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Letteratura italiana Einaudi Il Giorno di Giuseppe Parini

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Letteratura italiana Einaudi

Il Giorno

di Giuseppe Parini

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Edizione di riferimento:edizione critica a cura di Dante Isella,Fondazione Pietro Bembo - Ugo Guanda,Parma 1996

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Il Mattino. Poemetto 1Il Mezzogiorno. Poemetto 33

Il Giorno 72Il Mattino 73Il Meriggio 106Il Vespro 139La Notte 149

Appendice. I frammenti minori della «Notte» 168Appunti per il «Vespro» e la «Notte» 187

Sommario

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1Letteratura italiana Einaudi

IL MATTINOPOEMETTO

(1763)

ALLA MODA

Lungi da queste carte i cisposi occhi già da un secolorintuzzati, lungi i fluidi nasi de’ malinconici vegliardi.Qui non si tratta di gravi ministerj nella patria esercitati,non di severe leggi, non di annojante domestica eco-nomìa misero appannaggio della canuta età. A te vezzo-sissima Dea, che con sì dolci redine oggi temperi, e go-verni la nostra brillante gioventù, a te sola questopiccolo Libretto si dedica, e si consagra. Chi è che tequal sommo Nume oggimai non riverisca, ed onori, poi-chè in sì breve tempo se’ giunta a debellar la ghiacciataRagione, il pedante Buon Senso, e l’Ordine seccaggino-so tuoi capitali nemici, ed hai sciolto dagli antichissimilacci questo secolo avventurato? Piacciati adunque diaccogliere sotto alla tua protezione, che forse non n’è in-degno, questo piccolo Poemetto. Tu il reca su i pacificialtari ove le gentili Dame, e gli amabili Garzoni sagrifi-cano a se medesimi le mattutine ore. Di questo solo egliè vago, e di questo solo andrà superbo e contento. Peresserti più caro egli ha scosso il giogo della servile rima,e se ne va libero in Versi Sciolti, sapendo, che tu di que-sti specialmente ora godi, e ti compiaci. Esso non aspiraall’immortalità, come altri libri, troppo lusingati da’ loroAutori, che tu, repentinamente sopravvenendo, hai sep-pelliti nell’oblìo. Siccome egli è per te nato, e consagratoa te sola, così fie pago di vivere quel solo momento, chetu ti mostri sotto un medesimo aspetto, e pensi a can-

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giarti, e risorgere in più graziose forme. Se a te piaceràdi riguardare con placid’occhio questo Mattino forse glisuccederanno il Mezzogiorno, e la Sera; e il loro Autoresi studierà di comporli, ed ornarli in modo, che non mendi questo abbiano ad esserti cari.

IL MATTINO

Giovin Signore, o a te scenda per lungoDi magnanimi lombi ordine il sanguePurissimo celeste, o in te del sangueEmendino il difetto i compri onoriE le adunate in terra o in mar ricchezze 5Dal genitor frugale in pochi lustri,Me Precettor d’amabil Rito ascolta.

Come ingannar questi nojosi e lentiGiorni di vita, cui sì lungo tedioE fastidio insoffribile accompagna 10Or io t’insegnerò. Quali al Mattino,Quai dopo il Mezzodì, quali la SeraEsser debban tue cure apprenderai,Se in mezzo agli ozj tuoi ozio ti restaPur di tender gli orecchi a’ versi miei. 15

Già l’are a Vener sacre e al giocatoreMercurio ne le Gallie e in AlbioneDevotamente hai visitate, e portiPur anco i segni del tuo zelo impressi:Ora è tempo di posa. In vano Marte 20A sè t’invita; che ben folle è quegliChe a rischio de la vita onor si merca,E tu naturalmente il sangue aborri.Nè i mesti de la Dea Pallade studjTi son meno odiosi: avverso ad essi 25

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Ti feron troppo i queruli ricintiOve l’arti migliori, e le scienzeCangiate in mostri, e in vane orride larve,Fan le capaci volte echeggiar sempreDi giovanili strida. Or primamente 30Odi quali il Mattino a te soaviCure debba guidar con facil mano.

Sorge il Mattino in compagnìa dell’AlbaInnanzi al Sol che di poi grande appareSu l’estremo orizzonte a render lieti 35Gli animali e le piante e i campi e l’onde.Allora il buon villan sorge dal caroLetto cui la fedel sposa, e i minoriSuoi figlioletti intepidìr la notte;Poi sul collo recando i sacri arnesi 40Che prima ritrovàr Cerere, e Pale,Va col bue lento innanzi al campo, e scuoteLungo il picciol sentier da’ curvi ramiIl rugiadoso umor che, quasi gemma,I nascenti del Sol raggi rifrange. 45Allora sorge il Fabbro, e la sonanteOfficina riapre, e all’opre tornaL’altro dì non perfette, o se di chiaveArdua e ferrati ingegni all’inquietoRicco l’arche assecura, o se d’argento 50E d’oro incider vuol giojelli e vasiPer ornamento a nuove spose o a mense.

Ma che? tu inorridisci, e mostri in capo,Qual istrice pungente, irti i capegliAl suon di mie parole? Ah non è questo, 55Signore, il tuo mattin. Tu col cadenteSol non sedesti a parca mensa, e al lumeDell’incerto crepuscolo non gistiJeri a corcarti in male agiate piume,Come dannato è a far l’umile vulgo. 60

A voi celeste prole, a voi concilio

Giuseppe Parini - Il giorno

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Di Semidei terreni altro concesseGiove benigno: e con altr’arti e leggiPer novo calle a me convien guidarvi.

Tu tra le veglie, e le canore scene, 65E il patetico gioco oltre più assaiProducesti la notte; e stanco alfineIn aureo cocchio, col fragor di caldePrecipitose rote, e il calpestìoDi volanti corsier, lunge agitasti 70Il queto aere notturno, e le tenèbreCon fiaccole superbe intorno apristi,Siccome allor che il Siculo terrenoDall’uno all’altro mar rimbombar feoPluto col carro a cui splendeano innanzi 75Le tede de le Furie anguicrinite.

Così tornasti a la magion; ma quiviA novi studj ti attendea la mensaCui ricoprien pruriginosi cibiE licor lieti di Francesi colli, 80O d’Ispani, o di Toschi, o l’OngareseBottiglia a cui di verde edera BaccoConcedette corona; e disse: siediDe le mense reina. Alfine il SonnoTi sprimacciò le morbide coltrici 85Di propria mano, ove, te accolto, il fidoServo calò le seriche cortine:E a te soavemente i lumi chiuseIl gallo che li suole aprire altrui.

Dritto è perciò, che a te gli stanchi sensi 90Non sciolga da’ papaveri tenaciMòrfeo prima, che già grande il giornoTenti di penetrar fra gli spiragliDe le dorate imposte, e la paretePingano a stento in alcun lato i raggi 95Del Sol ch’eccelso a te pende sul capo.Or qui principio le leggiadre cure

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Denno aver del tuo giorno; e quinci io debboSciorre il mio legno, e co’ precetti mieiTe ad alte imprese ammaestrar cantando. 100

Già i valetti gentili udìr lo squilloDel vicino metal cui da lontanoScosse tua man col propagato moto;E accorser pronti a spalancar gli oppostiSchermi a la luce, e rigidi osservàro, 105Che con tua pena non osasse FeboEntrar diretto a saettarti i lumi.Ergiti or tu alcun poco, e sì ti appoggiaAlli origlieri i quai lenti gradandoAll’omero ti fan molle sostegno. 110Poi coll’indice destro, lieve lieveSopra gli occhi scorrendo, indi dileguaQuel che riman de la Cimmeria nebbia;E de’ labbri formando un picciol arco,Dolce a vedersi, tacito sbadiglia. 115O, se te in sì gentile atto mirasseIl duro Capitan qualor tra l’armi,Sgangherando le labbra, innalza un gridoLacerator di ben costrutti orecchi,Onde a le squadre varj moti impone; 120Se te mirasse allor, certo vergognaAvria di sè più che Minerva il giornoChe, di flauto sonando, al fonte scorseIl turpe aspetto de le guance enfiate.

Ma già il ben pettinato entrar di novo 125Tuo damigello i’ veggo; egli a te chiedeQuale oggi più de le bevande usateSorbir ti piaccia in preziosa tazza:Indiche merci son tazze e bevande;Scegli qual più desii. S’oggi ti giova 130Porger dolci allo stomaco fomenti,Sì che con legge il natural caloreV’arda temprato, e al digerir ti vaglia,

Giuseppe Parini - Il giorno

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Scegli ’l brun cioccolatte, onde tributoTi dà il Guatimalese e il Caribbèo 135C’ha di barbare penne avvolto il crine:Ma se nojosa ipocondrìa t’opprime,O troppo intorno a le vezzose membraAdipe cresce, de’ tuoi labbri onoraLa nettarea bevanda ove abbronzato 140Fuma, ed arde il legume a te d’AleppoGiunto, e da Moca che di mille naviPopolata mai sempre insuperbisce.

Certo fu d’uopo, che dal prisco seggioUscisse un Regno, e con ardite vele 145Fra straniere procelle e novi mostriE teme e rischi ed inumane famiSuperasse i confin, per lunga etadeInviolati ancora: e ben fu drittoSe Cortes, e Pizzarro umano sangue 150Non istimàr quel ch’oltre l’OceànoScorrea le umane membra, onde tonandoE fulminando, alfin spietatamenteBalzaron giù da’ loro aviti troniRe Messicani e generosi Incassi, 155Poichè nuove così venner delizie,O gemma degli eroi, al tuo palato.

Cessi ’l Cielo però, che in quel momentoChe la scelta bevanda a sorbir prendi,Servo indiscreto a te improvviso annunzj 160Il villano sartor che, non ben pagoD’aver teco diviso i ricchi drappi,Oso sia ancor con pòlizza infinitaA te chieder mercede: ahimè, che fattoQuel salutar licore agro e indigesto 165Tra le viscere tue, te allor farebbeE in casa e fuori e nel teatro e al corsoRuttar plebejamente il giorno intero!

Ma non attenda già ch’altri lo annunzj

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Gradito ognor, benchè improvviso, il dolce 170Mastro che i piedi tuoi come a lui pareGuida, e corregge. Egli all’entrar si fermiRitto sul limitare, indi elevandoAmbe le spalle, qual testudo il colloContragga alquanto; e ad un medesmo tempo 175Inchini ’l mento, e con l’estrema faldaDel piumato cappello il labbro tocchi.

Non meno di costui facile al lettoDel mio Signor t’accosta, o tu che addestriA modular con la flessibil voce 180Teneri canti, e tu che mostri altruiCome vibrar con maestrevol arcoSul cavo legno armoniose fila.

Nè la squisita a terminar coronaD’intorno al letto tuo manchi, o Signore, 185Il Precettor del tenero idiomaChe da la Senna de le Grazie madreOr ora a sparger di celeste ambrosiaVenne all’Italia nauseata i labbri.All’apparir di lui l’itale voci 190Tronche cedano il campo al lor tiranno;E a la nova ineffabile armonìaDe’ soprumani accenti, odio ti nascaPiù grande in sen contro alle impure labbraCh’osan macchiarsi ancor di quel sermone 195Onde in Valchiusa fu lodata e piantaGià la bella Francese, et onde i campiAll’orecchio dei Re cantati furoLungo il fonte gentil de le bell’acque.Misere labbra che temprar non sanno 200Con le Galliche grazie il sermon nostro,Sì che men aspro a’ dilicati spirti,E men barbaro suon fieda gli orecchi!

Or te questa, o Signor, leggiadra schieraTrattenga al novo giorno; e di tue voglie 205

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Irresolute ancora or l’uno, or l’altroCon piacevoli detti il vano occùpi,Mentre tu chiedi lor tra i lenti sorsiDell’ardente bevanda a qual cantoreNel vicin verno si darà la palma 210Sopra le scene; e s’egli è il ver, che riedaL’astuta Frine che ben cento folliMilordi rimandò nudi al Tamigi;O se il brillante danzator NarcissoTornerà pure ad agghiacciare i petti 215De’ palpitanti Italici mariti.

Poichè così gran pezzo a’ primi alboriDel tuo mattin teco scherzato fiaNon senz’aver licenziato primaL’ipocrita pudore, e quella schifa, 220Cui le accigliate gelide matroneChiaman modestia, alfine o a lor talento,O da te congedati escan costoro.Doman si potrà poscia, o forse l’altroGiorno a’ precetti lor porgere orecchio, 225Se meno ch’oggi a te cure dintornoPorranno assedio. A voi divina schiatta,Vie più che a noi mortali il ciel concesseDomabile midollo entro al cerèbro,Sì che breve lavor basta a stamparvi 230Novelle idee. In oltre a voi fu datoTal de’ sensi e de’ nervi e degli spirtiMoto e struttura, che ad un tempo millePenetrar puote, e concepir vostr’almaCose diverse, e non però turbarle 235O confonder giammai, ma scevre e chiareNe’ loro alberghi ricovrarle in mente.

Il vulgo intanto a cui non dessi il veloAprir de’ venerabili misterj,Fie pago assai, poi che vedrà sovente 240Ire e tornar dal tuo palagio i primi

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D’arte maestri, e con aperte fauciStupefatto berà le tue sentenze.

Ma già vegg’io, che le oziose laneSoffrir non puoi più lungamente, e in vano 245Te l’ignavo tepor lusinga e molce,Però che or te più gloriosi affanniAspettan l’ore a trapassar del giorno.

Su dunque o voi del primo ordine serviChe degli alti Signor ministri al fianco 250Siete incontaminati, or dunque voiAl mio divino Achille, al mio RinaldoL’armi apprestate. Ed ecco in un balenoI tuoi valetti a’ cenni tuoi star pronti.Già ferve il gran lavoro. Altri ti veste 255La serica zimarra ove disegnoDiramasi Chinese; altri, se il chiedePiù la stagione, a te le membra copreDi stese infino al piè tiepide pelli.Questi al fianco ti adatta il bianco lino 260Che sciorinato poi cada, e difendaI calzonetti; e quei, d’alto curvandoIl cristallino rostro, in su le maniTi versa acque odorate, e da le maniIn limpido bacin sotto le accoglie. 265Quale il sapon del redivivo muschioOlezzante all’intorno; e qual ti porgeIl macinato di quell’arbor frutto,Che a Ròdope fu già vaga donzella,E chiama in van sotto mutate spoglie 270Demofoonte ancor Demofoonte.L’un di soavi essenze intrisa spugnaOnde tergere i denti, e l’altro apprestaAd imbianchir le guance util licore.

Assai pensasti a te medesmo; or volgi 275Le tue cure per poco ad altro obbiettoNon indegno di te. Sai che compagna

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Con cui divider possa il lungo pesoDi quest’inerte vita il ciel destìnaAl giovane Signore. Impallidisci? 280No non parlo di nozze: antiquo e vietoDottor sarei se così folle io dessiA te consiglio. Di tant’alte dotiTu non orni così lo spirto, e i membri,Perchè in mezzo a la tua nobil carriera 285Sospender debbi ’l corso, e fuora uscendoDi cotesto a ragion detto Bel Mondo,In tra i severi di famiglia padriRelegato ti giacci, a un nodo avvintoDi giorno in giorno più penoso, e fatto 290Stallone ignobil de la razza umana.

D’altra parte il Marito ahi quanto spiace,E lo stomaco move ai dilicatiDel vostr’Orbe leggiadro abitatoriQualor de’ semplicetti avoli nostri 295Portar osa in ridicolo trionfoLa rimbambita Fè, la PudiciziaSeveri nomi! E qual non suole a forzaIn que’ melati seni eccitar bileQuando i calcoli vili del castaldo 300Le vendemmie, i ricolti, i pedagoghiDi que’ sì dolci suoi bambini altrui,Gongolando, ricorda; e non vergognaDi mischiar cotai fole a peregriniSubbietti, a nuove del dir forme, a sciolti 305Da volgar fren concetti onde s’avvivaDa’ begli spirti il vostro amabil Globo.Pera dunque chi a te nozze consiglia.Ma non però senza compagna andraiChe fia giovane dama, ed altrui sposa; 310Poichè sì vuole inviolabil ritoDel Bel Mondo onde tu se’ cittadino.

Tempo già fu, che il pargoletto Amore

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Dato era in guardia al suo fratello Imene;Poichè la madre lor temea, che il cieco 315Incauto Nume perigliando gisseMisero e solo per oblique vie,E che bersaglio agl’indiscreti colpiDi senza guida, e senza freno arciero,Troppo immaturo al fin corresse il seme 320Uman ch’è nato a dominar la terra.Perciò la prole mal secura all’altraIn cura dato avea, sì lor dicendo:«Ite o figli del par; tu più possenteIl dardo scocca, e tu più cauto il guida 325A certa meta». Così ognor compagnaIva la dolce coppia, e in un sol regno,E d’un nodo comun l’alme stringea.Allora fu che il Sol mai sempre unitiVedea un pastore, ed una pastorella 330Starsi al prato, a la selva, al colle, al fonte;E la Suora di lui vedeali poiUniti ancor nel talamo beatoCh’ambo gli amici Numi a piene maniGareggiando spargean di gigli e rose. 335Ma che non puote anco in divino petto,Se mai s’accende ambizion di regno?Crebber l’ali ad Amore a poco a poco,E la forza con esse; ed è la forzaUnica e sola del regnar maestra. 340Perciò a poc’aere prima, indi più arditoA vie maggior fidossi, e fiero alfineEntrò nell’alto, e il grande arco crollando,E il capo, risonar fece a quel motoIl duro acciar che la faretra a tergo 345Gli empie, e gridò: solo regnar vogl’io.Disse, e volto a la madre «Amore adunqueIl più possente in fra gli dei, il primoDi Citerea figliuol ricever leggi,

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E dal minor german ricever leggi 350Vile alunno, anzi servo? Or dunque AmoreNon oserà fuor ch’una unica voltaFerire un’alma come questo schifoDa me vorrebbe? E non potrò giammaiDappoi ch’io strinsi un laccio, anco slegarlo 355A mio talento, e qualor parmi un altroStringerne ancora? E lascerò pur ch’egliDi suoi unguenti impeci a me i miei dardiPerchè men velenosi e men crudeliScendano ai petti? Or via perchè non togli 360A me da le mie man quest’arco, e questeArmi da le mie spalle, e ignudo lasciQuasi rifiuto de gli Dei Cupido?O il bel viver che fia qualor tu soloRegni in mio loco! O il bel vederti, lasso! 365Studiarti a torre da le languid’almeLa stanchezza e ’l fastidio, e spander geloDi foco in vece! Or genitrice intendi,Vaglio, e vo’ regnar solo. A tuo piacereTra noi parti l’impero, ond’io con teco 370Abbia omai pace, e in compagnìa d’ImeneMe non trovin mai più le umane genti».Qui tacque Amore, e minaccioso in atto,Parve all’Idalia Dea chieder risposta.Ella tenta placarlo, e pianti e preghi 375Sparge ma in vano; onde a’ due figli voltaCon questo dir pose al contender fine.«Poichè nulla tra voi pace esser puote,Si dividano i regni. E perchè l’unoSia dall’altro germano ognor disgiunto, 380Sieno tra voi diversi, e ’l tempo, e l’opra.Tu che di strali altero a fren non cediL’alme ferisci, e tutto il giorno impera:E tu che di fior placidi hai coronaLe salme accoppia, e coll’ardente face 385

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Regna la notte». Ora di qui, Signore,Venne il rito gentil che a’ freddi sposiLe tenebre concede, e de le sposeLe caste membra: e a voi beata genteDi più nobile mondo il cor di queste, 390E il dominio del dì, largo destìna.Fors’anco un dì più liberal confineVostri diritti avran, se Amor più forteQualche provincia al suo germano usurpa:Così giova sperar. Tu volgi intanto 395A’ miei versi l’orecchio, et odi or qualeCura al mattin tu debbi aver di leiChe spontanea o pregata, a te donossiPer tua Dama quel dì lieto che a fidaCarta, non senza testimonj furo 400A vicenda commessi i patti santi,E le condizion del caro nodo.

Già la Dama gentil de’ cui be’ lacciGodi avvinto sembrar le chiare luciCol novo giorno aperse; e suo primiero 405Pensier fu dove teco abbia piuttostoA vegliar questa sera, e consultonneContegnosa lo sposo il qual pur dianziFu la mano a baciarle in stanza ammesso.

Or dunque è tempo che il più fido servo 410E il più accorto tra i tuoi mandi al palagioDi lei chiedendo se tranquilli sonniDormìo la notte, e se d’imagin lieteLe fu Mòrfeo cortese. È ver che ieriSera tu l’ammirasti in viso tinta 415Di freschissime rose; e più che maiVivace e lieta uscìo teco del cocchio,E la vigile tua mano per vezzoRicusò sorridendo allor che l’ampieScale salì del maritale albergo: 420Ma ciò non basti ad acquetarti, e mai

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Non obliar sì giusti ufici. Ahi quantiGenj malvagi tra ’l notturno orroreGodono uscire ed empier di perigliLa placida quiete de’ mortali! 425

Potria, tolgalo il cielo, il picciol caneCon latrati improvvisi i cari sogniTroncare a la tua Dama, ond’ella, scossaDa sùbito capriccio, a rannicchiarsiAstretta fosse, di sudor gelato 430E la fronte bagnando, e il guancial molle.Anco potria colui che, sì de’ tristiCome de’ lieti sogni è genitore,Crearle in mente di diverse ideeIn un congiunte orribile chimera, 435Onde agitata in ansioso affannoGridar tentasse, e non però potesseAprire ai gridi tra le fauci il varco.Sovente ancor ne la trascorsa seraLa perduta tra ’l gioco aurea moneta 440Non men che al Cavalier, suole a la DamaLunga vigilia cagionar: taloraNobile invidia de la bella amicaVagheggiata da molti, e talor breveGelosìa n’è cagione. A questo aggiugni 445Gl’importuni mariti i quali in menteRavvolgendosi ancor le viete usanze,Poi che cessero ad altri il giorno, quasiAbbian fatto gran cosa, aman d’ImeneCon superstizion serbare i dritti, 450E dell’ombre notturne esser tiranni,Non senz’affanno de le caste sposeCh’indi preveggon tra poc’anni il fioreDe la fresca beltade a sè rapirsi.

Or dunque ammaestrato a quali e quanti 455Miseri casi espor soglia il notturno

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Orror le Dame, tu non esser lento,Signore, a chieder de la tua novelle.

Mentre che il fido messaggier si attende,Magnanimo Signor, tu non starai 460Ozioso però. Nel dolce campoPur in questo momento il buon CultoreSuda, e incallisce al vomere la mano,Lieto, che i suoi sudor ti fruttin poiDorati cocchi, e peregrine mense. 465Ora per te l’industre Artier sta fisoAllo scarpello, all’asce, al subbio, all’ago;Ed ora a tuo favor contende, o vegliaIl Ministro di Temi. Ecco te pureTe la toilette attende: ivi i bei pregi 470De la natura accrescerai con l’arte,Ond’oggi uscendo, del beante aspettoBeneficar potrai le genti, e gratoRicompensar di sue fatiche il mondo.

Ma già tre volte e quattro il mio Signore 475Velocemente il gabinetto scorseCol crin disciolto e su gli omeri sparso,Quale a Cuma solea l’orribil magaQuando agitata dal possente NumeVaticinar s’udìa. Così dal capo 480Evaporar lasciò degli olj sparsiIl nocivo fermento, e de le polviChe roder gli potrien la molle cute,O d’atroce emicrania a lui le tempiaTrafigger anco. Or egli avvolto in lino 485Candido siede. Avanti a lui lo specchioAltero sembra di raccor nel senoL’imagin diva: e stassi agli occhi suoiSevero esplorator de la tua manoO di bel crin volubile Architetto. 490Mille d’intorno a lui volano odoriChe a le varie manteche ama rapire

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L’auretta dolce, intorno ai vasi ugnendoLe leggerissim’ale di farfalla.Tu chiedi in prima a lui qual più gli aggrada 495Sparger sul crin, se il gelsomino, o il biondoFior d’arancio piuttosto, o la giunchiglia,O l’ambra preziosa agli avi nostri.

Ma se la Sposa altrui, cara al Signore,Del talamo nuzial si duole, e scosse 500Pur or da lungo peso il molle lombo,Ah fuggi allor tutti gli odori, ah fuggi;Che micidial potresti a un sol momentoTre vite insidiar: semplici sienoI tuoi balsami allor, nè oprarli ardisci 505Pria che su lor deciso abbian le nariDel mio Signore, e tuo. Pon mano posciaAl pettin liscio, e coll’ottuso denteLieve solca i capegli; indi li turbaCol pettine e scompiglia: ordin leggiadro 510Abbiano alfin da la tua mente industre.

Io breve a te parlai; ma non pertantoLunga fia l’opra tua; nè al termin giuntaPrima sarà, che da più strani eventiTurbisi e tronchi a la tua impresa il filo. 515Fisa i lumi allo speglio, e vedrai quiviNon di rado il Signor morder le labbraImpaziente, ed arrossir nel viso.Sovente ancor se artificiosa menoFia la tua destra, del convulso piede 520Udrai lo scalpitar breve e frequente,Non senza un tronco articolar di voceChe condanni, e minacci. Anco t’aspettaVeder talvolta il mio Signor gentileFuriando agitarsi, e destra e manca 525Porsi nel crine; e scompigliar con l’ugnaLo studio di molt’ore in un momento.Che più? Se per tuo male un dì vaghezza

16Letteratura italiana Einaudi

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D’accordar ti prendesse al suo sembianteL’edificio del capo, ed obliassi 530Di prender legge da colui che giunsePur jer di Francia, ahi quale atroce folgore,Meschino! allor ti penderìa sul capo?Che il tuo Signor vedresti ergers’in piedi;E versando per gli occhi ira e dispetto, 535Mille strazj imprecarti; e scender finoAd usurpar le infami voci al vulgoPer farti onta maggiore; e di bastoneIl tergo minacciarti; e violentoRovesciare ogni cosa, al suol spargendo 540Rotti cristalli e calamistri e vasiE pettini ad un tempo. In cotal guisa,Se del Tonante all’ara o de la Dea,Che ricovrò dal Nilo il turpe Phallo,Tauro spezzava i raddoppiati nodi 545E libero fuggìa, vedeansi al suoloVibrar tripodi, tazze, bende, scuri,Litui, coltelli, e d’orridi muggitiCommosse rimbombar le arcate volte,E d’ogni lato astanti e sacerdoti 550Pallidi all’urto e all’impeto involarsiDel feroce animal che pria sì quetoGìa di fior cinto, e sotto la man sacraUmiliava le dorate corna.Tu non pertanto coraggioso e forte 555Soffri, e ti serba a la miglior fortuna.Quasi foco di paglia è il foco d’iraIn nobil cor. Tosto il Signor vedraiMansuefatto a te chieder perdono,E sollevarti oltr’ogni altro mortale 560Con preghi e scuse a niun altro concesse;Onde securo sacerdote alloraL’immolerai qual vittima a Filauzio

Giuseppe Parini - Il giorno

17Letteratura italiana Einaudi

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Giuseppe Parini - Il giorno

Sommo Nume de’ Grandi, e pria d’ognaltroLarga otterrai del tuo lavor mercede. 565

Or Signore, a te riedo. Ah non sia colpaDinanzi a te s’io travviai col versoBreve parlando ad un mortal cui degniTu degli arcani tuoi. Sai, che a sua vogliaQuesti ogni dì volge, e governa i capi 570De’ più felici spirti; e le matrone,Che da’ sublimi cocchi alto disdegnanoVolgere il guardo a la pedestre turba,Non disdegnan sovente entrar con luiIn festevoli motti allor ch’esposti 575A la sua man sono i ridenti avorjDel bel collo e del crin l’aureo volume.Perciò accogli ti prego i versi mieiTuttor benigno: et odi or come possiL’ore a te render graziose mentre 580Dal pettin creator tua chioma acquistaLeggiadra o almen non più veduta forma.

Picciol libro elegante a te dinanziTra gli arnesi vedrai che l’arte adunaPer disputare a la natura il vanto 585Del renderti sì caro agli occhi altrui.Ei ti lusingherà forse con lisciaPurpurea pelle onde fornito avralloO Mauritano conciatore, o Siro;E d’oro fregi dilicati, e vago 590Mutabile color che il collo imitiDe la colomba v’avrà posto intornoSquisito legator Batavo, o Franco.Ora il libro gentil con lenta manoTogli; e non senza sbadigliare un poco 595Aprilo a caso, o pur là dove il partaTra una pagina e l’altra indice nastro.

O de la Francia Proteo multiformeVoltaire troppo biasmato e troppo a torto

18Letteratura italiana Einaudi

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Lodato ancor che sai con novi modi 600Imbandir ne’ tuoi scritti eterno ciboAi semplici palati; e se’ maestroDi coloro che mostran di sapere,Tu appresta al mio Signor leggiadri studjCon quella tua Fanciulla agli Angli infesta 605Che il grande Enrico tuo vince d’assai,L’Enrico tuo che non peranco abbatteL’Italian Goffredo ardito scoglioContro a la Senna d’ogni vanto altera.

Tu de la Francia onor, tu in mille scritti 610Celebrata Ninon novella Aspasia,Taide novella ai facili sapientiDe la Gallica Atene i tuoi precettiPur dona al mio Signore: e a lui non menoPasci la nobil mente o tu ch’a Italia, 615Poi che rapìrle i tuoi l’oro e le gemme,Invidiasti il fedo loto ancoraOnde macchiato è il Certaldese, e l’altroPer cui va sì famoso il pazzo Conte.

Questi, o Signore, i tuoi studiati autori 620Fieno e mill’altri che guidàro in FranciaA novellar con le vezzose schiaveI bendati Sultani i regi Persi,E le peregrinanti Arabe dame;O che con penna liberale ai cani 625Ragion donàro e ai barbari sedili,E dier feste e conviti e liete sceneAi polli ed a le gru d’amor maestre.

O pascol degno d’anima sublime!O chiara o nobil mente! A te ben dritto 630È che si curvi riverente il vulgo,E gli oracoli attenda. Or chi fia dunqueSì temerario che in suo cor ti beffiQualor partendo da sì begli studjDel tuo paese l’ignoranza accusi, 635

Giuseppe Parini - Il giorno

19Letteratura italiana Einaudi

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Giuseppe Parini - Il giorno

E tenti aprir col tuo felice raggioLa Gotica caligine che annosaSiede su gli occhi a le misere genti?Così non mai ti venga estranea curaQuesti a troncar sì preziosi istanti 640In cui non meno de la docil chiomaColtivi ed orni il penetrante ingegno.

Non pertanto avverrà, che tu sospendaQuindi a pochi momenti i cari studj,E che ad altro ti volga. A te quest’ora 645Condurrà il Merciajuol che in patria or tornaPronto inventor di lusinghiere fole,E liberal di forestieri nomiA merci che non mai varcàro i monti.Tu a lui credi ogni detto: e chi vuoi, ch’osi 650Unqua mentire ad un tuo pari in faccia?Ei fia che venda, se a te piace, o cambjMille fregi e giojelli a cui la modaDi viver concedette un giorno interoTra le folte d’inezie illustri tasche: 655Poi lieto sen andrà con l’una manoPesante di molt’oro; e in cor giojendo,Spregerà le bestemmie imprecatrici,E il gittato lavoro, e i vani passiDel Calzolar diserto, e del Drappiere; 660E dirà lor: ben degna pena aveteO troppo ancor religiosi serviDe la Necessitade, antiqua è veroMadre e donna dell’arti, or nondimenoFatta cenciosa e vile. Al suo possente 665Amabil vincitor v’era assai meglio,O miseri, ubbidire. Il Lusso il LussoOggi sol puote dal ferace cornoVersar sull’arti a lui vassalle applausiE non contesi mai premj e dovizie. 670

L’ora fia questa ancor che a te conduca

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Il dilicato Miniator di Belle,Ch’è de la Corte d’Amatunta e PafoStipendiato Ministro atto a gli affariSollecitar dell’amorosa Dea. 675Impaziente or tu l’affretta e spronaPerchè a te porga il desiato avorioChe de le amate forme impresso ride,O che il pennel cortese ivi dispieghiL’alme sembianze del tuo viso ond’abbia 680Tacito pasco allor che te non vedeLa pudica d’altrui sposa a te cara;O che di lei medesma al vivo esprimaL’imagin vaga; o se ti piace, ancoraD’altra fiamma furtiva a te presenti 685Con più largo confin le amiche membra.

Ma poi che al fine a le tue luci espostoFia il ritratto gentil, tu cauto osservaSe bene il simulato al ver risponda,Vie più rigido assai se il tuo sembiante 690Esprimer denno i colorati puntiChe l’arte ivi dispose. O quante mendeScorger tu vi saprai! Or brune troppoA te parran le guance; or fia ch’eccedaMal frenata la bocca; or qual conviensi 695Al camuso Etiòpe il naso fia.Ti giovi ancora d’accusar soventeIl dipintor, che non atteggi industreL’agili membra e il dignitoso busto,O che con poca legge a la tua imago 700Dia contorno o la posi o la panneggi.

È ver, che tu del grande di CrotoneNon conosci la scuola; e mai tua manoNon abbassossi a la volgar matitaChe fu nell’altra età cara a’ tuoi pari 705Cui sconosciute ancora eran più dolciE più nobili cure a te serbate.

Giuseppe Parini - Il giorno

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Giuseppe Parini - Il giorno

Ma che non puote quel d’ogni precettoGusto trionfator che all’ordin vostroIn vece di maestro il Ciel concesse, 710Et onde a voi coniò le altere mentiAcciò che possan de’ volgari ingegniOltre passar la paludosa nebbia,E d’aere più puro abitatriciNon fallibili scerre il vero e il bello? 715

Perciò qual più ti par loda, riprendiNon men fermo d’allor che a scranna siediRafael giudicando, o l’altro egualeChe del gran nome suo l’Adige onora:E a le tavole ignote i noti nomi 720Grave comparti di color che primiFur tra’ Pittori. Ah s’altri è sì procaceCh’osi rider di te, costui paventiL’augusta maestà del tuo cospetto,Si volga a la parete; e mentr’ei cerca 725Por freno in van col morder de le labbraAllo scrosciar de le importune risaChe scoppian da’ precordj, violentaConvulsione a lui deformi il volto,E lo affoghi aspra tosse; e lo punisca 730Di sua temerità. Ma tu non pensaCh’altri ardisca di te rider giammai;E mai sempre imperterrito decidi.

