IL FOGLIO - GariwoIl film tratto dal megaromanzo di Ayn Rand, “La rivolta di Atlante”, è un...

8
IL FOGLIO ANNO XVI NUMERO 93 DIRETTORE GIULIANO FERRARA MERCOLEDÌ 20 APRILE 2011 - 1,30 quotidiano Redazione e Amministrazione: via Carroccio 12 – 20123 Milano. Tel 02/771295.1 Sped. in Abb. Postale - DL 353/2003 Conv. L.46/2004 Art. 1, c. 1, DBC MILANO Roma. Segnali di resipiscenza dopo qualche sbandata. Complice il turbamen- to del Quirinale per la “degenerazione” della contesa politica, la maggioranza ha parzialmente corretto la propria rotta do- po i manifesti sui giudici “brigatisti” e qualche eccesso del premier in persona: la campagna elettorale per le amministrative certamente sarà dura, ma ieri è stato l’in- tero gruppo dirigente del Pdl (e della Le- ga) a imporsi una frenata. Il presidente del Senato, Renato Schifani, che oltre a essere la seconda carica dello stato è anche un berlusco- niano della prima ora, ha significati- vamente ricevuto a Palazzo Madama i vertici dell’Anm (“non esistono ne- mici”); la conferen- za dei capigruppo, in Senato, riunitasi in mattinata ha sgombrato l’iter parlamentare da tutti i dossier a maggiore pericolo di rissa. E difatti la norma sul processo breve, tan- to contestata dalle opposizioni, sarà quasi certamente discussa soltanto dopo la tor- nata elettorale di maggio prossimo. Ma chissà. Anche la Camera ha di fatto sospe- so i lavori, per quanto riguarda i provvedi- menti più divisivi. Si registra soltanto un’accelerazione sul fine vita, ma è proba- bilmente un segnale di pacificazione con il mondo cattolico (dopo il richiamo di Silvio Berlusconi al popolarismo europeo e le critiche indirette di una parte delle gerar- chie nei confronti del premier). Non si tratta di direttive calate dall’alto, precipitate da Palazzo Grazioli sulle teste del personale politico del Pdl. Anzi, tra gli osservatori, si fa strada l’idea che al centro- destra in queste ore manchi una cabina di regia univoca. Il Cavaliere, confortato dagli uomini in questa fase a lui più vicini, resta sicuro delle proprie ragioni e intende con- durre la campagna elettorale seguendo il proprio più classico repertorio: la sinistra inaffidabile, la magistratura orientata poli- ticamente. Eppure da lunedì pomeriggio, dopo l’allarmata lettera di Giorgio Napoli- tano al vicepresidente del Csm sullo stato del dibattito intorno alla giustizia, alcune preoccupazioni già vive in seno alla Lega, e al Pdl, si sono fatte più forti. E’ stato il par- tito di Umberto Bossi, per primo, a chiede- re agli alleati del Pdl maggiore cautela, specie se nella contesa politica rischia di essere trascinato anche il Quirinale con il quale Bossi continua a mantenere (per ra- gioni strategiche) ottimi rapporti. “Il livel- lo di scontro raggiunto ci preoccupa. Il ri- chiamo di Napolitano è stato doveroso”, ha detto il capogruppo della Lega alla Came- ra, Marco Reguzzoni. Ma anche nel Pdl ha preso via via consistenza la linea delle co- siddette colombe (per quanto falchi e co- lombe nel Pdl lo siano un po’ tutti a giorni alterni). I capigruppo di Camera e Senato, come i giovani ministri Angelino Alfano e Mariastella Gelmini, hanno preso coraggio producendo una inversione di rotta la cui capacità di tenuta, tuttavia, si potrà valuta- re solo nel corso del tempo. Uno sbadiglio a Palazzo Grazioli La complessiva inversione di tendenza riguarda anche il Pdl al proprio interno. Ancora attraversato da un sotterraneo tra- mestio, il partito di Berlusconi ha raggiun- to un equilibrio temporaneo tra le proprie componenti. Tutto è stato rimandato al do- po elezioni. Al netto di una piccola fronda all’interno del gruppo dei Responsabili, non tale da destare reali preoccupazioni, nella galassia berlusconiana si cerca di tor- nare alla normalità dei rapporti. Ignazio La Russa, da Washington dove si trova in visi- ta di stato, martedì sera ha telefonato ad Altero Matteoli proprio mentre il ministro delle Infrastrutture discuteva di come di- missionarlo dall’incarico di coordinatore del Pdl alla presenza del sindaco di Roma Gianni Alemanno e del sottosegretario al- la Funzione pubblica Andrea Augello. Una telefonata cordiale che prefigura un nego- ziato, e non una guerra, tra ex dirigenti di An per la modifica delle catene di coman- do all’interno del partitone berlusconiano. Concluse le elezioni di maggio si aprirà – pare – un intenso dibattito: riforma eletto- rale in senso bipolare con introduzione del meccanismo delle primarie, e riforma del Pdl. Il premier si è dimostrato più incurio- sito dalla prima ipotesi che dalla seconda (pare abbia sbadigliato). Manca una qua- lunque esternazione da parte sua che non sia “il partito non esiste”. Tuttavia preva- le, tra i dirigenti, un orientamento: nomina- re uno dei tre coordinatori “presidente del- l’ufficio di coordinamento”. Un sistema surrettizio per introdurre la figura del coordinatore unico che, almeno in una pri- ma fase, dovrebbe essere Denis Verdini. Manovre di alleggerimento Così Pdl e Lega cercano di contenere la foga pre elettorale del Cav. Schifani parla con l’Anm, i capigruppo rinviano il processo breve, Bossi difende l’asse con Napolitano Le trattative fra i colonnelli Roma. Fidel Castro è stato al vertice del regime cubano per 52 anni; il suo posto lo ha preso Raúl, già suo vice per mezzo seco- lo; al posto di Raúl, diventa secondo segre- tario del Partito comunista di Cuba (Pcc) l’ottantenne José Machado Ventura. Dopo di loro, però, nessun dirigente potrà più mantenere un incarico per più di due man- dati, in totale dieci anni. Lo ha detto saba- to Raúl, nel discorso di apertura al VI con- gresso del Pcc, chiedendo al partito di non usurpare funzioni che non lo riguarda- no e di smetterla di sabotare le riforme economiche. “Dare- mo battaglia a buro- crati e dogmatici, e la vinceremo”, è ar- rivato a dire Raúl con tono irritato. E’ questa la grande sorpresa di questa assise. La storia ricor- derà che questo è stato il congresso in cui Fidel Castro ha lasciato la carica di segretario del Pcc, l’ul- tima ancora da lui detenuta, dopo aver passato al fratello Raúl la guida dello sta- to e del governo. Oppure ricorderà che mil- le delegati hanno approvato il piano di riforme economiche che licenzierà un mi- lione di dipendenti pubblici, che ricono- sce e promuove “investimenti esteri, coo- perative, piccola imprenditoria agricola e lavoro privato”, che permette la compra- vendita delle abitazioni tra i privati. Si tratta di due eventi che segnano la fine di un’epoca e l’inizio di un’altra, anche se an- cora non è chiaro dove porterà il nuovo percorso intrapreso. Che Fidel avrebbe dato le ultime dimissioni lo si era capito da tempo, anche se si è aspettato il giorno conclusivo del congresso per ufficializzar- lo e per chiarire che anche in quell’inca- rico gli sarebbe succeduto Raúl. E la stes- sa approvazione della riforma economica non è stata che una sanzione formale a de- cisioni già prese. La linea dura con il partito annunciata da Raúl, però, permette di comprendere al- cune evoluzioni che si erano già delineate, ma che ancora non erano decifrabili nel lo- ro pieno significato. Era da un paio di an- ni che i ministri venivano silurati con me- todica frequenza. Nel marzo del 2009 sono stati rimossi il ministro degli Esteri, Feli- pe Pérez Roque, e il capo di gabinetto e vi- cepresidente Carlos Lage: erano considera- ti possibili delfini di Fidel, ma sono finiti a lavorare l’uno in un’impresa di costruzio- ni e l’altro in un ospedale. Un anno più tar- di è stato destituito il generale Rogelio Acevedo, presidente dell’Istituto dell’aero- nautica civile. Poi sono saltati i ministri di Agricoltura, Trasporti e Industria. Infine, a gennaio, il ministro dell’Edilizia, Fidel Fi- gueroa de la Paz, è stato sostituito da René Mesa Villafaña per “errori di gestione”. E’ uscito dal Consiglio di stato l’ideologo Otto Rivero; è stato rimosso dalla vicepresiden- za dello stesso Consiglio di stato lo storico comandante della Rivoluzione Ramiro Valdés, poi dirottato ai ministeri di Edili- zia, Industria e Comunicazioni. I silurati di ritorno Poiché Valdés era comunque rimasto nel governo, non era chiaro se, come volevano alcuni analisti, si trattasse di un ridimen- sionamento o se, al contrario, il regime mi- rasse a valorizzare al massimo la compe- tenza che il vecchio esperto di repressione si era fatto nel campo delle nuove tecnolo- gie. Nel contempo è nata la stella di Mari- no Murillo, un ex militare cinquantenne dal passato non molto noto, ma con fama di conoscitore dei modelli cinese e vietnami- ta, che dopo essere stato ministro del Com- mercio interno e titolare di Economia e pianificazione è diventato “supervisore al- l’attualizzazione del modello economico cubano” e presidente della commissione della Politica economica. In più, anche i ge- nerali Ulises Rosales del Toro e Antonio Enrique Luzón erano designati da Raúl “supervisori” – rispettivamente ad Agricol- tura, Industria zuccheriera e Industria ali- mentare, e a Trasporti e infrastrutture. Mu- rillo ora è entrato come uno dei 15 membri del nuovo Ufficio politico del Pcc, assieme al confermato Valdés. Il che dimostrerebbe che sono comunque loro due, Murillo e Valdés, gli uomini più importanti. Si afferma quindi una nomenclatura “militar-raulista” su un partito che sembra destinato a ricoprie un ruolo sempre più simbolico, come ha fatto ben capire lo stes- so Raúl . Tra l’altro, il Congresso ha sanci- to la nascita di una commissione perma- nente per realizzare la riforma economica, e già si capisce che sarà destinata a impa- dronirsi di molto potere effettivo. Al parti- to tocca invece una conferenza nazionale di riorganizzazione, convocata per il 12 gen- naio del prossimo anno. Dal Congresso comunista I Castro affidano ai militari la stagione delle riforme cubane Fidel passa a Raúl le sue ultime cariche ma sceglie due soldati per trasformare l’economia e combattere i burocrati “Un milione di licenziamenti” Non è da un film che si giudica Ayn Rand. Meglio rileggere il suo romanzo d’amore ultracapitalista Il cuore di Atlante G li attori sono quasi sconosciuti, la protagonista ha sempre la stessa espressione, l’adattamento è modesto, la produzione è povera, il botteghino è mi- sero. Il film tratto dal megaromanzo di Ayn Rand, “La rivolta di Atlante”, è un disastro, dicono impietosi i recensori. Le aspettative erano alte: l’opera, uscita nel 1957, è un successo, ancora oggi viaggia nella top 20 dei libri più venduti e divi- de il mondo tra chi sta con l’individuali- smo sfrenato della Rand e chi lo detesta. In mezzo non c’è nulla, gli indifferenti non sono contemplati. In questo il film è stato fedele: se è vero che è un disastro – e lo dicono tutti –, lo è senz’appello. Il pregiudizio politico conta. Questi non sono tempi normali, le battaglie sul- l’economia ogni giorno fanno andare su e giù i mercati come bambini sull’altalena, il capitalismo è diventato cattivo, gli uo- mini d’affari non sono eroi che combatto- no contro l’invasione dello stato né eroi- ne dall’aria austera, i capelli raccolti e il cuore debole, che si addormentano sul divano dell’ufficio mentre cercano di sal- vare l’azienda di famiglia dalle mire di- struttive di fratelli truffaldini. Il mondo descritto da Rand è stato travolto dalla realtà e, malinterpretato, ha finito per essere il riferimento culturale dei liber- tari più esagitati, dei Tea Party e ancora più in là. Quando Paul Ryan – l’unico de- putato repubblicano che non sbraita con- tro il socialismo di ritorno ma propone un piano per ridurre il deficit, per quan- to durissimo – chiede a tutti i suoi colla- boratori se hanno letto la Rand (e se non l’hanno fatto, che provvedessero in fret- ta), il cappio del pregiudizio è di nuovo ben stretto. Ma John Galt non è l’impermeabile che vaga misteriosamente per il film, è il personaggio mitico de “La Rivolta di Atlante” che compare nella prima riga del libro e si materializza settecento pa- gine dopo, colui che ha inventato un mo- tore fantasmagorico (il motore che muo- ve il mondo), ma nessuno lo ha capito e allora se n’è andato in una dimensione parallela dove attrae tutti quelli che so- no stufi di vedere il loro talento affossa- to da politici famelici e da regole morti- ficanti. Dagny Taggart non è una ragaz- za con la passione per i treni (il business di famiglia) che si ritrova a gestire un’a- zienda più grande di lei con gli occhi spauriti e tanta voglia di trovare il ma- rito giusto, magari ripescando il bellis- simo amichetto di quando era piccola e insieme sognavano una ferrovia che uni- va i pianeti: Dagny è una che scopre a sue spese che c’è un’alternativa al mo- dello che le impone lo stato, una che si lascia attrarre dall’idea di vivere in un mondo in cui le vessazioni del fratello e dei suoi compari non esistono, ma poi torna al suo posto perché le ferrovie so- no sangue del suo sangue, perché il sen- so del dovere è un valore insegnatole da papà, perché è troppo facile scomparire e rifarsi una vita in una landa inaccessi- bile, quella è roba da lasciare ai pirati (e infatti c’è anche uno splendido pirata dal nome impronunciabile che assalta navi stataliste e con i bottini risarcisce gli imprenditori che hanno dovuto paga- re troppe tasse). Quella volta che pareva fatta Maureen Dowd (che non è intrappola- ta nel pregiudizio, ma dà a Rand quel che è di Rand) ha ricordato che Al Ruddy, il produttore del “Padrino” che provò tante volte a fare un film da “La ri- volta di Atlante” – nel 1975 quasi ci riu- scì con un cast stellare (Dagny era Faye Dunaway, Galt era Robert Redford) – di- ceva che “Dagny Taggart è il ruolo più grandioso mai scritto per una donna. E’ una grande manager, è bella, i tre uomi- ni più magnifici del mondo sono pazzi di lei. Hot stuff about cool geniuses”. Il film appena uscito non è nulla di tutto ciò, ma la colpa non è del fallimento dei Tea Party o della fine del capitalismo o del- la vittoria dello stato-papà che piace ai liberal. E’ soltanto un brutto film, che Rand non avrebbe mai approvato. Per- ché quando Al Ruddy le disse che vole- va concentrarsi su Dagny e i suoi uomi- ni, lei rispose: “E’ tutto quello che è”, una storia d’amore. Roma. Si doveva vedere anche questa. Pechino bacchetta Washington, fa lezione di sana finanza, chiede “misure responsa- bili per proteggere l’interesse degli investi- tori”, cioè dei cinesi stessi i quali hanno in portafoglio 11 mila 114 miliardi di dollari in titoli del Tesoro americano. Il campanello d’allarme suonato da Stan- dard & Poor’s che due giorni fa ha conside- rato negative le prospettive a medio termi- ne (tra sei mesi e due anni) è davvero un av- vertimento politico e non solo all’interno degli Stati Uniti. Il presidente americano Barack Obama in televisione ha chiesto “sacrifici” a tutti, “anche ai miliardari e milionari”. Nemmeno l’Amministrazione pubblica può vivere al di sopra delle pro- prie risorse. Dunque austerità, un tabù do- po l’infelice esperienza di Jimmy Carter nel 1978. Le Borse ieri hanno incassato il colpo e sono tornate sia pur moderatamen- te positive. Resta insoluta una domanda, dopo la constatazione che anche in Ameri- ca il peso crescente del debito pubblico al- larma analisti e politici: se l’intervento del- lo stato ha contribuito ad alleviare la crisi finanziaria, come riuscire ad attutire i con- traccolpi di un’invadenza statale che fa lie- vitare disavanzi di bilancio e quindi inde- bitamenti pubblici? Però è l’Europa, anzi l’area dell’euro, a tremare di più. Si parla con sempre mag- gior insistenza di un default della Grecia, mentre si sta discutendo di come salvare il Portogallo in campagna elettorale. Il suc- cesso dei “Veri finlandesi” rende più pro- blematica la gestione delle crisi nei paesi periferici, perché un eventuale intervento filoportoghese ha bisogno del voto nel Par- lamento finnico. Se si guarda il rating dei principali pae- si, Germania, Gran Bretagna e Francia han- no il massimo, le tre A, con outlook stabi- le. Anche l’Italia viene considerata stabile, ma il voto è A+, meno della Spagna alla quale vengono assegnate due A, ma con prospettive negative. Vuol dire che il debi- to italiano è più elevato (119,5 per cento del pil rispetto al 62,9), però il disavanzo annuo è inferiore e sotto controllo. Gli Stati Uniti mantengono tre A con un debito ormai vici- no al 100 per cento del pil e un deficit ol- tre il 10. Ciò grazie al potere del dollaro che resta la moneta mondiale. Governo e Ban- ca centrale possono stampare moneta con la certezza che venga collocata sui merca- ti esteri. La Cina avverte che anche questo signoraggio, cominciato nel 1971, quando Nixon emancipò il dollaro dall’oro, è al li- mite. Tremonti e la revisione dei trattati Il mondo è cambiato, non le regole. Lo ha ribadito ieri Giulio Tremonti durante l’au- dizione al Parlamento europeo. In partico- lare, ha detto, “l’Europa ha mostrato una visione politica totalmente insufficiente”. Per questo è un’ipotesi da prendere in con- siderazione la “revisione di trattati scritti prima della globalizzazione, prodotto di un mondo passato”. Il ministro ha poi chiesto Eurobond per finanziare le energie rinno- vabili, annunciando che il governo non co- struirà più centrali nucleari. Tuttavia, la crisi dei debiti sovrani apre l’uscio a un ripensamento. La risposta tede- sca è un’applicazione più rigida di Maastri- cht. Ma quota 60 per l’indebitamento pub- blico, fa ancora senso? Secondo Kenneth Rogoff, l’allarme per la crescita scatta al li- vello 90. Non solo, si può andare avanti con politiche di tagli orizzontali, senza incide- re sulle componenti di fondo? Negli Stati Uniti sarà difficile prendere decisioni strutturali che frenino la corsa delle voci più importanti (sanità, pensioni, armamenti) prima delle elezioni presiden- ziali del 2012. Intanto, il limite fissato per legge al debito pubblico verrà spostato in avanti per la terza volta da quando Obama è entrato alla Casa Bianca: il 16 maggio rag- giungerà il tetto di 14,3 trilioni, ma si pren- de tempo fino a luglio o magari a settembre cioè alla ripresa dei lavori del Congresso. Non si vede, in ogni caso, come interveni- re in mancanza di un’analisi comune sulle cause del disastro nei conti pubblici, scri- ve Gerald Seib sul Wall Street Journal. Si confrontano due narrazioni opposte, quella democratica che getta la colpa ai ta- gli fiscali e alle spese militari dell’ammini- strazione Bush e quella repubblicana, che se la prende con la spesa e la riforma sani- taria. La frattura ideologica impedisce di trovare qualsiasi soluzione. Così gli stati indebitati capovolgono pure il mondo La Cina fa lezione di sana finanza agli Usa e Obama chiede sacrifici a tutti Geopolitica dei bond C’era una volta un ricco signore ac- cusato di aver corrotto un altro si- gnore, molto meno ricco di lui, af- finché non lo accusasse di aver compiuto una cattiva azione. Ma quello lo accusò lo stesso. Il signore più ricco, che aveva fama di essere il più generoso del reame, doveva però essere anche un po’ coglione. Infatti, pur non essendo riuscito nell’intento di evi- tare la prima accusa, si beccò anche quel- la di aver premiato il suo accusatore con centomila fiorini d’oro. Questo almeno so- steneva lo sceriffo. “Ma io non sono così co- glione”, protestò l’uomo molto ricco, “infat- ti mai troverete quei denari, dal momento che mai li diedi al mio accusatore”. Il qua- le, per parte sua, confermò di non aver visto quei centomila fiorini nemmeno col suo bi- nocolo d’argento: “Cercateli pure”, disse al- lo sceriffo. E lo sceriffo, sempre convinto che l’esser molto ricchi non esimesse certo dall’essere anche molto coglioni, dovunque cercò. Cercò di qua, cercò di là, frugò dai mari ai monti. Ma nemmeno un fiorino trovò. Finché un bel giorno, anzi, una sera, il ricco signore organizzò una grande festa con numerose e bellissime principesse. An- che là frugò lo sceriffo, notando tutti felici e contenti. Nacque, così, la famosa favola di “Mills e una notte”. OGGI NEL FOGLIO QUOTIDIANO SENZA FARSI MALE GENTILE CAV., I SUOI NEMICIso- no proprio felici di vederla fuori con- trollo (l’Elefantino nell’inserto I) ALFANO e il caso Lassini. Il mini- stro non farà processare l’autore del manifesto indecente (a pagina tre) G entile Spinelli, la citazione di Luigi Einaudi nella Repubblica di ieri è ben trovata. Anch’io nella mia modestia penso che un paese serio debba essere go- vernato dai partiti politici, anima della de- mocrazia rappresentativa, e non da im- prenditori esposti al rischio di trattare una Repubblica come una società per azioni o, peggio, una fabbrichetta. I parti- ti c’erano ed erano in profondissima crisi, all’inizio degli anni Novanta. Erano tragi- camente sputtanati. Invece di una svolta politica, subimmo la caduta di un regime per mano giudiziaria, e l’eliminazione dei partiti, uno dei quali era già crollato sot- to le macerie del muro di Berlino, che ave- vano firmato la Costituzione. Una caduta nell’infamia del carcere preventivo e della gogna. Lei, in un suo libro che oggi pro- babilmente non ripub- blicherebbe, raccontò la vicenda non senza sensibilità culturale per la giustizia piegata alla crociata politica violenta, intollerante delle regole del diritto. Poi arrivò Ber- lusconi, che non voleva fa- re la fine di Rizzoli, di Ca- gliari e di Gardini. All’epo- ca gli consigliai di non entrare in lizza ma, con quel che è successo do- po, non posso biasimar- lo. Anzi, lo lodo. Berlusconi ha sbloccato il sistema e costruito le premes- se dell’alternanza di forze diverse alla gui- da dello stato, la più grande e significativa riforma politica dai tempi della Costituente, e una riforma storica per l’Italia dalla pro- clamazione del Regno unito ad oggi. Ades- so Berlusconi è incrudelito e imbruttito dalla sporca guerra che il partito delle procure e dei media e di un establishment poverello gli fa fin sotto le lenzuola del suo letto. Ma non sta marciando su Roma, come dite con improntitudine, alcuni di voi arrivando a invocare un golpe con l’as- sistenza di carabinieri e polizia: siete voi che da diciassette anni state marciando su Berlusconi con mezzi abietti, ribaltoni e indagini fuori di testa, infangando la ban- diera della legalità che fate garrire al ven- to della vostra vanità mentre i magistrati fanno comizi in piazza in aperta compli- cità con movimenti brutalmente fanatizza- ti, e molto televisivi, che predicano violen- za verbale e materiale contro l’Arcinemi- co. Avete avvilito tutto, a cominciare dai poteri neutri e dal regolare funzionamen- to delle istituzioni. Dovreste ignorare questo giornale, il Foglio, perché nella sua partigianeria combinata con un tentativo di spirito critico e ironia e li- bertà di tono, è la di- mostrazione del fatto che non stiamo viven- do il vostro incubo più o meno farlocco, ma una storia politi- ca in cui spicca, oltre all’atipicità berlusco- niana, la anomalia di una sinistra politica alleata a chiunque pieghi le ginocchia di fronte alla sua pove- ra nomenclatura, e trascinata dai fantasmi che agita: una sinistra incapace di costrui- re un’alternativa decente all’imprenditore fattosi politico, che ricorre sistematica- mente al mezzo improprio del procurato- re in crociata. Invece nel tempo questo giornale “della moglie di Berlusconi” lo avete insultato, frainteso per gola, negato, isolato, mistificato, poi blandito sperando in una sua arcitalianità residua, in un pic- colo compromesso mondano tra beautiful people. Ora lo censurate pretendendo la rinuncia alle opinioni di chi ci scrive. Lei si mostra attonita perché sabato ho fatto l’elogio del Grande Inquisitore di Do- stoevskij, io che da laico sospetto l’esisten- za preternaturale del diavolo e lo denun- cio nelle pance squartate delle donne, nei bambini non nati per colpa della cultura corrente e della sua sordità morale, che li aspira e li raschia a centinaia di migliaia, a milioni, a miliardi in tutto il mondo, io che da laico amo il Papa e i Cardinali, compresi quelli di Nanni Moretti, e il pa- trimonio scritturale, identitario, politico ed etico della cultura giudaico-cristiana, compresi la castità dei preti nella chiesa di rito latino e la critica degli esiti faustia- ni dello scientismo irresponsabile. Lei mi accusa di bestemmiare Gesù Cri- sto perché ho considerazione, sulla scor- ta di un pamphlet intelligente e coraggio- so di Franco Cassano in cui vedo rispec- chiate, in modo originale e diverso dal mio, e nell’ambito di una cultura di sinistra che non è più la mia da molto tempo, le mie stesse idee sul bene e sul male, l’an- tropologia conservatri- ce che ha molti ante- nati così diversi tra lo- ro, da Hobbes a Locke a Kant con il suo legno storto di cui è fatta l’uma- nità. Nel suo stupore po- litico e polemico, non le viene in mente che sto solo rileggendo un ro- manzo in libertà, che metto in campo idee legittime, che il car- dinale gesuita che arrestò Gesù tor- nato sulla terra, a Siviglia, e gli im- partì una folle e severa lezione sull’umanità com’è, sulla snervante attesa del suo Regno che dura da due millenni e richiede cure transito- rie per noi peccatori, ora e nell’ora della nostra morte, è uno straordinario perso- naggio letterario e una chiave per giusti- ficare l’esistenza di una fede dei sempli- ci, dei piccoli, e la cura delle anime che è propria della chiesa fondata da Cristo. Lei è protestante, neopuritana, odia la chiesa e la sua funzione liturgica di amministra- zione dei sacramenti, e da quel che leggo adesso detesta anche le virtù formali del grande romanzo europeo dell’Ottocento, e questo è legittimo settarismo moderno, una forma politica dello spirito di élite che disprezza il popolo. Ma è intellettual- mente sordido usare il suo Cristo immagi- nario e disincarnato, l’uomo-Dio che inve- ce s’incarna e lascia al mondo e alla sto- ria, sulla scia dei vangeli e degli apostoli, il compito di adorarlo o di interpretarlo, per demonizzare, esorcizzare nel più com- pleto tradimento di ogni laicità un’inter- pretazione diversa dalla sua. Non ho mai scritto e non penso che Ge- sù, come lei mi fa di- re fraudolentemente, si assoggetta al Gran- de Inquisitore con il suo silenzio e il suo bacio. In quei gesti è la evidente consegna dell’Unto del Signore al mistero della fede, all’amore destituito di storicità, allo spiri- to sovrannaturale della luce da luce. Resti pure nella sua ignoranza e nella sua malalettura di ciò che scrivono gli altri, gentile Spinelli, però metta giù le mani da ciò che non ca- pisce o che finge di non capire. Il Grande Inquisitore è uomo di Dio e della storia, dunque anche del diavolo, non semplifica- bile dagli stolti, questo è poi il senso del libro di Cassano, e ha qualcosa da dirci su come ci si debba comportare nella catto- licità, così diversa dal mondo fatuo di Li- bertà & giustizia; ma Gesù Cristo, anche per chi non sia un fedele cattolico, va tol- to dal bailamme insensato dei nostri scon- tri civili e settari, non è un suo compagno di cordata, nonostante Tettamanzi, nella lotta per De Benedetti e contro Berlusconi. ROMANZO PURITANO Barbara Spinelli nega il libero esame di Dostoevskij e della leggenda del Grande Inquisitore. E quando arruola Gesù come compagno di cordata giustizialista scivola nell’insensatezza.Meglio il diavolo Berlusconi non sta marciando su Roma, come dite con improntitudine, alcuni di voi invocando un golpe con l’assistenza di carabinieri e polizia: siete voi che da diciassette anni state marciando su Berlusconi S IL VIO B ERLUSCONI R AÙL C ASTR O Questo numero è stato chiuso in redazione alle 21 COMBATTERE SENZA ROVINARSI. Idee per evitare che la giusta battaglia del Cav. si trasformi in una barzelletta politica. GENTILE PRESIDENTE NAPOLITANO, tutte le indecenze valgono le sue esterna- zioni (articoli negli inserti I e II)

