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Mensile sulle opere e sulle missioni dei Padri Maristi Italiani 3 - 4 MARZO - APRILE 2012 Tariffa Associazioni senza fine di lucro Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 2 - DCB - ROMA MARIA

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Mensile sulle opere e sulle missioni dei Padri Maristi Italiani

N° 33 - 44 MMARZO - AAPRILE 22012

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Il giovane Leonardo entrò nella bottega delVerrocchio impratichendosi nelle diversetecniche e collaborando presto col maestro(Battesimo di Cristo). Con l’incompiutaAdorazione dei Magi (1481) e la Vergine dellerocce (1482) già dimostra assoluta originalitàe indipendenza dai modelli. Al servizio diLudovico il Moro per quasi un ventennio,oltre che alla scultura e alla pittura (realizzal’Ultima Cena tra il 1495 e il 1498), si dedicaallo studio di progetti idraulici, architettoni-ci e urbanistici con un febbrile e mai saziodesiderio d’indagare la natura in tutti i suoiaspetti. Alla caduta degli Sforza (1499) lasciaMilano e soggiorna in varie città. Nel 1503 èa Firenze e riceve l’incarico di dipingere laBattaglia di Anghiari nel Palazzo dellaSignoria. Dopo una parentesi romana, si tra-sferisce in Francia (1517) approfittando dellagenerosa ospitalità di Francesco I; là finisce isuoi giorni.

In questo giudizio è condensata la poliedri-ca personalità di Leonardo: “Non s’acconten-tò mai di avvicinarsi come pittore alle cosenella loro apparenza esteriore: con lo stessoappassionato interesse scandagliò la struttu-ra interiore e le condizioni di vita di tutti gliesseri. È il primo artista che abbia studiatosistematicamente le proporzioni nel corpodegli uomini e degli animali e si sia resoconto dei rapporti meccanici, nell’andare, nelsalire, nel sollevare pesi e nel portare oggetti;ma è anche quello che ha scoperto le più lon-tane caratteristiche fisionomiche, meditandocoordinatamente sopra l’epressione dei moti

dell’animo. Il pittore è per lui il chiaro occhiodel mondo, che domina tutte le cose visibi-li”1.L’aspirazione di Leonardo fu quella d’inve-stigare (più che riprodurre) la mutevolezzadella realtà fenomenica in tutte le sue mani-festazioni; un intento quasi impossibile, chelo scientifico spirito d’osservazione e la suaricerca (mai sazia) della perfezione, ha frut-tato capolavori indiscussi come il Cenacolo, laVergine delle rocce (Louvre), Sant’Anna, laMadonna e il Bambino con l’agnello (Louvre).

La Madonna del garofano, attribuita ora alVerrocchio2, ora a Lorenzo di Credi (e daqualcuno considerata la prima opera autono-ma di Leonardo dopo l’apprendistato pressola bottega del Verrocchio), è un lavoro giova-nile, già svolto (come tutti i lavori pittoricileonardeschi) più da scienziato che da arti-sta3. Alcune riflessioni del Trattato della Pittura,scritto dallo stesso artista, ci aiutano a capirele modalità del suo processo creativo. Duebifore in controluce mostrano una vedutapaesistica4, fatta di masse rocciose miste acespugli e, nelle remote lontananze, di colos-sali blocchi dolomitici sfumanti nell’azzurrodel cielo; osserva Leonardo: “La distanzagrande rinchiude dentro di sé molt’aria e, per lagrande quantità che se ne trova infra l’occhio e lemontagne, queste paiono azzurre, quasi color del-l’aria, e le campagne partecipano tanto più diazzurro, quanto esse sono più remote dall’occhio;e tanto più esso azzurro si fa chiaro, quanto s’in-nalza all’orizzonte”.

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ICONOGRAFIA MARIANA

Madonna del garofano(1473 c.)

Leonardo da Vinci (Vinci, Firenze 1452 – Amboise 1519)olio su tavola cm. 62 x 47,5Monaco, Alte Pinakothek

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Il gruppo della Madonna col Bambino riceveluce dal lato sinistro e l’artista è attentissimoagli effetti che essa produce: “Il lume che scen-de da alto priva di sé tutte quelle parti alle quali èfatto scudo dai rilievi del volto, come le ciglia chesottraggono il lume all’incassatura degli occhi, eil naso a gran parte della bocca e il mento allagola”. La Vergine, priva del manto tradizionale,mostra una complicata acconciatura, sovra-stata da una treccia che attraversa l’alta fron-te5. La sopravveste turchina, fissata al pettoda un grosso fermaglio con incastonata unapietra scura, è senza maniche per cui è in

parte visibile la tunica rossa. Ella sta fissandoil garofano rosso che il paffuto Bambinoseduto sulle sue ginocchia tenta d’afferrare.Sottile e variegato è il gioco chiaroscuraleprodotto dalla fonte luminosa sulle figure:“Le ombre che vestono un corpo irregolare saran-no di tante varie oscurità quante sono le varietàche fa il corpo nel suo moto circumvolubile”.

È poi l’espressività e la gestualità di Madre eFiglio a comunicare alla tavola un’aura dimistero; il Bambino, ad esempio, da un latosi produce nell’istintivo slancio dei piccoliattratti da un oggetto colorato; dall’altro

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ICONOGRAFIA MARIANA

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ICONOGRAFIA MMARIANA

4richiama l’attenzione su uno dei simbolidella passione; col tentare d’afferrarlo eglisembra voler anticipare i tempi della reden-zione.

In quel fissare il gesto momentaneo delBambino è riassunta la poetica leonardescadella mutazione, dell’instabile: “Presso la suapittura, l’essere pare come sciogliersi in un’epifa-nia del divenire, reso com’è per attimi d’altissimasospensione, attimi, istanti perfettissimi, ma aiquali incombe la coscienza della qualità effimeradel reale, momenti bellissimi fermati sul punto incui il volgere dell’ora lo avvia a deperire, presentiarmoniosissimi, ma come incrinati dal sentimen-to della loro irripetibilità. O maravigliosa scien-za – dice Leonardo della pittura, in uno slanciodov’è tutto il sogno di perfezione delRinascimento, ma anche tutta la sua fragilità – turiservi in vita le caduche bellezze […] le qualial continuo sono variate dal tempo”6.

1 H. Wölfflin

2 Che la tavola abbia alcunché di verrocchiesco è eviden-te: in una bottega le intuizioni di uno diventavano patri-monio di tutti. Non si esclude, peraltro, che per laMadonna del garofano Leonardo abbia usato un disegnodel Verrocchio; questi, dedito più alla scultura che allapittura, potrebbe aver lasciato la direzione dei lavori pit-torici a lui, il migliore dei suoi discepoli.

3 “Tutto l’universo figurativo leonardiano è già miraco-losamente manifestato e condensato nella Madonna diMonaco: dall’acconciatura intrecciata della Vergine (pre-ludio agli studi per la Leda di oltre trent’anni dopo), allemontagne viste attraverso l’aria grossa poi teorizzata nelTrattato della Pittura e reimpiegata negli sfondi dellaGioconda e della Sant’Anna, al gorgo stupendo del pan-neggio giallo in primo piano che non solo risulta poiriformulato e riaccartocciato (forse meno sapientemen-te) nella prima versione della Vergine delle rocce dopopoco meno di un decennio, ma che sembra già incredi-bilmente contenere quel senso organico della forma cheritroveremo, trascorsi ancora più di trent’anni, neglistudi di botanica e di idraulica. Lo sperimentalismo leo-nardiano, oltre che nel tentativo di appropriarsi dellatecnica ad olio (rappresosi troppo velocemente) con loscopo di creare una superficie traslucida e conferire vivi-dità e mobilità alle luci, si manifesta nel vaso trasparen-te con i fiori, già lodato dal Vasari, un test tipico col qualemisurare le sue capacità sul terreno in cui i fiammighierano veri maestri” (Marani).

