Il grecità classica, antico, nel NuovoTestamento

33
Il vino e le sue metafore nella grecità classica, nell'Israele antico, e nel Nuovo Testamento Romano Penna Premesse Nell'arcaico poema anglo-sassone Beowulf, databile verso i secc. vu-vin d.C., si canta una vicenda di liberazione da orribili mostri. Quando l'eroe giunge dalla Svezia alla corte del re dáñese, questi, prima dell'attacco all'Orco feroce di nome Grendel, che abita «putrescenti acquitrini» (v. 103), fa allestire un convito di accoglienza in onore di Beowulf. Ebbene, il segno delia festa che coinvolge tutta la corte non è altro che la birra: «... Un vassallo serviva: reggeva in mano la ricca brocea di birra, versava il límpido liquido. A intervalli cantava» (w. 494-496; cf. v. 483).' Tutto qui reca il segno dell'ambiente nordico: il tema del mostro è collegato con l'acqua paludosa come suo ambiente proprio, con la notte come suo tempo propizio, con il terrore e l'angoscia come sentimenti di reazione, e poi con una diffusa concezione pessimistica incentrata sul rinascere del mostro stesso e sulla corrispondente vanità degli sforzi umani.2 Manca totalmente la solarità mediterránea. Un elemento tipico di questo ambiente è appunto, tra gli altri, la presenza della «birra» (bcer) 1. L. Koch, a cura di, Beowulf (edizione bilingue, con introduzione e note) (Torino: Einaudi 1987)44-45. 2. Cf. L. Koch, ib., XIX: «Grendel è un protagonista e una manifestazione della notte. Una notte 'cupa' che lo occulta come le fitte nebbie della sua palude. Si usa lodare Virgilio, fra le molte ragioni, per avere conquistato Tesperienza della sera alia letteratura europea. Ma il buio pesto, tempestoso, invernale, pericoloso, (...) è sicuramente un'invenzione germánica».

Transcript of Il grecità classica, antico, nel NuovoTestamento

Page 1: Il grecità classica, antico, nel NuovoTestamento

Il vino e le sue metafore nella grecità classica,nell'Israele antico, e nel Nuovo Testamento

Romano Penna

Premesse

Nell'arcaico poema anglo-sassone Beowulf, databile verso i secc. vu-vind.C., si canta una vicenda di liberazione da orribili mostri. Quando l'eroegiunge dalla Svezia alla corte del re dáñese, questi, prima dell'attaccoall'Orco feroce di nome Grendel, che abita «putrescenti acquitrini» (v. 103),fa allestire un convito di accoglienza in onore di Beowulf. Ebbene, il segnodelia festa che coinvolge tutta la corte non è altro che la birra:

«... Un vassallo serviva:

reggeva in mano la ricca brocea di birra,versava il límpido liquido. A intervalli cantava»(w. 494-496; cf. v. 483).'

Tutto qui reca il segno dell'ambiente nordico: il tema del mostro ècollegato con l'acqua paludosa come suo ambiente proprio, con la nottecome suo tempo propizio, con il terrore e l'angoscia come sentimenti direazione, e poi con una diffusa concezione pessimistica incentrata sulrinascere del mostro stesso e sulla corrispondente vanità degli sforziumani.2 Manca totalmente la solarità mediterránea. Un elemento tipicodi questo ambiente è appunto, tra gli altri, la presenza della «birra» (bcer)

1. L. Koch, a cura di, Beowulf (edizione bilingue, con introduzione e note) (Torino:Einaudi 1987)44-45.

2. Cf. L. Koch, ib., XIX: «Grendel è un protagonista e una manifestazione della notte. Unanotte 'cupa' che lo occulta come le fitte nebbie della sua palude. Si usa lodare Virgilio, fra lemolte ragioni, per avere conquistato Tesperienza della sera alia letteratura europea. Ma il buiopesto, tempestoso, invernale, pericoloso, (...) è sicuramente un'invenzione germánica».

Page 2: Il grecità classica, antico, nel NuovoTestamento

42 r. penna

come segno vero di festosità, di cui ci si ubriaca volentieri (cf. w. 481.1241).

Ma nel Mediterráneo, circa un millennio e mezzo prima del Beowulf,Omero cantava già con accenti non meno lirici il vino come ingredientetipico delia festa, e un altro eroe, Odisseo, accolto alia corte di Alcinoo re

dei Feaci, cosi esclamava:

«... Non ve momento piü amabiledi quando la gioia pervade tutta la gentee i convitati ascoltano nella sala il cantore

seduti con ordine, le tavole accanto son pienedi pane e di carni, e vino dal cratere attingendoil coppiere lo porta e nelle coppe lo versa:

questa nell'intimo mi sembra la cosa più bella» (Od. 9,5-11).

II termine greco impiegato qui da Omero per designare il vino è ué0i!,che vale propriamente «bevanda inebriante» ed è comunque sinónimo dioivoç, «vino».3 Esso altrove è detto «gioioso» (II. 3,246: £í'<)>qü:>v) e «soave alcuore» (6,264: uk/í({xhi)v). II poeta giunge a definirlo 0elov jtótov, «bevandadivina» (9,205), dal «profumo sovrumano» (9,210-211: oópif]... Oecrasaíri),forse perché esso traspone l'uomo in una dimensione superiore, scono-sciuta. E con esso infatti che, poco dopo, l'eroe narra di essere riuscito a

soggiogare il furioso ciclope Polifemo (cf. 9,345-362). Perfino il mare,

quando appare di aspetto scuro per la sua profondità, viene paragonato alcolore del vino (oivoij:, «vinoso»: cf. II. 23,316; Od. 2,421; 5,132; 12,388). Lasua solarità è ben evidenziata da Esiodo che con esso caratterizza l'estate,la stagione delia «cicala canora» (Op. 582), quando «stando alfombra...beviamo il vino scintillante (aiOoty), volgendo il viso verso il vivido soffio diZefiro» (ib. 591-593). Ed è la stessa prospettiva mediterránea che riscon-triamo nel Salmo 104,15, dove si loda Dio per tre doni suoi tipici: «Il vinoche allieta il cuore dell'uomo, l'olio che fa brillare il suo volto, e il pane chesostiene il suo vigore».4

Come si vede, i due estremí cronologici, che sono pure geografici,implicano anche due estremí culturali. Il vino e la birra vengono dunque afunzionare come esponenti di due diversi tipi di società e di due différendconcezioni del mondo e delia vita. Non che la grecità ignori la birra, ma laconsidera un elemento di diversité, caratteristico delforiente barbara.Infatti Eschilo fa dire sprezzantemente al re di Argo, rivolto al messaggero

3. L'equivalenza semántica è evidente nel parallelismo tra i due termini in ib. 9,162 (pé0ví|óú, «vino dolce»)-163 (otvoç èovOoóç, «vino rosso»).

4. Cf. g. ravasi, Il libro dei Salmi, iii (Bologna: Dehoniane 1985, *1993) 118.

Page 3: Il grecità classica, antico, nel NuovoTestamento

IL VINO E LE SUE METAFORE 43

egiziano: «La gente di qui non beve l'ebbrezza dell'orzo» (èx xoiOdiv iiéfhj:Suppl. 952-953). D'altronde, in età classica non esiste nemmeno ancora a

livello lessicale un termine proprio per designarla e si ricorre perciò a peri-frasi analoghe alla precedente;5 il termine sarà coniato solo in età ellenisti-ca e non sarà neanche molto attestato.6

Qui di seguito non intendiamo prendere in considerazione gli aspettieconomici connessi con il vino come elemento di produttività agrícola ocome fattore di alimentazione.7 Ci proponiamo piuttosto di evidenziarnealcune metafore tipiche in uso nell'ambito delle culture mediterranee a

diversi livelli dell'esperienza umana. II vino infatti divenne nelMediterráneo parte costitutiva deH'immaginario collettivo come cifrarimarcata di vari momenti, concreti e ideali, della vita tanto individúalequanto sociale. Riduciamo questi momenti a cinque dimensioni, che cipaiono concentrare su di sé le varie sfaccettature possibili della realtà inquestione: la dimensione festosa, sapienziale, apocalittica, mistica, e cul-tuale. Ciascuna di esse sarà documentata senza distinguere tra culturagreco-pagana e cultura bíblica, che considereremo trasversalmente e quin-di unitariamente. In tal modo, pur senza pretendere di esaurire l'argomen-to, ci renderemo conto di quanto entrambi i versanti culturali condividanoelementi di base comuni, sia pure inserendoli poi in quadri d'insieme ri-spettivamente diversi.

5. Lo si constata per esempio in Erodoto (2,77,4: oîvoç èx xpiOérov), in Senofonte (Anab.4,5,26: otvoç xpí0tvoç), in Plutarco, Mor. 648E (xpíOivov jtó|.ia: ad esso ricorre solo chi mancadi vino); anche in Polibio si narra di un innominato re ibérico che voleva imitare lo sfarzo deiFeaci, ma nei suoi recipienti d'oro e d'argento non aveva che «vino d'orzo» (34,9,15).

6. In età ellenistica si trovano due vocaboli per designare la birra. Uno è Çú0oç (forse deri¬vante etimológicamente da Çúpr|, «lievito»), attestato a partiré da Teofrasto (cf. Liddell-Scott-Jones, A Greek-English Dictionary, sub voce), da cui il latino zythum (in Columella e Plinio ilVecchio). L'altro è oixspa, presente una dozzina di volte solo nei LXX (cf. Lev 10,9; Is 24,9; diqui nel N.T.: Lc 1,15) e poi in Galeno, proveniente dall'ebraico Sêkâr (che a sua volta riprendel'accadico Sikaru a ricordarne l'origine mesopotàmica; cf. W. Bauer, Wôrterbuch zurn NeuenTestament, s.v.). Nella Mishnah entrambi i termini, indicanti forse due diversi tipi di birra, sitrovano a designare alcune delle sostanze che vengono escluse dalla celebrazione della Pasqua(cf. m.Pes. 3,1 : «tutto ció che consiste di qualsiasi specie di granaglie», in quanto può fermen¬tare). Gli altri due termini della Bibbia ebraica per indicare il vino, yayin e tîrôS (quest'ultimopropriam. «mosto, vino dolce»), vengono normalmente tradotti dai LXX con oîvoç e raramen¬te con [xéOuopa (solo in Is 65,8 con ¿(i>§ «chicco d'uva»),

7. Cf. C. Seltman, Wine in the Ancient World (London 1957); M. Toussaint-Samat, Storianaturale e morale dell'alimentazione (Firenze: Sansoni 1991 [orig. franc., Paris 1987]) 277-322;T. Unwin, Storia del vino. Geografie, culture e miti dall'antichità ai giorni nostri (Roma: Donzelli1993) 93-131. Le principali fonti antiche in questo senso si possono considerare: Columella,De re rust. 12; Plinio il Vecchio, Hist.nat. 14; Ateneo, Deipnosoph. 1-10. A un livello divulgati-vo, cf. U. Bernardi, Creaturam vini (Milano: Camunia 1995) specie pp. 93-111.

Page 4: Il grecità classica, antico, nel NuovoTestamento

44 R. PENNA

1. Vino e convivialità

Come abbiamo già visto nel passo omerico, l'associazione del vino all'i-dea di festa conviviale è forse il dato primario nella percezione delle possi-bili dimensioni metaforiche collegate con esso. Lo possiamo verificare suentrambi i versanti culturali che c'interessano.

Per quanto riguarda la grecità, potremmo ricordare fin dall'inizio una

popolare anacreóntica, che esprime la diffusa concezione secondo cuibevendo si sciolgono tutti gli affanni: «Beviamo dunque il vino del buonLyaios! Col bere infatti si raddolciscono le pene» (fr. 11). È appena il casodi ricordare che «Lyaios» è un epíteto corrente di Dioniso, il quale con ildono del vino divenne un «Liberatore» dell'umanità!8 Su questa linea, maa un livello più coito, può valere come paradigmático un passo di Platone,là dove egli disserta sull'armoniosa educazione al piacere e al dolore; con¬statando che essa troppe volte viene meno agli uomini, il filosofo cosicontinua:

«Allora gli dèi, avendo pietà del genere umano per le sue sofferenze, con-cessero una tregua e la fissarono nella successione di feste dovute alia divi-nità, e compagni di festa (§uvEOQtaaxàç) diedero le Muse e Apollo e Dionisoperché gli uomini ne fossero di nuovo guidati alla rettitudine e la loro educa¬zione mediante il divertimento fosse corretta per virtù divina» {Leg. II,653d).

Come si vede, le tre divinità qui menzionate sono semplici personifica-zioni di altrettanti ingredienti delle feste che si celebrano tra gli uomini:rispettivamente la musica (a cui nel medesimo passo viene associata con-testualmente la danza), la poesia (a cui viene associato il canto), e il vino.Ed è intéressante notare che a due arti riconosciute corne espressioni tipi-che délia créativité interiore venga accostato come terzo, non un'arte, maun prodotto materiale corne il vino. Il senso però è appunto che per realiz-zare appieno la sua funzione questo non può essere disgiunto da quelle,non solo perché è ipostatizzato in una figura divina,9 ma anche perché essofavorisée per natura sua la danza e il canto, la cui unione secondo Platoneconnota armónicamente l'uomo ben educato (cf. ib. II,654ab).

Ma già in Pindaro il «calice spumeggiante di rugiada di vite» (OZ. 7,1-2: cpiaLuv... àpjTÉÀou xa/Lá^oioav ÔQÔaço) viene poéticamente celebratocome «vertice dei beni, splendore delia festa» (xoQuejjàv xxEOtvcuv,aupjioouru xe xáQiv: ib. 7,4-5). Tale esso resta, anche se viene mescolato

8. A volte si trova il doppio epíteto associato: Aúoioç xai Auaioç, «colui che svincola e libe¬ra» (dalla stessa radice verbale Xúetv, «sciogliere»): cf. Plutarco, Mor. 613C.

