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1. Le sociologie e le altre discipline Sociologia e storia Il compito dello storico del xix secolo era di convalidare i dati, non di interpretarli: i fatti avrebbero parlato da sé. Le cose cambiano il secolo successivo nel quale Braudel afferma che “lo storico si è voluto e fatto economista, sociologo, antropologo, demografo, linguista… lo storico però non esce mai dal tempo della storia, anche se egli sogna di sottrarvisi. […] quel che interessa allo storico è l’intreccio di questi movimenti, la loro interazione e punto di rottura: tutte cose che possono essere registrate solo sulla base del tempo uniforme degli storici, che costituisce la misura generale di questi fenomeni […] non è che i sociologi ce l’abbiano in fondo e inconsciamente con la storia; essi ce l’hanno col tempo della storia […] essi evadono o nell’istantaneo, sempre attuale, come sospeso al di fuori del tempo, o nei fenomeni ripetitivi, che non appartengono a nessuna età. È lecita questa visione? Ecco la vera sostanza del dibattito tra storici e sociologi[…]”. Per Abbagnano il connubio tra storia e sociologia e indispensabile:“la delimitazione di due sfere d’indagine, quella storiografica e quella sociologica, non implica nessuna dualità né metafisica, né gnoseologica. Non si tratta di due realtà diverse e neppure di due conoscenze diverse della stessa realtà.[…] ma di due oggetti possibili di ricerca, ognuno dei quali esige l’impiego di particolari strumenti e di linguaggi appropriati. Un evento storico deve la sua importanza alla sua capacità di introdurre mutamenti più o meno radicali nella trama ordinaria della vita. Solo sullo sfondo di questa trama è possibile porre in risalto la storicità di un evento. Tuttavia per lo storico questo sfondo non esiste. Quello sfondo è invece l’oggetto proprio della considerazione sociologica.[…] la sociologia si presenta come la disciplina più adatta a gettare un ponte fra le discipline umanistiche e le

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1. Le sociologie e le altre disciplineSociologia e storiaIl compito dello storico del xix secolo era di convalidare i dati, non di interpretarli: i fatti avrebbero parlato da sé. Le cose cambiano il secolo successivo nel quale Braudel afferma che “lo storico si è voluto e fatto economista, sociologo, antropologo, demografo, linguista… lo storico però non esce mai dal tempo della storia, anche se egli sogna di sottrarvisi.[…] quel che interessa allo storico è l’intreccio di questi movimenti, la loro interazione e punto di rottura: tutte cose che possono essere registrate solo sulla base del tempo uniforme degli storici, che costituisce la misura generale di questi fenomeni […] non è che i sociologi ce l’abbiano in fondo e inconsciamente con la storia; essi ce l’hanno col tempo della storia […] essi evadono o nell’istantaneo, sempre attuale, come sospeso al di fuori del tempo, o nei fenomeni ripetitivi, che non appartengono a nessuna età. È lecita questa visione? Ecco la vera sostanza del dibattito tra storici e sociologi[…]”. Per Abbagnano il connubio tra storia e sociologia e indispensabile:“la delimitazione di due sfere d’indagine, quella storiografica e quella sociologica, non implica nessuna dualità né metafisica, né gnoseologica. Non si tratta di due realtà diverse e neppure di due conoscenze diverse della stessa realtà.[…] ma di due oggetti possibili di ricerca, ognuno dei quali esige l’impiego di particolari strumenti e di linguaggi appropriati. Un evento storico deve la sua importanza alla sua capacità di introdurre mutamenti più o meno radicali nella trama ordinaria della vita. Solo sullo sfondo di questa trama è possibile porre in risalto la storicità di un evento. Tuttavia per lo storico questo sfondo non esiste. Quello sfondo è invece l’oggetto proprio della considerazione sociologica.[…] la sociologia si presenta come la disciplina più adatta a gettare un ponte fra le discipline umanistiche e le scienze naturali e quindi a eliminare un fittizio ma doloroso contrasto col mondo contemporaneo”Le scienze dell’uomoLo psicologo Piaget osserva che “ la psicologia scientifica, la sociologia, l’etnologia, la linguistica, la scienza economica e la demografia costituiscono esempi di discipline orientate ala ricerca di ‘leggi’[…] intendiamo per scienze storiche dell’uomo quelle discipline il cui oggetto e di ricostruire e di comprendere l’evoluzione di tutte le manifestazioni della vita sociale nel corso del tempo; […] le scienze giuridiche occupano una posizione abbastanza differenziata in quanto il diritto costituisce un insieme di norme. Il valore di una norma dipende esclusivamente dal suo accordo coi fatti. […] obiettivo della filosofia è di elaborare una coordinazione generale dei valori umani[…]”L’analisi psicoanaliticaLasch afferma che essa aiuta a chiarire il legame tra la società e l’individuo e tra la cultura e la personalità. “ è proprio la subordinazione degli individui al gruppo che la teoria psicoanalitica si impegna a chiarire, attraverso lo studio delle sue ripercussioni psichiche[…] ogni società riproduce la propria cultura nell’individuo, nella forma della sua personalità. Come ha detto Durkheim, la personalità è l’individuo socializzato. […] l’insistenza di freud sulla continuità tra salute psichica e malattia psichica ci dà la possibilità di considerare le nevrosi e le psicosi come l’espressione

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caratteristica di una determinata cultura”. Lasch rivendica il ruolo centrale della psicoanalisi per capire la posizione dell’individuo nella società e soprattutto per mettere in evidenza i condizionamenti che questa esercita sull’individuo nel plasmare la personalità. Grazie alla psicoanalisi, si può anche arrivare a comprendere meglio la società partendo dalla psiche degli individui.La curiosità sociologicaA differenza dello scienziato che si occupa dei fenomeni naturali, il sociologo studia degli esseri umani simili a lui; l’interpretazione del sociologo che si vuole staccata e obiettiva si sovrappone a quella dell’individuo che vive in una determinata società. Osserva il sociologo Gallino: “immagini sociali e immagini sociologiche vengono facilmente ai ferri corti” delinea poi le qualità del sociologo “vi è una tensione creativa tra il quesito che il sociologo si pone e i riferimenti teorici che adotta. Una tensione consistente ina una particolare forma di sensibilità e di disposizione mentale verso la cosietà, che possiamo chiamare curiosità sociologica. Essa è formata da molteplici elementi motivazionali e cognitivi: - guardare l’abituale come insolito- ricondurre a regole l’irregolarità- scoprire ciò che è nascosto- guardare le altre culture dall’interno- guardare la propria cultura dall’esterno- cogliere la dimensione storica dei fenomeni sociali- adottare una prospettiva comparativa- mantenere viva la tensione morale verso i problemi socialiQuando gli elementi cognitivi e motivazionali raggiungono un livello di maturazione adeguato, atteggiamento complesso è qualcosa di più della curiosità sociologica: è immaginazione sociologica. È curiosità addestrata. È l’immaginazione sociologica a consentire di riformulare i problemi sociali in problemi sociologici.L’immaginazione sociologicaConsideriamo il semplice gesto di bere un caffè. Cosa si può dire dal punto di vista sociologico?

- il valore simbolico: è un’occasione di interazione sociale e di intrattenimento rituale

- le differenze socio-culturali: in alcuni paesi non è socialmente accettabile bere un caffè, ma fumare marijuana si, nella nostra società il contrario.

- Le relazioni socio-economiche: il caffè connette i consumatori dei paesi ricchi con i venditori dei paesi poveri

- Lo sviluppo storico-sociale: il caffè deriva dalle piantagioni eredità del colonialismo

- Gli stili di vita: le diverse marche di caffè denotano un diverso stile di vitaWright Mills definisce “immaginazione sociologica” ciò che “ permette a chi la possiede di vedere e valutare il grande contesto dei fatti storici nei suoi riflessi sulla vita interiore e sul comportamento esteriore di tutta una serie di categorie umane[…] ci permette di afferrare biografia e storia e il loro mutuo rapporto nell’ambito della società. Questa è, ad un tempo, la sua funzione e la sua promessa […]”

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Una volta attivata l’immaginazione sociologica, il sociologo deve condurre le proprie ricerche supportato dalle conoscenze della storia della società analizzata e da quelle che riguardano altre culture in modo di poter fare uno studio comparato dei fenomeni osservati. Il compito dello storico è di tenere in regola il diario dell’umanità. Non vi è sociologia degna di tal nome che non sia ‘sociologia storica’. Studio comparativo e studio storico sono profondamente intrecciati l’uno all’altro. Oltre a confrontare il presente con il passato, il sociologo deve anche analizzare il rapporto fra l’individuo e istituzioni analizzando il supporto della psicologia, oggi psicologia sociale. Non è possibile infatti secondo Wright Mills parlare di natura umana in generale. La vita di un individuo non può essere compresa adeguatamente senza riferimento alle istituzioni entro le quali si svolge la biografia. Per comprendere la biografia di un individuo dobbiamo comprendere l’importanza e il significato dei ruoli che ha rappresentato e rappresenta; e per comprendere questi ruoli dobbiamo comprendere le istituzioni in cui sono inserite.Il mestiere del sociologoDice il sociologo L. Berger “il sociologo è una persona che ha un interesse appassionato, inesauribile, sfacciato, per i fatti umani[…] Nella sua ricerca della comprensione, il sociologo percorre il mondo degli uomini ignorando i confini usuali.” Il sociologo è una persona alla perenne ricerca di risposte alle sue molte domande. “possiamo dire che è il tipo che non può fare a meno di ascoltare pettegolezzi, che ha la tentazione di guardare dal buco della serratura, di leggere la posta altrui, di aprire i cassetti chiusi. […] il sociologo vive nella società quando lavora e quando non lavora. La sua vita stessa è materia di studio”. Berger sostiene che le cose non sono quello che appaiono. La realtà sociale si rivela costituita da molti strati di significato. La scoperta di ogni nuovo strato modifica la percezione dell’insieme.La sociologia come scienza dei fatti socialiAristotele, considerato il più grande filosofo dell’antichità, riteneva che la scienza fosse puro esercizio, contemplazione, attività creativa dello spirito. Fino al xvi secolo si è continuato a credere all’astrattismo della scienza. È stato Galileo Galilei che ha introdotto tra i primi un metodo che si fondava sugli esperimenti anzichè sui dogmi della filosofia aristotelica. Il metodo si articola in 4 fasi:

- la sensata esperienza (osservazione che porta a selezionare le variabili correlate)

- l’assioma (la formulazione dell’ipotesi)- il progresso matematico (la ricerca delle possibili conseguenze delle ipotesi

formulate)- il cimento sperimentale (la verifica vera e propria che dovrebbe far accettare o

confutare l’ipotesi)Emile Durkheim, sociologo francese, è ritenuto da molti l’autore della prima opera sociologica (il suicidio, 1897) ed è stato il primo insegnante della nuova disciplina chiamata sociologia dal suo maestro, Auguste Comte. Durkheim spiega che “il termine sociologia è stato creato da Comte per designare la scienza della società.[…] la speculazione sulle cose politiche e sociali è iniziata prima del xix secolo: La

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repubblica di Platone, la politica di Aristotele, i numerosi trattati ispirati a questi modelli, trattavano già questi problemi.[…] essi avevano infatti per oggetto non la descrizione e la spiegazione delle società quali sono o quali sono state, ma la ricerca di quello che devono essere, di come devono organizzarsi, per essere il più possibili perfette. Completamente diverso è lo scopo del sociologo che studia le società per conoscerle e comprenderle. Inoltre l’approccio non può essere globale, risulta più semplice individuarne le componenti. Queste componenti sono i fatti, o meglio, i fatti sociali. Il termine “ fatto sociale” utilizzato da Durkheim per indicare l’oggetto delle scienze sociali comprende tutto ciò che nella società si presenta all’esterno dell’individuo, che gli è preesistente e che modella il suo comportamento.L’autore poi svincola nella psicologia: “ in una parola tra la psicologia e la sociologia c’è la stessa soluzione di continuità che troviamo tra la biologia e le scienze fisico-chimiche.”Tornando ai fatti sociali, Durkheim spiega che una società si fonda sul diritto e sui costumi, per cui nell’agire da cittadine o cittadini, da mogli o mariti, da figli o genitori, noi assolviamo degli obblighi, nello stesso modo in cui rispettiamo gli impegni che abbiamo contratto. Ciò che descrive l’autore è quanto avviene della realtà quotidiana. Continuamente siamo sottoposti alla verifica sociale e alla censura della nostra condotta, anche nelle società democratiche. Non esistono tuttavia solo delle norme coercitive capaci di orientare il comportamento dei singoli. Durkheim descrive anche le correnti sociali che agiscono in modo opposto riuscendo a coinvolgere l’individuo senza costrizioni. “[…]Siamo allora vittime di una illusione che ci fa credere che abbiamo elaborato noistessi quello che ci viene imposto dall’esterno.[…]”. Noi tutti abbiamo provato almeno una volta cosa significhi essere parte di una folla. Là dove numerose persone si riuniscono attratte da un’ideale, da un grido o da un sogno, là trovano il grembo di una grande madre che lo fagocita e, almeno in parte, si appropria delle idee, gestendoli, o anche manipolandoli, nonostante che la persona non vi aderisca con convinzione e pienezza. Durkheim poi segnala n grande equivoco sul “fatto sociale”. Spesso lo si ritiene un pensiero ricorrente in tutte le coscienze particolari oppure un gesto, un movimento ripetuto di ciascun individuo. Queste sono le sue incarnazioni individuali. Invece “quello che costituisce i fenomeni sociali sono le credenze, le tendenze, le pratiche del gruppo preso collettivamente.”Poiché i fati sociali delimitano il campo di indagine della sociologia, l’autore spiega come riconoscerli. “un fatto sociale si riconosce sulla base del potere di coercizione esterna che esercita o è suscettibile di esercitare sugli individui.[…] certamente un fatto sociale può essere definito anche per la diffusione che presenta all’interno del gruppo. In altre parole, “ E’ fatto sociale qualsiasi maniera di fare, fissata o meno, suscettibile di esercitare sull’individuo una costrizione esteriore; o anche che è generale nella estensione di una data società pur possedendo una esistenza propria, indipendente dalle sue manifestazioni individuali.”

