Il legno nell'industria alimentare

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Il legno nell’industria alimentare Manlio Della Ciana, luglio 2015

[email protected] E’ opinione diffusa che il legno non sia compatibile con l’industria alimentare se non a sostegno ad

esempio di alimenti già imballati e trasportati quindi su pallets di legno. A ben guardare tuttavia ci

si rende conto come il legno sia presente in diverse lavorazioni proprio per alcune peculiarità insite

in questo materiale e ricercate per la produzione degli alimenti, si pensi all’affinatura in barriques

del vino, ma non solo.

Nella legislazione europea non esistono disposizioni specifiche relative all’uso del legno , né il

pacchetto igiene si occupa del problema in particolare, ma con norme finalistiche richiede che le

superfici a contatto con alimenti non siano fonte di contaminazione diretta ed indiretta. La

normativa relativa ai materiali a contatto si rifà ad un regolamento del 2004, il numero 1935 che per

l’appunto si riferisce al principio della non contaminazione. Non vi sono quindi divieti specifici

all’uso del legno, ma solo studi e linee guida all’utilizzo del legno in ambiente alimentare.

Va detto che nessun materiale riassume si di sé tutte le caratteristiche di idoneità, ma queste

dovrebbero essere considerate in considerazione degli usi specifici.

Il legno, come molti altri materiali, interagisce con l’alimento e/o con il processo produttivo

alimentare e questo è un aspetto non trascurabile che andrebbe sempre considerato, sia per gli effetti

positivi che negativi che tale interazione può avere. Chi lavora nell’industria casearia o comunque

in attività produttive ove siano ricercate delle fermentazioni sa che l’utilizzo di legni “stagionati”

favorisce il processo di maturazione virtuoso dei prodotti, si viene cioè a creare un ecosistema

residente che rappresenta un patrimonio importante delle sale di stagionatura, mentre al contrario

l’effettuazione di stagionatura in ambienti asettici comporta il rischio che nel prodotto prendano il

sopravvento fenomeni negativi, talvolta gravi ed irrimediabili.

Al tempo stesso la presenza di superfici lignee non trattate o mal tenute rappresenta un rischio per

l’introduzione di muffe e corpi estranei in ambiente ove si lavora l’alimento.

Gli aspetti che si considerano per la scelta delle superfici a contatto devono tenere conto:

− della destinazione d’uso del materiale:di sostegno, per il taglio o per il confezionamento;

− delle caratteristiche intrinseche al materiale quali la porosità, la capacità di assorbire, la durezza;

− della durata e della necessità di manutenzione;

− della sanificabilità delle superfici;

− della natura dell’alimento con cui verranno a contatto: liquidi o solidi, grassi oppure no, ecc.;

− del costo;

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L’uso del legno nell’industria alimentare in questi anni è molto diminuito, in quanto trattandosi di

materiale assorbente, dove è possibile che i batteri rimangano intrappolati e quindi siano fonte di

cross contamination, si è preferito generalmente ricorrere a vari polimeri plastici ritenendo che

possedessero tutti i vantaggi del legno, ma non i suoi svantaggi. In effetti i polimeri plastici sono

stati utilizzati per sostituire il legno in molte fasi del processo produttivo alimentare, confinando

l’uso del legno per lo più alle fasi di palletizzazione dei prodotti imballati o,in taluni casi, a

packaging ortofrutticolo.

Tra i polimeri plastici più frequentemente utilizzati sono stati considerati il polietilene (PE) il

polistirene (PS) il poliacrilico (PA), il polipropilene (PP), il cloruro di polivinile (PVC), il Teflon ed

il Plexiglass. Le proprietà di tali materiali, infatti, ben si adattano al loro utilizzo sia come superfici

a contatto che non a contatto: si pensi ai nastri trasportatori, alle superfici di taglio e ai supporti per

la palettizzazione. La ridotta propensione alla rottura, alla deformazione o a piegarsi e la facilità di

pulizia sono state le caratteristiche verso cui ci si è indirizzati per la loro scelta, anche se poi ci si è

resi conto con se usurate, anch’esse risultano di difficile sanificazione e necessitano quindi di

manutenzione e periodica levigatura o sostituzione.