4 Marani fa notare che i due squarci di paesaggio sonoaffini allo sfondo del verrocchiesco Battesimo di Cristorielaborato da Leonardo.

5 Il volto della Vergine non è in perfette condizioni diconservazione; la causa sarebbe da attribuire all’inespe-rienza tecnica di Leonardo, il quale avrebbe usato unmedium troppo oleoso che, essiccandosi, ha prodotto unarricciamento della pellicola pittorica.

6 Mario Pomilio.

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MEDITAZIONE

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Il nostro pianeta ha un centro, che è l’insie-me dei paesi che detengono le leve del pote-re economico, militare e culturale. Vi è poi laperiferia, che subisce sfruttamento, oppres-sione, sterminio e fame. Questo è il nostromondo. Il centro trema quando la periferia prendecoscienza di sé, perché la piramide sociale èscossa dalle fondamenta.Poiché la caratteristica del centro è di garan-tire la conservazione dell’ordine esistente, lasua preoccupazione non è di sconfessare lapresa di coscienza della periferia, ma diaddomesticarla e inte-grarla nel sistema perchénon nuoccia.

“Degli altri, nessunoosava associarsi a loro (aicristiani), ma il popolo liesaltava”, raccontano gliAtti degl Apostoli.La comunità dei cristianidescritta negli Atti era inperiferia. Il centro erapreoccupato di quellacomunità, perché distac-cata dall’autorità(Sinedrio e Pretorio), eraccolta attorno allamemoria di un uomo cro-cifisso sul Golgota, luogodi supplizio per schiavi eribelli all’ordine pubbli-co. Ma tale comunità godeva

le simpatie del popolo. Attorno ad essa siradunava la massa dei malati, che accorreva-no perché l’ombra di Pietro coprisse i lorolettucci. E’ la raffigurazione di un mondoemarginato, periferico, in cui è entrato il fer-mento della speranza suscitato da Gesù.E’ la ‘memoria sovversiva’ dell’annuncio pas-quale; una memoria che anche il centro accet-ta, a patto che si dica che Gesù è venuto aliberarci dai mali dello spirito, della morte,con la promessa di un aldilà.

Il punto di partenza è l’improvviso appariredi Gesù Risorto. Il puntod’arrivo è la prospettivadella gloria, che ha alcentro il Figliodell’Uomo (termine chelo designa quale puntaavanzata dell’umanitàinoltratasi nella vita eter-na). La gloria di Cristo èl’adempimento delleaspirazioni umane.

Tante volte ci chiediamoche cosa sia il Regno diDio. Il Vangelo lo descri-ve con le immagini dellaprofezia: è un regno incui le spade saranno tra-sformate in falci, in cui l’a-gnello pascolerà col leone,un banchetto nuziale…Immagini che non per-mettono una sintesi sem-

LA RISURREZIONE

UNA CONSEGNA DI VITA

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plificatrice che appaghi il nostro cuore. Il Regno ha inizio nel fatto testimoniato dagliApostoli: dalle tenebre del sepolcro emerge ilRisorto, che rivolge ai suoi il saluto: “Pace avoi”. L’annuncio del Regno è in questa paro-la ripetuta.Il nuovo Regno è prima di tutto la vittoriasulla morte, l’emersione dagli inferi. E’ quin-di l’inizio di una nuova esistenza, liberatadalla cesura della morte; è la vita eterna inte-sa come nuova creazione, pienezza di vita, cheha radice nella materia stessa del cosmo. E’ lacreazione liberata dai brividi del disfacimen-to e restituita all’aurora primordiale... Il cristiano afferma che la morte è stata vinta;che, in Cristo, Dio ci ha manifestato un segre-to, e questo segreto è la vita nella sua pienez-za. Questo è l’annuncio (il paradosso) pas-quale. Il Regno di Dio (oggetto di fede, e non puntod’arrivo di argomentazioni umane) ha unsignificato che è tutto in un parola: “PACE”.Non si tratta della pace di cui discute l’ONU,ma di una pace che attraversa le fratture pro-fonde del nostro essere.

Noi siamo in guerra con noi stessi: c’è unaparte di noi che ci fa paura e dalla quale cidifendiamo in ogni modo, ed è la parte chemuore (la morte che avanza, il non-essere checi stringe e avvolge), il nemico annidato innoi. E se non abbiamo vinto questa inimiciziache è costituita dall’aculeo della morte, nonabbiamo pace. La pace è accoglimento della promessa divita; è impegno ad eliminare nel mondotutto ciò che genera morte (armi, guerre,divisioni, tensioni)…

Il Regno di Dio lo portiamo in noi, è nellenostre mani. Credere nella Risurrezione vuoldire credere in una consegna di vita. Crede nel Regno di Dio chi si impegna per-ché si affermi un diverso ordine di vita. E’ un impegno che riguarda anima e corpo,

bisogni spirituali e materiali, tutto lo spesso-re dell’essere individuale e collettivo. Credere nel Regno vuol dire assumere lapace come senso della esistenza. E questo èl’inizio.Il punto d’arrivo è l’umanità dell’adempi-mento, della pienezza impersonata dal Figliodell’Uomo, “il primo e l’ultimo, il Vivente”(Apocalisse).

Noi siamo tra l’inizio e il compimento;viviamo nella storia, ma è una storia diversarispetto a quella in cui viveva la Chiesa pri-mitiva. I primi nuclei cristiani erano una minacciaall’ordine (sia per la teocrazia giudaica, siaper l’assolutismo romano), il quale mirava aconservare se stesso con la coazione. Lecoscienze dovevano tremare di fronte alpotere; l’imperatore era chiamato “divus”;tuttavia era remoto, lasciava spazi dell’esi-stenza gestiti dalla spontaneità e dalla creati-vità.

Noi invece siamo attraversati, fin nelle piùintime fibre del pensiero, dai meccanismi delpotere che detta ordini e infonde la convin-zione che ci porta ad obbedire all’ordine.I cristiani dei primi tempi erano temibili per-ché portavano il primo cenno di destabilizza-zione dell’ordine vigente. Per questo veniva-no perseguitati. Formavano comunità che siinnestavano nella dinamica delle speranzedella povera gente. Arrivarono persino amodificare l’ordine economico (mettevanotutto in comune); “portavano i malati nellepiazze”. Anche i disperati cominciavano cosìa sperare nell’impossibile.Questa è la forza della comunità pasqualequale emerge dalla fede in Colui che ha detto“Pace a voi. Come il Padre ha mandato me, iomando voi”.

Noi siamo storicamente al centro; non perquesto siamo perduti, ma dobbiamo sospet-

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7tare di noi: la tentazione di demonizzare leperiferie è sempre in agguato. Dobbiamovivere con retta coscienza, nella convinzioneche la pace non è impossibile.Nel centro, se ci liberiamo da ogni sudditan-za, sappiamo di avere bisogno anche noi diuna fede liberante.La Risurrezione capovolge il semplice rap-porto religioso. Nel rapporto religioso con lecose ultime, il centro è l’uomo. L’uomo pro-duce aspirazioni e concetti in cui deposita lasua ansia di assoluto; però non si salva da sestesso.La fede nella risurrezione è la fede in unevento oggettivo che dà fondamento adun’altra possibilità che supera la possibilitàdell’uomo, ed è quella che nelle viscere delmondo sia davvero in gestazione l’universoprefigurato dalla risurrezione di Cristo. E faappello alla nostra coscienza perché modifi-chiamo la realtà secondo il senso di quella

crescita.