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Riassumendo il pensiero di Durkheim, la proprietà principale del fatto sociale è quella di esistere al di fuori delle coscienze individuali e di essere indifferente a esse. Il fatto sociale è un insieme di modi di agire, di pensare e di sentire non solo esterni all’individuo ma anche dotati di potere imperativo e coercitivo nei suoi confronti imponendoglisi con o senza il suo consenso.La macrosociologia: il suicidio di Emile DurkheimDurkheim nota che gli abitanti di ogni nazione hanno una tendenza più o meno accentuata al suicidio e che questa tendenza resta costante nel tempo. E aggiunge che il tasso di suicidi può essere considerato come un importante indicatore sociale. Una volta confermata l’ipotesi che il suicidio sia un fatto sociale, l’autore prosegue l’indagine cercando le cause del suicidio e ne individua 3 categorie principali:la prima comprende il suicidio “ egoistico ”, causato da una scarsa integrazione sociale in ambito religioso, familiare o politico.Inizia quindi la trattazione del secondo tipo di suicidio, “ altruistico obbligatorio ”, che rappresenta l’opposto del primo perché è dovuto a un’integrazione sociale troppo forte che arriva ad annullare l’individuo di fronte alla società e a spingere quest’ultima ad esigere da lui anche la sua vita.Quest’ultimo può essere diviso in 3 categorie :

- suicidi di uomini giunti alle soglie della vecchiaia o colpiti da malattia- suicidi di donne per la morte del marito- suicidi di accoliti o di servitori alla morte dei loro capi

Il terzo tipo di suicidio individuato da Durkheim, in base alle cause che lo provocano, è quello “ anomico ” “Il suicidio egoistico viene dal fatto che gli uomini non scorgono più una ragione di essere in vita; il suicidio altruistico dal fatto che questa ragione appare fuori dalla vita medesima; il terzo tipo di suicidio, di cui abbiamo ora constatato l’esistenza, deriva dal fatto che l’attività degli uomini è sregolata ed essi ne soffrono. Per la sua origine daremo a quest’ultima specie il nome di suicidio anomico.”Le società come costellazioni, configurazioni, giocoStelle e costellazioniSecondo alcuni autori per studiare la società occorre innanzitutto partire dagli individui che la compongono. Ecco che allora i confini tra sociologia e psicologia si fanno più labili. Uno dei principali esponenti di questa corrente di pensiero è Simmel, che è anche il primo sociologo tedesco. Infatti tra il 1908 e il 1917 fonda con Max Weber l’associazione tedesca di sociologia.Sintetizzando le premesse da cui parte l’analisi di Rimmel, l’autore enuncia 3 a priori sociologici:

- il primo riguarda il soggetto e l’altro, in pratica io non riesco a valutare una persona di per se stessa, distinta da quello che fa.

- Il secondo è il contrario del primo, o una sorta di correttivo: l’individuo non si esaurisce nel ruolo che svolge.

- Il terzo riguarda la stratificazione: ogni individuo appare destinato a un determinato posto nel suo ambiente sociale.

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“Per Simmel la società è un complesso di relazioni che gli individui creano nel loro continuo interagire. Questo complesso di relazioni si stabilizza in forme che , da una parte, rendono possibile l’analisi delle relazioni e , dall’altra, sono continuamente messe in discussione dalle nuove complesse interazioni”. Per Simmel la società non esiste di per se stessa, come avviene nella sociologia durkheimiana. Esistono invece degli individui (come le stelle) concreti e immersi in relazione tra loro. Dunque, dipende dal punto di vista dal quale ci poniamo se vediamo questi individui raggruppati in forme.Danze e danzatoriÈ un altro grande studioso che ci fornisce l’immagine, Norbert Elias. “il concetto di configurazione è stato introdotto perché esprime il fatto che quella che chiamiamo ‘società’ è appunto una rete di interdipendenze formata da individui, ma il concetto di sistema è eccessivamente dominato dall’idea di immutabilità. Il concetto può essere visualizzato con facilità facendo riferimento alle danze sociali. […] Come mutano -ora più lentamente ora più rapidamente- le piccole configurazioni della danza, così mutano -anch’esse con ritmo differente- le grandi configurazioni che chiamiamo società.”Gioco e riti socialiAltro autore tedesco è Johan Huizinga, la cui opera più famosa è l’autunno del medioevo del 1919. La teoria di fondo dell’opera homo ludens è che, non solo in ogni cultura trova spazio il gioco, ma anche che la cultura stessa è gioco e si manifesta come tale fin dall’antichità. “ al gioco partecipa qualcosa che oltrepassa l’immediato istinto a mantenere la vita, e che mette un senso all’azione del giocare.” “[…] ecco dunque una prima caratteristica del gioco: esso è libero, è libertà. Immediatamente congiunta a questa è la seconda caratteristica. Gioco non è la vita ‘ordinaria’ o ‘vera’. È un allontanarsi per entrare in una sfera temporanea di attività con finalità tutta propria. Il gioco comincia e a un certo momento è finito. Il gioco si fissa subito come forma di cultura. La possibilità di ripresa è una delle qualità essenziali del gioco. Notevole più ancora della sua limitazione nel tempo, è la sua limitazione nello spazio. Entro gli spazi destinati al gioco domina un ordine proprio e assoluto”. Huizinga distingue tra giochi solitari e collettivi, ne osserva le finalità, tratta il concetto di vittoria e confronta il gioco con altri fenomeni sociali che presentano una struttura simile come la lotta, la guerra e lo sport. “la comunità che gioca ha la tendenza a farsi duratura, anche dopo che il gioco è finito. Lo stato accettuativo e particolare del gioco si manifesta con grande evidenza nella misteriosità di cui si circonda volentieri.[…]Considerato per la forma si può dunque, riassumendo, chiamare il gioco un’azione libera: conscia di non essere presa ‘sul serio’ e situata al di fuori della vita consueta, che nondimeno può impossessarsi totalmente del giocatore; azione a cui in sé non è congiunto un interesse materiale, da cui non proviene vantaggio, che si compie entro un tempo e uno spazio definiti di proposito, che si svolge con ordine secondo date regole, e suscita rapporti sociali che facilmente si circondano di mistero o accentuano mediante travestimento la loro diversità dal mondo solito.”La microsociologia: Erving Goffman

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Per illustrare i caratteri della società e dei rapporti fra gli individui si è ricorsi ad altre semplificazioni, come quella della rappresentazione teatrale proposta sa Erving Goffman e, prima di lui, da Shakespeare. Nel 1956 Goffman pubblica la sua prima opera La vita quotidiana come rappresentazione. Egli ha contribuito a far luce sulle strutture dell’interazione e a mostrare l’importanza di studiare il comportamento sociale. Il sociologo descrive il mondo come un teatro del quotidiano dove gli individui si rappresentano nell’interazione con gli altri “interpretando” dei personaggi. “[…] le notizie riguardanti l’individuo aiutano a definire una situazione, permettendo agli altri di sapere in anticipo che cosa egli si aspetti da loro e che cosa essi possano aspettarsi da lui. […] si possono applicare ad esso degli stereotipi non controllati in precedenza, ed essi possono agire nel presupposto che le sue caratteristiche psicologiche abbiano un carattere di generalità e continuità e possano quindi essere utilizzate per prevedere il suo comportamento.[…] perciò quando un individuo compare alla presenza diretta di altre persone, avrà generalmente qualche buon motivo per agire in modo da comunicare agli altri quell’impressione che è suo interesse dare.”Per dimostrare la sua tesi, Goffman fa alcune precisazioni. Innanzitutto precisa cosa intende per:

- interazione faccia a faccia: l’influenza reciproca che individui che si trovano nell’immediata presenza altrui esercitano gli uni sulle azioni degli altri.

- Rappresentazione: tutta quell’attività svolta da un partecipante in una determinata occasione e volta in qualche modo ad influenzare uno qualsiasi degli altri partecipanti.

- Ruotine: il modello di azione prestabilito che si sviluppa durante una rappresentazione e che può essere presentato o rappresentato in altre occasioni.

“ se definiamo un ruolo sociale come il complesso di diritti e doveri connessi con una determinata posizione sociale, possiamo dire che un ruolo sociale coinvolgerà una o più parti e che ognuna di queste parti potrà essere presentata dall’attore in una serie di occasioni.”Analizzando quindi la facciata, Goffman la definisce “quella parte della rappresentazione dell’individuo che di regola funziona in maniera fissa e generalizzata allo scopo di definire la situazione per quanti la stanno osservando”, essa poi si divide in più parti:

- l’’ambientazione’: quei dettagli di sfondo che forniscono lo scenario e gli arredi per quelle improvvisazioni di azioni umane che vi hanno luogo dentro, davanti e sopra.

- La ‘facciata personale’: quegli elementi dell’equipaggiamento espressivo che identificano strettamente con l’attore stesso e che naturalmente lo seguiranno ovunque. Talvolta conviene scindere gli stimoli che formano la facciata personale , a seconda della funzione svolta dalle informazione che essi trasmettono. Si dividono in:

- ‘apparenza’: indica quegli stimoli che suggeriscono gli status dell’attore o che ci informano della condizione della condizione rituale temporaneamente vissuta dall’individuo.

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- ‘ maniera’: indica quegli stimoli la cui funzione in un dato momento è quella di avvisarci del ruolo interattivo che l’attore pensa di svolgere nella situazione che sta per verificarsi .“ E’ importante che nel sostenere un ruolo non vengano manifestate delle contraddizioni. Ci deve essere coerenza fra apparenza e maniera, ed anche fra ambientazione, apparenza e maniera.”“ nella società certi gesti involontari avvengono in una così vasta varietà di rappresentazioni e comunicano impressioni generalmente tanto incompatibili con quelle presentate che questi avvenimenti inopportuni hanno acquistato uno status simbolico collettivo: possiamo citarne 3 gruppi.

- un attore può accidentalmente comunicare incapacità, insicurezza o insolenza- l’attore può agire in modo da dare l’impressione di essere troppo o troppo poco

interessato all’interazione- l’attore può mettere in scena rappresentazioni che risentono di una regia

inadeguata.Goffman sostiene che il pubblico è disposto ad accettare in buona fede le indicazioni che vengono rappresentate. Ma il pubblico sa anche che può essere facilmente sviato e gabbato, per cui è spesso sospettoso quando vengono utilizzati simboli che possono essere equivoci. Le persone inoltre sono spesso portate ad associare, o addirittura a identificare, i tratti della rappresentazione a quelli dell’attore.“ Adopererò il termine ‘equipe di rappresentazione’, o più brevemente equipe, per riferirmi ad un qualsiasi complesso di individui che collaborano nell’inscenare una singola ruotine.” Coerenza, solidarietà, fiducia reciproca diventano essenziali nelle rappresentazioni di equipe. .”[…] si sviluppa quindi necessariamente un vincolo d’interdipendenza reciproca fra loro, […] essi sono obbligati a definirsi gli uni gli altri come persone messe a parte del ‘segreto’. I compagni di equipe, allora, in misura proporzionale alla frequenza con cui agiscono come equipe tendono ad essere legati da ciò che si potrebbe chiamare ‘familiarità’, un rapporto formale che viene automaticamente offerto e accettato non appena l’individuo occupa un posto nell’equipe. […] vige la regola che un funzionario non deve mai mostrare ostilità o mancanza di rispetto verso un altro funzionario quando è in presenza di un membro di un’equipe subalterna”Egli parla di territorio definendolo come “un qualsiasi spazio che sia delimitato da ostacoli alla percezione"“se prendiamo in considerazione una particolare rappresentazione è talvolta utile servirsi del termine ‘ribalta’ per indicare il luogo dove si svolge la rappresentazione.[…] la rappresentazione di un individuo sulla ribalta può essere considerata come un tentativo per mostrare che la sua attività entro quel territorio segue certe norme. Queste sono riconducibili a 2 vaste categorie.”

- cortesia: si riferisce al modo in cui l’attore tratta il pubblico mentre è impegnato con questo in una conversazione o in uno scambio di gesti, sostitutivo della parola;

- decoro: si riferisce al modo in cui l’attore si comporta quando può essere visto o udito dal pubblico, ma non è necessariamente impegnato a parlargli.