In alternativa ai polimeri, inoltre, l’industria alimentare ha fatto ricorso anche all’uso dell’acciaio e

della gomma dura.

Le caratteristiche che hanno fatto scegliere il legno e che sono ricercate sono date dalla sua

durabilità, dalle buone prestazioni e dai bassi costi, tuttavia si tratta di materiale poroso ed

assorbente e poco adatto a venire a contatto con sangue, grasso o alimenti bagnati/umidi.

Per alcuni tipi di legno,inoltre, sono stati evidenziate la possibilità per la loro sanificazione: si tratta

di legni di acero, frassino, tiglio, faggio, betulla, noce americano, ciliegio, rovere.

Sono stati fatti studi1 comparativi su taglieri per la carne di vari tipi di legno e polimeri plastici,

immergendoli in acqua calda (45-50°C) con un detergente anionico e si è riscontrato che quelli

plastici erano puliti meglio, anche se all’interno delle fessure di taglio la differenza di

contaminazione, dopo la pulizia non era così diversa. In letteratura2, tuttavia, sono stati presentati

lavori di comparazione tra i diversi materiali usati nell’industria delle carni che hanno rovesciato

questo primo screening a favore del legno; confrontando taglieri di legno e di Polietilene (PE) dopo

loro contaminazione con carne cruda si è dimostrato non esserci differenza. Probabilmente i diversi

esiti delle ricerche rappresentate in letteratura sono da mettersi in relazione allo stato delle superfici

testate, che fossero o meno danneggiate dall’uso.

1 Gilbert & Watson, 1971 2 Miller e al., 1996

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In effetti per capire meglio questo problema è necessario comprendere come la struttura del legno

sia una struttura orientata e quindi in grado di reagire diversamente alla penetrazione dell’acqua a

seconda di come venga presentata.

Si è visto3 che una superficie ottenuta per

taglio longitudinale (che mostra quindi gli

anelli di crescita del legno) assorbe molto

l’umidità rispetto a quella ottenute con sezione

radiale; intermedio è l’assordimento delle

superfici ottenute con taglio tangenziale.

Per tale motivo le ceppaie che mostrano le

fibre secondo il taglio in sezione longitudinale

(anelli di crescita) possono consentire la

penetrazione batterica anche per alcuni

centimetri di profondità.

Questo diverso comportamento delle fibre

rispetto alla capacità di assorbimento prende il

nome di anisotropia; l’igroscopicità, a parità di

sezione di taglio, varia secondo il tipo di legno.

Un altro aspetto interessante relativo all’uso

del legno è emerso quando si è visto che legni

contaminati in laboratorio mostravano dopo

poco la scomparsa dei batteri contaminanti, forse per effetto di un loro intrappolamento nella

struttura fibrosa o per proprietà battericida insite nel legno stesso.

Gli studi4 5 condotti per verificare eventuali proprietà battericide delle diverse tipologie di legno,

pur evidenziando come certi legni , ad esempio di acero, pino e quercia, piuttosto che di ciliegio,

abbiano una azione battericida nei confronti di germi come E.coli O157:H7, in realtà il meccanismo

d’azione sembra sia da ricercarsi attraverso una inibizione fisica piuttosto che chimica e certamente

più efficace per superfici già bagnate piuttosto che secche, poiché queste ultime sono più assorbenti.

L’aderenza batterica sulle superfici lignee pre inumidite è analoga a quella delle materie plastiche6.

3 Kampelmacher e al., 1971 4 Galluzzo & Cliver, 1996 5 Milling A. , Kehr R., Wulf A., Smalla K,, 2005 6 Abrishami e al., 1994

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Alcuni studi7 suggeriscono che il decremento dei germi inoculati su superfici lignee sia decisamente

maggiore rispetto a superfici plastiche non porose ne assorbenti, anche se le operazioni di pulizia

semplice (detersione e risciacquo) per superfici lignee sono meno efficaci, se non si utilizzano

anche sistemi di rimozione meccanica.

