certe cose.Nel 1957 viene pubblicato il libroper ragazzi Come il Grinch rubò ilNatale! di Dr. Seuss. La storiaracconta di un essere, il Grinch, “di­

verso” per natura, incattivito edemarginato, che riuscirà a ritrova­re il suo lato umano grazieall'affetto dimostratogli da unabambina.In tempi più moderni a parlare difantasmi natalizi è il regista HenrySelick che, da un'idea di TimBurton, dirige nel 1993 la pellicolaNightmare Before Christmas. Ilprotagonista, Jack Skeletron, so­vrano del tetro mondo di Hallo­ween, scopre la festosa città diNatale. Affascinato dalle usanzedel ridente luogo, decide diimportare questa celebrazione nelsuo regno. I risultati saranno ini­zialmente deludenti, ma in seguito,grazie soprattutto alla magia dellaneve, le cose andranno per ilverso giusto.Difficilmente si potrà mairaggiungere la poesia di CharlesDickens e del suo Canto. I suoipersonaggi e i suoi spettri fannoparte dell'immaginario collettivo ehanno influenzato tutte le storienatalizie successive. Tuttavia, os­servando le opere più moderne, èrassicurante sapere che c'è anco­ra gente che abbia voglia di parla­re di redenzione (e non si tratta dimera redenzione religiosa) e dibontà mistica: Natale è la festagiusta per ritrovarsi e per ritrovareil senso più profondo del buono,che nulla ha a che fare col buoni­smo.Se ascoltate bene potrete ancoraudire gli spiriti invernali: essi sonoqui per ricordarci che, almeno unavolta all'anno, dato che a loro nonè più concesso, è nostro dovereessere un po' più umani.

FANTASMI A NATALE

15

NNIIGGHHTTMMAARREE BBEEFFOORREE CCHHRRIISSTTMMAASSJJaacckk SSkkeelleettrroonn,, iill pprroottaaggoonniissttaa ddeellllaappeelllliiccoollaa,, ssoovvrraannoo ddeell mmoonnddoo ddiiHHaalllloowweeeenn.. AAnncchhee iinn qquueessttaa ssttoorriiaa ssiippaarrllaa ddii uunn ccooiinnvvoollggiimmeennttoo eemmoottiivvooddoovvuuttoo aallllaa mmaaggiiaa ddeell NNaattaallee..

di Diego CoronaNon vi è mai capitato a Natale di sedervi accanto a unoscoppiettante caminetto? E mentre il suo calore vi riscalda ilcuore, all'interno della vostra casa addobbata, proprio sul fardella sera, non vi è mai capitato di ascoltare una storia difantasmi invernali?

Page 16: IL LEVIATANO

LLAA LLEEGGGGEENNDDAA DDEEII DDUUEE BBUUCCAANNEEVVEEFFoorrssee nnoonn ttuuttttii ssaannnnoo qquuaall èè ll''oorriiggiinnee ddeell ffiioorree bbuuccaanneevvee.. QQuueessttaa lleeggggeennddaa ccii rraaccccoonnttaa ccoommeessoonnoo nnaattii ii pprriimmii dduuee eesseemmppllaarrii ee ppeerr qquuaallee rraaggiioonnee qquueessttoo ppaarrttiiccoollaarree ffiioorree hhaa bbiissooggnnoo ddeell ggeellooee ddeellllaa nneevvee ppeerr ssoopprraavvvviivveerree..Nel piccolo paese nordico di Valle Innevata

viveva un boscaiolo. Il suo nome era Jona,e viveva in una piccola casa di legno conla figlia Lena, una ragazza di diciassetteanni, bionda e con profondi occhi cerulei.

Ogni giorno il vecchio Jona si recava nella foresta a recu­perare legno per il camino. Ma una volta egli tardò a torna­re.Lena, sconsolata, corse dagli uomini del paese, do­mandando di aiutarla a cercare il padre scomparso.Quando lo trovarono era oramai sera. Era disteso a terraassiderato. Fu portato immediatamente a casa e fu visi­tato dal medico del paese.«Cara Lena,» disse quest’ultimo «tuo padre è molto ma­lato.»«Cosa possiamo fare?» domandò la ragazza.«Bisogna innanzitutto che la casa sia sempre ben ri­scaldata.»Lena tuttavia rispose che non sarebbe mai riuscita a pro­curare la legna nella foresta, dunque un bel giovane di no­me Vance si offrì di aiutarla in questo proposito: ognimattina si sarebbe recato a recuperarla per lei. Lena erafelice di sapere che Vance, che segretamente amava datempo, le sarebbe stato accanto.Di giorno in giorno il giovane Vance tagliava la legna perLena e gliela portava.Una mattinata Lena si recò in paese per le provviste, eudì due vecchie parlare di suo padre.«Mio Dio, il povero Jona è perduto!»«L'unico che può salvarlo è il Principe!»A quelle parole Lena si incuriosì, e domandò: «chi è ilPrincipe?»«Il Principe d'Inverno! Egli è sempre esistito, ed è il sovra­no dell’inverno. È lui che scaglia neve su tutto il mondo!»«E dove si trova questo misterioso sovrano?»«Egli dimora nel suo regno, il Paese d’Inverno, una regio­ne di spiriti e magia nel cuore della foresta!»Quella stessa notte Lena, avvolta da un pesante mantoscarlatto, penetrò la foresta.Camminò per ore ed ore, finché non raggiunse il centro diquell’ammasso intricato di alberi bianchi e azzurri.Si ritrovò in una vallata immensa e desolata, che non ave­va mai veduto, punteggiata solamente da qualche alberosecco, attraversata da sinuose alture. E proprio su una diqueste alture si ergeva un castello di ghiaccio. Aveva tretorri altissime che sembravano sparire nel cielo bianco.Lo raggiunse ed entrò.Su un trono di ghiaccio era seduto imponente il Principe

d’Inverno.«Dunque tu sei il signore degli inverni» disse la fanciullatremante.Il Principe non disse nulla.«Io sono qui per pregarti, Principe, di liberare da questamorsa di freddo il paese da cui provengo, Valle Innevata,per salvare mio padre.»«Ebbene ti accontenterò, ma a un patto: tu siederaiaccanto a me, e sarai la mia regina» disse il Principe.Quando, tempo dopo, in paese Vance venne a saperel'accaduto, si recò a sua volta nel palazzo del Principe.Entrò e si mise a spiare quest'ultimo.Il Principe cercava invano di accarezzare Lena, ma piùinsisteva e più la ragazza si cristallizzava in ghiaccio. Leparlava, le sussurrava alcune parole, ma senza averemai risposta.Lena oramai era una statua di ghiaccio, e il Principe erapiegato dal dolore. Infine si alzò dal suo trono, sconvolto,e scomparve dietro un’enorme porta.Vance allora sfruttò il momento, e levò Lena dal suo tro­no, la avvolse nel proprio manto, e si diede alla fuga.Mentre usciva dalla fortezza, quest’ultima iniziò a tremaree a sgretolarsi. Si udì un urlo agghiacciante: era il Princi­pe.Vance correva portando il corpo cristallizzato di Lena,mentre il Principe lo inseguiva governando una tremendanube carica di neve. Il Paese d’Inverno fu travolto da unatormenta.Nel frattempo Lena si disgelava, e riprendeva cono­scenza. «Amato mio…» sussurrò.«Lena, sono io, il tuo Vance!»«Principe, mio principe… !» disse la fanciulla. Vancedunque arrestò la sua corsa, stravolto da quelle parole.Ma proprio nel momento in cui si fermò, gli si scagliòcontro il Principe d’Inverno, e tutti e tre rimasero travoltida quella furia di neve.Dei due giovani e del Principe non si ebbero più notizie.Sono trascorsi settantatre anni da quel giorno

ma, se mai riusciste a raggiungere Valle Inne­vata e a penetrare la sua foresta, esiste una ra­

dura che assolutamente dovreste visitare: in questoluogo incantato vi è un punto in cui la neve non si èmai più sciolta. Qui, durante tutto l’anno, è possibileammirare due splendidi esemplari di bucaneve.In quella radura, che sia primavera o estate, quella neveantica non vuole abbandonare quei due fiori invernaliche, senza il suo abbraccio, altrimenti morirebbero.

16

Page 17: IL LEVIATANO

Nel pieno centro dellacittà di Padova, in viaVIII Febbraio 15,sorge uno dei simbolistessi della città vene­

ta. Esso si erge in un punto ne­vralgico, equidistante dai maggiorimonumenti del luogo. Questoperché, da quando fu fondata labottega del caffè ad esso preesi­stente ad opera del commerciantebergamasco Francesco Pedrocchinel 1772, il luogo deputato allavendita e al consumo della nuovabevanda doveva raccogliere ilmaggior numero possibile di perso­ne. Da sempre ritrovo di intellettualie facoltosi, il Pedrocchi prese lasua collocazione definitiva tra il1831 e il 1842, ad opera dell'archi­tetto veneziano Giuseppe Jappelli,contattato dallo stesso Pedrocchidopo la sostituzione del primo archi­tetto, Giuseppe Bisacco. L'apportodi Jappelli fu essenziale per dare alCaffè un'impronta illuminista: rea­lizzando un'opera di sapore ecletti­co, Jappelli unì, all'impianto di basedi stile neoclassico, una serie di ele­menti eterogenei, contraddistinti dallavoro di altri artisti i quali, ognunoa loro modo, dettero un contributodecisivo: a Giuseppe Petrelli si de­

ve la fusione delle balaustredelle terrazze con i grifi, GiovanniDi Min ideò la sala greca, mentreIppolito Caffi, Pietro Paoletti eVincenzo Gazzotto crearono, ri­spettivamente, quelle romana,pompeiana e rinascimentale. Co­me detto, infatti, il Pedrocchi èreso celebre dalla sua commi­stione di stili, frutto di una conce­zione cosmopolita e laicadell'arte e della cultura.Nel 1852 moriva il suo fondatore: inseguito, nel 1891, l'erede designatoda Pedrocchi, DomenicoCappellato, lasciò l'edifico alla città,con la promessa “di promuovere esviluppare tutti quei miglioramentiche verranno portati dal progressodei tempi [...] onde nel suo generepossa mantenere il primato in Ita­lia”. Tuttavia, per un certo periodo,in conseguenza anche dei gravidanni riportati dal primo conflittomondiale, il Pedrocchi andràincontro a un degrado dovuto alledifficoltà determinate dalla guerra eche si protrarranno sino al 1924.Negli anni successivi va purtroppodispersa la gran parte degli arredioriginari disegnati dallo stessoJappelli, che verrà sostituita du­rante l'epoca di Mussolini. Sarà so­

lo dopo la Seconda GuerraMondiale che il progetto dell'archi­tetto Angelo Pisani avvierà un veroe proprio restauro, che ridisegna eridefinisce molta parte della costru­zione.Soltanto nel 1998 il Pedrocchi ètornato, pur con delle sensibili va­riazioni, alla cittadinanza in una ve­ste il più possibile vicinaall'originale, dopo una decinad'anni, tra gli '80 e i '90 in cui vi fu­rono difficoltà tra la gestione del lo­cale e il Comune.Oggi il caffè Pedrocchi è punto diritrovo di studenti, professionisti ecuriosi. Tra le sue mura si puòancora assaporare quel gusto raffi­nato che tanto piaceva agliintellettuali e agli illuministi diun'epoca che purtroppo non è piùla nostra.

città magiche

IILL CCAAFFFFÈÈ SSEENNZZAA PPOORRTTEEPPaaddoovvaa èè aanncchhee ccoonnoosscciiuuttaa ccoommee llaa cciittttàà ddeeii 33""sseennzzaa"":: ddeell pprraattoo sseennzzaa eerrbbaa ((llaa ppiiaazzzzaa ddii PPrraattooddeellllaa vvaallllee)),, ddeell ssaannttoo sseennzzaa nnoommee ((SSaanntt''AAnnttoonniioo,,cchhiiaammaattoo ddaaii ppaaddoovvaannii sseemmpplliicceemmeennttee ""IIllSSaannttoo"")) ee ddeell ccaaffffèè sseennzzaa ppoorrttee..IIll PPeeddrroocccchhii iinnffaattttii èè ccoonnoosscciiuuttoo aanncchhee iinn qquueessttoommooddoo ppeerr iill ffaattttoo cchhee ffiinnoo aall 11991166 eerraa aappeerrttooggiioorrnnoo ee nnoottttee..

II LLEEOONNII DDEELL PPEEDDRROOCCCCHHIITTrraa ggllii uunniivveerrssiittaarrii ddii PPaaddoovvaa vviiggee qquueessttaa

ssuuppeerrssttiizziioonnee:: ssee uunnoo ssttuuddeennttee ddeellll''uullttiimmoo aannnnoooollttrreeppaassssaa ii dduuee lleeoonnii aa gguuaarrddiiaa ddeellll''eennttrraattaa ddeell

ccaaffffèè,, eebbbbeennee nnoonn ssii llaauurreeeerràà ppiiùù..

IILL CCAAFFFFÈÈPPEEDDRROOCCCCHHII

Page 18: IL LEVIATANO

CCOOLLOOMMBBOOddii CCaarrlloo FFeerrrrii

UUnn aaffffaasscciinnaannttee vviiaaggggiioo aallllaa ssccooppeerrttaa ddeellll''AAmmeerriiccaa,, ssvveellaannddoo ii rreettrroosscceennaa ddeellllaa ppiiùù ggrraannddeeaavvvveennttuurraa ddii ttuuttttii ii tteemmppii.. CCee nnee ppaarrllaa CCaarrlloo FFeerrrrii,, aattttrraavveerrssoo uunn''iinnttrriiggaannttee nnaarrrraazziioonnee,, sseennzzaattrraallaasscciiaarree ggllii aassppeettttii mmeennoo ccoonnoosscciiuuttii ddii qquueessttaa mmiittiiccaa iimmpprreessaa..

mondo perduto

EELL DDOORRAADDOOEEll DDoorraaddoo ((ppiiùùpprroopprriiaammeennttee EEll iinnddiiooDDoorraaddoo)) èè uunn ppaaeesseelleeggggeennddaarriioo ssoorrttooddaallllaa ffaannttaassiiaa ddeeiiccoonnqquuiissttaaddoorreessdduurraannttee iill ppeerriiooddooddeellllee pprriimmeeeesspplloorraazziioonnii ddeellNNuuoovvoo MMoonnddoo,, nneellXXVVII sseeccoolloo.. EEssssoossaarreebbbbee uunn lluuooggoo iinnccuuii,, oollttrree aa iinnggeennttiiqquuaannttiittàà ddii oorroo eeppiieettrree pprreezziioossee,,rriissiieeddeerreebbbbee uunnaacciivviillttàà aannttiicchhiissssiimmaa aaccoonnoosscceennzzaa ddii ssaappeerriieessootteerriiccii,, ccaappaaccii ddiissvveellaarree ooggnnii ppiiùùrreeccoonnddiittoo sseeggrreettooddeellll''uummaanniittàà.. TTrraa lleessppeeddiizziioonnii ppiiùù cceelleebbrriiee ffaalllliimmeennttaarrii,, qquueelllleeddii AAmmbbrroossiiuussEEhhiinnggeerr,, NNiikkoollaauussFFeeddeerrmmaannnn eeLLooppee ddee AAgguuiirrrree..

Page 19: IL LEVIATANO

Circa alla metà del XVsecolo gli stati euro­pei si erano trovatesbarrate le vie deitraffici con l’Oriente

dall’espansione dell’Impero Ottoma­no, ed erano quindi stati costretti acercare nuove vie di comunicazio­ne: da qui i viaggi di circumnaviga­zione dell’Africa effettuati da diversinavigatori, quali Alvise Cà da Mo­sto, Antoniotto Usodimare e Bartolo­meo Diaz.Inoltre, la formazione delle grandimonarchie nazionali europee neces­sitava di eserciti di massa, di ammi­nistrazioni complesse ed articolatee comunque di spese per politichedi prestigio: tutte esigenze vitali chenon potevano essere soddisfattedal solo prelievo fiscale. Si impone­va dunque la necessità di procu­rarsi in altro modo le ricchezzesufficienti per il mantenimento diuna organizzazione statale e diforze armate adeguate: occorrevamettere le mani su nuove fonti diricchezza. Premessa e conse­guenza di questa politica di po­tenza furono dunque i grandi viaggidi esplorazione: l’era delle grandiscoperte fu aperta dalla piùimportante di tutte, quella legata alnome di Cristoforo Colombo.Pur di umili origini, egli cominciòpresto ad avere rapporti con legrandi case commerciali genovesi:almeno a partire dal 1473 fu so­vente sulle rotte del Mediterraneoper conto di imprese quali quelledei Centurione, degli Spinola, deiDi Negro. E quando i Centurione

estesero all’Atlantico i lorocommerci, alle loro dipendenze sitrasferì a Madera, dove visse di­verso tempo. E fu qui che Colombomaturò la sua grande idea: giunge­re alle Indie proseguendo sempreverso occidente, attraverso l’Ocea­no. La leggenda ha diffuso un qua­dro artefatto di un Colombotrascinantesi da una corte all’altraper propugnare il proprio progetto:in realtà egli era riuscito a fargiungere notizia dei suoi piani alleorecchie di quei ceti mercantili ge­novesi con i quali era sempre statoin stretti rapporti, e che nella Spa­gna di allora avevano mano in ognivicenda finanziaria. Interessatissimiad una nuova via per le Indie, essifecero pressioni sulla corte spagno­la: se i Reali avessero concesso illoro alto patronato, essi avrebberomesso il denaro necessario. E fu inquesto modo che Colombo potèsbarcare a San Salvador il 12 otto­bre 1492. I due viaggi successividel 1493 e del 1498, il governato­rato esercitato sui nuovi territori fu­rono un trionfo per il genovese ma,a mano a mano che appariva evi­dente come quelle terre non eranole Indie ricercate, a mano a manoche dilagava la pur erroneaconvinzione che esse erano privedi ogni ricchezza, l’opera di Co­lombo venne progressivamente sva­lorizzata. Le calunnie di cui fuoggetto per vicende accadute du­rante il suo governatorato locondussero addirittura in carcere:liberato per opera della regina Isa­bella, sua protettrice, ottenne nel

1502 di compiere un ultimo, quantoinfruttuoso, viaggio atlantico: cadu­to definitivamente in disgrazia, mo­rì dimenticato da tutti il 20 maggio1506 a Valladolid, ma fino al suoultimo giorno sostenne caparbia­mente di aver scoperto le estremepropaggini dell’Asia.