Questa è la novità della fede pasquale edessa entra nelle fibre della realtà storica con-creta, nel livello profondo, negli inferi, perchéle battaglie risolutive si risolvono lì. Come dice la psicologia di oggi, a livello dIcoscienza abbiamo a che fare con concettichiari e distinti, ma ciò non è che la puntadell’iceberg, sotto cui c’è l’immenso infero cheè in noi e ci condiziona: appetiti, pulsioni,egoismi. Vasto è dunque il campo del nostro impegno.

Questa è la verità pasquale. Una veritàattuale perché inerente alle inquietudini e aiproblemi che agitano ogni giorno la nostracoscienza.

(libera trascrizione da Balducci)

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Gian Martino SpanzottiIl Risorto (particolare)

(1484 - 86)Ivrea, San Martino

Accanto

MasaccioSan Pietro risana gli infermi

con la propria ombra (1425 - 26)

Cappella BrancacciFirenze, Carmine

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MARISTICA - Storiaa

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Etienne è uno dei primi venti Maristi chehanno avuto la fortuna di fare la Professionereligiosa, il 24 settembre 1836, con il PadreFondatore, nella Casa della Capucinière.Nasce il 14 aprile 1803 in un paese del dipar-timento della Loira, da genitori benestanti,ma soprattutto ricchi di spiritualità. In un’oc-casione Ètienne ebbe a dire: “Vorrei avere lamillesima parte della fede che aveva mio padre”.

I genitori partecipavano tutti i giorni allaSanta Messa. In famiglia c’era un clima diperfetta comunione. L’unica occasione di bis-ticcio tra i due coniugi era che l’uno volevamorire prima dell’altro; finivano nel dirsi checonveniva chiedere al buon Dio che se neandassero insieme. E furono ascoltati. Lamoglie si ammala; il marito esce per la Messaquotidiana e al ritorno cade. È soccorso etrasportato a casa. Muore tre giorni dopo lapropria consorte, raccomandando al figliosacerdote la fedeltà alla sua vocazione. Con questi genitori, l’anima di Ètienne nonpoteva che essere esemplarmente modellata

Entra nel Grande Seminario lionese diSaint-Irénée verso il 1820, incerto su qualestrada religiosa scegliere. Sarà l’austeromaestro spirituale a orientarlo verso laSocietà di Maria. Termina gli studi nel 1825,troppo giovane per essere ordinato. Insegnanel frattempo al Collegio Comunale di Saint-Chamond, non lontano dalla Casadell’Hermitage, dove il Padre Champagnat(ora santo) lavorava alla fondazione deiPiccoli Fratelli di Maria (o Fratelli Maristi). AChampagnat Ètienne confida il suo desideriodi farsi marista, pronto a rinunciare al

cospicuo patrimonio ereditato dai genitori.

Ordinato sacerdote (nel 1827), Champagnatambirebbe averlo accanto e ne fa richiestaall’amministrazione diocesana, che sotto l’in-sistenza del Padre, approva. Ètienne si dedi-ca con slancio al ministero in casa e nelle par-rocchie vicine, ma il suo desiderio è l’aposto-lato delle missioni. Accanto a Colin, Jallon,Déclas e Convers, il primo nucleo Marista,diventerà il tipo perfetto del missionariomarista.

A quell’epoca la nascente Società di Mariaviveva momenti difficili. Era divisa in duegruppi: quello di Belley e quellodell’Hermitage, dipendenti da due diverseautorità diocesane ed entrambi gelosi dellaloro indipendenza. Tuttavia un poco allavolta le cose cambiano. Aumentando il grup-po di sacerdoti dell’Hermitage, la loro azionesacerdotale non poteva accontentarsi dellasola direzione dei Fratelli; si risolvono quin-di di fondare una Casa missionaria sull’e-sempio dei Maristi di Belley. Viene loro offer-ta una piccola abbazia cistercense aValbenoîte. Nel gennaio del 1831 cinqueMaristi vi approdano. L’anno seguente ilPadre Colin designa Séon come Superioredella nuova comunità.

Quattro anni dopo, il 24 settembre 1836, aBelley, Séon è nel gruppo dei primi ventiMaristi che emettono i voti solenni dipovertà, castità e obbedienza, a servizio diDio e di Maria.Nel 1837 il giovane religioso è istruito dalPadre Humbert sui metodi pastorali seguiti

Pionieri Maristi

ÈTIENNE SÉON 1803 -1858

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dai primi missionari maristi, che hanno datotante soddisfazioni spirituali. Inutile dire cheSéon, insieme ai confratelli si dà anima ecorpo nelle fatiche pastorali. Padre Colindiceva di lui: “Non è uomo di grande eloquenza,ma ha uno zelo e una purezza d’intenzioni indis-cutibili; ovunque vada, Dio benedice il suo minis-tero. Pensate, nella diocesi di Puy non ha fatto cheuna missione ed è già subissato di richieste;Questa sola missione ha fruttato un’enorme prop-aganda per la Società di Maria”.

Nel 1840 i Padri Séon e Poupinel tengonouna missione nella diocesi di Moulins, in unaparrocchia particolarmente difficile. I borgh-esi imprecanocontro “questipreti stranieri” eil parroco è pienodi timori. Masuccede che i duePadri nonriescono a farfronte alla massadi gente cheaffluisce alla lorop r e d i c a z i o n etanto che il par-roco vorrebbedue altri mission-ari di rinforzo, oper lo meno che idue presenti pro-lunghino il sog-giorno per com-pletare l’opera.Nel 1842 Séondeve predicare una missione durante laQuaresima, alla chiesa di Notre-Dame diSaint-Etienne. L’incarico gli è affidato all’im-provviso dal Padre Colin, il quale gli dice:“Partite, farò fare cento Comunioni perché la vos-tra predicazione abbia buon esito; spero che essesaranno più efficaci della preparazione che nonpotete fare, perché troppo tardi”. Il successo fu tale che all’esterno della chiesavi erano tante persone quante all’interno eoccorse l’intervento della polizia per discipli-

nare l’afflusso.

Saputolo, Padre Colin diceva ai confratelli:“Voi conoscete P. Séon; non è l’eloquenza che lodistingue. A Saint-Etienne vi sono oratori benpiù valenti, ma lui è un vero missionario. Dovearriva, si verificano conversioni. A un eccellenteoratore è da preferire uno che ha il dono di con-vertire. Tuttavia io sono in ansia per lui: va a lettonon prima di mezzanotte e alle quattro del matti-no è già in piedi… So che in tutte le missioni chetiene, fa pregare molto, novene su novene; gli hodetto di continuare così, senza preoccuparsi di chila pensa diversamente! È così che si deve fare; ècosì che si ottengono conversioni”.

.Non era ungrande oratore,ma aveva unavoce stentoreache ammaliavale folle. Gli sirimproverava diurlare troppo, edi essere talvoltaeccessivamenteprolisso. Un’altrapecca riguardavail linguaggio: diquando in quan-do faceva uso ditermini volgari. Di ritorno dauna missione, ilFondatore glirimproverò l’usodi parole impro-

prie che avevano scandalizzato qualche udi-tore; gli raccomandò di scrivere le sueistruzioni e di essere conciso. Séon tennepuntualmente conto di quelle osservazioni.In seguito il Fondatore disse di lui: “Amo ilPadre Séon per la sua attività nelle parrocchie.Parla alla gente non istruita, ai poveri, alla gentedel popolo… Gli dirò che sono soddisfatto di lui.A Puy molti peccatori che avevano resistito aimigliori predicatori, si sono arresi alla sua elo-quenza semplice e diretta”

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.1846: il Fondatore nomina Séon Superioredella nuova residenza di Notre Dame diRochefort: sarà la sua residenza definitiva,salvo brevi intervalli. Fu il vescovo di Nimesa volervi i Maristi perché restaurassero l’an-tico pellegrinaggio di Nostra Signora delleGrazie, risalente ai tempi di Carlomagno.Naturalmente si richiedeva un urgenterestauro e della chiesa e del convento,ricostruito nel sec. XVIII dai Benedettini eabbandonato durante la rivoluzione. Séon e i suoi compagni, i Padri Favre eDumolard, si rimboccarono le maniche. Séonvolle fosse edificato un vasto edificio perospitare i pellegrini, che di anno in annoaumentavano, provenienti non solo daNimes e Avignone, ma anche da diocesi piùlontane quali Aix, Valence, Montpellier eVivier. Nel 1855 Séon fece collocare sul san-tuario una statua della Vergine che gli ricor-dasse la cara Madonna di Fourvière benedi-cente la città di Lione. Era nelle intenzionidel Vescovo che i Maristi non solo ani-massero il santuario, ma fossero solleciti nelgettare il buon seme ai quattro angoli dellasua diocesi. E così fu.