Transcript of IL FOGLIO - GariwoIl film tratto dal megaromanzo di Ayn Rand, “La rivolta di Atlante”, è un...

Page 1: IL FOGLIO - GariwoIl film tratto dal megaromanzo di Ayn Rand, “La rivolta di Atlante”, è un disastro, dicono impietosi i recensori. Le aspettative erano alte: l’opera, uscita

IL FOGLIOANNO XVI NUMERO 93 DIRETTORE GIULIANO FERRARA MERCOLEDÌ 20 APRILE 2011 - € 1,30

quotidianoRedazione e Amministrazione: via Carroccio 12 – 20123 Milano. Tel 02/771295.1 Sped. in Abb. Postale - DL 353/2003 Conv. L.46/2004 Art. 1, c. 1, DBC MILANO

Roma. Segnali di resipiscenza dopoqualche sbandata. Complice il turbamen-to del Quirinale per la “degenerazione”della contesa politica, la maggioranza haparzialmente corretto la propria rotta do-po i manifesti sui giudici “brigatisti” equalche eccesso del premier in persona: lacampagna elettorale per le amministrativecertamente sarà dura, ma ieri è stato l’in-tero gruppo dirigente del Pdl (e della Le-ga) a imporsi una frenata. Il presidente delSenato, RenatoSchifani, che oltre aessere la secondacarica dello stato èanche un berlusco-niano della primaora, ha significati-vamente ricevuto aPalazzo Madama ivertici dell’Anm(“non esistono ne-mici”); la conferen-za dei capigruppo,in Senato, riunitasiin mattinata hasgombrato l’iterparlamentare datutti i dossier a maggiore pericolo di rissa.E difatti la norma sul processo breve, tan-to contestata dalle opposizioni, sarà quasicertamente discussa soltanto dopo la tor-nata elettorale di maggio prossimo. Machissà. Anche la Camera ha di fatto sospe-so i lavori, per quanto riguarda i provvedi-menti più divisivi. Si registra soltantoun’accelerazione sul fine vita, ma è proba-bilmente un segnale di pacificazione con ilmondo cattolico (dopo il richiamo di SilvioBerlusconi al popolarismo europeo e lecritiche indirette di una parte delle gerar-chie nei confronti del premier).

Non si tratta di direttive calate dall’alto,precipitate da Palazzo Grazioli sulle testedel personale politico del Pdl. Anzi, tra gliosservatori, si fa strada l’idea che al centro-destra in queste ore manchi una cabina diregia univoca. Il Cavaliere, confortato dagliuomini in questa fase a lui più vicini, restasicuro delle proprie ragioni e intende con-durre la campagna elettorale seguendo ilproprio più classico repertorio: la sinistrainaffidabile, la magistratura orientata poli-ticamente. Eppure da lunedì pomeriggio,dopo l’allarmata lettera di Giorgio Napoli-tano al vicepresidente del Csm sullo statodel dibattito intorno alla giustizia, alcunepreoccupazioni già vive in seno alla Lega, eal Pdl, si sono fatte più forti. E’ stato il par-tito di Umberto Bossi, per primo, a chiede-re agli alleati del Pdl maggiore cautela,specie se nella contesa politica rischia diessere trascinato anche il Quirinale con ilquale Bossi continua a mantenere (per ra-gioni strategiche) ottimi rapporti. “Il livel-lo di scontro raggiunto ci preoccupa. Il ri-chiamo di Napolitano è stato doveroso”, hadetto il capogruppo della Lega alla Came-ra, Marco Reguzzoni. Ma anche nel Pdl hapreso via via consistenza la linea delle co-siddette colombe (per quanto falchi e co-lombe nel Pdl lo siano un po’ tutti a giornialterni). I capigruppo di Camera e Senato,come i giovani ministri Angelino Alfano eMariastella Gelmini, hanno preso coraggioproducendo una inversione di rotta la cuicapacità di tenuta, tuttavia, si potrà valuta-re solo nel corso del tempo.

Uno sbadiglio a Palazzo GrazioliLa complessiva inversione di tendenza

riguarda anche il Pdl al proprio interno.Ancora attraversato da un sotterraneo tra-mestio, il partito di Berlusconi ha raggiun-to un equilibrio temporaneo tra le propriecomponenti. Tutto è stato rimandato al do-po elezioni. Al netto di una piccola frondaall’interno del gruppo dei Responsabili,non tale da destare reali preoccupazioni,nella galassia berlusconiana si cerca di tor-nare alla normalità dei rapporti. Ignazio LaRussa, da Washington dove si trova in visi-ta di stato, martedì sera ha telefonato adAltero Matteoli proprio mentre il ministrodelle Infrastrutture discuteva di come di-missionarlo dall’incarico di coordinatoredel Pdl alla presenza del sindaco di RomaGianni Alemanno e del sottosegretario al-la Funzione pubblica Andrea Augello. Unatelefonata cordiale che prefigura un nego-ziato, e non una guerra, tra ex dirigenti diAn per la modifica delle catene di coman-do all’interno del partitone berlusconiano.Concluse le elezioni di maggio si aprirà –pare – un intenso dibattito: riforma eletto-rale in senso bipolare con introduzione delmeccanismo delle primarie, e riforma delPdl. Il premier si è dimostrato più incurio-sito dalla prima ipotesi che dalla seconda(pare abbia sbadigliato). Manca una qua-lunque esternazione da parte sua che nonsia “il partito non esiste”. Tuttavia preva-le, tra i dirigenti, un orientamento: nomina-re uno dei tre coordinatori “presidente del-l’ufficio di coordinamento”. Un sistemasurrettizio per introdurre la figura delcoordinatore unico che, almeno in una pri-ma fase, dovrebbe essere Denis Verdini.

Manovre di alleggerimento

Così Pdl e Lega cercanodi contenere la fogapre elettorale del Cav.Schifani parla con l’Anm, i capigruppo

rinviano il processo breve, Bossidifende l’asse con Napolitano

Le trattative fra i colonnelliRoma. Fidel Castro è stato al vertice del

regime cubano per 52 anni; il suo posto loha preso Raúl, già suo vice per mezzo seco-lo; al posto di Raúl, diventa secondo segre-tario del Partito comunista di Cuba (Pcc)l’ottantenne José Machado Ventura. Dopodi loro, però, nessun dirigente potrà piùmantenere un incarico per più di due man-dati, in totale dieci anni. Lo ha detto saba-to Raúl, nel discorso di apertura al VI con-gresso del Pcc, chiedendo al partito di non

usurpare funzioniche non lo riguarda-no e di smetterla disabotare le riformeeconomiche. “Dare-mo battaglia a buro-crati e dogmatici, ela vinceremo”, è ar-rivato a dire Raúlcon tono irritato. E’questa la grandesorpresa di questaassise.

La storia ricor-derà che questo èstato il congresso incui Fidel Castro ha

lasciato la carica di segretario del Pcc, l’ul-tima ancora da lui detenuta, dopo averpassato al fratello Raúl la guida dello sta-to e del governo. Oppure ricorderà che mil-le delegati hanno approvato il piano diriforme economiche che licenzierà un mi-lione di dipendenti pubblici, che ricono-sce e promuove “investimenti esteri, coo-perative, piccola imprenditoria agricola elavoro privato”, che permette la compra-vendita delle abitazioni tra i privati. Sitratta di due eventi che segnano la fine diun’epoca e l’inizio di un’altra, anche se an-cora non è chiaro dove porterà il nuovopercorso intrapreso. Che Fidel avrebbedato le ultime dimissioni lo si era capitoda tempo, anche se si è aspettato il giornoconclusivo del congresso per ufficializzar-lo e per chiarire che anche in quell’inca-rico gli sarebbe succeduto Raúl. E la stes-sa approvazione della riforma economicanon è stata che una sanzione formale a de-cisioni già prese.

La linea dura con il partito annunciatada Raúl, però, permette di comprendere al-cune evoluzioni che si erano già delineate,ma che ancora non erano decifrabili nel lo-ro pieno significato. Era da un paio di an-ni che i ministri venivano silurati con me-todica frequenza. Nel marzo del 2009 sonostati rimossi il ministro degli Esteri, Feli-pe Pérez Roque, e il capo di gabinetto e vi-cepresidente Carlos Lage: erano considera-ti possibili delfini di Fidel, ma sono finitia lavorare l’uno in un’impresa di costruzio-ni e l’altro in un ospedale. Un anno più tar-di è stato destituito il generale RogelioAcevedo, presidente dell’Istituto dell’aero-nautica civile. Poi sono saltati i ministri diAgricoltura, Trasporti e Industria. Infine, agennaio, il ministro dell’Edilizia, Fidel Fi-gueroa de la Paz, è stato sostituito da RenéMesa Villafaña per “errori di gestione”. E’uscito dal Consiglio di stato l’ideologo OttoRivero; è stato rimosso dalla vicepresiden-za dello stesso Consiglio di stato lo storicocomandante della Rivoluzione RamiroValdés, poi dirottato ai ministeri di Edili-zia, Industria e Comunicazioni.

I silurati di ritornoPoiché Valdés era comunque rimasto nel

governo, non era chiaro se, come volevanoalcuni analisti, si trattasse di un ridimen-sionamento o se, al contrario, il regime mi-rasse a valorizzare al massimo la compe-tenza che il vecchio esperto di repressionesi era fatto nel campo delle nuove tecnolo-gie. Nel contempo è nata la stella di Mari-no Murillo, un ex militare cinquantennedal passato non molto noto, ma con fama diconoscitore dei modelli cinese e vietnami-ta, che dopo essere stato ministro del Com-mercio interno e titolare di Economia epianificazione è diventato “supervisore al-l’attualizzazione del modello economicocubano” e presidente della commissionedella Politica economica. In più, anche i ge-nerali Ulises Rosales del Toro e AntonioEnrique Luzón erano designati da Raúl“supervisori” – rispettivamente ad Agricol-tura, Industria zuccheriera e Industria ali-mentare, e a Trasporti e infrastrutture. Mu-rillo ora è entrato come uno dei 15 membridel nuovo Ufficio politico del Pcc, assiemeal confermato Valdés. Il che dimostrerebbeche sono comunque loro due, Murillo eValdés, gli uomini più importanti.

Si afferma quindi una nomenclatura“militar-raulista” su un partito che sembradestinato a ricoprie un ruolo sempre piùsimbolico, come ha fatto ben capire lo stes-so Raúl . Tra l’altro, il Congresso ha sanci-to la nascita di una commissione perma-nente per realizzare la riforma economica,e già si capisce che sarà destinata a impa-dronirsi di molto potere effettivo. Al parti-to tocca invece una conferenza nazionale diriorganizzazione, convocata per il 12 gen-naio del prossimo anno.

Dal Congresso comunista

I Castro affidanoai militari la stagionedelle riforme cubaneFidel passa a Raúl le sue ultime cariche

ma sceglie due soldati per trasformarel’economia e combattere i burocrati

“Un milione di licenziamenti”

Non è da un film che si giudicaAyn Rand. Meglio rileggere il suoromanzo d’amore ultracapitalista

Il cuore di Atlante

Gli attori sono quasi sconosciuti, laprotagonista ha sempre la stessa

espressione, l’adattamento è modesto, laproduzione è povera, il botteghino è mi-sero. Il film tratto dal megaromanzo diAyn Rand, “La rivolta di Atlante”, è undisastro, dicono impietosi i recensori. Leaspettative erano alte: l’opera, uscita nel1957, è un successo, ancora oggi viaggianella top 20 dei libri più venduti e divi-de il mondo tra chi sta con l’individuali-smo sfrenato della Rand e chi lo detesta.In mezzo non c’è nulla, gli indifferentinon sono contemplati. In questo il film èstato fedele: se è vero che è un disastro– e lo dicono tutti –, lo è senz’appello.

Il pregiudizio politico conta. Questinon sono tempi normali, le battaglie sul-l’economia ogni giorno fanno andare su egiù i mercati come bambini sull’altalena,il capitalismo è diventato cattivo, gli uo-mini d’affari non sono eroi che combatto-no contro l’invasione dello stato né eroi-ne dall’aria austera, i capelli raccolti e ilcuore debole, che si addormentano suldivano dell’ufficio mentre cercano di sal-vare l’azienda di famiglia dalle mire di-struttive di fratelli truffaldini. Il mondodescritto da Rand è stato travolto dallarealtà e, malinterpretato, ha finito peressere il riferimento culturale dei liber-tari più esagitati, dei Tea Party e ancorapiù in là. Quando Paul Ryan – l’unico de-putato repubblicano che non sbraita con-tro il socialismo di ritorno ma proponeun piano per ridurre il deficit, per quan-to durissimo – chiede a tutti i suoi colla-boratori se hanno letto la Rand (e se nonl’hanno fatto, che provvedessero in fret-ta), il cappio del pregiudizio è di nuovoben stretto.

Ma John Galt non è l’impermeabileche vaga misteriosamente per il film, è ilpersonaggio mitico de “La Rivolta diAtlante” che compare nella prima rigadel libro e si materializza settecento pa-gine dopo, colui che ha inventato un mo-tore fantasmagorico (il motore che muo-ve il mondo), ma nessuno lo ha capito eallora se n’è andato in una dimensioneparallela dove attrae tutti quelli che so-no stufi di vedere il loro talento affossa-to da politici famelici e da regole morti-ficanti. Dagny Taggart non è una ragaz-za con la passione per i treni (il businessdi famiglia) che si ritrova a gestire un’a-zienda più grande di lei con gli occhispauriti e tanta voglia di trovare il ma-rito giusto, magari ripescando il bellis-simo amichetto di quando era piccola einsieme sognavano una ferrovia che uni-va i pianeti: Dagny è una che scopre asue spese che c’è un’alternativa al mo-dello che le impone lo stato, una che silascia attrarre dall’idea di vivere in unmondo in cui le vessazioni del fratello edei suoi compari non esistono, ma poitorna al suo posto perché le ferrovie so-no sangue del suo sangue, perché il sen-so del dovere è un valore insegnatole dapapà, perché è troppo facile scompariree rifarsi una vita in una landa inaccessi-bile, quella è roba da lasciare ai pirati (einfatti c’è anche uno splendido piratadal nome impronunciabile che assaltanavi stataliste e con i bottini risarciscegli imprenditori che hanno dovuto paga-re troppe tasse).

Quella volta che pareva fattaMaureen Dowd (che non è intrappola-

ta nel pregiudizio, ma dà a Rand quelche è di Rand) ha ricordato che AlRuddy, il produttore del “Padrino” cheprovò tante volte a fare un film da “La ri-volta di Atlante” – nel 1975 quasi ci riu-scì con un cast stellare (Dagny era FayeDunaway, Galt era Robert Redford) – di-ceva che “Dagny Taggart è il ruolo piùgrandioso mai scritto per una donna. E’una grande manager, è bella, i tre uomi-ni più magnifici del mondo sono pazzi dilei. Hot stuff about cool geniuses”. Il filmappena uscito non è nulla di tutto ciò, mala colpa non è del fallimento dei TeaParty o della fine del capitalismo o del-la vittoria dello stato-papà che piace ailiberal. E’ soltanto un brutto film, cheRand non avrebbe mai approvato. Per-ché quando Al Ruddy le disse che vole-va concentrarsi su Dagny e i suoi uomi-ni, lei rispose: “E’ tutto quello che è”,una storia d’amore.

Roma. Si doveva vedere anche questa.Pechino bacchetta Washington, fa lezionedi sana finanza, chiede “misure responsa-bili per proteggere l’interesse degli investi-tori”, cioè dei cinesi stessi i quali hanno inportafoglio 11 mila 114 miliardi di dollariin titoli del Tesoro americano.