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“ Un territorio inoltre può essere diviso in 2 parti: - ribalta: vengono evidenziati gli aspetti che ritengono utili alla

rappresentazione, altri, meno significanti, vengono soppressi- retroscena: vi sono i fatti che sono stati eliminati dalla ribalta

Infine l’autore descrive le conseguenze delle gaffes che possono distruggere in un attimo il lavoro di tutta un’equipe. “[…] certe scenate si verificano quando i membri di una equipe non possono più sopportare la maldestra recitazione dei loro stessi colleghi e si lasciano sfuggire critiche immediate e pubbliche di quegli stessi individui n i quali dovrebbero cooperare nella rappresentazione. […]”Le società come retiNegli ultimi due decenni del xx secolo, la sociologia della vita quotidiana si diffonde anche in Italia e cerca di trovare il nesso esistente tra “soggettività integrate in modi vitali” e sistemi sociali. Uno degli strumenti utilizzati dall’analisi microsociologica recente come metodo per osservare e spiegare le relazioni è il modello delle reti. Tale modello parte dal presupposto che “ogni persona conosce altre persone, a loro volta queste persone possono conoscersi ed essere in relazione tra loro oppure no, e in ogni caso hanno a loro volta altre conoscenze e frequentazioni.” Le reti possono essere a maglia larga o a maglia stretta. Una rete è a maglia tanto più stretta quanto più le persone che un individuo conosce si conoscono anche tra loro. I legami fra le persone collegate variano per intensità, durata, frequenza, contenuto. Quanto al contenuto, possono essere limitate ad un solo carattere (rapporto di lavoro), o sommare più caratteri (amicizia e lavoro per esempio).Relazioni causali, circoli viziosi e profezieRelazioni causaliNon sempre i rapporti di causa-effetto si possono verificare oggettivamente e talvolta il fenomeno che sembra a prima vista la causa di un altro può rivelarsi, invece, il suo effetto. Nel 1983 il giornalista Beniamino Placido riporta due esempi di errata applicazione del rapporto causale:

- nel rigido inverno dell’800 in olanda ovunque nascesse un bambino si vedeva una cicogna appollaiata sul tetto, ma non perché questa portasse il neonato, ma perché in quelle case dove veniva al mondo il pargolo si accendeva il camino e l’animale trovava un clima più mite su quei tetti.

- Non è il latino ad aprire le menti e le strade degli studenti, ma piuttosto le scuole dove il latino viene insegnato, il liceo classico, perché frequentato da figli di famiglie benestanti che possono attingere alla cultura ed i libri di famiglia.

Circoli viziosiIn un brano dello studioso svedese Gunnar Myrdal viene affrontato una questione che aveva suscitato un ente americano, definendola il “problema negro”, ed egli sottolinea come il meccanismo operante nello studio americano fosse ‘il principio di accumulazione’, detto comunemente ‘circolo vizioso’: “il pregiudizio e la discriminazione dei bianchi mantengono il negro in una condizione di inferiorità, per tenore di vita, salute, istruzione, maniere e morale. Il che a sua volta fornisce un

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sostegno al pregiudizio dei bianchi.[…]. Se per esempio supponiamo che sia possibile diminuire il pregiudizio dei bianchi a mitigare la discriminazione, è probabile che questo produca un miglioramento nella qualità dei negri, il che può ridurre ancora un poco il pregiudizio dei bianchi, il che permetterà un miglioramento delle qualità dei negri e così via, in un processo di interazione reciproca.”Profezie autoverificatesiPer il sociologo non conta solo quello che le persone in una determinata società e un dato periodo fanno, ma anche quello che essi percepiscono della realtà, come asserisce la famosa affermazione di William Thomas secondo la quale se gli uomini definiscono reale una situazione, ciò la rende reale nelle sue conseguenze. Robert Merton che per primo definisce “la profezia che si autoverifica” fa l’esempio di una banca della quale si era detto che fosse in cattive acque e quindi molte persone andarono a prelevare i propri risparmi, non avendo la banca però liquidità sufficiente fu costretta a chiudere per fallimento.2. La persona: sentimenti e legami Emozioni, passioni e sentimentiLa differenza che si pone comunemente fra i sentimenti e le emozioni sta nella loro durata- il primo è di solito visto come più durevole – e nella loro strutturazione, in quanto i sentimenti sarebbero più strutturati cognitivamente. L’emozione è qualcosa di impulsivo, il sentimento ha anche una componente sociale. L’umore è meno intenso e più durevole dell’emozione e non presuppone che l’individuo si prepari ad agire.Tornando alle emozioni, secondo il pensiero antico, esse sono una malattia dell’anima. Per Platone infatti l’anima è implicata in una continua contesa fra desideri, pulsioni erotiche, timori e ire. Per gli stoici le emozioni sono una malattia che arriva quando la ragione cede. Nel vi secolo papa Gregorio Magno codifica alcune emozioni dei sette peccati capitali. Negli anni 70 del xx secolo i sentimenti sono diventati un punto di riferimento e di aggregazione sociale. La sociologia ha iniziato a porvi attenzione da circa un ventennio. Il primo sociologo italiano a studiare i sentimenti è stato Alberoni attorno agli anni 60. ma l’autore che più ha fondato la sua teoria sulla componente non logica dell’azione sociale è Vilfredo Pareto. Le emozioni dipendono dalle diverse culture e società, ma anche dai valori dominanti nelle classi, nei singoli gruppi o nelle diverse famiglie; il manifestarsi delle emozioni fin dalla primissima infanzia porta a ritenere che alcune, denominate “primarie”, siano spontanee, universali. Altre più complesse, sorgono in seguito all’influenza culturale. Sono influenzate dall’educazione del gruppo e vengono tollerate o represse a seconda dei valori condivisi. Ma vi sono anche delle differenze individuali, delle predisposizioni diverse e non vi è neppure un modo univoco di manifestarle. Il riso e il pianto possono essere indicatori di sentimenti opposti. Esprimere i propri sentimenti significa comunicare un proprio stato d’animo, un proprio bisogno., ammettere un’emozione e lasciarla trasparire significa comunicare a un altro le proprie intenzioni.

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Fino a non molti anni fa, la nostra cultura prevedeva il controllo delle emozioni, oggi si va verso una sorta di 2iberalizzazione del sentimento”, sta prevalendo la “cultura emotiva”.L’imbarazzo è un sentimento che si cerca di celare e che manifesta disagio; esso, a differenza della vergogna, è un’emozione più lieve, temporanea e legata ad un preciso evento. La vergogna è un sentimento universale che, per Freud, deriva dal senso di colpa che può provare l’io di fronte al super-io che lo rimprovera.Gli stili di vita diffusi nelle grandi città, e che stanno progressivamente contagiando molti strati della popolazione, favoriscono il manifestarsi di manie e stati di depressione. Le prime provocano eccessiva euforia, irritazione, iperattività, diminuzione delle ore di sonno, mancanza di giudizio critico, mancanza di autocontrollo. Oggi si parla molto ci shopping mania, forse perché i maniaci sono edonisti.La depressione invece si esplicita con caratteristiche opposte alla mania, tra cui la perdita di interesse per la vita e della stima di se stessi, variazione dell’appetito o del sonno, perdita di energie. Di conseguenza i soggetti affetti da depressione mostrano difficoltà a spendere e a uscire di casa per fare acquisti anche di generi di prima necessità.Invidia e gelosiaNe gli invidiosi Alberoni analizza l’invidia. L’autore la definisce un meccanismo umano primordiale che ci porta a frenare chiunque tenti di innalzarsi al di sopra di noi, un meccanismo di difesa usato dall’individuo per mascherare l’insicurezza nata dalla mancanza di rapporti autentici con gli altri. È un tentativo maldestro di recuperare la fiducia, la stima di noi stessi svalutando l’altro.Alberoni, condividendo con Freud e Girare l’ieda che i desideri nascano da un meccanismo che ha un punto di riferimento esterno, spiega che “i desideri noi li impariamo dagli altri nel corso della vita attraverso 2 meccanismi fondamentali: l’identificazione e l’indicazione. Per identificazione intendiamo quando una persona si mette idealmente al posto di un altro e desidera essere come lui, fare come lui, possedere le cose che possiede lui. Per indicazione intendiamo il fatto che fin da quando nasciamo ci viene detto da chi ci sta intorno quanto dobbiamo volere e quanto dobbiamo evitare.L’invidia è legata all’identificazione. Infatti nutriamo una moltitudine di sogni, di speranze, di aspirazioni che restano allo stato potenziale o che inibiamo prepotentemente perchè li consideriamo irrealizzabili; questi sogni vengono risvegliati da qualcuno come noi, simile a noi, che è riuscito a realizzarli. Secondo Alberoni la gente confonde i due concetti e utilizza il termine geloso al posto di invidioso. La maggiore differenza è che la gelosia è socialmente ammessa, l’invida no. L’autore scrive che la gelosia è “la reazione emozionale che noi proviamo quando qualcuno ci sottrae una persona che amiamo e su cui, in forza dell’amore, pensiamo di avere dei diritti”. Possiamo individuare 3 protagonisti: chi ama, l’oggetto d’amare e il rivale. Nell’invidia, invece, noi vediamo dolo 2 protagonisti. L’invidioso e l’invidiato. Se però nella gelosia è assente il pubblico nell’invidia questo è presente. Alberoni spiega che questa “ha la sua radice nel fatto

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che non siamo noi a darci valore, ma gli altri e che abbiamo gli altri come metro del nostro valore.” Sono 3 i momenti del processo invidioso:

- il confronto negativo che qualcuno è più dotato di noi- l’impulso si odio- la condanna sociale e la sua interiorizzazione

la società infatti attribuisce all’invidioso la colpa di ribellarsi al giudizio sociale. “l’invidioso svaluta l’altro, cerca di diminuirlo, di danneggiarlo […]. L’accusa è quindi triplice: ti ribelli al giudizio di valore della società e aggredisci coloro che la società tiene in considerazione”.Dall’invidia individuale alla violenza collettivaIl rapporto fra invidia e movimenti è stato analizzato da Alberoni il quale osserva che, mentre la prima è essenzialmente conservatrice perché l’invidioso tende a mantenere i propri privilegi, i secondi sono una forza rivoluzionaria. Questi deve incanalare l’aggressività scaturita dal senso di ingiustizia e dalla frustrazione provati nel vedere chi possiede più di altri e trasformarla in energia finalizzata alla lotta per il bene, per la giustizia, per la verità. È solo in un secondo moment, infatti, che nei movimenti nasce l’odio per il nemico.Analizzando il caso in cui l’invidioso riesce attraverso la propaganda a screditare colui che invidia e a farsi degli alleati, Alberoni spiega che l’invidia individuale scompare agli occhi della gente e si trasforma in azione politica legittima e in competizione politica che possono giustificare la violenza collettiva.”l’invidia diventa sociale, legittima, nobile quando si trasforma in un’azione politica.[…] la trasformazione dell’invida individuale in violenza collettiva spiega perché tutte le società siano percorse, di tanto in tanto, da ondate di aggressività, che si scaricano contro un certo gruppo che diventa così il capro espiatorio.”Le radici dei legami affettivi In psicologia delle masse e analisi dell’io Freud individua le radici dei legami emotivi fra le persone nel fenomeno della “identificazione”. Il processo attraverso il quale l’individuo costruisce se stesso assimilando uno o più tratti posseduti da un altro individuo da lui preso a modello. Per Freud si tratta di una vera e propria “appropriazione”Analizzando poi i sintomi della nevrosi, l’autore distingue 3 tipi di identificazione:

- identificazione con il genitore-rivale e rappresenta il tentativo di instaurare un legame affettivo con l’altro genitore oggetto d’amore

- il soggetto si identifica nel genitore di sesso opposto, operando quindi una sorta di regressione

- l’identificazione non avviene né per la persona amata né con il rivale, ci identifichiamo con chi abbia qualche aspetto in comune con noi.

Freud poi distingue tra l’amore comune, che è soddisfatto sessualmente, e quello durevole, che va oltre i momenti in cui ci assale il desiderio sessuale. Facendo una distinzione tra identificazione ed innamoramento quello che riscontra Freud è che, paradossalmente, proprio le pulsioni inibite alla meta –cioè l’amore fatto di tenerezza- siano destinate a produrre legami più duraturi dell’amore sensuale

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destinato a estinguersi appena viene soddisfatto. “in una serie di casi l’innamorarsi non è altro che l’investimento dell’oggetto da parte delle pulsioni sessuali allo scopo di raggiungere il soddisfacimento sessuale diretto che si estingue una volta raggiunta tale meta; questo è ciò che la gente chiama amore comune, sensuale.[…] in base al contributo delle pulsioni inibite nella meta è possibile misurare il grado di innamoramento che si contrappone alla mera brama sensuale.[…] sorge l’illusione che l’oggetto sia amato anche sensualmente a causa delle sue prerogative spirituali, mentre al contrario solo il fascino sensuale ha potuto conferirgli tali prerogative. La tendenza che qui falsa il giudizio è quella all’idealizzazione. Nello stato dell’innamoramento una quantità notevole di libido narcisistica straripa sull’oggetto. Lo amiamo a causa delle perfezioni cui abbiamo mirato per il nostro io e che ora, per questa via indiretta, desideriamo procurarci per soddisfare il nostro narcisismo.” “nell’amore entusiastico dell’adolescente l’oggetto si impossessa dell’intero amore che l’io ha per sé, di modo che si ha l’autosacrificio dell’io. L’oggetto ha per così dire divorato l’io.: l’oggetto ha preso il posto dell’ideale dell’io. L’amore sensuale invece è destinato a estinguersi nel soddisfacimento.”L’innamoramento e i processi amorosiAlberoni nel suo libro ti amo ed altri scritti ha inteso creare le basi per una “scienza dell’amore”. L’autore, pur partendo dalla teoria psicoanalitica, si contrappone ad essa così: “ in questo secolo si è diffusa l’idea che tutte le esperienze entusiasmanti ed esaltanti siano soltanto sopravvivenze infantili. Ma non è così. L’esperienza esaltante che si vive nello stato nascente è una proprietà fondamentale della mente umana. La vita umana non ha una sola nascita, una sola infanzia, ma è fatta di diverse rinascite, diverse infanzie. Lo stato nascente è ogni volta una morte-rinascita, la distruzione e la ristrutturazione del soggetto e del suo mondo.[…] l’idea del paradiso terrestre è la stella polare che guida l’uomo verso la perfezione.” “ma perché ci innamoriamo? Noi esseri umani, fin dalla nascita, abbiamo bisogno di oggetti assoluti e totali di amore. Qualcosa più importante di noi che ci trascende. Tutti gli oggetti d’amore concreti sono invece limitati e spesso diventano oppressivi e frustranti. Se una cosa ci interessa poco , ci può fare anche poco male; se invece per noi è essenziale, anche una sua disattenzione ci ferisce. Così finiamo per provare dei sentimenti aggressivi verso la persona che amiamo. Questo duplice sentimento è quello a cui Freud ha dato il nome di ambivalenza. Tutti i meccanismi con cui prendiamo su di noi l’aggressività che non rivolgiamo verso il nostro oggetto d’amore li chiameremo depressivi. Tutti quelli con cui noi scarichiamo l’aggressività su qualche oggetto esterno li chiameremo persecutivi.”“la situazione di ambivalenza è anche di disordine , di entropia (caos), in cui i meccanismi depressivi quanto quelli persecutivi falliscono, perché non riescono più ad idealizzare gli oggetti d’amore. Il problema è insolubile con i meccanismi tradizionali. Questi sono in sovraccarico. Subentra un senso di vuoto, di inutilità, di fallimento” la soluzione a questo problema e sempre una ridefinizione di se stessi e del mondo. […] può essere l’innamoramento” “ la persona che amiamo non è solo la più bella e desiderabile delle altre. È la porta, l’unica porta per penetrare in questo nuovo mondo, per accedere a questa vita più immensa.[…] lo stato nascente non è