Or l’immagin compiuta intanto serbaPerchè in nobile arnese un dì si chiuda 735Con opposto cristallo ove tu facciSovente paragon di tua beltadeCon la beltà de la tua Dama; o agli occhiDegl’invidi la tolga, e in sen l’ascondaSagace tabacchiera, o a te riluca 740Sul minor dito fra le gemme e l’oro;O de le grazie del tuo viso desti

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Soavi rimembranze al braccio avvoltaDe la pudica altrui Sposa a te cara.

Ma giunta è al fin del dotto pettin l’opra. 745Già il maestro elegante intorno spandeDa la man scossa un polveroso nemboOnde a te innanzi tempo il crine imbianchi.

D’orribil piato risonar s’udìoGià la corte d’Amore. I tardi veglj 750Grinzuti osàr coi giovani nipotiContendere di grado in faccia al soglioDel comune Signor. Rise la frescaGioventude animosa, e d’agri mottiLibera punse la senil baldanza. 755Gran tumulto nascea, se non che AmoreCh’ogni diseguaglianza odia in sua corteA spegner mosse i perigliosi sdegni:E a quei che militando incanutìroSuoi servi impose d’imitar con arte 760I duo bei fior che in giovenile gotaEduca e nutre di sua man natura:Indi fè cenno, e in un balen fur vistiMille alati ministri alto volandoScoter le piume, e lieve indi fiocconne 765Candida polve che a posar poi venneSu le giovani chiome; e in bianco volseIl biondo, il nero, e l’odiato rosso.L’occhio così nell’amorosa reggiaPiù non distinse le due opposte etadi, 770E solo vi restò giudice il Tatto.

Or tu adunque, o Signor, tu che se’ il primoFregio ed onor dell’amoroso regnoI sacri usi ne serba. Ecco che sparsaPria da provvida man la bianca polve 775In piccolo stanzin con l’aere pugna,E degli atomi suoi tutto riempieEgualmente divisa. Or ti fa cuore,

Giuseppe Parini - Il giorno

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Giuseppe Parini - Il giorno

E in seno a quella vorticosa nebbiaAnimoso ti avventa. O bravo o forte! 780Tale il grand’Avo tuo tra ’l fumo e ’l focoOrribile di Marte, furiandoGittossi allor che i palpitanti LariDe la Patria difese, e ruppe e in fugaMise l’oste feroce. Ei non pertanto 785Fuliginoso il volto, e d’atro sangueAsperso e di sudore, e co’ capegliStracciati ed irti da la mischia uscìoSpettacol fero a’ cittadini istessiPer sua man salvi; ove tu assai più dolce 790E leggiadro a vedersi, in bianca spogliaUscirai quindi a poco a bear gli occhiDe la cara tua Patria a cui dell’AvoIl forte braccio, e il viso almo, celesteDel Nipote dovean portar salute. 795

Ella ti attende impaziente, e milleAnni le sembra il tuo tardar poc’ore.È tempo omai che i tuoi valetti al dorsoCon lieve man ti adattino le vestiCui la moda e ’l buon gusto in su la Senna 800T’abbian tessute a gara, e qui cuciteAbbia ricco sartor che in su lo scudoMostri intrecciato a forbici elegantiIl titol di Monsieur. Non sol dia leggiA la materia la stagion diverse; 805Ma sien qual si conviene al giorno e all’oraSempre varj il lavoro e la ricchezza.

Fero Genio di Marte a guardar postoDe la stirpe de’ Numi il caro fianco,Tu al mio giovane Eroe la spada or cingi 810Lieve e corta non già, ma, qual richiedeLa stagion bellicosa, al suol cadente,E di triplice taglio armata e d’elsaImmane. Quanto esser può mai sublime

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L’annoda pure, onde l’impugni all’uopo 815La furibonda destra in un momento:Nè disdegnar con le sanguigne ditaDi ripulire et ordinar quel nodoOnde l’elsa è superba; industre studioÈ di candida mano: al mio Signore 820Dianzi donollo, e gliel appese al brandoLa pudica d’altrui sposa a lui cara.Tal del famoso Artù vide la corteLe infiammate d’amor donzelle arditeOrnar di piume e di purpuree fasce 825I fatati guerrieri, onde più ardentiGisser poi questi ad incontrar periglioIn selve orrende tra i giganti e i mostri.

Figlie de la memoria inclite SuoreChe invocate scendeste, e i feri nomi 830De le squadre diverse e degli EroiAnnoveraste ai grandi che cantàroAchille, Enea, e il non minor Buglione,Or m’è d’uopo di voi: tropp’ardua impresa,E insuperabil senza vostr’aita 835Fia ricordare al mio Signor di quantiLeggiadri arnesi graverà sue vestiPria che di se medesmo esca a far pompa.

Ma qual tra tanti e sì leggiadri arnesiSì felice sarà che pria d’ognaltro, 840Signor, venga a formar tua nobil soma?Tutti importan del par. Veggo l’AstuccioDi pelle rilucente ornato e d’oroSdegnar la turba, e gli occhi tuoi primieroOccupar di sua mole: esso a mill’uopi 845Opportuno si vanta, e in grembo a luiAtta agli orecchi, ai denti, ai peli, all’ugneVien forbita famiglia. A lui contendeI primi onori d’odorifer’ondaColmo Cristal che a la tua vita in forse 850

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Giuseppe Parini - Il giorno

Rechi soccorso allor che il vulgo ardisceTroppo accosto vibrar da la vil salmaFastidiosi effluvj a le tue nari.Nè men pronto di quella all’uopo istessoL’imitante un cuscin purpureo Drappo 855Mostra turgido il sen d’erbe odorateChe l’aprica montagna in tuo favoreAl possente meriggio educa e scalda.Seco vien pur di cristallina rupePrezïoso Vasello onde traluce 860Non volgare confetto ove agli aromiStimolanti s’unìo l’ambra o la terra,Che il Giappon manda a profumar de’ GrandiL’etereo fiato; o quel che il CaramanoFa gemer Latte dall’inciso capo 865De’ papaveri suoi perchè, qualoraNon ben felice amor l’alma t’attrista,Lene serpendo per le membra, acquetiA te gli spirti, e ne la mente inducaLieta stupidità che mille aduni 870Imagin dolci e al tuo desìo conformi.A questi arnesi il Cannocchiale aggiugni,E la guernita d’oro anglica Lente.Quel notturno favor ti presti alloraChe in teatro t’assidi, e t’avvicini 875Gli snelli piedi e le canore labbraDa la scena rimota, o con malignoOcchio ricerchi di qualch’alta loggiaLe abitate tenebre, o miri altroveGli ognor nascenti e moribondi amori 880De le tenere Dame onde s’apprestiPer l’eloquenza tua nel dì vicinoLunga e grave materia. A te la LenteNel giorno assista, e de gli sguardi tuoiEconoma presieda, e sì li parta, 885Che il mirato da te vada superbo,

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Nè i malvisti accusarti osin giammai.La Lente ancora all’occhio tuo vicinaIrrefragabil giudice condanniO approvi di Paladio i muri e gli archi 890O di Tizian le tele: essa a le vesti,Ai libri, ai volti feminili applaudaSevera o li dispregi. E chi del sensoComun sì privo fia che opporsi unquancoOsi al sentenziar de la tua Lente? 895Non per questi però sdegna, o Signore,Giunto a lo specchio, in gallico sermoneIl vezzoso Giornal; non le notateEburnee Tavolette a guardar presteTuoi sublimi pensier fin ch’abbian luce 900Doman tra i begli spirti; e non isdegnaLa picciola Guaina ove a’ tuoi cenniMille stan pronti ognora argentei spilli.O quante volte a cavalier sagaceHo vedut’io le man render beate 905Uno apprestato a tempo unico spillo!Ma dove, ahi dove inonorato e soloLasci ’l Coltello a cui l’oro e l’acciaroDonàr gemina lama, e a cui la madreDe la gemma più bella d’Anfitrite 910Diè manico elegante ove il coloreCon dolce variar l’iride imita?Opra sol fia di lui se ne’ superbiConvivj ognaltro avanzerai per famaD’esimio Trinciatore, e se l’invidia 915De’ tuoi gran pari ecciterai qualora,Pollo o fagian con la forcina in altoSospeso, a un colpo il priverai dell’ancaMirabilmente. Or ti ricolmi alfineD’ambo i lati la giubba, ed oleosa 920Spagna e Rapè cui semplice OriguelaChiuda, o a molti colori oro dipinto;

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E cupide ad ornar tue bianche ditaSalgan le anella in fra le quali assaiPiù caro a te dell’adamante istesso 925Cerchietto inciso d’amorosi mottiStringati alquanto, e sovvenir ti facciaDe la pudica altrui Sposa a te cara.

Compiuto è il gran lavoro. Odi, o Signore,Sonar già intorno la ferrata zampa 930De’ superbi corsier che irrequietiNe’ grand’atrj sospigne arretra e volgeLa disciplina dell’ardito auriga.Sorgi, e t’appresta a render baldi e lietiDel tuo nobile incarco i bruti ancora. 935Ma a possente Signor scender non liceDa le stanze superne infin che al gelo,O al meriggio non abbia il cocchier stancoDurato un pezzo, onde l’uom servo intendaPer quanto immensa via natura il parta 940Dal suo Signore. I miei precetti intantoIo seguirò; che varie al tuo mattinoPortar dee cure il variar dei giorni.

Tal dì ti aspetta d’eloquenti fogliSerie a vergar, che al Rodano, al Lemano 945All’Amstel, al Tirreno, all’Adria leggaIl Librajo che Momo, e CitereaColmàr di beni, o il più di lui possenteAppaltator di forestiere sceneCon cui per opra tua facil donzella 950Sua virtù merchi, e non sperato ottengaGuiderdone al suo canto. O di grand’almaPrimo fregio ed onor BeneficenzaChe al merto porgi, ed a virtù la mano!Tu il ricco e il grande sopra il vulgo innalzi, 955Ed al concilio de gli Dei lo aggiugni.

Tal giorno ancora, o d’ogni giorno forseDen qualch’ore serbarsi al molle ferro

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Che il pelo a te rigermogliante a penaD’in su la guancia miete, e par che invidj, 960Ch’altri fuor che lui solo esplori o scopraUnqua il tuo sesso. Arroge a questi il giornoChe di lavacro universal convientiBagnar le membra, per tua propria mano,O per altrui con odorose spugne 965Trascorrendo la cute. È ver che alloraD’esser mortal ti sembrerà; ma innalzaTu allor la mente, e de’ grand’avi tuoiLe imprese ti rimembra e gli ozj illustriChe insino a te per secoli cotanti 970Misti scesero al chiaro altero sangue,E l’ubbioso pensier vedrai fuggirsiLunge da te per l’aere rapitoSu l’ale de la Gloria alto volanti;Et indi a poco sorgerai qual prima 975Gran Semidèo che a sè solo somiglia.Fama è così, che il dì quinto le FateLoro salma immortal vedean coprirsiGià d’orribili scaglie, e in feda serpeVolta strisciar sul suolo a sè facendo 980De le inarcate spire impeto e forza;Ma il primo sol le rivedea più belleFar beati gli amanti, e a un volger d’occhiMescere a voglia lor la terra e il mare.

Fia d’uopo ancor, che da le lunghe cure 985T’allevj alquanto, e con pietosa manoIl teso per gran tempo arco rallenti.Signore, al Ciel non è più cara cosaDi tua salute: e troppo a noi mortaliÈ il viver de’ tuoi pari util tesoro. 990Tu adunque allor che placida mattinaVestita riderà d’un bel serenoEsci pedestre, e le abbattute membraAll’aura salutar snoda e rinfranca.

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Di nobil cuojo a te la gamba calzi 995Purpureo stivaletto, onde il tuo piedeNon macchino giammai la polve e ’l limo,Che l’uom calpesta. A te s’avvolga intornoLeggiadra veste che sul dorso scioltaVada ondeggiando, e tue formose braccia 1000Leghi in manica angusta a cui vermiglioO cilestro velluto orni gli estremi.Del bel color che l’elitropio tigneSottilissima benda indi ti fasciLa snella gola: E il crin... Ma il crin, Signore, 1005Forma non abbia ancor da la man dottaDell’artefice suo; che troppo fora,Ahi! troppo grave error lasciar tant’opraDe le licenziose aure in balìa.Non senz’arte però vada negletto 1010Su gli omeri a cader; ma, o che naturaA te il nodrisca, o che da ignota fronteIl più famoso parrucchier lo tolga,E l’adatti al tuo capo, in sul tuo capoRipiegato l’afferri e lo sospenda 1015Con testugginei denti il pettin curvo.

Poi che in tal guisa te medesmo ornatoCon artificio negligente avrai,Esci pedestre a respirar talvoltaL’aere mattutino; e ad alta canna 1020Appoggiando la man, quasi balenoLe vie trascorri, e premi ed urta il volgoChe s’oppone al tuo corso. In altra guisaFora colpa l’uscir, però che andriènoMal distinti dal vulgo i primi eroi. 1025

Ciò ti basti per or. Già l’orioloA girtene ti affretta. Ohimè che vagoArsenal minutissimo di coseCiondola quindi, e ripercosso insiemeMolce con soavissimo tintinno! 1030

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Di costì che non pende? avvi per finoPiccioli cocchi e piccioli destrieriFinti in oro così, che sembran vivi.Ma v’hai tu il meglio? ah sì, che i miei precettiSagace prevenisti: ecco che splende 1035Chiuso in picciol cristallo il dolce PegnoDi fortunato amor. Lunge o profani,Che a voi tant’oltre penetrar non lice.E voi dell’altro secolo feroci,Ed ispid’avi i vostri almi nipoti 1040Venite oggi a mirar. Co’ sanguinosiPugnali a lato le campestri roccheVoi godeste abitar, truci all’aspetto,E per gran baffi rigidi la guanciaConsultando gli sgherri, e sol giojendo 1045Di trattar l’arme che d’orribil pallaGivan notturne a traforar le porteDel non meno di voi rivale armato.Ma i vostri almi nipoti oggi si stannoAd agitar fra le tranquille dita 1050Dell’oriolo i ciondoli vezzosi;Ed opra è lor se all’innocenza anticaTorna pur anco, e bamboleggia il mondo.

Or vanne, o mio Signore, e il pranzo allegraDe la tua Dama: a lei dolce ministro 1055Dispensa i cibi, e detta al suo palatoE a la sua fame inviolabil legge.Ma tu non obliar, che in nulla cosaEsser mediocre a gran Signor non lice:Abbia il popol confini; a voi natura 1060Donò senza confini e mente, e cuore.Dunque a la mensa, o tu schifo rifuggiOgni vivanda, e te medesmo rendiPer inedia famoso, o nome acquistaD’illustre voratore. Intanto addio 1065Degli uomini delizia, e di tua stirpe,

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E de la patria tua gloria e sostegno.Ecco che umìli in bipartita schieraT’accolgono i tuoi servi: altri già prontoVia se ne corre ad annunciare al mondo, 1070Che tu vieni a bearlo; altri a le bracciaTimido ti sostien mentre il doratoCocchio tu sali, e tacito, e severoSur un canto ti sdrai. Apriti o vulgo,E cedi il passo al trono ove s’asside 1075Il mio Signore: ahi te meschin s’ei perdeUn sol per te de’ preziosi istanti.Temi ’l non mai da legge, o verga, o funeDomabile cocchier, temi le rote,Che già più volte le tue membra in giro 1080Avvolser seco, e del tuo impuro sangueCorser macchiate, e il suol di lunga striscia,Spettacol miserabile! segnàro.

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IL MEZZOGIORNOPOEMETTO

(1765)

Ardirò ancor tra i desinari illustriSul Meriggio innoltrarmi umil Cantore,Poichè troppa di te cura mi punge,Signor, ch’io spero un dì veder maestroE dittator di graziosi modi 5All’alma gioventù che Italia onora.

Tal fra le tazze e i coronati vini,Onde all’ospite suo fe’ lieta pompaLa Punica Regina, i canti alzavaJopa crinito: e la Regina intantoDa’ begli occhi stranieri iva beendo 10L’oblivion del misero Sichèo.E tale allor che l’orba Itaca in vanoChiedea a Nettun la prole di Laerte,Femio s’udìa co’ versi e con la cetraLa facil mensa rallegrar de’ Proci 15Cui dell’errante Ulisse i pingui agnelliE i petrosi licori, e la consorteInvitavano al pranzo. Amici or piega,Giovin Signore, al mio cantar gli orecchiOr che tra nuove Elise, e novi Proci, 20E tra fedeli ancor Penelopèe,Ti guidano a la mensa i versi miei.

Già dal meriggio ardente il sol fuggendoVerge all’occaso: e i piccioli mortaliDominati dal tempo escon di novo 25A popolar le vie ch’all’orienteVolgon ombra già grande: a te null’altroDominator fuor che te stesso è dato.

Alfin di consigliarsi al fido speglioLa tua Dama cessò. Quante uopo è volte 30

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Chiedette, e rimandò novelli ornati;Quante convien de le agitate ognoraDamigelle or con vezzi or con garritiRovesciò la fortuna; a se medesmaQuante volte convien piacque e dispiacque; 35E quante volte è d’uopo a sè ragioneFece, e a’ suoi lodatori. I mille intornoDispersi arnesi alfin raccolse in unoLa consapevol del suo cor ministra;Alfin velata d’un leggier zendado 40È l’ara tutelar di sua beltate;E la seggiola sacra, un po’ rimossa,Languidetta l’accoglie. Intorno ad essaPochi giovani eroi van rimembrandoI cari lacci altrui, mentre da lungi 45Ad altra intorno i cari lacci vostriPochi giovani eroi van rimembrando.

Il marito gentil queto sorrideA le lor celie; o s’ei si cruccia alquanto,Del tuo lungo tardar solo si cruccia. 50Nulla però di lui cura te prendaOggi, o Signore, e s’egli a par del vulgoProstrò l’anima imbelle, e non sdegnosseDi chiamarsi marito, a par del vulgoSenta la fame esercitargl’in petto 55Lo stimol fier degli oziosi sughiAvidi d’esca: o s’a un marito alcunaD’anima generosa orma rimane,Ad altra mensa il piè rivolga; e d’altraDama al fianco s’assida il cui marito 60Pranzi altrove lontan d’un’altra a latoCh’abbia lungi lo sposo: e così nuoveAnella intrecci a la catena immensaOnde, alternando, Amor l’anime annoda.

Ma sia che vuol, tu baldanzoso innoltra 65Ne le stanze più interne: ecco precorre

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Per annunciarti al gabinetto estremoIl noto stropiccìo de’ piedi tuoi.Già lo Sposo t’incontra. In un balenoSfugge dall’altrui man l’accorta mano 70De la tua Dama: e il suo bel labbro intantoT’apparecchia un sorriso. Ognun s’arretraChe conosce i tuoi dritti, e si confortaCon le adulte speranze a te lasciandoLibero e scarco il più beato seggio. 75Tal colà dove infra gelose muraBizanzio ed Ispaàn guardano il fioreDe la beltà che il popolato EgèoManda, e l’Armeno, e il Tartaro, e il CircassoPer delizia d’un solo, a bear entra 80L’ardente sposa il grave Munsulmano.Tra ’l maestoso passeggiar gli ondeggianoLe late spalle, e sopra l’alta testaLe avvolte fasce: dall’arcato ciglioEi volge intorno imperioso il guardo; 85E vede al su’ apparire umil chinarsi,E il piè ritrar l’effeminata, occhiutaTurba, che sorridendo egli dispregia.

Ora imponi, o Signor, che tutte a schieraSi dispongan tue grazie; e a la tua Dama 90Quanto elegante esser più puoi ti mostra.Tengasi al fianco la sinistra manoSotto il breve giubbon celata; e l’altraSul finissimo lin posi, e s’ascondaVicino al cor: sublime alzisi ’l petto, 95Sorgan gli omeri entrambi, e verso leiPiega il duttile collo; ai lati stringiLe labbra un poco; ver lo mezzo acuteRendile alquanto, e da la bocca poiCompendiata in guisa tal sen esca 100Un non inteso mormorìo. La destraElla intanto ti porga: e molle caschi

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Sopra i tiepidi avorj un doppio bacio.Siedi tu poscia; e d’una man trascinaPiù presso a lei la seggioletta. Ognuno 105Tacciasi; ma tu sol curvato alquantoSeco susurra ignoti detti a cuiConcordin vicendevoli sorrisi,E sfavillar di cupidette luciChe amor dimostri, o che lo finga almeno. 110

Ma rimembra, o Signor, che troppo nuoceNegli amorosi cor lunga e ostinataTranquillità. Su l’oceàno ancoraPerigliosa è la calma: oh quante volteDall’immobile prora il buon nocchiere 115Invocò la tempesta! e sì crudeleSoccorso ancor gli fu negato; e giacqueAffamato assetato estenuatoDal velenoso aere stagnante oppressoTra l’inutile ciurma al suol languendo. 120Però ti giovi de la scorsa notteRicordar le vicende; e con obliquiMotti pungerl’alquanto, o se nel voltoPaga più che non suole accor fu vistaIl novello straniere; e co’ bei labbri 125Semiaperti aspettar, quasi marinaConca, la soavissima rugiadaDe’ novi accenti: o se cupida troppoCol guardo accompagnò di loggia in loggiaIl seguace di Marte, idol vegliante 130De’ feminili voti, a la cui chiomaCol lauro trionfal s’avvolgon milleE mille frondi dell’Idalio mirto.

Colpevole o innocente allor la bellaDama improviso adombrerà la fronte 135D’un nuvoletto di verace sdegnoO simulato; e la nevosa spallaScoterà un poco; e premerà col dente

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L’infimo labbro: e volgeransi alfineGli altri a bear le sue parole estreme. 140Fors’anco rintuzzar di tue quereleSaprà l’agrezza; e sovvenir farattiLe visite furtive ai tetti, ai cocchiEd a le logge de le mogli illustriDi ricchi cittadini a cui sovente, 145Per calle che il piacer mostra, piegarsiLa maestà di cavalier non sdegna.

Felice te, se mesta e disdegnosaLa conduci a la mensa; e s’ivi puoiSolo piegarla a comportar de’ cibi 150La nausea universal. Sorridan pureA le vostre dolcissime quereleI convitati; e l’un l’altro percotaCol gomito maligno: ah nondimenoCome fremon lor alme; e quanta invidia 155Ti portan, te veggendo unico scopoDi sì bell’ire! Al solo Sposo è datoNodrir nel cor magnanima quiete,Mostrar nel volto ingenuo riso, e tantoDocil fidanza ne le innocue luci. 160

O tre fiate avventurosi e quattroVoi del nostro buon secolo maritiQuanto diversi da’ vostr’avi! Un tempoUscìa d’Averno con viperei crini,Con torbid’occhi irrequieti, e fredde 165Tenaci branche un indomabil mostroChe ansando e anelando intorno givaAi nuziali letti; e tutto empieaDi sospetto e di fremito e di sangue.Allor gli antri domestici, le selve, 170L’onde, le rupi alto ulular s’udiènoDi feminili strida: allor le belleDame con mani incrocicchiate, e luciPavide al ciel, tremando lagrimando,

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Tra la pompa feral de le lugubri 175Sale vedean dal truce sposo offrirsiLe tazze attossicate o i nudi stili.Ahi pazza Italia! Il tuo furor medesmoOltre l’alpi, oltre ’l mar destò le risaPresso agli emoli tuoi che di gelosa 180Titol ti diero; e t’è serbato ancoraIngiustamente. Non di cieco amoreVicendevol desire, alterno impulso,Non di costume simiglianza or guidaGl’incauti sposi al talamo bramato; 185Ma la Prudenza coi canuti padriSiede librando il molt’oro, e i diviniAntiquissimi sangui: e allor che l’unoBene all’altro risponde, ecco ImenèoScoter sua face; e unirsi al freddo sposo, 190Di lui non già, ma de le nozze amanteLa freddissima vergine che in coreGià volge i riti del Bel Mondo; e lietaL’indifferenza maritale affronta.Così non fien de la crudel Megera 195Più temuti gli sdegni. Oltre PireneContenda or pur le desiate porteAi gravi amanti; e di feminee risseTurbi Oriente: Italia oggi si rideDi quello ond’era già derisa; tanto 200Puote una sola età volger le menti.

Ma già rimbomba d’una in altra salaIl tuo nome, o Signor; di già l’udìroL’ime officine ove al volubil tattoDegl’ingenui palati arduo s’appresta 205Solletico che molle i nervi scota,E varia seco voluttà conducaFino al core dell’alma. In bianche spoglieS’affrettano a compir la nobil opraProdi ministri: e lor sue leggi detta 210

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Una gran mente del paese uscitaOve Colbert, e Richelieu fur chiari.Forse con tanta maestade in frontePresso a le navi ond’Ilio arse e cadèo,Per gli ospiti famosi il grande Achille 215Disegnava la cena: e seco intantoLe vivande cocean sui lenti fochiPàtroclo fido, e il guidator di carriAutomedonte. O tu sagace mastroDi lusinghe al palato udrai fra poco 220Sonar le lodi tue dall’alta mensa.Chi fia che ardisca di trovar pur macchiaNel tuo lavoro? Il tuo Signor farassiCampion de le tue glorie; e male a quantiCercator di conviti oseran motto 225Pronunciar contro te; chè sul cocenteMeriggio andran peregrinando poiMiseri e stanchi, e non avran cui piacciaPiù popolar con le lor bocche i pranzi.

Imbandita è la mensa. In piè d’un salto 230Alzati e porgi, almo Signor, la manoA la tua Dama; e lei dolce cadenteSopra di te col tuo valor sostieni,E al pranzo l’accompagna. I convitatiVengan dopo di voi; quindi ’l marito 235Ultimo segua. O prole alta di numiNon vergognate di donar voi ancoPochi momenti al cibo: in voi non fiaVil opra il pasto; a quei soltanto è vile,Che il duro irresistibile bisogno 240Stimola e caccia. All’impeto di quelloCedan l’orso, la tigre, il falco, il nibbio,L’orca, il delfino, e quant’altri mortaliVivon quaggiù; ma voi con rosee labbraLa sola Voluttade inviti al pasto, 245La sola Voluttà che le celesti

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Mense imbandisce, e al nèttare convitaI viventi per sè Dei sempiterni.

Forse vero non è; ma un giorno è fama,Che fur gli uomini eguali; e ignoti nomi 250Fur Plebe, e Nobiltade. Al cibo, al bere,All’accoppiarsi d’ambo i sessi, al sonnoUn istinto medesmo, un’egual forzaSospingeva gli umani: e niun consiglioNiuna scelta d’obbietti o lochi o tempi 255Era lor conceduta. A un rivo stesso,A un medesimo frutto, a una stess’ombraConvenivano insieme i primi padriDel tuo sangue, o Signore, e i primi padriDe la plebe spregiata. I medesm’antri 260Il medesimo suolo offrieno loroIl riposo, e l’albergo; e a le lor membraI medesmi animai le irsute vesti.Sol’una cura a tutti era comuneDi sfuggire il dolore, e ignota cosa 265Era il desire agli uman petti ancora.

L’uniforme degli uomini sembianzaSpiacque a’ Celesti: e a variar la TerraFu spedito il Piacer. Quale già i numiD’Ilio sui campi, tal l’amico Genio, 270Lieve lieve per l’aere labendoS’avvicina a la Terra; e questa rideDi riso ancor non conosciuto. Ei move,E l’aura estiva del cadente rivo,E dei clivi odorosi a lui blandisce 275Le vaghe membra, e lentamente sdrucciolaSul tondeggiar dei muscoli gentile.Gli s’aggiran d’intorno i Vezzi e i Giochi,E come ambrosia, le lusinghe scorrongliDa le fraghe del labbro: e da le luci 280Socchiuse, languidette, umide fuori

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Di tremulo fulgore escon scintilleOnd’arde l’aere che scendendo ei varca.

Alfin sul dorso tuo sentisti, o Terra,Sua prim’orma stamparsi; e tosto un lento 285Fremere soavissimo si sparseDi cosa in cosa; e ognor crescendo, tutteDi natura le viscere commosse:Come nell’arsa state il tuono s’odeChe di lontano mormorando viene; 290E col profondo suon di monte in monteSorge; e la valle, e la foresta intornoMugon del fragoroso alto rimbombo,Finchè poi cade la feconda pioggiaChe gli uomini e le fere e i fiori e l’erbe 295Ravviva riconforta allegra e abbella.

Oh beati tra gli altri, oh cari al cieloViventi a cui con miglior man TitanoFormò gli organi illustri, e meglio tese,E di fluido agilissimo inondolli! 300Voi l’ignoto solletico sentisteDel celeste motore. In voi ben tostoLe voglie fermentàr, nacque il desio.Voi primieri scopriste il buono, il meglio;E con foga dolcissima correste 305A possederli. Allor quel de’ due sessi,Che necessario in prima era soltanto,D’amabile, e di bello il nome ottenne.Al giudizio di Paride voi desteIl primo esempio: tra feminei volti 310A distinguer s’apprese; e voi sentistePrimamente le grazie. A voi tra milleSapor fur noti i più soavi: alloraFu il vin preposto all’onda; e il vin s’elesseFiglio de’ tralci più riarsi, e posti 315A più fervido sol, ne’ più sublimiColli dove più zolfo il suolo impingua.

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Così l’Uom si divise: e fu il SignoreDai Volgari distinto a cui nel senoTroppo languìr l’ebeti fibre, inette 320A rimbalzar sotto i soavi colpiDe la nova cagione onde fur tocche:E quasi bovi, al suol curvati ancoraDinanzi al pungol del bisogno andàro;E tra la servitute, e la viltade, 325E ’l travaglio, e l’inopia a viver nati,Ebber nome di Plebe. Or tu SignoreChe feltrato per mille invitte reniSangue racchiudi, poichè in altra etadeArte, forza, o fortuna i padri tuoi 330Grandi rendette, poichè il tempo alfineLor divisi tesori in te raccolse,Del tuo senso gioisci, a te dai numiConcessa parte: e l’umil vulgo intantoDell’industria donato, ora ministri 335A te i piaceri tuoi nato a recarliSu la mensa real, non a gioirne.

Ecco la Dama tua s’asside al desco:Tu la man le abbandona; e mentre il servoLa seggiola avanzando, all’agil fianco 340La sottopon, sì che lontana troppoElla non sia, nè da vicin col pettoPrema troppo la mensa, un picciol saltoSpicca, e chino raccogli a lei del lemboIl diffuso volume. A lato poscia 345Di lei tu siedi: a cavalier gentileIl fianco abbandonar de la sua DamaNon fia lecito mai, se già non sorgeStrana cagione a meritar, ch’egli usiTanta licenza. Un Nume ebber gli antichi 350Immobil sempre, e ch’allo stesso padreDegli Dei non cedette, allor ch’ei venneIl Campidoglio ad abitar, sebbene

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E Giuno e Febo e Venere e GradivoE tutti gli altri Dei da le lor sedi 355Per riverenza del Tonante uscìro.

Indistinto ad ognaltro il loco siaPresso al nobile desco: e s’alcun ardeAmbizioso di brillar fra gli altri,Brilli altramente. Oh come i varj ingegni 360La libertà del genial convitoDesta ed infiamma! Ivi il gentil Motteggio,Maliziosetto svolazzando intorno,Reca su l’ali fuggitive ed agitaOra i raccolti da la fama errori 365De le belle lontane, ora d’amanteO di marito i semplici costumi:E gode di mirare il queto sposoRider primiero, e di crucciar con lieviMinacce in cor de la sua fida sposa 370I timidi segreti. Ivi abbracciataCo’ festivi Racconti intorno giraL’elegante Licenza: or nuda appareCome le Grazie; or con leggiadro veloSolletica vie meglio; e s’affatica 375Di richiamar de le matrone al voltoQuella rosa gentil che fu già un tempoOnor di belle donne, all’Amor caraE cara all’Onestade; ora ne’ campiCresce solinga, e tra i selvaggi scherzi 380A le rozze villane il viso adorna.

Già s’avanza la mensa. In mille guiseE di mille sapor, di color milleLa variata eredità degli aviScherza ne’ piatti; e giust’ordine serba. 385Forse a la Dama di sua man le dapiPiacerà ministrar, che novo pregioAcquisteran da lei. Veloce il ferroChe forbito ti attende al destro lato

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Nudo fuor esca; e come quel di Marte, 390Scintillando lampeggi: indi la puntaFra due dita ne stringi, e chino a leiTu il presenta, o Signore. Or si vedrannoDe la candida mano all’opra intentaI muscoli giocar soavi e molli: 395E le grazie, piegandosi dintorno,Vestiran nuove forme, or da le ditaFuggevoli scorrendo, ora su l’altoDe’ bei nodi insensibili aleggiando,Et or de le pozzette in sen cadendo, 400Che dei nodi al confin v’impresse Amore.Mille baci di freno impazientiEcco sorgon dal labbro ai convitati;Già s’arrischian, già volano, già un guardoSfugge dagli occhi tuoi, che i vanni audaci 405Fulmina, et arde, e tue ragion difende.Sol de la fida sposa a cui se’ caroIl tranquillo marito immoto siede:E nulla impression l’agita e scuoteDi brama, o di timor; però che Imene 410Da capo a piè fatollo. Imene or portaNon più serti di rose avvolti al crine,Ma stupido papavero grondanteDi crassa onda Letèa: Imene, e il SonnoOggi han pari le insegne. Oh come spesso 415La Dama dilicata invoca il SonnoChe al talamo presieda, e seco inveceTrova Imenèo; e stupida rimaneQuasi al meriggio stanca villanellaChe tra l’erbe innocenti adagia il fianco 420Queta e sicura; e d’improviso vedeUn serpe; e balza in piedi inorridita;E le rigide man stende, e ritraggeIl gomito, e l’anelito sospende;E immota e muta, e con le labbra aperte 425

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Obliquamente il guarda! Oh come spessoIncauto amante a la sua lunga penaCercò sollievo: et invocar credendoImene, ahi folle! invocò il Sonno; e questiDi fredda oblivion l’alma gli asperse; 430E d’invincibil noja, e di torpenteIndifferenza gli ricinse il core.