Amava immensamente la Madonna. Il PadreMayet racconta che un giorno entrò nellacamera del Padre e lo trovò in lacrime: “Ionon amo la Madonna, no, non la amo”, e glimostrò un libro che esaltava la devozione deigrandi Santi mariani; “Predico ovunque laMadre di Dio, ma sono freddo e insensibile par-lando di lei!”… Allo stesso modo aveva unadevozione profonda per San Giuseppe, a cuiattribuiva con candore disarmante i piccoli egrandi miracoli che avvenivano intorno a lui.La sua umiltà era profonda; diceva il PadreEymard che “il modo per causargli una penaestrema era quello di fargli dei complimenti”. Amava i confratelli con un tenerezza com-movente. Gli piaceva cedere loro il posto per-ché si prendessero il merito delle sue fatiche.

A lungo andare non poté più reggere il pesodell’estenuante lavoro apostolico. La suasalute fisica e mentale declinò con rapidità e

fu costretto, con suo grande rammarico, alriposo totale. Gli restava la gioia di vederel’aumento costante dei pellegrini e degli ex-voto. A soli 55 anni, si rassegnava ad attendere lafine. Negli ultimi giorni ebbe almeno la con-solazione di riavere l’uso delle sue facoltàintellettuali.Ai funerali partecipò un folla enorme di pretie di fedeli, convenuti da ogni dove, per l’ul-timo saluto ad un vero uomo di Dio, premat-uramente consumatosi al suo servizio.

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L’ISOLA di GoréeContinua il diario dell’insegnante siciliana

innamorata dell’Africa

Il colore dell’oceano quella mattina era particolar-mente intenso… Ci imbarcammo su un piroscafo perraggiungere la dirimpettaia isoletta di Gorée, che sidelineava ai nostri occhi a circa tre miglia dalla costa,nella foschia di una calda giornata di gennaio, illumi-nata dal cocente sole tropicale.L’isola, proclamata nel 1978 Patrimonio dell’Umanitàdall’UNESCO, conserva intatta “la casa degli schia-vi”, dalla quale sono transitati milioni di africani,strappati alla loro terra d’origine, per essere deporta-ti, fatti schiavi nelle Americhe. L’isola fu usata per gliimbarchi fino al 1848, anno in cui fu abolita la schia-vitù.

Decidemmo di visitare quel fazzoletto di terra, notoa tutto il mondo come ultima spiaggia per tutti quegliafricani che furono coartati in America. Infatti, altempo della deportazione, proprio da queste spiaggene partirono milioni, per un viaggio senza ritorno.Venivano catturati e imprigionati sull’isola, in attesadelle navi negriere che li avrebbero portati chi inBrasile, chi a Cuba, chi nell’America Settentrionale.Da lontano appariva già il fortino di una tirannia irri-petibile: di colore rosa, quasi in contrasto tra l’esseree l’apparire, luogo che racchiudeva il segreto di anti-chi dolori.

Con un salto dal piroscafo toccammo la finissimaarena della spiaggia di Gorée. Mi sembrava di avermesso piede in un libro di storia insanguinato, segna-to da violenze e sopraffazioni che nessun uomoavrebbe mai dovuto perpetrare ai danni di un suosimile, solo perché nero. Gli africani erano ritenutiessere inferiori, incapaci di vivere nella società ‘evo-luta’ del sedicesimo secolo. Pertanto erano trattatipeggio delle bestie, stivati nel ventre delle navi e tra-sportati oltreoceano come schiavi. Alla vista dellacasa del dolore, mi sentii terribilmente bianca, e mivergognai.Ancora visibile l’antico attracco delle navi negriere. Il

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12viaggio poteva durare fino a sei settimane.Quando le navi raggiungevano le coste delNuovo Mondo, più della metà erano cadave-ri. Una morte orribile, causata dal morso deitopi infestanti le stive, che procuravano, oltrea dolorose ferite, quella peste bubbonica chemieteva intere famiglie. Molti morivano acausa delle condizioni disumane in cui eranocostretti nella traversata: sulle navi lo spazioera razionato e gli schiavi erano distesi,immobili, in gabbiotti alti mezzo metro elunghi uno e mezzo. L’esiguità dello spazio,la mancanza d’igiene, la dissenteria e l’accu-mularsi dei rifiuti trasformavano le stive inuna bolgia infernale. I morti erano gettati inmare.Una volta giunti in America, i sopravvissutierano esaminati nella dentatura, nei muscoli,nelle parti intime e persino nel sudore. Serispondevano ai requisiti, venivano marchia-ti con ferro rovente sul petto, e ricevevano leprime istruzioni. Solo una parte riusciva asopravvivere alle torture, ai lavori forzatinelle piantagioni, e alla sottoalimentazione.

Giovanni Paolo II, nel suo viaggio inSenegal, andò a Gorée. Definì la casa deglischiavi “il santuario del dolore”. In alcunecelle si possono leggere delle targhe conscritte del tipo: “Cella n. 5, lunga m.3, larga 3,ha ospitato 50 schiavi”; stavano seduti perterra per 12 ore, un’ora per affacciarsi sull’o-ceano, dalla porta che faceva ancora entrare iflutti nella casa, per i bisogni corporali. E poila cella delle donne, dove entravano i soldatidi turno per sedurre le schiave. Quella chefosse rimasta incinta, avrebbe visto il figlionascere schiavo, e lei, spesso, uccisa. E lastanza delle torture, dove venivano firmati icapi venduti; quelli che non superavano unmetro e settanta di altezza e i sessanta chili dipeso venivano scartati, vale a dire uccisi, per-ché troppo deboli e inutilizzabili nei lavorioltreoceano…

C’è da rabbrividire davanti a ciò che l’uomoha potuto osare su un altro uomo.Comunque il commercio degli schiavi erainiziato secoli prima con gli Arabi, e conti-

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nuato dai colonizzatori portoghesi. Nonerano loro a catturare gli schiavi; ci pensava-no i capi locali, che procuravano i prigionierida vendere agli europei...Quel giorno girovagammo per l’isola: un pic-colo affioramento roccioso di origine vulca-nica. Novecento metri di lunghezza per tre-cento di larghezza. Morfologicamente ècostituito da due parti ben distinte: unabassa, pressoché totalmente edificata; unaalta, la falesia di circa quaranta metri, chia-mata ‘castello’.

Ci fermammo davanti ad una statua che micolpì molto: un donna che abbraccia il suouomo mentre si libera dalle catene. Le catenedella schiavitù, quelle che aveva spezzatoMosè, e che a distanza di millenni furonospezzate da coraggiosi uomini neri, i qualihanno saputo affermare la forza del lorocuore sul potere dell’uomo bianco. E mi sof-fermai in meditazione davanti a un Cristo,anch’egli nero, che pendeva da un muro,senza croce perché la croce era sulle spalledegli schiavi.