La Spagna aveva però trattoun vantaggio di notevole pe­so politico dal primo viaggio

di Colombo, ottenendo dal papaAlessandro VI Borgia il riconosci­mento dei propri diritti su tutte lenuove terre d’occidente con laBolla Inter caetera del 1493. Talericonoscimento provocò le protestedel Portogallo che si vedeva cosìpreclusi i mari d’occidente; ragionper cui il 7 maggio 1494 Spagna ePortogallo firmarono il Trattato diTordesillas che regolava le rispetti­ve sfere di espansione: l’Oceano,dall’Artico all’Antartico, fu diviso daun meridiano, la “rraya”, distante370 leghe dalle isole di CapoVerde; alla Spagna sarebberotoccate tutte le terre ad occidentedel meridiano, al Portogallo quellead oriente. Il riconoscimento papa­le comportava tuttavia l’impegno diprocedere all’evangelizzazionedelle popolazioni sottomesse, laqual cosa avvenne come vedremoin seguito.I viaggi effettuati da Vespucci fra il1499 ed il 1502, quindi da Magella­no nel 1519, definirono le caratteri­stiche continentali delle terrescoperte, che furono chiamate

19

Page 20: IL LEVIATANO

“Mundus Novus”; a seguito diqueste nuove certezze, chesmentivano le teorie di Co­lombo, circa quindici annidopo la scomparsa delgenovese, cominciaronoa risvegliarsi nella peni­sola iberica interessi cheparevano sopiti.Le prime esplorazionicondotte sulla terrafermaebbero un carattere di ri­cerca, anche se gli spagnoli,dovunque andassero, prende­vano possesso della terra in nomedel re, secondo le antiche usanze.Ma da questi esploratori iniziaronoa diffondersi notizie riguardantiricchi e popolosi regni situati framonti e foreste, e in Spagna si desi­derava ardentemente che essecorrispondessero alla realtà. Edimprovvisamente ciò avvenne: nel1519 una spedizione condotta daHernán Cortéz, che stava esplo­rando la costa dell’odierno Messi­co, si imbattè in prove inconfutabilidell’esistenza di una ricca civiltà ne­gli altopiani dell’interno: era l’impe­ro Azteco, le cui origini risalivano acirca due secoli prima. Gli Aztechi,che avevano la loro capitale in Te­nochtitlán , in poco più di centoanni avevano sottomesso tutte lecomunità di una vasta regione chesi estendeva su di un territorio corri­spondente agli attuali Messico eGuatemala. Questo popolo, pertanti aspetti evoluto, non conosce­va né l’applicazione della ruota négli utensili di metallo, ma l’architettu­ra delle loro città colpì gli invasorieuropei per la cura e l’eleganzadelle costruzioni. Nonostante que­sto, senza attendere alcuna auto­rizzazione, Cortéz si lanciò allaconquista e due anni più tardi, nel1521, dominò vittorioso le rovine diTenochtitlán, con le spoglie di unimpero a sua disposizione.La grandezza del successo feceottenere a Cortéz l’approvazione aposteriori della sua impresa daparte dell’imperatore Carlo V insie­me a titoli ed onori, ma fece anche

si che ondate di avventurieri attra­versassero l’Atlantico per la sco­perta e la conquista di “otrosMexicos”.Ovviamente queste nuove spedizio­ni dovettero darsi una organizzazio­ne, basata sulle licenze reali checontenevano anche una disposizio­ne che ricordava a tutti gli “ade­lantados” (i capi delle spedizioni),che fra i motivi della presenza spa­

gnola nel Nuovo Mondo vi eraquello della evangelizzazio­

ne dei popoli sottomessi eche imponeva la pre­senza, in ogni spedizio­ne, di uno o dueecclesiastici che introdu­cessero gli indigeni allaconoscenza di Cristo. Equesto avvenne rego­

larmente a mezzo dellalettura alle esterrefatte po­

polazioni appositamente ra­dunate, senza interprete ma in

presenza di uno scrivano pubblico,di un lunghissimo documento chia­mato “requerimiento” redatto inspagnolo o in latino: retorica inti­mazione che li esortava aconvertirsi alla religione cattolica eche si concludeva con la frase “senon lo farete o porrete maliziosa­mente indugio affermo che conl’aiuto di Dio io entrerò con forzacontro di voi e vi farò guerra in tuttii luoghi e in tutti i modi a me possi­bili, e vi assoggetterò al giogo eall’obbedienza della Chiesa e diSua Maestà, e prenderò le vostremogli ed i vostri figli e li farò schiavie come schiavi li venderò, edisporrò di loro come sua Maestàcomanderà, e prenderò i vostri be­ni e vi farò tutto il male e il dannoche potrò”. Padre Bartolomé deLas Casas, autore della Brevissimarelazione della distruzione delleIndie, dopo aver preso visione deldocumento, disse che non sapevase ridere o se piangere.Oltre agli ecclesiastici e ad uncongruo numero di fanti e di soldatia cavallo, le spedizioni di conquistacomprendevano un rappresentantedell’erario reale che aveva l’incari­co di controllare che la quinta partedel bottino destinata alla Coronafosse regolarmente accantonata,ed uno o più notai che dovevanoregistrare gli avvenimenti piùimportanti: la forza delle spedizioniera comunque di entità non moltorilevante.

IL SERPENTE PIUMATOIl Serpente Piumato (Quetzalcoatl)è una delle più antiche divinitàdell'America Centrale.Venerato da Maya e Aztechi, haorigini molto antiche: un primotempio gli fu edificato nel 200d.C.. Nel suo significatoprincipale, esso simboleggiaquello che, nella culturaoccidentale, potrebbe essere ilmito di Prometeo: il primomaestro spirituale, che supera ilpeccato e trascende la materia perridivenire luce. La leggendaazteca lo vede come un re castoche, sotto l'effettodell'ubriachezza, commette unpeccato carnale e, pentito, si dà lamorte nel rogo appiccato da sestesso per espiare la sua colpa.Secondo altri miti, discende nelmondo dei morti in forma dicoyote e ruba delle ossa prezioseche consentono la creazionedell'essere umano: o meglio, lasua rinascita, dato che, per ilpopolo pre­colombiano, il mondoaveva già subito quattrodistruzioni, e Quetzacoatl, con lasua azione, sarebbe riuscito afarne nascere un quinto.

20 continua nel prossimo numero

Page 21: IL LEVIATANO

Il sole splendeva alto nel cielo, a pochi giorni dallasua entrata nell’anno nuovo. Il caldo torrido diquella giornata non impensieriva, tuttavia, l’animodel giovane, fulgido e sprezzante, di fronte all’avvi­cinarsi di quel grande evento. La festa più

importante dell’anno, in cui il dio più imponente, il re de­gli dei, avrebbe avuto una nuova nascita, scaturendonudo e possente come fosse appena stato generato,era solo questione di un avvicendarsi rapido di attimi,di circoli intorno alla terra di quel meraviglioso disco do­rato. Il giovane, un ragazzo dalla carnagione olivastracon lunghi capelli neri, era chiamato Tezcatlipoca.Un anno prima, era stato designato come incarnazioneumana del sole. Il sole, l’unico e primigenio dio, avido econsumatore, era entrato dentro di lui come un amantedentro un’amante, come l’ape in una antera, come unatempesta in un deserto: aveva brillato e reso infuocatoil grande regno azteco per un intero ciclo, ma adessotutto questo sarebbe finito. Tezcatlipoca, incoronatodio, lo sapeva bene. Lo aveva saputo fin dal giornostesso in cui il re Montezuma lo aveva portato sullavetta più alta, sulla cima di Quautixicalco, la grande,immensa, invalicabile piramide che campeggiava sullacapitale del regno, Tenochtitlàn. «Per un intero anno so­no stato dio» si ripeteva fra sé il giovane, il quale non ri­cordava nemmeno più il suo vero nome, poiché, per

tutta la durata del suo regno sulla terra, egli era statoper tutti nient’altro che Tezcatlipoca. E questo gli avevaconferito poteri immensi, l’autorità che solo una forzasovrumana può avere sulle emozioni di quegli esseriinferiori che si chiamano uomini. Tezcatlipoca, infatti,non era stato un uomo tramutato in dio: egli era statodio.Camminava tranquillamente per tutto il suo regno, enessuno, nemmeno il più miscredente fra i figli del soleaveva osato toccarlo se non tramite previo consenso.Egli era il sole, e solo la sua intercessione potevapermettere lo si toccasse: sempre con deferenza,sempre chinando il capo, quasi la luce che emanavanon si potesse guardare per paura di rimanerne abba­gliati. Poiché il sole genera, cura, riscalda, maannienta anche, brucia, disfiora, egli così leggero edimmenso.Durante questa sua fortunata e tracotante parentesi,Tezcatlipoca aveva potuto godere di tutte le gioie che,da uomo, non gli erano state permesse: essere trattatonon più come un fanciullo, un giovane imberbe che de­ve rispetto ai vecchi, ma essere più rispettabile e auto­revole del più anziano di tutto il popolo. Quando sifermava al mercato, la gente gli baciava la mano, insegno di rispetto. Vi era chi si inginocchiava, quasi pro­strandosi al suolo, temendo di sfiorare i suoi piedi, deli­

IL CUORE CHE RINASCEdi Alessandro Romano

È quasi giunta la fine dell'anno tra gli Aztechi. Tezcatlipoca, il giovane prescelto dallapopolazione come reincarnazione del dio sole, è venerato come una divinità. Ma il suo destino ègià segnato: immerso nel lusso e nel benessere, si avvicina inesorabile all'appuntamento conl'evento più importante per tutto il suo popolo, e per la sua stessa esistenza.

TENOTCHTITLAN E TEOTIHUACANLa grande capitale del regno azteco, Tenochtitlàn, sorgeva sull'attuale Città del

Messico, luogo dove i fondatori videro quel che è uno degli emblemi per eccellenzadella loro civiltà: un'aquila che uccide un serpente sopra un cactus. La città poi venne

distrutta da Hernàn Cortès, conquistador spagnolo, nel 1521. L'altro grande centro,religioso e artistico del regno, Teotihuacan ("la città dove nascono gli dei"), a tutt'oggi il

maggior centro archeologico del Messico, ospitava il luogo simbolo di Quetzalcoatl,una piramide tronca, con base quadrata, formata da 7 piattaforme sovrapposte, e

denominata, per via del sacrificio legato alla rinascita, la Piramide del Sole.

21

Page 22: IL LEVIATANO

cati e profumati. Le frequenti abluzioni che giovanid’ambo i sessi gli riservavano più volte al giorno, le tuni­che profumate e policrome, lo rendevano desiderabilea chiunque, nonostante ciò non fosse necessario perfargli avere amanti e amori in un numero indescrivibile.Ciononostante, solo due furono le prescelte che più diuna volta giacquero con lui nel suo talamo, in mezzo afiori d’ogni sorta, prelibatezze e frutti dai colori accesi edal sapore ricercato. La prima si chiamava Quetzal, e isuoi occhi avevano il colore del mare più casto e puro,quale Tezcatlipoca mai avrebbe potuto osservare nellasua vita precedente. Il suo corpo era sempre cosparsod’olio, facendo risaltare le sue forme sinuose, atte allaprocreazione, floride e forti come una cacciatrice, e ra­pide e guizzanti come un corridore. L’altra aveva nomeXochtil: più minuta e dimessa, sapeva intrecciare sa­pientemente le trame di una cetra quanto quelle di unordito. Servizievole e ossequiente, obbediva ad ognicapriccio e stimolo che potesse sorgere nel cuore diTezcatlipoca, quel cuore così imponente, che era ne­cessario sfamare perché, un giorno, esso sfamassetutto il popolo.Tezcatlipoca sapeva che, al congedo del ciclo annuale,tutto quel tesoro che si dispiegava di fronte a lui, e chepoteva gestire a suo piacimento, sarebbe stato desti­nato ad essergli tolto. Non tolto per l’eternità, ma termi­nato nel suo ciclo materiale. Nella sfera lontana edimmutabile delle stelle, il suo corpo avrebbe continuatoad essere sempre uguale a se stesso, poiché nulla po­teva distruggere il sole, una volta che esso fosse riusci­to a risorgere.Egli aveva la morte nel cuore, anche se questo timoreben fondato gli faceva vivere ogni attimo in maniera to­tale: ogni bacio di Xochtil, ogni carezza di Quetzal,ogni zolla di terra toccata ed ogni fuoco acceso, ognipasto consumato e ogni bevanda ingerita, conteneva

in sé tutta la potenza dell’universo. Tutto l’universo eranelle sue mani, perché egli era il sole.

Un mattino, dopo una notte dolce come la rugia­da e saziante come il miele, Quetzal, mentreTezcatlipoca ancora dormiva, iniziò a mas­

saggiargli il ventre e il petto, stimolando le sue fanta­sie, e cercando di allietare i suoi sogni. Tanto feceroquelle sagge ed esperte mani, che il sole si svegliò, eguardata in viso la sua amante, le ordinò: «chiama Xo­chtil ed eseguite per me una danza». Quetzal, pur tra­cotante e indipendente, obbedì, e si mise a svegliare lasua compagna, che riposava su un giaciglio a pocadistanza dal talamo dei due. La baciò invitandola a de­starsi, e le sussurrò all’orecchio quel che Tezcatlipocadesiderava.Pochi minuti dopo, entrambe discinte e vestite di pochiveli, iniziarono una danza accompagnata dal suono ce­lestiale di una cetra, sulle cui corde poggiavano le ditainsaziabili di un musico, il cui compito era di allietare lemattine annoiate e tremende di Tezcatlipoca.Alla fine della danza, Tezcatlipoca ordinò ad entrambedi stendersi al suo fianco e di giacere con lui, a turno.Mentre una guardava, l’altra avrebbe sorriso e si sa­rebbe beata del piacere degli altri due amanti: così fe­cero, perché il sole lo ordinava.Quello fu l’inizio dell’ultima giornata di Tezcatlipoca.Quando egli era alto nel cielo, verso la metà del girodiurno, si alzò dal talamo e pranzò, durante uno deibanchetti più cospicui di tutto il suo regno. Il re inpersona lo venne ad omaggiare, e furono bevute e di­vorate le scorte di un intero mese. A poche ore dal tra­monto, Tezcatlipoca volle star solo. Passeggiò a lungoattorno alla grande piramide, guardandone la sommità

22

II RRIITTII AAZZTTEECCHHIIIIll ssaaccrriiffiicciioo uummaannoo eerraa uunnaa pprraattiiccaa ccoommuunnee aa ttuuttttee llee cciivviillttààpprree­­ccoolloommbbiiaannee,, ppooiicchhéé,, iinn eessssoo,, ii ssaacceerrddoottii ee ll''iinntteerraa ccoommuunniittààvveeddeevvaannoo rriippeetteerrssii iill ggrraannddee ssaaccrriiffiicciioo pprriimmoorrddiiaallee ccoommppiiuuttooddaaggllii ddèèii,, iill qquuaallee ppeerrmmeetttteevvaa aallll''iinntteerroo uunniivveerrssoo ddii ssoosstteenneerrssii..AA qquueessttaa vviissiioonnee ddeell mmoonnddoo èè ccoolllleeggaattoo uunn ffoorrttee sseennssoo ddiiddeevvoozziioonnee,, ddii vveerroo ee pprroopprriioo ""iinnddeebbiittaammeennttoo"" nneeii ccoonnffrroonnttiiddeellllee ffiigguurree mmiittoollooggiicchhee ddeellllaa ttrraaddiizziioonnee.. GGllii AAzztteecchhiissaaccrriiffiiccaavvaannoo,, oollttrree aa uuoommiinnii,, aanncchhee aanniimmaallii ee ccoossee,, ddaattoo cchheettuuttttoo eerraa ppeerr lloorroo ttoonnaaccaayyoottll,, ll''""iinnccaarrnnaazziioonnee ssppiirriittuuaallee"" oo""pprreesseennzzaa ccoorrppoorreeaa"" ddeeggllii ddeeii ssuullllaa tteerrrraa..