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mai un arrivare, è un’intravedere. La forza dello stato nascente è una potenza redentrice che trasfigura ogni cosa.L’innamoramento reciproco è il riconoscimento di due persone che entrano in uno stato nascente e che riplasmano la propria vita a partire dall’altro. Lo stato nascente ha una formidabile capacità di comunicarsi. Il riconoscimento sono due persone che intravedono la fine della separazione del soggetto dall’oggetto, l’estasi assoluta, la perfezione.” Per Alberoni l’innamoramento è un movimento, il più semplice dei movimenti collettivi perché è formato da due sole persone ed ha proprietà particolari, come l’erotismo, legame intimo che si crea e la mancanza di una vera gerarchia. L’autore poi chiarisce che i processi che creano i legami amorosi sono 4:

- il principio di piacere: noi ci leghiamo a coloro che ci danno piacere- perdita: ci sentiamo maggiormente legati agli oggetti amati che ci sfuggono- indicazione: tendiamo a desiderare ciò che ci viene indicato dagli altri come

dotato di valore- lo stato nascente: trasfigura l’oggetto amato e ci consente di fonderci colui

dopo esserci trasformati noi stessi.“Solo quando si mette in moto il quarto meccanismo si ha l’innamoramento, mentre se agisce solo uno dei primi 3 abbiamo le infatuazioni, che possono essere: infatuazione erotica (principio di piacere), infatuazione competitiva (perdita), infatuazione divistica (indicazione).Se il processo di innamoramento continua, poniamo delle prove di verità a noi stessi e delle prove di reciprocità all’altro per sapere se corrisponde il nostro amore. È la fase della lotta con l’angelo. Una lotta entro l’amore, in cui ciascuno è costretto a cambiare finchè, al termine, i due innamorati stringono un patto, in cui ciascuno fa propri i diritti e le aspirazioni essenziali dell’altro.”L’amore nei bambini e negli anzianiL’amore nei bambiniGià nei bambini dai 3 agli otto anni ricorrono alcuni atteggiamenti e comportamenti tipici degli innamorati di tutte le età. L’amore manifestato dai bambini al primo stadio dello sviluppo è generalmente spontaneo, generoso e senza inibizioni. Naturalmente non è possibile fare generalizzazioni. L’amore, fin dal primo stadio, porta con sé qualcosa che poi persiste per tutta la vita: la disposizione al sacrificio nei confronti del proprio amato. Nei primi anni di questo stadio i regali risultano essere importanti per il loro valore intrinseco. Questo valore conserva la sua importanza durante tutta la vita. Ma, essendo il dono ricevuto dal proprio amato un’espressione d’amore, più grande è l’amore maggiore è il valore che gli viene associato. I bambini manifestano forme di feticismo fin dalla prima infanzia quando li tengono stretti o li baciano.La bellezza comincia ad essere un fatto che pesa sulla scelta dell’amato già a partire da questo primo stadio. Il primo stadio (0-7 anni) vede un amore franco e aperto, non reprimendo in nessun modo, con scambi di carezze e abbracci. Il secondo stadio (8-12 anni per le ragazze, 8-14 anni per i ragazzi) vede svilupparsi una certa timidezza, la presenza del pudore, sforzi di reprimere i propri sentimenti ed una tendenza per

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entrambi i sessi a nascondere il proprio amore. In questo momento è importante per la coppia l’amico del cuore perché è quello che mantiene il segreto del loro amore e quello che li può aiutare a capire se sono ricambiati. Nonostante il sentimento del pudore sia il tratto distintivo delle bambine, nel complesso sembrano essere più aggressive dei maschi e meno attente a nascondere i propri sentimenti. Timidezza e vergogna sono i due elementi che possono impedire alla coppia di formarsi o di durare. Un altro importante fattore che può condurre alla rottura è la gelosia. Emerge fi da questo stadio ciò che in seguito caratterizzerà l’atteggiamento della donna verso l’altro sesso e non c’è alcuna prova di una qualche correlazione tra l’età e l’amore passionale. La passione può essere presente e intesa già da bambini.Quando si diventa grandi (terzo stadio), si attraversa il periodo dell’adolescenza con i grandi amori e con le infatuazioni per i divi, e le prime esperienze infantili sembrano essere dimenticate, eppure, le modalità con cui ci si innamora nell’infanzia non appaiono diverse da quelle ripetutesi per il primo amore dell’adolescenza. Non è quindi vero che il primo amore non si scorda mai, esso è offuscato da quelli successivi.L’amore per gli anzianiGli antichi erano particolarmente severi riguardo il comportamento che dovevano tenere i vecchi. Il cinema ha trattato molto il tema dell’amore in età avanzata per una persona più giovane e se prima della seconda guerra mondiale questo amore appariva impossibile ed era concepito solo quello di un anziano verso una giovane, nel dopoguerra la situazione si capovolge. Anche la donna anziana si può innamorare di un uomo più giovane. Secondo Abraham nelle coppie dove lui è molto più anziano può venirsi a creare l’effetto pigmalione, cioè “l’uomo educa la donna, le fa valorizzare le sue capacità” e può reagire in 2 modi diversi: o diventa passivo e rassegnato di fronte ala giovinezza e alla vitalità di lei, o si atteggia a suo coetaneo.Per Lessing , l’amore della vecchiaia è paragonabile solo all’amore dell’infanzia.Gli anziani innamorati, sia uomini che donne, tendono a confrontare le loro sensazioni con quelle provate da ragazzini. Anche l’anziano è travolto, spesso in modo repentino, violento e inatteso da emozioni fortissime che, per spiegarle, egli stesso paragona a quelle provate da ragazzino. L’anziano, come il bambino, si innamora spesso di chi gli mostra attenzioni, apprezza chi si prende cura di lui e desidera ricambiare questa cura. Vecchi e bambini inoltre, ugualmente emarginati dalla sfera produttiva, conducono la propria vita al di fuori del vortice dell’atteggiamento funzionalista e utilitaristico coni quali i giovani adulti improntano gran parte della propria vita. Gli anziani vivono in modo accelerato ogni loro sensazione e accorciano il più possibile i tempi necessari per consolidare amori e amicizie. Fra i fattori scatenanti l’innamoramento nell’anziano ci possono essere: il disagio del presente, l’accumularsi di tensioni, la crisi fra il soggetto e la comunità, un allentamento dei legami abituali. L’amore di un anziano può nascere dall’amicizia, ma, come quello dei bambini, non si confonde con l’amicizia.

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L’innamoramento di ogni età deve fare i conti con il proprio passato, presente e futuro, vissuti in modo differente per ciascuna età: l’adolescente ha un passato troppo breve che conta poco; nel giovane adulto progettare il futuro diventa essenziale e l’impegno per formare una giovane coppia è sollecitato dal limite biologico alla procreazione; nella maturità e nella vecchiaia, infine, non mancano la speranza di un futuro né il desiderio di trarre il meglio dal presente.Il ricordo di un amore non corrisposto lascia un segno profondo, indelebile più di quelli vissuti pienamente. I grandi amori consumati e conclusi si ricordano a stento. Non quelli infelici, tormentati, disperati o quelli che continuano. Secondo lo psicologo francese Ribot la distruzione progressiva della memoria segue un ordine logico avanzando dal più instabile al più stabile secondo una legge, definita appunto legge di Ribot. Secondo questa legge i ricordi più recenti sono quelli che si dimenticano prima, soprattutto se si sono ripetuti raramente. Seguono i ricordi più vecchi e, ultima a scomparire, è la memoria sensoriale istintiva che , divenuta parte integrante dell’organismo, rappresenta l’organizzazione allo stadio più elevato.Sentimenti reale, reti virtualiNei paesi dove l’uso di internet è abituale , le ricerche mostrano che vi è un notevole numero di successi nel ritrovare la persona ideale. Quanto ai servizi, la rete ne propone di ogni tipo, non mancano nemmeno per chi ha tradito. Grande successo stanno riscuotendo i blog, compaiono in rete nel 1997 e la libertà d’espressione e la possibilità di anonimato trasformano il blog in una sorta di confessionale o nel lettino dello psicoanalista in cui è possibile non soltanto raccontare le esperienze vissute, ma anche i sogni e i desideri fino ad allora custoditi gelosamente. Milioni di persone entrano in rete per gioco o per curiosità, partecipano a qualche chat, ma le motivazioni che li spingono a conoscere altra gente con questo mezzo sono profonde e complesse: solitudine, delusione, noia del quotidiano, ma non solo. Da un lato l’aspirazione a conoscere persone più interessanti, la vera amicizia o il vero amore a lungo sognati,; dall’altro lato, la voglia di affermare se stessi, di mostrare quella parte di sé, la più vera e intima, che nella vita di tutti i giorni resta nascosta. Il sessuologo americano Harley afferma che “la gente si innamora perché su internet incontra i propri bisogni di onestà, sincerità, dialogo e affetto. Sono istinti potenti e quando gli uomini e donne trovano un partner che li possa soddisfare, si innamorano.”Paradossalmente l’ambiente virtuale e l’anonimato permettono scambi vissuti dai protagonisti come più spontanei, sinceri, veri, reali, di quelli che avvengono nella vita quotidiana. Sempre per Harley “una storia d’amore vissuta sulla rete ha pure molti vantaggi: il principale è godere dell’attenzione totale dell’altro.”I pericoli però della dissociazione tra persona online e il sé nella vita reale diventa il punto focale di tante discussioni in rete. In rete, la mancanza di informazione e di stimoli visivi sulla persona reale con cui ci dialoga, la solitudine e il silenzio con cui si comunica, favoriscono la proiezione di

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sé, l’accentuazione delle sensazioni, e l’idealizzazione. Per questo l’impatto con la realtà è spesso deludente.Il divismo: l’amore per le starMorin, filosofo, antropologo e laureato in varie materie, da tempo si dedica alla ricerca di un metodo sociologico in grado di studiare la complessità della società contemporanea, che includa l’analisi della dimensione biologica dell’uomo e quella dell’immaginario. Nell’opera le star (1957) descrive i rapporti fra vita e spettacolo attraverso il culto delle star del cinema dove immaginario e reale si intrecciano. “si crea intorno alle star un abbozzo di religione. Una cosa sono i fanatici, un’altra gli adoratori. Questa seconda categoria costituisce la massa idolatra dei fan, che si può stimare tra il 5 ed il 6 per cento della popolazione in francia, in Inghilterra e negli stati uniti”.Il libro serve, secondo lo stesso autore, a illustrare un tema ritenuto insignificante e stupido dalla sociologia ufficiale, quello della magia nele nostre società “cosiddette razionali”. Osserviamo ora il culto vero e proprio. L’amore del fan non può possedere, né nel senso sociologico, né in quello fisico del termine. L’amore nei confronti delle star è senza gelosia, senza invidia, condivisibile, poco sensualizzato, in sintesi, adorante. Ilo fan si accetta così com’è, un vermiciattolo. È questa disuguaglianza che caratterizza l’amore religioso. L’autore descrive i rituali e tutto l’armamentario religioso che viene utilizzato per deificare i divi e costruire una vera e propria “liturgia stellare”. La prima assimilazione è di tipo conoscitivo. La conoscenza è in questo caso uno strumento di appropriazione magica. Come ogni culto spontaneo e primitivo, ma alimentato da chi ne trae un profitto, il culto delle star si trasforma in feticismo. Il pettegolezzo ad un bisogno di conoscenza feticistica. L’amore e l’ammirazione per le star si concretizzano dunque in religione sono per una parte del pubblico. E si tratta di una religione fragile, arriva il momento in cui la star invecchia e muore. La morte è più forte dell’immortalità. Ma proprio questa fragilità ci rivela la forza del sentimento religioso che si manifesta. La star è divinizzata a dispetto della sua ‘umanità’ evidente.Dietro lo star system non c’è solo la ‘stupidità’ dei fans, c’è anche il cuore del mondo, c’è l’amore. C’è anche quella magia che noi pensiamo riservata ai ‘primitivi’ e che è anch’essa al centro delle nostre vite civilizzate. Ovunque ci sia uno schermo bianco in una sala buia, si è installata una nuova religione. 3. la persona: dai bisogni ai sogniI veri movimenti delle azioni: i residui psichiciPareto, ingegnere ed economista, è uno dei più grandi sociologi italiani. A differenza di Duekheim che poneva come oggetto della materia i fatti sociali esterni agli individui, pareto intende analizzare la società in modo ugualmente scientifico pur facendold attraverso lo studio delle azioni compiute dalle persone che lo compongono. “ Studiamo dunque le azioni; per farlo bisogna prima classificarle e ci proponiamo di seguire i principi della classificazione detta naturale in botanica e