Qualcuno8 ha anche messo in evidenza come nelle cucine laddove si utilizzano ripiani di legno

piuttosto che di plastica o vetro sono minori i rilevamenti per Salmonella spp. Forse per un duplice

meccanismo di inclusione dei germi e di rapida essicazione dei liquidi su dette superfici rispetto a

quelle non porose e non assorbenti. La ricerca ha anche evidenziato come tale effetto sia

indipendente dall’età del legno e sia molto evidente nelle prime 2 ore dall’inoculo, mentre

successivamente non si notano grandi differenze tra superfici lignee e polimeriche (PE); differenze

sono possibili anche a seconda della qualità del legno: i legni duri come l’acero, o il faggio

presentano tagli meno profondi dopo l’uso rispetto a legni dolci come il cipresso o l’abete.

Direi in conclusione che le evidenze fin qui raccolte suggeriscono che a differenza di una opinione

assai diffusa non vi siano differenze particolarmente significative che facciano propendere l’utilizzo

delle materie plastiche a favore del legno. La comparazione degli esiti dei tamponi di superficie

effettuati su cassette di plastica (PE) e di legno (pino) ha evidenziato analoghe presenze batteriche,

ovvero di Escherichia, Clostridium perfringens, Enterococchi, Pseudomonas e Bacillus cereus. La

prevenzione da possibili proliferazioni batteriche, quindi, è possibile gestendo correttamente le

pratiche di sanificazione delle superfici, lignee o meno che siano, e la loro manutenzione.

La scelta del materiale delle superfici a contatto, quindi, deve essere fatta sulla base della

destinazione d’uso di tali superfici e certamente il legno quale materiale per certi utilizzi, non solo

di packaging, può rappresentare una scelta corretta, in quanto ad esempio, rispetto a superfici

polimeriche tendono a “bonificarsi” prima da eventuali contaminazioni batteriche mediante un

meccanismo di cattura attraverso una azione capillare (nei legni duri a grana fine) e di più rapida

asciugatura. Il legno (duro) viene utilizzato quindi per i contenitori per la salatura a secco, come

taglieri di piccole dimensioni mantenuti levigati.

La sanificazione e pulizia delle superfici di legno così come la loro manutenzione richiedono

tuttavia una attenzione diversa rispetto ad altri materiali, poiché il legno si deteriora rapidamente se

trattato in lavastoviglie, in acqua calda con sostanze a base di cloro: è necessario utilizzare

disinfettanti a base di sali quaternari di ammonio e riporre tali materiali in maniera che scolino e si

asciughino il più rapidamente possibile.

7 Revoll-Juelles, 2005 8 Park e Cliver, 1996

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I taglieri in legno devono essere strofinati con una spazzola di nylon e poi lavati con detergenti

atossici, oppure con un getto ad alta pressione. Alcuni ricercatori suggeriscono l’uso di micronde

per una loro completa sanificazione. Va applicata anche una soluzione disinfettante (evitando

l’immersione), seguita da risciacquo.

I macellai che utilizzano ceppaie di legno hanno sempre avuto l’abitudine di spargere del sale

grosso sulle superfici del ceppo per impedire il formarsi di cattivi odori: in effetti il sale ha la

funzione di estrarre l’umidità dal legno accelerando l’asciugatura e bloccando quindi la

proliferazione batterica che è alla base del cattivo odore.

Dando uno sguardo alla letteratura ed agli indirizzi più comuni per la sanificazione degli ambienti

alimentari si scopre comunque che il legno in quanto tale viene destinato per lo più al packaging,

mentre se possibile viene escluso dalle zone ove gli alimenti vengono processati con poche

eccezioni. Anche nel settore enologico, la conservazione del vino viene proposta per lo più in

contenitori di acciaio o fibro-resina, evidenziando come l’invecchiamento in barriques si renda

necessario solo per il suo affinamento. Nella produzione lattierocasearia (parmigiano, grana,

fontina, ecc.) e talvolta in stabilimenti di stagionatura prosciutti e salumi non è raro trovare scalere

in legno su cui i prodotti sono collocati o ancora in preparazioni artigianali quali le camere di

stagionatura del formaggio di fossa .