9. Sull'associazione di Dioniso con il vino diremo più sotto (cf. n° 5).

Page 5: Il grecità classica, antico, nel NuovoTestamento

il vino e le sue metafore 45

con acqua, come awiene normalmente pur con misure di volta in voltadiverse.10 L'importante è che non lo si assuma volgarmente «con strepitoe grida, al modo scitico [cioè barbaro], ma sorseggiandolo fra bei canti»(cost Anacreonte, fr. 43: xcdoïç újtojúvovteç ev iigvoiç).11 SecondoPlutarco, è indispensabile una giusta misura per evitare di essere siaubriachi, e quindi violenti e indecorosi, sia astemi, cioè adatti più a diri¬gere dei fanciulli che un simposio (cf. Mor. 620C). E corne già Ulisse, tor-nato in incognito a Itaca, dichiarava astutamente al pastore Eumeo: «Ilvino mi spinge, / il vino folle (r|X80ç), che fa cantare anche l'uomo più sag-

gio / e lo fa ridere mollemente e lo costringe a danzare, / e tira fuori paro¬le che sarebbe meglio non dire» (Od. 14,463-465), cosí lo stesso Plutarcodistingue tra due effetti del vino, l'ilarità (oïvœaiç) e l'ubriachezza (jié.0t]ço Jtapoivía). Se quest'ultima produce solo chiacchiere e discorsi su cosesu cui sarebbe meglio tacere, la prima è giudicata positivamente, poiché«il canto, il riso, e la danza, sono caratteristiche di chi beve il vino con

moderazione (pExpícoç)» (Mor. 645A). La letteratura cosiddetta «simposía¬ca»12 è la testimone migliore di questa prassi festosa, nobilitata dalla con¬versazione amichevole. Infatti, «se i lottatori hanno bisogno della polvereper attaccarsi e tenersi, è il vino che procura invece i contatti amichevoliquando è misto alia conversazione; questa infatti devia e fa passaré dalcorpo all'anima l'influsso benevolo che esso esercita» (Plutarco, Mor.

10. In Omero, Od. XI, 208-210, il rapporto è di «una misura di vino su venti misure diacqua» (ma si tratta di un vino eccezionalmente forte, quello dei Cicòni, che puro servirà asopraffare Polifemo); invece in Esiodo, Op. 596, il rapporto è di uno a tre («una parte di vinoe tre di acqua»); in Anacreonte, fr. 43, il rapporto è di uno a due («cinquè misure di vino e diecid'acqua»), e cosí anche in Alceo, fr. 44 («due parti d'acqua, una di vino»). Ma nei banchetti piùdistinti (cioè, quelli politici, nuziali, di anniversari, di accoglienza o di addio, e cultuali: vedi lacasistica in Plutarco, Mor. 679C-D) spettava al simposiarca adeguare la mescolanza in basealia sua conoscenza dei convitati, visto che la sopportazione del vino varia da persona a per¬sona (cf. Plutarco, Mor. 620C-D).

11. Cf. Pindaro, OI. 9,48-49: «Loda il vino vecchio, e insieme il fiore di canti nuovi». Da

parte sua, Plutarco raccomanda che il vino non venga né filtrato, il che sarebbe come castrar¬lo, né aromatizzato, il che sarebbe come prostituirlo (cf. Mor. 692B-693C).

12. Un elenco di autori, che nell'antichità produssero degli scritti intitolati «Simposio», ciè offerto da Plutarco, Mor. 612 D: Platone, Senofonte, Aristotele (pochi frammenti), Speusippo(perduto), Epicuro (pochi frammenti), Prytanis (perduto), Gerónimo (perduto), e DioneAccademico (perduto). Lo stesso Plutarco compose nove libri di «Qüestioni conviviali»,S-u^jrooiaxwv jipopXq(.iáTü)v= Mor. 612C-748D. Si potrebbe aggiungere la sezione della Letíeradi Aristea 187-294, in cui si descrive il banchetto offerto da Tolomeo Filadelfo ai traduttori dellaBibbia venuti ad Alessandria da Gerusalemme, caratterizzato da tutta una serie di qüestioniposte dal re ai saggi giudei (notare al § 193 il gesto conclusivo del re, che «prese un calice e feceun brindisi per tutti i presenti e per le cose dette»). Vedi in generale J. Martin, Symposion. DieGeschichte einer literarischen Form (Paderborn 1931).

Page 6: Il grecità classica, antico, nel NuovoTestamento

46 R. PENNA

660B).'3 E a riprova del fatto che in un pasto è persino meglio che man-chi il vino che non la koinonla délia parola, Plutarco riporta un detto spi-ritoso di Teofrasto, il quale paragonava scherzosamente le botteghe deibarbieri a dei «simposi senza vino» (ctoiva ovpjióaia) perché propiziano laloquacità di chi vi si siede (cf. Mor. 679A).14 Ma lo stesso Plutarco para-

gona la conversazione in un simposio ad un «cratere senza vino»(xahájtEQ xpaxfjQa vr](|>áX.iov: Mor. 156D; cf. 712B).

Per quanto riguarda poi la letteratura bíblica, rileviamo che anche qui,e non poteva essere altrimenti, è ben attestato il tema delia convivialità fe-stosa nel semplice ámbito profano; questo però viene piegato a esprimerealcune altre dimensioni inedite nella grecità. Accenniamo quindi per gradia quattro livelli semantici diversi.

In primo luogo vediamo che, soprattutto nei libri del Qohelet e delSiracide, viene sottolineata l'importanza del vino per una vita umana vera¬mente lieta.15 II primo quasi sorprende nell'istruire il lettore sui valori cheritiene laicamente solidi in mezzo all'universale vanità di tutte le cose: «Và,mangia con gioia il tuo pane, bevi il tuo vino con cuore lieto» (Qoh 9,7).Anche se altrove egli afferma in tono polémico contro i principi disonestiche «il vino allieta la (loro) vita» (Qoh 10,19),16 tema costante del libro tut-tavia è la bontà delle gioie più semplici e genuine (cf. 2,3; 3,12-13; 5,17-19;8,15). Il Siracide invece non lascia dubbi sul valore positivo del vino:

«II vino è come la vita per gli uomini (eòioov Çoofjç oLvoç úvBqwjioiç), pur-ché tu lo beva con misura. Che vita è quella di chi non ha vino? Esso fu crea-to per la gioia degli uomini. Allegria del cuore e gioia dell'anima (u.ya}.}Áa\iaxccQÒíaç xai eixj>Qoai)vr| ipiiyjjç) è il vino bevuto a tempo e con misura.Amarezza dell'anima è il vino bevuto in quantité, con eccitazione e per sfida»(Sir 31,27-29).

Riecheggia qui un'affermazione antica, corne quella che leggiamonell'arcaico apologo di Iotam, il cui autore fa dire alla vite: «Rinuncerò

13. Vedi anche Plutarco, Mor. 156D: «Col vino, come in un fuoco, Dioniso addolcisce i

comportament! e favorisce un inizio di vicendevole unione e di amicizia (inr/yy.oántojz... xai(j>Aíaç)» (cf. anche Ib. 620D).

14. Direttamente dai Caratteri di Teofrasto sappiamo che i'adulatore viene messo alia ber¬lina, tra l'altro, perché «tra gli invitati a un pranzo è il primo a fare i complimenti per il buonvino» (Car. 2,10: Jtpôtoç èjtaivéoat xòv otvov).

15. Ma già il «Libro dei Vigilanti» in Enoc etiópico 10,19 definisce le viti corne «alberi diletizia».

16. La frase va certamente letta in senso negativo, quasi di un rimprovero profetico (cf. Am6,4-6; Is 5,11), poiché poco prima ha esclamato: «Guai a te, o paese, che per re hai un ragazzoe i cui principi banchettano fin dal mattino!... Per stare lieti si fanno banchetti» (Qoh 10,16.19).

Page 7: Il grecità classica, antico, nel NuovoTestamento

IL VINO E LE SUE METAFORE 47

forse al mió mosto (tîrôs) che allieta dèi e uomini?» (Gdc 9,13).17 La com¬

ponente delia gioia è una costante. E nella sentenza di Sir 40,20, «Vino e

musica rallegrano il cuore», sentiamo risuonare la temática greca già vistasopra.18 Ritroviamo il tema sub contraria specie nell'istruzione un po' pes-simistica di Prov. 31,6-7: «Date... il vino a chi ha l'amarezza nel cuore; bevae dimentichi la sua povertà e non si ricordi più delle sue pene»; evidente¬mente qui si consiglia la scappatoia dell'ebbrezza a chi ha problemi darisolvere, ma la si sconsiglia senza riserve a chi deve agiré con saggezza:«Non conviene ai re bere vino né ai principi bramare bevande inebrianti»!(31,4). Del resto leggiamo anche una generale messa in guardia dagli ecces-si del bere, i cui effetti vengono descritti nei termini che oggi noi attribui-remmo alla droga: «Non guardare il vino quando rosseggia, quando scintil¬la nella coppa e scende giù piano piano; finirà con il morderti come un ser¬

pente e pungerti come una vipera. Allora i tuoi occhi vedranno cose stranee la tua mente dirà cose sconnesse. Ti parrà di giacere in alto mare o di dor¬miré in cima all'albero maestro» (Prov 23,31-34).

A un secondo livello, il vino diventa metáfora della Sapienza personifi-cata. Essa «ha ucciso gli animali, ha preparato il vino e ha imbandito latavola»; poi ha mandato le sue ancelle in città a invitare soprattutto gli stol-ti col dire loro:

«Venite, mangiate il mió pane, bevete il vino che io ho preparato» (Prov9,2-5).

L'ipostatizzazione letteraria della Sapienza (TM hokmah; LXX ooqpia ) nefa una sorta di padrona di casa che offre di propria iniziativa e generosa¬mente la propria ospitalità ai viandanti bisognosi, cioè agli uomini in cerca dinutrimento sostanzioso per le strade della vita. A questo proposito è signifi¬cativo il fatto che contestualmente essa viene contrapposta a Donna Follia, laquale pure invita i passanti, ma senza andarli a cercare attivamente e solo peroffrire loro, insieme al pane, non il vino ma l'acqua (cf. Prov 9,13-18).19 II vinoperciò diventa símbolo di una esistenza ricca di saggezza, propria di colui chesa impostare intelligentemente la propria vita e le proprie relazioni.20

17. L'arcaicità del testo è chiaramente suggerita dalla menzione degll dèi, che in più si tro-vano accomunati ai mortali per il comune denominatore del vino.

18. Anche nel Talmud babilonese si leggerà che «non c'è gioia senza vino» (b.Pes. 109a).Cf. J. DüLLEr, «Der Wein in Bibel und Talmud» Bíblica 4 (1923) 143-167, 267-299.

19. Cf. L.A. Schokel - J. Vilchez Lindez, I Proverbi (Roma: Borla 1988 [orig. spagn.,Madrid 1984]) 287-294.

20. Può essere intéressante osservare che in Prov 9,5 il verbo tradotto dalla CEI con «hopreparato» (detto del vino) significa propriamente «mescolare, temperare» (TM masak; LXX

Page 8: Il grecità classica, antico, nel NuovoTestamento

48 R. PENNA

A un terzo livello, il banchetto fornito di vino è immagine di una realtàfutura, prospettata per il tempo escatologico. In Isaia 25,6.8 infatti leggia-mo:

«Préparera il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, unbanchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulen-ti, di vini raffinati... Eliminera la morte per sempre; il Signore Dio asciugheràle lacrime su ogni volto».21

Volendo tratteggiare il quadro di un'età felice, il profeta ricorre a un'im-magine conviviale di per sé molto eloquente, che certo si aggiunge ad altre(cf. la coesistenza pacifica di lupo e agnello in Is 11,6) ma che più di quel¬le esprime la relazionalità festosa tra gli uomini. In più si tratta di un ban¬chetto a cui sono invitati tutti i popoli, cosicché sorge spontanea l'idea diuna tavolata immensa e gioiosa, a cui si partecipa in piena fraternità, senzadistinzioni di nessun tipo. La ripetuta accoppiata di cibi gustosi e vini pre-

giati evidenzia da parte sua l'abbondanza e la raffinatezza di una mensa,dalla quale è finalmente bandito ogni motivo di tristezza.22 Anche neimanoscritti di Qumràn si ritrova il tema del banchetto escatologico incen-trato sul pane e sul vino dolce (tîrôs), verso il quale, secondo la messiano-logia propria di quella comunità, stenderà la mano prima il Sacerdote e poiil Messia d'Israele (cf. lQSa 2,17-21).23 Su questa linea si colloca il detto diGesù nell'Ultima cena, specialmente secondo la redazione matteana:«Dora innanzi non berrò più di questo frutto délia vite, fino a quel giornoin cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mió» (Mt 26,29; cf. Me

XEQáwuiAi). Infatti il vino àxQaxoç, «non mescolato, puro», era ritenuto dannoso, fonte diebbrezza e quindi di debolezza (cf. Erodoto 1,207,6; Senofonte, Anab. 4,5,27; e sopra: Nota10); solo agli dèi si facevano libagioni di vino puro (cf. Omero, II. 2,341; 4,159).

21. Il TM in questo caso è molto migliore dei LXX, sia per la sua maggior estensione, siaper i begli effetti letterari dell'allitterazione ottenuta nell'ebraico.

22. Cf. L. Alonso Schòkel - J.L. Sicre Díaz, / Profeti (Roma: Borla 1984 [orig. spagn.,Madrid 1980]) 225-240, dove si inserisce il brano in un discorso complessivo concernente l'es-catologia (a cui appartiene anche il cosiddetto «canto della vigna» di Is 5,1.6). È curioso ricor-dare che, secondo il Talmud, nel Mondo Avvenire l'uomo non dovrà più affaticarsi nel ven-demmiare e nel pigiare, poiché sarà sufficiente un solo acino per trarne direttamente, come dauna botte, trenta misure di vino (cf. b.Ket. 111b).

23. Si discute se questa descrizione si riferisca anche ai pranzi quotidiani dell'Assemblea,come sembra essere il caso di 1QS 6,4-5 (e anche IQSa 2,22); la presenza del «Messiad'Israele», tuttavia, va intesa in senso escatologico (cf. IQSa 2,11-12: «Quando Dio avrà fattonascere il messia in mezzo a loro» [trad. L. Moraldi]; «When (God) begets the Messiah withthem» [trad. F. García Martínez]). Probabilmente qualche pasto sacro all'interno dellaComunità doveva avere uno spéciale orientamento di questo tipo (cf. J.f. Priest, «The Messiahand the Meal in IQSa» JBL 82 [1963] 95-100).