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zoologia, mercè la quale si uniscono gli oggetti aventi un insieme di caratteri simili. […]” Analizzando scientificamente l’azione umana Pareto precisa che essa può essere considerata da due punti di vista, quello soggettivo di chi la compie e quello oggettivo dell’osservatore esterno. “ […] in realtà sono tutt’e due soggettive perché la conoscenza umana è soggettiva , ed esse si distinguono non per una differenza di natura, ma per una somma più o meno grande di conoscenze dei fatti.[…]” l’approccio scientifico di Pareto lo porta così a individuare 2 classi di azioni : quelle “che uniscono logicamente i mezzi al fine”, che definisce “ logiche ”, e quelle “ non- logiche ” per cui questo viene a mancare. Pareto afferma che vanno definite “azione logiche” quelle che hanno un fine logico sia per colui che le compie che per colui che le osserva. L’autore poi precisa che le azioni “non-logiche” non sono risultato di un ragionamento, ma non vuol dire che siano illogiche; esse derivano soprattutto da uno stato psichico; in questo caso entrano in gioco i sentimenti, la coscienza o la sub-coscienza. Le azioni non-logiche hanno quindi origine principalmente da uno stato psichico, spetta alla psicologia occuparsi di questo stato. Il sociologo, invece, parte da tale dato di fatto (l’azione) per proseguire la sua analisi. Per quanto riguarda le azioni, Pareto si rende conto che esse sono perlopiù non-logiche e che l’uomo non è essere razionale ma raziocinante, cerca cioè di giustificare, rivestendole di un velo di razionalità, azioni che invece hanno origine da impulsi, sentimenti, stati d’animo. Questi che , come abbiamo visto, sono i veri movimenti delle azioni non logiche non cambiano nel tempo e sono gli stessi presso tutti i popoli. Pareto li chiama “ residui ” e li divide in 6 classi:

- istinto delle combinazioni : vi è una parte passiva, in cui l’uomo subisce le combinazioni, ed una attiva, in cui le interpreta o le fa nascere. La ricerca delle combinazioni migliori è sicuramente attiva.

- Persistenza degli aggregati : certe combinazioni costituiscono un aggregato di parti strettamente congiunte, come in un sol corpo, il quale finisce coll’acquistare una personalità simile a quella di altri esseri reali.

- Bisogno di manifestare con atti esterni i sentimenti: sentimenti potenti sono per lo più accompagnati da certi atti, che possono non essere in diretta relazione con questi sentimenti, ma che soddisfano il bisogno di operare.

- Residui in relazione colla socialità : residui in relazione con la vita sociale, ma anche con la disciplina

- Integrità dell’individuo e delle sue dipendenze : classe costituita dai sentimenti concernenti l’integrità dell’individuo e delle sue dipendenze, e quindi, in un certo senso il completamento della classe precedente.

- Residuo sessuale : non il semplice appetito sessuale, ma il residuo sessuale di ragionamenti e di teorie, in generale questo residuo e i sentimenti dai quali trae origine si incontrano in moltissimi fenomeni, ma sono spesso dissimulati, specie presso i popoli moderni.

Le gerarchie dei bisogniMaslow è uno dei fondatori della società americana di psicologia umanistica, la cui teoria fondamentale parte dall’assunto che “lavorando” su se stessi l’individuo possa

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cambiare e liberarsi dalla nevrosi dovuta sia ai vincoli sociali che alle condizioni psicologiche interne al singolo. La teoria di Maslow appariva per la prima volta nel 1954 in motivazioni e personalità. Tale teoria si basa sulla famosa “scala dei bisogni”; con essa l’autore spiega le motivazioni del comportamento umano ponendo in ordine gerarchico i bisogni che individuo cerca di appagare attraverso le proprie azioni. Maslow individua così la relazione esistente tra bisogno, motivazione e comportamento umano.Per l’autore vi sono:

- i bisogni primari di tipo fisiologico :fame, sonno, sesso- bisogno di sicurezza fisica : stabilità, protezione, assenza di paure- bisogno di amore: affetto , appartenere ad un gruppo, rapporti con gli altri,

occupare un posto in famiglia- bisogno di appartenenza e di stima (diviso in stima verso se stessi e stima da

parte degli altri)- bisogno di autorealizzazione (occupare il posto che la natura vuole che

occupiamo)vi sono poi i ‘bisogni estetici’, alcune persone si sentono male di fronte a qualcosa di brutto, non completo, in disordine, non sistematico. Inglehart, basandosi sulla teoria di Maslow classifica i valori dell’uomo negli anni 70 e divide in:valori materialistici1 enfasi sulla sicurezza fisica ed economica2 distribuzione di beni materiali3 enfasi del guadagno a ogni costo4 problemi di deindustrializzazione e riarmo5 sicurezza come stabilità economica e politicavalori post-materialistici1 enfasi sul senso di appartenenza, sull’autorealizzazione, sul soddisfacimento intellettuale ed estetico2 senso di comunità e qualità non materiale della vita3 partecipazione e autonomia4 protezione dell’ambiente, movimento delle donne, disarmo, antinucleare5 il valore attribuito ai sentimenti, mondo più cosmopolita e declino dell’autorità gerarchica, del patriottismo e della religioneI bisogni indotti socialmenteIl canadese Galbraith nella sua opera del 1958, la società opulenta, osserva che i bisogni possono essere creati dall’aumento di produzione dei beni, cosicché non si aumenta il benessere delle persone, ma si contribuisce a creare nuove esigenze. In questo modo i bisogni umani sarebbero almeno in parte indotti dalla società. Nel brano riportato l’autore afferma l’inutilità di incrementare la produzione come si sta facendo in America, perché il conseguente aumento dei consumi non serve a soddisfare maggiormente i bisogni dei singoli.

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“man mano che una società diventa sempre più opulenta, l’aumento dei consumi agisce nel senso di creare i bisogni per via di suggestione ed emulazione. Oppure i produttori stimolano i bisogni usando la pubblicità e la propaganda commerciale. In tal modo i bisogni finiscono per dipendere dalla produzione. Ciò significa che la produzione di beni soddisfa i bisogni che sono creati dal consumo di questi beni, o che sono stimolati dai produttori dei beni. Inoltre è difficile distinguere tra beni primari e secondari, in quanto anche quelli più strettamente legati alla sopravvivenza assumono dei significati simbolici, per cui è affermato che non esistono bisogni reali se non in relazione alle differenti culture.” In realtà tutto appare “indotto. Tutti i bisogni sono provocati dall’esistenza di beni di consumo. Ogni nuovo oggetto di consumo costituisce una tentazione. In ogni caso il bisogno non ci sarebbe se non ci fosse l’oggetto di consumo. È il mezzo che fa nascere il fine.” “ i nostri desideri, ci sembrano la parte più spontanea. Invece noi li impariamo dagli altri a partire dalla prima infanzia […].”Homo economicus, bisogni e desideri“Il desiderio non diviene veramente tale se non diviene potenza vitale, accettata ed esercitata dall’individuo, trasformata in coscienza creatrice.” Per far si che un desiderio diventi bisogno occorre che venga riconosciuto dalla coscienza dell’individuo; il desiderio deve quindi percorrere un lungo tragitto seminato di ostacoli. I sogni con le loro discontinuità, con la loro sorprendente suspance o le loro apparenti assurdità, forse esprimono meglio il passaggio dal bisogno al desiderio. Già nel 1950 Mauss, sociologo ed etnologo francese e nipote di Durkheim, si rifiutava di ridurre l’uomo occidentale e puro essere economico che agisce spinto da bisogni razionali. L’autore spiega che “sono state le nostre società occidentali a fare, assai di recente, dell’uomo un ‘animale economico’.[…] una macchina calcolatrice […]d’altronde noi siamo per fortuna ancore lontani da questo costante e freddo calcolo utilitario.”L’esistenza di una “logica del desiderare accanto a una logica del calcolatore” è stata individuata da Siri analizzando il consumatore da una prospettiva psicologica. Nella logica del desiderio “funzionano” processi diversi da quelli classici cognitivi. Questi processi sono l’identificazione e la proiezione, l’empatia, la connotazione, l’associazione, la fantasticheria, la sostituzione simbolica, l’immaginario. Il passaggio dall’atto di acquisto basato sul calcolo dell’utile a quello che segue la logica del desiderio è stato favorito dalla pubblicità. Il fatto che i processi emotivi, simbolici e affettivi, prevalgano rispetto a quelli razionali dipende dall’assetto socio-culturale ed economico.Siri individua alla base di questa situazione 3 macro fattori:

- la saturazione delle merci e dei beni che genera la necessità di motivare l’acquisto con qualcosa di diverso da un calcolo di necessità

- la crescita esponenziale della civiltà dei mass media e della comuni- cazione in generale che hanno alimentato i processi si esperienza vicaria, di

identificazione e di proiezione

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- la destrutturazione della società post-moderna con la frammentazione di ideologie, fedi, istituzioni, pregiudizi razziali, morale borghese, stereotipi sociali, leggi.

Ne deriva un consumatore che è “molteplice”, che viene motivato da dinamiche diverse e sovrapposte. Bisogni e qualità della vitaCome abbiamo visto Pareto dà al bisogno la connotazione psicologica di istinto, classifica quindi i diversi tipi di bisogni ricorrenti inserendoli nei residui; anche le giustificazioni che dà l’individuo al suo comportamento non logico, o derivazioni, sono definite da Pareto come “il “bisogno di razionalizzare”.L’analisi dei bisogni si sviluppa dalla critica alla società contemporanea diffusa negli anni 60 del xx secolo. Poi, gli studiosi degli anni 70-80 mostrano un accresciuto interesse verso i bisogni. Così, dal generico concetto primitivo di “bisogno”, si passa gradualmente all’elaborazione di nuovi concetti come quello di “interessi”, di “aspirazioni”, di “preoccupazioni sociali”, di “grandi paure” e di “chance di vita”.Riguardo al concetto di qualità della vita, legato a quello dei bisogni, nella seconda metà del xx secolo se ne parla molto; è un termine usato con connotazioni differenti a seconda dei contesti social e culturali. Infatti “qualità della vita”, inizialmente legata a quella di “benessere economico”, oggi appare piuttosto connessa alle condizioni ambientali. Fino agli anni 60 erano tutti d’accordo su un punto: la crescita economica, misurata con l’aumento dei redditi pro capite, era in ogni caso un evento desiderabile. Verso la metà degli anni 60, però, si verificano dei fenomeni su scala mondiale che fanno incrinare il paradigma della crescita economica a ogni costo fino ad allora comunemente accettato. In quegli anni già Galbraith invitava a liberarsi della convinzione della moltiplicazione perpetua dei beni di consumo e a rivolgere più attenzione ad altri elementi in relazione con la felicità umana. Ma, sganciando il concetto di “qualità della vita” da quello di “benessere economico”, si introduce il concetto di “urban disamenity” che indica l’aumento di costi sociali dovuti alla crescita urbana. Intanto si sviluppa un approccio psicologico al problema della qualità della vita secondo cui sono le esperienze del singolo individuo durante la propria esistenza e i bisogni che emergono da tali esperienze a determinare il livello di qualità della vita. Non va dimenticato anche lo studio della categoria del tempo. Si parla sempre più di “tempo libero” in contrapposizione al “tempo di lavoro”, fatto che ha portato anche all’attenzione degli studiosi la qualità del lavoro come uno degli aspetti della qualità della vita. Negli anni 70 la qualità della vita viene definita come ciò che “comprende la possibilità di godere di salute e di sicurezza personale, di realizzare la propria personalità mediante un processo di crescita culturale nell’arco della vita, di soddisfazione lavorativa e di sviluppo professionale, di autorealizzazione nel godimento del tempo libero, di disporre in misura sufficiente di beni materiali e di servizi, di contatti umani, di comunicazione e di tutela della sfera intima, della libertà personale, di partecipazione nel settore pubblico”Alcune ricerche scandinave degli anni 70 distinguono tra:

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- livello di vita: misurato in termini di soddisfazione per il possesso di beni e servizi

- qualità della vita: comprende amicizia, autorealizzazione, la sfera dell’affetto, il legame con la famiglia e la comunità, il prestigio

- benessere:- “having”:comprende i bisogni legati al possesso materiale di beni e servizi

- “loving” : raggruppa i bisogni relativi alla sfera affettiva e all’amicizia

- “being”: comprende i bisogni che soddisfano l’autorealizzazione personale

Dopo la crisi del wellfare state, la qualità della vita diventa sinonimo di “sviluppo umano”, in consonanza con quanto appare nel rapporto onu pubblicato nel 1992 dove si ipotizza che vi siano 3 fattori estraibili:

- fattori ambientali- fattori economici- fattori sociali

intanto la qualità della vita viene colta da 2 prospettive diverse:- dimensione oggettiva come l’insieme di beni e delle opportunità a disposizione

del soggetto- dimensione soggettiva come percezione e soddisfazione dello stesso soggetto

in relazione con il sistema di valori a cui questi si riferisceTra gli indicatori oggettivi c’è il paniere istat. Spesso però si riscontra negli intervistati un “silenzio dei bisogni” per cui solo chi appartiene alle classi più elevate o ai ceti privilegiati è in grado di formulare esigenze più ampie. Povertà, solitudine e isolamentoDal momento in cui lo sviluppo è apparso come un creatore di ricchezza ma, insieme, anche di povertà e di emarginazione, si è reso necessario fissare i limiti sotto ai quali la qualità della vita non può scendere.Come le ricerche sul benessere, anche quelle sulla povertà utilizzano indicatori oggettivi e soggettivi ma questi indicatori sono spesso ambigui. Per esempio la disoccupazione non implica necessariamente la povertà. La povertà insomma, si può verificare solo caso per caso. Inoltre l’immagine tradizionale del povero che accumula tutte le carenze rispetto ai bisogni fondamentali era un’immagine statica. Oggi questo tipo di povertà viene definita “povertà assoluta” ed è contrapposta alla “povertà relativa”. La povertà assoluta è un fenomeno evidente, è la miseria, la povertà relativa è più difficile da cogliere, viene spesso ricollegata alla nozione di “qualità della vita”. Infine, se prima dell’avvento del benessere, la povertà era l’incapacità complessa di far fronte alle esigenze elementari, oggi resta intatto lo svantaggio economico ma la soddisfazione di alcuni bisogni fondamentali come la salute e l’istruzione si rende indipendente dallo svantaggio economico. Negli anni 90 si è deciso di considerare quindi la “povertà” come la carenza di risorse economiche rispetto a un valore medio da definire convenzionalmente.