Dopo un lungo giorno trascorso a cammina-re sull’isola della disperazione, ci ritrovam-mo al tramonto sulla spiaggia. Attendendo ilpiroscafo per rientrare, ripensai a tutte quel-le persone vendute come bestie al mercato.Sembra una cosa irrepetibile, di altri tempi, einvece, forse, ancora oggi, in qualche partedel mondo manca la gioia che solo la libertàsa dare! Ma di quale libertà si può parlare inAfrica? Gli africani non sono liberi, se libertàs’intende l‘autodeterminazione a spostarsi inqualunque parte del globo. Gli africani nonsono liberi perché i bianchi li obbligano avivere in Africa, a non spostarsi dall’Africa, amorire in Africa. La Terra è solo dei bianchi:l’abbiamo ipotecata e non vogliamo gli afri-cani nelle nostre nazioni.

Le leggi sono tutte contro i loro spostamentie, per citarne una, la più limitante è quellaemersa dal trattato dei Paesi Schengen delgiugno 1990, secondo la quale se un africanovolesse visitare un amico in Brasile, Italia oGiappone, deve chiedere un visto particola-re. Sembrerebbe fin qui tutto semplice, se per

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avere questo visto non ci volessero mesi! Perloro diventa tutto complicato; le ambasciatesi rifiutano di concedere un visto facile, peruna politica di chiusura verso gli africani. Sifa di tutto per tenerli lontani dai nostri Paesi.Anche se le carte sono in regola: regolareinvito, pagamento dell’assicurazione (perchéin caso di morte il corpo sia riportato nelpaese di origine), pagamento dei bolli, foto-copie di tutti i certificati di identificazione,prenotazione dei biglietti aerei andata-ritor-no, passaporto con più di quattro paginebianche rimanenti, e altro ancora.

Cavilli e postille, appuntamenti presi e poirimandati (perché l’ordine delle fotocopie

non è giusto o altre assurdità del genere). Manon basta; poi tutto dipende anche dall’umo-re dell’ambasciatore. Se è nervoso, l’africanoche vuol andare in Europa, America oAustralia, il viaggio se lo può scordare!Non è giusto, è mancanza di rispetto, è offe-sa alla dignità umana. Un’ingiustizia neiconfronti degli africani. Non ho mai sentitodi un bianco che voglia andare in vacanzaalle isole di Capo Verde o alle Canarie e cheabbia avuto problemi di visto! È una questio-ne di razzismo. I neri poveri, schiavi, sotto-messi alle leggi dei bianchi-padroni. La sto-ria si ripete…

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Pag. 12 il porticciolo di Gorée

Pag. 13 una via di Gorée

Sotto bimbe di Dakar

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Quando sono stata invitata a far parte delcorpo docente dell’istituto San GiovanniEvangelista sapevo che accettando mi sareiassunta una grande responsabilità. Pur aven-do sempre studiato presso istituti gestiti dareligiosi, la mia esperienza pregressa comeinsegnante era legata soprattutto a scuolestatali, un contesto, dunque, estremamentedifferente da quello in cui ero stata chiamataad operare.

Ciò che, però, mi ha convinto sin dall’inizioad accettare è stato quel poco che conoscevodella vita di Padre Colin e delle sue aspi-razioni: l’evangelizzazione, l’educazione deigiovani, senza frastuono, nel silenzio e nel-l’imitazione di Maria. Una vera e propriavocazione in cui mi sono ritrovata. Sono statachiamata ad insegnare religione nella scuolaprimaria e secondaria di I grado diquest’Istituto e sin dal primo giorno possosinceramente dire di essermi sentita a casa.

La scuola dove sono fiera e felice di inseg-nare più che una scuola è una grandefamiglia, composta dai Padri Maristi, daidocenti, da tutti coloro che, silenziosamente,collaborano alla riuscita dell’attività didattica(e non solo), dagli alunni e dalle lorofamiglie. Nel mio piccolo mi sono sempresforzata di conoscere i ragazzi che avevo difronte uno per uno, in quanto esseri umani,preziosi agli occhi di Dio e dell’uomo, capacidi comunicare ed insegnare, a me per prima,alcuni valori. Al San Giovanni l’impegno perconoscere le potenzialità, le difficoltà, le sto-

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L’INSEGNAMENTO DELLA RELIGIONE AL

SAN GIOVANNI EVANGELISTA

Arianna

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rie di ogni ragazzo è costante ed è, a mioavviso, una delle caratteristiche peculiaridell’Istituto. Qui non ci sono veri e propriorari di insegnamento, perché, al di fuoridelle ore di lezione, i ragazzi sanno che c’èsempre una persona fidata, sia essa sacer-dote o professore, cui potersi rivolgere, a cuipoter confidare i propri problemi, ma anchecon cui poter condividere i propri successi.

In questo senso se in generale insegnare reli-gione è una vocazione, insegnare al SanGiovanni è una vera e propria missione, in cuiquello che si mette al servizio della collettiv-ità non è solo e soltanto l’apporto qualificatodelle conoscenze accademiche acquisite,quanto piuttosto l’esperienza di vita con cuisi cerca di rapportarsi con il bambino piut-tosto che con l’adolescente che si ha di fronte.Ed i bimbi sanno che chi insegna loro li ascol-ta davvero, mette i propri occhi dentro i loroed il proprio cuore accanto al loro per cercaredi camminare assieme verso nuovi orizzonti.Come i bambini, che con la loro innocenza egli sguardi puri quotidianamente mi inseg-nano la via della semplicità, nella valoriz-zazione dei propri traguardi, dove il fare delproprio meglio rende possibile ogni obietti-vo, così i ragazzi più grandi talvolta gridanola loro incomprensione per ciò che accade nelmondo.

Gli adolescenti sanno bene che non esistonorisposte esistenziali pronte per l’uso, ma il

nostro ruolo è proprio questo: stargli accan-to, anche quando per tanti motivi, e non soloa causa dell’età difficile, le loro piccolecertezze si sbriciolano di fronte alla realtà erestano disorientati e confusi. Insegnare reli-gione non penso sia solo insegnare unamateria, ma è piuttosto accompagnare iragazzi a metabolizzare determinati valori,semplici, eppur essenziali per la vita, stargliaccanto sempre e comunque, anche quandociò può risultare scomodo o difficile, atten-dere i loro tempi ed essere pronta a coglierequell’attimo in cui la parola giusta, che haicercato per giorni, può riportare su un voltoun sorriso, può appianare un’incompren-sione e, magari, aiutare a far riscoprire quel-la serenità e quella gioia di vivere che soloDio può donare.

A chi mi chiede perché abbia deciso, nonos-tante tante altre possibilità, di insegnare reli-gione, e di insegnarla al San Giovanni, possorispondere solo questo: è un’esperienza divita che forma in primo luogo chi la proponee che aiuta a rendere la vita degna di esserevissuta, in cui lo scopo non è inculcare nellatesta degli alunni nomi o date importanti,regole grammaticali piuttosto che matem-atiche, ma di accompagnare e di farsi accom-pagnare dai ragazzi in questo splendido,anche se talora un po’ difficile e tortuoso, enon sempre ben comprensibile, viaggio che èla vita.

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Molti abitanti di Piazza Bologna e dintornihanno calpestato i prati di Villa Torlonia,altri hanno passeggiato per i vialetti di VillaPaganini, alcuni hanno preso il sole sullepanchine di Villa Mirafiori, ma tutti almenouna volta nella vita, in questi ultimi 50 anni,hanno giocato nei campi sportividell’Istituto San Giovanni Evangelista diRoma. Gli ormai storici “campetti” hannorappresentato per lungo tempo uno deipunti di riferimento più noti del quartiereItalia.