Page 9: Il grecità classica, antico, nel NuovoTestamento

il vino e le sue metafore 49

14,25): congedandosi dai suoi, Gesù prospetta loro la ripresa di una convi¬vialité che sarà segnata da un vino nuovo ma che si porrà anche in conti¬nuité con la festosité dell'attuale banchetto eucaristico che ha Lui come

capotavola.24In quarto luogo, quasi erede di tutti i livelli precedenti, si pone il trat-

tamento simbólico che il Quarto Vangelo fa di Gesù e délia sua funzionesalvifica, cosi come la possiamo verificare nel racconto delle nozze di Cana(cf. Gv 2,1-11). Non potendo qui addentrarci nei dettagli del passo giovan-neo, ne cogliamo soltanto i fattori fondamentali. Certo è che una lettura deltesto che voglia rendere piena ragione della sua ricchezza semántica devenecessariamente riconoscere la sua valenza cristologica e la dimensionemetafórica del vino, che vi si accompagna come elemento principale ditutta la scena. Il senso globale del testo è che il Messia raduna la sua comu-nité di discepoli attorno a un banchetto di nozze, figura e presenza deitempi ultimi.25 In questo caso il vino diventa figura di abbondanza (cf. v. 6:le sei giare contengono ca. 600 litri!), di gioia (cf. v. 10: «il vino migliore»aumenta la festosité di chi è giá brillo), e di qualité (poiché il vino non soloproviene dalla trasformazione di una certa quantité d'acqua, ma in più èmigliore di quello giá servi to prima). Dato per scontato che l'acqua di Canava letta come simbolo della Legge di Mosé e in generale del giudaismo,«Cristo, trasmutando l'acqua in vino, dimostra di voler condurre a matu-razione piena l'Alleanza Antica, con le sue persone e le sue istituzioni».26 IIvino allora, anticipando l'«ora» finale di Gesù (cf. v. 4), viene a simboleg-giare in generale la nuova economia cristiana e in particolare la personastessa di Gesù morto e risorto, in quanto donatore dei beni messianici defi-nitivi e pienamente appaganti.27 A questo punto potrebbe opportunamenteservire da commento esterno un bel passo di Filone Alessandrino, lá dovescrive: «A un'anima felice che protende la santa coppa, cioè la propriaragione, chi verserá le sacre misure della vera gioia, se non il coppiere diDio (ó olvoxóoç toí) 0Eoñ) e responsabile del banchetto (xal aupjtoaíaQxoç),il Logos, che non differisce dalla bevanda stessa, ma è egli stesso (vino)genuino (âxQatoç), ed è la gaiezza, il gradimento, l'espansione dell'anima,

24. Cf. P. Lebeau, Le vin nouveau du royaume. Étude exégétique et patristique sur la Paroleeschatologique de Jésus à la Cène (Paris-Bruges 1966).

25. Cf. X. Léon-Dufour, Lettura dell'evangelo secondo Giovanni, I (Cinisello Balsamo: SanPaolo 1990 [orig. franc., Paris 1988]) 329.

26. A. Serra, Nato da donna... (Gal.4,4). Ricerche bibliche su Maria di Nazaret (1989-1992)(Roma: Marianum 1992) 264; ma cf. gli interi capitoli III-IV del volume (= pp. 141-265).

27. Cf. B. Barnhart, The Good Wine. Reading John from the Center (New York-Mahwah1993): tema centrale di Gv, secondo l'Autore, è la fede che Dio ha versato la realtà divina nell'u-manità attraverso la persona di Gesù Cristo.

Page 10: Il grecità classica, antico, nel NuovoTestamento

50 R. PENNA

l'ilarità, e, per esprimerci in termini poetici, il filtro d'ambrosia che di¬spensa gioia ed esultanza?» (De somn. 2,249). Appena si superi l'allegori-smo filoniano,28 va ammesso che forse non si poteva esprimere meglio e contoni cosi alati il rapporta esistente tra Gesù-Logos e il vino da lui donato.29

2. Vino e sentenze sapienziali

Tanto la grecità profana quanto la letteratura israelítica hanno dedica¬te al vino varie sentenze gnomiche, che stanno a dimostrare la sua impor-tanza indiscutibile nella vita dell'uomo. Prima di elencarne alcune, ricor-diamo l'encomio che ne viene fatto in un apócrifo giudaico databile pro-babilmente al sec. il a.C.:

«Signori, com'è che il vino è la cosa più forte (ÚJteptaxÚEi)? Esso fa smar-rire la mente (nXavq. xi)v óiávoiav) a tutti gli uomini che ne bevono. Uguagliala mente (jtoiet rf|v ólávoiav ^íav) del re e quella dell'orfano, quella del servo equella del libero, quella del povero e quella del ricco. Esso volge ogni pensie-ro in un senso di benessere e di contentezza (eùtoxlav zed £Ù4>Qoaùvr|v), fadimenticare ogni dolore e ogni colpa (où pépvqTai Jiâaav Xùjtr|v xai Jtâvò(|>eüa||.ia). Rende ricco ogni cuore (jtàaaç xapôiaç Jtoteï JtÀovaiaç), gli fadimenticare re e satrapo e fa parlare ciascuno nell'abbondanza. Quando si èbevuto, (il vino) fa dimenticare l'amore per gli amici e per i fratelli; dopo nonmolto si sguainano le spade. Quando poi si viene fuori dagli effetti del vino,esso non fa più ricordare che cosa si è fatto. Signori, non è dunque il vino lacosa più forte, se costringe (àvavxâtei) gli uomini a comportarsi in questomodo?» (3Esd 3,18-24).30

Questo encomio nel contesto è solo il primo di una serie (seguono: il re,le donne, e poi la verità); ma, anche se contestualmente si celebra poi laverità come il valore più grande, la stessa collocazione del vino all'iniziodimostra quanto owio e immediato fosse il pensare al vino come fattore

28. Egli sta commentando il passo di Gen 41,17, in cui il Faraone confida a Giuseppe unsogno: «Mi sembrava di trovarmi sulla riva del fiume (Nilo)», e comincia a spiegare: «II fiumeè simbolo del Logos» (De somn. 2,238).

29. Quanto poi all'abbondanza del vino, essa si può spiegare sullo sfondo delia haggadahgiudaica che in Palestina poteva ben competeré con le leggende cultuali circa Dioniso dio grecodel vino; cf. M. Hengel, The Dionysiac Messiah, in id., Studies in Early Christology (Edinburgh)293-331.

30. Traduzione dal greco di P. Sacchi, Apocrifi dell'Antico Testamento, I (Torino: UTET1981) 141. Ricordiamo che la sigla «3Esd» deriva da Vg, nel cui canone il libro segue quelli diEsdra e Neemia (detti l-2Esd); stando ai LXX invece, dove precede i libri canonici di Esdra e

Neemia, esso va siglato «lEsd».

Page 11: Il grecità classica, antico, nel NuovoTestamento

IL VINO E LE SUE METAFORE 51

principe nell'ambito dell'esperienza umana," come dimostrano anche isuoi effetti contrastanti, come l'annebbiamento délia mente e l'egualitari-smo sociale. Un encomio análogo si trova nello storico ebreo FlavioGiuseppe, quando commenta il racconto bíblico del coppiere del Faraone,al quale in prigione il patriarca Giuseppe interpretó il sogno dei grappolidi una vite spremuti nel calice del Faraone stesso, offerto poi a lui da bere(cf. Gen 41,9-15); il sogno è ritenuto di buon auspicio, poiché «il fruttodélia vite è stato dato da Dio agli uomini in benedizione (èif ayaQüi): essoinfatti viene versato in libagione a lui e favorisée la fedeltà e l'amicizia fragli uomini, sciogliendo le awersità, scacciando le sofferenze e gli affanni incoloro che lo assumono, e traendoli al piacere» (Ant. 2,66). Sono messebene in risalto in questo testo le varie dimensioni del vino: cultuale, inter-personale, e individúale.

Ed è allora sulla base di queste celebrazioni che possiamo comprén¬deme meglio il molo svolto nelle sentenze sapienziali; noi qui ne ricordia-mo tre.

Un primo motto è quello universalmente noto nella sua formulazionelatina: In vino ventas. Esso in realtà affonda le sue radici in un carme diAlceo, poeta lírico del sec. vi a.C., di cui ci è giunto questo frammento ditimbro probabilmente erotico:

«Vino e verità, o diletto fanciullo» (fr. 366: Oîvoç, ù) <)>iX.e irai, xai àX.à0Ea).

Esso sarà ripreso e citato più o meno letteralmente in vari scrittori po¬steriori.32 Ma anche Platone sostiene che «per provare a poco prezzo e inmodo innocuo l'indole di ciascuno» non ce sistema migliore delia «provadel vino» (Leg. l,649d-e: irriga... ev oïvç>). Alio stesso modo leggiamo nelSiracide: «Come il fuoco prova il métallo, cosí il vino prova i cuori» (31,26:ôoxipcxÇei... oivoç xagôiaç). Esso, cioè, come diremmo noi oggi, ha una fun-zione psichedelica, in quanto porta il bevitore a parlare liberamente e quin-di a rivelare se stesso senza remore.33 Plutarco infatti commenta acuta-

31. Del resto, è verosimile che l'encomio délia verità sia un pezzo aggiunto in seguito(forse di parte pagana?): cf. P. Sacchi, Apocrift, 119. Utili indicazioni bibliografiche, anche perquanto riguarda il tema del banchetto nel cui ámbito awiene la gara dell'encomio, si possonotrovare in 1. rosso ubigli, «Gli apocrifi (o pseudepigrafi) dell'Antico Testamento. Bibliografia1979-1989» Henoch 12 (1990) 259-321, qui 286-287.

32. Cf. Platone, Simp. 217e; Teocrito, Idil. 29,1; anche Orazio, Sat. 1,4,89; e poi nei suc¬cess™ paremiografi (cf. Corpus Paroemiographorum Graecorum, edd. E.L. A Leutsch - F.G.Schneidewin, 3 voll. (Hildesheim 1958-1961 [= Gottingen 1839, 1851, 1887]).

33. Il concetto di Jtappr|aía come «piena libertà di parola» viene esplicitamente connessocon ¡1 vino in Senofonte, Symp. 8,24; ma anche Plutarco, Mor. 613C, dice di Dioniso che dà«libertà alla parlata», ètenOepiav ri) <(>ovrj.

Page 12: Il grecità classica, antico, nel NuovoTestamento

52 R. PENNA

mente: «Non c'è modo di conoscere un uomo che mangia e beve in silen-zio; ma, poiché il here porta a parlare e la loquacità manifesta e mette anudo molte cose che altrimenti resterebbero nascoste, il here insieme pro¬cura la possibilità di conoscersi vicendevolmente. (...) Infatti il vino ci apree ci rivela (r|pàç àvoíyei xai ôeixvuaiv), in quanto non ci permette di staresilenziosi, ma ci spoglia di quanto abbiamo di artificiale e di simulato e ciallontana il più possibile dalla tutela delle comuni convenzioni» (Mor.645B). Il concetto si ritrova espresso in una analoga sentenza dello stessoAlceo: «Il vino è lo specchio dell'uomo» (fr. 333: olvoç yàQ «vOoo'mpôlojitqov), che risuona poi in espressioni analoghe posteriori.34 AncoraPlutarco riferisce il proverbio: «Ció che è nel cuore dell'uomo sobrio è sullalingua dell'uomo ebbro» (Mor. 503F); e continua: "Ecco perché Biante, chedurante una comune bevuta restava in silenzio ed era perciò tacciato disciocchezza da parte di un chiacchierone, rispóse a costui: «Quale scioccomai potrebbe stare zitto quando beve vino?"» (ib.: xíç civ òúvatxo |iojoòç evoLvco oiojtàv;).35 Evidentemente si tratta di un topos molto diffuso.

Un'altra sentenza diventata proverbiale, e alia quale fanno capo altreanaloghe, è quella che possiamo leggere nel Salterio biblico, ma che hachiare corrispondenze anche nella letteratura greca:

«Il vino allieta il cuore dell'uomo» (Sal 103/104,15 LXX: olvoç ríxJXMiíveixaQÔiav àv0Q(í)jTov; TM: w'yayin y'sammah lebab-'ënôs).

Già secondo Omero la madre di Ettore al figlio tornato dalla battagliaoffre del «vino dolcissimo» ed esprime cosi lo scopo del suo gesto: «Perchétu libi al padre Zeus e agli altri immortali / anzitutto; e poi anche tu ne trar-rai giovamento (xaüxòç ôvf|aexai) se ne bevi; / molto vigore infatti accre-sce il vino (pévoç péya oLvoç àéíçei) all'uomo spossato» (II. 6,259-261). E senel libro biblico di Isaia per descrivere la situazione di una città distrutta(forse Babilonia) si dice che «per le strade si lamentano, perché non cevino, ogni gioia è scomparsa, se ne è andata la letizia dal paese» (Is 24,11),all'opposto il ritorno degli esiliati in Israele viene cosi dipinto dal profetaZacearía: «Gioirà il loro cuore come inebriato dal vino, vedranno i loro figlie gioiranno e il loro cuore esulterà nel Signore» (Zac 10,7). AnálogamenteOrazio, riferendosi alia pace riaequistata dopo la guerra di Azio, esclama:

34. Cf. Teognide, v. 500; e il fr. 393 di Eschilo: «Il bronzo è lo specchio del volto, il vinoquello della mente» (riportato anche in Ateneo, 10,427F; Stobeo, 3,18,z). Vedi anche Orazio,Carm. 3,21,14-16.

35 L'apocrifo «Testamenti dei XII Patriarchi», affermando che «il vino svela i segreti di Dioe degli uomini» (Test.Iud. 16,4), sembra paventare il rischio che esso induca a rivelare gli arca¬na mysterii a chi non bisogna.

Page 13: Il grecità classica, antico, nel NuovoTestamento

IL VINO E LE SUE METAFORE 53

Nunc est bibendum, nunc pede libero / pulsanda tellus, «Ora bisogna bere,ora è tempo di battere la terra con piede libero!» (Carrn. 1,37,1s).36 A que-sto ámbito semántico appartiene in generale il tema del superamento dellepreoccupazioni e delle ansie delia vita, e a tal proposito abbiamo già cita¬to più sopra una tipica anacreóntica. Ma anche un frammento di Alceo èesplicito: «Non bisogna abbandonar l'animo aile sventure, / poiché nullagioverà affliggerci, / o Bucchis; ma fármaco ottimo ((Jiáofiaxov ô' àpioTov) /è farsi portar vino e inebriarsi» (fr. 335).37 Il medesimo concetto è ribaditodal celebre verso oraziano: Nunc vino pellite curas, «Ora col vino cacciategli affanni» (Orazio, Carm. 1,7,31). A questo proposito l'elogio migliore èstato scritto forse da Euripide nelle Baccanti, là dove esalta «le due cose

essenziali agli uomini» (w. 274-275), e cioè la terra che nutre i mortali con

alimenti asciutti e poi «l'umido succo délia vite» (v. 279: (Iôtquoç ir/oòvjttòpa),38 che cosí viene celebrato: «Esso spegne dei mortali infelici / il dolo-re, quando si riempiono délia linfa dei grappoli, / e il sonno, oblio dei maliquotidiani, / dispensa, né ce altro rimedio aile fatiche (otiô' ëox' àkXo(Jxxppaxov jióvoiv)» (w. 280-283). Anche tutto ció che abbiamo detto sopracirca la convivialità rientra di fatto in questa prospettiva.39 Ed è significa¬tivo che Plutarco paragoni gli effetti dell'amore (tò èçâv) a quelli dell'eb-brezza da vino: «Infatti esso rende caldi e ilari e rilassati (jtoiet yàg Oeouoùçxai IXaQoùç xai ôiaxexupÉvouç)» (Mor. 622D).40

36. Questo verso è notoriamente una imitazione di Alceo: vOv yoi] (tE0éo0i)v xai TivajtèpPíav / jttóvqv, «ora è necessario che ci inebriamo e che beviamo a oltranza» (fr. 20 B.: in mortedel tiranno Myrsilos).