Page 23: IL LEVIATANO

nello stesso modo in cui avrebbe guardato la punta piùalto del grande vulcano, e diceva tra sé: «io sono piùalto del più alto vulcano del mondo, io sono più infuo­cato ed ardente di ogni fuoco, io sono il sole, e tra bre­ve morirò. Morirò per rinascere a nuova vita». E mentretornava alla sua casa, la casa che il re gli aveva la­sciato per un intero anno, Tezcatlipoca si preparò algrande sacrificio. Vestito di un manto rosso, adornatodi piume di pavone, l’uccello le cui carni non si consu­mano, il giovane dio correva verso la propria immortali­tà nei cieli, dopo averla avuta per un intero anno sullaterra. A vestirlo e profumarlo furono Quetzal e Xochtil.Ognuna di loro, nell’atto di essere una sola cosa con ilsole, provava e sentiva dentro di sé tutta la forza el’energia che egli promanava: esse erano corteccia, lu­certole che perdono le loro squame, erano fiori impolli­nati, erano bambini dati alla luce, erano acqua chescende da una cascata. E Tezcatlipoca provava ecaptava le loro emozioni, proprio come i pensieri e isentimenti di ogni persona, di tutto il popolo azteco.Egli era l’unico, era l’universo, era la totalità delle cose,quelle che muoiono, quelle che vivono, quelle che na­scono.Tezcatlipoca era seduto sul talamo. Alla sua destra sta­va Quetzal, completamente vestita di smeraldo, lu­cente come la pelle di un ramarro. Alla sua sinistra, ilviso di Xochtil, giallo e splendente per via delle scaglied’oro di cui era formato il suo peplo, per la prima voltaebbe un sussulto. Ma esso si trasformò subito in sorri­so, per poi farsi immoto come una maschera. Le duegiovani fanciulle lo presero per mano. Fuori, la nottestava per entrare nella terza parte del suo corso. Eral’ora del compimento della vita del sole. Il vecchio sole,Tezcatlipoca, stava per andarsene. Montezuma loattendeva al varco, al portale che conduceva alla scali­nata della piramide. Per percorrere tutti gli scalini vi

avrebbero impiegato non meno di un’ora. Un tamburobatteva lentamente i passi cadenzati dei quattro indivi­dui. Montezuma teneva la piccola mano di Toxchil. Asua volta, Tezcatlipoca stringeva, in quegli ultimi minutiche lo separavano dalla sua nascita, la forte stretta diQuetzal.Erano giunti alla cima. Sopra di loro, il cielo stellatostava dando spazio alle prime luci dell’aurora. Il tempoera finalmente compiuto. L’universo era al suo apice.L’universo stava morendo. Quetzal e Xochtil si separa­rono dai loro uomini, e si misero ai lati del quadrato po­sto sulla cima del Quautixicalco. Quando ebbero fattoquesto, una smorfia di dolore le colse entrambe.Montezuma, dolente ma deciso, estrasse dal suogrande mantello un pugnale non più grande della suamano, dalla punta acuminata, e si approssimò a Tez­catlipoca. Lo prese per mano ed assieme si miserosotto il pinnacolo del Quautixicalco. Tezcatlipoca fissònegli occhi Montezuma e disse: «io muoio e facciotornare l’alba. Io risorgo e risorgerò per un anno inte­ro». Quando ebbe terminate queste parole, Montezu­ma lo trafisse in pieno petto col pugnale, e, senza cheTezcatlipoca potesse reagire, gli estirpò lentamente ilcuore dalla cassa toracica. Il cuore di Tezcatlipoca, oraprono al suolo, venne sollevato verso il cielo da Monte­zuma. La popolazione, agguerrita e numerosa ai piedidel Quautixicalco, inneggiava alla nascita, la nascitadell’anno nuovo. I loro volti, inferociti ed avidi, adorava­no il sangue, purulento e eccessivo, del cuore di Tez­catlipoca. I suoi occhi, aperti a vedere la sua nascita,erano un tutt’uno con la luce che splendeva e penetra­va in lui. Il sole, nel giorno che s’appressava a nasce­re, entrava in un nuovo anno di vita. E per farlo, avevadecretato la morte di Tezcatlipoca, la morte che nonera morte, la morte che per vivere aveva bisogno di ri­sorgere.

23

Page 24: IL LEVIATANO

ON THE ROADIgiorni trascorrono in unincalzare frenetico, è come sestessi sfogliando in fretta le pa­gine di un fantastico libro diavventure.

Cerco di immagazzinare quanto piùposso anche se ciò toglie verve allamia penna.Lo sguardo mi scorre dentro lungola verdissima catena dei montiAppalachi, selvaggia nella suabellezza, quando mi ha dato un bri­vido nell’improvviso incontro con ilmaestoso orso nero, incessante­mente impegnato nella ricerca dibacche e miele, brivido subitostemperato dalla deliziosa visionedi una dolce cerva.La Toyota macina la stradaoffrendomi sempre quadri diversa­mente esaltanti, a volte anche depri­menti, in cui guerra civile, natura,storia, etnie mi passano dinnanzicreandomi variegati stati d’animo.Anche le emozioni hanno facce di­verse a seconda di quello che sipresenta davanti agli occhi comequando, a Memphis, ho varcato lasoglia della neoclassica villa diElvis Presley dagli interni molto ki­tsch con le pareti foderate daidischi di platino e d’oro di questogrande interprete di musica countrye blues. Pensate: è il secondo sitopiù visitato in America, è un mondoirreale in cui Elvis vive ancor oggi inmezzo alle sue Cadillac, ai suoi ae­rei, alle sue migliaia di abiti laminati

idolatrato, come un tempo, dai milio­ni di fans che qui convergono daogni parte del mondo.Ma ecco che girando la pagina diquesto inserto, discutibile, maanch’esso fotografia di un’Americacosi varia e piena di contrasti, mi sipara dinnanzi il mondo tragico dellaguerra civile americana che dal1860 al 1865 ha mietuto circa600.000 vite umane.Nord e sud si sono ferocemente di­laniati e queste tragiche vicende so­no oggi testimoniate dalle decine edecine di memorials da meincontrati.È una sorta di mea culpa che gliamericani delle due parti oggi recita­no.Continuo ad inanellare chilometricon visioni sempre nuove, inediteed affascinanti quand’ecco appa­rirmi placido e maestoso il Mississi­pi, spina dorsale dell’America elinea di frontiera acquea fra est edovest. Fu qui, su queste sponde,che i bianchi conquistatori affamatidi terre nuove spingevano semprepiù in là le impotenti, per mezzi edarmamenti ma non per fierezza, tri­bù indiane che chiamarono questoloro esodo “il sentiero delle lacri­me”.Sto attraversando le riserve deiCherokee, degli Apaches, dei Semi­nole e di tante altre tribù indianeche, sotterrata per sempre l’ascia diguerra, gestiscono oggi remunerati­vi Casinò ricordandomi nei lorotratti somatici quell’orgoglio con cui

disperatamente difesero i loro terri­tori.E così, senza quasi accorgermene,ho percorso quasi 5000 km, mentreal mio sguardo si offrono le infinitepianure del Texas e del New Mexi­co, pascoli per milioni di bovini, chemi salutano.Paesaggi mozzafiato da me spes­so vagheggiati nella visione dei filmwestern.La costa atlantica si allontanasempre più e quella californiana delPacifico lentamente si avvicina,mentre oggi mi si stanno per aprirele porte del Colorado e dell’Arizonacon i loro fantastici canyon.

MONUMENT VALLEYCon intensa emozione stoattendendo l’alba in questavalle incantata.

La seconda ed ultima alba in que­sto parco pietrificato in cui dalnulla, come giganti, si ergono que­sti grattacieli di arenaria rossa.Li ascolto mentre mi parlano diantiche cavalcate degli indiani Na­vajos quando potevano libera­mente cacciare e prosperare inquesto selvaggio, immenso territo­rio prima delle lunghe odissee edumiliazioni imposte loro dallegiubbe blu del bianco conquistatoreche li confinò nelle anguste riserve,dove ancor oggi vivono, sia pur conle giuste rivendicazioni ricevute.

OONN TTHHEE RROOAADDddii GGiioorrggiioo DD''AAuussiilliioo

CCoonnttiinnuuaa iill vviiaaggggiioo aattttrraavveerrssoo ggllii UUSSAA ddii GGiioorrggiioo dd''AAuussiilliioo.. QQuueessttaa vvoollttaa ccii ppoorrtteerràà aa MMeemmpphhiiss,,nneellllaa rreessiiddeennzzaa ddeell ggrraannddee EEllvviiss PPrreesslleeyy,, ppeerrccoorrrreerràà llee ssttrraaddee ppaarraalllleellee aall MMiissssiissssiippii ffiinnoo aaggiiuunnggeerree aallllaa mmaaeessttoossaa MMoonnuummeenntt VVaalllleeyy..

24

Page 25: IL LEVIATANO

Ma facciamo un passo indietro perinquadrare meglio, anche dal puntodi vista geologico, questa valle uni­ca al mondo, icona degli USA occi­dentali posta al confine fra Utah eArizona.Si tratta di un’area piuttosto isolatadistante più di 60 miglia dalla più vi­cina cittadina di Kayenta.La strada che mi introduce alla Mo­nument Valley è estremamentesuggestiva in quanto segue unpercorso rettilineo in leggera disce­sa che mi ha creato la stranaimpressione di calarmi all’interno diquesto straordinario luogo.Vi sono giunto percorrendo la High­way 163 e penetrando un territoriomorfologicamente pianeggiante co­sparso di guglie dette Mesas: sonoquesti i Monumenti, che al tramontosi infiammano, con la sommitàpiatta, più o meno orizzontale, allabase dei quali si accumulano detritidi pietrisco e sabbia, ultimi resti diun immenso, compatto strato di are­naria rossa che 5 milioni di anni faricopriva tutta questa grandissimaarea, ed è molto triste pensare chefra circa un milione di anni di que­sta valle non rimarrà più nulla inquanto gli agenti atmosferici conti­nueranno ad eroderla fino a farlascomparire del tutto.Si presentano al mio sguardo stupe­fatto come torri naturali formate daroccia e sabbia che assumonole forme più strane, tutte di colorerosso, tinta originatasi dall’ossida­zione del ferro.

Questa Valle dei Monumenti faparte dalla Navajo Nation Re­servation con gli indiani che ne ge­stiscono tutte le attività compreso ildiscusso e costoso View Hotel chemi ospita mentre scrivo queste mierighe. Inaugurato l’anno scorso, amio vedere, ha tolto naturalezzaalla valle prendendo il posto di unessenziale campeggio che esistevada 40 anni e che ben si inseriva nelcontesto morfologico di questo ma­gnificente paesaggio.I rubescenti colossi di pietra miappaiono come usciti dal nulla inuna sconfinata pianura in cuisabbie di color porpora si alternanoa grassi cespugli spinosi.La pista è molto irta e accidentatada continui saliscendi, ma la jeepcondotta dalle mani esperte di unagiovane e bella donna navajo, miaindispensabile guida, procede sicu­ra in questo labirinto naturale,fornendomi inattesi, stupefacentispunti di osservazione e di medita­zione ad ogni curva.Sono nel santuario degli indiani fragli altari delle loro divinità.Per loro ogni enorme pilastro è unsimbolo, è una divinità invocata dasecoli come nume tutelare con rititribali carichi di fascino.Ogni rosso monumento per i nava­jos ha un nome: l’occhio del sole,l’orecchio del vento, la pietra cheparla, il dito che invoca la pioggia.Queste immani colonne di fuocopietrificato sono terribilmente affa­scinanti e nel mio immaginario ve­

do drappelli di pellerossa cavalcarelungo i canaloni o sostare su altepiattaforme in atteggiamenti scru­tatori.Questo è stato il palcoscenico deifilm western di John Ford e di JohnWayne che hanno immortalato,esportandola in tutto il mondo sullacelluloide, questa Valle dei Monu­menti.Più di cento sono stati i film qui gi­rati e non solo di natura western.La notte si scioglie spegnendo unacoltre incredibile di stelle, il sole staper nascere, il cielo si infiamma,l’emozione sale in un crescendo diimmagini stupefacenti in cui il rossodomina su tutto, incantandomi.Incanto rotto solo dai clik delle foto­camere dei giapponesi che quiinvadono il territorio sostituendosi,moderni conquistatori, alle tribù diun tempo.Tutto cambia: i costumi, i popoli simescolano confondendosi, mal’occhio pietrificato dei Monumenti,eterno ed impassibile, rimane ilmuto testimone delle fortune odelle disgrazie di questo nostroinquieto mondo.Cara valle fra poco ti devo lasciare,altri orizzonti mi attendono, ma ituoi colori rimarranno a lungostampati nella mia mente ri­cordandomi una natura, un luogofra i più belli al mondo da me visi­tati.

25

LLaa MMoonnuummeenntt VVaalllleeyy èè uunn''iiccoonnaa ddeegglliiUUSSAA oocccciiddeennttaallii.. IIll ppiiaannoorroo ddeesseerrttiiccoo

èè iinn rreeaallttàà ddii oorriiggiinnee fflluuvviiaallee ee ssiittrroovvaa aall ccoonnffiinnee ttrraa UUttaahh ee AArriizzoonnaa..

LLaa cciittttàà ppiiùù vviicciinnaa ddiissttaa ppiiùù ddii 7700 kkmm::ssii ttrraattttaa ddii KKaayyeennttaa..

Page 26: IL LEVIATANO

letteratura

Cento anni fa, in unasperduta stazioneferroviaria nella Rus­sia centrale, nei pres­si di Astàpovo, moriva

il conte Lev Nikolàevič Tolstòj.Rampollo di una antica famigliadella nobiltà terriera russa, che ave­va la sua dimora a Jàsnaja Poljàna,a circa duecento chilometri da Mo­sca, Tolstòj, il giorno 28 Ottobre1910, in piena notte, all’età di 82anni, decise di abbandonare la suatenuta, la moglie Sonja e i numero­

si figli che amorevolmente avevaaccudito durante la sua esistenza.Quando lo ritrovarono, qualche setti­mana dopo, colpito dalla febbre, i fa­migliari scoprirono che eraintenzionato a rifugiarsi in unconvento in Bulgaria, isolato dalmondo. E difatti pare che le ultimeparole che egli pronunciò fosseroqueste: “andarsene, bisognaandarsene. Andrò in qualche postodove nessuno possa disturbarmi…lasciatemi in pace”.Per chi non conosca bene la figura

titanica e stentorea di questogrande scrittore e pensatore,parrebbero solo le farneticazioni diun folle in preda alla malattia. Inve­ce, come nota il critico GeorgeSteiner : “il pensiero di Tolstòj, cheha dei debiti nei confronti di So­crate, Confucio e Buddha, è anchepervaso dallo spirito pastorale diRousseau.” Tutti personaggi a loromodo profetici, emblematici, dei re­dentori dell’umanità cui tuttavia, ri­spetto allo scrittore russo, parevamancare un vero senso della Natu­

ra. Nelle opere di Tolstòj essa è,invece, il centro di tutti gli sforzidell’autore. Natura intesa come incli­nazione più pura dell’essere uma­no. Come è noto, Tolstòj, nato nel1828, fu sempre pervaso da ansiereligiose, specialmente in conse­guenza di una giovinezza dissipatae balorda a seguito dell’esercito: adesso dedicherà molti dei suoi scrittidel primo periodo, quello che vadalla trilogia autobiograficaInfanzia, Adolescenza, Giovinezza(1852­1857), sino alla stesura delcapolavoro sommo di una vita,Guerra e Pace, affresco storico che

lo occuperà per sei anni, dal 1863al 1869. La narrazione di quest’ope­ra smisurata, per mole di particolaried intrecci, copre due decenni delXIX secolo, in pieno periodo napo­leonico, culminante con l’incendiodi Mosca (1812). In essa il grandescrittore russo ha voluto rendereprotagonista la Storia, in qualchemodo contrapponendola al suogrande ideale, appunto la Natura,attraverso uno scontro interno frapersonaggi che rappresentano la ci­viltà, con tutte le sue affettazioni edartifici, e la vita della campagna, iritmi senza tempo, depositari del

mito, che soggiacciono all’esi­stenza reale del contadino russo, edi chi vi viveva al fianco, i nobiliproprietari delle terre. Ovviamente,Guerra e pace è anche molto altro:in esso si respira l’epica, il senso diun poema. E della struttura delpoema, questa immensa saga ri­prende gli espedienti, l’intrinsecodinamismo, la ripetitività vitale efluente.Pur nel formicolio incessante degliavvenimenti narrati, i romanzi diTolstòj sono plausibili e avvincenti,in quanto la grande struttura delleopere non si fa condizionare dai

ll''uuoommoo cchhee ssffiiddòò ssee sstteessssooddii AAlleessssaannddrroo RRoommaannoo

UUnn sseeccoolloo ffaa ssccoommppaarriivvaa iill ggrraannddee ssccrriittttoorree rruussssoo LLeevv TToollssttòòjj.. AArriissttooccrraattiiccoo ee gguueerrrriieerroo,,nneellll''uullttiimmaa ppaarrttee ddeellllaa ssuuaa vviittaa sscceellssee uunnaa vviittaa rriittiirraattaa ee aasscceettiiccaa.. DDooppoo uunn''aannaalliissii ddeelllleessuuee ooppeerree mmaaggggiioorrii sseegguuiirràà uunnaa rriifflleessssiioonnee ssuu qquueessttoo aassppeettttoo..