Ma se a la Dama dispensar non piaceLe vivande, o non giova, allor tu stessoIl bel lavoro imprendi. Agli occhi altrui 435Più brillerà così l’enorme gemma,Dolc’esca agli usurai, che quella osàroA le promesse di Signor preporreVillanamente: ed osservati fienoI manichetti, la più nobil opra 440Che tessesse giammai Anglica Aracne.Invidieran tua dilicata manoI convitati; inarcheran le cigliaSul difficil lavoro, e d’oggi in poiTi fia ceduto il trinciator coltello 445Che al cadetto guerrier serban le mense.

Teco son io, Signor; già intendo e veggoFelice osservatore i detti e i mottiDe’ Semidei che coronando stannoE con vario costume ornan la mensa. 450Or chi è quell’eroe che tanta parteColà ingombra di loco, e mangia e fiutaE guata e de le altrui cure ridendoSì superba di ventre agita mole?Oh di mente acutissima dotate 455Mamme del suo palato! oh da mortaliInvidiabil anima che siedeTra la mirabil lor testura; e quindiL’ultimo del piacer deliquio sugge!Chi più saggio di lui penètra e intende 460La natura migliore; o chi più industre

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Converte a suo piacer l’aria, la terra,E ’l ferace di mostri ondoso abisso?Qualor s’accosta al desco altrui, paventanoSuo gusto inesorabile le smilze 465Ombre de’ padri, che per l’aria lieviS’aggirano vegliando ancora intornoAi ceduti tesori: e piangon lasseLe mal spese vigilie, i sobrj pasti,Le in preda all’aquilon case, le antique 470Digiune rozze, gli scommessi cocchjForte assordanti per stridente ferroLe piazze e i tetti: e lamentando vannoGl’invan nudati rustici, le famiMal desiate, e de le sacre toghe 475L’armata in vano autorità sul vulgo.

Chi siede a lui vicin? Per certo il casoCongiunse accorto i due leggiadri estremiPerchè doppio spettacolo campeggi;E l’un dell’altro al par più lustri e splenda. 480Falcato Dio degli orti a cui la GrecaLàmsaco d’asinelli offrir soleaVittima degna, al giovine seguaceDel sapiente di Samo i doni tuoiReca sul desco: egli ozioso siede 485Dispregiando le carni; e le nariciSchifo raggrinza, in nauseanti rugheRipiega i labbri, e poco pane intantoRumina lentamente. Altro giammaiA la squallida fame eroe non seppe 490Durar sì forte: nè lassezza il vinseNè deliquio giammai nè febbre ardente;Tanto importa lo aver scarze le membra,Singolare il costume, e nel bel mondoOnor di filosofico talento. 495Qual anima è volgar la sua pietadeAll’Uom riserbi; e facile ribrezzo

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Dèstino in lui del suo simìle i danni,I bisogni, e le piaghe. Il cor di luiSdegna comune affetto; e i dolci moti 500A più lontano limite sospinge.«Pera colui che prima osò la manoArmata alzar su l’innocente agnella,E sul placido bue: nè il truculentoCor gli piegàro i teneri belati 505Nè i pietosi mugiti nè le molliLingue lambenti tortuosamenteLa man che il loro fato, ahimè, stringea».Tal ei parla, o Signore; e sorge intantoAl suo pietoso favellar dagli occhi 510De la tua Dama dolce lagrimettaPari a le stille tremule, brillantiChe a la nova stagion gemendo vannoDai palmiti di Bacco entro commossiAl tiepido spirar de le prim’aure 515Fecondatrici. Or le sovviene il giorno,Ahi fero giorno! allor che la sua bellaVergine cuccia de le Grazie alunna,Giovenilmente vezzeggiando, il piedeVillan del servo con l’eburneo dente 520Segnò di lieve nota: ed egli audaceCon sacrilego piè lanciolla: e quellaTre volte rotolò; tre volte scosseGli scompigliati peli, e da le molliNari soffiò la polvere rodente. 525Indi i gemiti alzando: aita aitaParea dicesse; e da le aurate volteA lei l’impietosita Eco rispose:E dagl’infimi chiostri i mesti serviAsceser tutti; e da le somme stanze 530Le damigelle pallide tremantiPrecipitàro. Accorse ognuno; il voltoFu spruzzato d’essenze a la tua Dama;

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Ella rinvenne alfin: l’ira, il doloreL’agitavano ancor; fulminei sguardi 535Gettò sul servo, e con languida voceChiamò tre volte la sua cuccia: e questaAl sen le corse; in suo tenor vendettaChieder sembrolle: e tu vendetta avestiVergine cuccia de le grazie alunna. 540L’empio servo tremò; con gli occhi al suoloUdì la sua condanna. A lui non valseMerito quadrilustre; a lui non valseZelo d’arcani uficj: in van per luiFu pregato e promesso; ei nudo andonne 545Dell’assisa spogliato ond’era un giornoVenerabile al vulgo. In van novelloSignor sperò; chè le pietose dameInorridìro, e del misfatto atroceOdiàr l’autore. Il misero si giacque 550Con la squallida prole, e con la nudaConsorte a lato su la via spargendoAl passeggiere inutile lamento:E tu vergine cuccia, idol placatoDa le vittime umane, isti superba. 555

Fia tua cura, o Signore, or che più ferveLa mensa, di vegliar su i cibi; e prontoScoprir qual d’essi a la tua Dama è caro:O qual di raro augel, di stranio pesceParte le aggrada. Il tuo coltello Amore 560Anatomico renda, Amor che tutteDegli animali noverar le membraPuote; e discerner sa qual abbian tutteUso, e natura. Più d’ognaltra cosaPerò ti caglia rammentar mai sempre 565Qual più cibo le nuoca, o qual più giovi;E l’un rapisci a lei, l’altro concediCome d’uopo ti par. Serbala, oh dio,Serbala ai cari figlj. Essi dal giorno

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Che le alleviàro il dilicato fianco 570Non la rivider più: d’ignobil pettoEsaurirono i vasi, e la ricolmaNitidezza serbàro al sen materno.Sgridala, se a te par, ch’avida troppoAgogni al cibo; e le ricorda i mali 575Che forse avranno altra cagione, e ch’ellaAl cibo imputerà nel dì venturo.Nè al cucinier perdona a cui non calseTanta salute. A te sui servi altruiRagion donossi in quel felice istante 580Che la noia, o l’amor vi strinser amboIn dolce nodo; e dier ordini e leggi.Per te sgravato d’odioso incarcoTi fia grato colui che dritto vantaD’impor novo cognome a la tua Dama; 585E pinte trascinar su gli aurei cocchiGiunte a quelle di lei le proprie insegne:Dritto illustre per lui, e ch’altri secoAudace non tentò divider mai.

Ma non sempre, o Signor, tue cure fieno 590A la Dama rivolte: anco taloraTi fia lecito aver qualche riposo;E de la quercia trionfale all’ombraTe de la polve olimpica tergendo,Al vario ragionar degli altri eroi 595Porgere orecchio, e il tuo sermone ai loroOzioso mischiar. Già scote un d’essiLe architettate del bel crine anellaSu l’orecchio ondeggianti; e ad ogni scossa,De’ convitati a le narici manda 600Vezzoso nembo d’arabi profumi.Allo spirto di lui l’alma NaturaFu prodiga così, che più non seppeDi che il volto abbellirgli; e all’Arte disse:Compisci ’l mio lavoro; e l’Arte suda 605

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Sollecita d’intorno all’opra illustre.Molli tinture, preziose linfe,Polvi, pastiglie, dilicati unguentiTutto arrischia per lui. Quanto di novo,E mostruoso più sa tesser spola, 610O bulino intagliar Francese ed AngloA lui primo concede. Oh lui beato,Che primo può di non più viste formeTabacchiera mostrar! l’etica invidiaI Grandi eguali a lui lacera, e mangia; 615Ed ei pago di sè, superbamenteCrudo fa loro balenar su gli occhiL’ultima gloria onde Parigi ornollo.Forse altera così d’Egitto in facciaVaga Prole di Semele apparisti 620I giocondi rubini alto levandoDel grappolo primiero: e tal tu forseTessalico garzon mostrasti a JolcoL’auree lane rapite al fero Drago.

Vedi, o Signor, quanto magnanim’ira 625Nell’eroe che vicino all’altro siedeA quel novo spettacolo si desta:Vedi come s’affanna, e sembra il ciboObliar declamando. Al certo al certoIl nemico è a le porte: ohimè i Penati 630Tremano, e in forse è la civil salute.Ah no; più grave a lui, più preziosaCura lo infiamma: «Oh depravati ingegniDegli artefici nostri! In van si speraDall’inerte lor man lavoro industre, 635Felice invenzion d’uom nobil degna:Chi sa intrecciar, chi sa pulir fermaglioA nobile calzar? chi tesser drappoSoffribil tanto, che d’ornar presumaLe membra di signor che un lustro a pena 640Di feudo conti? In van s’adopra e stanca

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Chi ’l genio lor bituminoso e crassoOsa destar. Di là dall’alpi è forzaRicercar l’eleganza: e chi giammaiFuor che il Genio di Francia osato avrebbe 645Su i menomi lavori i Grechi ornatiRecar felicemente? Andò romitoIl Bongusto finora spaziandoSu le auguste cornici, e su gli eccelsiTimpani de le moli al Nume sacre, 650E agli uomini scettrati; oggi ne scendeVago alfin di condurre i gravi fregiInfra le man di cavalieri e dame:Tosto forse il vedrem trascinar ancoSu molli veli, e nuziali doni 655Le Greche travi; e docile trastulloFien de la Moda le colonne, e gli archiOve sedeano i secoli canuti».

Commercio alto gridar, gridar commercioAll’altro lato de la mensa or odi 660Con fanatica voce: e tra ’l fragoreD’un peregrino d’eloquenza fiume,Di bella novità stampate al conioLe forme apprendi, onde assai meglio poiBrillantati i pensier picchin la mente. 665Tu pur grida commercio; e la tua DamaAnco un motto ne dica. Empiono è veroIl nostro suol di Cerere i favori,Che tra i folti di biade immensi campiMove sublime; e fuor ne mostra a pena 670Tra le spighe confuso il crin dorato.Bacco, e Vertunno i lieti poggi intornoNe coronan di poma: e Pale amicaLatte ne preme a larga mano, e tondeCandidi velli, e per li prati pasce 675Mille al palato uman vittime sacre:Cresce fecondo il lin soave cura

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Del verno rusticale; e d’infinitaSerie ne cinge le campagne il tantoPer la morte di Tisbe arbor famoso. 680Che vale or ciò? Su le natie lor balzeRodan le capre; ruminando il bueLungo i prati natii vada; e la plebeNon dissimile a lor, si nutra e vestaDe le fatiche sue; ma a le grand’alme 685Di troppo agevol ben schife CillenioIl comodo presenti a cui le migliaPregio acquistino, e l’oro; e d’ogn’intorno:Commercio risonar s’oda, commercio.Tale dai letti de la molle rosa 690Sìbari ancor gridar soleva; i lumiDisdegnando volgea dai campi aviti,Troppo per lei ignobil cura; e mentreCartagin dura a le fatiche, e Tiro,Pericolando per l’immenso sale, 695Con l’oro altrui le voluttà cambiava,Sìbari si volgea sull’altro lato;E non premute ancor rose cercando,Pur di commercio novellava, e d’arti.

Nè senza i miei precetti, e senza scorta 700Inerudito andrai, Signor, qualoraIl perverso destin dal fianco amatoT’allontani a la mensa. Avvien sovente,Che un Grande illustre or l’alpi, or l’oceànoVarca, e scende in Ausonia, orribil ceffo 705Per natura o per arte, a cui CiprignaRose le nari; e sale impuro e crudoSnudò i denti ineguali. Ora il distingueRisibil gobba, or furiosi sguardi,Obliqui o loschi; or rantoloso avvolge 710Tra le tumide fauci ampio volumeDi voce che gorgoglia, ed esce alfineCome da inverso fiasco onda che goccia.

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Or d’avi or di cavalli ora di FriniInstancabile parla, or de’ Celesti 715Le folgori deride. Aurei monili,E gemme e nastri gloriose pompeL’ingombran tutto; e gran titolo suonaDinanzi a lui. Qual più tra noi risplendeInclita stirpe, che onorar non voglia 720D’un ospite sì degno i lari suoi?Ei però sederà de la tua DamaAl fianco ancora: e tu lontan da GiunoTra i Silvani capripedi n’andraiPresso al marito; e pranzerai negletto 725Col popol folto degli Dei minori.

Ma negletto non già dagli occhi andraiDe la Dama gentil, che a te rivoltiIncontreranno i tuoi. L’aere a quell’urtoArderà di faville: e Amor con l’ali 730L’agiterà. Nel fortunato incontroI messaggier pacifici dell’almaCambieran lor novelle, e alternamenteSpinti, rifluiranno a voi con dolceDelizioso tremito sui cori. 735Tu le ubbidisci allora, o se t’invitaLe vivande a gustar che a lei vicineL’ordin dispose, o se a te chiede in veceQuella che innanzi a te sue voglie pungeNon col soave odor, ma con le nove 740Leggiadre forme onde abbellir la seppeDell’ammirato cucinier la mano.Con la mente si pascono gli DeiSopra le nubi del brillante Olimpo:E le labbra immortali irrita e move 745Non la materia, ma il divin lavoro.

Nè intento meno ad ubbidir saraiI cenni del bel guardo allor che quellaDi licor peregrino ai labbri accosta

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Colmo bicchiere a lo cui orlo intorno 750Serpe dorata striscia; o a cui vermigliaCera la base impronta, e par, che dica:Lungi o labbra profane: al labbro soloDe la Diva che qui soggiorna e regnaIl castissimo calice si serbi: 755Nè cavalier con l’alito maschileOsi appannarne il nitido cristallo,Nè dama convitata unqua presumaDi porvi i labbri; e sien pur casti e puri,E quant’esser si può cari all’amore. 760Nessun’altra è di lei più pura cosa;Chi macchiarla oserà? Le Ninfe in vanoDa le arenose loro urne versandoCento limpidi rivi, al candor primoTornar vorrièno il profanato vaso 765E degno farlo di salir di novoA le labbra celesti, a cui non liceInviolate approssimarsi ai vasiChe convitati cavalieri, e dameConvitate macchiar coi labbri loro. 770Tu ai cenni del bel guardo, e de la manoChe reggendo il bicchier, sospesa ondeggia,Affettuoso attendi. I guardi tuoiSfavillando di gioja, accolgan lietiIl brindisi segreto; e tu ti accingi 775In simil modo a tacita risposta.

Immortal come voi la nostra MusaBrindisi grida all’uno, e all’altro amante;All’altrui fida sposa a cui se’ caro,E a te, Signor, sua dolce cura e nostra. 780Come annoso licor Lièo vi mesce,Tale Amore a voi mesca eterna giojaNon gustata al marito, e da coloroInvidiata che gustata l’hanno.Veli con l’ali sue sagace oblìo 785

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Le alterne infedeltà che un cor dall’altroPotrièno un giorno separar per sempreE sole agli occhi vostri Amor discopraLe alterne infedeltà che in ambo i coriVentilar possan le cedenti fiamme. 790Un sempiterno indissolubil nodoÀuguri ai vostri cor volgar cantore;Nostra nobile Musa a voi desiaSol fin che piace a voi durevol nodo.Duri fin che a voi piace; e non si sciolga 795Senza che Fama sopra l’ali immenseTolga l’alta novella, e grande n’empiaCol reboàto dell’aperta trombaL’ampia cittade, e dell’Enotria i montiE le piagge sonanti, e s’esser puote, 800La bianca Teti, e Guadiana, e Tule.Il mattutino gabinetto, il corso,Il teatro, la mensa in vario stileNe ragionin gran tempo: ognun ne chiedaIl dolente marito; ed ei dall’alto 805La lamentabil favola cominci.Tal su le scene ove agitar soleaL’ombre tinte di sangue Argo piagnente,Squallido messo al palpitante coroNarrava, come furiando Edipo 810Al talamo corresse incestuoso;Come le porte rovescionne, e comeAl subito spettacolo ristèQuando vicina del nefando lettoVide in un corpo solo e sposa e madre 815Pender strozzata; e del fatale uncinoLe mani armossi; e con le proprie maniA sè le care luci da la testaCon le man proprie misero strapposse.

Ecco volge al suo fine il pranzo illustre. 820Già Como, e Dionisio al desco intorno

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Rapidissimamente in danza giranoCon la libera Gioja: ella saltando,Or questo or quel dei convitati lieveTocca col dito; e al suo toccar scoppiettano 825Brillanti vivacissime scintilleCh’altre ne destan poi. Sonan le risa;E il clamoroso disputar s’accende.La nobil vanità punge le menti;E l’Amor di sè sol, baldo scorrendo, 830Porge un scettro a ciascuno, e dice: Regna.Questi i concilj di Bellona, e quegliPenetra i tempj de la Pace. Un guidaI condottieri: ai consiglier consiglioL’altro dona, e divide e capovolge 835Con seste ardite il pelago e la terra.Qual di Pallade l’arti e de le MuseGiudica e libra: qual ne scopre acutoL’alte cagioni; e i gran principj abbatteCui creò la natura, e che tiranni 840Sopra il senso degli uomini regnàroGran tempo in Grecia; e ne la Tosca terraRinacquer poi più poderosi e forti.

Cotanto adunque di sapere è datoA nobil mente? Oh letto, oh specchio, oh mensa, 845Oh corso, oh scena, oh feudi, oh sangue, oh avi,Che per voi non s’apprende? Or tu Signore,Col volo ardito del felice ingegnoT’ergi sopra d’ognaltro. Il campo è questoOve splender più dei: nulla scienza, 850Sia quant’esser si vuole arcana e grande,Ti spaventi giammai. Se cosa udisti,O leggesti al mattino onde tu possaGloria sperar; qual cacciator che segueCircuendo la fera, e sì la guida 855E volge di lontan, che a poco a pocoS’avvicina a le insidie, e dentro piomba;

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Tal tu il sermone altrui volgi sagaceFinchè là cada ove spiegar ti gioviIl tuo novo tesor. Se nova forma 860Del parlare apprendesti, allor ti piacciaMateria espor che, favellando, ammettaLa nova gemma: e poi che il punto hai colto,Ratto la scopri, e sfolgorando abbagliaQual altra è mente che superba andasse 865Di squisita eloquenza ai gran convivj.In simil guisa il favoloso amanteDell’animosa vergin di DordonaAi cavalier che l’assalien superbiUsar lasciava ogni lor possa ed arte; 870Poi nel miglior de la terribil pugnaSvelava il don dell’amoroso Mago:E quei sorpresi dall’immensa luceCadeano ciechi e soggiogati a terra.Se alcun di Zoroastro, e d’Archimede 875Discepol sederà teco a la mensa,A lui ti volgi: seco lui ragiona;Suo linguaggio ne apprendi, e quello poiQuas’innato a te fosse, alto ripeti:Nè paventar quel che l’antica fama 880Narrò de’ suoi compagni. Oggi la divaUrania il crin compose: e gl’irti alunniSmarriti vergognosi balbettantiTrasse da le lor cave ove pur dianziCol profondo silenzio e con la notte 885Tenean consiglio: indi le serve bracciaFornien di leve onnipotenti ond’altoSalisser poi piramidi, obelischiAd eternar de’ popoli superbiI gravi casi: oppur con feri dicchi 890Stavan contro i gran letti; o di pignoneAudace armati spaventosamenteCozzavan con la piena, e giù a traverso

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Spezzate, dissipate rovesciavanoLe tetre corna, decima fatica 895D’Ercole invitto. Ora i selvaggi amiciUrania incivilì: baldi e leggiadriNel gran mondo li guida o tra ’l clamoreDe’ frequenti convivj, oppur tra i vezziDe’ gabinetti ove a la docil Dama, 900E al saggio Cavalier mostran qual viaVenere tenga; e in quante forme o qualiSuo volto lucidissimo si cambj.

Nè del Poeta temerai, che beffiCon satira indiscreta i detti tuoi; 905Nè che a maligne risa esponer osiTuo talento immortal. Voi l’innalzasteAll’alta mensa: e tra la vostra luceBeato l’avvolgeste; e de le MuseA dispetto e d’Apollo, al sacro coro 910L’ascriveste de’ Vati. Egli ’l suo PindoFeo de la mensa: e guai a lui, se quinciLe Dee sdegnate giù precipitandoCon le forchette il cacciano. Meschino!Più non potria su le dolenti membra 915Del suo infermo Signor chiedere aitaDa la bona Salute; o con alateOdi ringraziar, nè tesser InniAl barbato figliuol di Febo intonso:Più del giorno natale i chiari albori 920Salutar non potrebbe, e l’auree frecceNomi-sempiternanti all’arco imporre:Non più gli urti festevoli, o sul nasoL’elegante scoccar d’illustri ditaFora dato sperare. A lui tu dunque 925Non isdegna, o Signor, volger talvoltaTu’ amabil voce: a lui declama i versiDel dilicato cortigian d’Augusto,O di quel che tra Venere, e Lièo

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Pinse Trimalcion. La Moda impone, 930Ch’Arbitro, o Flacco a un bello spirto ingombriSpesso le tasche. Il vostro amico vateT’udrà, maravigliando, il sermon priscoOr sciogliere or frenar qual più ti piace:E per la sua faretra, e per li cento 935Destrier focosi che in Arcadia pasceTi giurerà, che di Donato al paroIl difficil sermone intendi e gusti.

Cotesto ancor di rammentar fia tempoI novi Sofi, che la Gallia, e l’Alpe 940Esecrando persegue: e dir qual arseDe’ volumi infelici, e andò macchiatoD’infame nota: e quale asilo apprestiFilosofia al morbido AristippoDel secol nostro; e qual ne appresti al novo 945Diogene dell’auro spregiatore,E della opinione de’ mortali.Lor volumi famosi a te verrannoDa le fiamme fuggendo a gran giornatePer calle obliquo, e compri a gran tesoro 950O da cortese man prestati, fiènoLungo ornamento a lo tuo speglio innanzi.Poichè scorsi gli avrai pochi momentiSpecchiandoti, e a la man garrendo indottaDel parrucchier; poichè t’avran la sera 955Conciliato il facil sonno, alloraA la toilette passeran di quellaChe comuni ha con te studj e licèoOve togato in cattedra eleganteSiede interprete Amor. Ma fia la mensa 960Il favorevol loco ove al sol escaDe’ brevi studj il glorioso frutto.

Qui ti segnalerai co’ novi SofiSchernendo il fren che i creduli maggioriAtto solo stimàr l’impeto folle 965

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A vincer de’ mortali, a stringer forteNodo fra questi, e a sollevar lor spemeCon penne oltre natura alto volanti.Chi por freno oserà d’almo SignoreA la mente od al cor? Paventi il vulgo 970Oltre natura: il debole PrudenteRispetti il vulgo; e quei, cui dona il vulgoTitol di Saggio, mediti romitoIl Ver celato; e alfin cada adorandoLa sacra nebbia che lo avvolge intorno. 975Ma il mio Signor, com’aquila sublimeDietro ai Sofi novelli il volo spieghi.Perchè più generoso il volo sia,Voli senz’ale ancor; nè degni ’l tergoAffaticar con penne. Applauda intanto 980Tutta la mensa al tuo poggiare ardito.Te con lo sguardo, e con l’orecchio bevaLa Dama dalle tue labbra rapita:Con cenno approvator vezzosa il capoPieghi sovente: e il calcolo, e la massa, 985E l’inversa ragion sonino ancoraSu la bocca amorosa. Or più non odiaDe le scole il sermone Amor maestro;Ma l’accademia e i portici passeggiaDe’ filosofi al fianco, e con la molle 990Mano accarezza le cadenti barbe.

Ma guardati, o Signor, guardati oh dioDal tossico mortal che fuora esalaDai volumi famosi; e occulto poiSa, per le luci penetrato all’alma, 995Gir serpendo nei cori; e con fallaceLusinghevole stil corromper tentaIl generoso de le stirpi orgoglioChe ti scevra dal vulgo. Udrai da quelli,Che ciascun de’ mortali all’altro è pari; 1000Che caro a la Natura, e caro al Cielo

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È non meno di te colui che reggeI tuoi destrieri, e quei ch’ara i tuoi campi;E che la tua pietade, e il tuo rispettoDovrien fino a costor scender vilmente. 1005Folli sogni d’infermo! Intatti lasciaCosì strani consiglj; e sol ne apprendiQuel che la dolce voluttà rinfranca,Quel che scioglie i desiri, e quel che nutreLa libertà magnanima. Tu questo 1010Reca solo a la mensa: e sol da questoCerca plausi ed onor. Così dell’apiL’industrioso popolo ronzando,Gira di fiore in fior, di prato in prato;E i dissimili sughi raccogliendo, 1015Tesoreggia nell’arnie: un giorno poiNe van colme le pàtere dorateSopra l’ara de’ numi; e d’ogn’intornoRibocca la fragrante alma dolcezza.

Or versa pur dall’odorato grembo 1020I tuoi doni o Pomona; e l’ampie colmaTazze che d’oro e di color diversiFregiò il Sàssone industre; il fine è giuntoDe la mensa divina. E tu dai greggiRustica Pale coronata vieni 1025Di melissa olezzante e di ginebro;E co’ lavori tuoi di presso latteVergognando t’accosta a chi ti chiede,Ma deporli non osa. In su la mensaPotrien deposti le celesti nari 1030Commover troppo, e con volgare olezzoGli stomachi agitar. Torreggin soloSu’ ripiegati lini in varie formeI latti tuoi cui di serbato vernoRassodarono i sali, e reser atti 1035A dilettar con subito rigoreDi convitato cavalier le labbra.

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Tu, Signor, che farai poichè fie postoFine a la mensa, e che lieve puntandoLa tua Dama gentil fatto avrà cenno, 1040Che di sorger è tempo? In piè d’un saltoBalza prima di tutti; a lei t’accosta,La seggiola rimovi, la man porgi;Guidala in altra stanza, e più non soffri,Che lo stagnante de le dapi odore 1045Il cèlabro le offenda. Ivi con gli altriGratissimo vapor t’invita, ond’empieL’aria il caffè che preparato fumaIn tavola minor cui vela ed ornaIndica tela. Ridolente gomma 1050Quinci arde intanto; e va lustrando e purgaL’aere profano, e fuor caccia del ciboLe volanti reliquie. Egri mortaliCui la miseria e la fidanza un giornoSul meriggio guidàro a queste porte; 1055Tumultuosa, ignuda, atroce follaDi tronche membra, e di squallide facce,E di bare e di grucce, ora da lungiVi confortate; e per le aperte nariDel divin pranzo il nèttare beete 1060Che favorevol aura a voi conduce:Ma non osate i limitari illustriAssediar, fastidioso offrendoSpettacolo di mali a chi ci regna.

Or la piccola tazza a te conviene 1065Apprestare, o Signor, che i lenti sorsiMinistri poi de la tua Dama ai labbri:Or memore avvertir s’ella più goda,O sobria o liberal, temprar col dolceLa bollente bevanda; o se più forse 1070L’ami così, come sorbir la suoleBarbara sposa, allor che, molle assisaSu’ broccati di Persia, al suo signore

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Con le dita pieghevoli ’l selvosoMento vezzeggia, e la svelata fronte 1075Alzando, il guarda; e quelli sguardi han possaDi far che a poco a poco di man cadaAl suo signore la fumante canna.

Mentre il labbro, e la man v’occupa, e scaldaL’odorosa bevanda, altere cose 1080Macchinerà tua infaticabil mente.Qual coppia di destrieri oggi de’ il carroGuidar de la tua Dama; o l’alte moliChe su le fredde piagge educa il Cimbro;O quei che abbeverò la Drava, o quelli 1085Che a le vigili guardie un dì fuggìroDa la stirpe Campana. Oggi qual meglioSi convenga ornamento ai dorsi alteri:Se semplici e negletti; o se pomposiDi ricche nappe e variate stringhe 1090Andran su l’alto collo i crin volando;E sotto a cuoi vermigli e ad auree fibbieOndeggeranno li ritondi fianchi.Quale oggi cocchio trionfanti al corsoVi porterà: se quel cui l’oro copre; 1095O quel su le cui tavole pesantiSaggio pennello i dilicati finseStudj dell’ago, onde si fregia il capoE il bel sen la tua Dama; e pieni vetriDi freschissima linfa e di fior varj 1100Gli diede a trascinar. Cotanta moleDi cose a un tempo sol nell’alta menteRivolgerai: poi col supremo aurigaArduo consiglio ne terrai, non senzaQualche lieve garrir con la tua Dama. 1105Servi le leggi tue l’auriga: e intantoAltre v’occupin cure. Il gioco puoteOra il tempo ingannare: ed altri ancoraForse ingannar potrà. Tu il gioco eleggi

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Che due soltanto a un tavoliere ammetta; 1110Tale Amor ti consiglia. Occulto ardeaGià di ninfa gentil misero amanteCui null’altra eloquenza usar con lei,Fuor che quella degli occhi era concesso;Poichè il rozzo marito ad Argo eguale 1115Vigilava mai sempre; e quasi bisciaOra piegando, or allungando il collo,Ad ogni verbo con gli orecchi acutiEra presente. Oimè, come con cenni,O con notata tavola giammai 1120O con servi sedotti a la sua ninfaChieder pace ed aita? Ogni d’AmoreStratagemma finissimo vincevaLa gelosìa del rustico marito.Che più lice sperare? Al tempio ei corre 1125Del nume accorto che le serpi intrecciaAll’aurea verga, e il capo e le calcagnaD’ali fornisce. A lui si prostra umìle;E in questa guisa, lagrimando, il prega.«O propizio agli amanti, o buon figliuolo 1130De la candida Maja, o tu che d’ArgoDeludesti i cent’occhi, e a lui rapistiLa guardata giovenca, i preghi accettaD’un amante infelice; e a me concediSe non gli occhi ingannar, gli orecchi almeno 1135D’un marito importuno». Ecco si scoteIl divin simulacro, a lui si china,Con la verga pacifica la fronteGli percote tre volte: e il lieto amanteSente dettarsi ne la mente un gioco 1140Che i mariti assordisce. A lui diresti,Che l’ali del suo piè concesse ancoraIl supplicato Dio; cotanto ei volaVelocissimamente a la sua donna.Là bipartita tavola prepara 1145

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Ov’ebano, ed avorio intarsiatiRegnan sul piano; e partono alternandoIn dodici magioni ambe le sponde.Quindici nere d’ebano girelleE d’avorio bianchissimo altrettante 1150Stan divise in due parti; e moto e normaDa due dadi gittati attendon, pronteAd occupar le case, e quinci e quindiPugnar contrarie. Oh cara a la FortunaQuella che corre innanzi all’altre, e seco 1155Ha la compagna, onde il nemico assaltoForte sostenga! Oh giocator feliceChi pria l’estrema casa occupa; e l’altroDe le proprie magioni ordin riempieCon doppio segno, e quindi poi, securo, 1160Da la falange il suo rival combatte;E in proprio ben rivolge i colpi ostili.Al tavolier s’assidono ambidue,L’amante cupidissimo, e la ninfa:Quella occupa una sponda, e questi l’altra. 1165Il marito col gomito s’appoggiaAll’un de’ lati: ambi gli orecchi tende;E sotto al tavolier di quando in quandoGuata con gli occhi. Or l’agitar dei dadiEntro ai sonanti bossoli comincia; 1170Ora il picchiar de’ bossoli sul piano;Ora il vibrar, lo sparpagliar, l’urtare,Il cozzar de’ due dadi; or de le mossePedine il martellar. Torcesi e fremeSbalordito il geloso: a fuggir pensa, 1175Ma rattienlo il sospetto. Il romor cresceIl rombazzo, il frastono, il rovinìo.Ei più regger non puote; in piedi balza,E con ambe le man tura gli orecchi.Tu vincesti o Mercurio: il cauto amante 1180Poco disse, e la bella intese assai.

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Tal ne la ferrea età quando gli sposiFolle superstizion chiamava all’armiGiocato fu. Ma poi che l’aureo fulseSecol di novo, e che del prisco errore 1185Si spogliàro i mariti, al sol dilettoLa Dama, e il Cavalier volsero il giocoChe la necessità scoperto avea.Fu superfluo il romor: di molle pannoLa tavola vestissi, e de’ patenti 1190Bossoli ’l sen: lo schiamazzìo molestoTal rintuzzossi; e durò al gioco il nomeChe ancor l’antico strepito dinòta.

Già de le fere, e degli augelli il giorno,E de’ pesci notanti, e de’ fior varj, 1195Degli alberi, e del vulgo al suo fin corre.Di sotto al guardo dell’immenso FeboSfugge l’un Mondo; e a berne i vivi raggiCuba s’affretta, e il Messico, e l’altriceDi molte perle California estrema. 1200Già da’ maggiori colli, e da l’eccelseTorri il Sol manda gli ultimi salutiAll’Italia, fuggente; e par, che bramiRivederti, o Signore, anzi che l’Alpe,O l’Appennino, o il mar curvo ti celi 1205Agli occhi suoi. Altro finor non vide,Che di falcato mietitore i fianchiSu le campagne tue piegati e lassi,E su le armate mura or fronti or spalleCarche di ferro, e su le aeree capre 1210Degli edificj tuoi man scabre e arsicce,E villan polverosi innanzi ai carriGravi del tuo ricolto, e sui canaliE sui fertili laghi irsute bracciaDi remigante che le alterne merci 1215Al tuo comodo guida ed al tuo lusso,

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Tutt’ignobili oggetti. Or colui vegga,Che da tutti servito, a nullo serve.

