Il lavoro e l'ideale

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Le formelle scolpite sul Campanile di Giotto a Firenze, quasi sette secoli fa, rappresentano, con grande efficacia estetica, una concezione autenticamente umana del lavoro che oggi è quanto mai necessario riscoprire. Il volume, completo delle immagini a colori di tutti i rilievi, aiuta a interpretare questo grande ciclo scultoreo, usandolo come suggestiva chiave di lettura della Firenze medievale.

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Mariella Carlotti

Il lavoro e l’idealeIl ciclo delle formelledel Campanile di Giotto

prefazione diGiorgio Vittadini

Editrice FiorentinaSocietà

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L’Editore desidera ringraziare l’Opera di Santa Maria del Fiore, nella persona del suo presidente, dott.ssa Anna Mitrano, per l’interesse e la disponibilità mostrate verso questa iniziativa editoriale. Un ringraziamento particolare va al dott. Giuseppe Giari, responsabile della fototeca dell’Opera di Santa Maria del Fiore, per il prezioso contributo alla realizzazione di questo progetto.

© 2008 Società Editrice Fiorentinavia Aretina, 298 - 50136 Firenzetel. 055 5532924fax 055 [email protected]

isbn 978-88-6032-075-9

Proprietà letteraria riservataRiproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata

Prima edizione: giugno 2008Prima ristampa: novembre 2009Seconda ristampa: dicembre 2009

Referenze fotografiche

Nicolò Orsi Battaglini (Firenze)pp. 18, 19, 28, 29, 32

Opera di Santa Maria del Fiore / Nicolò Orsi Battaglinipp. 30, 34, 35, 47, 50-57, 59, 61-69, 71, 74-81, 83, 85-89

© Foto Scala Firenze pp. 16, 25-27, 37, 44

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Indice

7 Prefazione di Giorgio Vittadini

10 Introduzione

13 Firenze: l’epopea di una città 23 Al cuore della città 25 Orsanmichele 27 Il complesso architettonico di piazza Duomo 28 Il Battistero 30 La Cattedrale di Santa Maria del Fiore 36 Il campanile di Giotto 39 La decorazione scultorea del Campanile 41 Il tema del lavoro nel ciclo delle formelle 47 Il lato ovest (prospiciente il Battistero) 59 Il lato sud (verso piazza della Signoria) 71 Il lato est (verso via dello Studio) 83 Il lato nord (prospiciente la Cattedrale) 88 Un’alterazione interessante

90 Le formelle del Campanile di Giotto

91 Note

93 Bibliografia essenziale

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7Prefazione

Prefazione

Ai tempi delle invasioni barbariche le popo-lazioni che abitavano l’Europa non riusciva-no a vivere in modo stabile e costruttivo: orde di guerrieri distruggevano in continuazione i raccolti faticosamente seminati, abbattevano le case, uccidevano, rapivano. Non c’era ordi-ne costituito e qualunque uomo prepotente e violento poteva distruggere vite e depre-dare beni. Così, la gente vagava qua e là per sottrarsi alle continue minacce. A un certo punto, però, vi furono uomini che, in nome della memoria di Cristo presente e vivo nel-la comunità cristiana, confidando nella sua amorevole presenza, decisero di non scappa-re più, ma di continuare a vivere e a costruire, qualunque cosa fosse loro capitato.

La storia testimonia che civiltà per l’uomo sono nate non controllando o guidando mol-titudini, potentati economici o Stati, bensì, col tempo necessario, da «minoranze creati-ve», come le definì l’allora cardinale Ratzin-ger nel suo discorso al Senato nel 2004.

Che cosa ha caratterizzato queste minoran-ze creative? Innanzitutto, come disse sempre il cardinale Ratzinger al Meeting di Rimini del 1992, lo sguardo alla bellezza. Non c’è cri-stianesimo senza sguardo alla bellezza, non quella apollinea e disincarnata, ma quella cri-stiana che, come in Cristo, traluce anche dalla sofferenza. Solo questa bellezza, sperimen-tata anche nella fattezza delle chiese e nella liturgia, è fonte di presenza sociale, di carità, di novità culturale, come mostrano momenti di civiltà «in cui la bellezza ha travolto anche le cose che noi moderni giudichiamo meno degne del gesto artistico», come dice Mariella Carlotti nel presente lavoro.