37. L'idea del fármaco si troverà persino nel Talmud, là dove leggiamo: «Alla testa di tuttele medicine ci sono io, il vino; dove manca il vino sono necessari i farmaci» (b.B.B. 58b).

38. È da notare che i due elementi, «terra e vino», vengono contestualmente impersonatidalle due figure divine di Demetra e di Dioniso.

39. A questo proposito, vedi anche la descrizione di un simposio fatta da Plutarco:«Quando un grande cratere è posto in mezzo a noi e sono distribuite le corone che gli dèi cidanno in segno delia nostra libertà, è ragionevole cantare...» (Mor. 615 A-B). Ricordiamo cheanche il proverbiale «inter pocula» suona integralmente inter pocula laeti, detto da Virgilio inun contesto di festa bacchica (Georg. 2,383).

40. Per estensione ricordiamo nel N.T. una doppia menzione degli effetti terapeutici delvino. Luna riguarda le conseguenze lenitive di una mistura di vino e olio sulle ferite del corpo,attestata nella parabola evangélica del Buon Samaritano (cf. Le 10,34); una uguale mistura èpraticata secondo la Mishnah nel caso délia circoncisione (cf. m.Shabb. 19,2). L'altra concerne

gli effetti digestivi del vino, secondo la raccomandazione di Paolo a Timoteo: «Non bere piùsolo acqua, ma fa uso di un po' di vino a motivo dello stomaco e delle tue freqüenti indisposi-zioni» (ITim 5,23); análogamente la medicina del tempo prescrive il vino come tonico e rime¬dio che facilita la digestione, combatte Tanoressia, ed elimina i borborigmi, soprattutto se lo siprende con un po' di miele (cf. Dioscoride, Mat. med. 5,7,1, in C. Spicq, Les építres pastorales,I [Paris 41969] 549).

Page 14: Il grecità classica, antico, nel NuovoTestamento

54 R. PENNA

Infine accenniamo a una sentenza di tipo negativo, riportata già comeproverbiale in latino da Plinio il Vecchio: Sapientiam vino obumbrari, «lacognizione è annebbiata dal vino» (Nat.Hist. 23,23,41). Essa è erede di un

motivo antico e diffuso, secondo cui il vino fa uscire di senno.41 Sulla stes-sa linea si colloca il già citato verso omerico, che per metáfora parla effi-cacemente di «vino folle» (Od. 14,463-464). Alio stesso modo la letteratu-ra biblica sentenzia più volte: «Il vino e il mosto tolgono il senno» (Os4,11); oppure: «Vino e donne traviano anche i saggi» (Sir 19,2).42 Una fortecondanna in questo senso si trova nell'apocrifo giudaico «Testamenti deiXII Patriarchi», Test.Iud. 14 e 16, che (con riferimento all'ingannevoleunione del patriarca Giuda con la nuora Tamar, raccontata in Gen 38)stigmatizza gli effetti deleteri del vino, visto al servizio dell'impudicizia(olvoç cbç ôuxxovoç TTjç jtoQVEÍaç), e cosí si esprime: «Custodite, figli miei,il limite del vino (ó ôqoç toü ol'voij); in esso infatti ci sono quattro spiritimaligni: del desiderio, dell'ardore, delia lussuria, e dell'avidità» (16,1); se

bevuto fino all'ubriachezza, «travolge la mente lontano dalla verità»(14,1), «turba la mente con pensieri sporchi» (14,3); se ne trae questanorma: «Se volete vivere castamente, non toccate per nulla il vino» (16,3);e il criterio da seguiré (f) aúveoiç tfjç oivojrooiaç) in pratica suona cosi:«Finché si mantiene il senso del pudore, si può bere» (14,7: ecoç ote exeia'iôcô, jiívEi). Si comprende bene come su queste basi sia sorta una fortemessa in guardia e quindi un'ammonizione contro i rischi morali ineren-ti al bere vino, come si constata ripetutamente sia nel neo-pitagorismo43sia soprattutto nella letteratura giudaica e poi cristiana.44 Forse è in que¬sta prospettiva di ascetismo che si spiega anche la prassi israelítica del

41. Ma va ricordato che, análogamente, è anche attestato soprattutto nei Comici il dettocontrario, secondo cui «chi beve (solo) acqua non produce nulla di saggio» (cf. Liddell - Scott- Jones, s.v. îîôcoq).

42. Cf. anche Prov 20,1 LXX: «Il vino è àxcAaaxov (= intemperante, sfrenato, smodato),l'ebbrezza è úfipioxixóv (= violenta, tracotante, impudente): chiunque si unisce ad essa non èsaggio».

43. Soprattutto in Apollonio di Tiana (cf. Filostrato, Vit.Apott. 1,32; 6,11: «Dimentica ilvino, per non intorbidare il cratere délia sapienza che è posto nell'animo di chi non beve») e inVersi Aurei 33 (cf. H. Lewy, Sobria ebrietas. Vntersuchungen zur Geschichte der antiken Mystik,[BZNW 9; Giessen 1929] 42-72). Persino lo scettico Pirrone ammoniva: «Il vino preso conmisura (olvoç péxQioç) irrobustisce, ma in eccesso (jr/.doiv) indebolisce» (in Diogene Laerzio9,86).

44. Vedi in particolare: Tob. 4,15; Test.Iss. 7,3; Ps.-Phoc. 69; Or.Syb. 2,95; nel N.T. spicca iltesto di Ef 5,18 («Non inebriatevi di vino, nel quale c'è sregolatezza»), che qualcuno ha letto inpolèmica con i cuiti orgiastici di Dioniso (cf. C.L. Rogers, The Dionysian Background ofEphesians 5:18 [Bibliotheca Sacra 136; 1979] 249-257). Per altri sviluppi, cf. G. Ceccarelli,«Aspetti medico-sociali dell'alcol nella Bibbia», Gazzetta Medica Italiana-Archivio per le Scienzemediche 152 (1993) 209-215.

Page 15: Il grecità classica, antico, nel NuovoTestamento

IL VINO E LE SUE METAFORE 55

nazireato, la quale implicava l'astensione da ogni prodotto delia vite (cf.Num 6,1-21, specie w. 2-4).45

Per questi vari motivi si pensa pure spesso che chi agisce sotto i fumidel vino non sia credibile, se non addirittura riprovevole. Tale sembra esse-re il senso di un proverbio adespota, tramandato da Plutarco: «Odio uncommensale che abbia buona memoria» (pioéco pvdpova oupjtótav), poiché«o non bisogna ricordare nulla di ció che è compiuto sotto gli effetti delvino oppure vanno ricordate solo quelle cose che sono degne di un rim-provero leggero e scherzoso» (Mor. 612C-D). Si comprende quindi che,come l'enciclopedico Ateneo riporta il detto secondo cui «il vino non hatimone» (Deipnosoph. 10,427F: ó oLvoç où y. exei Jtqbcdda), cioè fa parlare eagiré a vanvera, cosí in Israele il profeta Michea affermi con sferzante iro¬nia che una profezia fatta sotto gli effetti del vino non ha nessun valore:«Se uno che insegue il vento e spaccia menzogne dicesse: "Ti profetizzo invirtù del vino e di bevanda inebriante", egli sarebbe un profeta per questopopolo» (Mic 2,11 )!46 Si potrebbe forse ipotizzare che proprio per questo S.Paolo nelle Lettere Pastorali raccomanda che Yepiscopos e il cLiàkonos nonsiano dediti al vino (cf. ITim 3,3.8; Tit 1,7). Infatti, come già ammettevaSenofonte a proposito dei responsabili del bene pubblico, «non si può farsi che siano preposti ad altri coloro che sono intemperanti nel vino, poichéil bere fa dimenticare tutto ció che è necessario fare» (Oecon. 12,11: /,f|0r]vèpjtoieï jiúvtojv tüív jroáxxeoOai. òeopévorv).47 È lo stesso principio che staalia base della raccomandazione del libro dei Proverbi, là dove saggiamen-te si ammonisce che «non conviene ai re bere il vino (...) per paura che,bevendo, dimentichino i loro decreti e tradiscano il diritto di tutti gli afflit-ti» (Prov 31,4-5).

3. Vino e apocalittica

Una metáfora del vino completamente estranea alla grecità è quellache si trova sporadicamente nella letteratura apocalittica, che è per defi-nizione di matrice giudaica e coltivata anche da alcuni settori del cristia-nesimo.

45. Accenni alia prassi, con specifico riferimento al vino, si trovano in Am 2,12; Le 1,15 (ein Q: Le 7,33/Mt 11,18); un caso spéciale è quello dei Recabiti in Ger 35.

46. Secondo questo testo il profeta «è uno che sostituisce alla denuncia il brindisi» (L.Alonso SchOckel - J.L. Sicre DIaz, I Profeti, 1196). La coppia oîvoç xai |xé9t)a¡.ia nei LXX rendel'ebraico yayin WSêkâr del TM, che equivale forse a «vino e birra» (cf. sopra; Nota 6).

47. La qualità opposta è quella dell ejtiEtxr], «sobrio, moderato» (ITim 3,3), su cui cf. C.Spicq, Note di lessicografia neotestamentaria, I (Brescia: Paideia 1988) 600-605.

Page 16: Il grecità classica, antico, nel NuovoTestamento

56 R. PENNA

Il testo che fa al caso nostro è l'Apocalisse di Giovanni, dove più chealtrove è attestata la metáfora che c'interessa. Più d'una volta incontriamoqui l'associazione del vino aH'immagine del calice dell'ira di Dio.48 Si trai¬ta di un'immagine che si riferisce al giudizio escatologico di Dio, intesoperò in malam partem, cioè come descrizione metafórica di un duro atteg-giamento di condanna adottato non tanto distributivamente nei confrontidei singoli peccatori quanto piuttosto collettivamente nei confronti dellenazioni idolatriche. Lo si deduce con chiarezza dal testo 14,19, dove silegge dell'angelo che alla fine dei tempi, oltre a mietere la terra con la falce,«vendemmiò la vigna délia terra e gettò l'uva nei grande tino dell'ira diDio». E cost in Ap 19,15 a proposito di colui che cavalca il cavallo bianco(e il cui nome è «Verbo di Dio»: cf. 19,11-14) leggiamo letteralmente cost:

«Egli pascerà (le genti) con scettro di ferro e pigerà il tino del vino deliacollera dell'ira del Dio onnipotente (jtaxEÏ rf|v Xryvòv xoñ oïvot) xoñ 0upoñ xfjçÓQYhÇ T°h 0£oñ xoñ jiavxoxpàxoQoç)». È difficile dire se la cascata di geniti-vi in quest'ultima frase vada intesa in successione ininterrotta e quindi tra-dotta liberamente,49 o se vi dobbiamo scorgere delle apposizioni che ren-dono indipendenti le varie parti délia frase stessa.50 Probabilmente laprima possibilità è la più conveniente, dato il greco approssimativo abi-tualmente usato nei libro. Resta l'originale sintagma «il vino dell'ira diDio». Esso viene integrato dall'associazione a Dio di un secondo essere, siache si chiami «Verbo di Dio» (cf. sopra) o «Agnello» (cf. 6,16); ed è un'as-sociazione non indifférente ai fini delia configurazione délia cristologia dellibro.51 Una certa chiarificazione ci viene dal passo, in cui si dice che chiun-que adora la bestia dell'anti-Cristo «berrà il vino delia collera di Dio che èversato puro (dxgaxoç) nella coppa délia sua ira e sarà torturato con fuocoe zolfo...» (14,10).

L'immagine si estende, inoltre, a descrivere la città di Babilonia-Romasotto la metáfora di una sfacciata e rovinosa prostituta, «che ha abbevera-to tutte le genti col vino del furore delia sua fornicazione» (14,8; cf. 18,3.6).In questo caso abbiamo un pesante riferimento non escatologico, ma sto-

48. Che l'ira-collera di Dio venga qui designata con due termini greci diversi (Gupóç, ópyq)non dovrebbe costituire una particolare difficoltà, dato che almeno in Ap 19,15 essi vengonouniti come sinonimi in una frase ridondante.

49. Cosí la Traduction Œcuménique de la Bible (Paris 1984): «Il foulera la cuve où bouil¬lonne le vin de la colère du Dieu Tout-Puissant».

50. Cosi la Einheitsiibersetzung (Freiburg-Basel-Wien 1991 [= 1980]): «Und er tritt dieKelter des Weines, des rachenden Zornes Gottes, des Herrschers über die ganze Schôpfung».

51. Invece Tira del diavolo, di cui si parla in 12,12, rappresenta la metáfora del furoreattuale, storico, e residuo («sapendo che gli resta poco tempo»!) del «grande drago» ormai pre-cipitato dal cielo sulla terra, e che si manifesta nella persecuzione contre «il resto delia di-scendenza» délia Donna (cf. 12,17).

Page 17: Il grecità classica, antico, nel NuovoTestamento

IL VINO E LE SUE METAFORE 57

rico, all'azione corruttrice dell'Impero romano che ha soggiogato le gentiinducendole all'idolatria.52 Ma non si tratta di immagini slegate; infatti l'a-zione corruttrice della Prostituta è indotta da Dio stesso, il quale «siricordò di Babilonia la grande, per darle da here la coppa di vino della suaira ardente» (16,19; cosí già in Ger 51,7). Come si vede di qui, l'ira di Diosi manifesta anche nella storia, sia in quanto si riversa su «Babilonia», siain quanto si serve di questa per mettere alla prova la fedeltà delle nazioni.Tutto questo procedimento è di fatto un modo per ricondurre comunquealla volontà divina l'affermarsi dell'idolatria sulla terra e quindi per darleun senso accettabile; essa però alla fine sarà sottoposta al giudizio ineso-rabile di Dio stesso.

A questo punto, se vogliamo chiederci quali sono i precedenti storico-letterari di un simile linguaggio, che non sembra essere presente altrovenemmeno nella letteratura del medio giudaismo, dobbiamo risalire sostanzial-mente all'Antico Testamento. È qui che riscontriamo come ascendente omoge-neo il tema generale dell'ira di Dio.53 Benché Dio venga più volte qualifícatocome «lento all'ira e ricco in misericordia» (Es 34,6; Num 14,18; Sal 103,8;Gion 4,2), tuttavia della sua ira si parla ampiamente: essa esprime sostan-zialmente un concetto corrispondente a quello della «gelosia» e si inscriveperciò nel quadro dell'Alleanza intesa come instaurazione di un vincolo spon-sale con il popolo eletto (cf. Es 19,5; 34,14; Os 2; ecc.). In quanto tale, essa èprovocata o dalle infedeltà di Israele o dagli attacchi condotti contro Israeledalle nazioni pagane. Allora dell'ira si parla in diversi contesti logici: sia inquanto è giudicata giusta, come punizione o distruzione dei malvagi,54 siaquando è considerata eccessiva o persino ingiusta;35 e di fronte alla sua inten¬sité è anche possibile chiedersi con ansia: «Fino a quando, Signore, arderácome fuoco la tua ira?». Più vicino al nostro caso è l'annuncio di una mani-festazione escatològica dell'ira divina, descritta a tinte moho fosche.56 Ció chepiù c'interessa è che a volte essa viene associata alia metáfora del vino; cosi a

52. Cf. P. Prigent, L'Apocalisse di S. Giovanni (Roma: Borla 1985 [orig. franc. Neuchâtel1981,21988]) 450-451.

53. Cf. G.A. Herion, Wrath of God (OT), in The Anchor Bible Dictionary, vol. 6 (NewYork-London 1992) 989-996 (con bibliografia); S.H. Travis, Wrath of God (NT), ib., 996-998(id.).