Già di cocchi frequente il Corso splende:E di mille che là volano rote 1220Rimbombano le vie. Fiero per novaScoperta biga il giovine leggiadroChe cesse al carpentier gli avìti campiLà si scorge tra i primi. All’un de’ latiSdrajasi tutto: e de le stese gambe 1225La snellezza dispiega. A lui nel senoLa conoscenza del suo merto abbonda;E con gentil sorriso arde e balenaSu la vetta del labbro; o da le ciglia,Disdegnando, de’ cocchi signoreggia 1230La turba inferior: soave intantoEgli alza il mento, e il gomito protende;E mollemente la man ripiegando,I merletti finissimi su l’altoPetto si ricompon con le due dita. 1235Quinci vien l’altro che pur oggi al cocchioDai casali pervenne, e già s’ascriveAl concilio de’ numi. Egli oggi imparaA conoscere il vulgo, e già da quelloMille miglia lontan sente rapirsi 1240Per lo spazio de’ cieli. A lui davantiOssequiosi cadono i cristalliDe’ generosi cocchi oltrepassando;E il lusingano ancor perchè sostegnoSia de la pompa loro. Altri ne viene 1245Che di compro pur or titol si vanta;E pur s’affaccia, e pur gli orecchi porge,E pur sembragli udir da tutti i labbriSonar le glorie sue: Mal abbia il lungoDe le rote stridore, e il calpestìo 1250De’ ferrati cavalli, e l’aura, e il ventoChe il bel tenor de le bramate voci

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Scender non lascia a dilettargli ’l core.Di momento in momento il fragor cresce,E la folla con esso. Ecco le vaghe 1255A cui gli amanti per lo dì solenneMendicarono i cocchi. Ecco le graviMatrone che gran tempo arser di zeloContro al bel Mondo, e dell’ignoto CorsoLa scelerata polvere dannàro; 1260Ma poi che la vivace amabil proleCrebbe, e invitar sembrò con gli occhi Imene,Cessero alfine; e le tornite braccia,E del sorgente petto i rugiadosiFrutti prudentemente al guardo aprìro 1265Dei nipoti di Giano. Affrettan quindiLe belle cittadine, ora è più lustriNote a la Fama, poi che ai tetti loroDedussero gli Dei; e sepper meglio,E in più tragico stil da la toilette 1270Ai loro amici declamar l’istoriaDe’ rotti amori; ed agitar repenteCon celebrata convulsion la mensa,Il teatro, e la danza. Il lor ventaglioIrrequieto sempre or quinci or quindi 1275Con variata eloquenza esce e saluta.Convolgonsi le belle: or su l’un fiancoOr su l’altro si posano tentennanoVolteggiano si rizzan, sul cuscinoRicadono pesanti, e la lor voce 1280Acuta scorre d’uno in altro cocchio.

Ma ecco alfin che le divine sposeDegl’Italici eroi vengono anch’esse.Io le conosco ai messaggier volantiChe le annuncian da lungi, ed urtan fieri, 1285E rompono la folla; io le conoscoDa la turba de’ servi al vomer tolti,Perchè oziosi poi diretro pendano

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Al carro trionfal con alte braccia.Male a Giuno ed a Pallade Minerva 1290E a Cinzia e a Citerea mischiarvi osateVoi pettorute Naiadi e NapeeVane di picciol fonte o d’umil selvaChe agli Egipani vostri in guardia diedeGiove dall’alto. Vostr’incerti sguardi, 1295Vostra frequente inane maraviglia,E l’aria alpestre ancor de’ vostri motiVi tradiscono, ahi lasse, e rendon vanaLa multiplice in fronte ai palafreniPendente nappa, ch’usurpar tentaste, 1300E la divisa onde copriste il mozzoE il cucinier che la seguace corteAccrebber stanchi, e i miseri lasciàroCanuti padri di famiglia soliNe la muta magion serbati a chiave. 1305Troppo da voi diverse esse ne vannoRitte negli alti cocchi alteramente;E a la turba volgare che si prostraNon badan punto: a voi talor si volgeLor guardo negligente, e par, che dica: 1310Tu ignota mi sei; o nel mirarviCol compagno susurrano ridendo.

Le giovinette madri degli eroiTutto empierono il Corso, e tutte han secoUn giovinetto eroe, o un giovin padre 1315D’altri futuri eroi, che a la toiletteA la mensa, al teatro, al corso, al giocoSegnaleransi un giorno; e fien cantati,S’io scorgo l’avvenir, da tromba egualeA quella che a me diede Apollo, e disse: 1320Canta gli Achilli tuoi, canta gli AugustiDel secol tuo. Sol tu manchi, o PupillaDel più nobile mondo: ora ne vieni,

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E del rallegratore de le coseRallegra or tu la moribonda luce. 1325

Già d’untuosa polvere novellaDi propria man la tabacchiera empistiA la tua Dama, e di novelli odoriIl cristallo dorato; ed al suo crineLa bionda che svanìo polve tornasti 1330Con piuma dilicata; e adatto al giornoLe scegliesti ’l ventaglio: al pronto cocchioDi tua man la guidasti, e già con essaPrecipitosamente al Corso arrivi.Il memore cocchier serbi quel loco 1335Che voi dianzi sceglieste, e voi non osiTra le ignobili rote esporre al vulgo,Se star fermi vi piace, od oltre scorra,Se di scorrer v’aggrada. Uscir del cocchioTi fia lecito ancor. T’accolgan pronti 1340Allo scendere i servi. Ancora un saltoSpicca; e rassetta i rincrespati panni,E le trine sul petto: un po’ t’inchina,Ed ai lievi calzàri un guardo volgi;Ergiti, e marcia dimenando il fianco. 1345Il Corso misurar potrai soletto,S’ami di passeggiare; anco potraiDell’altrui Dame avvicinarti al cocchio,E inerpicarti, et introdurvi ’l capoE le spalle e le braccia, e mezzo ancora 1350Dentro versarti. Ivi sonar tant’altoFa le tue risa, che da lunge gli odaLa tua Dama, e si turbi, ed interrompaIl celiar degli eroi che accorser tostoTra ’l dubbio giorno a custodir la bella 1355Che solinga lasciasti. O sommi numiSospendete la Notte; e i fatti egregiDel mio Giovin Signor splender lasciateAl chiaro giorno. Ma la Notte segue

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Sue leggi inviolabili, e declina 1360Con tacit’ombra sopra l’emispero;E il rugiadoso piè lenta movendo,Rimescola i color varj infiniti,E via gli spazza con l’immenso lemboDi cosa in cosa: e suora de la morte 1365Un aspetto indistinto, un solo voltoAl suolo, ai vegetanti, agli animali,A i grandi, ed a la plebe equa permette;E i nudi insieme, ed i dipinti visiDe le belle confonde, e i cenci e l’oro. 1370Nè veder mi concede all’aer ciecoQual de’ cocchi si parta, o qual rimangaSolo all’ombre segrete; e a me di manoToglie il pennello; e il mio Signore avvolgePer entro al tenebroso umido velo. 1375

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IL GIORNO

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IL MATTINO

Sorge il mattino in compagnia dell’albaDinanzi al sol che di poi grande appareSu l’estremo orizzonte a render lietiGli animali e le piante e i campi e l’onde.Allora il buon villan sorge dal caro 5Letto cui la fedel moglie e i minoriSuoi figlioletti intiepidìr la notte:Poi sul dorso portando i sacri arnesiChe prima ritrovò Cerere o PaleMove seguendo i lenti bovi, e scote 10Lungo il picciol sentier da i curvi ramiFresca rugiada che di gemme al paroLa nascente del sol luce rifrange.Allora sorge il fabbro, e la sonanteOfficina riapre, e all’opre torna 15L’altro dì non perfette; o se di chiaveArdua e ferrati ingegni all’inquietoRicco l’arche assecura; o se d’argentoE d’oro incider vuol gioielli e vasiPer ornamento a nova sposa o a mense. 20

Ma che? Tu inorridisci e mostri in capoQual istrice pungente irti i capelliAl suon di mie parole? Ah il tuo mattinoSignor questo non è. Tu col cadenteSol non sedesti a parca cena, e al lume 25Dell’incerto crepuscolo non gistiIeri a posar qual ne’ tugurj suoiEntro a rigide coltri il vulgo vile.A voi celeste prole a voi concilioAlmo di semidei altro concesse 30Giove benigno: e con altr’arti e leggiPer novo calle a me guidarvi è d’uopo.Tu tra le veglie e le canore scene

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E il patetico gioco oltre più assaiProducesti la notte: e stanco alfine 35In aureo cocchio col fragor di caldePrecipitose rote e il calpestioDi volanti corsier lunge agitastiIl queto aere notturno; e le tenèbreCon fiaccole superbe intorno apristi 40Siccome allor che il Siculo terrenoDa l’uno a l’altro mar rimbombar fèoPluto col carro a cui splendeano innanziLe tede de le Furie anguicrinite.Tal ritornasti a i gran palagi: e quivi 45Cari conforti a te porgea la mensaCui ricoprien prurigginosi cibiE licor lieti di Francesi colliE d’Ispani e di Toschi o l’UngareseBottiglia a cui di verdi ellere Bromio 50Concedette corona, e disse: or siediDe le mense reina. Alfine il SonnoTi sprimacciò di propria man le còltriciMolle cedenti, ove te accolto il fidoServo calò le ombrifere cortine: 55E a te soavemente i lumi chiuseIl gallo che li suole aprire altrui.Dritto è però che a te gli stanchi sensiDa i tenaci papaveri MorfèoPrima non solva che già grande il giorno 60Fra gli spiragli penetrar contendaDe le dorate imposte; e la paretePingano a stento in alcun lato i raiDel sol ch’eccelso a te pende sul capo.

Or qui principio le leggiadre cure 65Denno aver del tuo giorno: e quindi io deggioSciorre il mio legno, e co’ precetti mieiTe ad alte imprese ammaestrar cantando.Già i valetti gentili udìr lo squillo

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De’ penduli metalli a cui da lunge 70Moto improvviso la tua destra impresse;E corser pronti a spalancar gli oppostiSchermi a la luce; e rigidi osservàroChe con tua pena non osasse FeboEntrar diretto a saettarte i lumi. 75Ergi dunque il bel fianco, e sì ti appoggiaAlli origlier che lenti degradandoAll’omero ti fan molle sostegno;E coll’indice destro lieve lieveSovra gli occhi trascorri, e ne dilegua 80Quel che riman de la Cimmeria nebbia;Poi de’ labbri formando un picciol arcoDolce a vedersi tacito sbadiglia.Ahi se te in sì vezzoso atto mirasseIl duro capitan quando tra l’arme 85Sgangherando la bocca un grido innalzaLacerator di ben costrutti orecchi,S’ei te mirasse allor, certo vergognaAvria di sè più che Minerva il giornoChe di flauto sonando al fonte scorse 90Il turpe aspetto de le guance enfiate.

Ma il damigel ben pettinato i criniEcco s’innoltra; e con sommessi accentiChiede qual più de le bevande usateSorbir tu goda in preziosa tazza. 95Indiche merci son tazza e bevande:Scegli qual più desii. S’oggi a te giovaPorger dolci a lo stomaco fomentiOnde con legge il natural caloreV’arda temprato, e al digerir ti vaglia, 100Tu il cioccolatte eleggi, onde tributoTi diè il Guatimalese e il CaribeoChe di barbare penne avvolto ha il crine:Ma se noiosa ipocondria ti opprime,O troppo intorno a le divine membra 105

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Adipe cresce, de’ tuoi labbri onoraLa nettarea bevanda ove abbronzatoArde e fumica il grano a te d’AleppoGiunto e da Moca che di mille naviPopolata mai sempre insuperbisce. 110Certo fu d’uopo che da i prischi seggiUscisse un regno, e con audaci veleFra straniere procelle e novi mostriE teme e rischi ed inumane famiSuperasse i confin per tanta etade 115Inviolati ancora: e ben fu drittoSe Pizzarro e Cortese umano sanguePiù non stimàr quel ch’oltre l’OceànoScorrea le umane membra; e se tonandoE fulminando alfin spietatamente 120Balzaron giù da i grandi aviti troniRe Messicani e generosi Incassi,Poi che nuove così venner delizieO gemma de gli eroi al tuo palato.

Cessi ’l cielo però che in quel momento 125Che le scelte bevande a sorbir prendi,Servo indiscreto a te improvviso annunciO il villano sartor che non ben pagoD’aver teco diviso i ricchi drappiOso sia ancor con polizza infinita 130Fastidirti la mente; o di lugùbriPanni ravvolto il garrulo forenseCui de’ paterni tuoi campi e tesoriIl periglio s’affida; o il tuo castaldoChe già con l’alba a la città discese 135Bianco di gelo mattutin la chioma.Così zotica pompa i tuoi maggioriAl dì nascente si vedean dintorno:Ma tu gran prole in cui si fèo scendendoE più mobile il senso e più gentile 140Ah sul primo tornar de’ lievi spirti

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All’uficio diurno ah non ferirliD’imagini sì sconce. Or come i dettiDi costor soffrirai barbari e rudi;Come il penoso articolar di voci 145Smarrite titubanti al tuo cospetto;E tra l’obliquo profondar d’inchiniDel calzar polveroso in su i tapetiLe impresse orme indecenti? Ahimè che fattoIl salutar licore agro e indigesto 150Ne le viscere tue te allor fariaE in casa e fuori e nel teatro e al corsoRuttar plebeiamente il giorno intero!

Non fia che attenda già ch’altri lo annunciGradito ognor benchè improvviso il dolce 155Mastro che il tuo bel piè come a lui piaceGuida e corregge. Egli all’entrar s’arrestiRitto sul limitare, indi elevandoAmbe le spalle qual testudo il colloContragga alquanto, e ad un medesmo tempo 160Il mento inchini, e con l’estrema faldaDel piumato cappello il labbro tocchi.E non men di costui facile al lettoDel mio signor t’innoltra o tu che addestriA modular con la flessibil voce 165Soavi canti; e tu che insegni altruiCome vibrar con maestrevol arcoSul cavo legno armoniose fila.Nè la squisita a terminar coronaChe segga intorno a te manchi o signore 170Il precettor del tenero idiomaChe da la Senna de le Grazie madrePur ora a sparger di celeste ambrosiaVenne all’Italia nauseata i labbri.All’apparir di lui l’Itale voci 175Tronche cedano il campo al lor tiranno:E a la nova inefabil melodia

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De’ sovrumani accenti odio ti nascaPiù grande in sen contro a le bocche impureCh’osan macchiarse ancor di quel sermone 180Onde in Valchiusa fu lodata e piantaGià la bella Francese; e i culti campiAll’orecchio de i re cantati furoLungo il fonte gentil da le bell’acque.

Or te questa o signor leggiadra schiera 185Al novo dì trattenga: e di tue voglieIrresolute ancora or quegli or questiCon piacevol discorso il vano adempia,Mentre tu chiedi lor tra i lenti sorsiDell’ardente bevanda a qual cantore 190Nel vicin verno si darà la palmaSovra le scene; e s’egli è il ver che riedaL’astuta Frine che ben cento folliMilordi rimandò nudi al Tamigi;O se il brillante danzator Narcisso 195Torni pur anco ad agghiacciare i pettiDe’ palpitanti Italici mariti.Così poi che gran pezzo a i novi alboriDel tuo mattin teco scherzato fiaNon senza aver da te rimosso in prima 200L’ipocrita pudore e quella schifaChe le accigliate gelide matroneChiaman modestia, alfine o a lor talentoO da te congedati escan costoro.Doman quindi potrai o l’altro forse 205Giorno a i precetti lor porgere orecchioSe a’ bei momenti tuoi cure minoriPorranno assedio. A voi divina schiattaPiù assai che a noi mortali il ciel concesseDomabile midollo entro al cerèbro, 210Sì che breve lavoro unir vi puoteAmpio tesor d’ogni scienza ed arte.Il vulgo intanto a cui non lice il velo

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Aprir de’ venerabili misterjFie pago assai poi che vedrà sovente 215Ire o tornar dal tuo palagio i primiD’arte maestri; e con aperte fauciStupefatto berà le tue sentenze.

Ma già vegg’io che le oziose lanePremer non sai più lungamente: e in vano 220Te l’ignavo tepor lusinga e molce,Però che te più gloriosi affanniAspettan l’ore ad illustrar del giorno.O voi dunque del primo ordine serviChe di nobil signor ministri al fianco 225Siete incontaminati, or dunque voiAl mio divino Achille al mio RinaldoL’armi apprestate. Ed ecco in un balenoI damigelli a’ cenni tuoi star pronti.Già ferve il gran lavoro. Altri ti veste 230La serica zimarra ove bei fregiDiramansi Chinesi; altri se il chiedePiù la stagione a te le membra copreDi stese infino al piè tiepide pelli;Questi al fianco ti cinge il bianco lino 235Che sciorinato poi cada e difendaI calzonetti; e quei d’alto curvandoIl cristallino rostro in su le maniTi versa onde odorate, e da le maniIn limpido bacin sotto le accoglie; 240Quale il sapon del redivivo muschioOlezzante all’intorno; e qual ti porgeIl macinato di quell’arbor fruttoChe a Rodope fu già vaga donzella,E piagne in van sotto mutate spoglie 245Demofoonte ancor Demofoonte;Un di soavi essenze intrisa spugnaOnde tergere i denti; e l’altro apprestaOnde imbiancar le guance util licore.

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Assai Signore a te pensasti: or volgi 250L’alta mente per poco ad altri obbiettiNon men degni di te. Sai che compagnaCon cui partir de la giornata illustreI travagli e le glorie il ciel destinaAl giovane signore. Impallidisci? 255Ahi non parlo di nozze. Antiquo e vietoDottor sarei se così folle io dessiA te consiglio. Di tant’alte dotiGià non orni così lo spirto e i membriPerchè in mezzo a la fulgida carriera 260Tu il tuo corso interrompa, e fuora uscendoDi cotesto a ragion detto bel mondo,In tra i severi di famiglia padriRelegato ti giacci a nodi avvintoDi giorno in giorno più noiosi e fatto 265Ignobil fabbro de la razza umana.D’altra parte il marito ahi quanto spiace,E lo stomaco move a i delicatiDel vostr’orbe felice abitatoriQualor de’ semplicetti avoli nostri 270Portar osa in ridevole trionfoLa rimbambita fè la pudiciziaSeveri nomi. E qual non suole a forzaEntro a’ melati petti eccitar bileQuando i computi vili del castaldo 275Le vendemmie i ricolti i pedagoghiDi que’ sì dolci suoi bambini altruiGongolando ricorda; e non vergognaDi mischiar cotal fole a peregriniSubbietti a nuove del dir forme a sciolti 280Da volgar fren concetti, onde s’avvivaDe’ begli spirti il conversar sublime.Non però tu senza compagna andrai;Chè tra le fide altrui giovani spose

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Una te n’offre inviolabil rito 285Del bel mondo onde sei parte sì cara.

Tempo fu già che il pargoletto AmoreDato era in guardia al suo fratello Imene;Tanto la madre lor temea che il ciecoIncauto nume perigliando gisse 290Misero e solo per oblique vie;E che, bersaglio a gl’indiscreti colpiDi senza guida e senza freno arciere,Immaturo al suo fin corresse il semeUman che nato è a dominar la terra. 295Quindi la prole mal secura all’altraIn cura dato avea sì lor dicendo:Ite o figli del par; tu più possenteIl dardo scocca, e tu più cauto il reggiA certa meta. Così ognor congiunta 300Iva la dolce coppia; e in un sol regno,E d’un nodo comun l’alme strignea.Allora fu che il sol mai sempre unitiVedea un pastore ed una pastorellaStarsi al prato a la selva al colle al fonte: 305E la suora di lui vedeali poiUniti ancor nel talamo beatoCh’ambo gli amici numi a piene maniGareggiando spargean di gigli e rose.Ma che non puote anco in divini petti 310Se mai s’accende ambizion d’impero?Crebber l’ali ad Amor, crebbe l’ardire;Onde a brev’aere prima indi securoA vie maggior fidossi, e fiero alfineEntrò nell’alto, e il grande arco crollando 315E il capo risonar fece a quel motoIl duro acciar che a tergo la faretraGli empie, e gridò: solo regnar vogl’io.Disse, e volto a la madre: Amore adunqueIl più possente in fra gli dei, il primo 320

Giuseppe Parini - Il giorno

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Di Citerea figliuol ricever leggi,E dal minor german ricever leggiVile alunno anzi servo? Or dunque AmoreNon oserà fuor ch’una unica voltaFiedere un’alma come questo schifo 325Da me pur chiede? E non potrò giammaiDa poi ch’io strinsi un laccio anco disciorloA mio talento, e se m’aggrada, un altroStrignerne ancora? E lascerò pur ch’egliDi suoi unguenti impece a me i miei dardi 330Perchè men velenosi e men crudeliScendano a i petti? Or via perchè non togliA me da le mie man quest’arco e questeArmi da le mie spalle, e ignudo lasciQuasi rifiuto de gli dei Cupido? 335Oh il bel viver che fia quando tu soloRegni in mio loco! Oh il bel vederti, lasso!Studiarti a torre da le languid’almeLa stanchezza e il fastidio, e spander geloDi foco in vece! Or genitrice intendi: 340Vaglio e vo’ regnar solo. A tuo piacereTra noi parti l’impero, ond’io con tecoAbbia omai pace; e in compagnia d’ImeneMe non veggan mai più le umane genti.Amor qui tacque; e minaccioso in atto 345Parve all’Idalia dea chieder risposta.Ella tenta placarlo, e preghi e piantiSparge ma in van; tal ch’a i due figli voltaCon questo dir pose al contender fine:Poi che nulla tra voi pace esser puote, 350Si dividano i regni: e perchè l’unoSia dall’altro fratello ognor disgiuntoSien diversi tra voi e il tempo e l’opra.Tu che di strali altero a fren non cediL’alme ferisci, e tutto il giorno impera; 355E tu che di fior placidi hai corona

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Le salme accoppia, e con l’ardente faceRegna la notte. Or quindi almo SignoreVenne il rito gentil che a i freddi sposiLe tenebre concede e de le spose 360Le caste membra; e a voi beata genteE di più nobil mondo il cor di questeE il dominio del dì largo destina.

Dunque ascolta i miei detti, e meco apprendiQuai tu deggia il mattin cure a la bella 365Che spontanea o pregata a te si diedeIn tua dama quel dì lieto che a fidaCarta, nè senza testimoni furoA vicenda commessi i patti santiE le condizion del caro nodo. 370Già la dama gentile i vaghi raiAl novo giorno aperse; e suo primieroPensier fu dove teco ir più convengaA vegliar questa sera; e gravementeConsultò con lo sposo a lei vicino, 375O a baciarle la man pur dianzi ammesso.Ora è tempo o Signor che il fido servoE il più accorto tra’ tuoi voli al palagioDi lei chiedendo se tranquilli sonniDormìo la notte; e se d’immagin liete 380Le fu Mòrfeo cortese. È ver che ieriAl partir l’ammirasti in viso tintaDi freschissime rose; e più che maiViva e snella balzar teco dal cocchio;E la vigile tua mano per vezzo 385Ricusar sorridendo allor che l’ampieScale salì del maritale albergo:Ma ciò non basti ad acquetarti; e maiNon obliar sì giusti ufici. Ahi quantiGenj malvagi fra l’orror notturno 390Godono uscire, ed empier di perigliLa placida quiete de’ viventi!

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Poria, tolgalo il cielo, il picciol caneCon latrato improvviso i cari sogniTroncar de la tua dama; ond’ella, scossa 395Da subito capriccio, a rannicchiarseAstretta fosse di sudor gelatoE la fronte bagnando e il guancial molle.Anco poria colui che sì de’ tristiCome de’ lieti sogni è genitore, 400Crearle in mente di nemiche ideeIn un congiunte orribile chimera;Tal che agitata e in ansioso affannoGridar tentasse, e non però potesseAprire a i gridi tra le fauci il varco. 405Sovente ancor de la passata seraLa perduta nel gioco aurea monetaNon men che al cavalier suole a la damaLunga vigilia cagionar: taloraNobile invidia de la bella amica 410Vagheggiata da molti: e talor breveGelosia n’è cagione. A questo aggiugniGl’importuni mariti i quai nel capoRavvolgendosi ancor le viete usanze,Poi che cessero ad altri il giorno, quasi 415Aggian fatto gran cosa, aman d’ImeneCon superstizion serbare i dritti,E dell’ombra notturna esser tiranni,Ahi con qual noia de le caste sposeCh’indi preveggon fra non molto il fiore 420Di lor fresca beltade a sè rapito.

Mentre che il fido messagger sen riedaMagnanimo signor già non staraiOzioso però. Nel campo amatoPur in questo momento il buon cultore 425Suda e incallisce al vomere la manoLieto che i suoi sudor ti fruttin poiDorati cocchi e pellegrine mense.

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Ora per te l’industre artier sta fisoAllo scarpello all’asce al subbio all’ago: 430Ed ora in tuo favor contende o vegliaIl ministro di Temi. Ecco te pureLa tavoletta or chiama. Ivi i bei pregiDe la natura accrescerai con l’arte,Ond’oggi, uscendo, del beante aspetto 435Beneficar potrai le genti, e gratoRicompensar di sue fatiche il mondo.

Ogni cosa è già pronta. All’un de’ latiCrepitar s’odon le fiammanti brageOve si scalda industrioso e vario 440Di ferri arnese a moderar del fronteGl’indocili capei. Stuolo d’AmoriInvisibil sul foco agita i vanni,E per entro vi soffia alto gonfiandoAmbe le gote. Altri di lor v’appressa 445Pauroso la destra; e prestamenteNe rapisce un de’ ferri: altri rapitoTenta com’arda in su l’estrema cimaSospendendol dell’ala; e cauto attendePur se la piuma si contragga o fume: 450Altri un altro ne scote; e de le ceneriFuligginose il ripulisce e terge.Tali a le vampe dell’Etnèa fucina,Sorridente la madre, i vaghi AmoriEran ministri all’ingegnoso fabbro: 455E sotto a i colpi del martel frattantoL’elmo sorgea del fondator Latino.

All’altro lato con la man rosataComo e di fiori inghirlandato il crineI bissi scopre ove di Idalj arredi 460Almo tesor la tavoletta espone.Ivi e nappi eleganti e di canoriCigni morbide piume; ivi raccoltiDi lucide odorate onde vapori;

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Ivi di polvi fuggitive al tatto 465Color diversi o ad imitar d’ApolloL’aurato biondo o il biondo cenerinoChe de le sacre Muse in su le spalleCasca ondeggiando tenero e gentile.Che se a nobil eroe le fresche labbra 470Repentino spirar di rigid’auraOffese alquanto, v’è stemprato il semeDe la fredda cucurbita: e se maiPallidetto ei si scorga, è pronto all’uopoArcano a gli altri eroi vago cinabro. 475Nè quando a un semideo spuntar sul voltoPustula temeraria osa pur fosse,Multiforme di nei copia vi manca,Ond’ei l’asconda in sul momento, ed escaPiù periglioso a saettar co i guardi 480Le belle inavvedute, a guerrier pariChe, già poste le bende a la ferita,Più glorioso e furibondo insiemeSbaragliando le schiere entra nel folto.

Ma già velocemente il mio Signore 485Tre volte e quattro il gabinetto scorseCol crin disciolto e su gli omeri sparso,Quale a Cuma solea l’orribil magaQuando agitata dal possente numeVaticinar s’udia. Così dal capo 490Evaporar lasciò de gli olj sparsiIl nocivo fermento e de le polviChe roder gli porien la molle cute,O d’atroci emicranie a lui lo spirtoTrafigger lungamente. Or ecco avvolto 495Tutto in candidi lini a la grand’opraE più grave del dì s’appresta e siede.Nembo dintorno a lui vola d’odoriChe a le varie manteche ama rapireL’aura vagante lungo i vasi ugnendo 500

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Le leggerissim’ale di farfalla:E lo speglio patente a lui dinanziAltero sembra di raccor nel senoL’imagin diva; e stassi a gli occhi suoiSevero esplorator de la tua mano 505O di bel crin volubile architetto.

O di bel crin volubile architettoTu pria chiedi all’eroe qual più gli aggradeSpargere al crin, se i gelsomini o il biondoFior d’arancio piuttosto o la giunchiglia 510O l’ambra preziosa a gli avi nostri.Ma se la sposa altrui cara all’eroeDel talamo nuzial si lagna, e scossePur or da lungo peso i casti lombi,Ah fuggi allor tutti gli odori ah fuggi; 515Chè micidial potresti a un sol momentoPiù vite insidiar: semplici sienoI tuoi balsami allor: nè oprarli ardisciPria che di lor deciso aggian le nariDel mio signore e tuo. Pon mano poi 520Al pettin liscio, e con l’ottuso denteLieve solca le chiome; indi animosoLe turba e le scompiglia; e alfin da quellaAlta confusion traggi e dispiega,Opra di tua gran mente, ordin superbo. 525Io breve a te parlai; ma il tuo lavoroBreve non fia però; nè al termin giuntoPrima sarà che da’ più strani eventiS’involva o tronchi all’alta impresa il filo.Fisa i guardi a lo speglio; e là sovente 530Il mio signor vedrai morder le labbraImpaziente, ed arrossir nel volto.Sovente ancor, se men dell’uso espertaParrà tua destra, del convulso piedeUdrai lo scalpitar breve e frequente, 535Non senza un tronco articolar di voce

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Che condanni e minacci. Anco t’aspettaVeder talvolta il cavalier sublimeFuriando agitarsi, e destra e mancaPorsi a la chioma, e dissipar con l’ugne 540Lo studio di molt’ore in un momento.Che più? Se per tuo male un dì vaghezzaD’accordar ti prendesse al suo sembianteGli edifici del capo, e non curassiRicever leggi da colui che venne 545Pur ier di Francia, ahi quale atroce folgore,Meschino! allor ti penderia sul capo?Tu allor l’eroe vedresti ergers’in piedi,E per gli occhi versando ira e dispettoMille strazj imprecarti, e scender fino 550Ad usurpar le infami voci al vulgoPer farti onta maggiore, e di bastoneIl tergo minacciarti, e violentoRovesciare ogni cosa, al suol spargendoRotti cristalli e calamistri e vasi 555E pettini ad un tempo. In simil guisa,Se del tonante all’ara o de la DeaChe ricovrò dal Nilo il turpe PhalloTauro spezzava i raddoppiati nodiE libero fuggìa, vedeansi a terra 560Cader tripodi tazze bende scuriLitui coltelli, e d’orridi mugitiCommosse rimbombar le arcate volte,E d’ogni lato astanti e sacerdotiPallidi all’urto e all’impeto involarse 565Del feroce animal che pria sì quetoGìa di fior cinto; e sotto a la man sacraUmiliava le dorate corna.Tu non pertanto coraggioso e forteDura e ti serba a la miglior fortuna. 570Quasi foco di paglia è foco d’iraIn nobil petto. Il tuo signor vedrai

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Mansuefatto a te chieder perdono,E sollevarti oltr’ogni altro mortaleCon preghi e scuse a niun altro concesse; 575Tal che securo sacerdote a luiImmolerai lui stesso, e pria d’ognaltroLarga otterrai del tuo lavor mercede.

Or Signore a te riedo. Ah non sia colpaDinanzi a te s’io travviai col verso 580Breve parlando ad un mortal cui degniTu de gli arcani tuoi. Sai che a sua vogliaQuesti ogni dì volge e governa i capiDe’ semidei più chiari: e le matroneChe da i sublimi cocchi alto disdegnano 585Chinar lo sguardo a la pedestre turba,Non disdegnan sovente entrar con luiIn festevoli motti allor ch’espostiA la sua man sono i ridenti avorjDel bel collo e del crin l’aureo volume. 590Però m’odi benigno or ch’io t’apprendoL’ore a passar più graziose intantoChe il pettin creator doni a le chiomeLeggiadra o almen non più veduta forma.

Breve libro elegante a te dinanzi 595Tra gli arnesi vedrai che l’arte adunaPer disputare a la natura il vantoDel renderti sì caro a gli occhi altrui.Ei ti lusingherà forse con lisciaPurpurea pelle onde vestito avrallo 600O Mauritano conciatore o Siro:E d’oro fregi delicati e vagoMutabile color che il collo imiteDe la colomba v’avrà sparso intornoSquisito legator Batavo o Franco: 605E forse incisa con venereo stileVi fia serie d’imagini interposta,Lavor che vince la materia, e donde

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Fia che nel cor ti si ridesti e vivaLa stanca di piaceri ottusa voglia. 610Or tu il libro gentil con lenta manoTogli, e non senza sbadigliare un pocoAprilo a caso o pur là dove il partaTra l’uno e l’altro foglio indice nastro.

O de la Francia Proteo multiforme 615Scrittor troppo biasmato e troppo a tortoLodato ancor, che sai con novi modiImbandir ne’ tuoi scritti eterno ciboA i semplici palati, e se’ maestroDi color che a sè fingon di sapere, 620Tu appresta al mio signor leggiadri studjCon quella tua fanciulla all’Anglo infesta,Onde l’Enrico tuo vinto è d’assai,L’Enrico tuo che in vano abbatter tentaL’Italian Goffredo ardito scoglio 625Contro a la Senna d’ogni vanto altera.Tu de la Francia onor, tu in mille scrittiCelebrata da’ tuoi novella AspasiaTaide novella a i facili sapientiDe la Gallica Atene i tuoi precetti 630Tu pur detta al mio eroe: e a lui non menoPasci l’alto pensier tu che all’Italia,Poi che rapìrle i tuoi l’oro e le gemme,Invidiasti il fedo loto ancoraOnde macchiato è il Certaldese o l’altro 635Per cui va sì famoso il pazzo Conte.Questi o signore i tuoi studiati autoriFieno e mill’altri che guidàro in FranciaI bendati Sultani i Regi PersiE le peregrinanti Arabe dame, 640O che con penna liberale a i caniRagion donàro e a i barbari sedili,E dier feste e conviti e liete sceneA i polli ed alle gru d’amor maestre.