Così nascono le cattedrali e tutte le opere artistiche in esse contenute. Queste realizza-zioni sono sempre state per il popolo cristia-no la miglior espressione della gratitudine e della domanda a Cristo, riconosciuto come il centro della vita, non solo religiosa, ma anche civile. La loro bellezza era l’orgoglio di città

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che mostravano tangibilmente la loro fede e dava speranza a chiunque, povero o ricco, fortunato o sfortunato che fosse. Le opere architettoniche e pittoriche cristiane hanno sempre avuto anche un’altra funzione: la gen-te si istruiva frequentando le chiese, guardan-do i capolavori dell’arte e partecipando alle liturgie. Le pietre mostravano la storia del mondo, la creazione, la chiamata di Abramo, la nascita del popolo ebraico, l’incarnazione, la vita e la morte di nostro Signore. Attra-verso la vita dei santi si aveva uno spaccato dei fatti storici. I sacramenti educavano a un modo profondo di affrontare la vita: il batte-simo e la nascita; la comunione e il mistero dell’amicizia abitata da Cristo; la confessio-ne e la richiesta di misericordia come legge di vita; la cresima e l’ordine per combattere la buona battaglia nel mondo; l’unzione degli infermi per santificare la malattia e non più maledirla, come tra i pagani.

C’è però una seconda caratteristica delle «minoranze creative», dove si esprime questa bellezza non apollinea, ma pervasa di passio-ne e grondante sudore, dolore, sacrificio: il la-voro. Mentre tra i pagani il lavoro nobile era solo il lavoro intellettuale, nel cristianesimo, a imitazione del Padre, l’eterno lavoratore e grazie a Cristo, redentore della vita umana in tutti i suoi aspetti, qualunque lavoro, anche il

più umile, acquista la sua dignità. Così, per il cristiano, qualunque lavoro umano è il lento inizio di un dominio dell’uomo sulle cose, di un governo cui egli aspira realizzando l’im-magine di Dio. Dice Mariella Carlotti: «La cultura medievale era ben consapevole che dal cristianesimo era nata un’antropologia nuova e una originale concezione del lavoro, non come attività servile, ma come creativa espressione di un uomo libero». Da ciò na-sce una «impressionante documentazione di un’unità della vita che noi facciamo fatica an-che solo ad immaginare, in cui affari, fede, fi-nanza, arte, musica e carità sono dimensioni espressive di un soggetto umano unitario».

Ed è perciò ricerca e costruzione della bellezza perché è la modalità attraverso cui il senso religioso – «quel complesso di esi-genze ed evidenze con cui l’uomo è proiettato dentro il confronto con tutto ciò che esiste», come dice Luigi Giussani* – forgia la mate-ria, la rende più corrispondente ai bisogni più veri dell’uomo, dai più profondi ai più mate-riali. È il lavoro che diventa mestiere, quello di colui che trasforma e modella la realtà con le sue mani, così diverse da quelle descritte da Sartre, incapaci di toccare la realtà, le mani

* Luigi Giussani, Il Senso Religioso, in Luigi Giussani, L’itinerario della fede, Milano, Rizzoli («Firme Oro»), p. 18.

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che non esistono più, che uno non sente più. Il lavoro diventa opera, risposta al bisogno dell’uomo, “forma di vita nuova” che porta a un continuo cambiamento del mondo secon-do la bellezza. Il cristianesimo, attraverso la valorizzazione del mestiere, dell’opera, si allea con il progresso, non con quello prometeico e utopistico, ma con quello quotidiano e ap-parentemente impercettibile che si sviluppa attraverso il lavoro dell’uomo. Dice, in questo senso, nel testo Mariella Carlotti: «All’im-provviso, dopo il Mille, Firenze esplode. Nel ciclo del lavoro la città di Firenze vanta la ra-gione del suo successo, che non deriva da una tradizione gloriosa o da una ricchezza legata alla terra, ma scaturisce da quelle attività im-prenditoriali cittadine, sorte per l’opera labo-riosa dei suoi abitanti. È il lavoro dell’uomo, come partecipazione alla creatività di Dio, che dà senso al tempo, trasformandolo in storia e civiltà».

Bellezza e lavoro come espressioni di una nuova concezione antropologica sono il con-tenuto del ciclo sul lavoro delle formelle del Campanile di Giotto e del presente volume.

«Il ciclo parte definendo che cos’è l’uomo e che cos’è il lavoro dell’uomo. La risposta è rin-tracciata dalla cultura medievale nelle prime pagine della Bibbia, precisamente nel libro della Genesi: l’uomo è creatura, fatto da Dio a sua immagine e somiglianza. Dio è l’eterno lavoratore – tam Pater nemo, così generatore, nessuno – che crea dal nulla tutte le cose e chiama l’uomo a collaborare alla creazione. In questa vocazione consiste tutta la dignità del lavoro umano». Perciò la lettura di questo volume e l’osservazione delle immagini delle formelle sono un grande aiuto a ciascuno di noi, in un momento storico in cui la bellezza è spesso estetismo sterile e irrispettoso, e il lavoro una maledizione da cui liberarsi o uno strumento di riuscita attraverso cui domi-nare altri uomini o pretendere di possedere e dominare la realtà. Un grande aiuto e un invito a guardare per imparare, come tanti fiorentini e non, nel corso dei secoli.