Page 27: IL LEVIATANO

piccoli particolari, ma mantiene unocchio sempre aperto sull’interoapparato. L’arte di Tolstòj, sottoli­nea sempre Steiner, è umanistica:rispetto ad altri autori, il conte russodescrive i suoi personaggi senza bi­sogno di paragoni a cose od anima­li, tecnica tipica delle favole o deiromanzi naturalistici. L’integralità ela purezza dello stile tolstojano so­no non solo il suo marchio di fabbri­ca, ma la sua ragione esistenziale:derivano dalla necessità di porsi co­me autentico portavoce di quel chela vita è e deve necessariamenteessere. Nel corso degli anni, in se­guito alla stesura e al disconosci­mento della sua altra operamaestra che è Anna Karénina(anche qui, quattro anni di lavoro,dal 1873 al 1877), nonché a lutti fa­miliari e grandi sconvolgimenti stori­ci, si convince a un integralismomorale sempre più austero. Divienevegetariano, partecipa alla vita deicampi coi suoi contadini (non piùservi della gleba, dopo le leggi del1861 sull’abolizione della schiavi­tù), rinuncia al fumo e all’alcool, esoprattutto, dà corpo al progetto diuna sorta di religione laica, di meto­dologia di vita che si rifà, in buonasostanza, a correnti evangelichedei primi cristiani, sotto l’influenzadi settari come Sjutaev e Bòndarev.Ma il grande individualismo dell’au­tore permane anche in questa suaennesima metamorfosi, in questasua ultima strenua lotta, col vero,grande nemico della sua vita: sestesso.Già, poiché in Tolstòj, molto più chenel grande “rivale” Dostoèvskij, la ri­cerca di brama metafisica, religio­sa, di redenzione umana, si esplicanella vita, che è pervasa però dianeliti cui lo stesso nobile faticava,per sua stessa indole, a rinunciare.In questo senso, Anna Karénina è,paradossalmente, il personaggioche più gli somiglia. Il romanzo ècongegnato come la storia di due vi­te “parallele”, quella di Anna equella di Lёvin, l’altro protagonistadella storia. Entrambi appartengono

a pieno titolo alla suaanima, lacerata da“energie sensuali”.Anna Karénina rima­ne il romanzo piùpersonale di Tolstòj,del quale egli era, persua stessa ammissio­ne, “invaghitocompletamente”: es­so è la celebrazionedi una creatura radio­sa e lucente, Anna,divisa tra la sua vitaprecedente, il matri­monio col buono mafreddo Karénin, equella attuale, la pas­sione cocente col va­cuo ed irruenteVronskij (non a caso,entrambi gli uomini sichiamano Aleksèj).Anna Karénina si pone quale verotestamento personale dello scritto­re, per più di un motivo: è il ro­manzo della presa di coscienzadell’autore, che, pur disconoscendopoi il romanzo, giungerà alla faseculminante della sua vita, quelladella riflessione e dell’ascesi, allaquale non sarebbe mai pervenutosenza la sensualità e la vigoria chefanno di questo libro uno dei puntimassimi della sua opera, e dell’inte­ra letteratura russa e mondiale. Ri­vela la studiosa Serena Vitale: “lacolpa di Anna, ragione narrativa delromanzo e suo movente conflittua­le, non si rispecchia forse in quelle,meno appariscenti […] del marito,dell’amante, della società in cui vi­ve, dell’istituto del matrimonio, e,infine, della natura stessa, chenell’amore cerca e celebra la suaeterna e assoluta volontà di de­vianza?” Nelle parole della nemesidi Tolstòj, Dostoèvskij, ai perso­naggi del libro “il male preesiste”,come vi fosse, nella concezione delsuo creatore, una insopprimibileangoscia, conseguenza di questainadeguatezza, alla quale non sipuò far fronte che nella rinuncia almale o nella morte. Sarà così infatti

per Anna, che si abbandona a untreno che la travolge nel finale dellasua storia. Per ironia della sorte,Tolstòj finirà i suoi giorni proprio co­me la sua creatura più adorata edodiata nel contempo, smarrendosiin una stazione a pochi passi daltreno che, nel mondo fittizio, avevadato fine per sempre alla Karéninae al suo destino di dannazione.In molte altre opere, dal raccontopostumo Padre Sergio, in cui unnobile rinuncia al suo lignaggio perfarsi frate, salvo poi scoprire che lasua vocazione è frutto di orgoglio ebrama personale, o nell’ultimogrande romanzo Resurrezione(1899), in cui il principe Nechljùdovsi trova suo malgrado a dover giu­dicare in un processo la donna cheaveva abbandonato e che era ca­duta per questo in disgrazia,accettando di seguirla nella sua de­portazione in Siberia, si notasempre la grande angoscia chepervade lo spirito tolstojano: mairealmente pacificato, sempre obe­rato dal peso della colpa.Dopo cento anni dalla suascomparsa, il grande scrittore rus­so non smette di far riflettere e diispirare le generazioni future.

TOLSTOJ NELLA PITTURARitratto di Lev Nikolàevič Tolstòj di Ivan Nikolàevič

Kramskòj (1837­1887). Il dipinto è datato 1873,periodo durante il quale il grande scrittore iniziò acomporre uno dei suoi capolavori, Anna Karènina.

27

Page 28: IL LEVIATANO

28

BBAABBBBOO NNAATTAALLEEFFiigguurraa ddeell ffoollcclloorree ppooppoollaarree cchhee ddiisscceennddee ddaa uunn ppeerrssoonnaaggggiioo ssttoorriiccaammeenntteeeessiissttiittoo:: iill vveessccoovvoo NNiiccoollaa ddii MMiirraa,, cchhee,, ppeerr ddiiffffoonnddeerree iill CCrriissttiiaanneessiimmoo nneeii cceettiippiiùù ppoovveerrii,, eessoorrttaavvaa ii ssuuooii ppaarrrrooccii aa rreeccaarrssii ddaaii bbaammbbiinnii ccoonn uunn rreeggaalloo,, dduurraanntteellaa nnoottttee cchhee pprreecceeddeevvaa llaa NNaattiivviittàà.. PPeerr ffaarrlloo,, eessssii ssii vveessttiivvaannoo ccoonn uunn ppaassttrraannoorroossssoo bboorrddòò iinn uunnaa sslliittttaa ttrraaiinnaattaa ddaa ccaannii.. LL''iiccoonnooggrraaffiiaa ooddiieerrnnaa ddeerriivvaa iinnvveecceeddaaii ppaaeessii nnoorrddiiccii,, ee nneellllaa ffaattttiissppeecciiee ddaallllaa ffeessttaa oollaannddeessee nnoottaa ccoommee SSiinntteerrkkllaaaass((""ccoommpplleeaannnnoo ddeell ssaannttoo"",, mmaa aanncchhee ccoonnttrraazziioonnee ddii SSiinntt NNiiccoollaaaass,, SSaann NNiiccoollaa,,cchhee ccaaddee iill 66 DDiicceemmbbrree,, aannccoorraa ooggggii iill ggiioorrnnoo ddeelllloo ssccaammbbiioo ddeeii ddoonnii iinn mmoolltteennaazziioonnii))..

PPRREESSEEPPEEIIll pprreesseeppee ((oo pprreesseeppiioo)),, tteerrmmiinnee cchhee ddeerriivvaa ddaallllaa ppaarroollaa llaattiinnaa pprraaeesseeppeess ((mmaannggiiaattooiiaa)),, èèuunn''aannttiiccaa ttrraaddiizziioonnee rriissaalleennttee aall MMeeddiiooeevvoo.. IIll pprriimmoo pprreesseeppee ffuu rreeaalliizzzzaattoo aa GGrreecccciioo,, iinn UUmmbbrriiaa,,ddaa FFrraanncceessccoo dd''AAssssiissii nneell 11222233,, cchhee,, iinn qquueellll''ooccccaassiioonnee iinnsscceennòò uunnaa rraapppprreesseennttaazziioonnee vviivveenntteeddeellllaa NNaattiivviittàà,, oovvvveerroo llaa nnaasscciittaa ddii GGeessùù CCrriissttoo ee llaa sscceennooggrraaffiiaa aadd eessssaa ccoolllleeggaattaa.. IIll pprreesseeppeeppuuòò eesssseerree uunnaa rraaffffiigguurraazziioonnee vviivveennttee ooppppuurree uunnaa rriiccoossttrruuzziioonnee iinn ssccaallaa..

SSTTEELLLLAA CCOOMMEETTAALLaa pprreesseennzzaa ddii uunnaa sstteellllaa aallllaa nnaasscciittaaddii GGeessùù èè uunn ssiimmbboolloo ddeellllaa vveennuuttaa ddeellMMeessssiiaa.. TTaallee aavvvveenniimmeennttoo èè lleeggaattoo aallllaapprrooffeezziiaa ddii BBaallaaaamm,, uunn aannttiiccoopprreeddiiccaattoorree:: nneellllaa vveerrssiioonnee ggrreeccaa ddeellllaaBBiibbbbiiaa,, iill tteerrmmiinnee ""sscceettttrroo"",, cchhee iinnddiiccaallaa ccoommeettaa,, ssii ppuuòò ttrraadduurrrree ccoonn""uuoommoo"".. AAllll''iinniizziioo ssii ppeennssaavvaa aa RReeDDaavviiddee,, ppooii ll''iiddeennttiiffiiccaazziioonnee ccooll CCrriissttoossii rreessee eevviiddeennttee.. SSuucccceessssiivvaammeennttee,, iirriiffeerriimmeennttii pprreesseennttii cciirrccaa iill tteemmaa ddeellllaalluuccee,, ffuurroonnoo rriiffeerriittii sseemmpprree aallllaaffiigguurraa ddeell SSaallvvaattoorree..

Page 29: IL LEVIATANO

lo sapevate che...?

CCAAPPOODDAANNNNOOLLaa ffeessttaa dd''iinniizziioo aannnnoo ccoommiinncciiòò aadd

eesssseerree pprraattiiccaattaa aaii tteemmppii ddeegglliiaannttiicchhii rroommaannii,, iinn oonnoorree ddeell ddiioo

GGiiaannoo.. IInn ppiieennaa eeppooccaa ccrriissttiiaannaa,, nneellMMeeddiiooeevvoo,, nnoonnoossttaannttee vviiggeessssee iill

ccaalleennddaarriioo ggiiuulliiaannoo,, iill CCaappooddaannnnoovveenniivvaa ffeesstteeggggiiaattoo iinn tteemmppii ddiivveerrssii::

iinn IInngghhiilltteerrrraa ee iinn IIrrllaannddaa ssiicceelleebbrraavvaa iill 2255 MMaarrzzoo ee iinn SSppaaggnnaa,,

ffiinnoo aallll''iinniizziioo ddeell 11660000,, iill 2255DDiicceemmbbrree.. IInn FFrraanncciiaa ffiinnoo aall 11556644 iillCCaappooddaannnnoo lloo ssii ffeesstteeggggiiaavvaa nneellllaa

DDoommeenniiccaa ddii PPaassqquuaa,, nneellllaaSSeerreenniissssiimmaa,, iinnvveeccee,, ttaallee ddaattaa

ccooiinncciiddeevvaa ccooll pprriimmoo MMaarrzzoo.. NNeeiippaaeessii ccaattttoolliiccii ssii ffeesstteeggggiiaa llaa

SSoolleennnniittàà ddeellllaa MMaaddoonnnnaa,, mmaa,,nneellll''iimmmmaaggiinnaarriioo ccoolllleettttiivvoo èè,, ppiiùù

cchhee aallttrroo,, uunnaa ooccccaassiioonnee ppeerrcceelleebbrraarree llaa nnoottttee ddii ppaassssaaggggiioo ttrraaiill 3311 DDiicceemmbbrree ee iill PPrriimmoo GGeennnnaaiioo,,

ffeesstteeggggiiaattoo ccooll ccllaassssiiccoo vveegglliioonnee eeii ccaarraatttteerriissttiiccii ffuuoocchhii aarrttiiffiicciiaallii..

LA NATIVITÀLa nascita di Gesù è narrata neiVangeli di Matteo e Luca: pur conalcune differenze, essi concordanosu diversi punti. La gravidanzadella Madonna annunciata da unangelo, il successivoconcepimento ad opera delloSpirito Santo, il nome del bambino,Gesù, che sarà il redentoredell'umanità. La datazione,avvenuta al tempo di Erode ilGrande, e l'adolescenza del Cristo,svoltasi a Nazareth.

AALLBBEERROO DDII NNAATTAALLEELL''aallbbeerroo ddii NNaattaallee,, ssoolliittaammeennttee uunnaabbeettee oo uunn''aallttrraa ccoonniiffeerraasseemmpprreevveerrddee,, ddiisscceennddee ddaall tteemmaappaaggaannoo ddeell rriinnnnoovvaammeennttoo ddeellllaavviittaa dduurraannttee llaa ssttaaggiioonnee rriiggiiddaa,,ttrraaddiizziioonnee ppooii aassssiimmiillaattaa ddaallCCrriissttiiaanneessiimmoo.. LL''uuttiilliizzzzooooddiieerrnnoo èè ddii ccuullttuurraapprreevvaalleenntteemmeennttee ggeerrmmaanniiccoo­­lluutteerraannaa.. TTrraa llee cciittttàà cchhee nneevvaannttaannoo iill pprriimmaattoo vvii ssoonnooBBrreemmaa ((11557700)) ee RRiiggaa ((11551100))..SSee iinniizziiaallmmeennttee ll''aallbbeerrooeerraa uunnaa ccoonnssuueettuuddiinneeppuubbbblliiccaa,, aa ppaarrttiirree ddaall''770000 ddiivveennnnee uunn''uussaannzzaaaanncchhee ddoommeessttiiccaa.. TTrraa iipprriimmii ppaaeessii ccaattttoolliiccii aaddiinnttrroodduurrnnee ll''uussoo vvii ffuull''AAuussttrriiaa,, aa sseegguuiittooddeellll''iinntteerreessssaammeennttooddeellllaa pprriinncciippeessssaaVVoonn NNaassssaauu..

Page 30: IL LEVIATANO

BALLATA DEI GIARDINID'AUTUNNO

di Emanuele ScicoloneQuanto autunno. In questo luogo sembrache le stagioni non passino mai. Mi sonosvegliato qui pochi minuti fa, ma misembra di esserci nato. Non so se sitratta di un luogo vero o esistente solo

nella mia mente. Non lo so e non riesco a capirlo.La mia stanza è piccola. Le pareti sono di un rossoscolorito, per il resto c'è solo il mio letto. Non c'è un co­modino, non ci sono armadi né quadri. C'è solo unaporta senza maniglia né serratura, e una finestra senzavetro né imposte.Mi avvicino alla finestra e guardo fuori: quello che vedoè tutto l'autunno che circonda questo edificio scono­sciuto. Vedo dei giardini e dei viali. Lunghissimi e sottilialberi piangono foglie d'oro rosso e giallo. A terra è unmosaico di foglie dello stesso monotono colore. Avvertoun'aria sonnolenta, rigonfia di inedia e malinconia. Manon avverto tristezza.Sento delle voci, come delle cantilene, provenire dallealtre stanze. Ma per adesso non ho voglia di levare losguardo da quei giardini.Fissare quegli interminabili giardini rossicci in un certoqual modo mi rilassa. I sentieri creano un labirinto si­nuoso, così arginati da ciottoli rotondi e levigati dalvento.Non ricordo niente.M'accorgo che addosso non ho più i miei vestiti. Indos­so un abito bianco.Mi allontano dalla finestra: ho osservato troppo au­tunno. Adesso ho voglia di qualcosa di più colorato.Raggiungo il corridoio e osservo a destra e a sinistra.Non c'è nessuno. Allora esco dalla mia stanza e mi insi­nuo nelle altre. Nessuno.Ritorno alla mia finestra. Tra tutte quelle foglie mortescorgo qualcuno su una panchina. Sembra un'ombra.Realizzo che si tratta di un giovane sulla trentina, dellamia età. Anche lui mi osserva. Decido dunque diraggiungerlo, ed esco dalla mia stanza. Non conoscoquell'edificio, ma riesco a orientarmi. Scendo al pianoterra e mi trovo nei giardini autunnali.Mi avvicino allo sconosciuto. Osservo i suoi occhi, ilsuo naso, la sua bocca, i suoi capelli. Faccio mia la suaespressione, e mi rendo conto che quel viso ha qualco­sa di familiare.«Buongiorno» gli dico.

alla deriva della notte

CC''èè uunn lluuooggoo cchhee iinn ppoocchhii ccoonnoossccoonnoo,, iillccuuii aacccceessssoo èè vviieettaattoo aaii ppiiùù.. QQuueessttoo èè iillppoossttoo iinn ccuuii ssii ttrroovvaannoo ii mmiissttiiccii eessoonnnnoolleennttii GGiiaarrddiinnii dd''AAuuttuunnnnoo.. CCoossaassiiaannoo èè ssaappuuttoo ddaa ppoocchhii,, ccoommee ssiiaannoo èèssaappuuttoo ddaa aannccoorraa mmeennoo ppeerrssoonnee..FFrraanncceessccoo NNeerroo,, iinn uunnaa sseerraa ddii ffiinneeaauuttuunnnnoo,, ssii rriissvveegglliiaa iinn uunnaa ssttaannzzaa ddiiqquueessttoo lluuooggoo iinnaacccceessssiibbiillee.. ÈÈpprriiggiioonniieerroo ee nnoonn ppuuòò ssccaappppaarree,, ee iinn ppiiùùuunn oossccuurroo ssttrraanniieerroo mmiinnaacccciiaa llaa ssuuaa vviittaa..RRiiuusscciirràà aa ssaallvvaarrssii ee aa ffuuggggiirree ddaaiimmiisstteerriioossii GGiiaarrddiinnii dd''AAuuttuunnnnoo??

Page 31: IL LEVIATANO

«Buongiorno» risponde.«Mi perdoni se la disturbo, ma mi sto domandando cheluogo sia questo.»«Non conosce il nome di questo luogo eppure ci si tro­va?»«Questo secondo lei è un fatto strano?»«Questo è un luogo difficile da raggiungere. Non a tuttiè concesso conoscerlo.»«Qualcuno mi ci ha portato mentre ero incosciente.»«Non lo credo. Se lei è qui è perché ci è venuto con lesue gambe.»«Non ricordo niente.»«Questo non cambia le cose.»«Dunque dove siamo?»«Questi sono i Giardini d'Autunno. Sono le distese delparadiso e dell'inferno.»«E lei chi è?»«Francesco Nero, investigatore, specializzato in perso­ne scomparse, da poco rimasto vedovo.»«Come fa a conoscermi?»Nessuna risposta.«Come mai è qui?» continuo.«Non lo sa? Sono qui per ucciderla.»E lo strano individuo si alza, mi sorride, e scompare tragli alberi dei giardini.Ritorno nell'edificio, vacillando, come reduce da unbrutto sogno.Raggiungo il corridoio al secondo piano, dove si trovala mia stanza, e mi metto a cercare un qualsiasioggetto da usare come difesa. Ma non c'è niente chepossa servire al mio scopo. Non c'è niente di appuntito,nemmeno un paio di forbici. Non c'è niente.Improvvisamente, visitando quelle stanze desolate, rie­sco a udire un leggero sussurro. È la cantilena di pri­ma, ma adesso riesco a distinguere le parole.«Signore del Tempo» dicono quelle voci in coro.«Signore del Tempo, Signore del Tempo...»«Basta!» urlo tappandomi le orecchie.Cerco di focalizzare il volto del minaccioso sconosciutoper cercare di ricordare dove lo avevo già visto, maaccade qualcosa di strano. Realizzo di non riuscire a ri­cordare nemmeno di che colore ha i capelli. La suaimmagine è completamente cancellata dalla miamente.Un volto buio, e niente di più.