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Oh pascol degno d’anima sublime 645Oh chiara oh nobil mente! A te ben drittoÈ che s’incurvi riverente il vulgo,E gli oracoli attenda. Or chi fie dunqueSì temerario che in suo cor ti beffeQualor partendo da sì gravi studj 650Del tuo paese l’ignoranza accusi,E tenti aprir col tuo felice raggioLa Gotica caliggine che annosaSiede su gli occhi a le misere genti?Così non mai ti venga estranea cura 655Questi a troncar sì preziosi istantiIn cui del pari e a la dorata chiomaSplendor dai novo ed al celeste ingegno.

Non pertanto avverrà che tu sospendaQuindi a poco il versar de’ libri amati, 660E che ad altro ti volga. A te quest’oraCondurrà il merciaiol che in patria or tornaPronto inventor di lusinghiere foleE liberal di forastieri nomiA merci che non mai varcàro i monti. 665Tu a lui credi ogni detto. E chi vuoi ch’oseUnqua mentire ad un tuo pari in faccia?Ei fia che venda se a te piace o cambiMille fregi e lavori a cui la modaDi viver concedette un giorno intero 670Tra le folte d’inezie illustri tasche:Poi lieto se n’andrà con l’una manoPesante di molt’oro; e in cor gioiendoSpregerà le bestemmie imprecatriciE il gittato lavoro e i vani passi 675Del calzolar diserto e del drappiere;E dirà lor: ben degna pena aveteO troppo ancor religiosi serviDe la necessitade, antiqua è veroMadre e donna dell’arti, or nondimeno 680

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Fatta cenciosa e vile. Al suo possenteAmabil vincitor v’era assai meglioO miseri ubbidire. Il lusso il lussoOggi sol puote dal ferace cornoVersar su l’arti a lui vassalle applausi 685E non contesi mai premj e ricchezze.

L’ore fien queste ancor che a te ne vegnaIl delicato miniator di belleChe de la corte d’Amatunta uscìoStipendiato ministro atto a gli affari 690Sollecitar dell’amorosa diva.Or tu l’affretta impaziente e spronaSì ch’a te porga il desiato avorioChe de le amate forme impresso ride,Sia che il pennel cortese ivi dispieghi 695L’alme sembianze del tuo viso, ond’aggiaTacito pasco allor che te non vedeLa pudica d’altrui sposa a te cara;Sia che di lei medesma al vivo esprimaIl vago aspetto; o se ti piace ancora 700D’altra bella furtiva a te presentiCon più largo confin le amiche membra.Doman fie poi che la concessa imagoEntro arnese gentil per te si chiudaCon opposto cristallo ove tu faccia 705Sovente paragon di tua beltadeCon la beltà de la tua dama; o a i guardiDegl’invidi la tolga, e in sen l’ascondaSagace tabacchiera; o a te rilucaSul minor dito in fra le gemme e l’oro; 710O de le grazie del tuo viso destiSoavi rimembranze al braccio avvoltaDell’altrui fida sposa a cui se’ caro.Ed ecco alfin che a le tue luci appareL’artificio compiuto. Or cauto osserva 715Se bene il simulato al ver s’adegue,

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Vie più rigido assai se il tuo sembianteEsprimer denno i colorati puntiChe l’arte ivi dispose. Or brune troppoA te parran le guance, or fia ch’ecceda 720Mal frenata la bocca, or qual convieneA camuso Etiòpe il naso fia.Anco sovente d’accusar ti piacciaIl dipintor che non atteggi arditoL’agili membra e il dignitoso busto; 725O che mal tra le leggi a la tua formaDia contorno o la posi o la panneggi.È ver che tu del grande di CrotoneNon conosci la scola, e mai tua destraNon abbassossi a la volgar matita 730Che fu nell’altra età cara a’ tuoi pariCui non gustate ancora eran più dolciE più nobili cure a te serbate.Ma che non puote quel d’ogni scienzaGusto trionfator che all’ordin vostro 735In vece di maestro il ciel concesse;E d’onde a voi coniò le altere mentiAcciò che possan dell’uman confineOltre passar la paludosa nebbia;E d’etere più puro abitatrici 740Non fallibili scêrre il vero e il bello?Però qual più ti par loda o riprendiNon men fermo d’allor che a scranna siediRaffael giudicando o l’altro egregioChe del gran nome suo l’Adige onora; 745E a le tavole ignote i noti nomiGrave comparti di color che primiFuro nell’arte. Ah s’altri è sì procaceCh’osi rider di te, costui paventeL’augusta maestà del tuo cospetto, 750Si volga a la parete, e mentre cercaPor freno in van col morder de le labbra

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A lo scrosciar de le importune risaChe scoppian da’ precordj, violentaConvulsione a lui deforme il volto, 755E lo affoghi aspra tosse e lo puniscaDi sua temerità. Ma tu non pensaCh’altri ardisca di te rider giammai;E mai sempre imperterrito decidi.

Or giunta è alfin del dotto pettin l’opra: 760E il maestro elegante intorno spandeDa la man scossa polveroso nembo,Onde a te innanzi tempo il crine imbianchi.D’orribil piato risonar s’udìoGià la corte d’Amore. I tardi vegli 765Grinzuti osàr co’ giovani nipotiContendere di grado in faccia al soglioDel comune lor dio. Rise la frescaGioventude animosa; e d’agri mottiLibera punse la senil baldanza. 770Gran tumulto nascea, se non che AmoreCh’ogni diseguaglianza odia in sua corteA spegner mosse i perigliosi sdegni:E a quei che militando incanutìroSuoi servi apprese a simular con arte 775I duo bei fior che in giovanile gotaEduca e nudre di sua man natura:Indi fe’ cenno; e in un balen fur vistiMille alati ministri alto volandoScoter lor piume, onde fioccò leggera 780Candida polve che a posar poi venneSu le giovani chiome; e in bianco volseE il biondo e il nero e l’odiato rosso.L’occhio così nell’amorosa reggiaPiù non distinse le due opposte etadi: 785E solo vi restò giudice il tatto.Tu pertanto o signor tu che se’ il primoFregio ed onor dell’Acidalio regno

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I sacri usi ne serba. Ecco che sparsaGià da provvida man la bianca polve 790In piccolo stanzin con l’aere pugna,E de gli atomi suoi tutto riempieEgualmente divisa. Or ti fa core,E in seno a quella vorticosa nebbiaAnimoso ti avventa. Oh bravo! oh forte! 795Tale il grand’avo tuo tra il fumo e il focoOrribile di Marte furiandoGittossi allor che i palpitanti LariDe la patria difese, e ruppe e in fugaMise l’oste feroce. Ei nondimeno 800Fuligginoso il volto e d’atro sangueAsperso e di sudore e co’ capelliStracciati ed irti de la mischia uscìoSpettacol fero a i cittadini stessiPer sua man salvi; ove tu, assai più vago 805E leggiadro a vederse in bianca spogliaScenderai quindi a poco a bear gli occhiDe la cara tua patria a cui dell’avoIl forte braccio e il viso almo celesteDel nipote dovean portar salute. 810

Non vedi omai qual con solerte manoRechin di vesti a te pubblico arredoI damigelli tuoi? Rodano e SennaLe tesserono a gara; e qui cucilleOpulento sartor cui su lo scudo 815Serpe intrecciato a forbici elegantiIl titol di monsù: nè sol dà leggiA la materia la stagion diverse,Ma qual più si conviene al giorno e all’oraVarj sono il lavoro e la ricchezza. 820Vieni o fior de gli eroi vieni; e qual suoleNel più dubbio de’ casi alto monarcaAvanti al trono suo convocar lentoDi satrapi concilio a cui nell’ampia

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Calvizie de la fronte il senno appare; 825Tal di limpidi spegli a un cerchio in mezzoGrave t’assidi, e lor sentenza ascolta.Un giacendo al tuo piè mostri qual deggiaLiscia e piana salir su per le gambeLa docil calza: un sia presente al volto, 830Un dietro al capo: e la percossa luceQuinci e quindi tornando, a un tempo soloTutto al giudizio de’ tuoi guardi espongaL’apparato dell’arte. Intanto i serviA te sudino intorno; e qual piegate 835Le ginocchia in sul suol prono ti stringaIl molle piè di lucidi fermagli;E qual del biondo crin che i nodi eccedeSu le schiene ondeggiante in negro veloI tesori raccoglia; e qual già pronto 840Venga spiegando la nettarea veste.Fortunato garzone a cui la modaIn fioriti canestri e di vermigliaSeta coperti preparò tal copiaD’ornamenti e di pompe! Ella pur ieri 845A te dono ne fèo. La notte interaFaticaron per te cent’aghi e cento;E di percossi e ripercossi ferriPer le tacite case andò il rimbombo:Ma non in van poi che di novo fasto 850Oggi superbo nel bel mondo andrai;E per entro l’invidia e lo stuporePasserai de’ tuoi pari eguale a un dioFolto bisbiglio sollevando intorno.

Figlie de la memoria inclite suore 855Che invocate scendendo i feri nomiDe le squadre diverse e de gli eroiAnnoveraste a i grandi che cantàroAchille Enea e il non minor Buglione,Or m’è d’uopo di voi. Tropp’ardua impresa 860

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E insuperabil senza vostr’aitaFia ricordare al mio signor di quantiLeggiadri arnesi graverà sue vestiPria che di sè nel mondo esca a far pompa.Ma qual di tanti e sì leggiadri arnesi 865Sì felice sarà che innanzi a gli altriSignor venga a formar tua nobil soma?Tutti importan del pari. Ecco l’astuccioDi pelli rilucenti ornato e d’oroSdegnar la turba, e gli occhi tuoi primiero 870Occupar di sua mole. Esso a cent’usiOpportuno si vanta: e ad esso in gremboAtta a gli orecchi a i denti a i peli all’ugneVien forbita famiglia. A i primi onoriSeco s’affretta d’odorifer’onda 875Pieno cristal che a la tua vita in forseDoni conforto allor che il vulgo ardiscaTroppo accosto vibrar da la vil salmaFastidiosi effluvj a le tue nari.Nè men pronto di quello e all’uopo stesso 880L’imitante un cuscin purpureo drappoReca turgido il sen d’erbe odorateChe l’aprica montagna in tuo favoreAl possente meriggio educa e scalda.Ecco vien poi da cristallina rupe 885Tolto nobil vasello. Indi tralucePrezioso confetto ove a gli aromiStimolanti s’unì l’ambra o la terraChe il Giappon manda a profumar de’ grandiL’etereo fiato, o quel che il Caramano 890Fa gemer latte dall’inciso capoDe’ papaveri suoi; perchè se maiNon ben felice amor l’alma t’attrista,Lene serpendo per li membri acqueteA te gli spirti, e ne la mente induca 895Lieta stupidità che mille adune

Giuseppe Parini - Il giorno

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Giuseppe Parini - Il giorno

Imagin dolci e al tuo desio conformi.A tanto arredo il cannocchial succedaE la chiusa tra l’oro Anglica lente.Quel notturno favor ti presti allora 900Che al teatro t’assidi, e t’avviciniO i piè leggeri o le canore labbraDa la scena remota; o con malignoGuardo dell’alte vai logge spiandoLe abitate tenèbre; o miri altronde 905Gli ognor nascenti e moribondi amoriDe le tenere dame, onde s’apprestiAll’eloquenza tua nel dì venturoLunga e grave materia. A te la lenteNel giorno assista; e de gli sguardi tuoi 910Economa presieda; e sì li partaChe il mirato da te vada superbo,Nè i mal visti accusarte osin giammai.La lente ancor su l’occhio tuo sedendoIrrefragabil giudice condanni 915O approvi di Palladio i muri e gli archiO di Tizian le tele: essa a le vestiA i libri a i volti feminili applaudaSevera o li dispregi: e chi del sensoComun sì privo fia che insorger osi 920Contro al sentenziar de la tua lente?Non per questa però sdegna o signoreGiunto a lo speglio in Gallico sermoneIl vezzoso giornal, non le notateEburnee tavolette a guardar preste 925Tuoi sublimi pensier fin ch’abbian luceDoman tra i belli spirti; e non isdegnaLa picciola guaìna ove al tuo cennoMille ognora stan pronti argentei spilli.Oh quante volte a cavalier sagace 930Ho vedut’io le man render beateUno apprestato a tempo unico spillo!

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Ma dove ahi dove inonorato e soloLasci ’l coltello a cui l’oro e l’acciaroDonàr gemina lama, e a cui la madre 935De la gemma più bella d’AnfitriteDiè manico elegante, onde il coloreCon dolce variar l’iride imìta?Verrà il tempo verrà che ne’ superbiConvivj ognaltro avanzerai per fama 940D’esimio trinciatore; e i plausi e i gridiDe’ tuoi gran pari ecciterai qualora,Pollo o fagian con le forcine in altoSospeso, a un colpo il priverai dell’ancaMirabilmente. Or qual più resta omai 945Onde colmar tue tasche inclito ingombro?Ecco a molti colori oro distinto,Ecco nobil testuggine su cuiVoluttuose imagini lo sguardoInvitan de gli eroi. Copia squisita 950Di fumido rapè quivi è serbataE di spagna oleoso, onde lontanaPur come suol fastidioso insettoDa te fugga la noia. Ecco che smagliaCupido a te di circondar le dita 955Vivo splendor di preziose anella.Ami la pietra ove si stanno ignudeSculte le Grazie, e che il Giudeo ti feceCreder opra d’Argivi allor ch’ei chieseTanto tesoro, e d’erudito il nome 960Ti compartì prostrandosi a’ tuoi piedi?Vuoi tu i lieti rubini? O più t’aggradaSceglier quest’oggi l’Indico adamanteLà dove il lusso incantator costrinseLa fatica e il sudor di cento buoi 965Che pria vagando per le tue campagneFacean sotto a i lor piè nascere i beni?Prendi o tutti o qual vuoi; ma l’aureo cerchio

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Che sculto intorno è d’amorosi mottiOgnor teco si vegga, e il minor dito 970Premati alquanto, e sovvenir ti facciaDell’altrui fida sposa a cui se’ caro.Vengane alfin de gli orioi gemmatiVenga il duplice pondo; e a te de l’oreChe all’alte imprese dispensar conviene 975Faccia rigida prova. Ohimè che vagoArsenal minutissimo di coseCiondola quindi, e ripercosso insiemeMolce con soavissimo tintinno!Ma v’hai tu il meglio? Ah sì che i miei precetti 980Sagace prevenisti. Ecco risplendeChiuso in breve cristallo il dolce pegnoDi fortunato amor: lungi o profani,Chè a voi tant’oltre penetrar non lice.

Compiuto è il gran lavoro. Odi Signore 985Sonar già intorno la ferrata zampaDe’ superbi corsier che irrequietiNe’ grand’atrj sospinge arretra e volgeLa disciplina dell’ardito auriga.Sorgi e t’appresta a render baldi e lieti 990Del tuo nobile incarco i bruti ancora.Ma a possente signor scender non liceDa le stanze superne infin che al geloO al meriggio non abbia il cocchier stancoDurato un pezzo, onde l’uom servo intenda 995Per quanto immensa via natura il partaDal suo signore. Or dunque i miei precettiIo seguirò, chè varie al tuo mattinoPortar dee cure il variar de’ giorni:Tu dolce intanto prenderai solazzo 1000Ad agitar fra le tranquille ditaDell’oriolo i ciondoli vezzosi.

Signore al ciel non è cosa più caraDi tua salute: e troppo a noi mortali

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È il viver de’ tuoi pari util tesoro. 1005Uopo è talor che da gli egregi affanniT’allevj alquanto, e con pietosa manoIl teso per gran tempo arco rallente.Tu dunque allor che placida mattinaVestita riderà d’un bel sereno 1010Esci pedestre, e le abbattute membraAll’aura salutar snoda e rinfranca.Di nobil cuoio a te la gamba calziPurpureo stivaletto, onde giammaiNon profanin tuo piè la polve o il limo 1015Che l’uom calpesta. A te s’avvolga intornoVeste leggiadra che sul fianco scioltaSventoli andando; e le formose bracciaStringa in maniche anguste a cui vermiglioO cilestro ermesino orni gli estremi 1020Del bel color che l’elitropio tigneO pur d’oriental candido bissoVoluminosa benda indi a te fasciLa snella gola. E il crin… Ma il crin signoreForma non abbia ancor da la man dotta 1025Dell’artefice suo; chè troppo fora,Ahi troppo grave error lasciar tant’opraDe le licenziose aure in balìa.Nè senz’arte però vada neglettoSu gli omeri a cader; ma o che natura 1030A te il nodrisca; o che da ignote frontiIl più famoso parrucchier lo involi,E lo adatti al tuo capo, in sul tuo capoRipiegato l’afferri e lo sospendaCon testugginei denti il pettin curvo. 1035Ampio cappello alfin che il disco agguagliDel gran lume Febeo tutto ti copra,E allo sguardo profan tuo nume asconda.Poi che così le belle membra ornateCon artificj negligenti avrai, 1040

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Esci soletto a respirar taloraI mattutini fiati: e lieve cannaBrandendo con la man, quasi balenoLe vie trascorri, e premi ed urta il vulgoChe s’oppone al tuo corso. In altra guisa 1045Fora colpa l’uscir; però che andriènoMal dal vulgo distinti i primi eroi.

Tal giorno ancora, o d’ogni giorno forseFien qualch’ore serbate al molle ferroChe i peli a te rigermoglianti a pena 1050D’in su la guancia miete; e par che invidjCh’altri fuor che sè solo indaghi o scopraUnqua il tuo sesso. Arroge a questo il giornoChe di lavacro universal convientiTerger le vaghe membra. È ver che allora 1055D’esser mortal dubiterai; ma innalzaTu allor la mente a i grandi aviti onoriChe fino a te per secoli cotantiMisti scesero al chiaro altero sangue;E il pensier ubbioso al par di nebbia 1060Per lo vasto vedrai aere smarrirsiA i raggi de la gloria onde t’investi;E di te pago sorgerai qual priaGran semideo che a sè solo somiglia.Fama è così che il dì quinto le Fate 1065Loro salma immortal vedean coprirsiGià d’orribili scaglie, e in feda serpeVolta strisciar sul suolo a sè facendoDe le inarcate spire impeto e forza:Ma il primo sol le rivedea più belle 1070Far beati gli amanti e a un volger d’occhiMescere a voglia lor la terra e il mare.

Assai l’auriga bestemmiò finoraI tuoi nobili indugi: assai la terraCalpestàro i cavalli. Or via veloce 1075Reca o servo gentil, reca il cappello

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Ch’ornan fulgidi nodi: e tu frattantoFero genio di Marte a guardar postoDe la stirpe de’ numi il caro fianco,Al mio giovan eroe cigni la spada 1080Corta e lieve non già, ma qual richiedeLa stagion bellicosa al suol cadente,E di triplice taglio armata e d’elseImmane. Quanto esser può mai sublimeL’annoda pure onde la impugni all’uopo 1085La destra furibonda in un momento.Nè disdegnar con le sanguigne ditaDi ripulire ed ordinar quel nastroOnde l’else è superbo. Industre studioÈ di candida mano. Al mio signore 1090Dianzi donollo, e gliel appese al brandoL’altrui fida consorte a lui sì cara.Tal del famoso Artù vide la corteLe infiammate d’amor donzelle arditeOrnar di piume e di purpuree fasce 1095I fatati guerrier; sì che poi lietiCorrean mortale ad incontrar periglioIn selve orrende fra i giganti e i mostri.

Volgi o invitto campion, volgi tu pureIl generoso piè dove la bella 1100E de gli eguali tuoi scelto drappelloSbadigliando t’aspetta all’alte mense.Vieni, e godendo, nell’uscire il lungoOrdin superbo di tue stanze ammira.Or già siamo all’estreme: alza i bei lumi 1105A le pendenti tavole vetusteChe a te de gli avi tuoi serbano ancoraGli atti e le forme. Quei che in duro danteStrigne le membra, e cui sì grande ingombraTraforato collar le grandi spalle, 1110Fu di macchine autor; cinse d’invitteMura i Penati; e da le nere torri

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Signoreggiando il mar, verso le adusteSpiagge la predatrice Africa spinse.Vedi quel magro a cui canuto e raro 1115Pende il crin da la nuca, e l’altro a cuiSu la guancia pienotta e sopra il mentoSerpe triplice pelo? Ambo s’adornanoDi toga magistral cadente a i piedi:L’uno a Temi fu sacro: entro a’ Licei 1120La gioventù pellegrinando ei trasseA gli oracoli suoi; indi sedetteNel senato de’ padri; e le disperseLeggi raccolte, ne fe’ parte al mondo:L’altro sacro ad Igeia. Non odi ancora 1125Presso a un secol di vita il buon vegliardoDi lui narrar quel che da’ padri suoiNonagenarj udì, com’ei spargesseSu la plebe infelice oro e salutePari a Febo suo nume? Ecco quel grande 1130A cui sì fosco parruccon s’innalzaSopra la fronte spaziosa; e scendeDi minuti botton serie infinitaLungo la veste. Ridi? Ei novi aperseStudj a la patria; ei di perenne aita 1135I miseri dotò; portici e vieStese per la cittade; e da gli ombrosiLor lontani recessi a lei dedusseLe pure onde salubri, e ne’ quadrivjE in mezzo a gli ampli fori alto le fece 1140Salir scherzando a rinfrescar la stateMadre di morbi popolari. Oh comeArdi a tal vista di beato orgoglioMagnanimo garzon! Folle! A cui parlo?Ei già più non m’ascolta: odiò que’ ceffi 1145Il suo guardo gentil: noia lui preseDi sì vieti racconti: e già s’affrettaGiù per le scale impaziente. Addio

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De gli uomini delizia e di tua stirpe,E de la patria tua gloria e sostegno. 1150Ecco che umìli in bipartita schieraT’accolgono i tuoi servi. Altri già prontoVia se ne corre ad annunciare al mondoChe tu vieni a bearlo; altri a le bracciaTimido ti sostien mentre il dorato 1155Cocchio tu sali, e tacito e severoSur un canto ti sdrai. Apriti o vulgoE cedi il passo al trono ove s’assideIl mio signore. Ahi te meschin s’ei perdeUn sol per te de’ preziosi istanti! 1160Temi il non mai da legge o verga o funeDomabile cocchier: temi le roteChe già più volte le tue membra in giroAvvolser seco, e del tuo impuro sangueCorser macchiate, e il suol di lunga striscia, 1165Spettacol miserabile! segnàro.

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IL MERIGGIO

Ardirò ancor fra i desinari illustriSul meriggio innoltrarmi umil cantore,Poi che troppa di te cura mi pungeSignor, ch’io spero un dì veder maestroE dittator di graziosi modi 5All’alma gioventù che Italia onora.

Tal fra le tazze e i coronati viniOnde all’ospite suo fe’ lieta pompaLa punica regina, i canti alzavaJopa crinito; e la regina in tanto 10Dal bel volto straniero iva beendoL’oblivion del misero Sichèo:E tale, allor che l’orba Itaca in vanoChiedea a Nettun la prole di Laerte,Femio s’udìa co’ versi e con la cetra 15La facil mensa rallegrar de’ proci,Cui dell’errante Ulisse i pingui agnelliE i petrosi licori e la consorteConvitavano in folla. Amici or chinaGiovin Signore al mio cantar gli orecchi, 20Or che tra nuove Elise e nuovi prociE tra fedeli ancor PenelopèeTi guidano a la mensa i versi miei.

Già dall’alto del cielo il sol fuggendoVerge all’occaso: e i piccoli mortali 25Dominati dal tempo escon di novoA popolar le vie ch’all’orienteSpandon ombra già grande. A te null’altroDominator fuor che te stesso è datoStirpe di numi: e il tuo meriggio è questo. 30

Al fin di consigliarsi al fido speglioLa tua dama cessò. Cento già volteO chiese o rimandò novelli ornati;

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E cento ancor de le agitate ognoraDamigelle or con vezzi or con garriti 35Rovesciò la fortuna. A sè medesmaQuante volte convien piacque e dispiacque;E quante volte è duopo a sè ragioneFece e a’ suoi lodatori. I mille intornoDispersi arnesi al fin raccolse in uno 40La consapevol del suo cor ministra:Al fin velata di legger zendadoÈ l’ara tutelar di sua beltade:E la seggiola sacra un po’ rimossaLanguidetta l’accoglie. Intorno a lei 45Pochi giovani eroi van rimembrandoI cari lacci altrui, mentre da lungeAd altra intorno i cari lacci vostriPochi giovani eroi van rimembrando.Il marito gentil queto sorride 50A le lor celie; o, s’ei si cruccia alquanto,Del tuo lungo tardar solo si cruccia.Nulla però di lui cura te prendaOggi o Signore. E s’ei del vulgo a paroProstrò l’animo imbelle; e non sdegnosse 55Di chiamarsi marito, a par del vulgoSenta la fame esercitargli in pettoLo stimol fier de gli oziosi sughiAvidi d’esca: o se a i mariti alcunoD’anima generosa impeto resta, 60Ad altra mensa il piè rivolga; e d’altraDama al fianco si assida, il cui maritoPranzi altrove lontan d’un’altra al fiancoChe lungi abbia lo sposo: e così nuoveAnella intrecci a la catena immensa 65Onde alternando Amor l’anime avvince.

Pur sia che vuol; tu baldanzoso innoltraNe le stanze più interne. Ecco precorreAd annunciarti al gabinetto estremo

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Il noto scalpiccio de’ piedi tuoi. 70Già lo sposo t’incontra. In un balenoSfugge dall’altrui man l’accorta manoDe la tua dama: e il suo bel labbro in tantoTi apparecchia un sorriso. Ognun s’arretraChe conosce tuoi dritti; e si conforta 75Con le adulte speranze, a te lasciandoLibero e scarco il più beato seggio.Tal, colà dove in fra gelose muraBizanzio ed Ispaàn guardano il fioreDe la beltà che il popolato Egèo 80Manda e l’Armeno e il Tartaro e il CircassoPer delizia d’un solo, a bear entraL’ardente sposa il grave Musulmano.Nel maestoso passeggiar gli ondeggianoLe late spalle, e su per l’alta testa 85Le avvolte fasce: dall’arcato ciglioIntorno ei volge imperioso il guardo:Ed ecco al suo apparire umìl chinarsiE il piè ritrar l’effeminata occhiutaTurba che d’alto sorridendo ei spregia. 90

Or comanda o signor che tutte a schieraVengan le grazie tue; sì che a la damaQuanto elegante esser più puoi ti mostri.Tengasi al fianco la sinistra manoSotto al breve giubbon celata; e l’altra 95Sul finissimo lin posi, e s’ascondaVicino al cor; sublime alzisi il petto;Sorgan gli omeri entrambi; a lei conversoScenda il duttile collo; a i lati un pocoStringansi i labbri; ver lo mezzo acuti 100Escano alquanto; e da la bocca poi,Compendiata in forma tal, sen fuggaUn non inteso mormorio. Qual fiaChe a tante di beltade arme possentiSchermo si opponga? Ecco la destra ignuda 105

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Già la bella ti cede. Or via la strigni;E con soavi negligenze al labbroQual tua cosa l’appressa; e cader lasciaSovra i tiepidi avorj un doppio bacio.Siedi fra tanto; e d’una mano istrascica 110Più a lei vicin la seggioletta. OgnaltroTacciasi; ma tu sol curvato alquantoSeco susurra ignoti detti, a cuiConcordin vicendevoli sorrisiE sfavillar di cupidette luci, 115Che amor dimostri o che il somigli al meno.

Ma rimembra o signor che troppo nuoceIn amoroso cor lunga e ostinataTranquillità. Nell’oceàno ancoraPerigliosa è la calma. Ahi quante volte 120Dall’immobile prora il buon nocchieroInvocò la tempesta; e sì crudeleSoccorso ancor gli fu negato; e giacqueAffamato assetato estenuatoDal venenoso aere stagnante oppresso 125Fra le inutili ciurme al suol languendo!Dunque a te giovi de la scorsa notteRicordar le vicende; e con obliquiMotti pugnerla alquanto, o se nel voltoPaga più che non suole accôr fu vista 130Il novello straniero, e co’ bei labbriSemiaperti aspettar quasi marinaConca la soavissima rugiadaDe’ novi accenti; o se cupida troppoCol guardo accompagnò di loggia in loggia 135L’almo alunno di Marte, idol veglianteDe’ femminili voti, a la cui chiomaCol lauro trionfal mille s’avvolgonoE mille frondi dell’Idalio mirto.Colpevole o innocente allor la bella 140Dama improvviso adombrerà la fronte

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D’un nuvoletto di verace sdegnoO simulato, e la nevosa spallaScoterà un poco; e volgeransi al fineGli altri a bear le sue parole estreme. 145Fors’anco rintuzzar di tue rampogneSaprà l’agrezza, e noverarti a puntoLe visite furtive a i cocchi a i tettiE all’alte logge de le mogli illustriDi ricchi popolari, a cui sovente 150Scender per calle dal piacer segnatoLa maestà di cavalier non teme.Felice te, se mesta o disdegnosaTu la guidi a la mensa; o se tu puoiSolo piegarla a tollerar de’ cibi 155La nausea universal! Sorridan pureA le vostre dolcissime quereleI convitati; e l’un l’altro percotaCol gomito maligno. Ahi non di menoCome fremon lor alme! e quanta invidia 160Ti portan te mirando unico scopoDi sì bell’ire! Al solo sposo è datoIn cor nodrir magnanima quiete,Aprir nel volto ingenuo riso e tantoDocil fidanza ne le innocue luci. 165

Oh tre fiate avventurosi e quattroVoi del nostro buon secolo maritiQuanto diversi da’ nostr’avi! Un tempoUscìa d’averno con viperei crini,Con torbid’occhi irrequieti, e fredde 170Tenaci branche un indomabil mostro,Che ansando e anelando intorno givaA i nuziali letti, e tutto empieaDi sospetto e di fremito e di sangue.Allor gli antri domestici le selve 175L’onde le rupi alto ulular s’udiènoDi femminili stridi. Allor le belle

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Dame con mani incrocicchiate, e luciPavide al ciel tremando lagrimandoTra la pompa feral de le lugùbri 180Sale vedean dal truce sposo offrirsiLe tazze attossicate o i nudi stili.Ahi pazza Italia, il tuo furor medesmoOltre l’alpe oltre il mar destò le risaPresso a gli emuli tuoi, che di gelosa 185Titol ti dièro; e t’è serbato ancoraIngiustamente. Non di cieco amoreVicendevol desire alterno impulso,Non di costume simiglianza or guidaGiovani incauti al talamo bramato: 190Ma la prudenza co i canuti padriSiede librando il molto oro e i diviniAntiquissimi sangui: e allor che l’unoBene all’altro risponda, ecco ImenèoScoter sue faci; e unirsi al freddo sposo, 195Di lui non già ma de le nozze amanteLa freddissima vergine, che in coreGià i riti volge del bel mondo; e lietaLa indifferenza maritale affronta.Così non fien de la crudel Megera 200Più temuti gli sdegni. Oltre PireneContenda or pur le desiate porteA i gravi amanti; e di femminee risseTurbi oriente. Italia oggi si rideDi quello ond’era già derisa: tanto 205Puote una sola età volger le menti.

Ma già rimbomba d’una in altra salaSignore il nome tuo. Di già l’udìroL’ime officine ove al volubil tattoDe gl’ingenui palati arduo s’appresta 210Solletico che molle i nervi scotaE varia seco voluttà conducaFino al centro dell’alma. In bianche spoglie

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Affrettansi a compir la nobil opraGravi ministri: e lor sue leggi detta 215Una gran mente del paese uscitaOve Colberto e Risceliù fur chiari.Forse con tanta maestade in frontePresso a le navi ond’Ilio arse e cadèoA gli ospiti famosi il grande Achille 220Disegnava la cena: e seco in tantoLe vivande cocean su i lenti fochiPàtroclo fido e il guidator di carriAutomedonte. O tu sagace mastroDi lusinghe al palato, udrai fra poco 225Sonar le lodi tue dall’alta mensa.Chi fia che ardisca di trovar mai falloNel tuo lavoro? Il tuo signor fia tostoCampion de le tue glorie: e male a quantiCercator di conviti oseran motto 230Pronunciar contro a te; chè sul cocenteMeriggio andran peregrinando poiMiseri e stanchi; e non avran cui piacciaPiù popolar de le lor bocche i pranzi.

Imbandita è la mensa. In piè d’un salto 235Alzati e porgi almo garzon la manoA la tua dama; e lei dolce cadenteSopra di te col tuo valor sostieni,E al pranzo l’accompagna. I convitatiVengan dopo di voi: quindi lo sposo 240Ultimo segua. O prole alta di numi,Non vergognate di donar voi ancoBrevi al cibo momenti. A voi non vileCura fia questa. A quei soltanto è vileChe il duro irrefrenabile bisogno 245Stimola e caccia. All’impeto di quelloCedan l’orso la tigre il falco il nibbioL’orca il delfino e quanti altri animantiCrescon qua giù: ma voi con rosee labbra

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La sola voluttade al pasto appelli, 250La sola voluttà che le celestiMense apparecchia, e al nèttare convitaI viventi per sè dei sempiterni.