Il campanello d’allarme suonato da Stan-dard & Poor’s che due giorni fa ha conside-rato negative le prospettive a medio termi-ne (tra sei mesi e due anni) è davvero un av-vertimento politico e non solo all’internodegli Stati Uniti. Il presidente americanoBarack Obama in televisione ha chiesto“sacrifici” a tutti, “anche ai miliardari emilionari”. Nemmeno l’Amministrazionepubblica può vivere al di sopra delle pro-prie risorse. Dunque austerità, un tabù do-po l’infelice esperienza di Jimmy Carternel 1978. Le Borse ieri hanno incassato ilcolpo e sono tornate sia pur moderatamen-te positive. Resta insoluta una domanda,dopo la constatazione che anche in Ameri-ca il peso crescente del debito pubblico al-larma analisti e politici: se l’intervento del-lo stato ha contribuito ad alleviare la crisifinanziaria, come riuscire ad attutire i con-traccolpi di un’invadenza statale che fa lie-vitare disavanzi di bilancio e quindi inde-bitamenti pubblici?

Però è l’Europa, anzi l’area dell’euro, atremare di più. Si parla con sempre mag-gior insistenza di un default della Grecia,mentre si sta discutendo di come salvare ilPortogallo in campagna elettorale. Il suc-cesso dei “Veri finlandesi” rende più pro-blematica la gestione delle crisi nei paesiperiferici, perché un eventuale interventofiloportoghese ha bisogno del voto nel Par-lamento finnico.

Se si guarda il rating dei principali pae-si, Germania, Gran Bretagna e Francia han-no il massimo, le tre A, con outlook stabi-le. Anche l’Italia viene considerata stabile,ma il voto è A+, meno della Spagna allaquale vengono assegnate due A, ma conprospettive negative. Vuol dire che il debi-to italiano è più elevato (119,5 per cento delpil rispetto al 62,9), però il disavanzo annuoè inferiore e sotto controllo. Gli Stati Unitimantengono tre A con un debito ormai vici-no al 100 per cento del pil e un deficit ol-tre il 10. Ciò grazie al potere del dollaro cheresta la moneta mondiale. Governo e Ban-ca centrale possono stampare moneta conla certezza che venga collocata sui merca-ti esteri. La Cina avverte che anche questosignoraggio, cominciato nel 1971, quandoNixon emancipò il dollaro dall’oro, è al li-mite.

Tremonti e la revisione dei trattatiIl mondo è cambiato, non le regole. Lo ha

ribadito ieri Giulio Tremonti durante l’au-dizione al Parlamento europeo. In partico-lare, ha detto, “l’Europa ha mostrato unavisione politica totalmente insufficiente”.Per questo è un’ipotesi da prendere in con-siderazione la “revisione di trattati scrittiprima della globalizzazione, prodotto di unmondo passato”. Il ministro ha poi chiestoEurobond per finanziare le energie rinno-vabili, annunciando che il governo non co-struirà più centrali nucleari.

Tuttavia, la crisi dei debiti sovrani aprel’uscio a un ripensamento. La risposta tede-sca è un’applicazione più rigida di Maastri-cht. Ma quota 60 per l’indebitamento pub-blico, fa ancora senso? Secondo KennethRogoff, l’allarme per la crescita scatta al li-vello 90. Non solo, si può andare avanti conpolitiche di tagli orizzontali, senza incide-re sulle componenti di fondo?

Negli Stati Uniti sarà difficile prenderedecisioni strutturali che frenino la corsadelle voci più importanti (sanità, pensioni,armamenti) prima delle elezioni presiden-ziali del 2012. Intanto, il limite fissato perlegge al debito pubblico verrà spostato inavanti per la terza volta da quando Obamaè entrato alla Casa Bianca: il 16 maggio rag-giungerà il tetto di 14,3 trilioni, ma si pren-de tempo fino a luglio o magari a settembrecioè alla ripresa dei lavori del Congresso.Non si vede, in ogni caso, come interveni-re in mancanza di un’analisi comune sullecause del disastro nei conti pubblici, scri-ve Gerald Seib sul Wall Street Journal.

Si confrontano due narrazioni opposte,quella democratica che getta la colpa ai ta-gli fiscali e alle spese militari dell’ammini-strazione Bush e quella repubblicana, chese la prende con la spesa e la riforma sani-taria. La frattura ideologica impedisce ditrovare qualsiasi soluzione.

Così gli stati indebitaticapovolgono pure il mondoLa Cina fa lezione di sana finanza agli

Usa e Obama chiede sacrifici a tutti

Geopolitica dei bond

C’era una volta un ricco signore ac-cusato di aver corrotto un altro si-gnore, molto meno ricco di lui, af-

finché non lo accusasse di aver compiutouna cattiva azione. Ma quello lo accusò lostesso. Il signore più ricco, che aveva famadi essere il più generoso del reame, dovevaperò essere anche un po’ coglione. Infatti,pur non essendo riuscito nell’intento di evi-tare la prima accusa, si beccò anche quel-la di aver premiato il suo accusatore concentomila fiorini d’oro. Questo almeno so-steneva lo sceriffo. “Ma io non sono così co-glione”, protestò l’uomo molto ricco, “infat-

ti mai troverete quei denari, dal momentoche mai li diedi al mio accusatore”. Il qua-le, per parte sua, confermò di non aver vistoquei centomila fiorini nemmeno col suo bi-nocolo d’argento: “Cercateli pure”, disse al-lo sceriffo. E lo sceriffo, sempre convintoche l’esser molto ricchi non esimesse certodall’essere anche molto coglioni, dovunquecercò. Cercò di qua, cercò di là, frugò daimari ai monti. Ma nemmeno un fiorinotrovò. Finché un bel giorno, anzi, una sera,il ricco signore organizzò una grande festacon numerose e bellissime principesse. An-che là frugò lo sceriffo, notando tutti felicie contenti. Nacque, così, la famosa favola di“Mills e una notte”.

OGGI NEL FOGLIO QUOTIDIANO

SENZA FARSI MALE

GENTILE CAV., I SUOI NEMICI so-no proprio felici di vederla fuori con-trollo (l’Elefantino nell’inserto I)

ALFANO e il caso Lassini. Il mini-stro non farà processare l’autore delmanifesto indecente (a pagina tre)

•Gentile Spinelli, la citazione di Luigi

Einaudi nella Repubblica di ieri èben trovata. Anch’io nella mia modestiapenso che un paese serio debba essere go-vernato dai partiti politici, anima della de-mocrazia rappresentativa, e non da im-prenditori esposti al rischio di trattareuna Repubblica come una società perazioni o, peggio, una fabbrichetta. I parti-ti c’erano ed erano in profondissima crisi,all’inizio degli anni Novanta. Erano tragi-camente sputtanati. Invece di una svoltapolitica, subimmo la caduta di un regimeper mano giudiziaria, e l’eliminazione deipartiti, uno dei quali era già crollato sot-to le macerie del muro di Berlino, che ave-vano firmato la Costituzione.Una caduta nell’infamiadel carcere preventivoe della gogna. Lei, in unsuo libro che oggi pro-babilmente non ripub-blicherebbe, raccontòla vicenda non senzasensibilità culturale perla giustizia piegata allacrociata politica violenta,intollerante delle regoledel diritto. Poi arrivò Ber-lusconi, che non voleva fa-re la fine di Rizzoli, di Ca-gliari e di Gardini. All’epo-ca gli consigliai di nonentrare in lizza ma, conquel che è successo do-po, non posso biasimar-lo. Anzi, lo lodo.

Berlusconi hasbloccato il sistema ecostruito le premes-se dell’alternanza diforze diverse alla gui-da dello stato, la piùgrande e significativariforma politica daitempi della Costituente, euna riforma storica per l’Italia dalla pro-clamazione del Regno unito ad oggi. Ades-so Berlusconi è incrudelito e imbruttitodalla sporca guerra che il partito delleprocure e dei media e di un establishmentpoverello gli fa fin sotto le lenzuola delsuo letto. Ma non sta marciando su Roma,come dite con improntitudine, alcuni divoi arrivando a invocare un golpe con l’as-sistenza di carabinieri e polizia: siete voiche da diciassette anni state marciando suBerlusconi con mezzi abietti, ribaltoni eindagini fuori di testa, infangando la ban-diera della legalità che fate garrire al ven-to della vostra vanità mentre i magistratifanno comizi in piazza in aperta compli-cità con movimenti brutalmente fanatizza-ti, e molto televisivi, che predicano violen-za verbale e materiale contro l’Arcinemi-co. Avete avvilito tutto, a cominciare daipoteri neutri e dal regolare funzionamen-to delle istituzioni.

Dovreste ignorare questo giornale, ilFoglio, perché nella sua partigianeriacombinata con untentativo di spiritocritico e ironia e li-bertà di tono, è la di-mostrazione del fattoche non stiamo viven-do il vostro incubopiù o meno farlocco,ma una storia politi-ca in cui spicca, oltreall’atipicità berlusco-niana, la anomalia diuna sinistra politicaalleata a chiunquepieghi le ginocchia difronte alla sua pove-ra nomenclatura, e trascinata dai fantasmiche agita: una sinistra incapace di costrui-re un’alternativa decente all’imprenditorefattosi politico, che ricorre sistematica-mente al mezzo improprio del procurato-re in crociata. Invece nel tempo questogiornale “della moglie di Berlusconi” loavete insultato, frainteso per gola, negato,isolato, mistificato, poi blandito sperandoin una sua arcitalianità residua, in un pic-colo compromesso mondano tra beautifulpeople. Ora lo censurate pretendendo larinuncia alle opinioni di chi ci scrive.

Lei si mostra attonita perché sabato hofatto l’elogio del Grande Inquisitore di Do-stoevskij, io che da laico sospetto l’esisten-

za preternaturale del diavolo e lo denun-cio nelle pance squartate delle donne, neibambini non nati per colpa della culturacorrente e della sua sordità morale, che liaspira e li raschia a centinaia di migliaia,a milioni, a miliardi in tutto il mondo, ioche da laico amo il Papa e i Cardinali,compresi quelli di Nanni Moretti, e il pa-trimonio scritturale, identitario, politicoed etico della cultura giudaico-cristiana,compresi la castità dei preti nella chiesadi rito latino e la critica degli esiti faustia-ni dello scientismo irresponsabile.

Lei mi accusa di bestemmiare Gesù Cri-sto perché ho considerazione, sulla scor-ta di un pamphlet intelligente e coraggio-so di Franco Cassano in cui vedo rispec-

chiate, in modo originale e diverso dalmio, e nell’ambito di una cultura

di sinistra che non è piùla mia da molto tempo,le mie stesse idee sulbene e sul male, l’an-tropologia conservatri-ce che ha molti ante-nati così diversi tra lo-

ro, da Hobbes a Lockea Kant con il suo legno

storto di cui è fatta l’uma-nità. Nel suo stupore po-litico e polemico, non leviene in mente che stosolo rileggendo un ro-manzo in libertà, chemetto in campo idee

legittime, che il car-dinale gesuita chearrestò Gesù tor-nato sulla terra, aSiviglia, e gli im-partì una folle e

severa lezionesull ’umanitàcom’è, sullasnervante attesa

del suo Regno che durada due millenni e richiede cure transito-rie per noi peccatori, ora e nell’ora dellanostra morte, è uno straordinario perso-naggio letterario e una chiave per giusti-ficare l’esistenza di una fede dei sempli-ci, dei piccoli, e la cura delle anime che èpropria della chiesa fondata da Cristo. Leiè protestante, neopuritana, odia la chiesae la sua funzione liturgica di amministra-zione dei sacramenti, e da quel che leggoadesso detesta anche le virtù formali delgrande romanzo europeo dell’Ottocento, equesto è legittimo settarismo moderno,una forma politica dello spirito di éliteche disprezza il popolo. Ma è intellettual-mente sordido usare il suo Cristo immagi-nario e disincarnato, l’uomo-Dio che inve-ce s’incarna e lascia al mondo e alla sto-ria, sulla scia dei vangeli e degli apostoli,il compito di adorarlo o di interpretarlo,per demonizzare, esorcizzare nel più com-pleto tradimento di ogni laicità un’inter-pretazione diversa dalla sua.

Non ho mai scritto e non penso che Ge-sù, come lei mi fa di-re fraudolentemente,si assoggetta al Gran-de Inquisitore con ilsuo silenzio e il suobacio. In quei gesti èla evidente consegnadell’Unto del Signoreal mistero della fede,all’amore destituitodi storicità, allo spiri-to sovrannaturaledella luce da luce.Resti pure nella suaignoranza e nella suamalalettura di ciò

che scrivono gli altri, gentile Spinelli,però metta giù le mani da ciò che non ca-pisce o che finge di non capire. Il GrandeInquisitore è uomo di Dio e della storia,dunque anche del diavolo, non semplifica-bile dagli stolti, questo è poi il senso dellibro di Cassano, e ha qualcosa da dirci sucome ci si debba comportare nella catto-licità, così diversa dal mondo fatuo di Li-bertà & giustizia; ma Gesù Cristo, ancheper chi non sia un fedele cattolico, va tol-to dal bailamme insensato dei nostri scon-tri civili e settari, non è un suo compagnodi cordata, nonostante Tettamanzi, nellalotta per De Benedetti e controBerlusconi.

ROMANZO PURITANOBarbara Spinelli nega il libero esame di Dostoevskij e della leggenda

del Grande Inquisitore. E quando arruola Gesù come compagno di cordata giustizialista scivola nell’insensatezza. Meglio il diavolo

Berlusconi non stamarciando su Roma, comedite con improntitudine,alcuni di voi invocando ungolpe con l’assistenza dicarabinieri e polizia: siete voiche da diciassette anni statemarciando su Berlusconi

SILVIO BERLUSCONI RAÙL CASTRO

Questo numero è stato chiuso in redazione alle 21

COMBATTERE SENZA ROVINARSI. Ideeper evitare che la giusta battaglia del Cav.si trasformi in una barzelletta politica.

GENTILE PRESIDENTE NAPOLITANO,tutte le indecenze valgono le sue esterna-zioni (articoli negli inserti I e II)

Page 2: IL FOGLIO - GariwoIl film tratto dal megaromanzo di Ayn Rand, “La rivolta di Atlante”, è un disastro, dicono impietosi i recensori. Le aspettative erano alte: l’opera, uscita

ANNO XVI NUMERO 93 - PAG 2 IL FOGLIO QUOTIDIANO MERCOLEDÌ 20 APRILE 2011

Molti tituliUna biografia di Marianini, unamusica che racconta una vita,

l’ultima sposa di Palmira

“Marianini, Gian Luigi”, di Bruno Venta-voli (Gaffi, 111 pp., 10 euro)

Chi sia abbastanza attempato da ricorda-re i primordi della televisione in Italia, nonpuò aver dimenticato Gian Luigi Marianini,il trionfatore di “Lascia o raddoppia?” che,a metà degli anni Cinquanta, conquistò fa-ma e denaro come esperto di storia dellamoda e del costume. Presenza marcata-mente eccentrica (“futurista, dannunziano,pariniano, dandy e asceta”, lo descrive ilgiornalista Bruno Ventavoli in questa bio-grafia), il quarantenne torinese Marianinisarebbe diventato una maschera perfettaper quella “telecommedia umana” che fu ilprimo quiz presentato da Mike Bongiorno,seguito con passione da una nazione intera.Marianini arriva in tv con la sua fama di“tre volte dottore”. E’ poeta, filosofo e bonvivant, dopo essere stato un prete mancato(si definirà sempre “cattolico praticante eintegralista”, amante della messa in latinoe del canto gregoriano). Ha “i capelli corti,il viso illuminato da grandi occhiali chiari,la barbetta singolare rifinita da un barbie-re di fiducia che rasa anche i defunti”. So-prattutto, “mentre l’Italia s’affanna a su-darsi il boom, e tutti, dall’operaio in cate-na all’industrialotto che si solleva da sé,sgobbano come le api di Mandeville per ilbenessere della società, lui, spiritoso e bi-slacco, fa professione di sfaccendatagginecome un signore d’altri tempi”. La voce infalsetto, il gesticolare con mani affusolate,il parlar forbito, che riscopre termini auli-ci e desueti, fanno di Marianini il geometri-co opposto di tutto ciò che di popolar-seria-le comincia a essere attribuito alla tv. Bon-giorno e Marianini, il conduttore america-nizzante e il concorrente démodé, teoricodell’ozio come “forma etica dell’esistenza”,sono per questo del tutto complementari.Dopo l’avventura televisiva, il dandy più fa-moso d’Italia si presenterà nel 1960 alleamministrative con la lista “Il Marianini-smo”, movimento “di opinione pubblicaapartitico e interclassista”. L’ultima e lun-ga parte della sua vita (è morto nel 2009, ot-tantunenne) sarà dedicata alle attività re-ligiose e allo studio del satanismo, contro ilquale Marianini si sentì in perpetua lotta.Un templare fuori tempo massimo, cosìinattuale da essere attualissimo.

“Scrivimi”, di Elisabetta Rasy (nottetem-po, 37 pp., 3 euro)

“Scrivimi, / non tenermi più in pena. /Una frase, un rigo appena / calmeranno ilmio dolor”. Non sono mai citate, nel breveracconto di Elisabetta Rasy, le parole diquesto celeberrimo tango degli anni Tren-ta, a sua volta intitolato “Scrivimi”. Ma ri-suona, nella canzone e nel racconto, la stes-sa resa al sentimento di perdita amorosa.Tanto più assoluta, perché a viverla nasco-stamente è un compassato signore novan-tenne, Enrico. Massiccio e abitudinario exbancario, zio di colui che narra in primapersona, e che da quel parente così auste-ro ha avuto un affetto solido ma irrimedia-bilmente freddo, senza espansività. Il vec-chio signore dalla vita lineare e solitaria al-l’improvviso si ammala, e il suo male si ma-nifesta in un mutismo assoluto, in un pro-gressivo distanziarsi dal mondo. “I vecchisono come bambini”, si sente dire il nipote.Non è vero. Quel luogo comune ripetuto damedici e conoscenti non spiega nulla, maserve solo a consolare l’inquietudine di chinon sa più come comunicare con chi, fisica-mente presente, è diventato irraggiungibi-le. Il vecchio e morente Enrico non è né unbambino né un involucro vuoto. Ha avutouna vita, e in quella vita c’è stato un amo-re. C’è stata una moglie, Rosita, le cui trac-ce sono state cancellate con cura. Sparitaper sempre, partita, forse rimpianta, forsedimenticata. Unico reperto fossile di quel-la storia, un disco scricchiolante, per quan-te volte è stato percorso dalla puntina di undecrepito grammofono. “Scrivimi”, è il tito-lo del disco, musica di fisarmonica impa-stata di parole perdute. Una giovane ba-dante arrivata dal Cile, Isabel, nell’obbedi-re a un imperativo amoroso non meno im-placabile di quello che raggelò la gioventùe l’esistenza intera di Enrico, comprenderàtutto: “Dopo un po’ ho capito: le parole, leparole che voleva sentire, erano in questavecchia musica”. I solchi del disco restitui-scono all’infinito la vita perduta, l’occasio-ne mancata, ciò che poteva essere e non fu.

“L’ultima sposa di Palmira”, di GiuseppeLupo (Marsilio, 174 pp., 18 euro)

21 ottobre 1980: terremoto in Campaniae Basilicata. La dottoressa Pettalunga, an-tropologa nata a Milano ma figlia di un lu-cano e di una veneta, scrive libri a partiredalle registrazioni sul campo nei luoghi deigrandi disastri. “Una che si interessa deipopoli, se vuole conoscerli deve comincia-re da chi ha perso la casa o piange un pa-rente sotto le macerie”. E arriva a Palmi-ra, piccolo centro dell’Appennino mai re-gistrato sulle carte geografiche. Quellastranezza non è l’unica. Tra le abitazioni di-strutte, è rimasta in piedi una falegname-ria, dove il vecchio mastro Gerusalemmelavora senza soste a completare il mobilioper Rosa Consilio: “L’ultima sposa del pae-se”. Nelle ante di quei mobili sono scolpi-te le storie e le leggende del paese, fin daquando il Patriarca Maggiore non venne acostruirlo. E un po’ per volta quelle vicen-de riprendono vita, i fantasmi si animano,e il sogno diventa indistinguibile dallarealtà. Fino a ricostruire un lungo mito difondazione chiaramente ispirato al reali-smo magico dei “Cent’anni di solitudine” diGabriel García Márquez. Ma coi terremotial posto degli uragani; nelle terre di Erne-sto De Martino; all’epoca in cui GiuseppeZamberletti inventava la Protezione civileitaliana, e costruendo una serie di ritrattiche rimanda anche all’Antologia di SpoonRiver di Edgar Lee Masters. Alla fine, in-vece di una piantagione di banane resteràun centro commerciale.

Con buona pace del vaticanista Izzo, deiPapaboys, del sito Pontifex e di tutti

quelli che seguitano a sbraitare sull’anticle-ricalismo di “Habemus Papam”, è statochiarito ad abundantiam che il film di Mo-retti anticlericale non lo è neanche un po’.E anzi, l’uomo appena può si circonda di to-nache o se ne infila una a testimoniare cheun intellettuale vero in questo paese nonpuò esimersi dal fare i conti con quell’im-mane narrazione, anche quando, più o me-no dolentemente, non può non dirsi mate-rialista e ateo. Del resto è lo stesso Morettiad autorizzare la proiezione di qualsiasi os-sessione sul suo film – compreso il sintomodella minaccia anticlericale – in un gioco ditransfert che è l’unico vero passepartoutper accedere a questa formidabile comme-dia-tragedia. Il tòpos è quel pazzesco settinganalitico che segue al Conclave al buio e al-la fuga disperata del Papa: lui, il terapeuta

e tutt’intorno i porporati. I due codici –quello di Spirito e quello di Psiche – che en-trano in rotta di collisione. La coppia tera-peutica (quel tra-uomini che aveva funzio-nato tra Giorgio VI e il suo logopedista in “Ildiscorso del re”, altro film sull’insostenibi-lità del potere) che qui resta inefficace. Nonavrò mai la certezza che con “Habemus Pa-pam” Nanni Moretti intendesse parlare del-la fine del patriarcato: qui forse il sintomoè il mio. Ma a me pare che l’abbia fatto, of-frendo alla mensa il suo corpo e la sua psi-che, soggetto-oggetto del suo stesso setting,avventurandosi con coraggio senza la cer-tezza di un approdo e rischiando la deriva.Ha ascoltato se stesso. E’ stato autocoscien-te, come diremmo noi donne.