Dislocati tra la chiesa di Santa FrancescaCabrini e l’Istituto San Giovanni hanno rac-colto bambini e ragazzi di ogni età, creandoper tutti loro un’importante opportunità dipraticare sport in un ambiente sano e con-trollato. Gli alunni della scuola, dopol’orario scolastico, si ritrovavano suicampi per giocare liberamente o perconfrontarsi agonisticamente in acce-sissimi tornei interclassi. I ragazzidell’Oratorio, invece, trovavano spaziper le loro attività nei giorni pari dellasettimana, domenica compresa. Erafacile incontrare Fratel Giovanni, ora aTorino, che, con il suo caratteredisponibile ed amichevole, favoriva losviluppo della socialità tra gli adoles-centi. Napoleone teneva pulito l’ambi-ente, bruciando foglie e cartacce; tal-volta dopo aver “parcheggiato” la suacarriola, ci raccontava di come era rius-cito a salvarsi dalla prigionia in tempo

di guerra.

Con un po’ di fortuna potevi incontrarePadre Mario Santirocchi, fine psicologo maanche grande calciatore e allenatore. Tuttisapevamo dei suoi trascorsi nel campionatobrasiliano e della sua amicizia con i campionidel passato, tra tutti Paulo Roberto Falcao.Lo inviteremo nel giorno dell’inaugurazionedel campo in erba, e sarà lui a dare il calciod’inizio. L’indimenticato Padre Rissoneinvece ci consentiva, con una piccola offertaper i poveri, di poter pattinare o giocare atennis nei campetti posti in alto, sopra alcampo di calcio.

Per noi alunni della scuola, nei giorni dis-pari della settimana, c’era la possibilità dipartecipare ai tornei interclassi di calcio,

NUOVI SPAZI RICREATIVI

AL SAN GIOVANNI

Franco Colajanni

Padre Mario Santirocchi con il suo... allevamento di pulcini

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storicamente organizzati da Padre SergioVelucchi ed arbitrati dal grande Prof.Domenico Marconi. Le sfide tra gli alunnidel classico e quelli dello scientifico hannorappresentato per lungo tempo l’attivitàextrascolastica più vissuta e sentita. PadrePrincipiano, invece, si occupava dei triango-lari tra le sezioni A, B e C della ScuolaMedia. Magliette taglia XXL, palloni di“pietra”, the caldo a fine partita, medaglia dipartecipazione; tutto era incluso nell’is-crizione al torneo (500 lire a calciatore, gliattuali 25 centesimi).

Anche nei mesi estivi, quando la scuola erachiusa, eravamo soliti entrare da un bucosapientemente ricavato nella rete direcinzione e si giocava a calcio con tempera-ture quasi impossibili da sopportare. Sonopassati tanti anni fino ad arrivare allaPrimavera del 2010, l’anno della grandesvolta: la comunità dei Padri Maristi decide,nell’ambito di una grande opera di rilancio

dell’Istituto, di costruire box sotto i campisportivi con conseguente ristrutturazione deimedesimi. Oratorio e Scuola potranno con-vivere attraverso un’equa condivisione deglispazi uniti da un’idea comune: diffondere ilprogetto educativo Marista nel territorio.

Le difficoltà non mancheranno ma le moti-vazioni sono tante ed importanti. Tra pochimesi, dopo tanta attesa, i nostri ragazzipotranno finalmente riprendere quelle attiv-ità sportive che per tanti anni ci hanno carat-terizzato e fatti conoscere nel quartiere.Avremo un grande campo di calcio in erbasintetica e due campi polivalenti per la prati-ca di vari sport quali tennis, basket, volley ecalcio a cinque. La fusione delle due comu-nità, Cabrini e San Giovanni, ci consentirà dipoter svolgere la nostra azione educativa inmodo coerente e con un fine comune e con-diviso. Tutti i Padri che hanno fatto la storiadel nostro Istituto, Paolo Ballario su tutti, ciguarderanno orgogliosi dall’alto…..

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Il Collegio San Giovanni Evangelista e sullo sfondo il campanile della parrocchia di Santa Francesca Cabrini

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I RICORDI CHE LASCIANO SENZA PAROLE

Le testimonianze degli studenti francesi in visita a Brescia

Partiti il 14 dicembre alle 7,30 dal parcheggio dell’Esternato, non pensavamo di vivere unatale esperienza. Brescia, una città del Norditalia in cui sono rappresentate non meno di 60nazionalità. I Padri Maristi hanno fondato un foyer, Carmen Street, vero luogo di incontro perragazzi e giovani. La porta è sempre aperta. Accoglie i più piccoli quando escono dalla scuo-la offrendo loro gioco e attività educative. Adolescenti e giovani occupano un altro settoredell’edificio: angolo-informatico, angolo-giochi… Una sera alla settimana viene loro offertauna cena. Non si sa mai quanti saranno, ma c’è sempre posto per tutti. Non sono dimentica-ti gli adulti: per le donne immigrate sono organizzati corsi di alfabetizzazione. Scopo del viaggio? Osservare, vivere lo spirito di solidarietà che i Padri Maristi hanno crea-to a Carmen Street. Abbiamo condiviso la loro vita per quattro giorni indimenticabili. Sei giovani, due professori, un prete, un minibus ed ecco che la nostra avventura inizia.Sappiamo che la parola d’ordine è solidarietà. Che cosa esattamente condividere non ci è chia-ro, ma siamo motivati a farlo, comunque… Raccontare l’esperienza punto per punto non puòdare nulla al lettore. Ciò che è importante è il nostro sentire, i sorrisi, le immagini, talvoltaanche le lacrime. Mi veniva la voglia di avvicinarmi a tutti quei ragazzi, di abbracciarli, digiocare con loro, ma bisognava che stessi in disparte, che li lasciassi liberi di vivere la loroesperienza. Impressionante la velocità con cui i piccoli hanno adottato i nostri studenti. Chiavrebbe immaginato che uno dei nostri allievi di quinta sarebbe finito a preoccuparsi di unapiccola? Conosco questi studenti da quattro anni, ma in realtà non li conoscevo bene. Nonavrei mai immaginato un Nicolas giocare con i piccoli! Il sorriso dei nostri studenti, i momen-ti di complicità, le lacrime al momento della separazione: tutto ciò ha lasciato una traccia pro-fonda nel mio cuore. In quei giorni abbiamo formato una famiglia coi nostri sei giovani: ilbacetto del mattino e della sera, le coccole per consolare… Mi sono improvvisamente vistaun po’ come la mamma di sei adolescenti e di sei giovani adulti. Una prova che abbiamo fattofamiglia: il darsi del tu. Io che non dò mai del tu agli allievi, l’ho fatto! E la cosa è stata reci-proca, spontanea. Il toc-toc alla mia porta mi fa ancora sorridere: “Posso utilizzare il tuobagno?”, “Puoi farmi una treccia?”… Ho vissuto qualcosa di forte a Brescia, quell’aprirsisenza timore dei nostri ospiti; quell’aver conosciuto finalmente i nostri ragazzi nella loro vitae nel loro mestiere di alunni. Riassumendo: momenti meravigliosi, indimenticabili… Grazie a Stefania Ranucci, senza la quale il progetto non sarebbe stato realizzato e grazie ainostri giovani per essere quello che sono. Ora lascio libero sfogo alle loro impressioni.