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Caratteristica del disagio sociale è lo stato di isolamento e di solitudine in cui viene a trovarsi il soggetto. Alcuni studiosi americani hanno suddiviso il concetto di solitudine in:

- isolation: mancanza di rapporti sociali- loneliness: lo stress psicofisico spesso caratterizzato da eventi dolorosi e da

una solitudine forzata come quella dovuta alla morte di un coniugePer Durkheim la solitudine può portare all’anomia e al suicidio, come avviene per anziani celibi o divorziati.Negli ultimi tempi però la solitudine è vista come un diritto cercato.Va poi fatta una distinzione tra solitudine e segregazione: la prima è il frutto di una scelta senza scopo preciso, la seconda invece sarebbe il risultato di un’azione compiuta dalle istituzioni o da gruppi di persone attive, per segregare l’individuo. Esempio di quest’ultimo è l’anziano che per handicap viene segregato pur restando all’interno della famiglia.Narcisismo e asocialitàPer Lasch nella società occidentale degli anni 70 c’è stata un’evoluzione nel manifestarsi delle malattie psichiche. I medici li riferiscono a una categoria diagnostica denominata “disturbi caratteriali”. Si assiste nella società ad un crescendo della sensazione di vuoto e a profondi sconvolgimenti dell’autostima. C’è la comparsa di un nuovo ‘tipo sociale’ nel quale la pubblicità stimola continuamente i desideri infantili. Anche l’autorità precedentemente rappresentata dai genitori e, poi, dagli insegnanti si è progressivamente trasferita ai mass media e alla televisione in particolare. Tutto viene falsamente rappresentato come raggiungibile, come la realizzazione di sé. Tutto ciò porta a nuove nevrosi e a atteggiamenti narcisistici e asociali. Essendo il narcisista un uomo che lavora con gli altri solo per dominare e superare tutti gli altri, l’atteggiamento narcisista si adatta all’attività manageriale. Allo stesso tempo, la burocrazia e la società dell’immagine contribuiscono a riprodurre un’organizzazione della personalità narcisistica. Ne deriva una società composta da individui rassegnati e defuturizzati, e da famiglie che formano persone antisociali, preoccupate di continui riscontri esterni. Ma vediamo i risultati dello studio di Lasch.“Il narcisistico vuole ‘essere conosciuto come un vincitore, e la più grossa paura è d iessere qualificato come un perdente’.Come dice Maccoby, il gamesman (manager) ‘è recettivo verso le nuove idee, ma privo di convinzioni’. È disponibile a mantenere relazioni d’affari con qualsiasi tipo di regime, anche se non condivide i principi che lo sostengono. Più autonomo e intraprendente di colui che si sente legato alla compagnia per cui lavora, egli tenta di usare la sua compagnia per i suoi scopi personali. Evita ogni forma di intimità come un pericolo, preferendo l’ ‘eccitante e sensuale atmosfera’ di cui si circonda il dirigente moderno sul lavoro. I posti di maggior prestigio, come osserva Maccoby, continuano a essere riservati a ‘coloro che sanno rinunciare alle ribellioni giovanili e diventano, almeno in una certa misura, dei sostenitori dell’organizzazione’. ‘Una volta che la forza, la gioventù, e persino l’eccitazione della vittoria appartengono al

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passato, egli cade in uno stato di depressione e la mancanza di obiettivi lo induce a chiedersi quale sia lo scopo della sua vita…si ritrova dolorosamente solo. Non dobbiamo stupirci quindi che nella psicologia popolare ritorni con tanta frequenza il problema della ‘crisi della mezza età’ e dei sistemi per affrontarla”.4. La persona: beni e identitàL’attaccamento ai propri beniL’essere umano diventa un essere completo estendendo il suo territorio al di là di se stesso attraverso mezzi diversi come l’abbigliamento e l’ornamento del suo corpo, il possesso di oggetti, il “dominio” di alcune persone, il danaro e le proprie opere. Egli stabilisce dei legami con gli oggetti che lo circondano. Usa “maschere” che modellano e modificano il suo aspetto esteriore. Si contorna poi di oggetti che divengono per lui dei veri e propri “beni di cittadinanza” (Alberoni), ossia beni senza i quali non riesce a sentirsi parte della comunità alla quale vuole appartenere. Nei confronti dei dittatori ad esempio, non basta mai eliminare l’uomo, occorre anche annientare o trasformare radicalmente la sua casa ed eliminare le immagini e gli oggetti che lo rappresentano. Anche nelle prigioni, nei manicomi, ma anche nei conventi e nelle comuni, si tolgono agli individui gli oggetti personali e gli abiti per dar loro uniformi, è un metodo per ricostruire l’identità secondo un modello prestabilito. Come afferma J.P. Sartre ‘si è quel che si ha e si ha per essere’. Noi ci allarghiamo oltre il nostro corpo anche attraverso le persone care che pensiamo ci appartengano, attraverso i nostri animali, le nostre collezioni. In questo senso, i figli sono una delle estensioni del sé. Tuttavia, anche chi ha figli ha bisogno degli oggetti non diversamente da chi non ne ha. Ma il possesso di un bene non è solo una parte del proprio io, è anche strumentale allo sviluppo dell’individuo. Alcuni oggetti sanciscono dei momenti di passaggio da un’età all’altra, come poteva essere un tempo l’orologio alla prima comunione. Una volta diventati adulti, oltre a identificare noi stessi e il nostro passato in alcuni oggetti, ci serviamo di altri per rappresentare le persone che ci sono care, come le foto, i ricordi e i doni ricevuti da loro. Per questo motivo, nelle case di ricovero per anziani, dove si tolgono ai degenti gli oggetti personali, si riscontra un doloroso senso di “privazione dell’identità”. Nelle persone anziane si rileva anche un processo di “solidificazione dell’identità” attraverso la scrittura di lettere, di racconti, di poesie e, in secondo luogo, con l’accumulazione di artefatti come fotografie, souvenir, gioielli. Per gli anziani lasciare i propri beni a qualcuno, non significa infatti solo dare un oggetto, ma trasmettere agli altri anche la storia e la memoria di se stessi. Inoltre, la decisione di lasciare un oggetto o un bene a qualcuno non viene presa in un momento preciso, ma è un continuo processo. Infatti, un problema comune agli individui che stanno attraversando una fase di transizione è come separare il proprio sé dagli oggetti posseduti. Invece, nell’ultimo stadio della vita, vi è il problema opposto, si cerca cioè di legare e “incollare” il proprio sé all’oggetto posseduto, in modo più permanente possibile, e di dare poi a questo un significato così chiaro da renderlo in grado di continuare in futuro gli scopi perseguiti fino ad allora dal suo proprietario.

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Schematizzando le fasi del processo di distacco dai propri beni, si sono distinte 6 strategie interrelate tra loro:

- l’anziano cerca di immaginare chi potrebbe sentirsi maggiormente responsabile - egli prova la sensazione che gli altri siano inadeguati a conservare con cura il

bene lasciato- passa ora a selezionare la persona più meritevole fra coloro che gli sono più

vicini- i regali ricevuti vengono spesso restituiti a chi li ha donati nella speranza che

debba apprezzarli e conservarli meglio di ogni altro- talvolta, il donatore fa coincidere la consegna dei propri beni con un momento

importante nella vita di chi li riceve- l’anziano non cercherà di conservare tutti gli aspetti della propria identità, ma

solo quelli che preferisceIl “materialismo” e le sue componentiRussel W. Belk è uno dei più importanti esperti contemporanei del rapporto identità beni e delle tematiche legate al “materialismo”. Secondo l’autore, il materialismo, inteso come un particolare orientamento ai consumi e l’importanza che il consumatore attribuisce ai beni terreni (possessions), non è necessariamente qualcosa di buono o cattivo. La ossessività, infatti, da un lato è strumentale, per esempio, allo sviluppo della propria identità tramite gli oggetti e favorisce il processo di socializzazione; dall’altro lato, può indurre a comportamento “anti-sociali”, tipici di alcuni collezionisti. Belk propone 3 scale per misurare i concetti principali legati al materialismo: “possessività” (possessiveness), “non-generosità” (non-generosity) e “invidia” (envy).

- possessiveness : l’inclinazione e la tendenza di un individuo a esercitare un forte controllo sui beni di proprietà

- non-generosity : quel tratto di personalità associato alla mancanza di dare o condividere con gli altri

- envy : atteggiamento interpersonale associato al dispiacere e alla “malevolenza” mostrati nei confronti di un’altra persona ritenuta superiore per quanto riguarda la felicità, il successo, la reputazione o il possesso di qualsiasi cosa che sia desiderabile.

I risultati ottenuti da alcune ricerche confermano la validità delle scale di Belk, ma inducono quest’ultimo ad aggiungere una quarta dimensione del materialismo: quella della preservation, che si riferisce alla conservazione di eventi, esperienze, ricordi in forma materiale e tangibile.Riassumendo, dall’analisi dei dati raccolti, sono emersi i seguenti risultati:

- il materialismo è uno sforzo competitivo per cercare di avere più degli altri- le persone materialiste credono che i beni terreni diano loro la felicità- le persone materialiste mostrano un eccessivo, se non ossessivo, desiderio di

acquistare e conservare beni terreni, compresi oggetti, persone, ricordi- il materialismo è una forma di debolezza espressa dalle persone insicure

Alle ricerche hanno partecipato varie nazioni ed i risultati ottenuti in merito alle differenze cross-culturali trovano 2 spiegazioni diverse e complementari:

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- i paesi del secondo e del terzo mondo potrebbero essere più materialisti in virtù di una sorta di “pacchetto standard mondiale” che i consumatori di quei paesi desiderano acquistare

- i desideri dei consumatori non sono stimolati dalla relativa privazione di beni di consumo, oggetti o servizi, ma vengono anche sollecitai dall’improvvisa realizzazione di un cambiamento economico, sociale o politico

Il materialismo come orientamento ai consumi carico di emozioni, paure, aspettative, varia anche in funzione del genere, dell’età e del livello di soddisfazione della vita degli individui. Belk lo dimostra in una ricerca condotta negli usa, dove si è visto che l’invidia e la non-generosità sono significativamente associate all’età dei soggetti; il declino dell’invidia con l’aumentare dell’età potrebbe edere dovuto al raggiungimento di un certo numero di obiettivi materiali. La non-generosità, invece, mostra una correlazione lievemente positiva con l’età. Consumo sacro e consumo profanoCi si chiede quale possa essere stato il significato dei beni sacri e profani prima della rivoluzione industriale. Il consumo non è solo un fenomeno proprio del materialismo contemporaneo, esso ha in sé valenze religiose. Una riflessione di Egeria Di Nallo si focalizza sul confronto fra consumo sacro e consumo profano. Entrambi consumi dotati di senso, entrambi consumi che producono cultura.Analizzando il consumo sacro a partire dal Vecchio Testamento e il consumo profano prima della rivoluzione industriale, si può riscoprire il loro ruolo sociale determinante. “La consommation” non appare come atto sterile o irresponsabile di una classe rapace e frivola, ma costituisce sia la cultura di un’epoca, sia il meccanismo di redistribuzione della ricchezza. Il consumo laicizzato e ridotto fuor di metafora assume un ruolo centrale nel vivere associato e il suo dispiegarsi, le sue modalità di proporsi, le sue logiche, pesanti o lievi che siano, non sono riportabili ad altre logiche economiche e in specifico alla logica produttiva, ma, essendo esso a dettar legge alla produzione, in un certo senso ne condiziona, oltre i contenuti, anche i modi”.“Voltaire attribuisce allo sviluppo dei consumi, a ciò che egli chiama ‘lusso’, un ruolo propulsore della società intera. Per Voltaire i consumi creano cultura”Il consumo come linguaggio potrebbe spiegare almeno in parte la nascita della forte pulsione verso l’occidente che sta trascinando i popoli dell’est europeo.In momenti storici come quello attuale i consumi appaiono qualcosa di più, da strumenti diventano centrali, propongono delle loro logiche non riconducibili ad altri tipi di relazioneValore simbolico delle reliquieIl culto che si è diffuso negli ultimi due millenni intorno alle reliquie costituisce una prova del bisogno universale di legarsi agli oggetti e di attribuire loro poteri sovrannaturali. Lo si fa risalire al mondo ebraico e a quello greco-romano, humus fertile per la nascita del cristianesimo. Gli ebrei però non venerano le reliquie ricavate dal corpo di qualche santo o profeta, ma degli oggetti legati alla Storia Santa, come la manna e la verga di Aronne conservate nell’Arca dell’alleanza. Nel mondo greco-romano che costituisce l’altra matrice culturale del cristianesimo, il culto delle