Vero forse non è; ma un giorno è famaChe fur gli uomini eguali: e ignoti nomi 255Fur nobili e plebei. Al cibo al bereAll’accoppiarse d’ambo i sessi al sonnoUno istinto medesmo un’egual forzaSospingeva gli umani: e niun consiglioNulla scelta d’obbietti o lochi o tempi 260Era lor conceduto. A un rivo stessoA un medesimo frutto a una stess’ombraConvenivano insieme i primi padriDel tuo sangue o signore e i primi padriDe la plebe spregiata: e gli stess’antri 265E il medesimo suol porgeano loroIl riposo e l’albergo, e a le lor membraI medesmi animai le irsute vesti.Sola una cura a tutti era comuneDi sfuggire il dolore: e ignota cosa 270Era il desire a gli uman petti ancora.L’uniforme de gli uomini sembianzaSpiacque a’ celesti: e a variar lor sorteIl Piacer fu spedito. Ecco il bel Genio,Qual già d’Ilio su i campi Iride o Giuno 275A la terra s’appressa: e questa rideDi riso ancor non conosciuto. Ei moveE l’aura estiva del cadente rivoE dei clivi odorosi a lui blandisceLe vaghe membra; e lenemente sdrucciola 280Sul tondeggiar de’ muscoli gentile.A lui giran dintorno i vezzi e i giochi;E come ambrosia le lusinghe scorronoDa le fraghe del labbro; e da le luciSocchiuse languidette umide fuora 285

Giuseppe Parini - Il giorno

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Di tremulo fulgore escon scintille,Ond’arde l’aere che scendendo ei varca.Al fin sul dorso tuo sentisti o terraSua prima orma stamparsi: e tosto un lentoFremere soavissimo si sparse 290Di cosa in cosa; e ognor crescendo tutteDi natura le viscere commosse:Come nell’arsa state il tuono s’ode,Che di lontano mormorando viene,E col profondo suon di monte in monte 295Sorge; e la valle e la foresta intornoMugon di smisurato alto rimbombo.Oh beati fra gli altri e cari al cieloViventi a cui con miglior man TitànoFormò gli organi egregi, e meglio tese 300E di fluido agilissimo inondolli!Voi l’ignoto solletico sentisteDel celeste motore. In voi ben tostoLa voglia s’infiammò, nacque il desio:Voi primieri scopriste il buono il meglio: 305Voi con foga dolcissima corresteA possederli. Allor quel de i duo sessi,Che necessario in prima era sol tanto,D’amabile e di bello il nome ottenne.Al giudizio di Paride fu dato 310Il primo esempio: tra femminei voltiA distinguer s’apprese; e fur sentitePrimamente le grazie. Allor tra milleSapor fur noti i più soavi. AlloraFu il vin preposto all’onda; e il vin si elesse 315Figlio de’ tralci più riarsi, e postiA più fervido sol ne’ più sublimiColli dove più zolfo il suolo impingua.Così l’uom si divise: e fu il signoreDa i mortali distinto, a cui nel seno 320Giacquero ancor l’èbeti fibre, inette

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A rimbalzar sotto a i soavi colpiDe la nova cagione onde fur tocche;E quasi bovi al suol curvati ancoraDinanzi al pungol del bisogno andàro; 325E tra la servitude e la viltadeE il travaglio e l’inopia a viver natiEbber nome di plebe. Or tu garzoneChe per mille feltrato invitte reniSangue racchiudi, poi che in altra etade 330Arte forza o fortuna i padri tuoiGrandi rendette; poi che il tempo al fineLor divisi tesori in te raccolse,Godi de gli ozj tuoi a te da i numiConcessa parte: e l’umil vulgo in tanto 335Dell’industria donato a te ministriOra i piaceri tuoi, nato a recarliSu la mensa regal, non a gioirne.

Ecco splende il gran desco. In mille formeE di mille sapor di color mille 340La variata eredità de gli aviScherza in nobil di vasi ordin disposta.Già la dama s’appressa: e già da i serviIl morbido per lei seggio s’adatta.Tu signor di tua mano all’agil fianco 345Il sottopon sì che lontana troppoElla non sieda o da vicin col pettoAhi di troppo non prema: indi un bel saltoSpicca, e chino raccogli a lei del lemboIl diffuso volume: e al fin t’assidi 350Prossimo a lei. A cavalier gentileIl lato abbandonar de la sua damaNon fia lecito mai; se già non sorgeStrana cagione a meritar ch’ei tolgaTanta licenza. Un nume ebber gli antiqui 355Immobil sempre, che al medesmo padreDe gli dei non cedette allor ch’ei scese

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Il Campidoglio ad abitar, sebbeneE Giuno e Febo e Venere e GradivoE tutti gli altri dei da le lor sedi 360Per riverenza del tonante uscìro.

Indistinto ad ognaltro il loco siaAll’alta mensa intorno: e, s’alcun ardeAmbizioso di brillar fra gli altri,Brilli altramente. Oh come i varj ingegni 365La libertà del genial convitoDesta ed infiamma! Ivi il gentil motteggio,Malizioso svolazzando recaSopra le penne fuggitive ed agitaOra i raccolti da la fama errori 370De le belle lontane, or de gli amantiOr de’ mariti i semplici costumi;E gode di mirar l’intento sposoRider primiero, e di crucciar con lieviMinacce in cor de la sua fida sposa 375I timidi segreti. Ivi abbracciataCo’ festivi racconti esulta e scherzaL’elegante licenza. Or nuda appareCome le Grazie; or con leggiadro veloSolletica più scaltra; e pur fatica 380Di richiamar de le matrone al voltoQuella rosa natia che caro fregioFu dell’avole nostre; ed or ne’ campiCresce solinga; e tra i selvaggi scherziA le rozze villane il viso adorna. 385Forse a la bella di sua man le dapiPiacerà ministrar, che novi al sensoGusti otterran da lei. Tu dunque il ferro,Che forbito ti giace al destro lato,Quasi spada sollecito snudando, 390Fa che in alto lampeggi; e chino a leiMagnanimo lo cedi. Or si vedrannoDe la candida mano all’opra intenta

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I muscoli giocar soavi e molli:E le grazie piegandosi con essa 395Vestiran nuove forme, or da le ditaFuggevoli scorrendo, ora su l’altoDe’ bei nodi insensibili aleggiando,Ed or de le pozzette in sen cadendoChe de’ nodi al confin v’impresse Amore. 400Mille baci di freno impazientiEcco sorgon dal labbro a i convitati:Già s’arrischian già volano già un guardoSfugge da gli occhi tuoi, che i vanni audaciFulmina ed arde e tue ragion difende. 405Sol de la fida sposa a cui se’ caroIl tranquillo marito immoto siede:E nulla impression l’agita o moveDi brama o di timor; però che ImeneDa capo a piè fatollo. Imene or porta 410Non più serti di rose al crine avvolti;Ma stupido papavero grondanteDi crassa onda letèa, che solo insegnaPur dianzi era del Sonno. Ahi quante volteLa dama delicata invoca il Sonno 415Che al talamo presieda; e seco in veceTrova Imenèo; e timida s’arretraQuasi al meriggio stanca villanella,Che fra l’erbe innocenti adagia il fiancoLieta e secura; e di repente vede 420Un serpe, e balza in piedi inorridita,E le rigide man stende, e ritraggeIl cubito, e l’anelito sospende,E immota e muta e con le labbra aperteIl guarda obliquamente. Ahi quante volte 425Incauto amante a la sua lunga penaCercò sollievo; e d’invocar credendoImène, ahi folle! invocò il Sonno: e questiDi fredda oblivion l’alma gli asperse;

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E d’invincibil noia e di torpente 430Indifferenza gli ricinse il core.

Ma se a la dama dispensar non piaceLe vivande o non giova, allor tu stessoLa bell’opra intraprendi. A gli occhi altruiPiù così smaglierà l’enorme gemma, 435Dolc’esca a gli usurai che quella osàroA le promesse di signor preporreVillanamente: e contemplati fiènoI manichetti, la più nobil opraChe tessesser giammai angliche Aracni. 440Invidieran tua delicata manoI convitati; inarcheran le cigliaAl difficil lavoro: e d’oggi in poiTi fia ceduto il trinciator coltelloChe al cadetto guerrier serban le mense. 445Sia tua cura fra tanto errar su i cibiCon sollecita occhiata, e prontamenteScoprir qual d’essi a la tua bella è caro;E qual di raro augel, di stranio pesceParte le aggrada. Il tuo coltello Amore 450Anatomico renda, Amor che tutteDe gli animanti annoverar le membraPuote, e discerner sa qual aggian tutteUso e natura. Più d’ognaltra cosaPerò ti caglia rammentar mai sempre 455Qual più cibo le noccia o qual più giovi;E l’un rapisci a lei, l’altro concediCome d’uopo a te pare. Oh dio, la serbaSerbala a i cari figli. Essi, dal giornoChe le alleviàro il delicato fianco 460Non la rivider più: d’ignobil pettoEsaurirono i vasi: e la ricolmaNitidezza lasciàro al sen materno.Sgridala, se a te par ch’avida troppoAl cibo agogni; e le ricorda i mali, 465

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Che forse avranno altra cagione, e ch’ellaAl cibo imputerà nel dì venturo.Nè al cucinier perdona, a cui non calseTanta salute. A te ne’ servi altruiRagion fu data in quel beato istante 470Che la noia e l’amore ambo vi strinseIn dolce nodo; e pose ordini e leggi.Per te sgravato d’odioso incarcoTi fia grato colui che dritto vantaD’impor novo cognome a la tua dama; 475E pinte strascinar su gli aurei cocchiGiunte a quelle di lei le proprie insegne:Dritto sacro a lui sol, ch’altri giammaiAudace non tentò divider seco.Vedi come col guardo a te fa cenno 480Pago ridendo, e a le tue leggi applaude;Mentre l’alta forcina in tanto ei volgeDi gradite vivande al piatto ancora.

Non però sempre a la tua bella intornoSudin gli studj tuoi. Anco tal volta 485Fia lecito goder brevi riposi;E de la quercia trionfale all’ombra,Te de la polve olimpica tergendo,Al vario ragionar de gli altri eroiPorgere orecchio; e il tuo sermone a i loro 490Frammischiar ozioso. Uno già scoteLe architettate del bel crine anellaSu la guancia ondeggianti; e ad ogni scossaDe’ convitati a le narici mandaVezzoso nembo d’Arabi profumi. 495A lo spirto di lui l’alma naturaFu prodiga così che più non seppeDi che il volto abbellirgli; e all’arte disse:Tu compi il mio lavoro: e l’arte sudaSollecita dintorno all’opra illustre. 500Molli tinture preziose linfe

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Polvi pastiglie delicati unguentiTutto arrischia per lui. Quanto di novoE mostruoso più sa tesser spolaO bulino intagliar gallico ed anglo 505A lui primo concede. Oh lui beatoChe primo ancor di non più viste formeTabacchiera mostrò. L’etica invidiaI grandi eguali a lui lacera e mangia;Ed ei pago di sè, superbamente 510Crudo, fa loro balenar su gli occhiL’ultima gloria onde Parigi ornollo.Forse altera così d’Egitto in facciaVaga prole di Sèmele apparistiI giocondi rubini alto levando 515Del grappolo primiero: e tal tu forseTessalico garzon mostrasti a JolcoL’auree lane rapite al fero drago.

Or vedi or vedi qual magnanim’iraNell’eroe che dell’altro a canto siede 520A sì novo spettacolo si desta!Vedi quanto ei s’affanna; e il pasto sembraObliar declamando! Al certo al certoIl nemico è a le porte. Oimè i PenatiTremano e in forse è la civil salute! 525Ma no; più grave a lui più preziosaCura lo infiamma. Oh depravato ingegnoDe gli artefici nostri! In van si speraDa la inerte lor man lavoro egregioFelice invenzion d’uom nobil degna. 530Chi sa intrecciar chi sa pulir fermaglioA patrizio calzar; chi tesser drappoSoffribil tanto che d’ornar presumaI membri di signor che un lustro a penaConti di feudo? In van s’adopra e stanca 535Chi la lor mente sonnolenta e crassaCerca destar: di là dall’alpi è d’uopo

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Appellar l’eleganza: e chi giammaiFuor che il genio di Francia osato avriaSu i menomi lavori i grechi ornati 540Condur felicemente? Andò romitoIl bongusto finora spaziandoPer le auguste cornici e per gli eccelsiTimpani de le moli a i numi sacreO a gli uomini scettrati; ed or ne scende 545Vago al fin d’agitar gli austeri fregiEntro a le man di cavalieri e dame.Ben tosto si vedrà strascinar ancoFra i nuziali doni e i lievi veliLe greche travi: e docile trastullo 550Fien de la moda le colonne e gli archiOve sedeano i secoli canuti.

Commercio alto gridar, gridar commercioAll’altro lato de la mensa or odiCon fanatica voce: e tra il fragore 555D’un peregrino d’eloquenza fiumeDi bella novità stampate al conioLe forme apprendi, onde assai meglio poiBrillantati i pensier picchin lo spirto.Tu pur grida commercio: e un motto ancora 560La tua bella ne dica. Empiono è veroIl nostro suol di Cerere i favori,Che per folti di biade immensi campiErgesi altera; e pur ne mostra a penaTra le spighe confuso il crin dorato. 565Bacco e Vertunno i lieti poggi e il monteNe coronan di poma: e Pale amicaLatte ne preme a larga mano; e tondeCandidi velli; e per li prati pasceMille al palato uman vittime sacre. 570Sorge fecondo il lin soave curaDe’ verni rusticali: e d’infinitaSerie ne cinge le campagne il tanto

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Per la morte di Tisbe arbor famoso.Che vale or ciò? Su le natie lor balze 575Rodan le capre; ruminando il buePer li prati natii vada; e la plebeNon dissimile a lor si nudra e vestaDe le fatiche sue: ma a le grand’almeDi troppo agevol ben schife Cillenio 580Il comodo ministri, a cui le migliaPregio acquistino e l’oro: e d’ogn’intornoCommercio risonar s’oda commercio.Tale da i letti de la molle rosaSìbari un dì gridar soleva; e i lumi 585Disdegnando volgea da i frutti avitiTroppo per lei ignobil cura; e mentreCartagin dura a le fatiche e TiroPericolando per l’immenso saleCon l’oro altrui le voluttà cambiava, 590Sìbari si volgea su l’altro lato;E non premute ancor rose cercandoPur di commercio novellava e d’arti.

Ma chi è quell’eroe che tanta parteColà ingombra di loco; e mangia e fiuta 595E guata; e de le altrui fole ridendoSì superba di ventre agita mole?Oh di mente acutissima dotateMamme del suo palato! Oh da’ mortaliInvidiabil anima che siede 600Fra l’ammiranda lor testura, e quindiL’ultimo del piacer deliquio sugge!Chi più acuto di lui penètra e intendeLa natura migliore? O chi più industreConverte a suo piacer l’aria la terra 605E il ferace di mostri ondoso abisso?Qualora ei viene al desco altrui paventanoSuo gusto inesorabile le smilzeOmbre de gli avi, che per l’aria lievi

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Aggiransi vegliando ancor dintorno 610A i ceduti tesori; e piangon lasseLe mal spese vigilie, i sobrj pasti,Le in preda all’aquilon case, le antiqueDigiune rozze, gli scommessi cocchiForte assordanti per stridente ferro 615Le piazze e i tetti: e lamentando vannoGl’in van nudati rustici, le famiMal desiate, e de le sacre togheL’armata in vano autorità sul vulgo.

L’altro vicin chi fia? Per certo il caso 620Congiunse accorto i duo leggiadri estremi,Perchè doppio spettacolo campeggi;E l’un dell’altro al par più lustri e splenda.Falcato dio de gli orti, a cui la grecaLàmsaco d’asinelli offrir solea 625Vittima degna, al giovane seguaceDel sapiente di Samo i doni tuoiReca sul desco. Egli ozioso siedeAborrendo le carni; e le nariciSchifo raggrinza; e in nauseanti rughe 630Ripiega i labbri; e poco pane in tantoRumina lentamente. Altro giammaiA la squallida inedia eroe non seppeDurar sì forte: nè lassezza il vinseNè deliquio giammai nè febbre ardente: 635Tanto importa lo aver scarze le membraSingolare il costume e nel bel mondoOnor di filosofico talento.Qual anima è volgar la sua pietateSerbi per l’uomo: e facile ribrezzo 640Dèstino in lei del suo simìle i danniO i bisogni o le piaghe. Il cor di questoSdegna comune affetto; e i dolci motiA più lontano limite sospigne.Pera colui che prima osò la mano 645

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Armata alzar su l’innocente agnellaE sul placido bue: nè il truculentoCor gli piegàro i teneri belati,Nè i pietosi mugiti, nè le molliLingue lambenti tortuosamente 650La man che il loro fato aimè stringea.

Tal ei parla o signor: ma sorge in tantoA quel pietoso favellar da gli occhiDe la tua dama dolce lagrimettaPari a le stille tremule brillanti, 655Che a la nova stagion gemendo vannoDa i palmiti di Bacco entro commossiAl tiepido spirar de le prim’aureFecondatrici. Or le sovvien del giorno,Ahi fero giorno! allor che la sua bella 660Vergine cuccia de le Grazie alunna,Giovanilmente vezzeggiando, il piedeVillan del servo con gli eburnei dentiSegnò di lieve nota: e questi audaceCol sacrilego piè lanciolla: ed ella 665Tre volte rotolò; tre volte scosseLo scompigliato pelo, e da le vagheNari soffiò la polvere rodente:Indi i gemiti alzando, aita aitaParea dicesse; e da le aurate volte 670A lei la impietosita eco rispose;E dall’infime chiostre i mesti serviAsceser tutti; e da le somme stanzeLe damigelle pallide tremantiPrecipitàro. Accorse ognuno: il volto 675Fu d’essenze spruzzato a la tua dama:Ella rinvenne al fine. Ira e doloreL’agitavano ancor: fulminei sguardiGettò sul servo; e con languida voceChiamò tre volte la sua cuccia: e questa 680Al sen le corse; in suo tenor vendetta

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Chieder sembrolle: e tu vendetta avestiVergine cuccia de le Grazie alunna.L’empio servo tremò; con gli occhi al suoloUdì la sua condanna. A lui non valse 685Merito quadrilustre: a lui non valseZelo d’arcani ufici. Ei nudo andonneDe le assise spogliato onde pur dianziEra insigne a la plebe: e in van novelloSignor sperò; chè le pietose dame 690Inorridìro; e del misfatto atroceOdiàr l’autore. Il perfido si giacqueCon la squallida prole e con la nudaConsorte a lato su la via spargendoAl passeggero inutili lamenti: 695E tu vergine cuccia idol placatoDa le vittime umane isti superba.

Nè senza i miei precetti o senza scortaInerudito andrai signor, qualoraIl perverso destin dal fianco amato 700Ti allontani a la mensa. Avvien soventeChe con l’aio seguace o con l’amicoUn grande illustre or l’alpi or l’oceànoVarchi e scenda in Ausonia, orribil ceffoPer natura o per arte, a cui Ciprigna 705Rose le nari; o sale impuro e crudoSnudò i denti ineguali. Ora il distingueRisibil gobba, or furiosi sguardiObliqui o loschi: or rantoloso avvolgeFra le tumide fauci ampio volume 710Di voce, che gorgoglia, ed esce al fineCome da inverso fiasco onda che goccia;Or d’avi or di cavalli ora di FriniInstancabile parla; or de’ celestiLe folgori deride. Aurei monili 715E nastri e gemme gloriose pompeL’ingombran tutto: e gran titolo suona

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Dinanzi a lui. Qual più tra noi risplendeInclita stirpe ch’onorar non vogliaD’un ospite sì degno i Lari suoi? 720Ei però col compagno ammessi fiènoDi Giuno a i fianchi: e tu lontan da leiCo’ Silvani capripedi n’andraiPresso al marito; e pranzerai neglettoFra il popol folto de gli dei minori. 725

Ma negletto non già da gli occhi andraiDe la dama gentil, che a te rivoltiIncontreranno i tuoi. L’aere a quell’urtoArderà di faville: e Amor con l’aliL’agiterà. Nel fortunato incontro 730I messagger pacifici dell’almaCambieran lor novelle: e alternamenteSpinti ritorneranno a voi con dolceDelizioso tremito su i cori.Allor tu le ubbidisci; o se t’invita 735Le vivande a gustar, che a lei vicineL’ordin dispose; o se a te chiede in veceQuella che innanzi a te sue voglie pugneNon col soave odor, ma con le noveLeggiadre forme onde abbellir la seppe 740Dell’ammirato cucinier la mano.Con la mente si pascono le diveSopra le nubi del brillante Olimpo:E lor labbra immortali irrita e moveNon la materia, ma il divin lavoro. 745Nè allor men destro ad ubbidir saraiChe di raro licor la bella strigneColmo bicchiere, a lo cui orlo intornoSerpe striscia dorata; e par che dica:Lungi o labbra profane: a i labbri solo 750De la diva che qui soggiorna e regnaÈ il castissimo calice serbato:Nè cavalier con alito maschile

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Osi appannarne il nitido cristallo;Nè dama convitata unqua presuma 755I labbri apporvi; e sien pur casti e puri,E quanto esser può mai cari all’Amore.Tu al cenno de’ bei guardi e de la destra,Che reggendo il bicchier sospesa ondeggiaAffettuoso attendi. I lumi tuoi 760Di gioia sfavillando accolgan prontiIl brindisi segreto: e ti preparaIn simil modo a tacita risposta.

Ecco d’estro già punta ecco la MusaBrindisi grida all’uno e all’altro amante; 765All’altrui fida sposa a cui se’ caro,E a te signor sua dolce cura e nostra.Quale annoso licor Lièo vi mesce,Tale Amore a voi mesca eterna gioiaNon gustata al marito, e da coloro 770Invidiata che gustata l’hanno.Veli con l’ali sue sagace oblioLe alterne infedeltà che un cor dall’altroPorieno un giorno separar per sempre:E solo a gli occhi vostri Amor discopra 775Le alterne infedeltà, che in ambo i pettiVentilar ponno le cedenti fiamme.Di sempiterno indissolubil nodoCanti augurj per voi vano cantore:Nostra nobile musa a voi desia 780Sol quanto piace a voi durevol nodo.Duri fin che a voi piace: e non si sciogliaSenza che Fama sopra l’ale immenseTolga l’alta novella; e grande n’empiaCol reboato dell’aperta tromba 785L’ampia cittade e dell’Enotria i monti,E le piagge sonanti, e s’esser puote,La bianca Teti e Guadiana e Tule.Il mattutino gabinetto il corso

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Il teatro e la mensa in vario stile 790Ne ragionin gran tempo. Ognun ne chiedaIl dolente marito: ed ei dall’altoLa lamentabil favola cominci.Tal su le scene, ove agitar soleaL’ombre tinte di sangue Argo piagnente, 795Squallido messo al palpitante coroNarrava come furiando EdipoAl talamo sen corse incestuoso,Come le porte rovescionne, comeAl subito spettacolo ristette 800Quando vicina del nefando lettoVide in un corpo solo e sposa e madrePender strozzata; e del fatale uncinoLe mani armosse; e con le proprie maniA sè le care luci da la testa 805Con le man proprie misero strapposse.

Ma già volge al suo fine il pranzo illustre:Già Como e Dionisio al desco intornoRapidissimamente in danza giranoCon la libera Gioia. Ella saltando 810Or questo or quel de’ convitati lieveTocca col dito: e al suo toccar scoppiettanoBrillanti vivacissime scintille,Ch’altre ne destan poi. Sonan le risa:Il clamoroso disputar s’accende: 815La nobil vanità pugne le menti:E l’amor di sè sol, baldo scorrendo,Porge un scettro a ciascuno; e dice: regna.Questi i concilj di Bellona, e quegliPènetra i tempj de la Pace. Un guida 820I condottieri: a i consiglier consiglioL’altro dona; e divide e capovolgeCon seste ardite il pelago e la terra.Qual di Pallade l’arti e de le MuseGiudica e libra; qual ne scopre acuto 825

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L’alte cagioni; e i gran principj abbatteCui creò la natura, e che tiranniSopra il senso de gli uomini regnàroGran tempo in Grecia, e nel paese ToscoRinacquer poi più poderosi e forti. 830

Cotanto adunque di saper fia datoA nobil capo? Oh letti oh specchi oh menseOh corsi oh scene oh feudi oh sangue oh aviChe per voi non s’apprende? Or tu signoreCo’ voli arditi del felice ingegno 835Sovra ognaltro t’innalza. Il campo è questoOve splender più dei. Nulla scienza,Sia quant’esser mai puote arcana o grande,Ti spaventi giammai. Se cosa udistiO leggesti al mattino onde tu deggia 840Gloria sperar; qual cacciator che segueCircuendo la fera, e sì la guidaE volge di lontan che a poco a pocoA le insidie s’accosta e dentro piomba,Tal tu il sermone altrui volgi sagace 845Fin che là cada ove spiegar ti gioveIl tuo novo tesoro. E se pur ieriScesa in Italia pellegrina formaDel parlar t’è già nota, allor tu studiaMateria espor che favellando ammetta 850La nova gemma; e poi che il punto hai colto,Ratto la scopri; e sfolgorando abbagliaQual altra è mente che superba andasseDi squisita eloquenza a i gran convivj.In simil guisa il favoloso mago, 855Che fe’ gran tempo desiar l’amanteAll’animosa vergin di Dordona,Da i cavalier che l’assalìen bizzarriOprar lasciava ogni lor possa ed arte;Poi ecco in mezzo a la terribil pugna 860Strappava il velo a lo incantato scudo;

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Giuseppe Parini - Il giorno

E quei sorpresi dal bagliore immensoCiechi spingeva e soggiogati a terra.

Talor di Zoroastro o d’ArchimedeDiscepol sederà teco a la mensa. 865Tu a lui ti volgi, seco lui ragiona,Suo linguaggio ne apprendi; e quello poiQual se innato a te fosse alto ripeti.Nè paventar quel che l’antica famaNarra de’ lor compagni. Oggi la diva 870Urania il crin compose; e gl’irti alunniSmarriti vergognosi balbettantiTrasse da le lor cave, ove già tempoCol profondo silenzio e con la notteTenean consiglio: e le servili braccia 875Fornìen di leve onnipotenti, ond’altoSalisser poi piramidi obelischiAd eternar de’ popoli superbiI gravi casi: o pur con feri dicchiStavan contra i gran letti: o di pignone 880Audace armati, spaventosamenteCozzavan con la piena, e giù a traversoSpezzate rovesciate dissipavanoLe tetre corna: decima faticaD’Ercole invitto. Ora i selvaggi amici 885Urania ingentilì. Baldi e leggiadriNel gran mondo li guida, o tra il clamoreDe’ frequenti convivi, o pur tra i vezziDe’ gabinetti; ove a la docil damaE al caro cavalier mostran qual via 890Venere tenga, e in quante forme o qualiSuo volto lucidissimo si cangi.

Nè del poeta temerai che beffiCon satira indiscreta i detti tuoi;O che a maligne risa esponer osi 895Tuo talento immortale. All’alta mensaVoi lo innalzaste; e tra la vostra luce

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Beato l’avvolgeste; e de le MuseA dispetto e d’Apollo al sacro coroL’ascriveste de’ vati. Ei de la mensa 900Fece il suo Pindo: e guai a lui se quindiLe dee sdegnate giù precipitandoCon le forchette il cacciano. Meschino!Più non poria su le dolenti membraDel suo infermo signor chiedere aita 905Da la buona Salute; o con alateOdi ringraziar, nè tesser inniAl barbato figliuol di Febo intonso.Più del giorno natale i chiari alboriSalutar non potrebbe; e l’auree frecce 910Nomi-sempiternanti all’arco imporre.Non più gli urti festevoli, o sul nasoL’elegante scoccar d’illustri ditaFora dato sperare. A lui tu dunqueNon disdegna o signor volger talora 915Tu’ amabil voce; a lui tu canta i versiDel delicato cortigian d’Augusto,O di quel che tra Venere e LièoPinse Trimalcion: la Moda imponeCh’Arbitro o Flacco a i begli spirti ingombri 920Spesso le tasche. Oh come il vate amicoTe udrà meravigliando il sermon priscoO sciogliere o frenar qual più ti piace!E per la sua faretra e per li centoDestrier focosi che in Arcadia pasce 925Ti giurerà che di Donato al paroIl difficil sermone intendi e gusti!

E questo ancor di rammentar fia tempoI novi Sofi che la Gallia o l’AlpeAmmirando persegue; e dir qual arse 930De’ volumi infelici, o andò macchiatoD’infame nota; e quale asilo apprestiFilosofia al morbido Aristippo

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Del secol nostro, e qual ne appresti al novoDiogene dell’auro sprezzatore 935E della opinione de’ mortali.Lor famosi volumi, o a te discesiPer calle obliquo e compri a gran tesoro,O da cortese man prestati, fiènoLungo ornamento a lo tuo speglio innante. 940Poi che brevi gli avrai scorsi momentiOrnandoti o a la man garrendo indottaDel parrucchier; poi che t’avran più nottiConciliato il facil sonno, al fineAnco a lo speglio passeran di lei, 945Che comuni ha con te studj e licèo,Ove togato in cattedra eleganteSiede interprete Amore. Or fia la mensaIl favorevol loco, onde al sol escaDe’ brevi studj il glorioso frutto. 950Chi por freni oserà d’inclita stirpeAll’animo a la mente? Il vulgo temaOltre natura: e quei cui dona il vulgoTitol di saggio mediti romitoIl ver celato; e al fin cada adorando 955La sacra nebbia che lo avvolge intorno.Ma tu come sublime aquila volaDietro a i sofi novelli. Alto dia plausoTutta la mensa al tuo poggiare audace.Te con lo sguardo e con l’orecchio beva 960La dama da le tue labbra rapita:Con cenno approvator vezzosa il capoPieghi sovente: e il calcolo e la massaE la inversa ragion sonino ancoraSu la bocca amorosa. Or più non odia 965De le scole il sermone Amor maestro:E l’accademia e i portici passeggiaDe’ filosofi al fianco; e con la molleMano accarezza le cadenti barbe.

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Ma guardati o signor guardati oh dio 970Dal tossico mortal che fuora esalaDa i volumi famosi: e occulto poiSa per le luci penetrato all’almaGir serpendo ne’ cori; e con fallaceLusinghevole stil corromper tenta 975Il generoso de le stirpi orgoglio,Che ti scevra dal vulgo. Udrai da quelliChe ciascun de’ viventi all’altro è pari;E caro a la natura e caro al cieloÈ non manco di te colui che regge 980I tuoi destrieri e quel ch’ara i tuoi campi;E che la tua pietade o il tuo rispettoDevrien fino a costor scender vilmente.Folli sogni d’infermo! Intatti lasciaCosì strani consigli: e solo attigni 985Ciò che la dolce voluttà rinfranca,Ciò che scioglie i desiri e ciò che nudreLa libertà magnanima. Tu questoReca solo a la mensa; e sol da questoPlauso cerca ed onor: così dell’api 990L’industrioso popolo ronzandoGira di fiore in fior di prato in prato;E i dissimili sughi raccogliendoTesoreggia nell’arnie: un giorno poiNe van colme le pàtere dorate 995Sopra l’ara de’ numi; e d’ogni latoRibocca la fragrante alma dolcezza.

Or versa pur dall’odorato gremboI tuoi doni o Pomona; e l’ampie colmaTazze che d’oro e di color diversi 1000Fregia il Sassone industre. E tu da i greggiRustica Pale coronata vieniDi melissa olezzante o di ginebro;E co’ lavori tuoi di presso latteDeclina vergognando a chi ti chiede; 1005

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Ma deporli non osa. In su la mensaPorien deposti le celesti nariPungere ahi troppo; e con ignobil sensoGli stomachi agitar: soli torregginoSul ripiegato lino in varia forma 1010I latti tuoi cui di serbato vernoAssodarono i sali, e fecer attiA dilettar con subito rigoreDi convitato cavalier le labbra.

Tu signor che farai poi che la dama 1015Con la mano e col piè lieve puntandoMove in giro i begli occhi; e altrui dà cennoChe di sorger è tempo? In piè d’un saltoBalza primo di tutti; a lei soccorri,La seggiola rimovi, la man porgi, 1020Guidala in altra stanza, e più non soffriChe lo stagnante de le dapi odoreIl celabro le offenda. Ivi con gli altriGratissimo vapor la invita, ond’empieL’aere il caffè, che preparato fuma 1025In tavola minor, cui vela ed ornaIndica tela. Ridolente gommaQuinci arde in tanto, e va lustrando e purgaL’aere profano, e fuor caccia de’ cibiLe volanti reliquie. Egri mortali, 1030Che la miseria e la fidanza un giornoSul meriggio guidàro a queste porteTumultuosa ignuda atroce follaDi tronche membra e di squallide facceE di bare e di grucce, or via da lunge 1035Vi confortate; e per le alzate nariDel divin prandio il nettare beete,Che favorevol aura a voi conduce:Ma non osate i limitari illustriAssediar, fastidioso offrendo 1040Spettacolo di mali a i nostri eroi.