54. Cf. Ger 21,12: «... Liberate l'oppresso dall'oppressore, se no la mia ira divamperà comefuoco e nessuno potrà spegnerla»; Sal 59,14: «Annientali nella tua ira, annientali e più non

siano»; 79,6; Is 34,2; Ez 5,13; 13,13s.55. Cf. rispettivamente Lam 2,4 («Sulla tenda della figlia di Sion ha rovesciato la sua ira corne

fuoco») e Gb 19,11 («Ha acceso contro di me la sua ira e mi considera come un suo nemico»).56. Cosí leggiamo per esempio in Sof 1,14-15: «Amaro è il giorno del Signore! (...) Giorno

d'ira quel giorno, giorno di angoscia e di afflizione, giorno di rovina e di sterminio, giorno ditenebre e di calígine».

Page 18: Il grecità classica, antico, nel NuovoTestamento

58 r. penna

proposito dell'annuncio del riscatto ormai giunto per Gerusalemme, com-

prendente il superamento delle sue punizioni, il profeta proclama:

«Svegliati, svegliati, alzati, Gerusalemme, che hai bevuto dalla mano delSignore il calice delia sua ira; la coppa delia vertigine hai bevuto, l'hai vuota-ta» (Is 51,17; cf. Ez 23,32-34; e Is 51,22: «Ecco, io ti tolgo di mano il calicedelia vertigine, la coppa delia mia ira: tu non lo berrai più»; Sal 60,5).

Ma a proposito delia punizione delle nazioni, invece, il Signore cosí sirivolge al profeta:

«Prendi dalla mia mano questa coppa di vino delia mia ira e falla bere atutte le nazioni aile quali ti invio, perché ne bevano, ne restino inebriate edescaño di senno dinanzi alla spada che manderò in mezzo a loro. Presi dun-que la coppa dalle mani del Signore e la diedi a bere a tutte le nazioni aliequali il Signore mi aveva inviato... Bevete e inebriatevi, vomítate e cadetesenza rialzarvi» (Ger 25,15-17.27; cf. Lam 4,21; Gb 21,20; Sal 75,9; Abd 16)."

Se il giudizio di condanna qui si pone a livello storico, l'Apocalisse diGiovanni, prendendo di peso le stesse immagini, le trasporrà nel momen¬to escatologico. La dipendenza letteraria del veggente apocalittico è dun-que chiara.

Ma resta una seconda questione: quella di mettere a fuoco il significa-to esatto della metáfora del vino inebriante in questa sua dimensione total¬mente negativa. Qual è la sua origine? Nella tradizione greca, come abbia-mo visto più sopra, il vino e l'ubriacatura possono certo condurre all'insi-pienza;58 ma di per sé non si riscontra un trattamento cosí sfavorevole peril vino, tanto da essere collegato con gli stati del furore o dell'ira.59

57. All'interno del citato testo di Geremia, w. 18-26, è data una lunga lista di popoli desti-natari della coppa inebriante dell'ira di Dio, tutti della cosiddetta mezzaluna fertile, dall'Egittoalia Mesopotamia. In questo senso, cf. anche Ger 48,26; 49,12.

58. Oltre a Platone, Phaedr. 256B-C, cf. la distinzione tra ebbrezza e ubriacatura nel testo

di Plutarco, Mor. 645A, citato sopra. Tutt'alpiù leggiamo questa descrizione dell'ubriaco inPlatone, che ne parla nel contesto di un discorso sul matrimonio e sLilla procreazione: «Bere finoall'ubriachezza non conviene mai altrove che nelle feste del dio che ci diede il vino... Colui cheviene generato lo sia sempre da genitori quanto mai lucidi e capaci delle facoltà mentali... Laprocreazione non deve awenire da corpi dissolti nelle membra dal vino... Chi si è riempito divino si trascina d'ogni parte e vi trascina tutto, smania nel corpo e nell'anima...» {Leg. 775B-C).

59. Anzi, secondo Plutarco (con riferimento al banchetto dato da Achille per i duellantiAiace Talamonio e Diomede in 11. 23,810) il bere vino insieme conduce a superare ogni ira eanimosità vicendevole (cf. Mor. 692F; 736D). Alio stesso modo nell' antica Sapienza di Achicar189 l'ubriachezza è vista come un rimedio all'ira (cf. J.H. Charlesworth, The Old TestamentPseudepigrapha, II, 507).

Page 19: Il grecità classica, antico, nel NuovoTestamento

IL VINO E LE SUE METAFORE 59

Ed è questo nesso, inédito e sorprendente, che va spiegato. Forsehanno ragione Alonso Schokel e Sicre Díaz a ipotizzare che il senso

deU'immagine derivi dalla condanna a morte per veleno o meglio ancoradall'uso di narcotici prima di una esecuzione.60 Infatti in Ab 2,15-16 leg-giamo: «Guai a chi fa bere i suoi vicini versando veleno per ubriacarli escoprire le loro nudità... Bevi, e ti colga il capogiro» (cf. Gen 9,21). Si trai¬ta dunque di infierire sui prossimo per umiliarlo ulteriormente, piegan-dolo ancor più ai propri intenti. Probabilmente in questo senso va lettoanche il passo evangélico circa Gesù al Calvario, quando «gli diedero dabere vino misto a fíele» (Mt 27,34; cf. Me 15,23). II gesto non intendeesprimere un servizio ma un oltraggio ulteriore;61 al più si può pensare auno scopo anestetico, come attesta il Talmud : «Quando si esegue la con¬danna a morte di un uomo, gli si permette di prendere un grano d'incen-so in una coppa di vino per perdere la coscienza» (b.Sanh. 43a, dove inappoggio si cita Prov 31,6: «Date bevande inebrianti a chi sta per peri-re»).62 Perciò possiamo dire che nell'apocalisse giovannea il vino (e persineddoche il calice o la coppa), soprattutto se è «puro», âxQcrcoç (Ap14,10), e quindi atto ad ubriacare,63 è inteso corne strumento preferitodell'ira divina, la quale in tal modo può fácilmente colpiré i malvagi ridu-cendoli completamente in proprio potere. Essi diventano cosi lo zimbellodi un Dio irato, che può comminaré senza difficoltà le pene più severe achi ha empiamente trascorso la vita in imprese idolatriche e ora non puòpiù opporgli resistenza.

4. Vino e mística filosófica

Nell'antichità nessuno corne Filone Alessandrino coltivò questo aspet-to del nostro tema. Ma anche se è sostanzialmente solo, anzi proprio per

60. Cf. L. Alonso Schôkel - J.L. Sicre Díaz, I Profeti, 366.61. Cf. J. Gnilka, Il vangelo di Matteo, II (Brescia: Paideia 1991 [orig. ted. Freiburg i.B.

1988]) 688, dove ci si richiama a Sal 69,22: «Hanno messo nel mio cibo veleno, e quando avevosete mi hanno dato aceto».

62. Cf. Strack-Billerbeck, I, 1037. Del resto, che il vino puro, non temperato, procurasse

perlomeno un sonno profondo, è ben noto anche a Plutarco, Mor.678B (análogamente la me¬scolanza dei vini è detta èxoxauxóv, «alienante»: 661 D).

63. Ricordiamo qui (ma non perché abbia a che fare con il tema dell'ira divina!) la mortedi due celebri filosofi, connessa con il vino ákratos, secondo alcune tradizioni riportate daDiogene Laerzio: il caso di Crisippo che, invitato dai suoi alunni a partecipare a un sacrificio,«bewe vino dolce non mescolato e fu preso da vertigini e al quinto giorno se ne andò da que-sta vita» (7,184); e il caso di Epicuro, il quale mori per il fatto che, «entrato in una tinozza dibronzo piena di acqua calda, chiese del vino puro e lo bewe ávidamente» (10,15).

Page 20: Il grecità classica, antico, nel NuovoTestamento

60 R. PENNA

questa sua originalità, egli mérita di essere trattato a parte. Ci acconten-'tiamo tuttavia di richiamare solo i dati più importanti délia questione.64

La típica espressione filoniana, che vale come cifra di tutta la materia,suona come un vero e proprio ossimoro: vqcfxika péür|, «sobria ebbrezza».Essa ricorre in più scritti dell'atipico filosofo ebreo,61 e rappresenta unainusuale celebrazione dell'ebbrezza.66

Possiamo prendere come punto di partenza della sua riflessione un

passo del De plantatione, dove viene proposta una doppia etimologia perassonanza (come spesso si faceva nell'antichità) del verbo peOÚEiv, «ine-briarsi (ubriacarsi)». In un primo momento, Filone lo spiega come se fossecomposto di (xetó «dopo», e Sijeiv, «sacrificare»,67 rifacendosi a un suppo-sto uso antico di bere vino dopo aver sacrificato al dio; ritenendo poi perallegoria che solo il saggio possa compiere un vero sacrificio di offerta, cheè quello della mente (§§ 163-164), il filosofo ne conclude che «inebriarsinon è incompatibile con la virtù» (§ 165). In un secondo momento, egliprende in esame un'altra etimologia dal sostantivo pÉ0Eoiç, «distensione»,e ne conclude che solo il saggio può distendersi nella gioia e nella gaiezza,sicché «questi sotto l'effetto del vino è più felice (f|òícov) di quando è adigiuno» (§ 166). E poiché l'immagine della sapienza non è contrassegna-ta dall'austerità e dalla tristezza, ma al contrario dalla gaiezza, dalla sere-nità, e dalla gioia, è chiaro che «il saggio si inebrierà di questa ebbrezzadalle ripercussioni morali (pé0q f|0ojiOLOÍ)or|), che procura riposo e giova-mento» (§ 170). Perciò sapienza ed ebbrezza non sono incompatibili.

Ma quella che in questa pagina appare essere considerata ancora una

ebbrezza in senso proprio, altrove acquista una più originale dimensioneal·legòrica. Tutto dipende dalla variazione di significato che viene ad assu-mere il vino.68 In una bella pagina del De ebrietate Filone compie una alie-

64. Sull'argomento esiste una monografía ormai classica di H. Lewy, Sobria ebrietas.Untersuchungen zur Geschichte der antiken Mystik (BZNW 9; Giessen 1929) 3-107; inoltre, cf.O. Bauernfeind, vrj<)>(ji)-vt]<j)àXioç, in GLNT VII, 995-1010; C. Elsas, «Das Judentum ais philo-sophische Religion bei Philo von Alexandrien», in K.W. Tróger, ed., Altes Testament -

Frühjudentum - Gnosis (Gütersloh 1980) 195-220 specie 199-202.65. Cf. Opif. 71; Leg.alleg. 1,84 (vr^oroa pé0i|); 3,82 (Geïa |xé0r)); Ebr. 152 (vfpjnç axpaxou,

lett. «sobrietà di vino puro», detto della mente che se ne è saziata); Fug. 32; Mos. 1,187.66. Altrove questa viene condannata, come in Post.C. 175: «È proprio di una ragione

sobria e temperante riconoscere Dio come creatore e padre dell'universo, mentre è proprio diuna ragione sottomessa all'ebbrezza e ai misfatti del vino riconoscere se stessa come arteficedi tutto ció che riguarda le cose umane».

67. Secondo Ateneo, II, 40C, sarebbe già stato Aristotele a immaginare una simile etimo¬logia dello stesso verbo.

68. Infatti «Mosè fa del vino il simbolo non di una cosa sola, ma di moite: della divaga-zione e del delirio, della totale stupidità e del desiderio insaziabile, che nulla può colmare e

Page 21: Il grecità classica, antico, nel NuovoTestamento

IL VINO E LE SUE METAFORE 61

goresi sul nome biblico-ebraico di Anna (che vuol dire «grazia»), madre diSamuele, e sull'episodio délia sua preghiera al tempio di Silo, dove il sacer¬dote Eli scambia il movimento orante delle sue labbra come segno diubriacatura (cf. ISam 1,9-15). Filone cosï commenta:

«L'anima colma delia grazia è gioiosa, sorride e danza. Essa è trasportatadall'entusiasmo (PefíáxxEUTai) al punto da sembrare ai più ebbra e sconve-niente, fuori di sé (|xe0i>elv xai, jiapoivEïv xai è§eaT«vui). (...) Infatti in coloroche sono posseduti da Dio (0Ecx|)OQf|Toi,) non solo l'anima (...) ma anche ilcorpo viene arrossato e infiammato dalla gioia, che trabocca e riscalda inte¬riormente e comunica all'esterno le sue sensazioni. Perciò molti stolti s'in-

gannano e suppongono che persone sobrie siano ebbre di vino. E in un certosenso questi sobri sono ebbri ([«'(hiouaiv oi vt|<|)ovteç), avendo bevuto il vinopuro (f|XQatuj(xÉvoi) delia somma dei beni (tà àyaQà à0QÓa), dopo aver rice-vuto le coppe piene (tàç jtQOJtóaEtç) dalla perfetta virtù. (...) Ne consegue chela mente, ricolma del vino puro delia sobrietà (ví]i|)E(íOç àxQÚTOu), diventa intutto e per tutto una libazione (ojiovôf|) e come tale si offre a Dio» (§§146.147.148.152).

Il linguaggio, come si vede, è chiaramente di tipo místico, con in piùalcune risonanze di origine cultuale. Esso, cioè, esprime a suo modo l'ideadi una reale partecipazione al divino, come si può dedurre almeno dall'usodei due verbi Pax^éuco69 e Oeocjioyéti)70 al passivo. Altrove Filone paragona lostato di queste persone alia évOoraía o «ispirazione divina» dei Coribanti(Opif. 71)71 e alia condizione di coloro che sono iniziati ai misteri (cf.Omnis probus 14: iepotJtavtriBévTEç).72

soddisfare, delia gaiezza e delia festosité, che awolge tutto, e delia nudità [cioè di una com¬

pleta disponibilité: cf. Leg.alleg. 2,54], che si manifesta in tutto ció che abbiamo detto e che,come dicono, fu quella di Noè quando si ubriacò» (Ebr. 4).

69. Originariamente «celebrare i misteri bacchici» (cf. Euripide, Or. 411 e 835; Erodoto4,108,2); un significato traslato è attestato da Plutarco a proposito delia filosofía invasa dalmisticismo (cf. Mor. 580).

