Il grande drammaturgo parla di musica carMeLo BeNe: doPo...

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23 Carmelo Bene sempre detto che il pubblico fino ad ora invece di sentire la musica di Verdi, sente il libretto di France- sco Maria Piave. Ed io ho quindi sempre cercato anche nelle mie ultime operazioni, quelle shake- speariane, di recuperare la musica di Verdi - è un esempio, Verdi na- turalmente non c'era. La musica, quindi, a tutta liquidazione del teatro della chiacchiera, della pa- rola, della dialettica, della pseudo- politica, del mezz'impegno e delle mezze calzette. Il mio discorso è stato recepito più dalla critica straniera e dal pubblico italiano che dalla critica italiana dozzinale, quotidiana del ‘teatro di prosa’. Quindi quando ho parlato in quella trasmissioncella, Santo Ac- armelo recita a soggetto: Lo spirito della musica, ovvero la musica fuori dal genere. Non parlo di una cosa nuova, per- ché anche in teatro non ho fatto che praticare quella. Purtroppo il teatro italiano è minato da quell’ ignobile attributo che è il ‘teatro di prosa’ che ho sempre scongiu- rato. Nel mio ultimo ‘Otello’ molti hanno finalmente riscontrato una ‘partitura’, finalmente un teatro cantato e decantato, dove la pa- rola diventa linguaggio, cessando di essere lingua. Come nella mu- sica la parola cessa di essere li- bretto e diventa musica. Ho quario, di musica, ho sempre par- lato di spirito della musica, par- tendo dagli studi nietzschiani sulla nascita della tragedia, sull'an- tisocratismo, sul teatro come recu- pero del tragico in quanto antidialettico. ‘Spirito della musica’ per cui non è importante capire una parola, il suo concetto, ma la deconcettualizzazione del con- cetto - un bisticcio, perdoniamo- celo! Spirito della musica che anche in teatro ho frequentato, dove la parola è completamente assoggettata, per cui un cinese, un thailandese, un arabo, un giappo- nese, un tedesco senza capire ne- anche una parola (cosa che è accaduto con ‘Riccardo III’ e ‘Giu- lietta e Romeo’ a Parigi, con gli Questa intervista, uscita su ‘Paese Sera’(3 maggio 1979) e ripresa qualche mese fa da Panta (Bompiani), nel numero monogofico dedicato a Carmelo Bene, per il ventennale della morte, fu realizzata durante le prove del ‘Manfred’ di Byron con le musiche di Schumann, presso l’Accademia di Santa Cecilia. Il grande drammaturgo parla di musica CARMELO BENE: DOPO LA PAROLA, LA MUSICA di Pietro Acquafredda C

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Carmelo Bene

sempre detto che il pubblico finoad ora invece di sentire la musicadi verdi, sente il libretto di France-sco Maria Piave. Ed io ho quindisempre cercato anche nelle mieultime operazioni, quelle shake-speariane, di recuperare la musicadi verdi - è un esempio, verdi na-turalmente non c'era. La musica,quindi, a tutta liquidazione delteatro della chiacchiera, della pa-rola, della dialettica, della pseudo-politica, del mezz'impegno e dellemezze calzette. Il mio discorso èstato recepito più dalla criticastraniera e dal pubblico italianoche dalla critica italiana dozzinale,quotidiana del ‘teatro di prosa’.Quindi quando ho parlato inquella trasmissioncella, Santo Ac-

armelo recita a soggetto: Lospirito della musica, ovvero lamusica fuori dal genere.

Non parlo di una cosa nuova, per-ché anche in teatro non ho fattoche praticare quella. Purtroppo ilteatro italiano è minato da quell’ignobile attributo che è il ‘teatrodi prosa’ che ho sempre scongiu-rato. Nel mio ultimo ‘Otello’ moltihanno finalmente riscontrato una‘partitura’, finalmente un teatrocantato e decantato, dove la pa-rola diventa linguaggio, cessandodi essere lingua. Come nella mu-sica la parola cessa di essere li-bretto e diventa musica. Ho

quario, di musica, ho sempre par-lato di spirito della musica, par-tendo dagli studi nietzschianisulla nascita della tragedia, sull'an-tisocratismo, sul teatro come recu-pero del tragico in quantoantidialettico. ‘Spirito della musica’per cui non è importante capireuna parola, il suo concetto, ma ladeconcettualizzazione del con-cetto - un bisticcio, perdoniamo-celo! Spirito della musica cheanche in teatro ho frequentato,dove la parola è completamenteassoggettata, per cui un cinese, unthailandese, un arabo, un giappo-nese, un tedesco senza capire ne-anche una parola (cosa che èaccaduto con ‘Riccardo III’ e ‘Giu-lietta e Romeo’ a Parigi, con gli

Questa intervista, uscita su ‘Paese Sera’(3 maggio 1979) e ripresa qualche mese fa daPanta (Bompiani), nel numero monogofico dedicato a Carmelo Bene, per il ventennale

della morte, fu realizzata durante le prove del ‘Manfred’ di Byron con le musiche diSchumann, presso l’Accademia di Santa Cecilia.