Cado in ginocchio e urlo: «chi sei!?»Dopodiché raggiungo la mia camera e mi butto a letto.Sono stravolto.

Un rumore sinistro mi sveglia di soprassalto. È ilcuore della notte. Mi guardo attorno ma non c'ènessuno.

«Il Signore del Tempo, il Signore del Tempo...» siascolta provenire dai corridoi muti e neri.Mi alzo e mi avvicino alla finestra. C'è lui! Non lo vedoma lo avverto. È nascosto nel buio della notte, tra ilunghissimi e sottili alberi carichi di foglie morenti.Sento un leggero rumore di arbusti che si spezzanosotto il passo di qualcuno.È lui! Non lo vedo ma lo sento.«Fatti vedere, maledetto!» urlo dalla finestra.Nessuna risposta.Ho il cuore in gola, ma realizzo che non posso starecon le mani in mano.Penso, o perlomeno cerco di farlo.«Il Signore del Tempo, il Signore del Tempo...»«Maledetti!» urlo, «non mi volete permettere di pensa­re!»Scappo dabbasso. Esco dall'edificio e afferro la primapietra grande che trovo. É sporca di terra umida.Sento di essere nel cuore della notte.«Chi è il Signore del Tempo!?» grido fuori di me.Improvvisamente scorgo un'ombra tra gli alberi.Mi nascondo dietro un tronco e attendo che lo scono­sciuto mi si avvicini. Appena è sotto tiro gli schiaccio ilcranio con la pietra. Cade a terra tramortito.«Il Signore del Tempo...» sussurra.«Chi è?!»Improvvisamente una nube si scosta e permette allaluna di illuminare quei sonnolenti giardini. Mi ingi­nocchio e osservo lo sconosciuto.«Mio Dio!» sussurro, riconoscendo in lui i miei occhi, ilmio naso, la mia bocca, i miei capelli.«Sono... ero io!»Mi ritrovai coi miei soliti abiti, impermeabile e cappellonero. Avevo una Gauloises in bocca.Improvvisamente i Giardini d'Autunno erano solo unbrutto, lontano, impercettibile ricordo.

31

Page 32: IL LEVIATANO

32

PPaaoolloo RRuuffffiillllii ((11994499)) èè nnaattoo aa RRiieettii mmaa èè oorriiggiinnaarriioo ddii FFoorrllìì ee,, ddaall 11997722,, vveenneettoodd''aaddoozziioonnee.. NNeell 11998877 vviinnccee ll’’AAmmeerriiccaann PPooeettrryy PPrriizzee ccoonn llaa rraaccccoollttaa PPiiccccoollaaCCoollaazziioonnee,, mmeennttrree nneell 11999900 vviinnccee ll''aammbbiittoo PPrreemmiioo MMoonnttaallee ccooll ssuuoo DDiiaarriioo ddiiNNoorrmmaannddiiaa.. TTrraa llee ppuubbbblliiccaazziioonnii ddaa rriiccoorrddaarree vvii ssoonnoo:: CCaammeerraa oossccuurraa ((11999922)),,NNuuvvoollee ((11999955)),, LLaa ggiiooiiaa ee iill lluuttttoo ((22000011)).. QQuueesstt''aannnnoo èè iinnffiinnee uusscciittaa llaa ssuuaauullttiimmaa ooppeerraa,, UUnn''aallttrraa vviittaa,, eeddiittaa ddaa FFaazzii EEddiittoorree.. SSii ttrraattttaa ddii uunnaa rraaccccoollttaa ddiirraaccccoonnttii ooggnnuunnoo ddeeddiiccaattoo aa uunn nnoottoo ssccrriittttoorree ddeell ppaassssaattoo..

PPAAOOLLOO RRUUFFFFIILLLLIIiill ggiiooccoo ddeeggllii aammaannttii

Page 33: IL LEVIATANO

intervista

La tua ultima opera si chiama Un'altra vita, e sitratta di una raccolta di racconti brevi, ognunodi essi dedicato a un grande scrittore del pas­sato. Innanzitutto vorremmo chiederti come ènata l'idea.

L’idea dei racconti mi si è formata in testa già a partire daspunti, atmosfere o suggestioni di cose non solo vissutema lette nella grande letteratura. Così situazioni anche di­vergenti si sono organizzate dentro ogni singola storia inriferimento a uno scrittore amato. Che so, per esempio, ri­mescolando nel puro immaginario pagine di Čechovambientate nei grandi alberghi di centri termali (dove, tral’altro, è morto lui stesso) è nato il racconto Stazionetermale. Oppure, riattraversando sempre con la mente enon cogli occhi, insomma senza rileggerle, le pagine diGuy de Maupassant, ecco L’isola sul fiume, dove tral’altro trasformo in parole – come in altri racconti – i quadridegli Impressionisti. Già, perché non c’è solo altra lette­ratura sotto la mia letteratura, ma anche pittura e musica.Per esempio, le partiture di Mozart in Concerto per piano­forte…Abbiamo notato inoltre che i racconti si ispirano anchealle opere degli autori a cui sono dedicati. Hai trovato diffi­cile adeguare il tuo stile e la tua poetica a quelli di questigrandi maestri così differenti l'uno dall'altro?In realtà, non adeguo mai né stile né poetica a quelli degliscrittori di riferimento. La sfida (e l’avventura) è proprioqui: rimanere me stesso mentre mi mescolo agli altri. Mi èsempre piaciuta la mescolanza (dei generi, dei livelli,delle situazioni…), la trovo creativamente produttiva. Delresto, non mi è mai passata per la testa l’idea di scriveredei pastiches di omaggio ad alcuni degli scrittori che predi­ligo – come ha subito visto la critica che si è occupata dellibro –. Se mai si tratta, per me, di dare la mia personalepiegatura agli scrittori che amo.Possiamo dire che questa è la tua prima opera che tratti iltema amoroso. Leggendola tuttavia si potrebbe parlare diracconti sull'amore più che d'amore. Ti trovi d'accordocon questa affermazione?Mi ero già occupato di amore, sia in poesia con il poe­metto Per amore o per forza e con certi passaggi di Dia­rio di Normandia, testi entrambi dedicatiall’innamoramento giovanile, sia in saggistica a propositodegli amori allegri di Carlo Goldoni o di quelli sofferti diIppolito Nievo (a primavera tra l'altro uscirà anche un ro­manzo su quest'ultimo). E ho sempre scritto d’amore,pubblicando poco o niente (nel precedente libro di narrati­va Preparativi per la partenza), fino a questa raccolta diracconti che, giustamente, sono racconti sull’amore primae più che d’amore. La riflessione sul tema, narrativa­mente, per me è scatenante.

Adesso che hai parlato d'amore con la prosa, hai in pro­getto anche una silloge poetica di tema amoroso?A primavera, esce da Einaudi un’ampia raccolta delle miepoesie d’amore, quasi tutte inedite. Non tutte le poesied’amore, però. Una parte, la tengo ancora nel cassettoperché non ha trovato la sua stesura definitiva. Questio­ne di orecchio e di anni, per tutto quello che scrivo. Que­stione, insomma, di musica. La musica, nella miascrittura, è tutto o quasi. È il flusso trainante, la ragionesostanziale, l’unica possibilità di dare una pronuncia siapure approssimativa a quello che chiamiamo verità.Racconti d'amore fugace, lascivo, sensuale, prepotente,appassionato, clandestino. Hai analizzato e descritto ognivolto di questo sentimento. C'è qualcosa di autobiografi­co?Non sono quello che si definisce un autore autobiograficoneppure in poesia, figuriamoci in narrativa. È chiaro chel’esperienza di vita personale conta, ma conta ancora dipiù il tesoro di vita che passa attraverso la letteratura.Come ripetono da sempre gli scrittori, ci sono così tantepossibilità di vita in letteratura che nessuna vita persona­le potrà mai testimoniare. Consapevole di questo e curio­so da sempre di tutte le possibilità, a me piacerovesciarmi nelle vite degli altri e raccontarle, in poesiacome in narrativa. Indifferentemente usando la prima o laterza persona, io parlo sempre di altri e, nello stessotempo, è evidente che parlo anche di me stesso. Di unme stesso che immagina e sogna per sé anche quelloche riguarda altri.Cambiamo completamente argomento. Come ogni no­vembre anche quest'anno presiederai il prestigioso Festi­val Europeo di Poesia, appuntamento rinomato eacclamato che si tiene a Treviso nella Casa dei Carrare­si. Rispetto agli anni passati c'è qualche novità?Sempre all’insegna della poesia intensa e della prospetti­va culturale europea, anche quest’anno festeggiamo ungrande poeta, narratore e saggista: il polacco Adam Za­gajewski. Nato a Leopoli in Ucraina dove non ha mai vis­suto perché i suoi sono stati rimpatriati in Polonia dopo lasua nascita, ha passato l’infanzia a Gliwice, in Slesia, edè diventato noto come poeta guida della Generazione del‘68. Ha preso parte al movimento letterario non ufficialedegli anni ’70 e poi si è trasferito in esilio a Parigi nel1982. La sua opera è in via di pubblicazione in Italia daAdelphi, presso cui è già uscito il volume Tradimento.Della sua poesia ha detto Derek Walcott che “le sueparole ti entrano dentro piano piano. È una voce quietaall’angolo dell’immensa devastazione di un secolo oscu­ro, più intima di quella di Auden, cosmopolita come quelladi Miłosz, Celan, Brodskij”.

Page 34: IL LEVIATANO

paradiso di metallo

Già vincitore del Pre­mio Hugo (come Phi­lip K. Dick) ilNeuromante è un li­bro culto, mentre il ci­

nema ci proponeva la trilogia diMatrix, e prima ancora la virtualitàdi Strange Days, rintracciavamo nelromanzo di Gibson il pretesto lette­rario che generava quei film. Leatmosfere del romanzo ci inquieta­vano, vi è poco di umano e di natu­rale.L’incipit recita: ”Il cielo sopra il portoaveva il colore della televisionesintonizzata su un canale morto”.La tecnica diviene il metro di para­gone su cui misurare le atmosferenaturali, i paesaggi. A uno sviluppofrenetico e veloce della scienza edella tecnologia non segue peròalcuno sviluppo dell’etica né dellabioetica.Diverse scuole filosofiche del pas­sato lasciavano all’uomo due tra­iettorie ideali per il suo essere almondo: verso l’alto e quindi versola divinità, e verso il basso appro­dando allo stato bestiale o ferino.La libertà di intraprende una delledue vie è espressa in quel meravi­glioso manifesto dell’umanesimo ita­liano che è La dignità dell’uomo diPico della Mirandola.

Nel Neuromante di Gibson sembrache l’uomo del futuro da lui immagi­nato, prendiamo Case il protagoni­sta, indirizzi il suo essere nelmondo, e quindi il suo sentire,verso la ‘cosa’. La scena di sessotra Case e Molly introduce quelloche da Benjamin e da Perniola èstato definito ‘il sex­appealdell’inorganico’, la modalità delsentire della cosa.È un mondo in cui l’alto livello ditecnologia e di informatica, così co­me la microchirurgia, rende l’uomopiù simile alla ‘cosa’ che all’esserevivente. Tutte le sue sensazioni so­no filtrate o dalla droga, da unostato di alterazione e quindi di so­spensione della soggettività, o dallaneutralità dello schermo e dellavirtualità; il tutto riconduce sempreal sentire neutro e orizzontale dellacosa.Vi è profusa un’aura di totale anti­umanesimo, la carne è una prigio­ne che impedisce al cowboy dellavirtualità di perdersi e di immergersinell’unica ‘irrealtà’ che per lui vera­mente conta, il cyberspazio che nellibro è definito “non­spazio dellamatrice... illimitati abissi di niente”.Case è uno dei migliori navigatoridell’interfaccia, il suo doppio irrealeriesce a intrufolarsi nelle banche

dati delle corporazioni e a rubare ipreziosi segreti che poi rivende apotenti ricettatori. Come tutti i piratitrattiene qualcosa per sé ma unavolta scoperto viene punito conuna operazione che lede la sua ge­netica neuronale, gli viene impeditodi ‘connettersi’. La sua ricercaverso la guarigione, verso unintervento ripristinante, non hal’anelito verso la salute ma è solo ildesiderio di tornare al virtuale.L’insieme della persona, con l’inte­grità del proprio organismo nonviene preso in considerazione, anziil sentirsi esclusi dal mondodell’interfaccia è una menomazio­ne, vuol dire essere solo corpi, solocarne.La genetica e la tecnologia nonhanno creato un mondo migliorené condizioni migliori per l’uomo, alcontrario, tutta l’aria che si respiradal testo è di un’umanità degradatae corrotta. Uno dei personaggi, Ju­lius Deane, ha centotrentacinqueanni, il suo metabolismo viene co­stantemente alterato da un’immis­sione di siero e ormoni, i genetistidi Tokyo rinnovano il suo DNA, mail suo aspetto è simile alla statua dicera: si approssima alla cosa. Lagenetica diviene il nuovo elisir dilunga vita.

aa ssppaassssoo ppeerr iill ccyybbeerrssppaazziiooddii EEmmiilliiaannoo VVeennttuurraa

UUnn aavvvviinncceennttee ee aalllluucciinnaannttee vviiaaggggiioo nneell ccyybbeerrssppaazziioo,, aallllaa ssccooppeerrttaa ddeell ggrraannddee ssccrriittttoorreevviissiioonnaarriioo WWiilllliiaamm GGiibbssoonn.. FFiigguurraa eesssseennzziiaallee ddeellllaa lleetttteerraattuurraa ffaannttaasscciieennttiiffiiccaa,, iinnnnoovvaattoorreeee aauuttoorree ddii uunnaa ddeellllee ppiieettrree mmiilliiaarrii ddeell ggeenneerree:: NNeeuurroommaannttee..

Page 35: IL LEVIATANO

Un altro personaggio, assoluta­mente secondario di nome Angelo,viene così descrtitto: ”Il suo voltoera un semplice innesto cresciutosu collagene e polisaccaridi di squa­lo, liscio e orrido. Era uno dei lavoridi chirurgia selettiva più sgradevoliche Case avesse mai visto”.La descrizione di questa umanitàgeneticamente progettata rimane lacosa di maggior pregio del libro chenasce come un romanzo di fanta­scienza, con le sue belle scene diazione in cui Case nella matricelancia software e virus per dischiu­dere i programmi di grandi e potenticolossi economici, ma approda poialla meditazione e alla riflessionesulla genetica e la tecnica. Così ilgenere letterario della fantascienzadiviene il medium di interrogativi filo­sofici: almeno è questo il senso diuna rilettura fatta oggi, quello cheprima intratteneva ora produceinquietudine, la sua attualità è anco­ra più reale che non nell’84 quandouscì.Il mondo che ci consegna il Neuro­mante è dominato da uncommercio senza confini, visto cheapproda dalla realtà alla virtualità;tutto è merce, anche il corpo uma­no e la natura stessa.Tutto è manipolabile e alterabileperchè è la natura stessa dell’uomoe del mondo ad essersi evoluta inun essere­negativo, degradato e ge­neticamente modificato; su tuttopredonimina il colore asettico del si­licio e del mercurio.In ogni grande scrittore, così comein ogni vero romanzo, affiora co­stantemente un’affermazione, unarichiesta di comprensione, come senella narrazione venisse rivelatauna verità inconsapevole, quelsegreto che in ogni operatenta di manifestarsicontro il volere dellostesso autore.William Gibson nelsuo Neuromantesembra chiedereall’uomo diinterrogarsi e di

regolare unaforma di etica edi bioeticavolta acomprenderele possibilitàche lo sviluppogenetico­tecnolo­gico impone.Come devecomportarsi l’uomodi fronte alla possibili­tà di auto­progettarsi?Come deve relazionarsicon il mondo della virtualitàche finisce di diventare piùvero della realtà? Comesente e che percezio­ne ha della realtàl’uomo­cosaprogettatonei labo­ratori futuri­stici di unaTokyo irrea­le? Qualeetica deveimporsi l’uo­mo che divie­ne un‘funesto de­miurgo’ di sestesso? Adaltri uominispettano le ri­sposte in unfuturo, si spe­ra, non troppolontano.