70. L'aggettivo si trova già in Eschilo, Agam. 1140 (in coppia con (})Qevopavf|ç, «deliran¬te»); cf. anche Plutarco, Mor. 54C; Luciano, Philops. 38.

71. Ricordiamo che i Coribanti, secondo la mitologia (che li confonde spesso con i Cabirie con i Cureti), sono démoni appartenenti al seguito di Dioniso, essendo figli di Apollo e diTalia, Musa délia commedia (cf. P. Grimal, Dizionario di mitologia greca e romana [Brescia:Paideia 1987 (orig. franc., Paris 61979)]). Análogamente Platone dice di coloro che si pongonoal seguito di Zeus che «ne sono invasati (...) per quanto è possibile all'uomo di partecipare aliadivinité» (Phaedr. 253A), mentre dei poeti afferma che compongono le proprie poesie «non perdottrina ma quasi per natura, essendo divinamente invasati come i profeti del dio e i vaticina-tori» (Apol. 22C).

72. Cf. le ottime note di M. Petit, in Les Oeuvres de Philon d'Alexandrie, vol. 28 (Paris1974), ad loc. (anche per quanto riguarda il contesto immediato).

Page 22: Il grecità classica, antico, nel NuovoTestamento

62 r. penna

Commentando poi il passo del Genesi, dove si narra di Melchisedek cheoffrï ad Abramo pane e vino (cf. Gen 14,18), Filone fa due precisazioni alle-goriche rispetto al testo bíblico: da una parte, il vino offerto viene ritenutopuro, tanto da indurre le anime ad una «ebbrezza divina (Geícc |íé0t|), piüsobria delia stessa sobrietà»; dall'altra, il donatore viene identificato nien-temeno che con il Logos inteso come Sacerdote, «che ha l'Essere stesso pereredità» (Leg.alleg. 3,82) e perciò conduce i suoi beneficiari a parteciparedelle realtà più sublimi (cf. Post.C. 122; Deus 134; Conf. 146).

Ora, se da Filone volessimo passaré agli scritti del Nuovo Testamentoper cercarvi delle analogie, non riusciremmo a trovarvi dei trattamenti pie-namente confrontabili. Tuttavia, un paio di testi potrebbero essere ricor-dati. In primo luogo, la citata frase di Filone riguardante Anna, «Molti stol-ti s'ingannano e suppongono che persone sobrie siano ebbre di vino» (Deebr. 147), può ben fare da sfondo al testo lucano degli Atti, dove si narra chea Pentecoste alcuni di coloro che ascoltavano i Galilei parlare «altre lin¬gue» li reputarono ebbri di vino dolce (cf. At 2,13: «Altri li deridevano e

dicevano: "Si sono ubriacati di mosto", yXeúxouç ^epeotcopevoi eiolv»). IIcontrasto fra questo giudizio e la realtà dello Spirito Santo appena ricevu-to dai parlanti è del tutto simile a quello filoniano tra gli stolti e coloro chesono mossi dalla grazia divina (cf. At 2,15ss).73 In secondo luogo, si puòricordare il passo di Ef 5,18 dove, dopo aver raccomandato la sobrietà(«Non inebriatevi di vino [|xf] peGúoxEoGe o'ívço], nel quale c'è sregolatezza»),si esortano i lettori a riempirsi invece di Spirito (7t/.r|oofiaGe èv avemum): difatto, in base al parallelismus membrorum delia frase, l'Apostolo suggeriscedi sostituire all'ebbrezza esteriore un'ebbrezza interiore, spirituale, fattaparadossalmente di sobrietà, tanto più che segue l'invito a cantare nel pro-prio cuore a Dio inni e canti spirituali.74 Ma l'argomento è appena accen-nato e non viene sviluppato. Un ulteriore accenno si può forse rinvenire inRom 12,11, dove S. Paolo esorta ad essere «fervidi quanto alio Spirito» (tü)jrveiipaTi Çéovreç): il verbo greco qui impiegato, Çéco, significa propriamen-te «bollire, ribollire» ed è impiegato in rapporto a liquidi vari, compreso ilvino.75 Evidentemente l'Apostolo è prossimo al tema filoniano della sobria

73. Circa la questione posta dal passo lucano sul come sia possibile parlare di una ebbrez¬za da vino nuovo a Pentecoste, quando la vendemmia non si è ancora verificata, cf. C.K.Barrett, The Acts of the Apostles, I (ICC; Edinburgh 1994) 125.

74. Cf. M. Barth, Ephesians, II (AB 34A; Garden City NY 1974) 582; R. Schnackenburg,Der Brief an die Epheser (EKK X; Zürich-Neukirchen 1982) 241s; R. Penna, Lettera agli Efesini(SOC 10; Bologna: Dehoniane 1988) 222; M. Bouttier, L'épître de Saint Paul aux Ephésiens(CNT IXb; Genève 1991) 234.

75. Per esempio, Platone ritiene che «la popolazione dello stato dev'essere mescolata come

in una coppa di vino, dove il vino versato (puro) ferve e spumeggia, ma dona una bevanda utilee moderata quando è temperato» (Leg. 773c-d).

Page 23: Il grecità classica, antico, nel NuovoTestamento

IL VINO E LE SUE METAFORE 63

ebrietas. La differenza sta solo nell'uso del concetto del Pneuma, che susci¬ta l'entusiasmo dello zelo per il Signore, contrario alla tiepidezza di Ap 3,15(cf. anche At 18,25).

Certo si potrà discutere sui possibili parallelismi délia concezione filo-niana76 e sulle sue eventuali derivazioni.77 Ma resta il fatto di una grandeoriginalità temática, che Filone ha dispiegato ampiamente nei suoi tratta-ti a testimonianza di una percezione tutta particolare délia metaforicità delvino e del comune atto del here.

5. Vino e comunione con il dio cultuale

La grecità classica, anche se a partiré soprattutto dall'età post-omerica,conosce la figura ben spiccata di Dioniso come dio del vino e dell'estasilegata aU'ebbrezza.78 Certo l'esperienza dionisíaca va ben oltre il sempliceaspetto alcoolico e può esserne del tutto indipendente, tanto che la «follia»o mania diventa uno stato conseguibile per se stesso, celebrato da Platonecome desiderabile invasamento divino. In più va riconosciuto che l'estasidionisíaca non è normalmente un fenómeno individúale, ma collettivo, chesi propaga quasi per contagio.79

Tuttavia all'origine ei sono i dati delia vite80 e del vino, che in época clas¬sica sono inscindibilmente legati a lui: già negli Inni omerici 26,11 egliviene celebrato come jioXuoxâcJiuXoç, «colui che dona grappoli abbondan-ti» (cf. anche Ib. 7,35-40); e se Esiodo lo canta solo come dio jro>O)YT]0r|ç,

76. Vedi H. Lewy, Sobria ebrietas, 42-72, che richiama tre concetti analoghi: la «ebbrezzasenza vino» di Plutarco (cf. Mor. 291 A: doivoç |xé0T], detto delle Baccanti), il «digiunare nei bac-canali» (Anón., De subí. 16,4: èv paxxeúpaoi vfj<t>Etv, detto dell'autocontrollo dell'oratore; cf.anche Filostrato, Vit.Apol. 2,35), e la «pazzia temperante» (in Anth.Pal. 9,406,6: epigr. diAntigono, contemporáneo di Orazio).

77. Cf. H. Lewy, ib., 73-107, con accenni a Platone, Phaedr. 244D (dove la Ocla (¿avía vienedichiarata superiore al senno proprio degli uomini), a C.H. 1,27; 7,1s, e a Od.Sal. 11.

78. Anche se già in Omero Dioniso viene detto |Aaivó[ievoç, «delirante» (II. 6,132-135), e

xúq(da Pqotoloiv, «letizia degli uomini» (ib. 14,325), egli ha poca parte nella religione omerica;anzi, è intéressante notare che Euripide, Bacc. 219 e 256, definisce il dio rispettivamente«recente» e «nuovo» (cosí anche v. 271). Sulla sua origine non greca, cf. per esempio W.Burkert, I Greci, IT («Storia delle religioni» 8/2; Milano: Jaka Book 1983 [orig. ted., Stuttgart-Berlin 1977]) 238-239; H. Jeanmaire, Dioniso. Religione e cultura in Grecia (Torino: Einaudi1972 [orig. franc., Paris 1951]) 16-19; K. Kerenyi, Dionysos. Archetypal Image of IndestructibleLife (London 1976).

79. Cf. W. Burkert, I Greci, II, 238.80. Cos! almeno in ámbito greco, poiché è possibile che i tralci delia vite abbiano sosti-

tuito l'originaria edera (ma anche il pino è pianta del corteo di Dioniso); cf. H. Jeanmaire,Dioniso, 18-19.

Page 24: Il grecità classica, antico, nel NuovoTestamento

64 R. PENNA

«dalle mille gioie» (Theog. 941; Op. 614), in Euripide si dice chiaramenteche è stato Dioniso a «introduire fra i mortali l'umido succo délia vite»

(.Bacc. 279: (3ótqi)oç úyqòv Jtœpa).Noi lasciamo qui da parte tutta la mitologia delle sue origini e in parti-

colare la storia délia sua «passione».81 Ció che c'interessa notare, in primoluogo, è il fenómeno di una certa identificazione tra il dio e il suo iniziato.«Chi si abbandona a questo dio deve rischiare di perdere la propria iden¬tité borghese ed "essere folle". (...) Durante tale metamorfosi adoratore e

dio, caso assolutamente straordinario nel complesso délia religione greca,si fondono l'un l'altro: "Bacco" sono chiamati entrambi».82 Infatti pàxxoç,pur essendo di etimologia incerta,83 non è soltanto un epiteto del dio (cf.Sofocle, Oed.r. 211, dove egli è detto oïvoip, «vinoso»), ma diventa ancheuna qualifica propria di colui che «è preso» dal dio (cf. Erodoto 4,79,1-4).Platone riporta come noto e diffuso il detto, secondo cui «molti sono quel-li che portano il tirso, ma pochi sono bakchoi» (Fed. 69C), per dire cheoccorre, si, un invasamento dall'alto, ma che per questo i fortunati vengo-no assimilati alla divinité (tanto che nell'aldilá «abiteranno con gli dèi»,invece che «nella melma»).84

In secondo luogo, rileviamo in questo tipo di religione la tipica impor-tanza del vino, che giunge fino ad essere equiparato al sangue. Se giá nellaBibbia il vino viene descritto immaginosamente come «sangue di uva»(LXX uL|iu (jT«([)c/.f)ç: Gen 49,11; Sir 39,26), altrove nella grecitá pagana lametáfora viene spinta molto oltre, tanto da designarlo addirittura come

«sangue di Bacco» (aipa Baxxíou: cosí il poeta ditirambico del sec. v-iva.C. Timoteo, fr. 4).85 La stessa assimilazione è implicita nel verso diEuripide, dove si afferma per metonimia che Dioniso «è diventato un dio

81. Cf. in proposito la buona trattazione di H. Jeanmaire, Dioniso, 371-389. «I miti dell'in-venzione del vino suonano invece lugubri e sinistri: Icario, che per primo in Attica apprese daldio stesso l'arte délia coltura della vite e della pigiatura, venne ucciso perché i contadini cre-dettero di esser stati awelenati; sua figlia Erigone, dopo lunghe ricerche, trovó il cadavere delpadre in un pozzo e s'impiccò. Morte del padre e sacrificio di ragazze gettano ombre sul pia-cere del vino» (W. Burkert, I Greci, II, 241).

82. W. Burkert, I Greci, II, 238; cf. id, Antichi culti misterici (Roma-Bari: Laterza 1989[orig. ingl., Harvard 1987]) 148-149.

83. Cf. H. Jeanmaire, Dioniso, 504, dove si propongono due spiegazioni: o da una radicegreca onomatopeica Pa- (che evocherebbe l'idea di agitazione) o da una radice semítica bky (cf.l'ebraico bâkâh, «piangere, gemere, lamentarsi»).

84. Per luso di questo termine nell'orfismo, cf. le iscrizioni ricordate da U. Bianchi et al.,Le civiltà del Mediterráneo e il sacro (Milano: Jaca Book 1992) 276-277.

85. Cf. W. Burkert, Homo Necans. The Anthropology ofAncient Greek Sacrificial Ritual andMyth (Berkeley-Los Angeles 1983 [orig. ted., Berlin 1972; trad, ital., Torino 1981]) 224-225, conaltri testi e bibliografia.

Page 25: Il grecità classica, antico, nel NuovoTestamento

il vino e le sue metafore 65

che si versa in libagione agli altri dèi» (Bacc. 284: oüxoç OeoIcji ojtÉvÔExai0EÒÇ yeyú>c,).S6 Su questa sorta di identificazione ironizzerà Cicerone, giu-dicando irragionevole il ritenere dio la sostanza materiale di cui ci sinutre;87 ma ancora Properzio scrive di vivere il resto dei suoi giorni graziea lui (cf. 3,17,19-20).88 In più, dobbiamo constatare la presenza del vino,oltre che nelle rappresentazioni teatrali, come parte integrante del con¬creto svolgimento del culto dionisiaco. Cosí infatti awiene nelle festededicate al dio:89 nelle Dionisie rustiche o contadine (cf. Aristofane, Acarn.247-283),90 e nelle Dionisie cittadine, le Lenee (il cui nome viene proba-bilmente da Xrivóç, «tino, torchio»), e le Antesterie (basate su di un triduo,di cui il primo giorno era consacrato a consumare il vino nuovo della ven-

demmia precedente). Anche Livio vi fa cenno, sia pur polémicamente,quando descrive i Baccanali che poi produsseo il divieto da parte delSenato romano nell'anno 186 a.C.91 Quanto ai santuari di Dioniso, invece,solo sporadicamente qualcuno di essi reclama fenomeni prodigiosi chehanno a che fare con il vino.92

86. Alio stesso modo Euripide fa dire a Ulisse di aver dato da bere a Polifemo il dio Bacco(cf. Ciel. 519s: ov jtieïv eòwxó ooi); cf. anche Platone, Leg. 773d. Ben diverso è il caso di un

passo di Plutarco, Is. et Os. 6 (= Mor. 353B), dove si dice che in Egitto prima di Psammetico ire non bevevano vino perché ritenevano che esso fosse il sangue di coloro che una volta ave-vano combattuto gli dèi.

87. Cf. M.T. Cicerone, Nat.deor. 3,41: «Quando chiamiamo il grano Cerere e il vino Liber[= nome latino di Dioniso], usiamo un'immagine diffusa. O forse pensi tu che qualcuno siatanto irrazionale da credere che ció che lo nutre sia un dio?».