La FDA americana a seguito del Food Safety Modernization Act del 2011 aveva diramato una nota

al Dipartimento di Stato di NY in cui si affermava che “la struttura porosa del legno lo porta ad

assorbire e trattenere batteri, che poi colonizzano non solo la superficie ma anche la struttura

profonda del legno. Gli scaffali di stagionatura, a contatto diretto con il prodotto finale, potrebbero

di conseguenza essere una potenziale fonte di microorganismi patogeni nei formaggi”

Va da sé che i produttori di formaggio americani (ma anche europei) hanno rigettato tale

indicazione perché non sufficientemente sostenuta sul piano scientifico, costringendo la FDA ad

attestarsi su posizioni più possibiliste, valutando lo stato di manutenzione e di pulizia in relazione

all’uso caso per caso. Va detto che comunque non è sempre facile far passare il concetto che la

sicurezza alimentare passa anche attraverso la stabilizzazione delle flore batteriche in un prodotto a

seguito dell’interazione di vari parametri (umidità, pH e flore batteriche residenti) e quindi non

necessariamente dalla sterilizzazione ambientale: laddove si instaurano flore batteriche e fungine

favorevoli, infatti, non si sviluppano patogeni.

Ovviamente quest’ultimo ragionamento non può assolutamente giustificare situazioni antigieniche e

il mancato mantenimento in buone condizioni del legno nelle produzioni alimentari.

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L’utilizzo del legno nelle produzioni alimentari la ritroviamo o come utensili di lavorazione (ceppi,

presse,taglieri, secchi, utensili, pallets, ecc.) oppure quale ausili tecnologici (assi di affinaggio dei

formaggi, barriques per il vino, tinozze per l’inoculo del formaggio) o ancora come materiale di

imballaggio e confezionamento (cassette per la frutta o per prodotti della pesca o contenitori per

formaggi francesi tipo Rebochon o Brie, ecc.).

Il legno destinato ad utensili e imballaggio: che si tratti di

taglieri o di mestoli o ancora di supporti per la pallettizzazione e

contenitori di alimenti è evidente che gli aspetti legati alla loro

igienizzazione e sanificazione diventano preponderanti.

Abbiamo visto come la ricerca ha evidenziato la

sovrapponibilità d’uso rispetto ad utensili polimerici qualora tali

materiali siano ben tenuti e sanificati in maniera appropriata e come altrettanto importante sia la

resistenza di tali superfici a tagli più o meno profondi. Nel caso dei taglieri la stessa modalità di

pulizia, preceduta dall’asportazione meccanica del materiale organico contaminante e dal ricorso

all’effetto sanificante dei Sali quaternari d’ammonio seguita da risciacquo e asciugatura, garantisce

nel tempo la superficie; importante sarà quindi anche il tipo di legno, da preferirsi duro9 (acero,

faggio, olivo,ecc.) a legni dolci come quelli di abete o cipresso, così come la disposizione delle fibre

ottenute preferibilmente per taglio longitudinale. Le superfici poi soggette a tagli devono essere

soggette con frequenza a piallatura, per ridurre il più possibile il formarsi di nicchie poco

sanificabili. Alcuni legni vengono poi trattati con olii minerali che hanno lo scopo di mantenere

elastiche le fibre del legno ed al contempo di migliorarne l’impermeabilità.

La legislazione non prevede obblighi di certificazione per gli utensili in legno (ad eccezione

dell’uso della fibra di legno) ma comunque devono soddisfare la rintracciabilità ed essere scortati da

dichiarazione di conformità10 ai requisiti; in sintesi devono sottostare agli obblighi comuni di tutti

gli utensili per uso alimentare11,ovvero: non devono cedere sostanze nocive, non devono

comportare alterazioni inaccettabili all’alimento e non devono provocarne un deterioramento

organolettico. La dichiarazione di cui sopra emessa dal produttore identifica il bene, il materiale, le

9 Dalle linee guida ISS: “Le specie legnose utilizzate per realizzare le due tipologie di superficie di lavorazione (tagliere o ceppo/ceppaia) sono rappresentate di solito da latifoglie, cioè legni duri. In particolare si utilizzano carpino bianco (Carpinus betulus L.), faggio (Fagus sylvatica), acero montano (Acer pseudoplatanus L.), robinia (Robinia pseudoacacia L.), ciliegio (Prunus avium L.), noce (Juglans regia L.). In Italia, per la produzione del tagliere professionale si ricorre soprattutto a: – carpino bianco; – acero montano; – faggio; – robinia.” Si tratta di specie (carpino ed acero) che per durezza e per l’assenza di resine si prestano particolarmente bene alla produzione di taglieri e ceppi. 10 Reg.CE 1935/2004, art.5 e 16 11 Reg. Ce 1935/2004, art. 3.