Page 36: IL LEVIATANO

36

llaa nnoottttee ppoollaarreeddii MMiicchheellee SScciiaarrrraa

EE ssee llaa nnoottttee dduurraassssee sseeii mmeessii?? IInn aallccuunnee nnaazziioonnii aaccccaaddee.. QQuueessttoo ffeennoommeennoo ppaarrttiiccoollaarree,, ooppppoossttooaall cceelleebbrree SSoollee ddii mmeezzzzaannoottttee,, èè ccoonnoosscciiuuttoo ccoommee NNoottttee ppoollaarree..Esistono delle zone, nel

nostro pianeta, in cuiavviene un curioso fe­nomeno, chiamatoNotte Polare, o, più co­

munemente, Buio a Mezzogiorno.Esso è di natura astronomica,avviene d’inverno, e, come è abba­stanza evidente, durante la suaestensione, non si assiste mai alsorgere del sole.Questo evento, di certo affasci­nante, avviene nelle regioni checonfinano coi circoli polari, sia Arti­co che Antartico: a causa dell'incli­nazione dell'asse terrestre, il solenon sale mai sopra l'orizzonte equindi è notte per tutto l'arco dellagiornata. Il fenomeno opposto, chesi verifica d'estate, è il cosiddettoSole di Mezzanotte. Della medesi­ma temperie è anche l'evento cheva sotto il nome di “notti bianche”:nei luoghi al di sopra dei 60º di lati­tudine, accade che, pur non arri­vando alle misure del puntomaggiore dell'Europa con questecaratteristiche, Capo Nord, che haun lungo tramonto dal 14 Maggio al29 Luglio, anche città moderne eimportanti come Stoccolma o SanPietroburgo non dormono mai, poi­ché il Sole tramonta dietrol'orizzonte, ma a causa della rifra­zione la luce del crepuscolo è suffi­ciente per svolgere ogni attivitànotturna senza l'utilizzo di luce artifi­ciale.Tuttavia, benché appaia paradossa­

le, non sempre nei punti in cui simanifesta un evento necessaria­mente si può assistere ancheall’altro. Questo si verifica a causadel crepuscolo: le regioni polari, du­rante l’anno, sono più vicine al solerispetto, ad esempio, a quelleequatoriali. Poniamo il caso di Kiru­na, località posta a 67° 49′ N, appe­na sopra il Circolo Polare Artico.Ebbene, essa avrà più luce dellacittà di Stoccolma, che pure è benpiù in basso, a 59° 39′ N. La nottepolare, quando il sole è sottol’orizzonte, peraltro, non ha esatta­mente la stessa durata ovunque:può variare dalle 20 ore dei circolipolari, ai 179 giorni dei poli geografi­ci (da notare che in queste zone ilsole è sopra l’orizzonte per 186giorni).

La notte polare non è, tuttavia,una coltre totale di buio, poi­ché vi è sempre dell’illumina­

zione dovuta alla rifrazione, e ilcriterio è soggettivo, dato che siidentifica con giorno anche unsemplice e parziale superamentodell’orizzonte da parte della stelladella Via Lattea. Molto spesso, inve­ce della notte, si ha un semplicecrepuscolo: questo si nota a latitudi­ni elevate, dato l’angolo moltopiccolo del sole all’atto di tramonta­re, cosicché, per riuscire a portarea termine il tramonto, esso impiegamolto tempo, e il crepuscolo può du­

rare diverse ore. Vi è poi la co­siddetta notte polare civile,ovverosia quel momento dell’annoin cui non avviene il crepuscolo ci­vile, così chiamato perché coincidecon la possibilità di normali attivitàall’aperto, fra 0 e 6 gradi sottol’orizzonte. La notte di questo tipo,limitata a regioni superiori a 72°33',non avviene solitamente in Europa,anche se nello Svalbard, territorionorvegese, essa appare dal 12 No­vembre sino a fine Gennaio, perio­do in cui, generalmente in tuttaquella nazione, avviene tale feno­meno. Uno dei luoghi migliori dovepoter assistere alle notti polari (eanche al sole di mezzanotte) è lacittadina universitaria di Tromsø,una delle località urbane piùsettentrionali del mondo.Altre due tipologie, infine, interes­sano questo spettacolare fenome­no: la notte polare nautica, la nottepolare astronomica. La prima è ilperiodo in cui c'è soltanto un debo­le chiarore visibile a mezzogiorno.Accade quando non c'è il crepu­scolo nautico, col sole fra sei e do­dici gradi sotto l'orizzonte. A causadella diffusione atmosferica, si ve­de ancora chiaramente un postoall'orizzonte con più luce che in altriposti. La notte polare nautica è li­mitata alle regioni di latitudine su­periore a 78°33', che èesattamente 12 gradi oltre il circolopolare. Quella astronomica, invece,non permette di vedere alcunatraccia di luce e, di conseguenza,

Page 37: IL LEVIATANO

astronomia

non avviene alcun tipo di crepusco­lo. Accade a latitudini superiori a84°33', che è esattamente 16 gradioltre il circolo polare e 5°66' dalpolo. Non vi sono terre emerse, adeccezione dell’Antartide, in cuiavviene questo fenomeno.Benché si pensi solamente al latoinconsueto di questo evento, essopuò provocare, negli individui piùsensibili, una vera e propria depres­sione, dovuta alla scarsa esposizio­ne alla luce, e a una esistenzarelegata, per diversi mesi l’anno, auna vita non semplicementeappartata, ma, in concreto, circo­scritta all’interno delle abitazioni,mentre all’aperto vige il regno delletenebre. Allo stesso modo, parados­salmente, avviene durante il perio­

do di luce totale. Ritornando con lamemoria al celebre racconto di Fë­dor Dostoevskij che si intitolaappunto Le notti bianche, ci sirende conto di quanto la luce o lasua mancanza possano influenzarele nostre abitudini, ormai consoli­date non solo nel nostro lavoro maanche nei momenti di riposo.Pensando al Narratore protagoni­sta di quell'opera, che vaga pergiorni e giorni durante il momentopiù brillante e lucente dell'anno,non ci si stupisce allora che egli va­ghi solo e senza amici, alla ricercadi un contatto qualsiasi. Poiché,sprofondati nel buio come nella suaassenza, e indorati dai raggi del so­le oppure costretti a sognarli perun'impossibile voglia di ottenerlo,

i malesseri che ci portiamo dietro,così come le nostre gioie, a volte simanifestano proprio nei momenticontrari a quel che lo spazioesterno sembra suggerirci. Cosìcome questo ciclo diurno onotturno va a compimento, anchele nostre forze ci lasciano o ci pre­miano a seconda dei nostri motisentimentali, molto influenzabilidall'ambiente circostante.Per queste e per altre ragioni, glieccezionali eventi che avvengononel tetto del mondo (e perconverso, ai suoi antipodi) sottoli­neano una volta di più la necessitàprimaria dell'essere umano, la pre­senza della luce: che a sua voltanon è altro che uno specchio dellanostra anima.

AAUURROORRAA BBOORREEAALLEELL''aauurroorraa ppoollaarree,, ((aauurroorraa bboorreeaallee oo aauussttrraallee aa sseeccoonnddaa ddeellll''eemmiissffeerroo

iinn ccuuii ssii mmaanniiffeessttaa)),, èè uunn ffeennoommeennoo oottttiiccoo ddeellll''aattmmoossffeerraaccaarraatttteerriizzzzaattoo ddaaggllii aarrcchhii aauurroorraallii,, ddeellllee bbaannddee lluummiinnoossee ddii ccoolloorree

cchhee ssppaazziiaannoo ddaall rroossssoo aall vveerrddee aallll''aazzzzuurrrroo..QQuueessttoo ffeennoommeennoo èè ccaauussaattoo ddaallll''iinntteerraazziioonnee ddii ppaarrttiicceellllee ccaarriicchhee

((pprroottoonnii eedd eelleettttrroonnii)) ddii oorriiggiinnee ssoollaarree ccoonn llaa iioonnoossffeerraatteerrrreessttrree ((ll''aattmmoossffeerraa ccoommpprreessaa ttrraa ii 110000 ee ii 550000 kkmm))..

TTaallii ppaarrttiicceellllee eecccciittaannoo ggllii aattoommii ddeellll''aattmmoossffeerraa cchhee,, ddiisseecccciittaannddoossii,,iinn sseegguuiittoo eemmeettttoonnoo lluuccee ddii vvaarriiee lluunngghheezzzzee dd''oonnddaa..

Page 38: IL LEVIATANO

l'arte della guerra

LL''AARRTTEE DDEELLLLAA GGUUEERRRRAABBaacckkggaammmmoonn:: llee aappeerrttuurree mmiigglliioorriiLLee aappeerrttuurree vviinncceennttii ddeellll''aannttiicchhiissssiimmoo ee rraaffffiinnaattoo ggiiooccoo ddeell BBaacckkggaammmmoonn.. DDoovvee ssttrraatteeggiiaa ee

ffoorrttuunnaa ssoonnoo ii dduuee llaattii ddeellllaa sstteessssaa mmeeddaagglliiaa ee llaa mmaatteemmaattiiccaa ssii ccoonnffoonnddee ccooll ffaavvoorree ddeeggllii aassttrrii,,ssii tteenntteerràà ddii ssffrruuttttaarree aall mmeegglliioo llaa ccaassuuaalliittàà ddeeii ddaaddii..

DDAADDII 33­­11MMuuoovveennddoo 66 iinn 55 ee 88 iinn 55,, ppoossssiiaammooiinniizziiaarree aa ccoossttrruuiirree uunn oottttiimmoo pprriimmeepprroopprriioo nneellllee ppuunnttee ppiiùù iimmppoorrttaannttii ddeellttaavvoolliieerree.. QQuueessttaa èè uunn''aappeerrttuurraaaauuttoommaattiiccaa,, nneell sseennssoo cchhee nnoonn cciissoonnoo aallttrree ppoossssiibbiillii mmoossssee mmiigglliioorrii..

DDAADDII 66­­11CCoonn 88 iinn 77 ee 1133 iinn 77 ssii ccoommiinncciiaa uunnoottttiimmoo pprriimmee.. LL''aavvvveerrssaarriioo aaddeessssoo ssiittrroovvaa llee ppuunnttee 66,, 77,, 88 ooccccuuppaattee ppeerruunn''eevveennttuuaallee ffuuggaa ee iinn uunn cceerrttoo qquuaallmmooddoo èè pprriiggiioonniieerroo nneellllaa nnoossttrraa zzoonnaaiinntteerrnnaa..

DDAADDII 44­­22FFiinnoo aa ppooccoo tteemmppoo ffaa ssii pprreeffeerriivvaammuuoovveerree 66 iinn 44 ee 88 iinn 44 bbuuttttaannddoo lleebbaassii ppeerr uunn pprriimmee.. TTuuttttaavviiaa llaa mmoossssaammiigglliioorree èè qquueellllaa nneellll''iimmmmaaggiinnee::bbiissooggnnaa ssffrruuttttaarree qquueessttoo ttiirroo ppeerrccoossttrruuiirree..

DDAADDII 44­­33SStteessssaa ccoossaa ddeell ttiirroo 44­­22.. LL''aavvvveerrssaarriioonnoonn ppuuòò ssffiioorraarrccii ccooll rriissuullttaattoo ddii 11ssiinnggoolloo ddaaddoo,, ee ppeerr nnooii èè ppiiùùiimmppoorrttaannttee ooccccuuppaarree llaa zzoonnaaccoommpprreessaa ttrraa 55 ee 1100.. IInn qquueessttoo mmooddoollee ppoossssiibbiilliittàà ppeerr uunn pprriimmeeaauummeennttaannoo..

ALTRE APERTURE6­6: il mitico tiro che cipermette di avere unvantaggio eccezionale rispettoall'avversario. Si deve muove­re assolutamente 24 in 18 (2pedine) e 13 in 7 (2 pedine).6­4: tiro interessante. Si puòspostare 24 in 18 e 13 in 9. Inquesto modo si smuovono leacque, nel contempo si obbli­ga l'avversario a difendersi eci si offre due possibilità danon sottovalutare: una fuga(runners), e un potenziale pri­me. Se ci viene presa la pedi­na in 18, poco male: il bianconon ha ancora costruito primenella sua zona interna.6­2: con questo tiro o si muo­ve un runner prima 24 in 18 epoi 18 in 16 cominciando unapartita di corsa, o si muove unrunner 24 in 18 e l'altro 13 in11, aprendosi anche altre pos­sibilità. Le due mosse, perimportanza, si equivalgono.4­1: tiro che si può sfruttarecon una piccola dose di ri­schio, muovendo 13 in 9 e 8 in7. C'è una buona percentualeche l'avversario ci mangi in 7,tuttavia, se questo non accadeci assicuriamo un enormevantaggio se riusciamo a co­struire un prime in quella zo­na.2­2: spostiamo i due runners24 in 22, e 2 pedine 13 in 11.Ci portiamo avanti coi primi, eleviamo terreno alla fugadell'avversario.1­1: 2 pedine 6 in 5 e poi, ascelta, o i runners 24 in 23, o2 pedine 8 in 7.

player: green

Page 39: IL LEVIATANO

poesiepoesie

39

IL DESTINORIZZONTEStracci di sonno coprono,masticano il corpo della nottediafano di tenerezza;lo avvinghianosinuoso di buio– flessuoso di membra stellate –e lo attraversano d’amore.Poi, fosforescente,lo sguardo della nebbia,scosso di stanchezza,si espande lento nel cuorecome un gas di desiderivolatilizzati.Mentre il mio destino,guantato dalla notte,scende nei sobborghi dell’anima:strade oscure di pensieroe siepi d’amores’intersecano nel mio nome.Il destinorizzontes’attorcigliaa questa landa di tempo.«Chi» – si domanda –«striscerà nella roccia del cantola gioia, turgidacome i seni di un fioreincantato?».

***PAROLE DAL SILENZIORicorda il misteroche fioriva in un sospiro,dove la morte ha tessuto il nidocome una spiaggiadi parole taciute;come un barbaglio di sognitrasparenti,orchestra di anime perdute.PIETRO PANCAMO

LA FORESTAMi alzai quel mattino imbiancatocon la voglia leggiadra d'uscireverso il bosco attorno alla mia casa.Dalla finestra, una coltre di nevecopriva la terra assiderata dal gelo.Intorno a me, all'aperto, il silenzio.D'improvviso, dal folto della foresta,s'avanzò un sibilo, sempre maggiore,sempre più forte, sempre più vivo.E, nel breve volgere dell'aurora,un immenso branco di renne s'avvicinòa me: rimasero a fissarmi impazienti,come in attesa di un mio intervento.Mai la natura, nella quale ero immerso,mi era stata così vicina.Mentre emergeva il giornodalle viscere della notte, esse tornarono,imponderabili, al loro regno innevato.

***UN ANGELOAppesa alla parete, integerrima,l'icona dell'Arcangelo mi squadravafredda come un vento sferzante.Era il giorno di Natale. Fuori dalla mia casa,parve scatenarsi il pandemonio.San Michele con la sua fervida lanciami ammoniva sulle mancanzedi un anno intero. Spaventatodal suo sguardo, protervo e rigido,mi segnai con la mano, voltandomi.Ruotai il busto, in attesa del giudizio:ma il volto di quel giudice inflessibiles'era mutato in un sorriso beato,fresco, clemente come una carezza.E nella mano, al posto della lancia,solo due dita di benedizione.DOMENICO DI ADAMO

Page 40: IL LEVIATANO

UN CANTO DI NATALECharles Dickens, 1843La storia natalizia più conosciu­

ta e più coinvolgente. Il prota­gonista è Ebenezer Scrooge,

vecchio tirchio e misantropo, e il suosarà un percorso di consapevolezzae redenzione attraverso la nottedella Vigilia di Natale.Come ben si sa, riceverà la visita ditre spettri, lo spirito del Natale Pas­sato, quello del Natale Presente equello del Natale Futuro. Rivivrà lapropria giovinezza potendo osserva­re con occhio critico quelle scelteche lo hanno portato a una vitaarida e devota esclusivamente aldenaro. Potrà conoscere il presentein una sorta di momentanea onni­scienza, in quanto sbircerà la vita dicoloro che gli stanno attorno e chegeneralmente maltratta. E infine po­trà conoscere il proprio cupo futuro,inesorabile se seguiterà con quellostile di vita, modificabile se inveceprenderà coscienza delle propriacondotta e abbraccerà la redenzio­ne. Un capolavoro senza prece­denti, ispiratore di qualsiasi altroromanzo natalizio e non solo. Nono­stante siano trascorsi 167 anni dallasua prima edizione è di impressio­nante attualità in quanto è questa lavera epoca dell'aridità spirituale go­vernata dal dio denaro.Una perla adatta a tutti, semplice eimmediata, per un Natale magico,per chi ha voglia di sentire la beati­tudine nell'anima.

UN'ALTRA VITAPaolo Ruffilli, 2010Paolo Ruffilli è poeta e

narratore residente a Trevi­so, e questa è la sua prima

vera opera dedicata all'amore. Unaraccolta di racconti suddivisa in sta­gioni, e ogni scritto è dedicato a unautore importante del passato. Oltrea questo, Ruffilli si ispira a questicelebri scrittori, talvolta in modo no­stalgico, talvolta ironicamente,talvolta con la tipica passione di chiscrive di amanti e amati. Perché gliamanti di Ruffilli sono fedeli, appas­sionati, lascivi, lussuriosi, eterei, dia­fani, malinconici, euforici,disincantati, ingenui; insomma, vo­gliono rappresentare tutte lesfaccettature dell'amore. Sonoemblemi, e come tali non ci è datoconoscere il loro nome. Potremmoessere noi stessi, o qualcuno che inrealtà non è mai esistito. Questodubbio crea quell'alone di meravigliache come un'ombra serale avvolgeogni singolo racconto. Lo avvolge eparadossalmente lo abbaglia. Leambientazioni sono sempre diffe­renti, e questi amanti – forse un'uni­ca coppia reincarnataperpetuamente – sono trampolierisul filo di un fato improvvisato, ingo­vernabile, affascinante.Paolo Ruffilli non ci parla dell'amore,bensì dei suoi fautori: gli amanti.Amanti capricciosi che colgono l'atti­mo che fugge, riservati e impauriti,che ne vivono l'aspetto più sotterra­neo e mistico.