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reliquie ha un carattere più simile a quello cristiano. In Grecia, chiunque sia morto per la patria viene venerato, un tempo, quando un eroe moriva fuori dalla sua patria, vi veniva ricondotto per esservi sepolto. A Roma, le reliquie venerate sono quelle dei personaggi che hanno svolto un ruolo nella fondazione di Roma. Nell’antichità, non si venerano soltanto le reliquie corporali ma anche oggetti di particolare significato, come le armi degli eroi, a cui si attribuiscono i poteri + disparati, dalla guarigione al rendere fertili i terreni. Nel Medioevo, il culto delle reliquie è strettamente connesso ai pellegrinaggi e alle Crociate. Come accade per la magia presente in molte culture, si crede nell’esistenza di un flusso di forze in grado di spostarsi da un oggetto un altro e di contagiarlo trasferendovi benefici e malefici. Di conseguenza, i fedeli considerano i frammenti entrati in contatto con la reliquia, detti “brandea”, alla stregua del corpo santo del martire. Nel vii secolo i brandea perdono progressivamente di importanza a causa della loro massiccia diffusione. Il proliferare delle reliquie solleva il problema di stabilire quale reliquia sia vera e, fra quelle vere, quale sia la più importante. Vengono collocate al primo posto le reliquie di Cristo, non possono essere che le loro vesti p gli oggetti appartenuti a loro durante la loro vita terrena. Per essere sicuri della loro autenticità, i frammenti della croce vengono sottoposte alle prove più disparate, la più importante è la prova del fuoco. In questo modo ne sono andate perdute moltissime. In questa classifica stabilita dai fedeli, Cristo e Maria sono seguiti dai principi degli apostoli Pietro e Paolo, poi dagli altri Apostoli, Giovanni Battista con suo padre Zaccaria e il vecchio Simeone. Il papa interviene ponendo delle limitazioni al culto delle reliquie e, fin dal vi secolo, proibisce ai fedeli impedisce ai fedeli di toccare il corpo dei santi. Nel frattempo, si accresce anche l’adorazione alle immagini sacre. Le miracolose immagini di Cristo Salvatore e di Maria Vergine si dicevano non fatte dalla mano dell’uomo. Ogni mezzo viene considerato utile per procurarsi le reliquie. Furti di reliquie, spesso confessati solo in punto di morte, si susseguono arricchendo santuari e basiliche, e dando avvio a nuovi culti e nuovi pellegrinaggi. Il prestigio di un santuario dipende dal possesso di reliquie importanti e incide anche sull’economia di un’intera regione. La reliquia è considerata il bene + prezioso tanto che, se qualche nemico minaccia di invadere il paese, subito ci si preoccupa di metterla al sicuro. Nella tradizione del culto cattolico in Italia le reliquie occupano un posto di primissimo piano. È ancora grande l’interesse per la + importante fra tutte le reliquie: la Sacra Sindone di Torino. Niente fa pensare che, con l’avanzare della secolarizzazione, la venerazione alle reliquie vada perdendosi; anzi, si è estesa alle reliquie di laici, come la tomba di De Grulle. Per non parlare degli assembramenti di folla intorno ai corpi o ai cimeli di famose stelle del cinema, divi della canzone o personaggi sportivi. Il successo degli Hard Rock Cafè diffusi ormai in tutto il pianeta si fonda proprio sull’attrazione nutrita dalle persone per gli oggetti dei divi. Un altro

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segnale del valore delle reliquie lo si riscontra alle aste in cui queste vengono proposte. Questi episodi confermano che l’attaccamento alle ceneri degli esseri amati o venerati è un bisogno umano universale che sopravvive all’attuale “crisi” del sacro. Forse il caso + emblematico del significato simbolico è quello che riguarda le spoglie di Lenin. Già prima della sua morte avvenuta nel 1924, si discute su cosa fare della sua salma; poiché Lenin rappresenta il comunismo, deve apparire immortale come lo sarà l’ideale che ha realizzato. Il suo corpo va quindi imbalsamato e conservato per poter essere visitato da tutti. Si costruisce un grande mausoleo a Mosca a forma di cubo, simbolo di eternità, perché la 4° dimensione di quella figura rappresenta la vita che sopravvive alla mortalità del corpo. Poi, quando si inizia a mettere in discussione il regime comunista, ancora prima del 1991, data del crollo del sistema sovietico, la reliquia diventa scomoda e si studia come poterla mettere in disparte. Nel 2003 la divisa militare di rivoluzionario è sostituita con un abito borghese. Quando cade un mito esso trascina con sé i simboli che lo rappresentano, così come avveniva un tempo per il culto dei santi. Ciò che invece mostra il bisogno umano di venerare cmq un oggetto è il fatto che mentre si sta decidendo di togliere dall’attenzione popolare la salma di Lenin, nel 1991, Boris Eltsin autorizza uno scavo per riesumare le salme dello Zar Nicola II e dei suoi familiari.Cose e identità: i collezionistiNell’opera l’identità smarrita, il ruolo degli oggetti nelle vita quotidiana Luisa Leonini analizza il rapporto che l’individuo stabilisce con le cose che possiede. L’autrice descrive il ruolo della sociologia nella ricerca dei legami fra le cose e l’identità personale. “l’approccio che la sociologia ha tradizionalmente dedicato allo studio di questi temi ha portato a considerare gli oggetti come beni di consumo, in grado di soddisfare bisogni umani e di comunicare la differenza di status delle persone. Le cose svolgono altre importanti funzioni. Per studiare l’area di problemi inerenti il rapporto tra le persone e gli oggetti materiali sembra essere + fecondo un approccio multidisciplinare.[…] in ogni cultura alle cose sono attribuiti dei significati. Un’analisi dei significati simbolici attribuiti alle cose fornisce informazioni generali sulla struttura e sulle caratteristiche del sistema sociale nel complesso. È il sistema culturale che fornisce le definizioni di utilità, valore, scarsità, ecc…, su cui si basano la nostra percezione e visione del mondo. Il valore artistico e culturale di alcuni oggetti che sono stati prodotti all’inizio di questo secolo, è una dimostrazione di come valori, significati e gusti cambiano nella società e di come il mondo materiale costituisca l’espressione tangibile e visibile di questi cambiamenti. L’utilità delle cose cambia considerevolmente non solo da cultura a cultura ma anche all’interno del medesimo sistema simbolico in un lasso di tempo molto breve. Studiare il rapporto che esiste tra le persone e le cose significa gettare luce su aspetti della vita sociale.” L’autrice si chiede quindi quale sia il ruolo degli oggetti quando le interazioni fra individui sono fredde e distaccate, e risponde che sono gli oggetti a comunicare. Attualmente l’enorme quantità di stimoli a cui siamo sottoposti e la loro diversità rendono gli individui sempre meno la “folla solitaria” descritta da Riesman, in cui tutti avevano gli stessi atteggiamenti e comportamenti. Oggi, i consumi non hanno

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solo la funzione di trasmettere significati, servono anche a costruire l’identità degli individui; il ruolo dei consumi è tanto importante quanto + l’individui è eterodiretto, sempre per usare il termine di Riesman, cioè quanto + bisogno egli ha dell’approvazione degli altri e di sentire condivisi i suoi valori.“L’apparenza è di fatto diventata un aspetto fondamentale della vita dell’uomo moderno, il metro per misurare ed essere misurati. Di conseguenza, gli oggetti hanno assunto un’importanza decisiva poiché l’apparenza si fonda sulla manipolazione e sull’uso delle cose che hanno il compito di comunicare.Se le persone si comportano in modo diverso quando interagiscono con una persona che indossa un’uniforme, il comportamento di una persona che indossa un’uniforme viene parimenti influenzato da come egli sente di apparire agli altriDi fatto si può apparire che le cose sono parte di noi, sono estensioni del sé, e noi ci identifichiamo totalmente con esse.”Privare una persona degli oggetti che ha attorno a sé vuol dire cancellare una parte della sua identità“nel caso degli anziani che passano la maggior parte del loro tempo in un unico spazio, la casa, la privazione di oggetti che danno forma all’ambiente può provocare la distruzione del sé.”Luisa leonini ha svolto un’indagine empirica sullo stesso tema intervistando i collezionisti di oggetti senza valore, ne emerge l’importanza degli oggetti nella costruzione dell’identità personale, nell’aumentare il senso di sicurezza e nel sostituirsi talvolta alla sua interazione con gli altri. “lo studio dei collezionisti ha richiamato l’attenzione su un’altra funzione svolta dalle cose: quella di diventare sostituti dell’interazione con altri individui. Nel caso dei collezionisti si sviluppa un attaccamento fortissimo alle cose e queste sono un sostituto che non crea problemi, estremamente tranquillizzante. […] gli oggetti possono, inoltre, costituire una risposta a quei bisogni e a quelle aspirazioni dell’individuo che non trovano modo di esprimersi e di realizzarsi in altri ambiti.[…] il collezionismo deve essere inteso come un tentativo individuale di sfuggire alle ansietà, alle insoddisfazioni e alla monotonia che contraddistinguono la vita quotidiana delle persone.[…] si può affermare che gli oggetti sono gli a attrezzi e il materiale per mezzo dei quali si costruiscono dei rifugi personali, dei minuscoli universi, dove-anche se solo transitoriamente- ci si sente a casa, liberi di esprimere la propria personalità e i propri bisogni + profondi che non si ha modo di estrinsecare nella vita pubblica”Soddisfazione dei bisogni attraverso i beni di consumoVance Packard pubblica nel 1957 I persuasori occulti dove lancia un grido di allarme sui pericoli del connubio fra scienza e pubblicità. Packard dimostra che la gente decide cosa comprare in seguito all’intervento di tutta una serie di fattori psicologici. L’acquisto di un bene dipende dal significato che il consumatore attribuisce alle sue caratteristiche, al suo aspetto o al suo ruolo. “partire dall’idea che la gente sappia ciò che vuole è un gravissimo errore.[…] nella maggior parte dei casi (interviste), si ottengono risposte miranti a proteggere gli intervistati, la

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cui costante preoccupazione è di passare, di fronte al mondo, per esseri sensati, intelligenti e razionali.”Con i beni posseduti le persone intendono soprattutto provare sicurezza, accrescere la stima che gli altri nutrono verso di loro, godere di un senso di potenza, rievocare i legami familiari e soddisfare gli impulsi creativi, quelli sessuali e il desiderio di immortalità”Packard riporta poi i 3 caratteri che deve possedere un bene, perché sia appetibile e individua le 3 strategie pubblicitarie + idonee:

- offrire prodotti di grandi dimensioni - il prezzo si rivelò un simbolo sociale capace di rendere preziosi servigi

all’industria dei beni di consumo, elevare il prezzo dei loro prodotti significava far salire le vendite

- persuadere personaggi di elevata condizione a invitare noi poveri mortali a unirci a loro nel godimento dei prodotti

“la carica di ambizione e snobismo che viene liberata da questo immenso mercato del prestigio ha, naturalmente, delle ripercussioni sul piano emotivo. L’economista R. Lekachman dichiarò: ‘possiamo a malapena immaginare quanta tensione e quanta ansietà vengano generate dalla affannosa ricerca di emblemi di prestigio oggi e non ci resta che rabbrividire al pensiero di ciò che potrebbe derivarne se mai avesse a verificarsi una depressione economica’”Emozioni e consumiEmozioni e sentimenti, è ormai evidente la stretta relazione fra questi mondi. Se le cose sono un’estensione del proprio sé, è importante possederle e, di solito, nella nostra società, il processo con cui si acquisiscono, è un processo di consumo. Comprare mettein moto una serie di emozioni. Una prospettiva funzionalista infatti non è sufficiente a spiegare i fenomeni di consumo. I sentimenti per l’acquisto di un’auto sono per esempio ambivalenti, l’orgoglio di possederla, ma anche l’ansia di non riuscire a pagarla. Gli anziani dimostrano una maggiore capacità di spesa ed un maggiore coinvolgimento emotivo. Sono disposti ad acquistare un’auto nuova + di quanto non facciano le altre fasce di età. Va detto che gli anziani, divenuti il target + numeroso e appetibile, sono cresciuti con il senso del dovere e lo spirito di sacrificio.Durante il processo di acquisto, si mettono in moto anche emozioni diverse. Accanto alla gioia e alla soddisfazione, c’è spesso la paura di farsi imbrogliare o di sbagliare che produce ansia. Fra i beni + desiderati dagli anziani ci sono anche i prodotti tecnologici , che li fanno sentire al passo coi tempi, ma fanno anche provare vergogna quando si dimostrano incapaci di utilizzarli. Poiché il comportamento di consumo ad ogni età può essere collegato con il bisogno di emozioni, risulta importante l’aspetto della merce. Il modo in cui viene presentata diviene determinante nel processo di scelta. L’imballaggio deve fornire una comunicazione di tipo affettivo e informativo.