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norme di cui dichiara la conformità ed eventuali limitazioni all’uso. I produttori sono tenuti ad avere

un sistema di rintracciabilità di tali prodotti.

Si tenga poi conto che dal 1° agosto 2008 è entrato in applicazione il regolamento 2023/06, il cui

campo di applicazione prescrive che i materiali e gli oggetti devono essere prodotti conformemente

alle buone pratiche di fabbricazione. In buona sostanza il regolamento 2023/06/CE stabilisce le

norme relative alle buone pratiche di fabbricazione, per i materiali e di oggetti destinati a venire a

contatto con gli alimenti e si applica a tutti i settori e a tutte le fasi di produzione, trasformazione e

distribuzione di materiali e oggetti.

Nell'ambito dei materiali e oggetti si intende anche il packaging destinato al confezionamento e al

contenimento dei prodotti alimentari. Rientrano, pertanto le cassette in legno destinate al

contenimento e al trasporto di derrate alimentari, i taglieri in legno, altri prodotti in legno che vanno

a contatto con gli alimenti, i tappi in sughero.

L’ Istituto Superiore di Sanità nel 2009 ha fornito un documento12 intitolato “Linee guida per

l’applicazione del Regolamento 2023/2006/CE alle filiere di produzione dei materiali e oggetti

destinati a venire in contatto con gli alimenti”,che rappresenta quindi un riferimento per i produttori.

Per quello che riguarda le aziende produttrici13 quindi devono garantire la tracciabilità dei prodotti,

emettere le dichiarazioni di conformità e documentare la gestione del controllo di processo.

Non esiste comunque un obbligo di applicare il marchio del bicchiere e della

forchetta o dichiarazioni per l’uso alimentare (“per contatto con prodotti

alimentari”) su oggetti che per loro caratteristiche sono chiaramente destinati a

venire a contatto con gli alimenti, come lo sono ad esempio gli imballaggi in

legno per i prodotti ortofrutticoli o ii taglieri o i ceppi di legno, mentre tale

obbligo permane su quelle superfici di legno di oggetti o materiali che non sono mai venuti a

contatto con alimenti al momento dell’immissione sul mercato. A mio modo di vedere, tuttavia,

l’apposizione del marchio potrebbe risolvere tante incomprensioni che possono venirsi a creare con

gli organi di controllo durante le verifiche.

Esistono comunque anche degli standard volontari per l’utilizzo del legno tra cui la EN 15593:2008

(è la prima norma europea volontaria che regola la gestione dell’igiene nella produzione degli

imballaggi per alimenti) che indica i requisiti che servono ad un sistema di gestione dell’igiene

12 http://www.iss.it/binary/publ/cont/09_33_web.pdf 13 In caso di controllo da parte delle autorità competenti, per poter disporre di alcuni elementi di base ai fini della dimostrare dell'applicazione del regolamento 2023/06/CE, il Consorzio Servizi Legno e Sughero consiglia di avere e rendere disponibili alle autorità preposte: 1. Documentazione attestante il sistema di rintracciabilità; 2. Documentazione attestante la conformità a contatto alimentare delle materie prime; 3. Dichiarazioni di conformità dei prodotti in legno e sughero per i clienti; 4. Supporto cartaceo o informatico della legislazione di riferimento. La documentazione deve essere debitamente registrata, archiviata e deve essere aggiornata e di ciò ne deve essere data evidenza.

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specifico per produttori e fornitori di imballaggi per alimenti, e riguarda anche le fasi di stoccaggio

e trasporto.

Anche questa norma considera tra i requisiti necessari:

- l'adozione nell'azienda di un sistema di gestione per l’igiene e la sicurezza dei materiali per

gli alimenti;

- la conformità ai requisiti di igiene e sicurezza previsti dalla normativa vigente;

- l’applicazione di pratiche igieniche specifiche ed integrate da parte dell'azienda, che è

inserita nella filiera alimentare (tracciabilità);

- l’applicazione dei principi di analisi e valutazione dei rischi;

- la valutazione di contaminanti fisici, chimici, biologici.