Giorgio VittadiniPresidente Fondazione per la Sussidiarietà

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Introduzione

Chi, turista o cittadino, attraversa a Firenze la piazza del Duomo, difficilmente può evitare il contraccolpo della bellezza. Eppure è molto facile che uno eviti la verità che quelle antiche pietre vogliono comunicare. È la parabola di noi moderni che, se non riusciamo a evitare la commozione del segno, restiamo sordi al significato.

Nei tre grandi edifici della piazza, gli uo-mini del Medioevo hanno scolpito tutta la loro affascinante coscienza dell’esistenza. Nei cicli musivi e scultorei del Battistero hanno rappresentato la sorpresa del cuore di fron-te all’avvenimento di Cristo così imprevedi-bilmente corrispondente all’attesa umana. L’evento di Cristo, del Dio fatto uomo, con-tinua ad abitare la storia attraverso il popo-lo dei credenti: la Cattedrale celebra Maria, l’inizio di questa generazione nuova che sol-ca i secoli. Nel Campanile tale avventura si compie con la celebrazione del lavoro: l’uomo

è chiamato da Dio a essere corresponsabile della creazione, nel lungo ed esaltante cam-mino della trasfigurazione della terra.

Firenze nel XIII e XIV secolo è un grande cantiere: la laboriosità dei suoi abitanti tra-sforma un piccolo borgo in una grande città, protagonista della storia. Sono anni di gran-de intrapresa economica e di potente creazio-ne estetica: il fervore dei mercanti si intreccia con il genio degli artisti e tutto – dal gesto oscuro del tessitore all’impresa luminosa del pittore – collabora allo splendore della città.

A Firenze si vede bene, in tutte le sue implicazioni esistenziali, il cambiamento che Cristo produce nell’uomo che lo segue. Il cristianesimo è realmente un avvenimen-to sorprendente: un pugno di uomini sem-plici, colpiti dall’eccezionalità della presen-za di Cristo, sono l’inizio di un’avventura umana che nella storia non ha eguali. Lo sguardo di Giovanni e Andrea a Gesù in

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quel pomeriggio sulle rive del Giordano è l’inizio di una traiettoria umana che, più di mille anni dopo, a Firenze fiorirà nella poesia di Dante, nella pittura di Giotto o nella creazione ardita di Brunelleschi.

È per questo che Firenze colpisce, attiran-do milioni di persone da ogni parte del mon-do e tornando a stupire lo sguardo abituato di chi ha la fortuna di viverci.

L’arte medioevale è nata per comunicare, per ricordare agli uomini il vero. I pittori se-nesi nel 1355 definivano così il loro compito: «noi siamo per la gratia di Dio manifestatori agli uomini grossi che non sanno lectera, de le cose miracolose operate per virtù et in vir-tù de la santa fede».

Per gli uomini del Medioevo, «uomini gros-si che non sapevano lectera», il messaggio affi-dato al complesso monumentale di piazza del Duomo, era chiaro. Per noi moderni, uomini più raffinati e istruiti, ma lontani da quel con-testo culturale, è paradossalmente più difficile comprenderlo.

In questi anni ho accompagnato centinaia di amici, piccoli e grandi, a guardare gli angoli più belli di Firenze: attraverso l’arte, si può cogliere la ricchezza umana di una civiltà di cui siamo figli spesso smemorati. Le pagine che seguono sono la rielaborazione di questi incontri avvenuti in piazza Duomo: ci vuole un’educazione perché l’inevitabile stupore per la bellezza ridiventi cosciente della verità.

Ciò è tanto più necessario per un tema – quello del lavoro – in cui la perdita del senso ideale ci condanna a una fatica senza gusto e senza scopo. Nel Trecento a Firenze, una concezione autenticamente umana del lavo-ro, documentata dai rilievi scolpiti sul Cam-panile di Giotto, ha reso gli abitanti di questa città protagonisti della storia. È oggi perciò decisivo ricomprendere il senso della nostra quotidiana fatica, perché la nostra esistenza personale sia lieta e torni a edificare un mon-do in cui sia bello vivere.

Mariella Carlotti