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E a te nobil garzon la tazza in tantoApprestar converrà, che i lenti sorsiMinistri poi de la tua bella a i labbriE memore avvertir s’ella più goda, 1045O sobria o liberal temprar col dolceLa bollente bevanda: o se più forseL’ami così come sorbir la godeBarbara sposa, allor che molle assisaNe’ broccati di Persia al suo signore 1050Con le dita pieghevoli il selvosoMento vezzeggia; e la svelata fronteAlzando il guarda; e quelli sguardi han possaDi far che a poco a poco di man cadaAl suo signore la fumante canna. 1055Mentre i labbri e la man v’occupa e scaldaL’odoroso licor, sublimi coseMacchinerà tua infaticabil mente.Quale oggi coppia di corsier de’ il carroCondur de la tua bella; o l’alte moli 1060Che per le fredde piagge educa il Cimbro;O quei che abbeverò la Drava; o quelliChe a le vigili guardie un dì fuggìroDe la stirpe Campana: oggi qual meglioSi convegna ornamento a i dorsi alteri; 1065Se semplici e negletti, o se pomposiDi ricche nappe e variate stringheAndran su l’alto collo i crin volando,E sotto a cuoi vermigli e ad auree fibbieOndeggeranno li ritondi fianchi. 1070Quale oggi cocchio trionfanti al corsoVi porterà; se quel cui l’oro copreFulgido al sole; e de’ vostr’alti aspettiPer cristallo settemplice concedeAl popolo bearsi; o quel, che tutto 1075Caliginoso e tristo e a la marmoreaTomba simìl che de’ vostr’avi chiude

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I cadaveri eccelsi, ammette a penaCupido sguardo altrui. Cotanta moleDi cose a un tempo sol nell’alto ingegno 1080Tu verserai; poi col supremo aurigaArduo consiglio ne terrai; non senzaQualche lieve garrir con la tua dama.Servi l’auriga ogni tua legge: e in tantoAltra cura subentri. Or mira i prodi 1085Compagni tuoi che, ministrato a penaDolce conforto di vivande a i membri,Già scelto il campo, e già distinti in bandePreparansi giocando a fieri assalti.Così a queste, o signore, illustre inganno 1090Ore lente si faccia. E s’altri ancoraVuole Amor che s’inganni; altronde pugniLa turba convitata; e tu da un latoSol con la dama tua quel gioco eleggi,Che due sol tanto a un tavoliere ammetta. 1095

Già per ninfa gentil tacito ardeaD’insoffribile ardor misero amante,Cui null’altra eloquenza usar con leiFuor che quella de gli occhi era concesso:Poi che il rozzo marito ad Argo eguale 1100Vigilava mai sempre; e quasi bisciaOra piegando or allungando il colloAd ogni verbo con gli orecchi acutiEra presente. Oimè, come con cenniO con notate tavole giammai 1105O con servi sedotti a la sua bellaChieder pace ed aita? Ogni d’AmoreStratagemma finissimo vinceaLa gelosia del rustico marito.Che più lice sperare? Al tempio ei viene 1110Del nume accorto che le serpi annodaAll’aurea verga, e il capo e le calcagnaD’ali fornisce. A lui si prostra umìle;

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E in questi detti lagrimando il prega.«O propizio a gli amanti, o buon figliuolo 1115De la candida Maia, o tu che d’ArgoDeludesti i cent’occhi, e a lui rapistiLa guardata giovenca, i preghi accogliD’un amante infelice; e a lui concediSe non gli occhi ingannar, gli orecchi almeno 1120D’importuno marito». Ecco si scoteIl divin simulacro, a lui s’inchina,Con la verga pacifica la fronteGli percote tre volte: e il lieto amanteSente dettarsi ne la mente un gioco, 1125Che i mariti assordisce. A lui direstiChe l’ali del suo piè concesse ancoraIl supplicato dio, cotanto ei volaVelocissimamente a la sua donna.Là bipartita tavola prepara, 1130Ov’èbano ed avorio intarsiatiRegnan sul piano, e partono alternandoIn due volte sei case ambe le sponde.Quindici nere d’èbano rotelleE d’avorio bianchissimo altrettante 1135Stan divise in due parti; e moto e normaDa duo dadi gittati attendon, pronteGli spazj ad occupar, e quinci e quindiPugnar contrarie. Oh cara a la fortunaQuella che corre innanzi all’altre; e seco 1140Trae la compagna, onde il nemico assaltoForte sostenga! Oh giocator feliceChi pria l’estrema casa occupa; e l’altroDe gli spazj a sè dati ordin riempieCon doppio segno! Ei trionfante allora 1145Da la falange il suo rival combatte;E in proprio ben rivolge i colpi ostili.Al tavolier s’assidono ambidueL’amante cupidissimo e la ninfa.

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Quella una sponda ingombra e questi l’altra. 1150Il marito col gomito s’appoggiaAll’un de’ lati; ambo gli orecchi tende;E sotto al tavolier di quando in quandoGuata con gli occhi. Or l’agitar de i dadiEntro a sonanti bòssoli comincia, 1155Ora il picchiar de’ bòssoli sul piano,Ora il vibrar lo sparpagliar l’urtareIl cozzar de i duo dadi, or de le mosseRotelle il martellar. Torcesi e fremeSbalordito il geloso: a fuggir pensa, 1160Ma rattienlo il sospetto. Il fragor cresceIl rombazzo il frastono il rovinio:Ei più regger non puote, in piedi balza,E con ambe le man tura gli orecchi.Tu vincesti o Mercurio. Il cauto amante 1165Poco disse: e la bella intese assai.Tal ne la ferrea età, quando gli sposiFolle superstizion chiamava all’armeGiocato fu. Ma poi che l’aureo venneSecol di novo; e che del prisco errore 1170Si spogliàro i mariti, al sol dilettoLa dama e il cavalier volsero il giocoChe la necessità trovato avea.Fu superfluo il romor: di molle pannoLa tavola vestissi e de’ patenti 1175Bòssoli il sen: lo schiamazzio molestoTal rintuzzossi: e durò al gioco il nome,Che ancor l’antico strepito dinota.

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IL VESPRO

Ma de gli augelli e de le fere il giornoE de’ pesci squammosi e de le pianteE dell’umana plebe al suo fin corre.Già sotto al guardo de la immensa luceSfugge l’un mondo: e a berne i vivi raggi 5Cuba s’affretta e il Messico e l’altriceDi molte perle California estrema:E da’ maggiori colli e dall’eccelseRocche il sol manda gli ultimi salutiAll’Italia fuggente; e par che brami 10Rivederti o Signor prima che l’alpeO l’appennino o il mar curvo ti celiA gli occhi suoi. Altro finor non videChe di falcato mietitore i fianchiSu le campagne tue piegati e lassi, 15E su le armate mura or braccia or spalleCarche di ferro, e su le aeree capreDe gli edificj tuoi man scabre e arsicce,E villan polverosi innanzi a i carriGravi del tuo ricolto, e su i canali 20E su i fertili laghi irsuti pettiDi remigante che le alterne merciA’ tuoi comodi guida ed al tuo lusso;Tutti ignobili aspetti. Or colui veggiaChe da tutti servito a nullo serve. 25

Pronto è il cocchio felice. Odo le roteOdo i lieti corsier che all’alma sposaE a te suo fido cavalier nodrisceIl placido marito. Indi la pompaAffrettasi de’ servi; e quindi attende 30Con insigni berretti e argentee mazzeCandida gioventù che al corso agognaI moti espor de le vivaci membra:

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E nell’audace cor forse presumeA te rapir de la tua bella i voti. 35

Che tardi omai? Non vedi tu com’ellaGià con morbide piume a i crin leggeriLa bionda che svanì polve rendette;E con morbide piume in su la guanciaFe’ più vermiglie rifiorir che mai 40Le dall’aura predate amiche rose?Or tu nato di lei ministro e duceL’assisti all’opra; e di novelli odoriLa tabacchiera e i bei cristalli auratiCon la perita mano a lei rintègra: 45Tu il ventaglio le scegli adatto al giorno;E tenta poi fra le giocose ditaCome agevole scorra. Oh qual con lietiNè ben celati a te guardi e sorrisiPlaude la dama al tuo sagace tatto! 50

Ecco ella sorge; e del partir dà cenno:Ma non senza sospetti e senza baciA le vergini ancelle il cane affidaAl par de’ giochi al par de’ cari figliGrave sua cura: e il misero dolente 55Mal tra le braccia contenuto e i pettiBalza e guaisce in suon che al rude vulgoRibrezzo porta di stridente lima;E con rara celeste melodiaScende a gli orecchi de la dama e al core. 60

Mentre così fra i generosi affettiE le intese blandizie e i sensi argutiE del cane e di sè la bella obliaPochi momenti; tu di lei più saggioUsa del tempo: e a chiaro speglio innante 65I bei membri ondeggiando alquanto libraSu le gracili gambe; e con la destraMolle verso il tuo sen piegata e mossaScopri la gemma che i bei lini annoda;

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E in un di quelle ond’hai sì grave il dito 70L’invidiato folgorar cimenta:Poi le labbra componi; ad arte i guardiTempra qual più ti giova; e a te sorridi.Al fin tu da te sciolto, ella dal caneAmbo al fin v’appressate. Ella da i lumi 75Spande sopra di te quanto a lei lasciaD’eccitata pietà l’amata belva;E tu sopra di lei da gli occhi versiQuanto in te di piacer destò il tuo volto.Tal seguite ad amarvi: e insieme avvinti, 80Tu a lei sostegno, ella di te conforto,Itene omai de’ cari nodi vostriGrato dispetto a provocar nel mondo.

Qual primiera sarà che da gli amatiVoi sul vespro nascente alti palagi 85Fuor conduca o Signor voglia leggiadra?Fia la santa Amistà, non più feroceQual ne’ prischi eccitar tempi godeaL’un per l’altro a morir gli agresti eroi;Ma placata e innocente al par di questi 90Onde la nostra età sorge sì chiaraDi Giove alti incrementi. Oh dopo i tardiDe lo specchio consigli e dopo i giochiDopo le mense, amabil dea, tu insegniCome il giovin Marchese al collo balzi 95Del giovin Conte; e come a lui di baciLe gote imprima; e come il braccio annodeL’uno al braccio dell’altro; e come insiemePasseggino elevando il molle mentoE volgendolo in guisa di colombe; 100E palpinsi e sorridansi e rispondansiCon un vezzoso tu. Tu fra le dameSul mobil arco de le argute lingueI già pronti a scoccar dardi trattieniS’altra giugne improvviso a cui rivolti 105

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Pendean di già: tu fai che a lei presenteNon osin dispiacer le fide amiche:Tu le carche faretre a miglior tempoDi serbar le consigli. Or meco scendi;E i generosi ufici e i cari sensi 110Meco detta al mio eroe; tal che, famosoPer entro al suon de le future etadi,E a Pilade s’eguagli e a quel che trasseIl buon Tesèo da le Tenarie foci.

Se da i regni che l’alpe o il mar divide 115Dall’Italico lido in patria or giunseIl caro amico; e da i perigli estremiSorge d’arcano mal, che in dubbio tenneLunga stagione i fisici eloquenti,Magnanimo garzone andrai tu forse 120Trepido ancora per l’amato capoA porger voti sospirando? ForseCon alma dubbia e palpitante i dettiE i guardi e il viso esplorerai de’ moltiChe il giudizio di voi menti sì chiare 125Fra i primi assunse d’Esculapio alunni?O di leni origlieri all’omer lassoPorrai sostegno; e vital sugo a i labbriOffrirai di tua mano? O pur con lieveBisso il madido fronte a lui tergendo, 130E le aurette agitando, il tardo sonnoInviterai a fomentar con l’aliLa nascente salute? Ahi no; tu lasciaLascia che il vulgo di sì tenui cureLe brevi anime ingombri; e d’un sol atto 135Rendi l’amico tuo felice a pieno.

Sai che fra gli ozj del mattino illustri,Del gabinetto al tripode sedendo,Grand’arbitro del bello oggi creastiGli eccellenti nell’arte. Onor cotanto 140Basti a darti ragion su le lor menti

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E su l’opre di loro. Util ciascunoA qualch’uso ti fia. Da te mandatoCon acuto epigramma il tuo poetaLa mentita virtù trafigger puote 145D’una bella ostinata: e l’eleganteTuo dipintor può con lavoro egregioTutti dell’amicizia onde ti vantiCompendiar gli ufici in breve carta;O se tu vuoi che semplice vi splenda 150Di nuda maestade il tuo gran nome;O se in antica lapide imitataInciso il brami; o se in trofeo sublimeAccumulate a te mirar vi piaceLe domestiche insegne, indi un lione 155Rampicar furibondo e quindi l’aleSpiegar l’augel che i fulmini ministra,Qua timpani e vessilli e lance e spade,E là scettri e collane e manti e velliCascanti argutamente. Ora ti vaglia 160Questa carta o signor serbata all’uopo;Or fia tempo d’usarne. Esca e con essaDel caro amico tuo voli a le porteAlcun de’ nuncj tuoi; quivi depongaLa tessera beata; e fugga; e torni 165Ratto su l’orme tue pietoso eroe,Che già pago di te ratto a traversoE de’ trivii e del popolo dilegui.

Già il dolce amico tuo nel cor commosso,E non senza versar qualche di pianto 170Tenera stilla il tuo bel nome or legge,Seco dicendo: oh ignoto al duro vulgoSollievo almo de’ mali! Oh sol concessoFacil commercio a noi alme sublimiE d’affetti e di cure! Or venga il giorno 175Che sì grate alternar nobili veciA me sia dato! Tale sbadigliando

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Si lascia da la man lenta cadereL’amata carta; e te la carta e il nomeSoavemente in grembo al sonno oblia. 180

Tu fra tanto colà rapido il corsoDeclinando intraprendi ove la damaCo’ labbri desiosi e il premer lungoDel ginocchio sollecito ti spigneAd altre opre cortesi. Ella non meno 185All’imperio possente a i cari motiDell’amistà risponde. A lei non menoPalpita nel bel petto un cor gentile.

Che fa l’amica sua? Misera! Ieri,Qual fusse la cagion, fremer fu vista 190Tutta improvviso, ed agitar repenteLe vaghe membra. Indomito rigoreOccupolle le cosce; e strana forzaLe sospinse le braccia. IllividìroI labbri onde l’Amor l’ali rinfresca; 195Enfiò la neve de la bella gola;E celato candor da i lini sparsiEffuso rivelossi a gli occhi altrui.Gli Amori si schermiron con la benda;E indietro rifuggironsi le Grazie. 200In vano il cavaliere, in van lo sposoTentò frenarla, in van le damigelleChe su lo sposo e il cavaliere e leiScorrean col guardo; e poi ristrette insiemeMalignamente sorrideansi in volto. 205Ella truce guatando curvò in arcoDuro e feroce le gentili schiene;Scalpitò col bel piede; e ripercosseLa mille volte ribaciata manoDel tavolier ne le pugnenti sponde. 210Livida pesta scapigliata e scintaAl fin stancò tutte le forze; e caddeInsopportabil pondo sopra il letto.

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Nè fra l’intime stanze o fra le chiuseGemine porte il prezioso evento 215Tacque ignoto molt’ore. Ivi la FamaCon uno il colse de’ cent’occhi suoi;E il bel pegno rapito uscì portandoFra le adulte matrone, a cui segretoDispetto fanno i pargoletti amori, 220Che da la maestà de gli otto lustriFuggon volando a più scherzosi nidi.Una è fra lor che gli altrui nodi or celaComoda e strigne; or d’ispida virtudeArma suoi detti; e furibonda in volto 225E infiammata ne gli occhi alto declamaInterpreta ingrandisce i sagri arcaniDe gli amorosi gabinetti; e a un tempoOdiata e desiata eccita il risoOr co’ proprj misterj or con gli altrui. 230La vide la notò, sorrise alquantoLa volatile dea, disse: tu solaSai vincere il clamor de la mia tromba.Disse, e in lei si mutò. Prese il ventaglio,Prese le tabacchiere, il cocchio ascese; 235E là venne trottando ove de’ grandiÈ il consesso più folto. In un momentoLo sbadigliar s’arresta. In un momentoTutti gli occhi e gli orecchi e tutti i labbriSi raccolgono in lei: ed ella al fine, 240E ansando e percotendosi con ambeLe mani le ginocchia, il fatto esponeE del fatto le origini riposte.Riser le dame allor pronte domaneA fortuna simìl, se mai le vaghe 245Lor fantasie commoverà negatoDa i mariti compenso a un gioco avverso,O in faccia a lor per deità maggioreNegligenza d’amante, o al can diletto

Giuseppe Parini - Il giorno

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Giuseppe Parini - Il giorno

Nata subita tosse: e rise ancora 250La tua dama con elle: e in cor disposeDi teco visitar l’egra compagna.

Ite al pietoso uficio, itene or dunque:Ma lungo consigliar duri tra voiPria che a la meta il vostro cocchio arrive. 255Se visitar, non già veder l’amicaForse a voi piace, tacita a le porteLa volubile rota il corso arresti:E il giovanetto messagger salendoPer le scale sublimi a lei v’annunzj 260Sì che voi non volenti ella non voglia.Ma, se vaghezza poi ambo vi prendeDi spiar chi sia seco, e di turbarleL’anima un poco, e ricercarle in voltoDe’ suoi casi la serie, il cocchio allora 265Entri: e improvviso ne rimbombi e fremaL’atrio superbo. Egual piacere inondaSempre il cor de le belle o che opportuneO giungano importune alle lor pari.

Già le fervide amiche ad incontrarse 270Volano impazienti; un petto all’altroGià premonsi abbracciando; alto le goteD’alterni baci risonar già fanno;Già strette per la man co’ dotti fianchiAd un tempo amendue cadono a piombo 275Sopra il sofà. Qui l’una un sottil mottoVibra al cor dell’amica; e a i casi alludeChe la Fama narrò: quella repenteCon un altro l’assale. Una nel visoDi bell’ire s’infiamma: e l’altra i vaghi 280Labbri un poco si morde: e cresce in tantoE quinci ognor più violento e quindiIl trepido agitar de i duo ventagli.Così, se mai al secol di TurpinoDi ferrate guerriere un paro illustre 285

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Si scontravan per via, ciascuna ambivaL’altra provar quel che valesse in arme;E dopo le accoglienze oneste e belleAbbassavan lor lance e co’ cavalliUrtavansi feroci; indi infocate 290Di magnanima stizza i gran tronconiGittavan via de lo spezzato cerro,E correan con le destre a gli elsi enormi.Ma di lontan per l’alta selva fieraUn messagger con clamoroso suono 295Venir s’udiva galoppando; e l’unaRichiamare a re Carlo, o al campo l’altraDel giovane Agramante. Osa tu pureOsa invitto garzone il ciuffo e i ricciSì ben finti stamane all’urto esporre 300De’ ventagli sdegnati: e a nuove impreseLa tua bella invitando, i casi estremiDe la pericolosa ira sospendi.

Oh solenne a la patria oh all’orbe interoGiorno fausto e beato al fin sorgesti 305Di non più visto in ciel roseo splendoreA sparger l’orizzonte. Ecco la sposaDi Ramni eccelsi l’inclit’alvo al fineSgravò di maschia desiata proleLa prima volta. Da le lucid’aure 310Fu il nobile vagito accolto a pena,Che cento messi a precipizio uscìroCon le gambe pesanti e lo spron duroStimolando i cavalli, e il gran convessoDell’etere sonoro alto ferendo 315Di scutiche e di corni: e qual si sparsePer le cittadi popolose, e diedeA i famosi congiunti il lieto annunzio:E qual per monti a stento rampicandoTrovò le rocche e le cadenti mura 320De’ prischi feudi ove la polve e l’ombra

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Abita e il gufo; e i rugginosi ferriSopra le rote mal sedenti al giornoDi novo espose, e fe’ scoppiarne il tuono;E i gioghi de’ vassalli e le vallèe 325Ampie e le marche del gran caso empièo.Nè le Muse devote, onde gran plausoVenne l’altr’anno a gl’imenei felici,Già si tacquero al parto. Anzi, qual suoleLà su la notte dell’ardente agosto 330Turba di grilli, e più lontano ancoraInnumerabil popolo di raneSparger d’alto frastuono i prati e i laghi,Mentre cadon su lor fendendo il buioLucide strisce, e le paludi accende 335Fiamma improvvisa che lambisce e vola;Tal sorsero i cantori a schiera a schiera;E tal piovve su lor foco febèo,Che di motti ventosi alta compaggineFe’ dividere in righe, o in simil suono 340Uscir pomposamente. Altri scoperseIn que’ vagiti Alcide, altri d’ItaliaIl soccorso promise, altri a BizanzioMinacciò lo sterminio. A tal clamoreNon ardì la mia Musa unir sue voci: 345Ma del parto divino al molle orecchioAppressò non veduta; e molto in pocoStrinse dicendo: Tu sarai simìleAl tuo gran genitore.

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LA NOTTE

Nè tu contenderai benigna Notte,Che il mio Giovane illustre io cerchi e guidiCon gli estremi precetti entro al tuo regno.

Già di tenebre involta e di perigli,Sola squallida mesta alto sedevi 5Su la timida terra. Il debil raggioDe le stelle remote e de’ pianeti,Che nel silenzio camminando vanno,Rompea gli orrori tuoi sol quanto è duopoA sentirli assai più. Terribil ombra 10Giganteggiando si vedea salireSu per le case e su per l’alte torriDi teschi antiqui seminate al piede.E upupe e gufi e mostri avversi al soleSvolazzavan per essa; e con ferali 15Stridi portavan miserandi augurj.E lievi dal terreno e smorte fiammeSorgeano in tanto; e quelle smorte fiammeDi su di giù vagavano per l’aereOrribilmente tacito ed opaco; 20E al sospettoso adultero, che lentoCol cappel su le ciglia e tutto avvoltoEntro al manto sen gìa con l’armi ascose,Colpìeno il core, e lo strignean d’affanno.E fama è ancor che pallide fantasime 25Lungo le mura de i deserti tettiSpargean lungo acutissimo lamento,Cui di lontano per lo vasto buioI cani rispondevano ululando.

Tal fusti o Notte allor che gl’inclit’avi, 30Onde pur sempre il mio garzon si vanta,Eran duri ed alpestri; e con l’occasoCadean dopo lor cene al sonno in preda;

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Fin che l’aurora sbadigliante ancoraLi richiamasse a vigilar su l’opre 35De i per novo cammin guidati riviE su i campi nascenti; onde poi grandiFuro i nipoti e le cittadi e i regni.

Ma ecco Amore, ecco la madre Venere,Ecco del gioco, ecco del fasto i Genj, 40Che trionfanti per la notte scorrono,Per la notte, che sacra è al mio signore.Tutto davanti a lor tutto s’irradiaDi nova luce. Le inimiche tenebreFuggono riversate; e l’ali spandono 45Sopra i covili, ove le fere e gli uominiDa la fatica condannati dormono.Stupefatta la Notte intorno vedesiRiverberar più che dinanzi al soleAuree cornici, e di cristalli e spegli 50Pareti adorne, e vesti varie, e bianchiOmeri e braccia, e pupillette mobili,E tabacchiere preziose, e fulgideFibbie ed anella e mille cose e mille.Così l’eterno caos, allor che Amore 55Sopra posovvi e il fomentò con l’ale,Sentì il generator moto crearsi,Sentì schiuder la luce; e sè medesmoVide meravigliando e i tanti aprirsiTesori di natura entro al suo grembo. 60

O de’ miei studj glorioso alunno,Tu seconda me dunque, or ch’io t’invitoGlorie novelle ad acquistar là doveO la veglia frequente o l’ampia scenaI grandi eguali tuoi, degna de gli avi 65E de i titoli loro e di lor sorteE de i pubblici voti, ultima curaDopo le tavolette e dopo i prandjE dopo i corsi clamorosi occùpa.

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Or dove ahi dove senza me t’aggiri 70Lasso! da poi che in compagnia del soleT’involasti pur dianzi a gli occhi miei?Qual palagio ti accoglie; o qual ti copreDa i nocenti vapor ch’Espero menaTetto arcano e solingo; o di qual via 75L’ombre ignoto trascorri, ove la plebeAffrettando tenton s’urta e confonde?

Ahimè, tolgalo il ciel, forse il tuo cocchio,Ove il varco è più angusto, il cocchio altruiIncontrò violento: e qual de i duo 80Retroceder convegna; e qual star forte,Dispùtano gli aurighi alto gridando.Sdegna invitto garzon sdegna d’alzareFra il rauco suon di Stentori plebeiTu’ amabil voce; e taciturno aspetta, 85Sia che a l’un piaccia rovesciar dal carroLo suo rivale; o rovesciato anch’essoPerigliar tra le rote; e te per l’altoDe lo infranto cristal mandar carpone.Ma l’avverso cocchier d’un picciol urto 90Pago sen fugge o d’un resister breve:Al fin libero andrai. Tu non pertantoDoman chiedi vendetta; alto sonareFa il sacrilego fatto; osa pretendi,E i tribunali minimi e i supremi 95Sconvolgi agita assorda: il mondo s’empiaDel grave caso; e per un anno almenoParli di te, de’ tuoi corsier, del cocchioE del cocchiere. Di sì fatte coseVoi progenie d’eroi famosi andate 100Ne le bocche de gli uomini gran tempo.

Forse ciarlier fastidioso indugiaTe con la dama tua nel vuoto corso.Forse a nova con lei gara d’ingegnoTu mal cauto venisti: e già la bella 105

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Teco del lungo repugnar s’adira;Già la man, che tu baci arretra, e tentaLiberar da la tua; e già minacciaRicovrarsi al suo tetto, e quivi solaInvolarse ad ognuno in fin che il sonno 110Venga pietoso a tranquillar suoi sdegni.Tu in van chiedi mercè; di mente in vanoTu a lei te stesso sconsigliata incolpi:Ella niega placarse. Il cocchio fremeDell’alterno clamore; e il cocchio in tanto 115Giace immobil fra l’ombra: e voi sue careGemme il bel mondo impaziente aspetta.Ode il cocchiere al fin d’ambe le vociUn comando indistinto; e bestemmiandoSferza i corsieri; e via precipitando 120Ambo vi porta: e mal sa dove ancora.

Folle! Di che temei? Sperdano i ventiOgni augurio infelice. Ora il mio eroeFra l’amico tacer del vuoto corsoLieto si sta la fresca ora godendo 125Che dal monte lontan spira e consola.Siede al fianco di lui lieta non menoL’altrui cara consorte. Amor nascondeLa incauta face; e il fiero dardo alzandoAllontana i maligni. O nume invitto, 130Non sospettar di me; ch’io già non vegnoInvido esplorator, ma fido amicoDe la coppia beata, a cui tu vegli.E tu signor tronca gl’indugi. AssaiFur gioconde quest’ombre, allor che prima 135Nacque il vago desio, che te congiunseAll’altrui cara sposa or son due lune.Ecco il tedio a la fin serpe tra i vostriCosì lunghi ritiri: e tempo è ormaiChe in più degno di te pubblico agone 140Splendano i genj tuoi. Mira la Notte,

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Che col carro stellato alta sen volaPer l’eterea campagna; e a te col ditoMostra Tèseo nel ciel, mostra Polluce,Mostra Bacco ed Alcide e gli altri egregi, 145Che per mille d’onore ardenti proveColà fra gli astri a sfolgorar salìro.Svegliati a i grandi esempi; e meco affretta.

Loco è, ben sai, ne la città famoso,Che splendida matrona apre al notturno 150Concilio de’ tuoi pari, a cui la vitaFora senza di ciò mal grata e vile.Ivi le belle, e di feconda proleInclite madri ad obliar sen vannoFra la sorte del gioco i tristi eventi 155De la sorte d’amore, onde fu il giornoAgitato e sconvolto. Ivi le grandiAvole auguste e i genitor leggiadriDe’ già celebri eroi il senso e l’ontaVolgon de gli anni a rintuzzar fra l’ire 160Magnanime del gioco. Ivi la turbaDe la feroce gioventù divinaScende a pugnar con le mutabil’armeDi vaghi giubboncei, d’atti vezzosi,Di bei modi del dir stamane appresi; 165Mentre la vanità fra il dubbio marteNobil furor ne’ forti petti inspira;E con vario destin dando e togliendoLa combattuta palma alto abbandonaI leggeri vessilli all’aure in preda. 170

Ecco che già di cento faci e centoGran palazzo rifulge. MultiformePopol di servi baldanzosamenteSale scende s’aggira. Urto e fragoreDi rote di flagelli e di cavalli 175Che vengono che vanno, e stridi e fischiDi gente, che domandan che rispondono,

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Assordan l’aria all’alte mura intorno.Tutto è strepito e luce. O tu, che portiLa dama e il cavalier dolci mie cure, 180Primo di carri guidator, qua volgi;E fra il denso di rote arduo camminoCon Olimpica man splendi; e d’un corsoSubentrando i grand’atrj, a dietro lasciaQual pria le porte ad occupar tendea. 185Quasi a propria virtù plauda al gran fattoIl generoso eroe: plauda la bella,Che con l’agil pensier scorre gli aurighiDe le dive rivali; e novi al pettoSente nascer per te teneri orgogli. 190

Ma il bel carro s’arresta: e a te signore,A te prima di lei sceso d’un salto,Affidata la dea, lieve balzando,Col sonante calcagno il suol percote.Largo dinanzi a voi fiammeggi e grondi, 195Sopra l’ara de’ numi ad arder nato,Il tesoro dell’api: e a lei da tergoPronta di servi mano a terra proniLo smisurato lembo alto sospenda:Somma felicità, che lei sepàra 200Da le ricche viventi, a cui per anco,Misere! sopra il suol l’estrema vesteSibila per la polvere strisciando.

Ahi, se fresco sdegnuzzo i vostri pettiDianzi forse agitò, tu chino e grave 205A lei porgi la destra; e seco innoltra,Quale Ibèro amador quando, raccoltaDall’un lato la cappa, contegnosoGuida l’amanza a diportarsi al vallo,Dove il tauro, abbassando i corni irati, 210Spinge gli uomini in alto; o gemer s’odeCrepitante Giudeo per entro al foco.Ma no; chè l’amorosa onda pacata

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Oggi siede per voi: e quanto è duopoA vagarvi il piacer solo la increspa 215Una lieve aleggiando aura soave.Snello adunque e vivace offri a la bellaMollemente piegato il destro braccio.Ella la manca v’inserisca. PremiTu col gomito un poco. Anch’ella un poco 220Ti risponda premendo; e a la tua lenaDolce peso a portar tutta si doni,Mentre a piccioli salti ambo affrettatePer le sonanti scale alto celiando.

Oh come al tuo venir gli archi e le volte 225De’ gran titoli tuoi forte rimbombano!Come a quel suon volubili le porteCedono spalancate; ed a quel suonoDegna superbia in cor ti bolle; e faceL’anima eccelsa rigonfiar più vasta! 230Entra in tal forma; e del tuo grande ingombraGli spazj fortunati. Ecco di stanzeOrdin lungo a voi s’apre. Altra di serviInfimo gregge alberga, ove tra lampiDi molteplice lume acceso e spento, 235E fra sempre incostanti ombre schiamazzaIl sermon patrio e la facezia e il risoDell’energica plebe. Altra di vaghiZazzerati donzelli è certa sede,Ove accento stranier misto al natio 240Molle susurra: e s’apparecchia in tantoCopia di carte e multiforme avorio,Arme l’uno a la pugna, indice l’altroD’alti cimenti e di vittorie illustri.Al fin più interna, e di gran luce e d’oro 245E di ricchi tapeti aula superbaSta servata per voi prole de’ numi.Io, di razza mortale ignoto vate,Come ardirò di penetrar fra i cori

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De’ semidei, ne lo cui sangue in vano 250Gocciola impura cercheria con vetroIndagator colui che vide a nuotoPer l’onda genitale il picciol uomo?Qui tra i servi m’arresto; e qui da loroNuove del mio signor virtudi ascose 255Tacito apprenderò. Ma tu sorridiInvisibil Camena; e me rapisciInvisibil con te fra li negatiAd ognaltro profano aditi sacri.

Già il mobile de’ seggi ordine augusto 260Sovra i tiepidi strati in cerchio volge:E fra quelli eminente i fianchi estendeIl grave Canapè. Sola da un latoLa matrona del loco ivi si posa;E con la man, che lungo il grembo cade 265Lentamente il ventaglio apre e socchiude.Or di giugner è tempo. Ecco le snelleE le gravi per molto adipe dame,Che a passi velocissimi s’affrettanoNel gran consesso. I cavalieri egregi 270Lor camminano a lato: ed elle, intornoA la sede maggior vortice fattoDi sè medesme, con sommessa voceBrevi note bisbigliano; e dileguansiDissimulando fra le sedie umìli. 275

Un tempo il Canapè nido giocondoFu di risi e di scherzi, allor che l’ombreAbitar gli fu grato ed i tranquilliDel palagio recessi. Amor primieroTrovò l’opra ingegnosa. Io voglio, ei disse, 280Dono a le amiche mie far d’un bel seggio,Che tre ad un tempo nel suo grembo accoglia.Così, qualor de gl’importuni altrondeVolga la turba, sederan gli amantiL’uno a lato dell’altro, ed io con loro. 285

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Disse, percosse ambe le palme; e l’aliAprì volando impaziente all’opra.Ecco il bel fabbro lungo pian disponeDi tavole contesto, e molli cigne,A reggerlo vi dà vaghe colonne, 290Che del silvestre Pane i piè leggieriImitano scendendo; al dorso poiV’alza patulo appoggio; e il volge a i lati,Come far soglion flessuosi acanti,O ricche corna d’Arcade montone. 295Indi, predando a le vaganti auretteL’ali e le piume, le condensa e chiudeIn tumido cuscin, che tutta ingombriLa macchina elegante: e al fin l’adornaDi molli sete e di vernici e d’oro. 300Quanto il dono d’Amor piacque a le belle!Quanti pensier lor balenàro in mente!Tutte il chiesero a gara: ognuna il volleNe le stanze più interne: applause ognunaA la innata energia del vago arnese, 305Mal repugnante e mal cedente insiemeSotto a i mobili fianchi. Ivi sedendoSi ritrasser le amiche; e da lo sguardoDe’ maligni lontane, a i fidi orecchiSi mormoràro i delicati arcani. 310Ivi la coppia de gli amanti a latoDell’arbitra sagace o i nodi strinse;O calmò l’ira, e nuove leggi apprese.Ivi sovente l’amador facetoRaro volume all’altrui cara sposa 315Lesse spiegando; e con sorrisi argutiFe’ tra i fogli notar lepida imago.Il fortunato seggio invidia mosseDe le sedie minori al popol vario:E fama è che talora invidia mosse 320Anco a i talami stessi. Ah perchè mai

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Vinto da insana ambizione uscìoFra lo immenso tumulto e fra il clamoreDe le veglie solenni! Avvi due GenjFastidiosi e tristi, a cui dier vita 325L’Ozio e la Vanità, che noti al nomeDi Puntiglio e di Noia, erran cercandoGli alti palagi e le vigilie illustriDe la prole de’ numi. Un ne le maniPorta verga fatale, onde sospende 330Ne’ miseri percossi ogni lor voglia;E di macchine al par, che l’arte inventiModera l’alme a suo talento e guida:L’altro piove da gli occhi atro vapore;E da la bocca sbadigliante esala 335Alito lungo, che sembiante a i pigriSoffi dell’austro, si dilata e volve,E d’inane torpor le menti occùpa.Questa del Canapè coppia infeliceAllor prese l’imperio; e i risi e i giochi 340Ed Amor ne sospinse. Il trono è questoOve le madri de le madri eccelseDe’ primi eroi esercitan lor tosse;Ove l’inclite mogli, a cui beataRendon la vita titoli distinti 345Sbadigliano distinte. Ah, se tu sai,Fuggi ratto o signor, fuggi da tantoPernicioso influsso: e là fra i seggiDe le più miti dèe, quindi remotoCon l’alma gioventù scherza e t’allegra. 350

Quanta folla d’eroi! Tu, che modelloD’ogni nobil virtù, d’ogn’atto eccelso,Esser dei fra’ tuoi pari, i pari tuoiA conoscere apprendi; e in te raccogliQuanto di bello e glorioso e grande 355Sparse in cento di loro arte o natura.Altri di lor ne la carriera illustre

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Stampa i primi vestigi; altri gran parteDi via già corse; altri a la meta è giunto.In vano il vulgo temerario a gli uni 360Di fanciulli dà nome; e quelli adulti,Questi già vegli di chiamare ardisce:Tutti son pari. Ognun folleggia e scherza;Ognun giudica e libra; ognun del pariL’altro abbraccia e vezzeggia: in ciò sol tanto 365Non simili tra lor, che ognun sua curaHa diletta fra l’altre onde più brilli.