NOBEL A VARGAS LLOSALo scorso 7 Ottobre, aStoccolma, è stato insignitodel premio Nobel per la Lette­ratura lo scrittore peruviano MarioVargas Llosa. Nato ad Arequipa nel1936, Llosa, pur vivendo a pieno ti­tolo nel paese sudamericano (èstato persino candidato alle elezio­ni presidenziali nel 1990), ha unacultura fortemente legata all'Euro­pa, avendovi soggiornato più volteper diverso tempo. Inizia la suacarriera nel 1959 con la raccolta diracconti Los jefes. Tra le sue opereprincipali, sempre sospese tra rea­lismo della messinscena e speri­mentazioni narrative di improntaora cinematografica ora satirica, visono i romanzi La casa verde(1966), ambientato in una casachiusa della provincia peruviana, eil suggestivo Conversazione nellaCattedrale (1969). Alcuni suoi ro­manzi sono anche diventatisoggetti per lungometraggi, tra cuisi ricorda Zia Julia e la telenovela(1977), divenuto un film (1990) conprotagonista Peter Falk. Llosa,anche autore teatrale e saggista, ècomunque uno dei maggiorinarratori latinoamericani, assiemeal suo nume tutelare GabrielGarcìa Marquez, dal quale, tutta­via, per divergenze politiche, ha poipreso le distanze. La sua ultimaopera narrativa in ordine di tempoè Avventure della ragazza cattiva(2006), cronaca picaresca di unamore nomade, tra una donna e ilsuo "angelo custode", semprepronto a proteggerla.

lloo ssccrriittttooiiooNEW

Page 41: IL LEVIATANO

IL NATALE DI POIROTAgatha Christie, 1939Durante la cena di Natale,l'investigatore Hercule Poi­rot, invitato dal capo della

polizia del Middleshire, dopo averdialogato sul suo tema abituale, ildelitto, deve risolvere un nuovo mi­stero: l'omicidio di un anziano milio­nario. Quest'ultimo, odiato da moltidei suoi familiari, viene trovatoall'interno di una stanza chiusa achiave con la gola squarciata. Rifa­cendosi a uno schema risaputo madi impareggiabile perfezione, conquesto giallo Agatha Christie insce­na un'altra mirabile macchina adorologeria, che tiene col fiato sospe­so sino alla fine. L'originalità, oltreche nel sapiente intreccio, è anchenella beffarda ironia alla basedell'opera: nel dialogo iniziale, unodegli interlocutori di Poirot sostieneche a Natale la gente sarebbe me­no propensa al delitto, subitosmentito sia dal protagonista, cheincolpa del tutto la stretta vicinanzae la repressione dei propri istinti innome di una festa prestabilita, siadalla fatalità che, come sempre,pende sul capo dei personaggi diquesta scrittrice che conosce sia letecniche narrative che l'animo uma­no. Un libro insolito per un Natalesotto il segno del brivido, da leggerenei pomeriggi uggiosi dei giorni fe­stivi. Poirot è sempre un ottimocompagno, grazie anche al suo ca­ratteristico humour.

IL MASTINO DEI BASKERVILLEArthur Conan Doyle, 1902Terzo romanzo che vede pro­

tagonista l'investigatore diBaker Street. Questa volta

Sherlock Holmes deve risolvere uncaso alquanto inquietante. ADartmoor, nella tetra brughierainglese, si aggira una creaturainfernale nella forma di un mastinoterribile. Questa a quanto pare sa­rebbe conseguenza di una maledi­zione ricevuta dai nobili Baskervillea causa del comportamento blasfe­mo di Sir Hugo Baskerville, un ante­nato che in tempi precedenti si eramacchiato di turpi e brutali ne­fandezze. Il fidato Watson verràspedito a Dartmoor a prendereinformazioni. La cupa e paludosabrughiera anglosassone, l'inquie­tante maniero dei Baskerville pienodi quadri e brutti ricordi, personaggisospettosi e custodi di turpi segreti,intrighi insospettabili e leggendemaledette fanno di questo romanzouno dei migliori, se non il migliore,della serie di Holmes. Assieme a Ilsegno dei quattro infatti è proba­bilmente il più riuscito, sia per atmo­sfere che per trama. L'investigatoredi Baker Street entra di diritto nellaleggenda portandosi appresso unastoria indimenticabile, portata sva­riate volte sul piccolo schermo. Unlibro da regalare per un Natale emo­zionante, un classico del mistero daleggere sotto le coperte, alla luceopaca di una candela.

IL FANTASMA DI CANTERVILLEOscar Wilde, 1887Questo classico di Oscar

Wilde, che appartiene allaproduzione giovanile

dell'autore, si pone come una paro­dia intelligente delle storie di spettri.Nel castello di Canterville, inInghilterra, arriva la famiglia di unpolitico americano. Il proprietariodella magione, il fantasma di sir Si­mon, colpevole dell'uccisione dellamoglie Eleonore, vorrebbe scaccia­re questi intrusi, spaventandoli conla sua presenza.Deluso e amareggiato non solodalla loro disincantata reazione, maanche dalle burle che è costretto aricevere, diventa triste, rasse­gnandosi alla sua condizione didannato. Sarà solo l'intervento dellafiglia minore del senatore america­no, Virginia, che intercederà per luipregando Dio per il suo perdono, adare al fantasma la pace eterna.Come sempre provocatorio e fulmi­nante, Wilde utilizza il più trito deicanovacci del genere per dileggiarequella usurata tipologia di storie eoffrire un momento di svago leggia­dro. Da leggersi nella sera di Nata­le, all'ombra d'un caminoscoppiettante, in compagnia deipropri familiari.Da regalare a coloro che amano lestorie di fantasmi e che apprezzanoil particolare humor inglese. Un librointelligente per persone intelligentiche conoscono l'autoironia.

41

Page 42: IL LEVIATANO

I DEMONI DI SAN PIETROBURGOGiuliano Montaldo, Italia, 2008San Pietroburgo, Febbraio

1860. Lo scrittore Fёdor Do­stoèvskij (Miki Manojlovič)

viene contattato da un presuntofolle, Gusiev, che è nella realtà unodegli anarchici responsabili dell’as­sassinio del principe ereditario, iquali stanno ora progettando unnuovo omicidio, ai danni del grandu­ca. Mentre cercherà di sventare ilcomplotto, Dostoevskij proverà acompletare uno dei suoi romanzi piùcontroversi, Il giocatore, grazieall’aiuto della stenografa e futuramoglie Anna, e a contattare la nobi­le Aleksandra, unico modo per rove­sciare lo scellerato piano deirivoluzionari. A quasi vent’anni dallasua ultima opera, Tempo di uccide­re, Giuliano Montaldo, uno dei deca­ni del cinema dell’impegno civile,gira un progetto che, pensato neglianni ’70, da un’idea del cineastarusso Andrej Končalovskij, mescolacon maestria fiction e realtà storicacome in poche occasioni si è visto inItalia. Se da più parti si è cercato dicontestare l'opera di Montaldo, que­sto è da imputarsi alla nostra critica,miope quando si tratta di premiare ilcoraggio di un film lontano dalla no­stra cultura per tematiche eambientazione. Come diceva OrsonWelles, i critici non hanno ragione diesistere: mercenari dei potenti,hanno in mano un potere che il piùdelle volte non sanno gestire.

LA VITA È MERAVIGLIOSAFrank Capra, USA, 1946Uno dei classici del Natale,

firmato dall'intramontabileFrank Capra. In un paesino

di provincia, Bedford Falls, GeorgeBailey (James Stewart), a seguito didelusioni professionali, decide difarla finita. Ma, nel momento in cuisi sta gettando in un fiume, vienesalvato da Clarence (Henry Tra­vers), un angelo inviato da Dio. Ilsuo compito sarà quello diconvincere George a ritrovare la fi­ducia in se stesso, e per farlo glimostrerà come sarebbe stato il de­stino della cittadina e dei suoi fami­liari se egli non fosse mai esistito.Di fronte a questa realtà alternativa,George comprende il senso realedella sua vita, e tornerà, alla fine,dalla sua famiglia. Una favola sullapresa di coscienza molto emble­matica, in cui Capra opera una criti­ca velata, ma vivida, sui vizi dellasocietà americana, e lo fa con il suostile scintillante e brioso. Una pelli­cola da rivedere con gusto, privadella zuccherosità di altre opere si­mili. Da vedere il giorno di Nataleassieme a tutta la famiglia, persentirsi pervadere da quell'incantoinvernale che solo Capra è cosìeccellente nell'offrire. Si tratta infattidi una fiaba senza tempo, fatta diangeli e persone apparentementesenza speranza. Ma il messaggio èchiaro e universale: la speranza èproprio l'ultima a morire.

ANGELI CON LA PISTOLAFrank Capra, USA, 1961Durante il proibizionismo, il

gangster Dave (GlennFord), duro dal cuore tene­

ro, si ritrova controvoglia ad aiutarela mendicante e ubriacona AppleAnnie (Bette Davis): la donna staper ricevere la visita della figlia(Ann­Margret) che, dall'Europa, stavenendo a trovarla assieme al futu­ro marito e alla sua famiglia altolo­cata. Nessuno di loro è aconoscenza della situazione econo­mica di Annie, cosicché Dave siingegnerà per trasformare la poveramendicante in una signora dell'altasocietà. Remake di Signora per ungiorno (1933) dello stesso FrankCapra, e ultimo suo film, è unaperfetta commedia dell'inganno,che celebra lo spirito di cooperazio­ne e solidarietà al servizio degli altrima, al di là del lieto fine apparente,ha un sapore agrodolce, poiché,alla fine della grande festa edell'inganno perfettamente riuscito,tutto tornerà com'era prima, puravendo conservato, agli occhi di chinon si voleva deludere, una visioneidilliaca. Ma questo non èimportante: la pellicola è una fiabain piena regola, e non pretende diessere nulla di più. E la colonna so­nora tratta da Lo Schiaccianoci diČajkovskij, l'atmosfera magica e ilcrescente senso di coinvolgimentodei protagonisti del film, rendonoquest'ultimo un piccolo capolavoro.

42

54 3

Page 43: IL LEVIATANO

RICOMINCIO DA CAPOHarold Ramis, USA, 1993Phil Connors (Bill Murray), un

meteorologo televisivo dalcarattere impossibile, si reca

controvoglia al Giorno dellaMarmotta, una festa caratteristica inuno sperduto paesino dellaPennsylvania, per fare un reporta­ge. Dopo aver girato il suo servizio,passa una serata noiosa e va adormire. Il giorno dopo, inizia asuccedergli qualcosa di strano: ognimattina, alle 6:00 in punto, la suagiornata si ripete invariabilmenteuguale alla precedente. Se all'inizioriesce a destreggiarsi abilmente inquesta ripetizione ossessiva, esau­dendo ogni suo più recondito desi­derio, alla lunga la cosa lo annoia eil tedio la vince, concludendo spes­so la sua giornata con un suicidio.Per ritrovarsi, inevitabilmente, a rivi­vere la giornata il mattino dopo.Sinché un giorno... Commediaagrodolce con uno scatenato BillMurray, come sempre fuori daglischemi, il film si pone quale antido­to al film fracassone e pieno di gagstiracchiate come sono i cosiddetti“cinepanettoni”, e mette in scenauna serie di situazioni paradossali espassosissime che non sono immu­ni da una riflessione efficace sullescelte giuste da fare nella vita. Tra ivari remake vi è quello di AntonioAlbanese, È già ieri. Il film, noiosis­simo e presuntuoso, non regge ilconfronto con l'originale.

FESTIVAL DEL CINEMA DI ROMASI è conclusa il 5 Novembre laquinta edizione del FestivalInternazionale del Cinema diRoma, ormai una delle kermessepiù importanti della settima arte. Lagiura del premio, presiedutadall'attore e regista Sergio Ca­stellitto, e composta dalla scrittriceNatalia Aspesi, dai cineasti UluGrosbard e Edgar Reitz e dalla di­rettrice del museo del cinema diMosca Olga Viblova, ha decretatocome miglior film, premiato come èconsuetudine col Marco Aureliod'Oro, la pellicola Kill me please diOlias Branco. Il film, di produzionebelga, è una interessante medita­zione sulla morte, in cui un medicocon teorie all'avanguardia, approntauna strana clinica dove si pratical'eutanasia. Il gran premio dellaGiuria è stato appannaggio del da­nese Haevnen della regista Su­sanne Bier, in cui un medicoappena tornato da una missione inSudan si confronta con la ben di­versa esistenza dell'occidente.Menzione speciale al tedesco Polldi Chris Kraus, ambientato alle so­glie della Grande Guerra in un pae­se sul Mar Baltico, crocevia dipopoli. In generale, la manifestazio­ne si è quindi improntata versopellicole impegnate, ma tutte, a loromodo, alla ricerca di un linguaggiodiverso e innovativo. Da ricordare ipremi agli attori: il cast femminiledel messicano Las buenas hierbas,il nostro Toni Servillo con Una vitatranquilla, e un premio specialeall'attrice americana Julianne Moo­re.

bbuuiioo iinn ssaallaa

AVATARJames Cameron, USA, 2009Avatar è il film che ha guada­

gnato di più nella storia delcinema. Distribuito in 3D

proprio mentre questa rivoluzionariainnovazione stava prendendo pie­de, ha attirato milioni di spettatori.Elogiato dalla critica, amato dalgrande pubblico, vincitore di 3Oscar, il film è l’apoteosi deipeggiori blockbuster hollywoodianie in generale delle più sciatte pelli­cole made in USA. Dopo aver“comperato“ svariati Oscar per ilsuo Titanic, pellicola tra le più bidi­mensionali della nostra epoca, Ca­meron ha ben deciso di sfornarel’ennesimo polpettone di quasi treore in cui ci si può sbizzarrire, sce­na dopo scena e senza possibilitàd’errore, a prevedere quello cheaccadrà. La pellicola è una palesescopiazzatura a film ben più presti­giosi, primo fra tutti Balla coi lupi diCostner. Ma non occorre di certoscomodare opere di tale blasone:basterebbe citare un qualsiasi B­movie western, in cui i cowboyscombattono contro gli indiani. In 3Dla pellicola ha un sapore che,seppur annacquato, ricorda certispettacolari quanto insignificanti vi­deogame di ultima generazione,senza il 3D tutto si tramuta in unmare di inedia. Pensando a certi re­gisti del passato ­ e non solo ­ que­sto film sembra uno violenza allasettima arte.

3 1

Page 44: IL LEVIATANO

Presso El Cairo Cine Pu­blico, antico cinema ri­sorto nel cuore dellacittà di Rosario (SantaFe, Argentina) grazie ai

recenti restauri Provinciali, si è svoltadal 13 al 17 ottobre la rassegna cine­matografica “Federico Fellini: teatrodel sogno”, dedicata alla memoriadel grande regista.L’evento, patrocinato dal ConsolatoGenerale d’Italia, si collocanell’ambito dei festeggiamenti indettiper celebrare il cinquantesimo anni­versario dell’uscita cinematograficade La dolce vita, occasione coronatada una serie di iniziative che hannocoinvolto diversi paesi del mondo.Per quanto riguarda il territorioargentino, Buenos Aires, Cordoba eRosario, i tre maggiori centri del pae­se, si sono contesi le pellicole in 35mm restaurate e messe a disposizio­ne da Cinecittà per un tardivo, macomunque attualissimo, tour mondia­le.Il centro santafesino è riuscito a tra­sferire nella suggestiva location di ElCairo, i cui sedili scricchiolanti sonoancora impregnati dell’odore del ta­bacco, Luci del Varietà (1950), concui si è deciso di aprire la rassegna,Il bidone (1955), Giulietta degli spiriti(1965), Prova d’orchestra (1978),nonché E la nave va (1983), che hamarcato la conclusione dell’evento.I titoli a disposizione degli orga­nizzatori, tutti in lingua originalesottotitolati in spagnolo, non rientra­no nella rosa dei lavori più noti delregista riminese, bensì ripercorronole tappe del Fellini più sperimentale,alla ricerca degli elementi costitutividella sua personalissima poetica.A mio avviso, dunque, il requisito dipregio di questa iniziativa è rappre­sentato dalla creazione di unpercorso volto non tanto a consolida­re il successo di capolavori quali La

44

FFEELLLLIINNIITTEEAATTRROO DDEELL SSOOGGNNOOddii CCllaauuddiiaa PPaarroollaa

FFeeddeerriiccoo FFeelllliinnii ((11992200­­11999933)) èè ssttaattoo uunnoo ddeeii ppiiùùggrraannddii ee iinnnnoovvaattiivvii rreeggiissttii ddeell cciinneemmaa iittaalliiaannoo..IInnddiimmeennttiiccaabbiillii llee ssuuee ppeelllliiccoollee,, ttrraa llee qquuaalliissppiiccccaannoo AAmmaarrccoorrdd,, OOttttoo ee mmeezzzzoo ee LLaa ddoollcceevviittaa.. FFoorrssee nnoonn ttuuttttii ssaannnnoo cchhee aallllaa pprriimmaa ddiiqquueesstt''uullttiimmaa,, aall cciinneemmaa CCaappiittooll ddii MMiillaannoo iill 55ffeebbbbrraaiioo 11996600,, iill ppuubbbblliiccoo,, nnoonn aabbiittuuaattoo aa qquueellnnuuoovvoo mmooddoo ddii ffaarree cciinneemmaa,, rriieemmppìì ddii ffiisscchhii eeiinnssuullttii iill rreeggiissttaa,, aarrrriivvaannddoo aaddddiirriittttuurraa aassppuuttaarrggllii aaddddoossssoo..