Il Conclave diventa una selva oscura. Ilbaco della paura, sentimento fondativo, mi-naccia perfino la sommità del monumenta-le ordine simbolico maschile: “Non io, ti

prego, Signore…”. La parata virile, qui alsuo massimo sfarzo, non tiene più. Scansan-do il potere più grande, appena un gradi-no sotto Dio, lo stupendo Papa Melville por-ta a termine il lavoro cominciato da unoscuro Mr. Lester Burnham, antieroe di“American Beauty”, che aveva scelto di an-dare a cuocere hamburger in cambio dellaminor responsabilità possibile. Così comela fatua moglie dello psy (Margherita Buy)a sua volta analista e incapace di tenere abada i bambini, è parente stretta della mo-glie emancipata di Burnham, tossica di sol-di e successo. “Venti o trent’anni fa non misarebbe venuto in mente un film del gene-re”, dice Moretti. Nel film il portavoce va-ticano usa le stesse parole: “Nessuno hamai immaginato che potesse capitare unacosa del genere”. E invece sta capitando. Ilmaschio che non sa più raccontare se stes-so e il suo posto nel mondo nella lingua del

potere e del dominio, che non crede più inquesto espediente, sfugge a questa condan-na, non dispone più della testosteronica in-coscienza che gli serviva a fare il suo bal-danzoso passo avanti (“Non riesco più a fa-re niente, sono sempre stanco”, dice il Pa-pa), pur non avendo la minima idea di checosa troverà facendo il passo indietro ver-so cui è sospinto. Forse quel gioco umanis-simo e infantile (la pallavolo), la bellezza(Cechov), lo smarrimento (l’attore pazzo): iltimeout necessario a ritrovare la propriaverità e il proprio compito, come quel Papaa zonzo per le strade di Roma.

“C’è bisogno di una risposta nuova”, dicealla fine il Papa, sottraendosi al Soglio. C’èbisogno di grande coraggio per lasciarevuoto quel balcone, e anche per contem-plarlo. Non avremo il Papa, ma abbiamo gliindizi del nuovo vir.

Marina Terragni

Non habemus Papam, ma finalmente gli indizi di un nuovo “vir”

Roma. La proposta di legge con cui il se-natore Luigi Compagna (Pdl) intende met-tere ordine nel concorso esterno in associa-zione mafiosa potrebbe piacere ai garanti-sti di sinistra. A conti fatti non è che la ri-proposizione, con qualche accorgimento, diuna proposta presentata il 14 giugno del2001, da banchi molto a sinistra. L’iniziati-va era firmata da Giuliano Pisapia, alloradeputato di Rifondazione comunista e oggicandidato sindaco al comune di Milano.

C’era di mezzo una stortura dal piglio ne-fasto, come spiegava Pisapia: “Si è di fatto‘creata’ una nuova figura di reato, non pre-vista da alcuna norma di legge, quella di‘concorso esterno in associazione mafiosa’,in contrasto con il principio di tassativitàdella norma penale, che è uno dei cardinidello stato di diritto”. A suon di sentenzesi era creato un reato che, non essendo an-corato a una precisa normativa penale, po-teva essere applicato con un’elasticità pro-

digiosa, a discrezione esclusiva del giudice.Si era arrivati persino a colpire chi avevaagevolato la mafia indirettamente, senzasaperlo: “Ciò ha determinato – diceva Pisa-pia – la contestazione del concorso esternoin associazione mafiosa nei confronti dimedici responsabili di aver curato perso-ne successivamente ritenute partecipi aun’associazione mafiosa; di sacerdoti peraver prestato assistenza spirituale alle me-desime persone e, addirittura, nei confron-ti di vittime di estorsioni”. A chi viene con-dannato, inoltre, si riserva la stessa pena dichi è mafioso a pieno titolo. Non si può ac-cettare che i giudici “svolgano una funzio-ne paralegislativa”, diceva Pisapia, cheproponeva: integriamo il reato di favoreg-giamento con una nuova fattispecie, quel-la per chi aiuta i mafiosi. Così daremo unanorma certa e “eviteremo arresti ingiusti-ficati e ingiuste impunità”.

Non se n’è fatto niente e il problema è

rimasto “come il vero convitato di pietradella nostra storia recente”, dice Compa-gna che, da garantista di scuola liberale, hadeciso di riproporre l’iniziativa di Pisapia.Compagna ha variato leggermente le penerispetto a quelle riservate ai mafiosi (ab-bassando il massimale da sei a quattro an-ni di reclusione) e ha spostato l’articolo 418del codice penale (assistenza agli associa-ti), che ora è accorpato al favoreggiamento(come terzo comma). Ad essere precisi, ol-tre a ricollocarlo l’ha pure aggravato, to-gliendo la parte in cui si rendeva impunibi-le chi aiuta un parente mafioso: “Altrimen-ti è facile dirigere dove si vuole le testimo-nianze dei familiari, con la scusa che nonsono punibili”, dice Compagna, riprenden-do esempi dalla storia di quella che, citan-do il procuratore Gian Carlo Caselli, defini-sce la “gestione dinamica del pentitismo”.

Per Compagna il reato di concorso ester-no in associazione mafiosa “è un’aberrazio-

ne: si puniscono le condotte associativesenza che vi sia l’esecuzione di un program-ma criminoso o la partecipazione effettivaal sodalizio mafioso”. E l’abbandonoall’“arbitrio della giurisdizione sta portan-do a interpretazioni e a processi semprepiù aberranti”. Per questo, riprendendo Pi-sapia, Compagna vuole definire con preci-sione la fattispecie del reato o, “se possibi-le, svelenirlo; qualora si trovi un sistemaper eliminarlo, sarò contento di farlo”.

I critici obiettano che la sua soluzionepotrebbe influire sui processi a MarcelloDell’Utri e Nicola Cosentino. “Avrà qual-che effetto, ma non posso accettare la cri-tica per cui se una cosa giova a Cosentinoo a Dell’Utri allora è sbagliata”, replicaCompagna, che assicura di avere tenuto idue all’oscuro della sua iniziativa: “Noncerco favori da nessuno, ma mi sono mos-so perché non mi piacciono le macellerie”.

Marco Pedersini

Toh, la proposta Pdl sul concorso esterno alla mafia era un’idea di Pisapia

La vocalist americana Dee Dee Brid-gewater si autodefinisce musicista-can-

tante per sottolineare la sua capacità di di-rigere con disinvoltura tanto un trio quan-to una grande orchestra e di comporre temipregevoli. Viene da Memphis, Tennessee;per l’anagrafe si chiama Denise Eileen edè figlia del trombettista Matthew Garrett.Con lui debutta a sedici anni mentre fre-quenta la high school. In Italia approdanell’estate 1973 come cantante della bigband di Thad Jones e Mel Lewis che parte-cipa alla prima edizione di Umbria Jazz.L’orchestra tiene due concerti. Dee Dee, giàsposata al secondo trombettista dell’orche-stra, Cecil Bridgewater, è una splendidadonna di 23 anni. Gli esperti capiscono su-bito di avere di fronte un nuovo “animaleda palcoscenico”. Ha una bella voce in gra-do di oscillare senza problemi da sonoritàdolci e leggere a esclamazioni improvvise epotenti e di dare il giusto pathos ai branidi blues. Sulla scena si muove come a casapropria, senza mostrare alcuna emozionedi fronte alla folla del festival. “E’ nata unastella”, scrivono i quotidiani. Ma Dee Dee

non è una cantante soltanto di jazz. In se-guito collabora con Max Roach, Dizzy Gille-spie, Sonny Rollins, Dexter Gordon, ma agliappassionati “puri” della musica afro-ame-ricana infligge dispiaceri non da poco in-terpretando anche canzoni commerciali esoprattutto partecipando a quattro edizioniconsecutive del Festival di Sanremo, otte-nendo per tre volte risultati eccellenti. Nel1989 è ospite d’onore insieme con RayCharles e canta con lui “Till The Next So-mewhere”; nel 1990 addirittura vince il Fe-stival con i Pooh (“Angel Of The Night”) enel 1991 si qualifica terza con Marco Masi-ni (“Just Tell Me Why”). Ma continua a con-siderare il jazz la sua vera musica, e natu-ralmente la notorietà altrimenti consegui-ta la favorisce: i suoi dischi più impegnatisono apprezzati e si vendono. Uno, “Live inParis” (1987) è lanciato sul mercato in Ita-lia dall’etichetta Gala di Luciano Linzi, poici pensa la Verve e oggi la Emarcy. Nel frat-tempo Dee Dee si trasferisce a Parigi e la-scia il marito conservandone il cognome.Diventa pure attrice di commedie musica-li interpretando “The Wiz” per la quale ot-

tiene un Tony Award, e poi “SophisticatedLadies” e soprattutto “Lady Day” (1987-88)dedicato a Billie Holiday. A questo puntoDee Dee si propone come erede di alcunegrandi voci del passato, in special modo diHoliday, ma anche di Ella Fitzgerald (si ri-cordi il cd “Dear Ella”, 1997) e, con minoresuccesso, di Josephine Baker (cd “J’ai DeuxAmours”, 2005). In Italia ritorna a larghi in-tervalli: a Milano nel 1997 e due partecipa-zioni al festival estivo di Fano, nel 1999 enel 2006. Due settimane fa Dee Dee parte-cipa per la prima volta, festeggiatissima, auna tre giorni tutta per lei al club Blue No-te di Milano. Il Blue Note ha iniziato l’atti-vità nel marzo 2003 e festeggia sempre ilsuo compleanno attribuendo un premio aqualche personalità del jazz internaziona-le: questa volta tocca a Dee Dee. C’è uncd/dvd a suo nome intitolato “Eleanora Fa-gan: To Billie With Love From Dee DeeBridgewater”, ancora fresco di stampa, sulquale Dee Dee decide di impostare i suoiconcerti nel club milanese, dov’è accompa-gnata dalla Montecarlo Nights Orchestradiretta da Gabriele Comeglio. Al contrario

di altri cantanti pensosi della propria voceche si cimentano con un solo set ogni sera,Dee Dee annuncia di farne due e quindi iconcerti sono sei. Canta brani scritti o fre-quentati da Billie Holiday come “LadySings The Blues”, “Good Morning Hearta-che”, “Lover Man”, ma anche altri come“Lady Be Good” e “Cotton Tail”. Come sem-pre lei ruba la scena, parla col pubblico,annuncia i brani e si sostituisce ogni tantoa Comeglio nella direzione, e come sempretutto fila liscio. C’è il tempo per un brevecolloquio che accetta volentieri. Glissa sullook adottato da qualche anno (ha i capel-li rapati a zero, forse per dissimulare qual-che ciuffo bianco) ma annuisce se le si di-ce che qualsiasi donna vorrebbe varcare lasessantina con il suo fisico eccetera. Tienea far sapere di avere interpretato “Car-men” di Georges Bizet e che forse ci pro-verà con un’altra opera in omaggio a un al-tro suo idolo, Maria Callas. Ha un solo rim-pianto: non aver cantato con Miles Davis.“Avevo la sua promessa, ma se n’è andatoprima di mantenerla. Peccato”.

Franco Fayenz

Musicista e cantante fuori dal comune, Dee Dee non si ferma più

Il piccolo festival di Lu-go ha la lodevole abitu-

dine di presentare, ognianno, un’opera di raro

ascolto, o persino sottratta

agli archivi della memoria. Abbiamo cosìascoltato cose rarissime, e financo prezio-se, da Mercadante a Milhaud, e una listacompleta presenterebbe numeri assai si-gnificativi.

Ecco ora una serata dedicata a JacquesOffenbach, con due operine o più esatta-mente opéra bouffes: Monsieur Choufleuryrestera chez lui le…, capolavoro di taglien-te ironia (a spese proprio dell’opera all’i-taliana; e un esile lavoro comico) senti-mentale, risalente al luminoso esordio delcompositore impariginato, come allora sidiceva; e realmente degnissimo d’essereriproposto all’inesauribile curiosità degliopera-goers, che in Romagna – il teatro, gra-ziosissimo, è dedicato al quasi concittadi-no Rossini – sono particolarmente nume-

rosi, sì da esaurire i posti, in una cittadi-na di poche migliaia d’abitanti.

L’operina più esile si chiama, abbastan-za enigmaticamente per un pubblico ita-liano, Pomme d’api: una sorta di mela, concui viene chiamata una furba servetta con-tesa da zio e nipote. Entrambi, s’intende,sono accaniti coureurs de femmes, anche senel giovane prevale, infine, un sentimen-talismo assai più cattivante, se non pro-prio convincente affatto.

Composta nel 1873, quando l’atroce epi-sodio della Commune è appena finito, an-che se non molti sembrano renderseneconto, la vicenda mostra un’allegria e, atratti, una amabilità melodica invero ac-cattivante e ben più impegnativa. Il truc-co di rappresentare la grande vocalità diquell’epoca aurea (Sonntag, Rubini…, fi-guriamoci) funziona benissimo, perché lacoppia di amanti conosce ogni astuzia. Glisciocchi invitati sono dei finti connais-seurs solamente smaniosi di essere reçus,sì che nemmeno s’accorgono di veniretruffati, e restano soddisfatti, come si de-

siderava; tutti contenti, dunque, e un ma-trimonio in vista.

La storiella non sarebbe particolarmen-te stuzzicante, se lo straordinario Offenba-ch non profittasse dell’occasione per for-nirci un esempio, invero memorabile, dipastiche; un à la manière de Bellini, che di-mostra una competenza stilistica sempli-cemente sbalorditiva. Non si tratta di unrifacimento generico: ciò che viene presodi mira è, in un momento che vorremmodire sublime, proprio lo stile di un’Arca-dia felice: quella della Sonnambula, perintenderci: capolavoro di esatta astuzia,quasi da strapparci le lacrime, se non sa-pessimo che nessuna Amina, nessuna El-vira saranno sottoposte alla tortura di ungentile mal d’amore.

L’entusiasmo che manifestano gli ascol-tatori è autentico, anche se senza oggetto:il ricevimento finisce dunque in un frago-roso “Tutti”, ove il musicista sfoggia la suabravura nell’arte non facilissima del fra-casso a tutti i costi: meno noto di tanti la-vori famosi (La belle Hélène, Orfée aux En-

fers, La grande Duchesse de Gérolstein, La pe-richole…) addirittura li supera, a tratti:stante l’indiscutibile superiorità della sa-tira (di costume, per di più) sulla farsa eil riso sfrontato. Una gioia assoluta, che èanche una intrepida lezione di stile. Of-fenbach arriva persino a nominare Verdi,ma purtroppo senza rifargli il verso. Non èdetto che le cosucce più tarde non ne mo-strino una traccia altrettanto sicura.

Parrà incredibile, ma i due numeri so-no stati cantati (e recitati!) in francese:non sarà stato quello dell’Accademia, manemmeno l’altro delle Halles, che Offen-bach ha reso, nell’operetta, immortale.Un gruppo di ragazzi vispissimi ha fattoonore alla sua scuola di apprendistato, eal testo irresistibile. Dirigeva GiacomoSagripanti, cui vorremmo consigliare so-norità meno reboanti. I cantanti sembra-rono smentire la vecchia diceria di unainnata incapacità alla recitazione: sem-bravano pronti per affrontare, come i lo-ro colleghi, Borges e Pinter.

Mario Bortolotto

Lugo stregata dalla Mela di Offenbach, gioia assoluta e lezione di stile

Roma. “Santo Padre, sono passati dueanni da quando la vita di mio figlio Fran-cesco si è fermata. Era il 12 aprile, la Pa-squa del 2009, e Francesco, da tempo soffe-rente di sclerosi multipla, rimase vittima diun blocco della digestione che lo ridusse incoma vegetativo. Da allora è ricoverato al-l’ospedale della Fondazione Raimondi diGorla Minore (Varese). L’anima di France-sco ha già abbandonato il suo corpo o è an-cora accanto a lui, malgrado la sua condi-zione di incoscienza?”. E’ una delle doman-de alle quali Benedetto XVI ha deciso di ri-spondere nelle scorse ore, durante la regi-strazione, che andrà in onda il VenerdìSanto su Raiuno, della trasmissione “A Suaimmagine” condotta da Rosario Carello.

Ratzinger ha risposto dalla sua biblioteca.Decine di domande sono arrivate nella re-dazione del programma Rai. Il Papa ne hascelte sei. Le domande sono state registra-te direttamente dagli spettatori. Ratzingerha risposto dopo averle viste in un monitor.Tra le sei, quella dei genitori di FrancescoGrillo. La sua vicenda è molto simile aquella di Eluana Englaro. “L’anima” avreb-be risposto il Pontefice “avverte bene il ca-lore e la presenza di chi gli sta attorno”.Perché pur in uno stato di apparente inco-scienza l’anima è viva, sente e percepisce ilmondo intorno a lei. E’ quanto ha sempresostenuto la chiesa. Più volte quando lasentenza su Eluana ancora non era statapronunciata, monsignor Elio Sgreccia, che

allora guidava la Pontificia accademia perla vita, disse: “Chi vive in uno stato vegeta-tivo permanente interagisce a modo suo colmondo esterno. E’ innegabile. Chi può giu-dicare che la vita di queste persone non siavita?”.

Un’altra domanda ha attirato l’attenzio-ne del Pontefice. Quella relativa alle cata-strofi naturali. Secondo alcuni per la dottri-na cattolica le catastrofi sono un castigo di

Dio. Ratzinger non elude il problema, marispondendo a una domanda di una bimbadi sette anni che era in Giappone duranteil recente maremoto spiega, smentendo chidice il contrario, che “non si tratta di casti-go”. Il tema principale è comunque uno:Gesù. L’idea della trasmissione, infatti, ènata da ciò che il Papa scrive nei suoi libridedicati a Gesù di Nazaret. Scrive Benedet-to XVI: “Gesù dobbiamo conoscerlo meglioperché, se non lo conosciamo, non possia-mo amarlo”. E’ la prima volta che un Paparisponde in tv a delle domande. Prima Rat-zinger aveva soltanto partecipato, semprein Rai, a una lettura in tv della Bibbia.

Paolo Rodariwww.ilfoglio.it/palazzoapostolico

Dov’è l’anima di mio figlio? Per la prima volta il Papa risponde in tv

San Cetteo, con SanGiustino non c’è propriogara. Ho dato una scorsa alle vostre vi-te: lui tante chiacchiere, tu vari miraco-li. Chissà perché mi sono venuti in men-te i rispettivi campioni cittadini, LucaDe Meo della tua Pescara e Sergio Mar-chionne della sua Chieti. De Meo ha in-ventato l’unica automobile italiana chenon ci si debba vergognare di guidare,la 500, e facendo macchine belle mica èdiventato capo della Fiat (a Torino nonhanno tempo da perdere con gli esteti,preferiscono chi si impegna strenua-mente a ridurre le pause pipì), è diven-tato prima un disoccupato di lusso e poiun dirigente Volkswagen (azienda piùinteressata a conquistare quote di mer-cato che a torturare prostate operaie).In Germania, da esule, ha ridisegnato laBeetle oggi protagonista al salone diShanghai. Bella. Bellissima. Magneticafusione di anni Trenta e Terzo millen-nio. Tanto per ribadire l’abisso tra unpescarese elegante e un chietino colmaglione.

PREGHIERAdi Camillo Langone

Quando la nave scricchio-la, la corsa allo sbarco diventa uno sportitaliano da medaglia d’oro olimpica.Succede sempre e ai cronisti anziani ac-cade certamente di ripetersi. Non ci so-no parole per le dichiarazioni di Stefa-nia Craxi contro Silvio Berlusconi. Il pri-mo cerchio della ormai setta segreta de-gli ex Psi commenta con aggettivi nontrascrivibili. Il più leggero è “allucinan-te”. I più dietrologici alludono a un pat-to con Giulio Tremonti che la sottosegre-taria agli Esteri avrebbe siglato già mol-to tempo fa assieme ad altri ex, patto cheper sua natura andava tenuto top secrete che adesso sarà eventualmente ogget-to di lazzi e frizzi. Altri raccontano unpochino scandalizzati vicende di produ-zioni tv in cui il presidente del Consigliorinnegato sarebbe stato più che genero-so in compravendite milionarie, ma quisi va su un terreno scivoloso che risalead accordi tra il Cav. e il defunto padre.Meglio evitare di farlo rivoltare ancoraun po’ nella sua ultima dimora (dove eglideve avere imparato postumo l’hulahoop, non solo a causa dei due eredi).Bettino Craxi sperava di tenere i figlilontani dalla politica. Forse ha sbaglia-to, ma lo fece per amore, non per trascu-ratezza e tantomeno per vivere in pacele sue complessità affettive. Era unapreoccupazione umana, da padre chetentava di proteggerli. Nelle sue molte-plici vite, quella milanese – dedicata in-teramente alla famiglia, l’unica che maiebbe (mi diceva spesso, sincero: “la fa-miglia e la moglie si scelgono una voltae per sempre”, giudicando malissimo lereiterazioni coniugali dei suoi fedelissi-mi) – era la più dolce, la più rilassante.Chitarra, trattorie, cantanti, amici, fine-settimana dai Caselli-Sugar in Brianza:i ragazzi conoscevano bene quel Bettinolì. E lui voleva essere per loro un fratel-lo maggiore, smarcato da Roma e daisuoi veleni, un settentrionale come tan-ti, con la valigia pronta. La vita cittadina,da zingaro un po’ disordinato, era un’e-sistenza fuori sede. Al punto di abitarein albergo, in una soffitta che oggi è unosplendido ristorante ma ai tempi delcraxismo somigliava a uno studio france-se per l’intellettuale che magari l’inqui-lino aveva sognato di essere. Tavoliriempiti di libri e di cibarie, riviste perterra, letti sfatti e ciabattone in giro.Una volta salì sulla terrazza del superat-tico del Raphael (sono in disaccordo conil geniale Filippo Ceccarelli, che l’ha de-scritta come un lusso. Oggi in un postocosì non abiterebbe neppure l’assisten-te della Polverini…) il fratello Antonio,discepolo di un guru indiano. In fretta efuria, il leader del Psi cercò di metterea posto. Spesso lo faceva personalmente,per evitare che il personale gli buttassecarte segrete e cimeli per lui fondamen-tali. Gli sfuggì un mezzo cocomero sman-giucchiato infilzato di cicche al mentolo,per dire del caos che lo circondava e cheil fratello asceta rimproverò con sguar-di eloquenti.