Questi è l’almo garzon, che con maestriDa la scutica sua moti di braccioDesta sibili egregi; e l’ore illustra 370L’aere agitando de le sale immense,Onde i prischi trofei pendono e gli avi.L’altro è l’eroe, che da la guancia enfiataE dal torto oricalco a i trivj annunciaSuo talento immortal, qualor dall’alto 375De’ famosi palagi emula il suonoDi messagger, che frettoloso arrive.Quanto è vago a mirarlo allor che in vesteCinto spedita, e con le gambe assorteIn amplo cuoio, cavalcando a i campi 380Rapisce il cocchio, ove la dama è assisaE il marito e l’ancella e il figlio e il cane!

Quegli or esce di là dove ne’ foriSi ministran bevande ozio e novelle.Ei v’andò mattutin, partinne al pranzo, 385Vi tornò fino a notte: e già sei lustriVolgon da poi che il bel tenor di vitaGiovinetto intraprese. Ah chi di luiPuò sedendo trovar più grati sonniO più lunghi sbadigli; o più fiate 390D’atro rapè solleticar le nari;O a voce popolare orecchi e fedePrestar più ingordo e declamar più forte?

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Ecco che il segue del figliuol di MaiaIl più celebre alunno, al cui consiglio 395Nel gran dubbio de’ casi ognaltro cede;Sia che dadi versati, o pezzi eretti,O giacenti pedine, o brevi o grandiCarte mescan la pugna. Ei sul mattinoLe stupide micranie o l’aspre tossi 400Molce giocando a le canute dame.Ei, già tolte le mense, i nati or oraGiochi a le belle declinanti insegna.Ei la notte raccoglie a sè dintornoSchiera d’eroi, che nobil estro infiamma 405D’apprender l’arte, onde l’altrui fortunaVincasi e domi; e del soave amicoNobil parte de’ campi all’altro ceda.

Vuoi su lucido carro in dì solenneGir trionfando al corso? Ecco quell’uno, 410Che al lavor ne presieda. E legni e pelliE ferri e sete e carpentieri e fabbriA lui son noti: e per l’Ausonia tuttaÈ noto ei pure. Il Càlabro di feudiE d’ordini superbo; i duchi e i prenci, 415Che pascon Mongibello; e fin gli stessiGran nipoti Romani a lui soventeNe commetton la cura: ed ei sen volaD’una in altra officina in fin che sorga,Auspice lui, la fortunata mole. 420Poi di tele ricinta, e contro all’onteDe la pioggia e del sol ben forte armata,Mille e più passi l’accompagna ei stessoFuor de le mura; e con soave sguardoLa segue ancor sin che la via declini. 425

Vedi giugner colui, che di cavalliInvitto domator divide il giornoFra i cavalli e la dama. Or de la damaLa man tiepida preme; or de’ cavalli

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Liscia i dorsi pilosi, ovver col dito 430Tenta a terra prostrato i ferri e l’ugna.Aimè misera lei quando s’indìceFiera altrove frequente! Ei l’abbandona;E per monti inaccessi e valli orrendeTrova i lochi remoti, e cambia o merca. 435Ma lei beata poi quand’ei sen tornaSparso di limo; e novo fasto adduceDi frementi corsieri; e gli avi loroE i costumi e le patrie a lei solettaMolte lune ripete! Or vedi l’altro, 440Di cui più diligente o più costanteNon fu mai damigella o a tesser nodiO d’aurei drappi a separar lo stame.A lui turgide ancora ambe le tascheSon d’ascose materie. Eran già queste 445Prezioso tapeto, in cui distintiD’oro e lucide lane i casi apparveroD’Ilio infelice: e il cavalier, sedendoNel gabinetto de la dama, ormaiCon ostinata man tutte divise 450In fili minutissimi le gentiD’Argo e di Frigia. Un fianco solo avanzaDe la bella rapita; e poi l’eroe,Pur giunto al fin di sua decenne impresa,Andrà superbo al par d’ambo gli Atridi. 455

Ma chi l’opre diverse o i varj ingegniTutti esprimer poria, poi che le stanzeFolte già son di cavalieri e dame?Tu per quelle t’avvolgi. Ardito e baldoVanne, torna, ti assidi, ergiti, cedi, 460Premi, chiedi perdono, odi, domanda,Sfuggi, accenna, schiamazza, entra e ti mesciA i divini drappelli; e a un punto empiendoOgni cosa di te, mira e conosci.

Là i vezzosi d’amor novi seguaci 465

Giuseppe Parini - Il giorno

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Lor nascenti fortune ad alta voceConfidansi all’orecchio; e ridon forte;E saltellando batton palme a palme:Sia che a leggiadre imprese Amor li guidiFra le oscure mortali: o che gli assorba 470De le dive lor pari entro alla luce.Qui gli antiqui d’Amor noti campioniCon voci esìli e dall’ansante pettoFuor tratte a stento rammentando vannoLe superate al fin tristi vicende. 475Indi gl’imberbi eroi, cui diede il padreLa prima coppia di destrier pur ieri,Con animo viril celiano al fiancoDi provetta beltà, che a i risi loroAlza scoppi di risa; e il nudo spande, 480Che di veli mal chiuso i guardi cerca,Che il cercarono un tempo. Indi gli adulti,A la cui fronte il primo ciuffo apposeFallace parrucchier, scherzan viciniA la sposa novella; e di bei motti 485Tendonle insidia, ove di lei s’intrichiL’alma inesperta e il timido pudore.Folli! Chè a i detti loro ella va incontroValorosa così come una madreDi dieci eroi. V’ha in altra parte assiso 490Chi di lieti racconti ovver di foleNon ascoltate mai raro prometteA le dame trastullo; e ride e narraE ride ancor, benchè a le dame in tantoSovra l’arco de’ labbri aleggi e penda 495Insolente sbadiglio. Avvi chi altrondeCon fortunato studio in novi sensiLe parole converte; o i simil suoniPronto a colpir divinamente scherza.Alto al genio di lui plaude il ventaglio 500De le pingui matrone, a cui la voce

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Di vernacolo accento anco risponde.Ma le giovani madri, al latte avvezzeDi più nuove dottrine, il sottil nasoAggrinzan fastidite; e pur col guardo 505Chieder sembran pietade a i belli spirti,Che lor siedono a lato; e a cui gran copiaD’erudita efemeride distillaVolatile scienza entro a la mente.Altri altrove pugnando audace innalza 510Sovra d’ognaltro il palafren, ch’ei sale,O il poeta o il cantor, che lieti ei rendeDe le sue mense. Altri dà vanto all’elseLucido e bello de la spada, ond’egliSolo, e per casi non più visti, al fine 515Fu dal più dotto Anglico artier fornito.Altri grave nel volto ad altri esponeQual per l’appunto a gran convito apparveOrdin di cibi: ed altri stupefatto,Con profondo pensier con alte dita 520Conta di quanti tavolieri a puntoGrande insolita veglia andò superba.Un fra l’indice e il medio inflessi alquanto,Molle ridendo, al suo vicin la gotaPreme furtivo: e l’un da tergo all’altro 525Il pendente cappel sotto all’ascellaRatto invola; e del colpo a sè dà plauso.

Qual d’ogni lato i molti servi in tantoE seggi e tavolieri e luci e carteSupellettile augusta entran portando? 530E sordo stropicciar di mossi scanni,E cigolio di tavole spiegateOdo vagar fra le sonanti risaDi giovani festivi e fra le acuteVoci di dame cicalanti a un tempo, 535Come intorno a selvaggio antico moro

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Sull’imbrunir del dì garrulo stormoDi frascheggianti passere novelle?

Sola in tanto rumor tacita siedeLa matrona del loco: e chino il fronte 540E increspate le ciglia, i sommi labbriAppoggia in sul ventaglio, arduo pensiereMacchinando tra sè. Medita certoCome al candor come al pudor si deggiaLa cara figlia preservar, che torna 545Doman da i chiostri, ove il sermon d’ItaliaPur giunse ad obliar, meglio eruditaDe le Galliche grazie. Oh qual dimaneNe i genitor, ne’ convitati, a mensaBen cicalando ecciterai stupore 550Bella fra i lari tuoi vergin straniera!

Errai. Nel suo pensier volge di coseL’alta madre d’eroi mole più grande:E nel dubbio crudel col guardo invocaDe le amiche l’aita; e a sè con mano 555Il fido cavalier chiede a consiglio.Qual mai del gioco a i tavolier diversiOrdin porrà, che de le dive accolteNulla obliata si dispetti; e nieghiPiù qui tornare ad aver scorno ed onte? 560Come, con pronto antiveder, del giocoIl dissimil tenore a i genj eccelsiAssegnerà conforme; ond’altri poiNon isbadigli lungamente, e piangaLe mal gittate ore notturne, e lei 565De lo infelice oro perduto incolpi?Qual paro e quale al tavolier medesmoE di campioni e di guerriere audaciFia che tra loro a tenzonar congiunga;Sì che giammai, per miserabil caso, 570La vetusta patrizia, ella e lo sposoAmbo di regi favolosa stirpe,

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Con lei non scenda al paragon, che al gradoPer breve serie di scrivani or oraFu de’ nobili assunta: e il cui marito 575Gli atti e gli accenti ancor serba del monte?Ma che non può sagace ingegno e moltaD’anni e di casi esperienza? Or eccoElla compose i fidi amanti; e lungiDe la stanza nell’angol più remoto 580Il marito costrinse, a dì sì lietiSognante ancor d’esser geloso. AltroveLe occulte altrui, ma non fuggite all’occhioDotto di lei benchè nascenti a penaDolci cure d’amor, fra i meno intenti 585O i meno acuti a penetrar nell’alteDell’animo latèbre, in grembo al giocoPose a crescer felici: e già in duo coriGrazia e mercè de la bell’opra ottiene.Qua gl’illustri e le illustri; e là gli estremi 590Ben seppe unir de’ novamente compriFeudi, e de’ prischi gloriosi nomiCui mancò la fortuna. Anco le piacqueAccozzar le rivali, onde spiarneI mal chiusi dispetti. Anco per celia 595Più secoli adunò, grato aspettandoE per gli altri e per sè riso dall’ireSettagenarie, che nel gioco accenseFien, con molta raucedine e con moltoTentennar di parrucche e cuffie alate. 600

Già per l’aula beata a cento intornoDispersi tavolier seggon le diveSeggon gli eroi, che dell’Esperia sonoGloria somma o speranza. Ove di quattroUn drappel si raccoglie: e dove un altro 605Di tre soltanto. Ivi di molti e grandiFogli dipinti il tavolier si sparge:Qui di pochi e di brevi. Altri combatte;

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Altri sta sopra a contemplar gli eventiDe la instabil fortuna e i tratti egregi 610Del sapere o dell’arte. In fronte a tuttiGrave regna il consiglio: e li circondaMaestoso silenzio. Erran sul campoAgevoli ventagli, onde le dameCercan ristoro all’agitato spirto 615Dopo i miseri casi. Erran sul campoLucide tabacchiere. Indi soventeUn’util rimembranza un pronto avvisoCon le dita si attigne: e spesso volgeI destini del gioco e de la veglia 620Un atomo di polve. Ecco sen ugneLa panciuta matrona intorno al labbroLe calugini adulte: ecco sen ugneLe nari delicate e un po’ di guanciaLa sposa giovinetta. In vano il guardo 625D’esperto cavalier, che già su leiMedita nel suo cor future imprese,Le domina dall’alto i pregi ascosi:E in van d’un altro timidetto ancoraIl pertinace piè l’estrema punta 630Del bel piè le sospigne. Ella non senteO non vede o non cura. Entro a que’ fogli,Ch’ella con man sì lieve ordina o turba,De le pompe muliebri a lei concesseOr s’agita la sorte. Ivi è raccolto 635Il suo cor la sua mente. Amor sorride;E luogo e tempo a vendicarsi aspetta.

Chi la vasta quiete osa da un latoRomper con voci successive or aspreOr molli or alte ora profonde, sempre 640Con tenore ostinato al par di secchi,Che scendano e ritornino piagnentiDal cupo alveo dell’onda; o al par di rote,Che sotto al carro pesante, per lunga

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Odansi strada scricchiolar lontano? 645L’ampia tavola è questa, a cui s’adunaQuanto mai per aspetto e per maturoSenno il nobil concilio ha di più graveO fra le dive socere o fra i nonniO fra i celibi già da molti lustri 650Memorati nel mondo. In sul tapetoSorge grand’urna, che poi scossa in voltaLa dovizia de’ numeri comparteFra i giocator, cui numerata è innanziD’immagini diverse alma vaghezza. 655Qual finge il vecchio, che con man la negraSopra le grandi porporine bracheVeste raccoglie; e rubicondo il nasoDi grave stizza alto minaccia e gridaL’aguzza barba dimenando. Quale 660Finge colui, che con la gobba enormeE il naso enorme e la forchetta enormeLe cadenti lasagne avido ingoia.Quale il multicolor zanni leggiadro,Che, col pugno posato al fesso legno, 665Sovra la punta dell’un piè s’innoltra;E la succinta natica rotando,Altrui volge faceto il nero ceffo.Nè d’animali ancor copia vi manca,O al par d’umana creatura l’orso 670Ritto in due piedi, o il miccio, o la ridenteSimmia, o il caro asinello, onde a sè gratoE giocatrici e giocator fan speglio.

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APPENDICEI FRAMMENTI MINORI DELLA «NOTTE»

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I

Ma d’ambrosia e di nettare gelatoAnco a i vostri palati almo confortoTerrestri deitadi ecco sen viene;E cento Ganimedi in vaga pompaE di vesti e di crin lucide tazze 5Ne recan taciturni; e con leggiadroE rispettoso inchin tutte spiegandoDell’omero virile e de’ bei fianchiLe rare forme lusingar son osiDe le Cinzie terrene i guardi obliqui. 10Mira o signor che a la tua dama un d’essiLene s’accosta e con sommessa voceE mozzicando le parole alquantoOnde pur sempre al suo signor somigliA lei di gel voluttuoso annuncia 15Copia diversa. Ivi è raccolta in neveLa fragola gentil che di lontanoPur col soave odor tradì se stessa;V’è il salubre limon; v’è il molle latte;V’è con largo tesor culto fra noi 20Pomo stranier che coronato usurpaLoco a i pomi natii; v’è le due bruneOdorose bevande che pur dianziDi scoppiato vulcan simili al corso,Fumanti ardenti torbide spumose 25Inondavan le tazze, ed or congesteSono in rigidi coni a fieder pronteDi contraria dolcezza i sensi altrui.Sorgi tu dunque, e a la tua dama intendiA porger di tua man scelto fra molti 30Il sapor più gradito. I suoi desiriElla scopre a te solo: e mal graditoO mal lodato almen giugne il diletto

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Quando al senso di lei per te non giunge.Ma pria togli di tasca intatto ancora 35Candidissimo lin che sul bel gremboDi lei scenda spiegato, onde di geloInavvertita stilla i cari veliE le frange pompose in van minacciDi macchia disperata. Umili cose 40E di picciol valore al cieco vulgoQueste forse parran che a te dimostroCon sì nobili versi; e spargo ed ornoDe’ vaghi fiori de lo stil ch’io colsiNe’ recessi di Pindo, e che giammai 45Da poetica man tocchi non furo.Ma di sì crasso error di tanta notteGià tu non hai l’eccelsa mente ingombraSignor che vedi di quest’opre ordirsiDe’ tuoi pari la vita, e sorger quindi 50La gloria e lo splendor di tanti eroiChe poi prosteso il cieco vulgo adora.

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II

Signor che fai? Così dell’opre altruiinoperoso spettator non vediGià la sacra del gioco ara dispostaA te pur anco? E nell’aurato bronzoChe d’Attiche colonne il grande imìta 5I lumi sfavillanti, a cui nel mezzoLusingando gli eroi sorge di carteElegante congerie intatta ancora?Ecco s’asside la tua dama e fremeOmai di tua lentezza; eccone un’altra, 10Ecco l’eterno cavalier con leiChe ritto in piè del tavolino al labbroPiù non chiede che te; e te co i guardiTe con le palme desiando affretta.Questi, or volgon tre lustri, a te simìle 15Corre di gloria il generoso stadioDe la sua dama al fianco. A lei l’interoGiorno il vide vicino, a lei la notteInnoltrata d’assai. Varia tra loroFu la sorte d’amor, mille le guerre 20Mille le paci, mille i furibondiScapigliati congedi, e mille i dolcePalpitanti ritorni, al caro sposoNoti non sol, ma nel teatro e al corsoLunga e trita novella. Alfine Amore 25Dopo tanti travagli, a lor nel gremboMolle sonno chiedea, quand’ecco il TempoTra la coppia felice osa indiscretoPassar volando; e de la dama un pocoDove il ciglio ha confin riga la guancia 30Con la cima dell’ale, all’altro svelleParte del ciuffo che nel liquid’aereSi conteser dipoi l’aure superbe.

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Al fischiar del gran volo a i dolci laiDe gli amanti sferzati Amor si scosse, 35Il nemico sentì, l’armi raccolse,A fuggir cominciò. Pietà di noiPietà gridan gli amanti: or se tu partiCome sentir la cara vita, o comePiù lunghi desiarne i giorni e l’ore? 40Nè già in van si gridò. La gracil manoVerso l’omero armato Amor levandoRise un riso vezzoso; indi un bel mazzoDe le carte che Felsina coloraTolse dalla faretra, e: Questo, ei disse, 45A voi resti in mia vece. Oh meraviglia!Ecco que’ fogli con diurna manoE notturna trattati anco d’amoreSensi spirano e moti. Ah se un invitoBen comprese giocando e ben rispose 50Il cavalier, qual de la dama il fiedeTenera occhiata che nel cor discende;E quale a lei voluttuoso in boccaDa una fresca rughetta esce il sogghigno!Ma se i vaghi pensieri ella disvia 55Solo un momento, e il giocatore avversoUtil ne tragge, ah il cavaliere alloraFreme geloso si contorce tuttoFa irrequieto scricchiolar la sedia;E male e violento aduna e male 60Mesce i discordi de le carte semi,Onde poi l’altra giocatrice a mancaNe invola il meglio: e la stizzosa damaI due labbri aguzzando il pugne e sferzaCon atroce implacabile ironia 65Cara a le belle multilustri. Or eccoSorger fieri dispetti acerbe voglieLungo aggrottar di ciglia e per più giorniA la veglia al teatro al corso in cocchio

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Trasferito silenzio. Al fin chiamato 70Un per gran senno e per veduti casiNestore tra gli eroi famoso e chiaroRompe il tenor de le ostinate mentiCon mirabil di mente arduo consiglio.Così ad onta del tempo or lieta or mesta 75L’alma coppia d’amarsi anco si finge,Così gusta la vita. Egual venturaT’è serbata o signor se ardirà mai,Ch’io non credo però, l’alato veglioSmovere alcun de’ preziosi avorj 80Onor de’ risi tuoi sì che le labbraSi ripieghino a dentro e il gentil mentoOltre i confin de la bellezza ecceda.

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III

In van pregatoFu il zotico marito, in van di piantoSi rigaron le gote, in vano ad arteSi negò si concesse, in van fu armataTerribil convulsion! stette il marito 5Duro al par d’un macigno, e mai non volleScender dal sangue d’Agilulfo, o in unaSillaba pur dell’avolo il cognomeCorreggere o piegar con suon più dolce.

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IV

Poi che tant’opre e gloriose hai soloFatte in un giorno, almo signore or vieniMeco e discendi ne la valle inferna.Nè il lusingante con la cetra OrfeoNè l’armato di clava Ercole invitto 5Ambo di mostri domatori un giornoSarien sì chiaro a scintillar salitiLà per la volta dell’etereo polo,Se non tentato giù per l’ombre eterneLasciato avesser l’ultimo periglio. 10Nè di te degno e dell’eterna ClioSaria il tuo vate, se de gli altri al paroPoi non guidasse il suo cantato eroeFelice temerario in faccia a Pluto.Vergine furibonda e scapigliata 15De le cui voci profetanti tuttaUlulava l’Euboica rivieraNe’ prischi tempi, e che guidasti a DiteIl timoroso degli dei Troiano,Tu predinne le sorti e tu ne assisti 20Mentre d’un semideo guidando i passiScendo uom mortale, e penetrar son osoI ridotti dell’ombre e il regno avaro.Ma oh dio già mi trasformo, ecco ecco un veloAmpio nero lugubre a me dintorno 25Si diffonde mi copre. In grembo ad essoSi rannicchian le braccia, e veggio a penaZoppicarmi del piè la punta estremaSotto spoglie novelle. Orrida giubbaDi negro velo anch’essa a me dal capo 30Scende sul dorso e si dilata e celaE mento e gola e petto. Ahimè il sembianteSorge privo di labbra esangue freddoE di squallore sepolcral coperto.

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V1

Il padre eternoL’occhio girò per l’orizzonte immensoDe’ capricci donneschi; ed a gran penaVeggendone il confin cesse a’ lor voti.

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V2

Quindi le antiche madri ed Opi e VestaE la gran genitrice de gli deiLa turrita Cibele arman sdegnateI più remoti dell’oscuro caosTitoli e fregi. Orribile scompiglio 5Tutto scuote l’Olimpo; e a nuovo assaltoSembran venire i figli di Titano.Sorrise amaramente il sommo GioveA i tumulti indecenti: e la gran testaCrollando un poco sotto al torvo ciglio 10Meditò la vendetta.

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VI

O mente serbatrice de le coseLusinga il mio garzon, mentre l’alteraGente s’affolla; e di’ per qual cagioneDal canapè sì rapida declini.

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VII

Ma come suol negli odorosi cliviSciame d’api dorate al novo aprileCo’ zefiri volar di fiore in fiore;Così gli sguardi tuoi signore intantoA i fermagli recenti al non più visto 5Dell’oriolo altrui ciondol sonanteAl felice tupè che un fronte adombraGiran dintorno, e van libando i semiDi fugaci desir di picciol onteDi lievi compiacenze onde tu poi 10Il generoso cor nudra e fomenti.

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VIII1

Di frascheggianti passere novelleFanno dintorno a lei lieto bisbiglio.Tal, se volgendo i due begli occhi grandiNe le sale del ciel Giuno sen riedeDal talamo immortale, ove rendette 5Padre d’un altro nume il gran Tonante,I maschi eterni e le divine femineDi letizia e di festa a lei dan segno.

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VIII2

La sovrana del ciel Giuno s’assideNel talamo immortale ove rendettePadre d’un altro nume il gran Tonante,I maschi eterni e le divine femineDi letizia e di festa a lei dan segno. 5A lei di

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VIII3

a lei vegnenteSorgon plaudendo i cavalier gentili.A lei vegnente l’inclite matroneCon severo contegno in su le goteStampan di mano in man due baci appunto 5E con pari contegno in su le gotePoi ricevon da lei due baci a punto.Tal se volgendo i due begli occhi grandiNe le sale del ciel Giuno sen vieneDal talamo immortale ove rendette 10Padre d’un altro nume il gran Tonante,I maschi eterni e le divine femineDi letizia e di festa a lei dan segno.A lei di Cirra il vago dio che tornaPur or dal giro suo dove correndo 15Sparse di raggi d’oro ampia ricchezza,Chinasi e versa dal bocchin socchiusoEleganze straniere: a lei GradivoStretti i gomiti al fianco e il petto alzatoE la canna pendente infra le dita 20Mollemente sorride: anco CillenioCol piumato cappel sotto all’ascellaE d’alati fermagli il piede ornatoRompe la folla, e di lontan cominciaA spander di parole alto profluvio 25Applaudendo a la diva. Idalia intantoChiara nel ciel per variati amoriE per arguta di parlar licenzaCorre improvviso ad abbracciarla, e s’alza,E non so che susurrale all’orecchio. 30Quella semplice ancor tigne il bel voltoD’un vermiglio importuno, e questa cadeSupina in sul sedile alti mandando

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Scoppj di risa, e rigonfiando ansanteCiò che del molle seno anco le resta, 35Che di veli mal chiuso i guardi cercaChe il cercarono un tempo. A tale aspettoLa casta diva de le selve amicaRaggrinza i labbri, e nauseando volgeAl biondo Ganimede i guardi obliqui, 40Mentre girando per lo ciel dispensaDi nettare gelato almo conforto.

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VIII4

A tale aspettoTu castissima dea de’ boschi amicaTorci il candido collo, i labbri aggrinzi,E fastidita a contemplar ti volgiDel biondo Ganimede il volto e i moti, 5Mentr’ei girando per lo ciel dispensaIl nettare gelato o pur l’ambrosiaDe i divini palati almo conforto.

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IX

V’ha chi sa ben quale ogni scudo ammettaCognate insegne, quali adornin formeDi solenne divisa i cocchi e i servi,E qual d’ozi lontani aggia decoroOgni progenie. Innanzi a lui stan cheti 5Gli splendidi magnati a cui per sorteScenda torbido il sangue, o ne la ciecaOmbra de’ tempi si nasconda un avoA i cittadini od a la patria infesto.

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X

Ve’ chi sa ben come si deggia a puntoFausto di nozze o pur d’estremi fatiMiserabile annuncio in carta esporre.Lui scapigliati e torbidi la mentePer la gran doglia a consultar sen vanno 5I novi eredi: nè già mai fur visteTante vicino a la Cumea cavernaFoglie volar d’oracoli notate,Quanti avvisi ei raccolse, i quali un giornoPer gran pubblico ben serbati fieno. 10

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APPUNTI PER IL «VESPRO» E LA «NOTTE»

1. Cavagnola, fichetti, cartelle, tuttissimo.Matrone, Sibille, polla caduta, scompiglio, ordini per terra,mormorazione, amori.

2. Il marito una volta assisteva la moglie.Dipoi il servente la dama, ora non più.

3. Forastieri. Le milanesi gli rispondono con lingua e pro-nuncia milanese. Le dotte in francese facendo pompa ecc.

4. Al teatro gli altri vanno per sollevarsi dalle fatiche. Tu solovi vai per coronar coll’estrema le fatiche del giorno.

5. Agli attori applaudi non quando il meritano, ma quandote ne vien capriccio. Il vulgo adoperi la ragione e quel sensoche perciò è detto comune; ma le voglie repentine sieno sole latua norma.

6. Celibi.

7. Marito colla sua bella.

8. Bandò o nastro da notte ricamato a caratteri amorosi dallabella.

9. Collare o anello tessuto de’ capelli della bella.

10. Nella platea discendi talora, accomunati co’ musici buffo-ni mutoli ecc.

11. Degna talora gli uomini di talento; ma come lione ecc.

12. Carte rapidamente mescolate. Così lesta scorrea Penelopecolla spola ecc.

13. Picciole dame usano etichetta fra loro, ma son dimenticatedalle grandi.

14. Tabacchiera con figure oscene. Le dame o ne ridono onon arrossiscono.

15. Seder pesante. Così piuma leggera che accrebbe leggerez-za e mobilità ai capi delle dame, piomba come sasso nel vuoto.

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16. Araldici nuovi.

17. Maraviglia de’ posteri pensando che tu abbi fatto ognigiorno tante cose per tanti anni.

18. Morte dell’eroe, funerali, apoteosi.

19. Inferno, mostri varj, ombre pallide, tutti eguali, Giudicisedendo distribuiscon le pene. Tolgono agli uni il frutto de’lor peccati, danno ad altri un premio che tornerà in loro dan-no ecc.

20. Donne di teatro. Amor guarda le dame e sorride ecc.

21. Cavalier savio, dama savia.

22. Caratteri di donne da visitare in teatro.

23. In palco non ceder la mano, tornando ripigliarla.

24. Nel partir dal palco cerchi dello staffiere per la mantiglia,la metta alla dama, ne acconci le code nel cappuccio.

25. Porti il sacco, lo levi, lo adatti, segga in faccia alla dama,pulisca il cannocchiale, esibisca diavolotti ecc. porti ambascia-te ecc.

26. Il vulgo attenda al grande ed utile commercio, ma il cava-liere tagli.

27. Giovinetti usciti di Collegio parlano d’Architet.a d’Elettri-cità ecc.

28. Novellista, Lettor di romanzi, Filosofo ciarliero, Praticod’etichette, Frequentator di funzioni, Anecdotista, Decidentedi Musica, Metodico, Libertino, Suppletor di serventi, Diret-tor di forastieri.

29. Imbecille che dà dei pranzi fa de’ piccoli viaggi, è alla mo-da. Felice finchè ciò farà, altrimenti sarà dimenticato.

30. Imbecille che ripete ciò che dicono i rispettati.

31. Tu sarai in collegio, uscirai, ti daranno un birbino ecc.

32. Ercole uccise Lino battendogli della cetra sul capo.

33. Cavalieri che mantengon donne.

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34. Cavalieri sbrici che fanno la corte alle donne mantenutedagli altri.

35. Cavalieri che danno ciarle e protezione alle donne di tea-tro non potendo dare altro.

36. Dame guardano ai ballerini, cavalieri alle ballerine.

37. La dama che dispone i giochi ebbe cura d’unir l’amanteall’amata, d’allontanarne il marito seccante e privo di dama re-legandolo nell’angolo più lontano della stanza.

38. Si accorse d’altri nascenti amori d’altri, e li collocò insie-me co’ più semplici e meno abili a notare ogni cosa.

39. Unì insieme i più illustri.

40. Destinò colle dame decadute la nuova araldica, e co’ cava-lieri decaduti il marito di lei, il quale ancora fa sonar la pro-nuncia de’ monti onde scese.

41. Talora mise allo stesso tavolino le rivali per il piacer di ve-derne le smorfie.

42. Là collocò due dame sessagenarie, con due cavalieri sessa-genarj per sentire il coro delle loro tossi.

43. Suocera che parla d’economia, la nuora ne sorride guar-dando in viso a’ giovani.

44. Le avide brame con argentee piume volano intorno insie-me a i piccioli sdegni, ed all’oblio che farà svanire dalle tavo-lette i segni della matita.

45. Il teatro è un alveare, i palchi le celle, i giovani le api chefanno il mele.

46. Alla partoriente, parlar de’ nuovi araldici.

47. Cattiva aria del ridotto.

48. Una volta i fanciulli si divertivano, e i padri attendevanoagli studi. Ora il contrario.

49. Uscirà del collegio, e apprenderà i giochi ecc.

50. al CorsoDescrizione di cocchieri, cacciatori ecc.

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51. Cadetti ecc.

52. Anecdotista galante.

53. Bugiardo.

54. Osceni e plebei nel discorso.

55. Nel Vespro.Frattanto che io scrivo la moda si cangia. Divien lecito passargiornalmente di bella in bella. Qui si raccolgon varie dame.Pensa a cercar se qualcuna fra loro ti aggrada. Questa ecc.

56. Nella conversazione.Amori che nasconoAmori che finisconoGelosie, dispetti ecc.

57. Maschere. Chauvesouris, Armadj ecc.Svegliarsi all’improvviso e applaudire a chi stona.Parlar forte dalla platea al palco.

58. Marito servente amante occulto aspirante accidentale.

59. Godere in un punto colla vista gli spettacoli, coll’udito lamusica, coll’olfatto gli odori, col gusto gli sporgimenti, col tat-to del ginocchio la dama.

60. Nel vespro della partoriente.Dame e cavalieri protettori de’ birbanti.

61. Primogeniti, cadetti, principj di musica, architettura ecc.

62. Macte puer virtute nova: sic itur ad astraDis genite, et geniture deos.Virg. En.

63. Vos o patritius sanguis, cui vivere par estOccipite coeco, posticae occurrite sannae.

Pers.

64. Vespro.Necessità della nobiltà.

65. Collegi, uscita da essi, birbino carrozzino ecc.

66. Viene e fugge il tuttissimo, deità benefica.

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Fortunata la Dama che lo coglierà. Domattina chiamerà lamercantessa di mode, a cui farà baci e carezze mentre nellacampagna d’inverno fa un freddo inchino alla moglie del me-dico o del pretore.

67. Dialetto della Cavagnoli.

68. Collegio.I figli in Coll.° lasciano giovani i padri ecc.Nuovi Araldici mettono i figli in Coll.° e se ne lagnano gl’illu-stri ecc.

69. Teatro.Ma che non muta l’età? Si rivolgono i regni mentre che io can-to, e si cambiano le mode galanti.

70. Collegio.Parlare sulla natura e l’arte della nobiltà e della fortuna.Argomenti sofistici in contrario.

71. Notte.Infinita licenza contro al nemico. Paragone co’ principi.

72. Le Dame subalterne fanno la Corte alle Superiori

73. Confidenza da padre a figlio.

74. Cacciatori

75. Cabriolè

76. Donne ed uomini a cavallo

77. Lista de’ visitanti

78. Accademia.Cavaliere che straccia dopo l’accademia il libro di ConclusioniMatematiche, inorridito di quelle cifre ecc.Dama, o Cavaliere invita ecc.Radunati e dato il segno del trasferirsi ecc. non si movono, di-cendo che hanno tempo di seccarsi ecc.Alla recita parlano gridano ecc.Il recitante si dispetta del non essere ascoltato ecc.Stanno più attenti alla musica ecc.Cercan di fuggire ecc.Termina non rimanendovi più di cinque o sei persone.

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Quando recita il figlio dell’invitante i padri o gli amici taccio-no, salvo a ciarlare quando recita il figlio altrui.

79. ClaudiaMaggiordomi e paggi.

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