88. Cf. Tintera sezione 3,17,1-20 (v.l: «Ora, o Bacco, ci prostriamo con umiltà ai tuoi alta-ri»; v. 4: «II tuo liquore diventa medicina degli affanni»; v. 6: «Tu cancella, o Bacco, i difetti delmió animo»; w. 19-20: «Ció che mi resta da vivere lo vivrò per te e per i tuoi corni (quod super-est vitae per te et tua cornua vivam [allusione al símbolo del toro?]) / e cantero come poeta, o

Bacco, le tue buone qualità {virtutisque tuae, Bacche, poeta ferar).89. Cf. H. Jeanmaire, Dioniso, 34-54; e anche M.P. Nilsson, The Dionysiac Mysteries of the

Hellenistic and Roman Age (Lund 1957). Le feste dedicate da Atene a Dioniso cadono tuttenell'inverno, tra dicembre e marzo; resta pertanto curioso il fatto che non gli viene consacratanessuna festa della vendemmia. Qui non prendiamo in considerazione le Grandi Dionisie, chedavano luogo ai famosi concorsi di tragédie e commedie nella cornice del teatro (peraltro nonè sempre facile distinguere queste feste dalle altre dedicate alio stesso dio).

90. In riferimento a queste Dionisie, Plutarco scrive che le sue componenti (una proces-sione popolare e gioiosa che recava un'anfora di vino, un ceppo di vite, un capro, un cesto difichi secchi, e da ultimo un fallo) al suo tempo sono trascurate e anzi scomparse (cf. Mor.527D).

91. «Per adescare maggior numero di adepti si aggiunsero al rito sacro i piaceri del vino edei banchetti {additae voluptates religioni vini et epularum); e quando il vino aveva arroventatoi sensi (...) si abbandonarono a ogni forma di sconcezze» (39,8).

92. Il più curioso è il caso di un tempio in Elide, su cui si tramanda che alia vigilia dellafesta si ponevano in esso tre recipienti vuoti, i quali al mattino seguente si trovavano ripieni di

Page 26: Il grecità classica, antico, nel NuovoTestamento

66 R. PENNA

Ora, se passiamo al Nuovo Testamento, vi troviamo l'esplicita dichiara-zione paolina secondo cui l'assunzione del calice di vino nella cena euca¬rística costituisce una comunione con il sangue di Cristo: «Il calice deliabenedizione, che benediciamo, non è forse comunione del sangue di Cristo(oi>xi xoivcovía èaxiv xoñ al'patoç toñ Xoiaioñ;)?» (ICor 10,16). Al centrodella frase ce l'indubbia affermazione di una particolarissima «comunio¬ne» con Cristo e con il suo sangue, che è il dato essenziale dell'atto com-

piuto. Ebbene, poiché una formulazione del genere è esclusiva di Paolo enon si trova altrove nel N.T., si pone inevitabilmente un problema: di dovepuò derivare una simile concezione? Certo diamo per scontato che aliabase del testo paolino ci sia la tradizione protocristiana circa le parole diGesù sul calice durante l'Ultima Cena (cf. ICor 11,23-26).

A questo punto possiamo fare una breve digressione sull'origine delvino come ingrediente della celebrazione della Pasqua giudaica. Come sisa, il racconto bíblico della cena pasquale contiene solo accenni all'agnel-lo e agli azzimi, ma non al vino (cf. Es 12). Si pone quindi il problema disapere quando esso abbia fatto il suo ingresso nella celebrazione pasqua¬le.93 Il celebre «papiro pasquale» di Elefantina, datato l'anno 5o di Darío II(cioè nel 419-418 a.C.), tra le prescrizioni date dice anche di «non bere»per i sette giorni degli azzimi.94 Il testo più antico che si possa citare inmateria risale alla fine del sec. il a.C. ed è Iub. 49,6 («E tutto Israele se ne

stava a mangiare carne di Pasqua e a bere vino, a lodare, celebrare e bene-dire il Signore»: con riferimento alla Pasqua dell'esodo!). Ancora FiloneAlessandrino vi farà un cenno molto vago, quando scrive che nella cena

pasquale i commensali si sono precedentemente purificati, «poiché essi sitrovano là non come in altri banchetti per soddisfare il ventre con vino e

vivande, ma per compiere un costume ancestrale con preghiere ed inni»(Spec.leg. 2,148). Ma Flavio Giuseppe non vi fa alcun genere di allusione(cf. Ant. 2,311-313; 3,248-251). Inoltre, tanto i Targumîm su Es 12 quantoTantico midrash Mek.Ex. circa il rito pasquale discorrono solo del man-

vino: vedi H. Noetzel, Christus und Dionysos. Bemerkungen zum religionsgeschichtlichenHintergrund von Johannes 2,1-11 (AzT 1; Stuttgart 1960) specie 22-38; e più in generale H.-J.Klauck, Herrenmahl und hellenistischer Kult, 108. Cf. anche Plinio il Vecchio, Nat. Hist.2,106,231 (un tempio sull'isola di Andros).

93. Cf. J. Jeremías, Le parole dell'Ultima Cena (Brescia: Paideia 1973 [orig. ted., Gôttingen41967]) 55-58; e B.M. Bokser, «Unleavened Bread and Passover, Feasts of», in The Anchor BibleDictionary, vol. 6 (New York-London 1992) 755-765 (con bibliografía).

94. Generalmente si completa la formulazione del divieto nel senso di una proibizione dibere birra (cf. P. Grelot, Documents araméens d'Egypte (LAPO 5; Paris 1972) 378-396 (qui 383),ma resta il fatto che del vino non si fa menzione.

Page 27: Il grecità classica, antico, nel NuovoTestamento

IL VINO E LE SUE METAFORE 67

giare e mai del bere.95 La prescrizione rituale vera e propria di bere vinonella festa di Pasqua si trova soltanto più tardi nella Mishnah (cf. m.Pes.10,1: «Nella vigilia di Pasqua, da quando si awicina il tempo di offrire ilsacrificio vespertino, non è più permesso di mangiare finché non si fanotte; e anche il più povero in Israele non deve mangiare finché non si èmesso a sedere appoggiato; e non deve avere meno di quattro calici divino, anche se fosse di quelli che si alimentano con la scodella dei pove-ri» ); tuttavia anche qui le tre cose principali del banchetto pasquale sonoritenute essere l'agnello, gli azzimi, e le erbe amare (cf. ib. 10,5), quindinon il vino, nonostante la sua relativa quantità.96 Quanto al significatodi quest'ultimo, esso consiste sicuramente nel fatto che il vino è segno difesta, poiché di solito era bevuto soltanto in circostanze del tutto partico-lari.97

Ma questo non basta ancora per rispondere esaurientemente all'inter-rogativo. In effetti, va ulteriormente ricercata la possibile precomprensioneche può aver fornito all'Apostolo il modulo interpretativo delia celebrazio-ne eucarística e aver cosí permesso di concepire e soprattutto di formula¬re in questo modo la realtà di una simile koinonia verticale. Allora larisposta può essere di due tipi, a seconda dei due diversi ambiti religioso-culturali che si possono scorgere sullo sfondo del testo.

In primo luogo, ci si può rifare alio sfondo biblico-veterotestamenta-rio. Infatti Paolo dopo la citazione riportata sopra continua cosi:«Guárdate l'Israele terreno: coloro che mangiano le vittime sono parteci-pi dell'altare (xoivcovoi xoû 0uoiaoTi]oioi))» (ICor 10,18); e il riferimentonon può che essere al cosiddetto «sacrificio di comunione» (TM zebâhs'iamîm-, LXX Ou oía o(DTr)oíou), descritto nel libro del Levitico (cf. Lev 3;7,11-36). Ma a questo proposito bisogna osservare due cose. La prima èche, secondo il testo biblico, il detto sacrificio non implica nessuna unio-ne mística con Dio, poiché si tratta solo di mangiare «davanti al Signore»

95. Un accenno al vino, ma in altro senso, si trova solo in Mek.Ex. 10 (su Es 12,20): nelcontesto delia proibizione di mangiare ogni sorta di pane lievitato (dolci, torte, pasticcini, ecc.),si eselude anche «il pane délia povertà» (cf. Dt 16,3), purché esso non sia impastato con vino,olio, o altro sueco di frutta (cf. J.Z. Lauterbach, Mekilta de-Rabbi Ishmael, I [Philadelphia 1976= 1933] 81).

96. La spiegazione più comune dei quattro calici è quella che li pone in relazione con iquattro verbi di Es 6,6-7 che contengono altrettante promesse: dell'esodo («vi sottrarrò ai gra-vami degli Egiziani»), delia protezione («vi libererò dalla loro schiavitù»), delia redenzione («viriscatterò con braccio teso»), e della predilezione («vi prendero come mió popolo»); cf. v.Castiglioni, Mishnaiot, 1/2 (Roma 1962-5722) 126 (nota 6 a Pes. 10,1). Altre spiegazioni sonoricordate da I. Klein, A Guide to Jewish Religious Practice (New York 1979) 122.

97. Cf. J. Jeremías, Le parole dell'ultima cena, 55. In più va ricordato che m.Pes. 3,1 eselu¬de tassativamente dalla cena pasquale ogni tipo di birra.

Page 28: Il grecità classica, antico, nel NuovoTestamento

68 R. PENNA

(cf. Dt 27,7) e non «con» lui.98 La seconda è che in questi sacrifici, purincentrati necessariamente sui sangue (cf. Lev 7,14: una parte dell'offertasarà del sacerdote, «che ha sparso il sangue delia vittima del sacrificio dicomunione»), non solo il sangue non è e non può essere bevuto," ma essonon ha neanche nulla a che fare con il vino, che infatti dai sacrifici è total¬mente escluso.'00

In secondo luogo, e di conseguenza, si prospetta la possibilità di vede-re proprio nelle celebrazioni di Dioniso un elemento di condizionamentocultúrale della concezione paolina. Noi non prendiamo qui in considera-zione la tesi orfico-dionisiaca del superamento del limite tra l'umano e il

98. Una concezione mística del sacrificio in Israele è decisamente negata da J. Milgrom,Leviticus 1-16 (AB 3; New York-London 1991) 221 (cf. tutto l'excursus sul «sacrificio di comu¬

nione», reso in inglese «well-being offering», alie pp. 217-225). Bisogna però notare che FiloneAlessandrino, quando parla in generale dei sacerdoti che non hanno parte al territorio come lealtre tribù (cf. Dt 18,1-2), dice che essi «diventano partecipi con Dio (xoivwvoL. 08<p) delle offer¬te che Gli vengono consacrate in ringraziamento» (Spec.leg. 1,131); tuttavia, quando si dilungaa spiegare specificamente i «sacrifici di comunione» (cf. ib. 1,212-225), egli afferma che ques¬ti, appartenendo ormai a Colui al quale la vittima è stata offerta, vengono da Lui generosa¬mente donati ai convitati, i quali diventano perciò «partecipi e commensali dell'altare(xoivwvòv... toü po)(.ioñ xai ó^ioiQájie^ov)» (ib. 1,221): e in questo caso, come si vede, la termi¬nologia cambia.

99. Vedi l'esplicita proibizione formulata in Lev 17,10-16 (cf. 1,5): «Ogni uomo, Israelita ostraniero dimorante im mezzo a loro, che mangi di qualsiasi specie di sangue, contro di lui, cheha mangiato il sangue, io volgerò la faccia e lo eliminerò dal suo popolo» (17,10).

100. In materia esiste, infatti, una precisa proibizione ai sacerdoti: «Non bevete vino obevanda inebriante né tu né i tuoi figli, quando dovete entrare nella tenda del convegno, per¬ché non moríate; sarà una legge perenne, di generazione di generazione» (Lev 10,9; cf. Ez44,21). Tuttavia, nel Libro dei Giubilei si dice che Noè, dopo aver raccolto il frutto della vignapiantata dopo il diluvio e durante il seguente sacrificio, «spruzzò il vino sul fuoco» che bru-ciava la vittima (cf. anche 11QT 34,13) e poi «bewe, lui e i suoi figli, con gioia, di quel vino»(Iub. 7,5-6).

Una spéciale «festa del vino nuovo», celebrata 50 giorni dopo la Festa delle Settimane e

priva di paralleli nella Bibbia, è testimoniata nella comunità di Qumràn (cf. 11QT 19,11-21,10);il rituale prescrive tra l'altro che, dopo aver portato il vino nuovo («un terzo di hin per ognitribù»: 19,15), si deve eseguire l'immolazione di dodici montoni (e altri animali) e poi conclu¬de cosí: «I sacerdoti bevano per primi, i leviti per secondi ... poi tutto il popolo, dal più grandeal più piccolo, cominci a bere il vino nuovo. Non mangino, dai grappoli, nessun chicco d'uvaacerbo. In quel giorno espiino per il vino novello. I figli dlsraele gioiscano davanti a Yhwh. Èun precetto eterno per tutte le loro generazioni, in tutte le loro dimore. Gioiscano in quel gior¬no perché ricominciano la libazione di una bevanda inebriante, il vino nuovo, sull'altare diYhwh, anno per anno» (21,4.6-10; trad. A. Vivian); la frase centrale «espiare per il vino nove¬llo» (21,8) significa che «il rito opera una specie di desacralizzazione e rende i prodotti agricolirappresentati dalle primizie, in questo caso dal vino, adatti all'uso profano» (A. Vivían, Rotolodel Tempio [Brescia: Paideia 1990] 170). Per un confronto tra questo passo qumranico e il log-hion di Gesù sul vino nuovo in otri nuovi, cf. G. Brooke, «The Feast of New Wine and theQuestion of Fasting» ExpTimes 95 (1984) 175-176.

Page 29: Il grecità classica, antico, nel NuovoTestamento

IL VINO E LE SUE METAFORE 69

divino in base al mito antropogonico orfico, che fa nascere il genere umano

dagli avanzi dei Titani inceneriti da Zeus per aver sbranato Dioniso-Zagreus (su cui si esemplò il rito del diasparagmós [sbranamento di unavittima viva] e delia hómophaghía [manducazione della carne cruda deliavittima-dio]).101 Il nostro punto di riferimento è sol tanto il tema del vino.Ora, bisogna ammettere per la verità che dai testi concernenti il culto diDioniso non risulta lo specifico vocabolario della koinonía',102 questo sem-mai può derivare a Paolo dalla concezione dei culti misterici in generale,nei quali esso è comunque ben attestato.103 D'altronde, la scienza religio-nista ha elaborato in materia un certo vocabolario specifico, tra cui spic-cano i termini tecnici di «theophagia» e di «theoxenia»,104 ma non esiste unvocabolo che suoni come «theoposia», che cioè esprima direttamente l'ideadi una comunione con la divinité per il tramite dell'atto del bere. Tutto ciódeve metterci in guardia dal maggiorare i dati comparatistici a nostra di-sposizione. Tuttavia, come abbiamo visto, il dio greco del vino viene cele-brato non soltanto a livello di composizioni poetiche, ma anche e soprat-tutto a livello cultuale.