Il grande drammaturgo parla di musica

carMeLo BeNe: doPo La ParoLa, La MuSIca

di Pietro acquafredda

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delle lacune la riscontriamo poinelle esecuzioni d'opera oggi,dove velleità registiche, velleità didécor - le chiamano così – che, in-vece, sono del tutto indecorose.Se vado a sentire i ‘Puritani’, adesempio, a parte il mio amore perBellini pagherei cinquantamila lireper un posto d'ascolto piuttostoche settemila per qualunque cosaanche grande che mi mettono inscena: è un ‘lutto’, così ho amatosempre definirlo: ‘lutto d'oltre-mare’, oltremare che anche ilmare, un oceano è di troppo o ètroppo poco in questo caso. Chi siaspetta quindi di vedere una stra-vaganza, la rivoluzione a S. Ceciliasi sbaglia. L’auditorio di via dellaConciliazione vedrà una cosa deltutto monastica non mistica, rigo-rosa quasi da ‘canto fermo’.

tentiamo di rompere il lungomonologo per parlare un po'anche della musica come ge-nere, del genere della musica.

La musica come genere non esi-ste, siccome la musica tanto ègrande che si può imparentarealla poesia. E per dirla con i versidell'Edipo di Sofocle, tradotti daPier Paolo Pasolini, quando parlaTiresia dice: "Parlare non può più,ma può cantare parole incom-prensibili!" Questa è la musica,tutti i grandi musicisti sono statidei grandi poeti degenerati, chehanno cioè destabilizzato il ge-nere per andar fuori. Schumannrientra tra questi grandi. Grandenon vuol dire grande alla Goethe -spunta qui il senso di maggiore odi ‘padronale’ come direbbe De-leuze - ma forse del genere diKafka, il genere di quelli cosid-detti ‘minori’: gli infiniti Schu-mann, gli infiniti Mahler. Tuttiquesti hanno fornito musica esfornato musicisti a loro volta edin gran quantità perché sonousciti dal genere. Minore non è il‘di meno’, non è il ‘non grande’. Ilminore è capace di espressionearistocratica soprattutto perché

spettatori stranieri che nulla com-prendevano della nostra linguaitaliana, dell'idioma, per inten-derci) capisce perfettamente lospettacolo che resta, invece, alcinquanta per cento precluso aglispettatori italiani ancorati al tea-tro di prosa, quindi al concetto:con gli spettatori che si danno legomitate nella penombra per do-mandare cosa ha detto il tale at-tore e il tal altro. Quando parlo delmio desiderio di avvicinarmi allamusica ciò non costituisce unanovità per me ma semmai una af-fermazione in loco - ecco il ‘Man-fred’ all'Accademia di S. Cecilia - diun metodo che tutti i musicistiche mi hanno visto mi hanno rico-nosciuto anche in passato, chia-mando i miei lavori in qualchemodo ‘spartiti’ e non ‘copioni’. Lamia ammissione al teatro italianoe forse europeo è dovuta ad unasola ragione (lo dico senza vana-gloria, perché obiettivamente melo si riconosce) quella di averspazzato via un teatro specifico, ilteatro come genere. La musicaquindi come teatro dell'irrappre-sentabile. Intendiamoci, il mae-stro Bellugi dirigerà le musiche diSchumann per questo Manfred-Byron. Io sarò la voce recitante emi assumo quasi tutte le voci,metà fuori campo metà in campo,nel tentativo di portare non il‘Manfred’ , un libretto di Byron peril quale Schumann ha fatto dellemusiche di scena, quanto un in-contro Byron-Schumann. Tenteròattraverso il ‘Manfred’ - il lavoropiù autobiografico di Byron, manon questo m'alletta - di tirarfuori un Byron, Lord Byron al mo-mento della stesura del suo ‘Man-fred’. Ecco il leggio: la lettura è uncercar le parole.Musica, quindi, non è solo quellache il maestro Bellugi dirigerà equella che i cantanti ed il corocanteranno, ma anche le paroleche io verrò a dire e che la Manci-nelli (fantasma di Astarte) nellesua breve apparizione, verrà adire. Quindi spirito della musicanon soltanto musica. La somma

impugna l'aristocrazia, può esserefenomeno popolare, popolare so-prattutto dove manchi un popolo- come oggi manca un po' dapper-tutto. Maggiore è invece il trionfa-lismo di un popolo immaginario:parlo anche di tanto equivoco ver-diano dove verdi è tanto più equi-vocato in nome di fattaccipatriottici - chiamiamoli fattacci,sarebbe ora di chiamarli fattacci,via queste bandiere.

tornerà al teatro dopo questo la-voro per l’accademia di S. ceci-lia?

Anche questo è teatro. Quello cheio sogno. Ma anche qui i soliticompartimenti stagni: il pubblicoche viene a sentire i concerti nonviene a teatro - molti vengono asentire me, è vero - e quello cheviene a teatro non viene mai aiconcerti, a causa di questa scis-sione, di questi cassetti, di questacassettiera, di questi tiretti, per cuila musica è stipata qui, il teatro lìed il poema sinfonico là.

Mi pare di capire che potremoancora vederla?

Io col teatro ho smesso. Se vo-gliamo chiamare teatro quanto siandrà a fare nell'auditorio di viadella Conciliazione sabato, dome-nica e lunedì allora continuerò afare teatro. Ma se per teatro intendiamo an-dare ad aprire il sipario del TeatroQuirino o del Teatro Tenda tantoper chiacchierare, no! Finché quelpubblico non cambierà, finchémolti attori non smetteranno (nonsi può fare una cosa all'anno, men-tre se ne fanno altre diecimila checon quella contrastano) - e questecose a mio avviso non cambie-ranno - io ho chiuso definitiva-mente col teatro. @

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