Page 45: IL LEVIATANO

strada (1954), La dolce Vita (1960), Otto e mezzo(1963) e Amarcord (1973), ma ad individuare unagamma di stilemi presenti fin dagli incespicanti inizi delmaestro. Tali “elementi di stile”, ovvero il gusto per le“maschere”, per i personaggi caricaturali al limitedell’espressionismo, per il fantastico, il barocco, l’oniri­co e per la distorsione ironica della realtà, ne puntegge­ranno l’intera produzione e forniscono i migliori indizi aproposito della sua brillante originalità.

Luci del Varietà (1950), primo film da regista diFellini, apre la rassegna e permette di gettare lu­ce sul rapporto tra il regista e le sue creature.

Grande soggettista, grazie alle figure di Liliana, Checcoe Melina dipinge un quadro desolante del mondo dellospettacolo, fatto di starlet vanitose e impresari satire­schi. Si scorgono in nuce alcune costanti della produ­zione futura, su tutte la sensazione di profondasolitudine che permea le vite dei protagonisti, venataperò dal senso del ridicolo che colloca le figure, forte­mente caratterizzate, all’interno di uno sgangheratoteatrino.Il bidone venne presentato a Venezia nel 1955 ma nonriscosse il favore di pubblico e critica sperato: definitodallo stesso regista “ambiguo” e oscuro, fu sottopostoa una serie di tagli e adattamenti che ne snaturaronol’essenza. La vicenda narrata, un sordido intrigo familia­re, viene deformata dalla menzogna, vero fulcroconcettuale. Magali Piano, una delle organizzatricidell’evento, durante il discorso di presentazione istitui­sce un parallelismo tra Il bidone e una parte della pro­duzione dei fratelli Coen, la più tetra e marcata da uncostante, incombente senso di predestinazione al falli­mento.Giulietta degli spiriti (1965) narra l’esperienza di unaricca borghese alle prese con l’infedeltà del marito, leproprie inibizioni e i propri fantasmi. Prima opera a colo­ri di Fellini, viene definita da Morando Morandini “unfilm da sfogliare” con riferimento alla bellezza di ognisingola inquadratura. Ancora una volta il regista riescead amalgamare in un turbinio fantastico emozioni, ri­cordi e visioni appartenenti ai ricchissimi tipi umanilanciati allo sbaraglio sul palcoscenico della loro maturi­tà.Prova d’orchestra (1978) venne realizzato per la televi­sione, con un basso budget e appropriandosi dello stiledocumentaristico. Potrebbe essere definito una “meta­pellicola”, a causa delle continue oscillazioni tra lo stile

giornalistico, o dell’attualità, e quello cinematografico,della fantasia. In questo modo, entrambi gli universiconvergono in un nuovo risultato, che sgretola le diffe­renze di genere.Una menzione particolare merita la musica compostada Nino Rota, grande amico e collaboratore del registariminese, morto l’anno successivo all’uscita di Provad’orchestra.Milena Vukotic ha dedicato alla coppia un commoventespettacolo teatrale, L’amico magico, che corroboral’amicizia tra i due artisti: l’attrice, citando scritti e di­chiarazioni dello stesso Fellini, volteggia sul palcoaccompagnata dai pezzi più noti di Rota, e delinea lapoetica del regista toccando i temi della fantasia, deirapporti umani e dell’arte.E la nave va (1983), infine, descrive l’ultimo viaggiodella soprano Edmea Tetua, le cui ceneri sarannosparse nel Mar Egeo. Il pretesto del triste corteoconsente di riunire nel relativamente limitato spaziodell’imbarcazione la varia umanità bersaglio del regi­sta: questi, attraverso le impietose descrizioni delgiornalista Orlando, ha modo di dare sfogo ancora unavolta alla propria acuta sensibilità, dettagliando i tic e lepaure dei presenti.Il “teatro del sogno”, dunque, si focalizza su dueaspetti peculiari della produzione felliniana, la masche­ra (intesa come personaggio marcatamente caratte­rizzato) e l’onirico: è così possibile seguire lo svolgersidi questi temi lungo un ampio spettro temporale, permetterne in luce diverse sfumature.Emerge il ritratto di un demiurgo che si conferma unappassionato amante della vita, che infonde l’anima afantocci gioiosi e malinconici al tempo stesso, mo­dellati nelle ruvide sembianze del girovago Zampanò onello sgangherato corteo di pagliacci che movimenta ilfinale di Otto e mezzo. “È una festa la vita, viviamolainsieme”, con i suoi contrasti irrisolti ed i fugaci mo­menti di euforia, sembrano gridare queste creature.Il famoso disegnatore argentino Liniers ha battezzatocon il cognome del regista uno dei protagonisti dellesue surreali e delicatissime strisce. Il gatto Fellini è unamico silenzioso, compagno di giochi di una piccola fi­losofa, che viene spesso pizzicato ad osservare il pas­saggio delle nuvole o a bearsi del movimento diun'altalena. È anche in questi omaggi che si può indivi­duare il fecondo lascito del cineasta riminese, poetadella leggerezza e delle piccole cose, rimescolatore diricordi e domatore delle proprie visioni.

45

Page 46: IL LEVIATANO

Prendimi così, confessò Valentina, rega­landomi il suo corpo senza veli sul qualemi adagiai, a mia volta nudo e penetraidolcemente in lei. Il contatto con la suacarne mi fece fremere mentre la baciavo.

Mi pareva che fossi predisposto a stare con lei. Dopoaver fatto l’amore, fui svegliato da un buon odore dicaffé.«Buongiorno, dormiglione» disse lei, confessandomiche ci eravamo amati per tutta la notte: non avevamoavuto occhi ed orecchie che per noi. Nella mia mente,equivaleva a un tradimento, perpetrato nei confronti dimia moglie Demetra. Vedendo il corpo ancora nudo diValentina, notavo come la sua somiglianza con mia mo­glie fosse evidente.«Scusami, ho dormito troppo» aggiunsi, mentre Va­lentina mi allungava una tazza cilindrica di latta.«Perché mai dovresti farlo?» mi chiese incuriosita, unabambina divertita da un uomo più grande di lei, ma allaquale dovevo sembrare decisamente più vecchio. «Seiun po’ strano: è come se non riuscissi a sentirti in intimi­tà con me» ammise, e si venne a sedere sulle mie gi­nocchia. Era ancora completamente nuda, e la suavicinanza continuava a farmi restare desto. Sorridevaed era felice. Mi toccai svogliatamente la croce cheportavo sul petto. Valentina la vide e mi chiese pronta­mente: «sei per caso un collezionista?».«Come?» le domandai, non capendo a cosa si riferis­se.

«Vedo che hai addosso quel piccolo oggetto, come sichiama?»«Crocifisso.»«Sì, crocifisso. Una volta, quasi trent’anni fa, si usava.Prima che la Città del Vaticano sparisse.»«Sparisse?» chiesi impressionato da quel che speravodi non aver sentito.«Be’, sì» disse Valentina, mentre la depositavo con le­vità sul divano, mettendomi a camminare intorno allastanza.«Ma, scusa, cosa ho detto di così strano?» disse, sba­lordita dalla mia reazione, che trovava fuori luogo.«Valentina, quello che mi stai dicendo è vero?»«Che cosa è vero?»«Che il Vaticano non esiste più!»«No, il Vaticano esiste. Non c’è più il papa, se è questoche vuoi sapere» disse lei, rimanendo in silenzio perun attimo. «Leonardo, a me puoi dirlo. Non sono unacosì facile. Ma mi piaci, e voglio aiutarti. Devo sapereperò che cosa stai cercando, e chi sei veramente.»A quelle parole così dolci e confortanti, non seppi resi­stere, e mi buttai sul letto, mentre Valentina mi guarda­va da sopra. Dissi:«ieri notte ti ricordi che ti ho dettoche ero venuto qui per salvare il mondo?»«Sì, ma credevo che fosse solo una frase che ti servis­se per eccitarti, invece ho visto che sei molto dolce.»«Sono fatto così. Mi piace trattare le donne coi guantidi velluto: ma quello che ti voglio dire è che io, sul se­rio, sono qui per salvare il mondo. Almeno, questa era

romanzo

II GGIIOORRNNII DDEELLLL''AAQQUUIILLAAddii AAlleessssaannddrroo RRoommaannoo

DISEGNI A CHINA ddii MMaarrcceelllloo PPiiuu

TTEERRZZOO EEPPIISSOODDIIOO:: LLAA TTEERRZZAA GGUUEERRRRAA MMOONNDDIIAALLEE

Page 47: IL LEVIATANO

la mia missione primaria.»Valentina mi fissava ancora divertita, ma non sapevase la stessi prendendo in giro o meno. «E perché sare­sti venuto qui? E da dove?» domandò.«Io vengo dal 1972.»«L’anno di Ziggy Stardust» disse lei.«Come?» chiesi, non intuendo quelle parole. «Che co­sa intendi dire?» chiesi alla mia amante di quella notte.«Ma non sei un rocker? Non conosci il più bell’album diDavid Bowie del primo periodo?»«E chi sarebbe?»«No, non dirmi che non sai chi è David Bowie!»«Credo di non sapere molte cose di questo mondo.»Valentina si alzò, e fece un giro per la stanza. Perples­sa, affermò: «non mi sono mai sbagliata sul conto dellepersone. Chi mi ha fatto godere, come sai fare tu, ame ha sempre detto la verità. Ti voglio credere, maadesso mi devi dire tutto.» Conducendomi sul letto, tro­vai il coraggio di raccontare della mia esperienza fuoridal comune. Quando però arrivai al particolare dellamorte di Mussolini, lei disse: «non è possibile, Mussoli­ni è morto nel 1945, non quando dici tu, verso la fine

degli anni ’60. E poi non riesco a capire questa profe­zia. Come fa ad essere eletto un papa, se non esistepiù il papato?»Ero completamente pervaso dall’angoscia, e il fiato co­minciò a mancarmi. A quel punto, senza che me nerendessi conto, svenni. Mi risvegliai diverso tempo do­po. Indossavo un grembiule, e l’ambiente in cui mi tro­vavo era completamente rivestito di mattonellebianche. Mi guardai attorno, accorgendomi che Valenti­na stava addormentata di fronte a me, distesa su unagrande poltrona a muro. La guardavo e, dopo qualcheattimo, lei aprì gli occhi.«Buongiorno a te, dormigliona» dissi io, facendole ilverso.«Stavolta sono stata io ad assopirmi» confessò lei.

«Ma dove siamo?»«In ospedale. Sei svenuto e non sapevo cosa fare.Allora ho chiamato il Pronto Intervento. Ti hannocontrollato, sei a posto.»«Non so più niente. Non mi capisco. Ma quello che hodetto non è frutto di fantasia. Ho un diario che può pro­vare tutto.»«Per caso è questo?» disse Valentina, mostrandomi ilfrontespizio del mio quaderno, che doveva aver trovatonella mia giacca. Era bellissima anche ora, vestita conuna tuta di pelle molto aderente. «Credo sia moltobello, ma, credimi, secondo me hai avuto un’amnesia»terminò poi.«Un’amnesia?» chiesi.«Sì» disse Valentina, alzandosi e venendo al miocapezzale. «Credo che tu sia uno scrittore. Questo è iltuo romanzo. È meticoloso e pieno di particolari, nonpuò essere un diario, anche se ha i giorni riportati adinizio pagina. Secondo me hai perso la memoria, e,leggendo la tua opera, ti sei convinto che questa è larealtà.»Tutto sommato, l’ipotesi di Valentina era affascinante,ma non corrispondeva certo alla verità della mia esi­stenza. Quella sera stessa andammo a casa. Valentinafu ancora tenera e premurosa con me, e facemmol’amore tutta la notte. Nei giorni successivi lessi e riles­si I giorni dell’aquila, ma poi decisi di mettere da parteil manoscritto. Cominciavo ad essere innamorato sulserio di Valentina, ma volevo assolutamente rendermiutile. Un giorno, a pranzo, le chiesi allora quale fosse ilsuo lavoro. Lei rispose: «sono una creatrice di universitelematici.»«Amore mio, ne so quanto prima.»«Oh, scusa. Come hai visto, in questo tempo, che tunon ricordi, si è sviluppata una tecnologia basatasull’informatica. Come vedi, non ti ho mentito, dicendo­ti che il mondo non avrà mai fine, almeno finché riusci­remo ad elaborarlo.»«Mi vuoi dire che, potenzialmente, tutte le informazionidel mondo possono finire dentro questi elaboratori?»«Non solo informazioni, ma anche immagini, suoni.Ormai, da qualche tempo, possiamo creare dei veri epropri universi. Aggregati di dati così complessi chesembrano realtà distinte dalla nostra.»«E come fai a crearli?»«Non è complesso. Si tratta, per lo più, di calcoli, diuna sistematica enumerazione di cifre, le qualipermettono di dare vita a questi dati, a loro voltacreatori di immagini, o di qualsiasi altra informazionenoi vogliamo dare loro. A volte, però, dovendo agiredall’interno, si rimane un po’ schiavi di quell’artificio,talmente è simile al nostro mondo.»«Posso capirlo. È un po’ quello che provo io.»Valentina non disse nulla: aveva finito per compatirequella che lei riteneva semplice amnesia. In quei

47

Page 48: IL LEVIATANO

giorni, esploravo Roma come fosse qualcosa di assolu­tamente avulso dalla mia vita. Era una città che non co­noscevo, nonostante vi avessi trascorso ben quarantaanni. Le vestigia che ricordavo erano lì, mutate di poco,eppure erano diverse, finalizzate a scopi del tuttocambiati rispetto a quelli che ricordavo. Mi recavo spes­so al Colosseo Quadrato, e, fu con mia grande sorpre­sa che scoprii che era la sede della Società per cuilavorava Valentina, il cui nome era Prosperus. Non nefui più sorpreso del fatto che avessero trasformato SanPietro in una Accademia di Belle Arti. Quel tempo, razio­nale e tecnologico, aveva abolito le religioni. Tutto erapreordinato a ben delimitato. Il lavoro di Valentina eracreare storie e intrecci che potevano essere vissuti,virtualmente, da questi annoiati cittadini. Gli organismigovernativi lasciavano grande libertà morale, ma quasitutti optavano per l’inseminazione artificiale: il sessonon era più praticato, come molte altre forme di diverti­mento o svago. Un giorno chiesi a Valentina, che era indolce attesa, di farmi entrare in una delle sessioni delsuo universo più richiesto. Il suo nome era Wojna. Eraun universo militare, dove l’unico scopo era uccidere erimanere vivi, e vincere un conflitto chiamato TerzaGuerra Mondiale.«Ormai, i sopravvissuti sono tutti morti, quindi il giocopuò essere affascinante per tutti, ignoto ed inatteso.Quasi nessuno sa più, nella mia generazione cosa vuoldire guerra» mi riferì Valentina, «anche se, due anni faho partecipato alla missione di pace nell’ultimo paesedove ancora si combatte: in quella regione sono inguerra civile da circa cinquanta anni. Ho visto dove ve­ramente ci possiamo spingere. Ben al di là delle bestiepiù feroci. E solo per dare sfogo ai nostri istinti.»«Vedo che scalpiti per entrare» disse poi Valentina da­vanti al computer che le permetteva di controllare i cubidentro i quali era contenuta la memoria di tutto l’uni­verso Wojna. Erano dislocati in un grande salone

rettangolare all’interno del Colos­seo Quadrato.«Quando sarai lì, stai comunquemolto attento» disse Valentina,preoccupata.«Ma come? Non è forse tuttovirtuale, finto?»«Sì, ma per dare maggior veridici­tà, ultimamente abbiamo colle­gato il portale direttamente allaspina dorsale. Dovrai sottoporti aun piccolissimo intervento, cheposso farti anch’io, col quale tiaprirò una porta nel midollo, e dalì, inserendoti il cavo vivtual, fartiaccedere all’universo.»«Ma se mi sparano, cosa succe­de?»

«Non muori, ma i tuoi neuroni potrebbero risentirne,una volta che sarai tornato.»Non certo tranquillizzato da quel che mi aveva riferito,dissi che ci avrei pensato ancora un po’ sopra, ma poiscelsi di andare dentro Wojna.«Ho deciso» dissi a Valentina, che pensò che sareitornato sano e salvo dal suo universo. Fu lei a inci­dermi nel midollo il portale, con una sorta di trapano la­ser, mentre stavo sdraiato sulla pancia, in una piccolainfermeria vicino alla postazione di controllo, dal qualegestiva tutti i “passeggeri” della sua creatura virtuale.«Ora sei pronto» disse Valentina. Dopo aver toccato ilventre con dentro il mio terzogenito, lei mi dis­se:«adesso vai, o ti tratterrò qui, per sempre.»Fu così che, col vivtual collegato alla schiena, mi dires­si verso il mio cubo, e collegai a sua volta l’estremitàdel cavo ad esso. Mi misi in piedi a braccia aperte, e,in quella posizione, indossai degli occhiali che mi sa­rebbero serviti per vedere, all’interno dell’universo. Dadietro la vetrata che la separava dal salone, Valentinami mostrò il mio crocifisso, che le avevo lasciato comeportafortuna, e il manoscritto de I giorni dell’aquila. Lemandai un bacio e poi lei accese il computer checontrollava il mio cubo. Tutto si fece bianco, e, gra­datamente, apparve una stanza intorno a me: avevadelle forme che riconoscevo distintamente. Era la ca­mera dove ero nato. Rammentai allora che Valentinami aveva fatto delle domande su quel che erano i mieiricordi, oltre a quelli che avevo segnato sul memoriale,e se li era annotati. Capii che aveva costruito il miouniverso a immagine e somiglianza di quel che erastata la mia vita. Non appena mi alzai dalla sedia sullaquale ero seduto nel salotto della mia casa di bambino,dalla porta principale, vestito di tutto punto, vidi il volto,monumentale e nobile, del mio Duce: l’unico e solo,Costantino di Rienzo.

continua nel prossimo numero48