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L’acquisto di beni risente di fattori sia culturali che sociali, che comprendono le interazioni faccia-a-faccia, le interazioni ed esperienze di vita indirette, le interazioni con i media, il precipitato di rappresentazioni sociali. Se gli oggetti hanno un valore simbolico, occorre decifrare il linguaggio che utilizzano. Baudrillard nel suo lavoro Il sistema degli oggetti afferma che “ le merci si dispongono secondo un’organizzazione sistemica costruendo una sorta di linguaggio. […] il messaggio espresso dal singolo prodotto acquista significato solo nei rapporti e nelle relazioni che instaura con gli altri messaggi. […] a sua volta il codice generale- la lingua degli oggetti- si articola secondo codici subculturali dei diversi gruppi in cui si scompone il sociale. La pubblicità coniuga con la fisicità degli oggetti quei tratti immateriali che li trasformano in segni. Condetermina la creazione delle parole di quel complesso e articolato linguaggio che è rappresentato dal mondo degli oggetti”In questo modo Baudrillard , se nel 1968 disegna l’oggetto come segno carico di significato, alla fine degli anni ’70 afferma che “ le persone non si proiettano + nei loro oggetti, […] la dimensione psicologica si è dissolta[…] ciò vuol dire che la posta in gioco non è + là” ma che con la telematica privata “ognuno si vede promosso ai comandi di una macchina ipotetica[…]”il consumo come obbligo interiorizzatoAnalizzare il consumo dal punto di vista sociologico significa analizzare il consumatore in tutele sue modalità espressive, emotive, valoriali. Zygmunt Baumann, noto per la sua teoria della “modernità liquida”, descrive un mondo in trasformazione dove concetti come la povertà vengono ribaltati. Non si è + poveri perché disoccupati, ma poveri perché non consumatori. L’individuo post-moderno deve abituarsi a navigare a vista ed essere pronto a cogliere l’occasione. “È il denaro che ‘media’, nella maggior parte dei casi, il rapporto fra desiderio e il suo appagamento, essere consumatori significa anche –normalmente- appropriarsi di tali oggetti, renderli nostro esclusivo possesso, impedendo a chiunque altro di usarli. Consumare significa inoltre distruggere, nel senso che gli oggetti o vengono sfruttai fisicamente, oppure perdono fascino e non sono + capaci di soddisfare i nostri bisogni. Resta da spiegare cosa si intende per società dei consumi. Nessun essere umano in qualsiasi epoca e in qualunque parte del mondo, ha potuto sopravvivere senza consumare. Quando parliamo di ‘società dei consumi ’ attribuiamo a questa definizione un significato altrettanto profondo e basilare di quello di ‘società dei produttori’. Se ieri la funzione principale a cui l’uomo era assegnato era quella di produttori, oggi invece esso è chiamato ad assolvere soprattutto il ruolo di consumatori. Il passaggio dall’uno all’altro tipo di società ha comportato molti cambiamenti di non poco conto. A cominciare soprattutto dal modo in cui intendiamo a sviluppare la nostra identità. Le istituzioni panottiche, un decisive sotto questo profilo, hanno perso progressivamente consistenza. Teoricamente, un consumatore non dovrebbe adottare un modello di comportamento rigido ed immodificabile. […] il fatto che ogni forma di consumo richieda del tempo è il gran cruccio dei mercanti e la sventura della nostra società. La soddisfazione

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dovrebbe cessare nel momento in cui il tempo necessario richiesto da questo atto è scaduto. Ciò è tanto + possibile quanto + il consumatore non fissa la sua attenzione né polarizza il suo desiderio troppo a lungo su un oggetto. Il rapporto tradizionale fra i bisogni e la loro soddisfazione sarà così rovesciato: la promessa e la speranza dell’appagamento verranno anteposte a essi e saranno sempre + grandi di questi ultimi, ma non tanto da precludere il desiderio dei beni che le suscitano. Di fatto, la promessa è tanto + attraente quanto meno il bisogno è familiare. Al consumatore non bisogna mai dargli tregua, per accresce la sua capacità di consumo. In una società dei consumi che funzioni a dovere, i potenziali clienti partecipano attivamente a questo gioco di seduzione. Per il consumatore moderno, pienamente al passo coi tempi, il passare da una pubblicità all’altra, da un’attrazione all’altra, è una costrizione, un dovere; ma tale obbligo interiorizzato, quest’impossibilità di vivere in modo diverso, gli appare come libera scelta. Nell’epoca industriale una cosa era assolutamente certa: chiunque doveva esser innanzitutto un produttore, prima di ogni altra cosa. Nella fase attuale della modernità, dobbiamo essere invece innanzitutto dei consumatori, prima di poter pensare di assumere una qualsiasi identità particolare”La shopping maniaTalvolta, il bisogno di beni si trasforma nella necessità irrefrenabile di comprarli. Siamo di fronte a consumatori compulsavi. È il caso di chi si sente socialmente accettato solo se si presenta con abiti firmati e beni di nuova produzione. Il fenomeno pare divenuto sempre + diffuso e ha conseguenze economiche disastrose per chi dispone di un budget limitato. L’esperienza e le sensazioni di persone affette da shopping mania sono descritte in modo brillante da Sophie Kinsella nel suo libro I love shopping. Cap 5Secondo Weber ala base del capitalismo c’è quell’etica protestante che ha permesso l’accumulo di grandi ricchezze. Queste non venivano sperperate in beni per il puro godimento, ma venivano reinvestite per massimizzare i profitti ed arricchirsi di +.Secondo Lutero il modo migliore per onorare Dio era il lavoro. Le festività infatti erano ritenute offensive verso Dio e verso i santi perché erano occasione di sperperi e peccati.L’arricchimento fine a se stesso non è accettato dal protestantesimo, per reinvestire invece si.Secondo B. Franklin il tempo è denaro e il tempo sprecato equivale a gettare soldi in mare. Chi riceve credito farà bene ad onorare i debiti nei tempi stabiliti per poter contare in futuro sulle ricchezze dei propri amici.La fratellanza unisce individui legati dall’appartenenza ad una organizzazione, associazione o nazionalità comune. La comune appartenenza li rende forti e capaci di far sentire la propria voce. L’uguaglianza può portare verso l’aspirazione di obiettivi simili per tutti o a un livello medio dal punto di vista socioeconomico.Le leggi vietano per natura la libertà.

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Nei paesi comunisti l’uguaglianza ha negato la libertà.Secondo A. Smith la divisione del lavoro nelle prime società civili ha generato ricchezza e ha creato mestieri. Dal momento che un uomo solo non può provvedere a tutto ciò che gli necessita per vivere, è bene che ognuno si specializzi in uno specifico lavoro. (vd. Esempio degli spilli e costo unitario).Secondo Rousseau proprietà privata, sentimenti e divisione del lavoro hanno generato la disuguaglianza tra gli uomini. Il primo uomo che ha dovuto dire grazie ad un altro uomo ha perso la libertà in quel preciso momento. Dice Locke: non esiste offesa dove non esiste proprietà.Nel contratto sociale Rousseau nel 1762 indica nell’abolizione della proprietà privata la via verso l’uguaglianza tra gli uomini. Marx analizza che le classi sono sempre esistite e che per natura delle classi ricche stanno in alto nella scala sociale.Per donare qualcosa bisogna possederla. Un dono genera un debito.La “distruzione” di un dono ricevuto dimostra l’apprezzamento di quel dono stesso. Chi rifiuta un dono si rifiuta di donare a sua volta. La solidarietà e il volontariato sono forme di dono di beni non tangibili come il tempo e l’assistenza.Donare innalza il donatore da un punto di vista sociale.Cap 6Simmel analizza gli organi “sensuali” dell’uomo e li classifica in base alla loro capacità di interagire con gli altri individui. Gli occhi permettono di instaurare un contatto tramite lo sguardo, chi guarda è a sua volta guardato, e può trasmettere di recepire chiudendo gli occhi. Con l’orecchio non è possibile e si è costretti a recepire tutto ciò che arriva dall’esterno. L’orecchio al contrario dell’occhio non è in grado di stabilire un contatto. Idem per l’olfatto che permette solo di recepire messaggi dal di fuori. Per Simmel gli ornamenti sono piacevoli per chi li indossa e per chi i guarda. Le pietre preziose con il loro luccichio estendono un’immagine luminosa a chi le indossa. Le pietre preziose non sono un ornamento individuale poichè chiunque le può adattare a sé. Per gli abiti non è così. Il tatuaggio è l’ornamento adattabile per eccellenza. Secondo Mary Douglas e Isherwood i beni hanno un altro ruolo oltre a quello d’uso e all’ostentazione. Essi comunicano in virtù dei valori che portano con sé.Simmel vede nella moda il bisogno di uniformarsi alla massa in modo da poterne fare parte. Chi veste alla moda o segue una moda di sente accettato dai suoi simili. Una volta uniformatosi però l’individuo sente il bisogno di differenziarsi, cerca di essere lui a fare moda. Chi siede a capotavola dirige il pranzo o la cena. È lui che regola i rapporti tra i commensali e divide il cibo. Questa ritualità è comune tra i contadini. Il saluto oggi privo di significato porta con se significati antichi. In tutti vale come dimostrazione di buone intenzioni. (Ortega).Chi lascia un posto per poi tornarvi lo troverà cambiato.

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Cap 7Luckmann e Berger definiscono l’uomo un animale sociale in quanto è sottomesso sia alle leggi della natura che a quelle della società in cui vive. Queste leggi incidono scambievolmente sulla natura e sul contesto sociale dell’uomo stesso. Se la società chiede all’uomo di lavorare senza pause, la natura glielo impedisce. Se la natura chiede all’uomo di nutrirsi è la società a scegliere cosa. I due autori descrivono con il termine socializzazione quel processo che porta l’individuo a coprire un ruolo nella propria società. Questo tipo di socializzazione secondo i due studiosi è diverso da quella primaria, in quanto non necessità di un rapporto affettivo verso chi insegna. Ad esempio gli insegnamenti ricevuti da un maestro di scuola possono essere divulgati da un qualsiasi altro maestro ottenendo gli stessi effetti.Riguardo all’istruzione dei popoli a larga diffusione sono state elaborate due teorie:la prima, molto diffusa tra i popoli ad alta concentrazione cattolica, vuole i popoli ignoranti e quindi facilmente controllabili.La seconda, diffusa in nord europa, sostiene che i popoli istruiti sono + rispettosi e accettano le leggi consci che sia un bene comune.Per Bergson la comicità è umana e nasce laddove un comportamento richiama gesta umane anche se viene dal mondo della natura. Per ridere bisogna essere coinvolti nel proprio contesto sociale e l’animo deve essere in uno stato di calma. Il conformismo è quel fenomeno che spinge gli individui ad adattarsi alla società o + semplicemente al contesto sociale in cui sono inseriti, accettando cose che da soli rifiuterebbero e comportandosi in una maniera che mai prima avrebbero considerato. Gli uomini non agiscono per istinto, ma fanno ciò che è socialmente accettato. Perché fanno questo?

1- perché si aspettano qualche vantaggio dalla sottomissione alle idee altrui2- perché la società preme su di essi3- perché ricevono informazioni per comportarsi così4- perché sono attratti da idee altrui

Un delitto o crimine è tale in base alla comune considerazione sociale di un omicidio, tanto condannato da una società, può essere invece giustificato in un’altra.Gli outsider o trasgressori, sono considerati devianze, ossia individui il cui comportamento è diverso dal comportamento tenuto mediamente dagli altri individui. Talvolta i trasgressori riconoscono di aver violato le norme, altre volte giudicano i loro “giudici” inadatti a poterli giudicare non riconoscendone l’autorità.Secondo Lemert gli individui che, per qualche motivo non riescono ad uniformarsi alla società in cui vivono, subiscono una devianza secondaria. Ossia si comportano nel modo in cui chi gli sta intorno si aspetta che facciano. Pertanto se la società li ritiene inferiori, il loro comportamento sarà influenzato da questa considerazione.Goffmann studiando le persone “stigmatizzate”,ossia affette da qualche diversità fisiche o comportamentale, si rende conto che queste persone hanno difficoltà a capire in che modo le persone “normali” si rapportano a loro. Secondo Goffmann le uniche persone che si pongono con sincerità nei confronti degli stigmatizzati sono

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altri stigmatizzati che hanno superato il proprio handicap. Questi ultimi però non fanno parte della categoria delle persone normali.cap 8un ceto è composto da individui che, pur senza avere necessariamente un rapporto tra di loro, sono legati da una comune condotta di vita.Per quanto riguarda la classe, essa si compone di individui che dispongono delle stesse capacità economiche. Le due cose possono condizionarsi ma sono separabili.Le ricchezze in denaro e i beni in possesso sono strumenti che permettono di salire gradini nella scala sociale. L’ostentazione è la chiave pere affermare il proprio status.Veblen vede nell’ozio una forma di ostentazione della ricchezza e del prestigio sociale. Talvolta si ereditano titoli nobiliari senza sufficienti ricchezze per vivere oziando. Per questo a volte si vedono uomini nobili costretti a lavorare come degli industriali qualsiasi pur di permettere alle mogli di ostentare l’ozio per il buon nome della famiglia. Addirittura la scelta dell’animale domestico si fa valutandone il valore simbolico (il cane è il + inutile).I colletti bianchi sono + pagati dei salariati ma sono “dipendenti” essi stessi.Secondo David Riesman la classe media è eterodiretta ossia agisce in base a valori dell’ambiente esterno.Secondo Mary Douglas i beni si diffondono per contagio come le malattie, ossia il contatto con chi li possiede genera necessità in chi non li possiede.I gusti variano in base all’habitus, che consiste in una sorta di gusto di una determinata classe sociale, è in base ai capitali.Cap 10Secondo l’antropologa Ruth Benedict, le diverse culture vanno studiate senza alcuna classificazione basata sul progresso storico-civile raggiunto da ciascuna civiltà. Pertanto culture occidentali e culture sahariane, hanno la stessa utilità ai fini di studi antropologici. Nonostante la storia abbia visto l’uomo bianco espandersi senza limiti in tutto il pianeta, ciascuna cultura fa storia a se e chi non nasce in una civiltà non ne potrà mai prendere la cultura. L’unica differenza nello sviluppo dei vari popoli sta nelle esperienze che storicamente si sono susseguite. Non esiste un popolo prescelto. Più le invenzioni sono utili e prima lasciano il paese in cui vengono concepite con la stessa velocità queste si inseriscono nella vita quotidiana di nuovi popoli che le fanno proprie inserendole tra i propri usi.I grandi parchi a tema sono oggi quello che erano le cattedrali per i pellegrini. Più sono grandi + attirano visitatori.Per vendere di + è essenziale che i prodotti vengano creati nel rispetto delle condizioni dignitose dell’uomo.