I figli no, loro non dovevano parteci-pare alle zingarate romane. Si era scel-to degli apostoli, tutti maschi, che gli fa-cevano un po’ famiglia. Da Claudio Mar-telli, il primo, a Luca Josi, l’ultimo. Tan-ti sono stati i famigli, fra vari giuda e tan-ti cristi sacrificati, fino all’amico-colle-zionista infermiere Cornelio Brandini(unico a seguirlo in tutte le vite, sempre)e al fotografo Umberto Cicconi, con l’au-tista Nicola Manzi fra i pochissimi ad ac-compagnarlo fino alla tomba tunisina.

Un giorno gli amici più cari e la vedo-va Anna forse parleranno del suo verorapporto con Silvio Berlusconi, ancoratutto da raccontare. Qualcosa ricordo manon è certo questa la sede per spettego-lare. Una cosa però va sottolineata: neidifetti di Bettino non c’era la pugnalataa mezzo stampa. No, quella no. Magari tiaggrediva, con i suoi due metri di altez-za, ti chiamava urlando, ti mandava unmessaggero di guerra. Ma non avrebbemai scelto un settimanale femminile perlanciare anatemi o rinnegare qualcuno.Ghino di Tacco era un brigante, ma an-che i briganti hanno un onore.

L’OSSERVATRICEROMANA

di Barbara Palombelli

A giorni alterni arrivano i da-ti spettacolari sull’incremento

della quota Fiat nella Chrysler e sulcrollo della quota Fiat nelle vendite diauto in Europa. Il lettore profano sichiede come si spieghi un contrasto co-sì vistoso. Poi si chiede se l’un anda-mento non spieghi l’altro.

PICCOLA POSTAdi Adriano Sofri

“Dobbiamo osare la speranza”.Nichi Vendola, 18 aprile 2011

NICHI, MA CHE STAI A DI’?www.ilfoglio.it/cerazade

CORRISPONDENZE

Alcune reazioni alla pro-posta avanzata dal piccolo

principe di chiudere la fa-coltà di Scienze della comu-nicazione.

1) Scienziato della comunicazione pen-tito condivide necessità chiusura Scienzedella comunicazione e aderisce appello.

Confida raccolta numerose firme e re-perimento di ambasciatrice più intelligen-te che bella.

Carlo Melina (Roma)

2) Sono una laureata in Scienze della co-municazione, orgogliosa del mio percorsouniversitario, nonostante i numerosi in-toppi che però appartengono all’intero si-stema universitario italiano.

Personalmente, ho frequentato questa

facoltà in due Atenei differenti e ho sem-pre incontrato docenti preparati, proposi-tivi e intelligenti, e i miei colleghi – a par-te qualche eccezione – sono sempre statiragazzi in gamba, che hanno saputo co-struirsi un futuro in un settore così saturoe in un periodo storico poco felice.

Leggere il suo post mi ha lasciata stupe-fatta, perché la prima cosa che ho impara-to – e non soltanto all’università – è che ungiornalista dovrebbe essere obiettivo e at-

tenersi alle fonti. Quindi, i casi sono due:o le fonti che ha incontrato sono poco at-tendibili, o lei non è un giornalista ma unmero opinionista. E a questo punto, po-trebbe liberare il suo posto, per lasciarespazio a noi mocciosetti.

Ps: Sono sicura che se facessi partireuna campagna per la chiusura del giorna-le per cui scrive, prenderei più firme di leinella metà del tempo.

Angela Iannone

Il piccolo principedi Pierluigi Diaco

Page 3: IL FOGLIO - GariwoIl film tratto dal megaromanzo di Ayn Rand, “La rivolta di Atlante”, è un disastro, dicono impietosi i recensori. Le aspettative erano alte: l’opera, uscita

ANNO XVI NUMERO 93 - PAG 3 IL FOGLIO QUOTIDIANO MERCOLEDÌ 20 APRILE 2011

Roma. Il leader dei ribelli libici, Mustafa Abdel Jalil, haribadito la richiesta di “maggiori aiuti” per il suo Consigliodi transizione durante la sua visita di ieri a Roma . I ribel-li fanno pressing sulla comunità internazionale ormai dasettimane, e la loro domanda di fondi e armi ha già porta-to a diverse concessioni. Per la prima volta ieri hanno an-che chiesto l’invio di truppe occidentali. Il ministro degliEsteri italiano, Franco Frattini, ha dichiarato la possibi-lità di fornire ai ribelli “radar e tecnologia in grado dibloccare gli apparati di comunicazioni” – anche francesie britannici hanno fatto sapere che manderanno a Benga-si personale militare per dirigere le operazioni contro letruppe del rais di Tripoli, Muammar Gheddafi. Ma l’armapiù importante è il denaro, di cui i ribelli hanno sempremeno disponibilità – stando alle dichiarazioni ufficiali.Per paura di restare senza liquidità, il Consiglio di tran-sizione ha istituito una banca nelle prime settimane delconflitto, strappando il ramo di Bengasi all’istituto centra-le di Tripoli.

La Banca centrale è di primaria importanza in Libia, unpaese che cade sotto la denominazione di rentier state (initaliano “stato affittuario”). La sua economia dipende perla maggior parte dalle risorse naturali presenti sul terri-

torio, come petrolio e metano, e non dai profitti generatidall’economia reale. Questa caratteristica rende la Bancacentrale il perno dell’economia: lì confluiscono i proventipetroliferi e gli investimenti stranieri, una condizione chetrasforma l’istituto nello strumento di controllo della po-litica interna. Gheddafi lo sa bene, e per custodire le for-tune del regime ha sempre scelto uomini che godevanodella sua massima fiducia. Quando, una settimana dopo larivolta della Cirenaica, Farhat Omar Bengdara, allora go-vernatore, è scomparso, negli alti ranghi del regime è scop-piato il panico. E’ girata voce che Bengdara fosse andato inSvizzera – anche se nessuno sapeva spiegare per quali ra-gioni – e i più cinici prevedevano il voltagabbana di Beg-dara, che è nato a Bengasi. “L’ex governatore ha colto l’oc-casione per sparire, ha aspettato che gli eventi prendes-sero una piega precisa e si è poi schierato con il possibilevincitore dello scontro”, dice al Foglio Arturo Varvelli, unricercatore dell’Ispi e autore del libro “L’Italia e l’ascesadi Gheddafi” (Baldini Castoldi Dalai, 2009). Le ultime no-tizie, rigorosamente non ufficiali, dicono che Begdara hatrovato rifugio a Istanbul.

E’ nei giorni di panico a Tripoli che i ribelli hanno an-nunciato la nascita della nuova Banca centrale “in un tem-

po da record”, come ha evidenziato Robert Wenzel dell’E-conomic policy journal. I tempi dell’operazione sono il se-gno che la guerra libica si gioca anche sul fronte della fi-nanza: la decisione “segue il desiderio di creare veloce-mente una legittimità internazionale che permetta ai ribel-li di essere considerati interlocutori credibili per la vendi-ta del petrolio”, dice Wenzel. Al momento, secondo i ribel-li, i proventi delle prime vendite di petrolio al Qatar sonocongelate in un fondo creato dal governo di Doha e dal Con-siglio di transizione. Allo stesso tempo, il governo di Ben-gasi ha fatto sapere che “i soldi del petrolio serviranno acomprare cibo, medicine e armi”. Queste dichiarazioni sol-levano alcuni dubbi sul reale bisogno di liquidi dei ribel-li, ma la comunità internazionale sembra sempre più pro-pensa a una linea di fiducia verso i ribelli. Ieri, durante l’in-contro con Jalil, Frattini ha dichiarato che sarà organizza-ta una conferenza tra paesi occidentali e mediorientali, datenersi a Roma il 2 maggio, per trovare una soluzione allacrisi. Le promesse della comunità internazionale sembranoaver calmato, almeno per il momento, le richieste dei ri-belli. Jalil ha ribadito che “rispetterà gli accordi interna-zionali in materia di energia”, un’implicita rassicurazioneall’Italia, il maggiore partner commerciale della Libia.

Roma. I capitalisti sono preoccupati per la robusta ma-novra che il governo dovrà varare nei prossimi anni percentrare l’obiettivo del pareggio di bilancio entro il 2014 inuno scenario di bassa crescita. S’incrina così, forse defini-tivamente, il lungo idillio che aveva caratterizzato la pre-sidenza confindustriale di Emma Marcegaglia con l’esecu-tivo e in particolare con la linea incarnata dal ministrodell’Economia, Giulio Tremonti. I vertici dell’associazio-ne di viale dell’Astronomia apprezzano il lavoro che stan-no svolgendo quei ministeri, come quello dell’Innovazio-ne retto da Renato Brunetta, per la semplificazione e lasburocratizzazione, anche in vista del decreto Sviluppo inarrivo, ma vorrebbero che ci fosse un più convinto coordi-namento governativo, anche del Tesoro, su liberalizzazio-ni e contro l’oppressione legislativa e fiscale evocata do-menica scorsa dal premier Silvio Berlusconi nel suo di-scorso a Milano in vista delle elezioni comunali.

Ieri il direttore generale di Confindustria, GiampaoloGalli, è stato ascoltato in un’audizione alle commissioniriunite Finanza e Bilancio delle Camere: a preoccupare gliindustriali, ha spiegato Galli, non è soltanto la mancatafrustata all’economia contenuta nel Programma naziona-le di riforme (Pnr) varato mercoledì scorso dal Consiglio

dei ministri insieme con il Documento di economia e fi-nanza (Def), i due documenti previsti dalla nuova sessio-ne europea di bilancio. Nel Pnr, secondo Galli, la strada“è deludente per quanto attiene alle azioni concrete da in-traprendere per la crescita e la competitività del sistema”.“Confindustria – ha aggiunto – si aspetta che tali azionivengano definite e rese rapidamente operative”. AncheRete Imprese Italia (l’associazione che raduna Casartigia-ni, Cna, Confartigianato, Confcommercio e Confesercenti)ha espresso perplessità sulle misure per la crescita: il se-gretario generale della Confartigianato, Cesare Fumagal-li, sentito anche lui ieri in Parlamento, ha detto di condi-videre l’obiettivo del tendenziale pareggio di bilancio peril 2014 ma ha sollevato riserve sul Def, che “non forniscequelle indicazioni che si configurerebbero come una scos-sa all’economia italiana”.

Ma quello che temono di più imprenditori e industrialiè il combinato disposto tra mancate riforme e la previsio-ne di un robusto provvedimento per il rientro dei contipubblici nel biennio 2013-2014, in uno scenario di cresci-ta asfittica, sfocerà in tagli esiziali alla spesa. In un quadrodi crescita di poco maggiore all’1 per cento del pil ciò sitradurrebbe in una Finanziaria da 39 miliardi di euro.

“Uno sforzo di gran lunga superiore a quello compiuto ne-gli anni Novanta per rispettare i parametri di Maastrichte partecipare fin dall’inizio alla moneta unica”, ha detto ie-ri l’economista Galli. E infatti si tratterebbe di una Finan-ziaria più alta di quella dell’estate scorsa (25 miliardi) estoricamente superiore a quella Ciampi del 1997 per entra-re nell’ruro (62.500 miliardi di lire), vicina per entità aquella “lacrime e sangue” di Giuliano Amato del 1993(90.000 miliardi di lire).

Galli ha ribadito ieri da una parte l’impossibilità di agi-re sul piano fiscale – “l’elevato livello di pressione fiscaleraggiunto (il 42,6 per cento nel 2010, tra i più alti nell’am-bito dei paesi europei) che impone di concentrare il risa-namento dal lato della spesa” – e dall’altra il rischio che“i tagli potrebbero rivelarsi difficili da sostenere e rischia-no di tradursi nel rinvio di spese necessarie o in forme oc-culte di debito pubblico (debito verso fornitori)”. Una roadmap, insomma, che rischia di risultare impraticabile pro-prio per le imprese. Le confederazioni degli imprendito-ri, che pure hanno sempre sostenuto la necessità di tene-re dritta la barra dei conti pubblici e il rigore del ministrodell’Economia, sono preoccupate anche da un’altra ricadu-ta, quella del taglio degli investimenti pubblici.

Perché per i ribelli libici è importante dire “abbiamo una banca”

La rivolta araba sconfina e contagia anche l’Azerbaigian

Gli industriali vogliono un Cav. liberista e poco flemmatico

Roma. Settanta persone sono state arre-state a Baku, la capitale dell’Azerbaigian,dopo una settimana di proteste contro ilpresidente della Repubblica, Ilham Aliyev.Fra loro ci sono tre giornalisti svedesi euna bambina di cinque anni, caricata suuna camionetta della polizia assieme allamadre mentre strillava per strada “libertà”e “dimissioni”. Un video con le immagini diquesto arresto è stato pubblicato sul sito in-ternet di Radio Liberty, uno dei pochinetwork stranieri che ancora hanno il per-messo di riprendere quanto accade nelpaese. I tre svedesi, My Rohwedder Street,Charlie Laprevote e Charlotta Wijkström diSveriges Television sono stati espulsi dal-l’Azerbaigian ieri: erano arrivati in cittàpochi giorni fa per un documentario sui di-ritti umani; secondo la polizia, non avevanocomunicato di essere giornalisti. La paro-la “libertà” sta diventando una specie diossessione per il regime di Aliyev. Il mini-

Caspio. L’Azerbaigian ha ottenuto l’indi-pendenza all’inizio degli anni Novanta, conil crollo dell’Unione Sovietica, e ha perdu-to una parte significativa del proprio terri-torio durante la guerra con i ribelli arme-ni del Nagorno Karabakh, che è terminatanel 1994 e ha fatto trentamila morti. Il pa-dre del presidente Aliyev, Heydar, ha rico-struito il paese grazie ai giacimenti di pe-trolio e di gas naturale scoperti a pochi chi-lometri dalla costa. Il piano più ambiziosoportato a termine da Heydar è la costruzio-ne dell’oleodotto che collega Baku allacittà turca di Ceyahn passando attraversoTbilisi, l’unico tubo in grado di rifornirel’Europa senza attraversare il territoriodella Russia. Questo progetto avrebbe po-tuto avvicinare l’Azerbaigian all’Europa,ma Ilham Aliyev, salito al potere nel 2003,subito dopo la morte del padre, non ha maiavviato le riforme che il paese s’aspetta.

La sua corte riceve accuse molto simili

a quelle che hanno costretto alla fuga l’expresidente egiziano Hosni Mubarak e il dit-tatore della Tunisia Ben Ali. In Azerbai-gian la corruzione è cronica, la povertà èdiffusa e l’economia del paese è concentra-ta nel clan del presidente. Il dissenso è ge-stito dalle forze di sicurezza, che nel 2010hanno arrestato e detenuto a lungo dueblogger popolari, Adnan Hajizada e EminMilli, colpevoli di aver criticato la censuraimposta ai media. Aliyev ha un curriculummolto simile a quello dei leader che sonogià caduti nel corso della primavera. Nonfanno eccezione i suoi rapporti con l’occi-dente, che lo tiene in gran conto per ridur-re la dipendenza energetica dalla Russia.Poche settimane fa, il presidente dellaCommissione europea, José Manuel Barro-so, è volato a Baku e ha firmato un accor-do definito “storico” sulla fornitura di gas.La storia recente dimostra che non bastaquello per salvare un regime.

stero dell’Interno ha schierato un gran nu-mero di uomini nelle piazze della città:hanno il compito di impedire le manifesta-zioni, ma si spingono ben oltre. Fermano einterrogano chiunque passeggi per stradascandendo quelle poche sillabe, che sonopercepite come una minaccia reale dagliapparati di sicurezza. E’ accaduto lo stessonel 2004, quando alcuni gruppi di opposi-zione provarono a trasformare Baku nelteatro di una nuova rivolta colorata: ancheallora il governo convinse i giovani dellacapitale che non avrebbe accettato alcunacritica dalla piazza – e lo fece con strumen-ti poco democratici.

Ora l’ispirazione arriva da sud, dall’Egit-to e dalla Tunisia, dalle piazze che sonoriuscite a rovesciare regimi ben più solidie violenti di quello azero. L’onda della rivo-luzione esce per la prima volta dai confinidel mondo arabo e investe questa piccolanazione ricca di petrolio affacciata sul Mar

Il dilemma greco fra salvataggio e ristrutturazione del debitoRoma. Più l’ipotesi viene smentita, più le

attese per una ristrutturazione del debitogreco aumentano. Così, mentre ieri la Com-missione europea era impegnata a sconfes-sare funzionari anonimi dell’Ue che aveva-no parlato alla stampa di un accordo alleporte per alleggerire gli oneri del debitore(leggi Atene) nei confronti dei creditori, irendimenti dei bond decennali del paeseraggiungevano il nuovo record dall’introdu-zione dell’euro (oltre il 14 per cento). Ementre il portavoce del governo guidato dalpremier socialista George Papandreou ri-badiva che “la ristrutturazione non è neinostri pensieri, non ci riguarda”, anche iltasso sui titoli di debito a scadenza trime-strale emessi ieri venivano collocati sulmercato con un rendimento del 4,1 per cen-to, più alto del 3,85 per cento offerto a feb-braio. Detto altrimenti, gli investitori esigo-no una ricompensa sempre maggiore incambio del rischio che si assumono acqui-

in considerazione l’ipotesi di rimandare lascadenza del pagamento da parte di Atene.I soldi del bailout, cioè, non andrebbero piùrestituiti nel 2013 – come da programma ori-ginario – ma almeno tre anni più tardi. E co-s’è questa, si chiedono gli analisti, se nonuna forma di “ristrutturazione” soft?

Il governo greco continua a negare, maovviamente è probabile che l’esecutivo diAtene sia stato il primo a valutare ipotesidi ristrutturazione. E’ vero infatti che nellungo periodo ci sarebbe da pagare unprezzo in termini di credibilità nei confron-ti dei mercati internazionali, ma chi può di-re che Atene non stia già pagando all’inter-no dei confini nazionali un prezzo politicoforse maggiore per applicare le manovrelacrime e sangue o anche solo per prospet-tare privatizzazioni drastiche del patrimo-nio pubblico? Per ora l’opposizione piùnetta a ogni ipotesi di ristrutturazione vie-ne dalla Banca centrale europea (Bce). An-

stando i titoli di stato di Atene, perfino sesono sicuri sin da ora che quei titoli sca-dranno ancora prima che il Fondo moneta-rio internazionale (Fmi) e l’Unione europea(assieme al loro generoso pacchetto di aiu-ti) lasceranno il paese.

Ma se, come sostengono molti osservato-ri, la ristrutturazione del debito greco paresempre più inevitabile, anche il Fondo mo-netario ha alcune responsabilità. L’organiz-zazione con base a Washington è intervenu-ta a sostegno del paese europeo lo scorsomaggio, con un prestito triennale da 30 mi-liardi di euro, e ancora ieri ha negato qual-siasi possibile accordo per “alleggerire” ildebito greco. Sabato scorso, però, l’agenziaDow Jones ha riportato l’opinione di am-bienti del Fmi dai quali emergeva che unaristrutturazione, addirittura entro il 2012, èal centro del dibattito eccome. Non solo: an-che negli ultimi giorni esponenti del Fmihanno fatto sapere di prendere seriamente

cora ieri Lorenzo Bini Smaghi, membro delcomitato esecutivo della Bce, ha detto chein caso di “ristrutturazione dei debiti” ilcontinente scivolerebbe “in una situazionedi non credibilità”. Oltre all’effetto conta-gio su tutta l’Ue, pesa il fatto che l’Istitutodi Francoforte detiene circa 50 miliardi dieuro sul debito greco (340 miliardi). Ultimofronte da considerare è quello dei credito-ri privati di Atene. Ieri Roberto Nicastro,direttore generale di Unicredit, ha sottoli-neato che il sistema economico italiano èpoco esposto, ma lo stesso non si può diredegli istituti di credito francesi, tedeschi einglesi, che pure negli ultimi mesi hannoceduto molti dei titoli di debito greco cheavevano in pancia. Anche a Parigi e Berli-no ci si sta convincendo che recuperare al-meno una metà dei propri investimenti sa-rebbe auspicabile, in un momento in cuinessuno si sente di scartare del tutto l’ipo-tesi della bancarotta.

• Per Confindustria va bene il rigore, meno la pochezza delle misure pro crescita e contro l’oppressione fiscale. Le idee del dg Galli

• Bruxelles e Bce negano la possibilità di “sconti” per Atene, ma i mercati si insospettiscono e i tassi sui bond volano. Il caso Fmi

• Il leader di Bengasi arriva a Roma per chiedere aiuti e l’invio di truppe. I proventi del petrolio congelati dalle sanzioni

• La polizia arresta settanta persone a Baku. Il regime di Ilham Aliyev mostra segni di crisi. Le amicizie europee del dittatore

IL FOGLIO quotidianoORGANO DELLA CONVENZIONE PER LA GIUSTIZIA

Direttore Responsabile: Giuliano FerraraVicedirettore Esecutivo: Maurizio Crippa

Vicedirettore: Alessandro GiuliCoordinamento: Claudio Cerasa

Redazione: Michele Arnese, Annalena Benini,Stefano Di Michele, Mattia Ferraresi, Giulio Meotti,Salvatore Merlo, Paola Peduzzi, Daniele Raineri,

Marianna Rizzini, Paolo Rodari, Nicoletta Tiliacos,Piero Vietti, Vincino.