Laëtitia Rouquette, Professeur lycée professionnel

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CHARLYNEDurante i quattro giorni di Brescia ho stretto legami congiovani che non parlano la mia lingua. Il desiderio di cono-scerli, di scoprire cose in comune, mi ha spinto a parlareitaliano. Anche se alcune volte ho finito per dire cose chenon volevo dire, sono arrivata comunque a esprimermi inqualche maniera. Mi ha colpito l’incontro con quelledonne, vederle lavorare, scambiare con loro sorrisi, ripete-re insieme le lezioni... Quando gli abbiamo posto doman-de del genere: Da dove venite, come siete arrivate qui, per-ché Brescia e non un'altra città?, tutte ci hanno risposto;hanno rivelato se stesse con coraggio. Allora abbiamo capi-to la forza che le ha spinte a venire qui e la forte solidarie-tà che le lega tra loro. Abbiamo conosciuto associazioni ita-liane, appreso il loro funzionamento, e constatato lacostante generosità del personale. Incredibile! Si sonomessi a nostra disposizione, ci hanno consacrato del tempooltre a quello del loro lavoro. Ho imparato molto. Anchegiocando coi bambini. Non c’è stato tempo d’annoiarsi.Con quelli della nostra età è stato bello reincontrarsi ecomunicare grazie a facebook. È folle, ma vero: basta unsorriso, un dono…. Il bilancio dell’esperienza bresciana èfacile farlo con una parola: Wahouuuuu! Una parola cherende bene ciò che ho provato e imparato da questa espe-rienza, che non dimenticherò mai...

CAMILLEL’esperienza è stata unica e mi ha permesso divivere in un piccolo gruppo, in una condivi-sione molto intensa. Giocare con i piccoli non-ostante la barriera della lingua! abbiamo fattodelle autentiche acrobazie, che ho raccontatoalla mia sorellina. Un fallimento il tentativo diparlare coi ragazzi durante i pasti; meno maleche l’inglese ci è venuto in aiuto. Con gli ado-lescenti abbiamo mischiato francese e italiano,aiutati da due traduttori. I gruppi misti - ragazzi-ragazze e italiano-francese - si sono intesi a meraviglia! Si sonocosì create delle affinità più o meno forti. E ilcontatto, questa volta virtuale, continua confacebook. Ciò mi permette di parlare più spes-so in italiano, quindi di farmi insegnare deitrucchetti!!!! Per riprendere un’espressione diuna delle amiche francesi del gruppo, è statosemplicemente WAHOUU !!!...

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MAUDMi ricorderò sempre dei giorni trascorsi in Italia, a Brescia.Queste parole non significano nulla; ciò che conta vera-mente è ciò che là ho vissuto, la sensazione d’essere real-mente viva. Grazie a quel soggiorno ho capito cosa è labontà, lo scambio, il sorriso e la gioia. Guardo spesso lefoto e ogni volta sorrido; ho l’impressione di essere ancoracon loro, come se i legami siano ormai indistruttibili. Ladistanza c’è, ma ciò che si è annodato nei giorni vissuti conloro è più forte della distanza.Ricordo le donne del corso di alfabetizzazione. Non ledimenticherò più. Mi hanno preso e abbracciato come se leconoscessi da sempre. Ricordo i sorrisi dei piccoli, hoavuto l’impressione di dare loro la vita mettendogli tra lemani dei piccoli regali. Che bello provare queste emozio-ni. Che bello capire che basta molto poco per rendere qual-cuno felice. Ad ogni sorriso che vedevo, mi veniva vogliadi piangere, tanto ero felice. Felice di vederli felici. È inquei momenti che ho avuto l’impressione di vivere real-mente! Ricordo i legami stretti coi giovani, legami così fra-terni da avere l’impressione di conoscerci da sempre; ciabbracciavamo come se fosse un mese che eravamo insie-me. E tutta quella gentilezza, quella generosità. Come nonpiangere dopo tante emozioni? Mi sembrava così crudeleil non rivederli più. Ma il legame è troppo forte perché sispezzi. Ogni giorno li penso e sogno di rivederli. Questaesperienza mi ha permesso di relativizzare tutto, e di sco-prire e riscoprire le persone. È stata una boccata d’ossige-no per me, unica, indimenticabile, molto commovente. Unenorme grazie agli accompagnatori e a quelli che ci hannoaccolto, perché senza di loro non avremmo potuto viveretutto ciò.

EMMAHo vissuto un super-soggiorno in Brescia, unabella avventura umana. Ho incontrato un saccodi gente e scoperto altre culture e modi di vive-re. Esperienza molto ricca. Siamo stati ricevuticon calore da tutti. Peccato che non sia duratapiù a lungo. Mi è piaciuto lo stare coi piccoli,andarli a prendere a scuola. Belle la serate pas-sate coi grandi. Ambiente geniale. Fantasticol’ultimo giorno, con la serata-sorpresa. Sonocontenta d’aver vissuto tutto questo. Mi ha datomolto, e spero di riviverlo un giorno. Grazie achi ha reso possibile il progetto.

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NICOLAS

Non posso esprimere i sentimenti profondi vissuti in quei tre giorni. Ma devo dire che raramente hoprovato tanta quiete e serenità.Grazie a tutti!

Laëtitia RouquetteStefania Ranucci

Père Luigi Savoldelli sm

Una volta ancora i giorni trascorsi con la comunità di Brescia ha dato

ai nostri alunni, che si sono tutti impegnatiin questa esperienza umana,

la possibilità di incontrare il vissuto vero, un vissuto condiviso

a livelli diversi a seconda delle attese di ciascuno. E se nessuna attesa era prevista, tutti hanno comunque provato emozioni che rimangono incise

nel profondo dei cuori.

Grazie a tutti!

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RACLETTE IN FAMIGLIA

Nel corso dell’anno l'équi-pe éducativa e la cappella-nia del liceo professionaleorganizzano diversi eventicome la marcia notturna ela raclette. Quest’ultima haavuto luogo il 20 gennaio2012. Vogliamo farne unabreve descrizione. Perprima cosa dobbiamo direche dell’organizzazione sisono interessati gli inse-gnanti e i rappresentantidella cappellania: le corse,gli strumenti della raclette,gli orari, il locale…. Perparteciparvi ci è stato chie-sto un contributo di soli 5euro. Durante la cena, pro-fessori e alunni, hannooccupato il posto che glipiaceva. Abbiamo quindipotuto chiacchierare ami-chevolmente con i profes-sori (più che ai corsi, suiquali ci sono state dellelamentele). In breve, lacena si è svolta in allegria ebuon umore, come succedetra amici. Che bello! Aquando la prossima?

Alexandre et Johan, 2nde Systèmes Electroniques

Numériques

Venerdì 20 gennaio si è tenutal’ormai tradizionale raclette

della cappellania del liceo profes-sionale, Esternato Saint Joseph di Ollioules. Più di venticinque

persone - alunni, docenti e rappresentanti della cappellania

- si sono ritrovate nell’aula di servizio-automobili

per condividere un momentocaloroso. Quel tempo

trascorso insieme è stato sotto ogni punto di vista

un successo, e abbiamo deciso un nuovo incontro in occasione

della Candelora.

Ecco alcune testimonianze dell’incontro.

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Mi piacerebbe rifare l’esperienza !!!

Fantastico e bellissimo!

Ho passato dei momenti fantastici con i miei

compagni e i professori.

Adonis, Alexandre, Baptiste,Robin, élèves en 3ème

Découverte Professionnelle 6h

Un incontro svoltosi nella gioia. Abbiamo veramente percepito

uno spirito di famiglia.Ciascuno era all’ascolto dell’altro,

pieno d’entusiasmo, semplicità, fraternità.

Dopo questa bella raclette, attendiamo con impazienza

di condividere un pasto a base di crêpes !!!…

Laëtitia Rouquette professeur au lycée professionnel

Christelle Louis Directrice du lycée professionnel

Père Luigi Savoldelli s.m.

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PROPOSTA EESTIVA - Caammino ddi SSaantiaago

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INCONTRO A LA VECILLA4 -7 AGOSTO

I primi tre giorni ci prepareremo al Cammino di Santiago.

Sarà tempo di conoscenza, amicizia, preghiera e iniziazione

alla spiritualità del pellegrino.