Perciò, dobbiamo onestamente constatare che Túnico parallelismo pos-sibile con il concetto paolino della comunione con Cristo per il tramite delvino, scambiato nel suo sangue, si trova proprio nella tradizione grecacirca Dioniso, che può ben aver funzionato come una prowidenziale «pra-eparatio evangèlica».105 Ciò può essere vero, anche se va precisato che «il

101. Cf. H. Jeanmaire, Dioniso, 249-267; H.-J. Klauck, Herrenmahl und hellenistischerKult. Eine religionsgeschichtliche Untersuchung zum ersten Korintherbrief (NA 15; Miinster i.W.1982) 109-112; D. Sabbatucci, Saggio sul misticismo greco (Roma: Ateneo 1979) 116-126.

102. Il testo di Plutarco, Thes. 23, in cui si dice che nella festa delle Oschoforie anche ledonne «partecipano al sacrificio» (xoivcovoñoi xfjç Guoíaç), non fa in realtà al caso nostro.

103. Vedi H.-J. Klauck, Herrenmahl und hellenistischer Kult, 260s (cf. anche 265s: «Unincontro del cristianesimo primitivo con i culti misterici è possibile, anzi del tutto verosimile»);vedi un caso particolare in r. penna, Lambiente storico-culturale delle origini cristiane. Unadocumentazione ragionata (Bologna: Dehoniane 31991) 154-155 (= il banchetto di ZeusPanamaros). Cf. anche H. Maccoby, Paul and Hellenism (London-Philadelphia 1991) 124: l'ideadi una comunione con la divinité «è caratteristica dei culti misterici e totalmente estranea alGiudaisno».

104. Per una discussione metodológica a questo proposito, cf. H.-J. Klauck, Herrenmahlund hellenistischer Kult, rispettivamente 33-36 e 40-42.

105. Secondo H. Maccoby, Paul and Hellenism, 124 e nota 35, persino l'espressione paoli-na «dopo aver cenato» (ICor 11,25: ¡.texà xò òeuxvfjoai) deriverebbe da una prassi di ámbitopagano; ma egli sa citare soltanto il tardo lessico Suida (s.v. áyáGon òaqiovoç). È vero che, comeabbiamo visto sopra, Filone Alessandrino dà una spiegazione etimológica di questo tipo aliostesso verbo «inebriarsi»; ma, a parte il fatto che è difficile documentare storicamente un simi¬le costume, il filosofo ebreo vi accenna come se esso appartenesse ormai ad altri tempi (cf.Plant. 163: ëGoç fjv xoîç Jtpóxepov).

Page 30: Il grecità classica, antico, nel NuovoTestamento

70 R. PENNA

problema delia genesi delia nozione di koinonía non va confuso con quellodelia sua originalité teológica».106 Su questo tipo di correlazione, può esse-re assai intéressante ricordare anche un apócrifo giudaico, sicuramenteritoccato da mani cristiane, che ci offre una originale speculazione sull'al-bero délia vite e sui suo iratto. Si tratta di 3Bar (o «Apocalisse greca diBaruch»), databile nei primi due secoli dell'era volgare.107 Secondo questolibro, l'albero con cui Adamo ed Eva peccarono era la vite, e il diavolo invi-dioso per mezzo di essa («la sua vite»: ôtù tfjç diutéXor aùxoO) li ingannò;108perciò Dio adirato maledisse la vite e il diavolo (cf. 4,8). A Baruc, che giu-stamente chiede come mai allora essa sia di cosï grande uso, Yángelus inter-pres dà questa spiegazione: quando ci fu il diluvio, le acque giunsero finoal Paradiso e distrussero ogni pianta; ma Dio rimosse di là il germogliodelia vite e lo portó fuori; passato il diluvio, Noè scopri la pianta e non

sapeva cosa farne; quando il solito angelo gli spiegó ogni cosa, egli si chie-se: «Se Adamo per suo mezzo venne distrutto, incontrerò anch'io l'ira diDio attraverso di essa?» (4,13), e imploró Dio durante 40 giorni per sapereche cosa avrebbe dovuto farne. Allora Dio gli mandó l'angelo Sarasael, checosi gli parló:

«Alzati, Noè, e pianta il germoglio, poiché cosi dice il Signore: "La suaamarezza (tò juxqóv) sarà trasformata in dolcezza (eiç ykvxv), e la sua male-dizione diventerà una benedizione, e il suo frutto diventerà il sangue di Dio(xai tò jtap' aiiToü YEvvobpevov yevr|aETai aipa Oeoû), e come la razza degliuomini venne condannata per suo mezzo, cosi per mezzo di Gesù CristoEmmanuele con esso riceveranno l'invito e l'ingresso in Paradiso"» (4,15).109

106. P.C. Bori, KOINONIA. L'idea delta comunione nell'ecclesiologia recente e nel NuovoTestamento (Brescia: Paideia 1972) 107. Vedi anche E. Franco, Comunione e partecipazione. Lakoinônia nell'epistolario paolino (Brescia: Morcelliana 1986), specie 249-289.

107. Cf. l'edizione di J.C. Picard, Apocalypsis Baruchi graece, Leiden 1967; e l'introduzio-ne e traduzione di H.E. Gaylord, jr., in J.H. Charlesworth, The Old Testament Pseudepigrapha,II, 653-679.

108. Análogo racconto si trova in Apoc.Abr. 23,6-11 (questo apócrifo fu composto certa-mente dopo il 70 e probabilmente prima delia metà del sec. Il): l'albero sotto cui stavanoAdamo ed Eva aveva come frutto grappoli d'uva; dietro ad esso stava un drago (identificato con

Azazel!), che teneva i grappoli e li porgeva ai progenitori mentre questi erano awinghiati l'unocon l'altro. Anche nel midrash rabbinico Gen.R. 15,7, tra le varie risposte date alla domanda suquale fosse stato l'albero da cui avevano magiato Adamo ed Eva (= grano, uva, cedro, fichi), a

proposito dell'uva Rt Jehudah ben Ilaj dice: «Questi grappoli portarono amarezza al mondo»(cf. anche b.Sanh.. 70a).

109. A sorpresa segue poi immediatamente una dura condanna del vino: «Sappi allora,Baruch, che proprio come Adamo attraverso l'albero fu condannato e gli fu tolta la gloria diDio, cosi ora gli uomini che bevono insaziabilmente il vino derivante da esso peccano peggiodi Adamo e si allontanano dalla gloria di Dio e assicurano per se stessi il fuoco eterno. Infatti

Page 31: Il grecità classica, antico, nel NuovoTestamento

IL VINO E LE SUE METAFORE 71

Come si noterà, la mano cristiana è evidente, pur se essa interviene sudi un fondo sicuramente giudaico. Ma la cosa più sorprendente è la desi-gnazione del frutto délia vite, cioè del vino, come «sangue di Dio».L'allusione all'eucaristia, anche se non ulteriormente specificata, dovrebbeessere fuori di ogni dubbio; ma in ogni caso, la qualifica è del tutto origi¬nale e, per quanto mi risulta, priva di ogni paragone, se non appunto (sem-mai) con la tradizione greca circa la celebrazione del vino in rapporto aDioniso-Bacco. Infatti, l'espressione è eccessiva persino per un cristiano,che tutt'alpiù parla del «sangue di Cristo», ma non «di Dio». In ogni caso,

qui il vino viene presentato positivamente non per se stesso, bensi solo perquesta sua dimensione che possiamo definiré «sacraméntale». Infatti lafortissima condanna immediatamente seguente, solo apparentemente atte-nuata in rapporto all'eccesso del bere, non lascia margini per un suo

apprezzamento; anzi, non è escluso che essa implichi una polémica anti¬pagana, se non proprio anti-idolatrica,110 come a dire che il nuovo dio, dicui il vino ora è sangue, non va più identificato con Dioniso ma con «GesùCristo Emmanuele».

6. Conclusione

Gli estremi di Omero e dell'apocrifo 3Bar non soltanto offrono i soste-gni di un ampio arco cronológico di quasi un millennio, in cui il vino nonfa che crescere d'importanza nella vita sociale, ma esprimono anche dueversanti culturali, che, assai diversi per altri motivi, trovano invece nel vinouno spiccato punto d'incontro. In effetti, ció che unisce questi estremi e

nessun bene proviene da esso (vino), poiché quelli che bevono in eccesso compiono questecose: il fratello non ha pietà del fratello, né il padre del figlio, nè i figli per i genitori, ma a moti¬vo della caduta mediante il vino vengono tutte queste cose: omicidio, adulterio, fornicazione,spergiuro, furto, e cose simili. E nulla di buono si compie per suo mezzo» (4,16-17). Può esse¬re intéressante notare il contrasto stridente tra questo giudizio e quello che ne dà invece FlavioGiuseppe nel testo riportato più sopra (cf. Ant. 2,66), che vede nel vino un dono di Dio connes-so solo con effetti buoni.

110. Essa, anche se non direttamente a proposito dell'eucaristia, sarà esplicita per laprima volta in Giustino, il quale intende escludere ogni riferimento a Dioniso dal testo di Gen49,11 («Egli... lava la sua veste nel sangue dell'uva»): «Udite queste parole profetiche, i demo¬ni favoleggiarono di un certo Dioniso, figlio di Zeus; tramandarono che fu inventore della vitee introdussero il vino nei suoi misteri e insegnarono che era salito al cielo dopo essere statosmembrato» (/ Apol. 54,5-6; lo stesso autore in Dial. 54,1-2 offre invece del testo bíblico un'al-tra lettura in rapporto al concepimento verginale: «Corne infatti non è l'uomo ma Dio che haprodotto il «sangue» della vite, cosí ha inteso mostrare in anticipo che il sangue di Cristo nonsarebbe provenuto dal genere umano ma dalla potenza di Dio»).

Page 32: Il grecità classica, antico, nel NuovoTestamento

72 R. PENNA

ancor più tutti gli stadi intermedi è un comune dato cultúrale che trova nelMediterráneo il suo ámbito geográfico e i suoi specifici elementi d'espres-sione. E sempre intéressante ed eloquente ció che scrive Plutarco circa lagrande operazione politico-culturale condotta a suo tempo da AlessandroMagno, quando insieme allargo i confini dell'Ellade verso il Vicino Orientee da questo trasse nuove componenti culturali: «Egli non segui il consigliodi Aristotele di trattare i Greci come se fosse il loro capo e i Barbari comese fosse il loro padrone, ma unificó gli uomini di ogni paese, mescolandoinsieme le loro vite, i costumi, i matrimoni, gli stili di vita, come in una

coppa dell'amicizia (ídojteo ev xQaxfjQt c|3iÀoiriaíüj)».'" Poche immaginicome quella del vino temperato, bevuto da una coppa comune, potevanoriflettere tanto bene la situazione mediterránea ed esprimere il dato di unasocietà che, pur diversa per tante ragioni, per altrettante poteva finalmen¬te ritrovarsi unificata.

La nostra indagine, che ci ha permesso di verificare e documentarequanto il vino nell'antichità fosse trattato secondo una ricca sfaccettaturadi metafore, è stata sostanzialmente condotta sui testi letterari. Ma è ine-vitabile e logico, sulla base delia stessa analisi documentaria, operare unpassaggio dalle pagine scritte alia vita vissuta, dove il vino risulta essere un

aspetto veramente determinante dell'intera società mediterránea ai varilivelli delia sua configurazione: rurale e urbano, proletario e aristocrático,profano e cultuale. E non importa se i suoi effetti vengono paradossal-mente descritti di volta in volta, in maniera contrastante, come positivi onegativi. Ció denota soltanto la polivalenza propria del vino, che si rispec-chia anche nelle sue metafore, come si addice a una realtà che pervadetrasversalmente Tintera vita dell'uomo, poiché fa parte di tutti i suoi ri-svolti esistenziali. Pensiamo perció che Tinsieme ci offra una buona foto¬grafia di carattere antropologico-culturale a orizzonte veramente «ecumé¬nico».

Nella nostra ricerca abbiamo individuato cinque topoi o centri d'inté¬ressé tipici, ai quali è possibile ricondurre la varia simbólica del vino. Ilprimo, la convivialità, è un dato di base, un comune denominatore, che siritrova poi in altre dimensioni proprie del vino, il quale perciò appare esse¬re un potente fattore di mutua coesione, di comunione orizzontale, o alme¬no di relazionalità vicendevole.

II secondo, il trattamento sapienziale, evidenzia la dimensione quoti¬diana e insostituibile del vino, di cui l'uomo mediterráneo tanto grecoquanto «bíblico» fa esperienza; questa poi viene tipizzata in massime chedi esso esprimono aspetti tanto positivi (collegamento con la verità e la

111. De Alexandrí magni fortuna aut virtute 1,6 (= Mor. 329 B-C).

Page 33: Il grecità classica, antico, nel NuovoTestamento

IL VINO E LE SUE METAFORE 73

gioia) quanto negativi (collegamento con l'insipienza). Il topos apocalitti-co è proprio del versante biblico e trova espressione nell'Apocalisse diGiovanni: riducendo l'ebbro a una situazione di impossibilità di reazione,il vino dà modo a chi è irato (nel caso, Dio) di riversare su di lui il castigocausato da un giudizio di condanna; la metáfora riguarda lo stadio esca-

tologico del rapporto Dio-peccatore. Invece, il topos filoniano délia sobriaebrietas è di tutt'altro genere: esso vuole sottolineare la posizione unica e

paradossale del sapiente, che, abbeverandosi aile inebrianti fonti delia gra-zia divina e del Logos, mantiene una condizione di interiore serenitàconiugata con una ineguagliabile ricchezza spirituale. Infine, il topos cul-tuale di una comunione divina verticale evidenzia un'altra esperienzaumana, che introduce il vino fin neO'ambito del rapporto religioso e ne fanon solo un tramite estrinseco ma il luogo stesso dell'incontro con la divi¬nité: da Dioniso a Gesù si opera un passaggio, che, se nella sua natura pro¬fonda esprime una vera inconciliabilità, si attua però sulla base di ele-menti comuni i quali non possono non essere visti nella luce di una cías-sica praeparatio evangélica.

Da quanto abbiamo visto, si potrebbe forse pensare che 3Bar ci offra lamassima celebrazione del vino. Dopo aver detto, infatti, che esso può vale¬re come sangue non solo di un dio, ma di Dio stesso, per quanto ció possa

apparire eccessivamente antropomórfico, delia sua nobiltà non si potevacerto dire nulla di più. Ma di altrettanto alto livello sono sicuramente tuttele celebrazioni poetiche e sapienziali, redatte da Omero in poi.

Sicché, alla domanda retorica di Sir 31,27: «Che vita è quella di chi nonha vino?», non si può dare altro che una risposta di commiserazione. Mal'interrogativo avrebbe ancor più senso, se venisse rivolto non tanto a degliindividui quanto all'intera société (e non solo a quella mediterránea), chenei secoli ha ormai dimostrato di riconoscere nel vino uno dei simboliinsostituibili della propria cultura.