Giuseppe Sottile (responsabile dell’inserto del sabato)Editore: Il Foglio Quotidiano società cooperativa

Via Carroccio 12 - 20123 MilanoTel. 02/771295.1

La testata beneficia di contributi diretti di cui alla legge n. 250/90Presidente: Giuseppe Spinelli

Direttore Generale: Michele BuracchioRedazione Roma: Lungotevere Raffaello Sanzio 8/c

00153 Roma - Tel. 06.589090.1 - Fax 06.58335499Registrazione Tribunale di Milano n. 611 del 7/12/1995

Telestampa Centro Italia srl - Loc. Colle Marcangeli - Oricola (Aq)NUOVA SEBE S.p.A. - Via Brescia, 22 - Cernusco sul Naviglio (Mi)

S.T.S. spa V Strada 35 - Loc. Piano D’Arci - CataniaCentro Stampa L’Unione Sarda - Via Omodeo - Elmas (Ca)

Distribuzione: PRESS-DI S.r.l.Via Cassanese 224 - 20090 Segrate (Mi) Pubblicità: Mondadori Pubblicità S.p.A.Via Mondadori 1 - 20090 Segrate (Mi)

Tel. 02.75421 - Fax 02.75422574Pubblicità legale: Il Sole 24 Ore Spa System

Via Monterosa 91 - 20149 Milano, Tel. 02.30223594e-mail: [email protected]

Abbonamenti e Arretrati: STAFF srl 02.45702415Copia Euro 1,30 Arretrati Euro 2,60+ Sped. Post.

ISSN 1128 - 6164www.ilfoglio.it e-mail: [email protected]

Suo padre è come una pietra in bilico diun dirupo. Sono anni che si ritrova a

curarlo. Ogni giorno la pietra sembra len-tamente staccarsi dalla parete, senza maicadere”. E’ lei a fare tutto da quando lamadre se ne è andata via. Schiva e solita-ria, accudisce il malato sprofondato nel-l’agonia, nella casa al margine del mondo,di fronte al mare. La donna coltiva i fioriin una serra e li vende al mercato mentreprepara il cibo, fa la puntura, cambia lelenzuola. E’ quello che deve fare e lo fa.Un giorno l’orizzonte del mare è chiuso dauna nave enorme e grigia. Forse arriva daquella nave lo straniero in giardino. Il ca-ne l’ha riconosciuto come un estraneo e loha quasi sbranato. Già ferito, ora è al li-mite della morte. Lei lo accoglie e lo met-te in un’altra stanza. E’ quello che deve fa-re e lo fa: “Lo straniero non è come suo pa-dre, ormai al di là di ogni speranza. Que-sto è un uomo giovane con migliaia di gior-ni di fronte a lui. Lei deve coltivare, cu-randolo, questi suoi giorni”. Lei continuaa occuparsi dei fiori dividendosi tra un uo-

mo e l’altro. Lo straniero ha una storia chelei non conosce e che non le serve sapere.Non hanno nulla in comune, neanche lalingua. Si comprendono a gesti, a partiredai bisogni: “pane”, “dolore”, “grazie”.Lei lo aiuta, non lo commisera: “Si aspet-ta una ricompensa ne è certo. Una ricom-pensa per quella cura come lui ne atten-de una per il suo lungo viaggio. Credereche ogni sforzo compiuto verrà ripagato èl’ultima speranza che gli è rimasta… glipiacerebbe poter vivere senza speranza.Non pensare più a nulla”. Vivono nella

stessa casa, dividono il tempo e il cibo,quel che accade tra loro due non poggiasul passato, non crea un futuro: “Da un po’di tempo ha imparato a pronunciare il suonome, mentre lei insiste a non chiamarlo”.Siccome l’amore non sa far di conto e nonrispetta regole, l’autore può prendersi lalibertà di un finale spiazzante. Ci sono sto-rie che valgono in ogni tempo e in ogniluogo, così non servono i nomi, le date, i ri-ferimenti ai fatti di cronaca, meno che maialla autobiografia dell’autore. Storie come“La cura” hanno l’eco delle favole cheportano con sé la forza di un insegnamen-to e il coraggio della morale: l’amore dovu-to all’ordine delle cose, l’accoglienza co-me imperativo dell’anima, la devozionenella sua essenza di atto sacro e risarcito-rio pur per strade spesso inaspettate, l’e-sercizio spinoso, complicato, elevante del-la compassione, l’umanità della paura e lacapacità di trasformarla che è poi un pez-zo di divino dentro di noi. Andrés Beltra-mi ha trent’anni, è italiano e vive a Pari-gi. Questo è il suo romanzo d’esordio.

LLIIBBRRIIAndrés Beltrami

LA CURAFandango, 198 pp., 16 euro

EEDDIITTOORRIIAALLII

Chi soffre per la Grecia

Il ministro della Giustizia, Angelino Al-fano, non ha aspettato un nanosecondo

per stigmatizzare come meritava il mani-festo indecente di Roberto Lassini, chenon è personalmente indecente come ilsuo slogan, e lo ha dimostrato per comeha reagito, scusandosi con una giustiziache lo aveva trattato con violenza da ca-pro espiatorio, nel mezzo della buferache il suo gesto spudorato di rabbia hasuscitato. Ma qui si tratta di simboli, diopinioni espresse in modo ignobile in uncontesto radicalizzato dal più estenuan-te attacco portato da un ordinamentodello stato in toga alla sovranità politicadei cittadini. Opinioni nell’ordine delsimbolico sono in teoria sottoponibili alprocesso per vilipendio, vecchia cono-scenza del diritto d’antan, ma il ministronon è orientato ad autorizzare l’azionepenale. D’altra parte non l’ha fatto, ela-

borando una piccola giurisprudenza li-berale che gli fa onore, in casi molto di-versi su uno spettro di opinioni e attacchisimbolici di varia natura. Sabina Guzzan-ti, attrice e investitrice finanziaria assainota, aveva dileggiato e offeso il Papa, econtro di lei si è evitato di procedere ingiudizio per vilipendio di capo di statoestero. Antonio Di Pietro aveva dato delvigliacco al presidente della Repubblica,e anche questo caso giudicato immerite-vole di un processo per un reato d’opi-nione. Lo stesso accadrà per Lassini, chemeriterebbe una ventina di virtuali fru-state da un inesistente tribunale taleba-no del Popolo della libertà, gravementedanneggiato dalla sua uscita priva di pu-dore, ma eviterà le maglie della vecchiagiustizia di origine e ispirazione autori-taria. Alfano avrà la sua piccola parte digogna, e di onore.

La sfida di Sergio Marchionne sullacontrattazione flessibile e decentra-

ta, ovvero il confronto all’americana traindustriali e lavoratori, non ha nulla ache spartire con i risultati negativi delleimmatricolazioni di Fiat a marzo (meno20 per cento per il Lingotto rispetto a unanno fa). Questi risultati – sarà bene ri-cordarlo a chi li volesse strumentalizzare– sono anche frutto dell’attuale (e ormaivecchia) organizzazione del lavoro. Lastessa organizzazione che la Cgil sta fa-cendo di tutto per conservare, al puntoda sostenere l’iniziativa giudiziaria deimetalmeccanici della Fiom contro i con-tratti aziendali per Pomigliano e Mirafio-ri. Una richiesta presentata anche inquesto caso in modo strumentale alla vi-gilia della decisione attesa per oggi del-l’ad della Fiat, Sergio Marchionne, sullesorti della fabbrica ex Bertone in cui il

Lingotto vorrebbe produrre Maserati conun investimento di 500 milioni e con lanuova tipologia contrattuale. Marchion-ne ha detto che “se non ci sarà in tempibrevissimi una precisa e dichiarata ap-provazione del piano da parte del sinda-cato, Fiat rinuncerà al progetto e avvieràla ricerca di una nuova allocazione perl’investimento”. E in serata le rappresen-tanze sindacali unitarie – nelle quali laFiom è maggioritaria – hanno deciso diindire un referendum sull’accordo per il2 maggio. La conseguenza di un “no” al-l’accordo, comunque, non sarebbe una ri-contrattazione, come la Cgil spera, bensìlo spostamento della produzione neglistabilimenti esteri ove Fiat già adottaquesta tipologia di contratto, compresiquelli americani di Chrysler. Domanda: èpossibile che ciò che va bene a Detroitnon possa andar bene a Grugliasco?

Imercati, scrivono i giornali finanziari,soffrono perché la Grecia potrebbe ri-

strutturare il suo debito pubblico, anchese il premier George Papandreou, con-tando sull’aiuto del Fondo europeo distabilizzazione finanziaria (Efsf), nonvuole. Insistono i quotidiani: la ristruttu-razione la chiedono di fatto anche glielettori degli stati che partecipano al fi-nanziamento dell’Efsf, come i finlandesiche hanno garantito ampi consensi allapiattaforma antibailout del partito dei“Veri finlandesi”. Il tasso sui bond de-cennali greci nel frattempo ha oltrepas-sato la soglia record del 14 per cento. Equesto nonostante il sostegno finanziariodell’Unione europea e il piano di auste-rità del governo greco. Si sostiene cheun’eventuale ristrutturazione generereb-be una crisi della democrazia ellenica,come se il danno alle banche valesse di

più del costo sociale imposto dalla crisi.E’ ovvio che gli operatori finanziari chedetengono questi titoli di debito soffranoogni qual volta emerge la tesi della ri-strutturazione, la quale comporterebbeper loro una perdita di miliardi di euro.Ma innanzitutto andrebbe ricordato chetale perdita va scomputata dal guadagnodi questi mesi, derivante dai tassi ano-mali che contengono ampiamente il ri-schio di tale minusvalenza. Un guadagnoche paradossalmente, in queste ore, sia-mo anche noi contribuenti europei – at-traverso i fondi del salvataggio – a garan-tire. Curioso quindi che nessuno neigrandi media sembri chiedersi se i con-tribuenti non abbiano una sofferenzasimmetrica a quella delle banche tede-sche, francesi e greche, e quale delle duesia meritevole di essere considerata inun’economia di mercato.

L’errore fatale della Cgil

Alfano e il caso Lassini

Le vendite fiacche di Fiat non sconfessano la sfida di Marchionne

Il ministro non farà processare l’autore del manifesto indecente

A patire sono più i contribuenti europei che le piazze finanziarie

Il generale torna in città

Il giornalista Michael Hastings non havinto il premio Pulitzer. Per la rivista

Rolling Stone aveva scritto “The Ru-naway General”, articolo in cui attribui-va al generale Stanley McChrystal e allasua band of brothers una serie di com-menti coloriti verso i colleghi ai piani al-ti della Casa Bianca e del Pentagono. C’e-ra il consigliere “clown”, l’inviato osses-sivo, il vicepresidente da operetta e viadicendo. Per questo reportage imbaraz-zante il generale a quattro stelle – allo-ra comandante delle forze in Afghani-stan – è stato costretto a fare fagotto e alasciare la carriera con ampia bastonatu-ra pubblica. Ma l’esilio che sembrava do-vesse essere eterno è finito in fretta. Pri-ma è arrivata la riabilitazione sociale,con l’università di Yale che gli ha offer-to una cattedra dove insegnare le teoriemilitari applicate ad altri ambiti. Poi è

arrivata la riabilitazione politica: la Ca-sa Bianca lo ha messo a capo di un pro-gramma per assistere le famiglie dei mi-litari. La mano di cera l’ha passata ilPentagono, con gli esiti dell’inchiesta in-terna sull’articolo di Rolling Stone.Un’assoluzione completa che è espostaai vizi di qualsiasi indagine interna, maè proprio questo il punto: gli stessi chehanno cacciato McChrystal come un ne-gletto, ora ammettono che quelli comelui non crescono sugli alberi. David Pe-traeus non può fare tutto e già si parla diun suo spostamento dall’Afghanistan; ecosì McChrystal, dopo aver fatto peniten-za mangiando locuste nel deserto (e peressere un deserto Yale se la cava bene),torna a essere accettato nella città, e Ha-stings si consola con gli amici di Wa-shington Post e Wikileaks nel club deigiornalisti scomodi esclusi dal Pulitzer.

L’esilio di McChrystal è breve, Washington ha ancora bisogno di lui

Page 4: IL FOGLIO - GariwoIl film tratto dal megaromanzo di Ayn Rand, “La rivolta di Atlante”, è un disastro, dicono impietosi i recensori. Le aspettative erano alte: l’opera, uscita

ANNO XVI NUMERO 93 - PAG 4 IL FOGLIO QUOTIDIANO MERCOLEDÌ 20 APRILE 2011

Al direttore - Hamas ha già risolto il casodell’omicidio Arrigoni. Ma quei terroristi sonomagistrati!

Maurizio Crippa

Al direttore - “Nucleare: la prima pietra en-tro la legislatura”. Intendevano, naturalmen-te, che ci avrebbero messo una pietra sopra.

Carlo Stagnaro

Caro Stagnaro, se non sbaglio è succes-so qualcosa.

Al direttore - E’ ora di smetterla di difende-re i magistrati limitandosi a esigerne il rispet-to. Occorre incominciare a riconoscer loro an-che il diritto alla disperazione. E’ infatti evi-dente che sono e saranno sempre incazzatiperché sanno che anche se riusciranno a sfa-sciare quello lì, non potranno mai essere lietie pimpanti come lui.

Ruggero Guarini

Sono diventati una trista casta.

Al direttore - Ho letto ciò che ha scritto ri-guardo l’ultimo film di Moretti e condivido lesue considerazioni. Aggiungo che domenicasera dopo avere visto il film, che a me non èpiaciuto affatto, mi sono goduto un grandeNanni Moretti ridicolizzare un patetico Fazio

alla ricerca del solito sputtanamento del Cai-mano. Al quale Moretti, chissà perché… si èsottratto. Da palma d’oro!

Riccardo Mei

Al direttore - Ho letto con interesse l’arti-colo di Marco Burini sulla “teologia” di Mo-retti e le attente e competenti riflessioni di pa-dre Salmann, del quale mi è piaciuta l'ipo-tesi sul “tradimento soave e seducente” cheil film avrebbe commesso sul complesso temadella figura umana del Pontefice. Ma se laverità del cristianesimo è conquista di libertàrispetto alla realtà costituita, allora i suoi ri-ti gerarchici non se ne possono sganciare vi-vendo di vita autonoma, ma entrando in col-lisione. Come? Per svuotamento di queglistessi poteri uguali agli altri poteri: influen-za politica, denaro, sacralità, benefici eccete-ra. Proprio perché non si confermi ancoraquel che Nietzsche disse manchi al cristiane-simo, ossia quel che aveva testimoniato il suofondatore.

Mauro La Spisa

Al direttore - Si può non credere in Dio enella chiesa e girare un film che parli di vo-cazione? Certo, ma non ci lamentiamo cheun abitante di Flatlandia non vada mai inprofondità. Ma ce lo meritiamo Nanni Moret-ti, come lui si meritava Alberto Sordi.

Raffaele Chiarulli,Acquaviva delle Fonti (Ba)

Al direttore - Il manifesto è veramenteignobile. Tutto ok. Ma il garante della Costi-tuzione non dice nulla per quanto scritto daAsor Rosa, non sui manifesti, ma su il mani-festo? L’auspicio di un colpo di stato ci puòlasciare indifferenti? Mauro se l’è cavatadandogli dell’imbecille, mentre Fazio ha det-to che è una stupidaggine (e poi giù botte alCavaliere). Troppo comodo. Perché con AsorRosa non si indigna chi di solito lo fa per me-stiere?

Giuseppe Zola, Milano

Come vede c’è accordo tra noi. Se con-tinuano così, finirò per votare Lassini.

Al direttore - Bel titolone alla Pravda:“L’Ungheria democratica in piazza contro lanuova Carta magiara”. Piazza? Democrati-ca? Contro che? Perdinci, in Ungheria è “a ri-schio il diritto all’aborto”. Perbacco, dirittoall’aborto? Ma non si chiamava “diritto ri-produttivo” nella famosa lingua orwelliana?Lapsus del Giornalista Collettivo, sul Corrie-re della Sera di lunedì. L’Ungheria vara unaCostituzione spettacolare, il Cdr richiamaAndropov al desk e Monica Ricci Sargentini,doppio patronimico, doppio Giornalista Col-lettivo, si duole dello “scivolare verso una chi-na autoritaria e nazionalista” poiché “nel te-sto della nuova Costituzione si parla esplici-tamente di ‘tutela della vita dal concepimen-to’”. “Esplicitamente” capisce? Non è pazze-sco che in una Costituzione, europea, si par-li “esplicitamente di tutela della vita dal con-cepimento”? Addirittura. Che dire, attendia-mo da un giorno all’altro la decisione del po-litburo di Bruxelles di inviare i carri armatia Budapest.

Luigi Amicone

Il nucleare, la trista casta, questo tremendo Lassini, e l’aborto all’ungherese

Non sapevo che nell’edili-zia tutti gli anni premianola ditta che fa la miglior demolizione. Quest’annol’award demolition l’ha vin-to una ditta di Recanati che

ha buttato giù la casa a 1 km da quelladi Leopardi. Pensavo gli dessero la mul-ta, invece l’hanno premiata. Il prossimoanno partecipiamo anche noi. Buttiamgiù la casa che c’è a 1 km da quella di Ip-polito Nievo. Ciao, grazie.

Madame Carlà presenzierà al festivaldi Cannes? Molti dicono di sì. E’ nota lasua passione per Sean Penn, protagoni-sta di ben due film in gara, quellodi Malik e quello di Sorrentino.

Alta Società

La Giornata* * *In Italia

IL GOVERNO FERMA IL PROGRAMMANUCLEARE. CRITICA L’OPPOSIZIONE. Ilgoverno ha inserito nella moratoria, giàprevista nel decreto legge Omnibus all’esa-me del Senato, l’abrogazione di tutte le nor-me previste per la realizzazione degli im-pianti nucleari. Il ministro dello Sviluppoeconomico, Paolo Romani: “Adesso è im-portante andare avanti sull’energia rinno-vabile”. Il segretario del Pd, Pier Luigi Ber-sani: “Il governo scappa dalle sue stessedecisioni”. Il leader Idv, Antonio Di Pietro:“E’ una truffa per evitare il referendum”.

Il presidente del Consiglio, Silvio Berlu-sconi, ha incontrato a Palazzo Chigi il lea-der dei ribelli libici, Mustafa Abdul Jalil.

* * *Lassini si è dimesso dalla lista del Pdl. Il

candidato al consiglio comunale di Milano,Roberto Lassini, responsabile dell’affissio-ne dei manifesti antigiudici a Milano, ha ri-nunciato alla candidatura e, con una lette-ra al capo dello stato, Giorgio Napolitano,ha chiesto scusa.

* * *Confindustria ha criticato il Pnr. Il diret-

tore generale di Confindustria, GiampaoloGalli: “Il piano delle riforme è deludente”.Il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi:“Cambieranno idea con gli atti concreti”.

* * *Nuovo scontro tra Fiat e Fiom. L’ad Fiat:

“Se non ci sarà l’approvazione del piano daparte del sindacato, Fiat rinuncerà alla exBertone di Grugliasco”. Il leader della Cgil,Camusso: “Decideranno le tute blu”.

Giù del 20 per cento le immatricolazio-ni Fiat nel mese di marzo.

* * *Sono sbarcati più di settecento migranti

ieri a Lampedusa. Il ministro Tremonti:“L’azione dell’Ue è insufficiente”.

* * *L’ex terrorista Concutelli è tornato libero

per le gravi condizioni di salute. La sospen-sione della pena del leader storico di estre-ma destra è di due anni.

Annamaria Franzoni è stata condanna-ta a un anno e quattro mesi per calunnia,per aver additato un compaesano comeautore del delitto del figlio.

* * *Borsa di Milano. FtseMib +0,3 per cento.

L’euro chiude in rialzo a 1,43 sul dollaro.

Nel mondoLA POLIZIA DI HAMAS DICE DI AVER

UCCISO GLI ASSASSINI DI ARRIGONI.Secondo i media palestinesi, due personesono morte in un raid nel campo profughidi Nuseirat, a Gaza. Una delle vittime è ilgiordano Abu Abdel Rahman Bereitz, cheavrebbe avuto un ruolo nell’omicidio delvolontario italiano Vittorio Arrigoni. Be-reitz ha lanciato una bomba a mano controi familiari che cercavano di convincerlo adarrendersi alle forze di Hamas, e si è poisuicidato. Nella stessa operazione sono sta-ti arrestati tre salafiti.

* * *Due studenti sono morti in Tunisia e più

di quaranta sono rimasti feriti durante gliscontri scoppiati nella città di Snar nel suddel paese. Secondo la polizia più di duemi-la studenti hanno preso parte alle violenze.

* * *La Siria ha abolito lo stato di emergenza in

vigore dal 1962 e ha emanato una legge cheautorizza le manifestazioni pacifiche. An-che la Corte di sicurezza dello stato è sta-ta abolita. Nella città di Homs, le forze disicurezza siriane hanno circondato la piaz-za centrale, isolando gli attivisti che prote-stano da lunedì con un sit-in.

* * *Sono 16.000 i profughi in Nigeria per gli

scontri avvenuti dopo la vittoria di Good-luck Jonathan alle elezioni presidenziali.Lo dice la Croce rossa internazionale.

* * *A Fukushima è cominciato il drenaggio

dell’acqua radioattiva. Le squadre di emer-genza hanno cominciato a pompare l’acquadalla centrale nucleare a un deposito.

* * *Putin registra il nome “Forza Russia” in

vista delle presidenziali del marzo 2012. Ilpremier russo è fra i possibili candidati as-sieme al presidente, Dmitri Medvedev.

Il leader dei ribelli islamici del Daghe-stan, Israpil Validzhanov, è stato ucciso inun’operazione di polizia.

* * *Il Pentagono riabilita McChrystal. Secon-

do una commissione della Difesa america-na, l’ex generale non ha commesso alcunairregolarità durante la propria carriera.McChrystal era stato costretto alle dimis-sioni per aver criticato la politica della Ca-sa Bianca in Afghanistan.

Jamila, la diciannovenne cheda due settimane non frequentava più lascuola perché troppo bella è tornata nelsuo istituto, a Brescia, e dalla lettura deigiornali catturati dal suo caso s’è sapu-to che vuole fare la stilista. Sangue pa-chistano, la studentessa ha scatenato lamorbosa voluttà dei bravi occidentali in-nanzitutto per quel suo incedere col ve-lo, tutta una frenesia a liberarla, a farlasfacciata come è giusto che sia nel con-trappasso dei contrappassi: diventaredonna pubblica. Autoproducente griffe.