Avremo anche giochi, sport e momenti di convivenza

per creare spirito di gruppo.

Saremo ospitatinella nostra casa di accoglienza

‘Santa Maria del Soto’, vicino a Leon.

PROGRAMMA A LA VECILLA

04 - ACCOGLIENZA E SISTEMAZIONE

05 - “LA VITA E’ CAMMINO”

06 - “LA VITA E’ COMUNIONE”

07 - “EQUIPAGGIATI IN MODO LEGGERO”

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PROPOSTA EESTIVA - Caammino ddi SSaantiaago

CAMMINO DI SANTIAGO8 - 16 AGOSTO

Il Cammino è un pellegrinaggio.E’ un’esperienza spirituale.

Una ricerca di Dio.

Ogni giorno celebreremo l’Eucaristia e avremo momenti di preghiera.

Percorreremo in media km. 20 al giorno, zaino in spalle.

Dormiremo in centri polisportivi e/o ostelli,

insieme ad altri pellegrini.

PROGRAMMA DEL CAMMINO

08 Samos - Sarria

09 Sarria - Portomarin

10 Portomarin - Palas de Rei

11 Palas de Rei - Melide

12 Melide - Arzua

13 Arzua - Arca do Pino

14 Arca do Pino - Santiago

15 Festa della Vergine Maria a Santiago

16 Viaggio di ritorno

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PROPOSTA - Ritiro

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RITIRO DI ZONA DEL NORDMERCOLEDI 25 APRILE 2012

VILLA SANTA MARIA - MONCALIERI (TORINO)

Promosso dai Laici Maristi Italianiaperto a tutti i rami della Famiglia Marista

TEMA“ LA CHIAMATA - INIZIATIVA DI DIO

E SCELTA DI MARIA ”

PROGRAMMA

10.00- Accoglienza10,15 - Preghiera10,30 - Prima meditazione(segue silenzio per la riflessione personale)12,15 - Proiezione: “Attingiamoalle sorgenti e andiamo a coltivaresemi di speranza” (intervento italia-no all’ultimo meeting europeo)

13.00 - Pranzo

15.00 - Seconda meditazione15,30 - Riflessione personale16.00 - Condivisione17.00 - Santa Messa

Quota euro 15Scadenza iscrizioni 25 marzo

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Page 28: MARIA · Il giovane Leonardo entrò nella bottega del Verrocchio impratichendosi nelle diverse tecniche e collaborando presto col maestro (Battesimo di Cristo).Con l’incompiuta

Lunedì 9 gennaioOggi è giorno di chiusura dei musei. Decidodi continuare la visita della città. Percorro ilgrande boulevard che segue il percorso delleantiche mura cittadine. Trovo una infinità disupermarket coperti. Ovunque, lussuosinegozi e hotel proibitivi. Mi soffermo all’ot-tocentesco Palazzo Reale, una sorta diBuckingham Palace in versione meno sontu-osa (è dal 1935 che i sovrani non ci vivonopiù). Davanti ad esso, un esteso parco bruli-

cante di gente in tuta che corre. M’imbattopoi nel Giardino Botanico. Anche se chiuso,indugio ad ammirare le belle statue bronzeeottocentesche, disposte nel parco antistante.Intorno ad esso s’innalzano minacciosimostri di vetro e acciaio; i belgi hanno menoscrupoli di noi italiani nell’accostare il mod-erno all’antico. M’incuriosisce un immenso

cupolone in fondo ad una via. Lo raggiungo.È la chiesa di Maria Regina, una colossalebasilica ottocentesca, affidata agli ortodossi(e il quartiere è ovviamente abitato da unagrande comunità ortodossa). Ritorno suimiei passi e mi dirigo verso la cattedrale,dedicata a San Michele e Gudula; una severacostruzione gotica che, coi due campanilisulla facciata, ricorda vagamente la pariginaNôtre-Dame. La sua costruzione iniziò nel1226 per protrarsi oltre 300 anni. Bellissime

le vetrate istoriate. Una cosa che mi ha colpi-to nelle chiese belghe, è la collocazione, nellanavata centrale, delle statue dei 12 Apostoli ametà dei pilastri, oltre alla enfatizzazione deipulpiti, vere e proprie sculture lignee, ricchedi simboli. All’interno del duomo, unamostra di presepi allestiti dai vari gruppietnici presenti in città, dai sudamericani ai

CRONACA

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ALLA SCOPERTA DEI PRIMITIVI FIAMMINGHI

Parte IIP. Gianni Colosio

L’Orto Botanico schiacciato dai colossali palazzi moderni

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CRONACA

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filippini, dagli africani ai rumeni. Ripassodalla Grand Place. È sempre emozionantesoffermarsi in quel luogo, davvero unico almondo. Particolarmente suggestiva la basili-ca goticheggiante di Santa Caterina (purtrop-po chiusa per restauri). Si racconta che lastatua nera della Madonna che vi è custodita,venne gettata nel fiume dai protestanti e furitrovata che galleggiava miracolosamentesu una zolla di torba. Già che ci sono, rag-giungo anche la chiesa poco distante di SanGiovanni Battista, (raramente aperta).Progettata da un discepolo del Rubens, lachiesa è ritenuta il capolavoro del baroccofiammingo… È tardo pomeriggio. Ho i piedi in fiamme.Sosto in un ristorantino tipico per una crêpeal formaggio e una birra. Poi mi dico che, peroggi, ho visto sin troppo. Senza fretta miavvio all’hotel dopo una sosta alla Gare duMidi per un caffè. Mi piace sedere in uno deinumerosi locali della stazione, osservare ilfiume di gente che vi transita in ogni ora delgiorno. La stazione sarà il mio abitualeormeggio serale. Là mi sfamerò (sperimen-tando piatti prevalentemente orientali), con-fiderò al diario il consuntivo della giornata,pianificherò il giorno seguente, osserverò ilfrenetico via vai dei passeggeri…

Chiesa di Maria Regina La Cattedrale

Chiesa di san Giovanni Battista

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IN MMEMORIAM

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Il Padre Marista

FIORENZO FALETTI

è tornato alla Casa del Padre lo scorso 24 gennaio.

Era nato a Cunico (Asti)il 9 agosto 1933.

Aveva fatto la sua Professione Religiosa nella Società di Maria

nel 1951. Nel 1958ordinato sacerdote.

Ha svolto ministero parrocchiale

a Tinchi-Marconia (Matera) per lunghi anni.

Lo ricordiamo con affetto

Il Padre Marista

FRANCO GIOANNETTI

mancato improvvisamente l’8 marzo.

Era nato l’11 gennaio del 1934.Ordinato sacerdote nel 1967Professo Marista dal 1968.

“ Ieri mi hai chiamato per farmi gli auguri, abbiamo scherzato

e come sempre ci siamo presi in giro,tu sei entrato nel mio cuore

e in quello di Ileana e dei bimbi.Non posso immaginare cosa dirai

al Signore appena lo vedrai, ma sono sicuro che il Signore

ti renderà "e grazia su grazia" per quello che hai fatto quaggiù. Sei stato il volto bello di Cristo,

l'abbraccio tenero del Padre e il soffio leggero dello Spirito.

Ti vogliamo bene ”Luca e Ile

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MARIA

Mensile sulle opere e sulle missioni

dei Padri Maristi italiani

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2Iconografia mariana

5Meditazione

8Pionieri Maristi

11Africa - Isola di Gorée

15Roma - Collegio

19Studenti francesi a Brescia

23Francia - Raclette in famiglia

25Proposta Santiago

27Proposta Ritiro

28Cronaca

30In memoriam

3 -4 MARZO - APRILE

Finito di stampare il 20 marzo 2012

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Gian Martino SpanzottiIl Risorto (1484 - 86)

Ivrea, San Martino

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