E può soddisfare o in taluni casi integrare un altro standard volontario, quello del BRC Global

Standard for Packaging and Packaging Materials (BRC IoP), che richiede :

- l'adozione di un sistema formale di analisi dei rischi;

- la realizzazione di un sistema di gestione documentato;

- il controllo della produzione a livello di procedure, prodotti, processi e personale dedicato.

I legni utilizzati per uso tecnologico: sebbene possano applicarsi analoghe considerazioni

relativamente alle caratteristiche di tali legni è necessario premettere che per quest’uso è importante

la funzione ausiliare, che interagisce sostanzialmente con il prodotto alimentare stesso. I settori di

studio di questo aspetto che rendono il legno voluto in alcune preparazioni riguardano soprattutto il

settore enologico e quelle legato alla produzione dei formaggi, durante la fase si maturazione. A tale

proposito è stato condotto uno studio14 in Francia dal 1997 al 2006 per studiare questo aspetto nella

produzione casearia con il quale sono stati evidenziati i vantaggi tecnologici ed anche gli aspetti

critici legati alle difficoltà di sanificazione delle assi di appoggio dei formaggi.

Tralasciando gli aspetti tecnologici ricercati dai produttori quello che è interessante evidenziare è il

ruolo esercitato dal bio film che si viene a formare sulle superfici a contatto sia nel caso dei

formaggi che dei prodotti enologici (vino): si è visto15 infatti che nelle condizioni di buona

produzione tali biofilm non solo indirizzano le flore microbiologiche ma esercitano un effetto

inibente nei confronti anche di patogeni come Listeria monocytogenes. Si è notato16, tra le altre

cose, come tale effetti inibente sia ottimale dopo le operazioni di pulizia ed asciugatura delle tavole

14 Vedi a tale proposito gli studi commisisonati da “Coordination Technique pour l'Industrie Agro-alimentaire (ACTIA)” e “ ITFF (French Technical Institute for Cheesemaking)” 15 http://www.inra.fr/en/Partners-and-Agribusiness/Results-Innovations-Transfer/All-the-news/Cheese-ripening-shelves-surface-biofilms-inhibit-Listeria-monocytogenes 16 Claire Mariani, Ecologie microbienne des biofilms présents à la surface des planches d'affinage en bois de l'AOC "Reblochon de Savoie" et effet inhibiteur vis à vis de Listeria monocytogenes, Life Sciences [q-bio]. ENSIA (AgroParisTech), 2007

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tra due cicli di produzione, una fase in cui il rischio di introdurre Listeria monocytogenes in celle di

maturazione è la più alta. La plausibile spiegazione è in una competizione nutrizionale delle flora

microbica in grado di inibire la crescita di Listeria monocytogenes.

In particolare i dati di Mariani e coll.

dimostrano che se i ripiani in legno per

l’affinatura dei formaggi sono tenuti in

buone condizioni e vengono

accuratamente disinfettati ricorrendo

al trattamento termico, le cariche

vengono completamente abbattute.

Chiaramente l’effetto inibitorio si

riscontra in corso di maturazione dei

formaggi, mentre l’uso dei ripiani per

formaggi freschi non troverebbe in

(Modificato da Eric Notz – 2013)

questo un sostegno. I ricercatori, quindi, sostengono che non vi sia alcuna ragione per sostituire il

legno impiegato nel processo di maturazione del formaggio con altri materiali.

Va poi evidenziato che per l’uso tecnologico non si usano tavole piallate di legni duri, ma, nel caso

degli studi qui accennati, tavole di abete rosso grezze, che meglio consentono l’adesione del

biofilm.

L’effetto tecnologico, inoltre, lo si ottiene anche nella fase iniziale, rispetto a quanto abbiamo visto,

ossia con l’utilizzo delle tine in legno che fungono da veri e

propri innesti.

Vi sono diversi studi17 che evidenziano il ruolo del biofilm nel

rilasciare quantitativi significativi (fino a 6 log/ml batteri

lattici) di lattobacilli da indurre la caseificazione anche in latti

microfilmarti, dopo solo pochi minuti di contatto.

L’assoluta dominanza dei batteri lattici sui gruppi di batteri

alterativi e/o potenziali patogeni raggiunge concentrazioni tali

da minimizzare i rischi di alterazione della produzione o di

patogenesi del consumatore.18

17 Giuseppe Licitra, Caseus Anno XV n.2 marzo/aprile 2010 18 Bonanno – Di Grigoli – Settanni - Dipartimento DEMETRA dell’Università di Palermo.