IL RIEMPITIVOdi Pietrangelo Buttafuoco

INNAMORATO FISSOdi Maurizio Milani

Page 5: IL FOGLIO - GariwoIl film tratto dal megaromanzo di Ayn Rand, “La rivolta di Atlante”, è un disastro, dicono impietosi i recensori. Le aspettative erano alte: l’opera, uscita

ANNO XVI NUMERO 93 - PAG I IL FOGLIO QUOTIDIANO MERCOLEDÌ 20 APRILE 2011

COMBATTERE SENZA ROVINARSIIdee più o meno stravaganti per evitare che la giusta battaglia del Cav. si trasformi in una barzelletta politicaGLI E’ RIMASTA LA FORZA CIECA, SISTA PERDENDO L’ITALIA

Ma Silvio Berlusconi lo sente o no il la-mento delle migliaia di professori e ma-gistrati che l’hanno votato e non vorreb-bero smettere di farlo? Non è così cheuscirà sano dalla tempesta, non polveriz-zando il sistema linfatico e l’apparato os-seo della cosa pubblica (l’insegnamento ela giustizia); non cannoneggiando il Qui-rinale; non convalidando il prolasso del-le viscere militanti che, come zeloti mo-derni, evocano il brigatismo e gli anni dipiombo. Da quasi vent’anni sappiamoche non si può reclamare gravitas da chinon ce l’ha, e il Cav. non ce l’ha. La suaforza sta nell’abbattimento di ogni me-diazione protocollare, nel dire l’indicibi-

le e nel fare l’impossibile (o a volte sol-tanto prometterlo). In mancanza di con-correnza decente, stabilito che il suoanarchismo è preferibile all’anti Statorappresentato dalla sinistra dei senza pa-tria e da una borghesia rancida, priva diradici e coraggio, è venuto natura-le giudicare Berlusconi comeuna febbre salutare. Ma ades-so? Adesso il cappio delleprocure d’assalto, i la-trati del circo media-tico e gli sputi degliingrati stanno tra-sformando il Cav.in un ossesso. Lesue buone ragioni– e sono ancora nu-merose – lo amma-lano; e così nel-l’uomo che vin-se al grido diForza Italiaè rimastauna ciecaforza tauri-na e stascomparendol’Italia. In altritempi gli avrem-mo chiesto di ono-rare la maestà del-la Patria in ogni suaforma, foss’anchequella degeneratadi un togato in cat-tiva fede. Oggicomprendiamoche la posta ingioco è per luialtissima: la li-bertà di non fini-re in galera e dinon vedersi espro-priare dei beni fa-migliari dai soliti amicidei nemici. Sicché l’Italia vienedopo: primum vivere, deinde rem publicamgubernare. Finora avevamo ritenuto indi-spensabile il contrario: per sopravviverecome cittadino il premier non può farealtro che reggere degnamente la cosapubblica. Non abbiamo cambiato idea,temiamo però che si sia modificata la na-tura delle parti in tragedia. Né i buoni néi cattivi hanno più un disegno da offrirea se stessi e al teatro circostante, che noncoincida con la resa senza condizioni delnemico. E’ vero, il Cav. ha dalla sua l’au-ra del perseguitato. Ma agli occhi dellastoria, vincitore o sconfitto, dovrebbe ri-fulgere sopra tutto colui che si è posto loscrupolo di non lasciare dietro di sé ma-cerie e briganti.

Alessandro Giuli

UN COMBATTENTE NON DEVE CEDE-RE ALL’URLO DEI PESCIVENDOLI

Il Cav. ha sempre ragione. Ma sta sba-gliando. Sbraca. Il Cav. traccia il solco eperò ha una spada con cui non sa difen-dersi. Un combattente, infatti, non devecedere ai pescivendoli. Quelli da campa-

gna elettorale. E non può offrire il destroai nemici ponendosi nei loro confrontisotto forma di caricatura.

Il Cav. che vuole attorno a sé chiunquesia pronto a credere, obbedire e combat-tere deve poi agire di conseguenza: congravitas eroica. Non con l’incedere damacchietta. Rischia di vivere i suoi cen-

to giorni da leone solo per farli sfumarein un solo giorno, come una pecora, quan-do verrà tosato dai magistrati e messo anudo dalla cronaca, se solo continueràcon le mattane da sovversivo. Deve infat-ti smetterla con il massimalismo creativo.Il Cav. che ha tutte le ragioni, funestatocom’è dall’ostilità dei ferocissimi buoni,non deve sporcarle con l’ingenuità dellarabbia. Peggio ancora con la furbizia. IlCav. deve ricordarselo che ci resterà nel-la storia, i suoi persecutori no, ma non de-ve dimenticare che il piedistallo, quellodei posteri, se lo edificherà con il grani-to dello stile. Smetta dunque di fare ilsimpatico, diventi davvero serpente equindi leone. Il Cav., certo, è anche dolce,ha voluto fare un salutino affettuoso alpm, quello gli ha detto di contenersi, dinon fare battute, sarebbe stato più oppor-tuno un severo distacco, anche perché –anche perché – se solo il Cav. venisse tra-dotto in carcere, imputato di tutto com’è,sarebbe liberato a furor di popolo. Il Cav.ha il popolo, un popolo tutto suo dal qua-le dovrebbe tenersi lontano. Oltre il cari-sma, di cui abbonda, ci vuole il crisma, enon può essere tutta quella tifoseria a in-coronarlo il Cav. anche perché i pretoria-ni che esprime non sono pronti alla lottama agli agguati.

Pietrangelo Buttafuoco

URLAZZARE NON AIUTA. ILCAV. TORNI PRESTO AL MO-DELLO MOTTA

Silvio Berlusconi sta sba-gliando i toni e non lo fa perchégli sono saltati i nervi. Questa èla tesi errata di Asor Rosa, chesi immagina che tutti sianoumorali. Ed è la tesi di moltiche hanno attaccato Berlusconi

con denigrazioni di vario ge-nere, per fargli saltare i

nervi e poter arrivare adire che manca l’at-

mosfera della go-vernabilità (dettain inglese “gover-nance”, coll’errestrascicata ). Sil-

vio ha i nervi a po-sto. Diversamente

non sarebbe riuscitoa resistere alle vicissi-

tudini a cui è stato sotto-posto, da quando è “sce-

so” in politica (“scendere inpolitica” non vuol dire “ab-bassarsi”, è abbreviativo di“scendere in campo”). Hacreato un partito dal nulla,con grandi successi elettora-li e governa in periodi comequesto in cui quasi tutti glialtri leader hanno perso po-polarità. Dunque, è uno stra-tega e un tattico e che studiale mosse. Ma la tesi che al-zando i toni sulla giustizia sipossa aumentare l’interesse

degli elettori per le amministra-tive, facendo votare per il Pdl anche gliindifferenti, è dubbia. Gran parte degliindecisi è moderata e abitudinaria; pre-ferisce panettone Motta e Corriere com-promissorio alle novità. L’alzare i toni do-vrebbe servire anche a far passare l’idea

che eventuali condanne in primo gradonon avrebbero rilevanza politica perchénon imparziali. Per tale scopo è megliofar parlare esperti che spieghino che sitratta di processi basati su teorie e fattiopinabili, con errori e vizi ideologico-dot-trinari. Ad esempio, una concussionesenza concusso, per eventi che non ri-guardano “utilità”, termine che vuol dire“vantaggi economici”, ma moventi extraeconomici, si basa sulla teoria ideologi-ca-evolutiva del diritto, simile a quella

dei giuristi strumentalizzati da fascisti enazionalsocialisti, poi, spesso, diventatidi sinistra, perché il vate segue l’onda deitempi dando l’impressione di crearla.Serve l’ironia amara di Esopo.

Francesco Forte

IL CAVALIERE METTA A FRUTTO L’IN-SEGNAMENTO SALESIANO

“Il peggiore dei miei difetti era quellacerta impaziente vivacità, che hafatto la fortuna dimolti, ma cheio trovais e m p r edifficileconciliarecon il mioimperiosodesideriodi portarela testa al-ta e di pre-sentare alp u b b l i c oun contegnopiù gravedel norma-le. Di conse-guenza av-venne cheio nascon-dessi i mieipiaceri; e,quando rag-giunsi l’età del-la riflessione ecominciai a guardar-mi intorno e a considerare il mio cammi-no e la mia situazione nel mondo, mi tro-vai già impegnato in una profonda dupli-cità di vita. Più di una persona avrebbeanche vantato le irregolarità delle qualiio ero colpevole; ma, date le alte veduteche avevo, io le consideravo e le celavocon un senso di vergogna quasi morboso”.Così inizia la lunga confessione del dottorJekyll nel capitolo conclusivo del capola-voro di Stevenson. Incallito morali-sta, anche nel momento incui decide di rivelarsi ilcelebre dottore mente.“Il peggiore dei suoidifetti”, quello che loporterà a diventareun mostro, non è infat-ti la “impaziente viva-cità”, quanto “l’impe-rioso desiderio di por-tare la testa alta e dipresentare al pubbli-co un contegno piùgrave del normale”.Donde, per supera-re la vergogna, ilricorso a una dro-ga che separi net-tamente il benedal male, sicchéla mano destranon sappia cosafa la sinistra, intin-ta di sangue. I peggio-ri delinquenti nasconodall’impossibilità di tollerare quella ses-sualità che è consustanziale all’umano eche fa lievitare quell’impasto di bene emale di cui siamo fatti. Quale poi sia ilbene e quale il male ognuno ha la suaidea, certo è che la loro mistica unione,il frutto originario dell’albero, la biblicamela, doveva essere assai buona per farrischiare a tal punto i nostri progenitori.

Questo lungo incipit per dire che il Ca-valiere non è un mostro né corre il ri-schio di diventarlo, essendo fin dalla te-nera età del tutto noncurante d’ogni ipo-crita solennità. Non conosce la mortiferavergogna, non è tra i suoi vizi, semmai in-dulge in sfrontatezza, nell’ansia di diretutto quel che gli passa per la testa, un ec-cesso di sincerità che può diventare im-prudente sincerismo, fastidioso per alcu-ni, dannoso per le sue sorti politiche, chenemmeno tali sono, quanto piuttosto pe-ripezie della moderna antropologia. Si ri-cordi il Cavaliere degli insegnamenti ap-presi dai salesiani, maestri di vita eternae meno; e quando sta per dire o fare unqualcosa che è meglio non sia detta o fat-

ta, faccia un fioretto e la getti nel dimen-ticatoio. Sentirà un piacere nuovo, il pia-cere della rinuncia e del limite, il piace-re di ubbidire a Qualcuno più grande dilui e di noi tutti, e da cui attingiamo la no-stra piccola grandezza.

Umberto Silva

LA PERSECUZIONE E’ CHIARA, NONSERVE LA RISSA AL

SEMAFOROUn famoso

presule di-rebbe al suod i s c e p o l oche “non ba-sta capire,ma occorresentire”. Ora,se il discepo-lo confessòche “capisco,ma non sen-to”, e tuttoquel che di-scende dalloscalfarismoè una meno-pausa del-l’essere, su-blimazionedi una fonda-mentale ari-dità: attentoal tranello,Silvio, della

rissa davantial semaforo. Lo-

ro, gli aridi, sono scesicol crick e ti menano da diciassett’anni.Tu, da diciassett’anni, stai lì, dentro il gu-scio d’acciaio del consenso popolare, adifenderti come puoi e sai. E’ così che de-vi continuare a fare. A che serve invecesbraitare “questi mi menano col crick”?Lo vedono tutti, no? Ti votano anche perquesto, no? Lo sanno anche i sassi che

Berlusconi è inca-

pace di aridità, odio, menopause. E allo-ra, perché enfiare lo stomaco e ulcerarloin un lungo e strozzato borbottìo? Perchédarsi allo spartachismo dalla cima di unapresidenza del Consiglio? Spartaco, seb-bene fosse un fior fiore di gladiatore e,dicono i resumeé wikipediani, fosse bel-lo, intelligente, gentile, carismatico, allafine andò incontro a una disfatta leggen-daria. Ci piacerebbe che Silvio non en-trasse nella leggenda, visto che è già nel-la storia. Ci piacerebbe che i suoi toni di-scorsivi – non interessa siano essi alti,bassi o moderati, uno deve parlare comemangia, non come gli ordina un piemon-tese cortese – fossero ordinati allo scopo.Non è che il popolo ammutolito non sen-ta e non capisca quel che capisce e sen-te Berlusconi. E’ che l’ostaggio più ascol-ta il liberatore insultare il sequestratore,più teme che alla fine ci vada di mezzo lasua vita. Al Quirinale c’è già il segno pre-monitore che il processo breve sarà rin-viato alle Camere? Bene, vorrà dire chele Camere torneranno a votare. O a nego-ziare altre strade. Lo scopo è chiaro a tut-

ti: Berlusconi non può cadere in tribuna-le, sarebbe un altro ’93 e tutti cadrebbe-ro insieme a lui (il che, piccola differen-za rispetto al ’93, sancirebbe la fine del-l’Italia così com’è, si aprirebbero le cata-ratte del Belgio, Lega al nord e politicaper bande al sud). Perciò, Cavaliere, leinon deve più dire che i cattivi sono catti-vi. In tema di giustizia, come in tutto il re-stante. Per esempio, non deve più direche “vogliamo dare il bonus per la scuo-la privata per sottrarli agli insegnanti disinistra della scuola pubblica”. Deve di-re: “Noi vogliamo la scuola pubblica, per-ché come ha detto testualmente l’ex mini-stro di sinistra Luigi Berlinguer, ‘la scuo-la pubblica comprende la parità scolasti-ca. E’ una prescrizione costituzionale. Seuno crede nella Costituzione deve crede-re in tutte le sue norme’”. Questo è il pun-to, presidente, non “moderare i toni”, maordinarli allo scopo della liberazione ditutti i sequestrati dall’aridità, dall’odio edalle Spinelli.

Luigi Amicone

LA VERITA’ SULLA MALAGIUSTIZIADEVE ESSERE DETTA PER TUTTI

Berlusconi, ha certamente ragionequando dice che Napolitano “si fa senti-re solo quando c’è da difendere i pm manon ha mai detto una parola quando at-tacchi strumentali vengono sferrati con-tro di lui”. E hanno torto tutti quelli (Na-politano compreso) che si stracciano levesti perché si è giunti a uno scontro diinusitata violenza.

Lo scontro, in realtà, quello vero, ine-luttabile, necessario, e, quindi, auspica-bile, non c’è stato. La magistratura non èresponsabile per avere, di punto in bian-co, deciso di mettersi a perseguitare fre-neticamente Berlusconi, obbedendo a chisa quali sollecitazioni. Il dramma non èin quello che alcuni (anzi, troppi) magi-strati fanno, ma in quello che l’apparatogiudiziario è divenuto: una macchina po-litica, un partito che si è sostituito all’isti-tuzione e l’ha egemonizzata e soggiogata.

E’ scandaloso che, aquesto,

sia ridottala giustizia. Una giustizia par-

tito non può, per agire come tale, non ri-correre alla persecuzione: non dimenti-chiamo Tortora, Carnevale, Andreotti. Maforse anche noi dimentichiamo tanta etanta gente massacrata da una giustizia

che ha altro da fare che essere giusta.Berlusconi sbaglia? Forse sì. Perché

quello che dice oggi, doveva dirlo fin dal1994 e dirlo di fronte al quotidiano mas-sacro giudiziario di tanta gente sacrifica-ta, in vario modo, alle esigenze della giu-stizia-partito. Ha sbagliato a non avere af-frontato lo scontro prima che il partitodei magistrati divenisse un partito “inpersonam”, contro una singola persona,la sua, quando già mostrava di esserlo edoverlo essere nei confronti di tanta gen-

te. Ha sbagliato a cedere sempre quando,in tanti, gli tiravano la giacca e gli rim-proveravano di non saper evitare lo scon-tro, quando non ha puntato su di un mo-vimento popolare per una giustizia giusta(quale quello sembrò si formasse intornoal caso Tortora…). Oggi è forse troppo tar-di. Ma darlo per scontato significa am-mettere che tutto è perduto. Non tantoper Berlusconi: per le istituzioni, per lostato libero e democratico.

Quanto ai manifesti di Milano… andia-mo, presidente Napolitano. Diciamo al si-gnor Lassini (che è bene non “si faccia daparte”) che il suo linguaggio e, probabil-mente, le sue idee sono un po’ confusi esuperati. Non gli diremo che quel che c’èoggi è peggio, ma che è, intanto, più com-

plesso. In ogni modo, se dovessimo, inve-ce, fare della storia, se nelle nostre pro-cure non ci sono proprio state le Br, ci so-no stati molti magistrati, anche apparte-nenti, che so, a Potere operaio, che han-no negato fin quasi alla vigilia dell’assas-sinio di Moro che ci fosse una “violenzadi sinistra” affermando che quella cheappariva tale era una montatura polizie-sca e fascista… E, poi, certi “no global”…Ma, quella, diciamo, è acqua passata.

Mauro Mellini

C’E’ UNA BARZELLETTA CHE NONVORREMMO SENTIRE

Lei è il cavaliere jedi e quegli altri il la-to oscuro della forza, non ci piove su que-sto, ma un minimo di attenzione su comesi maneggia la spada laser anche lei ce ladovrebbe mettere, Amor nostro carissimo.Tutto qui, cos’altro c’è da aggiungere? Chenon vorremmo dover ascoltare una barzel-letta prossima su come le moderne briga-te ce l’abbiano, eventualmente, arrossata?Questo è scontato. Così come è scontatoche lei la racconterà lo stesso, alla prima

occasione disponibile. O aggiunge-re per l’ennesima volta ciò di

cui siamo da tempo stracon-vinti, e cioè che denuncia-

re il piano eversivo delnoto Gruppo editoria-

le e dei suoi nume-rosi amici è sacro-santo, se poi si pro-va anche a esserenon tanto vagamen-te rigorosi? E’ inuti-le. Ma lei fa un erro-

re. Lei sbaglia a crede-re, per esempio, che si

possa mettere sul tavolouna battaglia come quella del

processo breve senza spiegare aper-tamente agli italiani, anche a quelli che laodiano, i motivi veri per cui la si è impo-stata. La difesa tout court dei diritti dellapolitica e l’imposizione, per quanto inu-suale possa risultare la via, del rispettodella volontà popolare. Lei sbaglia a noncapire che esiste, al fondo, un dovere ditrasparenza e di onestà espositiva. Sbagliaa recitare la litania di una riforma effi-ciente della giustizia, con quei suoi 0,2 o0,02 per cento, invece di ammettere, anzi,di rivendicare apertamente un conflittod’interesse che tutti vedono, eppure che lamaggioranza degli italiani continua a con-siderare accettabile. Lei è una beneficaanomalia, ma troppo spesso nega di esser-lo e risulta troppo furbo, troppo ripetitivo,troppo noioso, per essere considerato unostatista. Lei sbaglia, da ben altra posizio-ne di forza e di consenso, a non fare maicome il Bettino Craxi che rivendicò il fi-nanziamento irregolare e illegale dellapolitica, dando una lezione di moralità, sì,di moralità, al parlamento e al paese. An-che se non finirebbe per questo ad Ham-mamet. Vede, Amor nostro carissimo, senoi dicessimo queste cose per una sempli-ce questione estetica, o per non provaregli imbarazzi che sovente proviamo, sa-

remmo ridicoli e non avremmo titolo. Nes-suno ha titolo per piegare la politica alleproprie preferenze di esteriorità. Ma nonè per questo. E’ proprio la sua politica,quella che condividiamo e contempora-neamente no.

Andrea Marcenaro

Quando sta per dire qualcosail Cav si ricordi degli insegnamentiappresi dai salesiani, maestri divita eterna e meno

Il Cav. che vuole attorno a séchiunque sia pronto a combatteredeve poi agire di conseguenza:con gravitas eroica

Lei è una benefica anomalia,ma troppo spesso nega di esserloe risulta troppo furbo, per essereconsiderato uno statista

Rischia di vivere i suoi centogiorni da leone per farli sfumarein un giorno soltanto, quandoverrà tosato dai magistrati

Non “moderare i toni”, maordinarli allo scopo dellaliberazione di tutti i sequestratidall’aridità e dall’odio

Berlusconi sbaglia? Forse sì.Perché quello che dice oggi dovevadirlo fin dal quotidiano massacrodel 1994

Gentile presidente Berlusconi, lei ha ilpieno diritto di difendersi nei e dai

processi ingiusti che intendono colpirla eabbatterla come capo di un governo scel-to dagli elettori. Per riaffermare l’autono-mia della politica travolta dalla sciagura-ta cancellazione dell’articolo 68 della Co-stituzione, e in sostanza per difendere laseparazione dei poteri, tre personalità del-la politica come Antonio Maccanico, Rena-to Schifani e Angelino Alfano avevano pro-mosso un lodo, di quasi identica tessiturae approvato dalle Camere, il cui senso era:i processi al privato cittadino Berlusconi sifaranno, a prescrizione sospesa, quandol’uomo pubblico sarà cessato dalla sua ca-rica di governo. Ma coloro che la conside-rano un nemico assoluto, in procura o inredazione o in altri ambienti paracostitu-zionalistici, non vogliono che il cittadinoBerlusconi sia processato, altrimentiavrebbero approvato il lodo sulle alte cari-che. Vogliono invece sbalzarla di sella, perinteressi e passioni che si conoscono fintroppo bene, e così risolvere il problemadi una alternativa democratica sancita da-gli elettori, che tuttora latita malgrado siaperfettamente possibile (lei è stato oltrenove anni all’opposizione), e questo è intol-

lerabile uso politico della giustizia, intol-lerabile non per lei personalmente, che sela caverebbe anche meglio da privato cit-tadino, ma per la salute di una Repubbli-ca bene ordinata.