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Si è infatti visto che contaminando il latte con Listeria monocytogenes e Staphilococcus aureus

nelle tine e nei formaggi non ne presentavano più traccia. 19

Vi sono ricerche infatti che confermerebbero una significativa azione inibente nei confronti di L.

monocytogenes da parte delle flore lattiche. I ricercatori sono portati a spiegare questo effetto

mediante un meccanismo di competizione nutrizionale che sottrarrebbe nutrienti a Listeria

monocytogenes (effetto Jameson)20

Le operazioni di pulizia ed asciugatura delle tavole d’affinatura dei formaggi vengono fatte con

diversi metodi come ad esempio ponendole in stufe a 90°C per 3 ore , oppure in apposite vasche di

scottatura; nei casi di accertata contaminazione da L.m. le industrie produttrici utilizzano forni

industriali a microonde o mediante l’uso di vapore per oltre 24 ore.

Anche per il vino il legno può esercitare un ruolo funzionale tecnologico: è il caso dei c.d. vini

barricati, lasciati cioè a maturare in botti di legni particolari che cedono al vino aromi ed odori

particolarmente ricercati. Le fibre lignee hanno lo scopo di ritardare l’invecchiamento del vino

mediante processi ossidoriduttuivi. Va da sé che quanto più

giovane è il legno quanto più cederà al vino stesso, che

quindi potrà assumere sapori che richiamano la vaniglia

anziché il tostato anziché o l’affumicato ottenuto trattando il

legno con una fiamma prima dell’introduzione del vino.

Queste modifiche organolettiche vengono ottenute anche

aggiungendo trucioli di legno, nelle vasche di maturazione

del vino.

I problemi nell’uso dei contenitori di legno per il vino sono , a differenza di quanto abbiamo visto

per formaggi o altri alimenti di origine animale, nella formazione di biofilm all’interno dei quali

rimangano lieviti in grado di alterare negativamente il vino stesso, come nel caso di Brettanomyces.

Un altro aspetto che merita di essere valutato riguarda la tossicità o meno del legno in condizioni

d’utilizzo nel settore alimentare. Il fatto che tale materiale possa rilasciare molecole che modificano

e/o intereagiscono con il prodotto è un aspetto considerato ed auspicato per le produzioni di vino,

19 Didienne R,Defargues C,Callon C,Meylheuc T,Hulin S,Montel MC. Characteristics of microbial biofilm on wooden vats ('gerles') in PDO Salers cheese - Int J Food Microbiol. 2012 May 15;156(2):91-101 20 Guillier L, Stahl V, Hezard B, Notz E, Briandet R, Modelling the competitive growth between Listeria m. and biofilm microflora of smearcheese wooden shelves.,Int J Food Microbiol. 2008 Nov 30;128(1):51-7

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così come si è visto21 che certe varietà sono in grado di rilasciare dei polifenoli con nota azione

battericida. Gli stilbeni di pinosilvina, la sua etere monometil e piceatannolo hanno dimostrato una

chiara attività antimicrobica, che nel caso di pinosilvina era presente anche in matrici alimentari

come crauti, salmone e confettura di frutta, ma non nel latte. Si tratta di polifenoli come la

pinosilvina contenuta nei legni di pino rosso che vengono usati per le assi di affinamento dei

formaggi dell’alta Savoia. Viceversa alcuni legni sono noti perché contenenti sostanze tossiche: si

tratta per lo più di legni di provenienza esotica, ma anche l’oleandro, il tasso, il ginepro,

l’ippocastano, ecc.

In internet è possibile trovare una lista dei legni tossici e del loro utilizzo su:

http://www.hse.gov.uk/pubns/wis30.pdf .

Per la bibliografia: [email protected]

21 Plumed-Ferrer C, Väkeväinen K, Komulainen H, Rautiainen M, Smeds A, Raitanen JE, Eklund P, Willför S, Alakomi HL, Saarela M, von Wright A , The antimicrobial effects of wood-associated polyphenols on food pathogens and spoilage organisms., nt J Food Microbiol. 2013 Jun 3;164(1):99-107