Facendo politica legittimamente, è an-che comprensibile che la sua autodifesa sisvolga nel teatro della politica. E che siaaspra, come si conviene a una situazione incui contro di lei sono scagliate passioni gol-piste e inaudite manifestazioni di odio e didisprezzo politico. Lei dunque non è neltorto quando intende trasformare in un re-ferendum sulla giustizia ingiusta le occa-sioni di confronto elettorale, e quando ri-corre per questo a una oratoria appassio-nata. Ma deve trovare le parole e le sedigiuste. Lei è il presidente del Consiglio deiministri, non Masaniello. L’umorismo aiuta,e talvolta lei ne è maestro, ma la codifica-zione del discorso politico in barzelletteno. Non aiutano gli apologhi incendiari, leomissioni quando si tratti di censurare glierrori della sua parte e dalla sua parte. Leideve fare il suo mestiere, governare l’Italia,definire un’agenda che dia ordine e signifi-catività agli atti del suo governo e della suamaggioranza, compresi quelli che riguar-dano la tutela del capo dell’esecutivo dal-

le attenzioni speciali di magistrati comi-zianti e degli intellettuali golpisti e ribal-tonisti oggi alla guida dell’opposizione edel gruppo lobbistico a lei avverso (Repub-blica-Espresso). L’armata dei suoi nemiciconta sulla sua riduzione al ruolo di impu-tato riluttante a farsi processare, e agiscecon spregiudicatezza per consegnarla auna funzione sediziosa, anti istituzionale,nel momento in cui è il loro profilo, la lo-ro attività, che ha un tasso intollerabile dinegazione dello spirito repubblicano. Leideve definire un programma, e attenervisicon rigore, che rispetti le prerogative delParlamento e dei poteri neutri, portando lacritica e anche una accesa iniziativa istitu-zionale, ripeto, nei luoghi giusti e trovandole parole adatte. Lei deve spiazzare, sor-prendere, unire ogni volta che questo èpossibile. Deve guardare al retroterra mo-derato delle tifoserie che militano per lei.Deve smascherare il progetto autoritario eneopuritano che caratterizza una falsa cul-tura di sinistra, deve ritrovare il tempera-mento liberale e libertario che fece di leiun campione di ottimismo e di spavalderianell’affermazione di una nuova immaginedella politica e dell’Italia. I suoi denigrato-ri oggi la vogliono così com’è o come appa-

re, sono felici di vederla in preda agli estre-mismi verbali, fuori controllo dal punto divista di una guida non solo carismatica, masapiente e politica, della parte di paese chesi riconosce nella sua esperienza. Contanosu un cedimento del suo esercito in politi-ca, su quella che definiscono come la di-sgregazione di un regime senza più altra in-telligenza che la autorità del suo capo, sof-fiano sul vento dell’eterno 25 luglio italia-no, e lo dichiarano apertamente. Ogni mat-tina lei deve proporsi il problema di sbu-giardarli, spiazzarli, dividerli, invece diconfermare davanti al paese l’immagine ar-tefatta alla quale vogliono consegnarla isuoi volenterosi carnefici.

Non è facile tutto questo. Combatterecontro il proprio carattere, specie se si siaun cittadino privato che è stato costretto adivenire uomo pubblico dalle circostanzesciagurate dell’Italia dei primi anni No-vanta, e messo sotto il fuoco di una campa-gna delegittimante che arriva a spiare lavita privata e a trasformare in reato la suavita personale, non è cosa semplice. Ma de-ve riuscirci, pena la sua rovina e la rovinapolitica di chi è con orgoglio, conlibertà e con ironia, da anni al suofianco.

Gentile Cav., i suoi nemici sono felici di vederla fuori controllo

(altri interventi nell’inserto II)

Page 6: IL FOGLIO - GariwoIl film tratto dal megaromanzo di Ayn Rand, “La rivolta di Atlante”, è un disastro, dicono impietosi i recensori. Le aspettative erano alte: l’opera, uscita

ANNO XVI NUMERO 93 - PAG II IL FOGLIO QUOTIDIANO MERCOLEDÌ 20 APRILE 2011

DIFENDERSI SENZA FARSI MALESuggerimenti foglianti per una lotta dura ma senza eccessi verbali, che ormai non convincono più

(segue dall’inserto I)

DUE CONSIGLI LETTERARI AL CAV.PER NON FINIRE COME RICCARDO III

Caro presidente, ho letto troppo spesso“Il Mercante di Venezia” per non sapereche certi tribunali possono arrivare adattentare la carne degli innocenti, amotroppo “Casa Desolata” di Dickens pernon sapere che ci possono essere proces-si grottescamente lunghi, e come Chester-ton e tutti i pessimi cattolici di buona vo-lontà ho una innata diffidenza sull’infal-

libilità dei giudici, visto come hanno trat-tato il Re dei Re. La mia simpatia per lei,quando hanno cercato in tutti i modi diraccontarci i suoi dopocena e di lapidar-la quasi fosse il più lussurioso dei sulta-ni, l’ultimo corruttore in un cosmo che isuoi stessi accusatori hanno voluto co-struirci attorno abolendo il bene e il ma-le, è solo aumentata, anche perché chi siail peggiore dei peccatori su questa terralo so, e non è lei. Sono io. Sono pronto afare le barricate contro chiunque attential “divino casino” che è il cuore di ogniuomo, a partire dal mio. Ma quando glistessi toni che la dipingono come un mo-stro e un dittatore vengono rivolti a chila attacca, questo lo trovo assurdo. Leiper primo li tratti da avversari e non co-me un manipolo di briganti che la accer-chiano nel Gethsemani, dopo il segnalelasciatogli dal bacio del traditore di tur-no. Difenda la sua vita privata senzaesporla in televisione e si difenda nellesedi appropriate, ma governi e ci facciavedere un’intelligente valorizzazione del-le risorse economiche e culturali del no-stro paese. Ci faccia vedere che sa com-battere anche per altro. Gli intellettualiscadenti che si sentono trecento giovanie forti nel gridare che lei è un tiranno daabbattere avranno il processo che li spet-ta e con una giuria esigente: nove, e tut-te Dee, quelle che hanno sbandierato perfarsi ospitare nei salotti che contano a di-

scettare sulla crisi della democrazia. Malei non faccia come Re Lear o Riccardo IIche passano tutto il tempo a tuonare chenessuno li capisce, e che son tutti terro-risti contro di loro. Si finisce davvero iso-lati come Riccardo III a barattare il re-gno per un cavallo.

Edoardo Rialti

L’ESASPERAZIONE DEI CONFLITTI NONPUO’ ESSERE NORMA DI CONDOTTA

E va bene per il leader carismatico, ilmago dell’antipolitica che parla al cuoredella gente, dicendo pane al pane e vinoal vino. Va bene pure per il disegno poli-tico di fare argine alla “malagiustizia”,denunciandone i vizi e gli abusi che so-no d’ostacolo alla separazione dei pote-ri, condizione irrinunciabile di un regi-me libero. E però, una volta ammessa lasingolarità del personaggio, una volta ri-

conosciuta la carica rivoluzionaria concui ha cambiato il costume politico italia-no, e persino legittimato il diritto di repli-ca agli attacchi continui, e forse in partedavvero persecutori, da parte della magi-stratura, anche il cittadino più filoberlu-sconiano del mondo, anche il più conqui-stato dalle prodezze del premier, si do-manda: non sarà il caso di porre un limi-te? Il metodo della provocazione perma-nente, l’aggressione costante contro i po-teri dello stato, le critiche al laser nei ri-guardi delle altre figure istituzionali, so-no davvero necessarie? Davvero servonoa corroborare il consenso del leader cari-smatico? O non sarà che Berlusconi staesagerando? Che stanco forse di vent’an-ni di lotta in prima fila, stia un po’smarrendo il sen-so delle propor-zioni?

Forse ilpresidentedel Consiglioin questomodo pensadi sedurre isuoi eletto-ri, di stre-gare e stu-pire, dimotivare emobilitarei moltisuoi aficio-nados, di-sposti a fa-re l’albasulle scaledel Palazzodi Giustiziaa Milano.Eppure, èproprio inmezzo a lo-ro, fra il po-polo deglientusiasti dellaprima ora e degli irriducibili,dei sempre pronti a partire lancia in re-sta contro l’ipocrisia e il tartufismo dellapolitica, che comincia a serpeggiare ildubbio. E così, molti adesso appaionoperplessi davanti alla deriva irrefrenabi-le di un leader, sia pure carismatico, chesi diverte a elevare l’esasperazione del

conflitto a norma di condotta, che non siperita di accusare di eversione la stessamagistratura inquirente, e ferirla nel suostesso principio di legittimità. Tanti sem-brano insofferenti. Si convincono cheseppur giusto in teoria, il metodo rischiin pratica di risultare fallimentare, per-ché anziché indebolire la parte avversa,finisce per rafforzarla e indebolire il lo-ro mito, il demiurgo dell’antipolitica, del-la rivolta del cittadino contro l’establish-ment. Perciò, adesso, anche i più miti, an-che i più rassegnati, anche i più scetticio i più divertiti fra i fedelissimi di Berlu-sconi, sembrano tentati di prendere unabuona volta l’iniziativa e dire: “Attenzio-ne! Sta esagerando, presidente”. Bastascherzare col fuoco. E soprattutto basta

insistere con numeri da cabaret suidrammi di milioni di italiani. A cheserve propalare barzellette sconce,

e umiliare in pubblicotanti ricercatori

d’eccellenza?Con 1.500 euroal mese pos-sono purepermettersi

di infilarsiuna giacca che

non si abbottonae un paio di scar-

pe marroni sul pan-talone blu. Il tempodella risata idiotarischia di esserescaduto.

Marina Valensise

DIRITTO DI DI-FESA E GIUSTITONI PER RI-CALIBRAREL’ I M P E G N OPOLITICO

Silvio Berlu-sconi era riusci-

to nell’impresa,apparentemente di-

sperata, di sottrarsi alla tenaglia dell’ini-ziativa giudiziaria contro di lui simulta-nea alla rottura dei finiani, e c’era riusci-to sul terreno più difficile, quello dei rap-porti di forza parlamentari. Di fronte aopposizioni che avevano fallito il disegno

ribaltonista, si era aperta una prospetti-va di stabilità della legislatura, da riem-pire di contenuti riformistici che com-prendessero la giustizia ma non fosserocompletamente assorbiti da questa. Ber-lusconi ha commesso l’errore di concen-trare la sua presenza pubblica solo suquesto argomento, assumendo un atteg-giamento ritorsivo cheoscura la denunciadella persecu-zione di cui èoggetto e chelo fa apparireinvece comeun persecu-tore dei giu-dici. Ha per-sino fornitopretesti perfarlo passa-re come in-sensibile al-le vittimedel terrori-smo nellamagistratu-ra.

Berlusconiha diritto adifendersi daquella chec o n s i d e r auna campa-gna giudizia-ria ispiratadalla politicaanche in ter-mini politici,ma deve azzeccareil tono e gli argomenti se non vuole chequesto “eccesso verbale di legittima di-fesa” diventi controproducente, come stapalesemente accadendo. Il fatto che iprovvedimenti per la ripresa economica,che saranno insufficienti ma che sono co-munque qualcosa e vanno nella direzio-ne necessaria, siano stati approvati inuna pausa dei lavori parlamentari domi-nati dal processo breve, è un segnale diquesto squilibrio nell’attenzione dovutaai problemi e alla loro urgenza e gravità.Se è ancora in tempo per farlo, al presi-dente del Consiglio conviene ricalibrareil suo impegno personale, dedicandolod’ora in poi soprattutto alla difesa dei cit-

tadini, non alla propria come ha fatto, le-gittimamente ma in modo politicamenteerrato e soprattutto quasi esclusivo, nel-l’ultimo periodo.

Sergio Soave

ABBIAMO VISTO SOLO UNA PALLIDAIDEA DELLA SUA FURIA A VENIRE

Il Cav. picchierebbe dun-que troppo duro e stor-to. Forse. Però non sipuò dire che fra gover-no, maggioranza eprocura di Milano edintorni sia in corsol’ultimo scontro, chenel paese corra un cli-ma da guerra civilefredda, produrre a so-stegno di questa tesisolidi argomenti e poichiedere al premierinusitato fair play isti-tuzionale. Perchénon è nella sua na-tura. Perché nonconosce altro mo-do di battersiche riducendotutto il frontealla coppiaamico-nemi-co. Perchénon conosceil fioretto ma

lo spadone enon lo scopria-

mo oggi. Perché infine ilrisultato delle amministrative a Milano lovede, a giusto titolo, come un test sulla te-nuta nazionale del centrodestra.

Allora possiamo esserne certi: quelloche il Cav. ha fatto finora è solo una pal-lida idea della sua furia a venire.

Non si può pretendere che possa ave-re senso della misura, che eviti parole pe-santi come piombo: quando si è accer-chiati ci si difende con ogni arma a dispo-sizione. E non è solo per paranoia se nonriesce a trovare né interlocutori né spon-de fra gli avversari e si sente come a FortAlamo, stretto dall’armata di un genera-le che non vuole fare prigionieri.

Prendiamo la storia dei manifesti“scellerati”. Una immane fesseria, un au-

togol del centrodestra anche se non ri-conducibile direttamente al partito delpremier.

Hanno suscitato comprensibile indi-gnazione, sia pure con tutta la bolsa reto-rica di cui siamo capaci ogni qual voltasi commetta vilipendio verso le istituzio-ni. Ad occhio però – e anche in punto didiritto – un reato di opinione è pur sem-pre meno grave o comunque più tollera-bile socialmente di quanto debba esser-lo un abuso giudiziario. Eppure nessuno,né Napolitano né Bersani, dopo aver stig-

matizzato l’accaduto, si è sentito in dove-re di spendere una parola in difesa del-l’autore, tal Roberto Lassini, che sarà pu-re un “orrendo berlusconiano” ma è pursempre l’ennesimo “homo politicus” in-quisito, tenuto un mese in carcere e qual-che anno nel tritacarne, prima che l’ono-revole istituzione gli dicesse ci siamosbagliati, lei è innocente, non ha fattonulla di illegale. Certo abbiamo distruttola sua vita, ma come si dice chi ha avutoha avuto, chi ha dato ha dato e “scurdam-moce o’passato”.

Nessuna democrazia, nessun ordina-mento sono al riparo da un magistratoche sbaglia ma nessuna democrazia è ta-le se non cerca di evitare che l’errore siripeta con la stessa frequenza allucinan-te che c’è in Italia. Basterebbe questaapertura di buon senso per far sentire ilCav. meno solo.

E magari convincerlo che ci si puòbattere anche con altre armi. Ma finquando non si aprirà uno spiraglio siapure minimo, si andrà avanti così. Sem-mai il Cav. dovrebbe chiedersi se non ve-de segni di stanchezza fra i suoi stessielettori. Domenica, a Milano, la platea èapparsa poco entusiasta, non proprio inestasi di fronte alle battute, poco sensi-bile al fascino dello chansonnier. Gli ef-fetti di manica, gli artifici retorici sonoarrivati smorzati, senza la forza dirom-pente dell’immediatezza. Il grande co-

municatore per ora ha qualche difficoltàa creare la solita dinamica vincente e ilpiù delle volte sembra che reciti secon-do copione.

Lanfranco Pace

La provocazione permanente,l’aggressione costante contro ipoteri dello stato, le critiche allaser, sono davvero necessarie?

Quando gli stessi toni che ladipingono come un mostro e undittatore vengono rivolti a chi laattacca, questo lo trovo assurdo

Dovrebbe chiedersi se non vedesegni di stanchezza fra i suoi stessielettori. Domenica, a Milano, laplatea è apparsa poco entusiasta

Anche il cittadino piùberlusconiano del mondo, il piùinfatuato dalle sue prodezze, senteil bisogno di porre un limite

Gentile presidente della Repubblica,lei ha una solida formazione politica

e sa che il linguaggio istituzionale è fattodi dosaggi attenti e di equilibri molto de-licati. Nella sua eminente funzione di cu-stode della Costituzione e di garante delregolare funzionamento del sistema re-pubblicano, e dello stato di diritto, lei fasforzi encomiabili per non cedere allapartigianeria, per non dare illegittimasoddisfazione a quanti le chiedono bruta-lità politica e spirito di fazione. Però nel-le ultime settimane noi abbiamo ascolta-to la sua parola, forte e autorevole, nel so-lo caso del manifesto milanese in cui leprocure vengono equiparate alle Brigaterosse, un esempio di insensibilità politicache ha per risvolto simbolico, come ab-biamo scritto subito, una “vera indecen-za”. Un atto autolesionista, ma che feriscela memoria delle vittime in toga del terro-rismo brigatista, e che non è giustificabi-le nemmeno da parte di chi sia stato vit-tima della malagiustizia. Alle parole dideprecazione lei ha deciso di dare inten-sità e durata riparatoria con una giorna-

ta in cui l’onore restituito alla memoriadei giudici assassinati, dovuto, sarà pur-troppo sovrastato da una feroce strumen-talità politica a sfondo elettorale. Pazien-za. Ciò che tuttavia è criticabile, con il ri-spetto dovuto alla sua persona e alla suafunzione, è il sorvolare su altri eventi diinaudita gravità che si sono succeduti neltempo recente.

Un magistrato in servizio, impegnato ininchieste delicate che riguardano l’usodei pentiti di mafia o dei mezzi pentiti ra-teali, uno scandalo per lo stato di diritto,ha tenuto un comizio in piazza contro undisegno di legge di riforma costituziona-le all’esame del Parlamento. Un altro ma-gistrato ai vertici dell’Associazione di ca-tegoria dei togati ha parlato di una mag-gioranza parlamentare moralmente dele-gittimata a legiferare. Si moltiplicano gliattacchi alla divisione dei poteri, e conessi la violazione di un principio, mal co-dificato anche come illecito disciplinare,qual è quello della riservatezza e dell’e-quilibrio nella funzione dell’indagare edel giudicare. Non posso dire che lei non

abbia mai censurato con autorevolezzaquesti atteggiamenti gladiatori di magi-strati, anzi lo ha fatto in occasioni solen-ni, ma nel dosaggio lei ha scelto di calca-re la mano su un’opinione gravementecensurabile mentre, pur non avendo di-retti poteri di intervento disciplinare, halasciato correre, nel suo ruolo di persua-sione morale, su un attacco altrettanto senon più insidioso alla pace civile e al re-golare funzionamento delle istituzioni inquesto paese: la rumorosa rivolta dei ma-gistrati contro il potere legislativoespressione della sovranità popolare.Lei, gentile presidente, è a capo del Con-siglio superiore della magistratura, e nonè accettabile anche solo il sospetto di unasua sottovalutazione del problema checerco di rappresentarle e che la riguar-da direttamente.

Lo stesso può dirsi della affermazione,da parte di un esponente molto noto del-la nomenclatura politica e intellettualedella sinistra, l’ex parlamentare AlbertoAsor Rosa, di una tesi mostruosa, di cuil’autore adesso si vergogna “accantonan-

dola”, tesi avanzata e discussa come unelemento di normale amministrazione nelpanorama scassato del discorso politicopubblico: la necessità di una “azione diforza dall’alto, coadiuvata da polizia e ca-rabinieri, per congelare le Camere” e at-tuare quello che tecnicamente può e devedefinirsi come un colpo di stato contro laCostituzione e le leggi della Repubblica.Anche questo è un tema che la riguardadirettamente, sul quale ha ritenuto di os-servare un rigoroso silenzio. Accolga, pre-sidente, queste mie critiche come un invi-to all’equilibrio, non come un tentativo discaricare opportunisticamente le respon-sabilità di chi ha concepito o avallato conimprudenti dichiarazioni, come ha fatto ilpresidente del Consiglio, il manifesto dirabbia incontrollata apparso sui muri diMilano. Siamo tutti in un precario equili-brio, e per questo la campagna di delegit-timazione della politica e delle istituzio-ni va stroncata dovunque si affacci, anchequando rivesta una patina di cultura salot-tiera o si copra dietro la funzionegiudiziaria. Con osservanza.

Presidente Napolitano, tutte le indecenze valgono l’esternazione

Il Foglio su Internetè ancora più grande:

- Le puntate di “Qui Radio Londra”

- Il meglio degli articoli in anteprima

- Nuove rubriche in esclusiva

- I video del Foglio catodico(e il bar sport di Lanfranco

Pace e Maurizio Crippa)

- La rassegna stampa on line

- Le biografie e i blogdei foglianti che commentano

i principali fatti del giorno

- Le vignette di Vincino a colori

- L’archivio del Foglio dal primo all’ultimo numero

C’è molto di più delle otto pagine

che stai sfogliando

www.ilfoglio.itmob.ilfoglio.it

Page 7: IL FOGLIO - GariwoIl film tratto dal megaromanzo di Ayn Rand, “La rivolta di Atlante”, è un disastro, dicono impietosi i recensori. Le aspettative erano alte: l’opera, uscita

ANNO XVI NUMERO 93 - PAG III IL FOGLIO QUOTIDIANO MERCOLEDÌ 20 APRILE 2011

Al momento c’è uno scenario miglioreper il medio oriente: la democrazia

metterà finalmente radici nel mondo ara-bo; e c’è uno scenario peggiore: gli estremi-sti islamici faranno naufragare il processodemocratico per promuovere la propriaagenda politica minacciosa con le elezioni.Tzipi Livni, ex vice primo ministro ed exministro degli Esteri di Israele, attualmen-te capo dell’opposizione e leader del par-tito Kadima, chiede alla comunità interna-zionale di adottare a livello mondiale ciòche le autentiche democrazie applicanogià a livello nazionale: un codice universa-le per la partecipazione a elezioni demo-cratiche. In questa intervista con il Foglio,Livni parla candidamente della questione,confidando che “per me si tratta di unaquestione molto importante perché sonoconvinta che può contribuire alla costru-zione del futuro”; e ci spiega anche perché“Israele non è un semplice osservatore”dei nuovi sviluppi della situazione medio-rientale e non deve “lasciarsi sopraffaredall’ansia”.

Livni spiega che cosa intende quandoparla dell’adozione di un codice universa-le per le nascenti democrazie del mediooriente. “Noi cittadini del mondo libero,quando parliamo di democrazia, intendia-mo qualcosa che va oltre le semplici libe-re elezioni; intendiamo anche un sistemadi valori condivisi. Ora, osservando i giova-

ni che scendono nelle strade per manife-stare, è chiaro che stanno combattendo peri propri diritti di cittadini e di esseri uma-ni; e questo fatto può contribuire a creareautentiche democrazie nella regione, cosache è anche nell’interesse di Israele. Cio-nonostante, dobbiamo comprendere che cisono gruppi estremisti che possono abusa-re a proprio vantaggio del sistema e ottene-re sempre più potere attraverso il processodemocratico. Prendiamo per esempio il Li-bano. In questo paese, che è una democra-zia, c’è una milizia armata chiamata Hez-bollah, che, secondo la risoluzione 1701delle Nazioni Unite, dovrebbe esseresmantellata dallo stesso governo libanese.Ma, proprio grazie al sistema democratico,questo partito sciita radicale, provvisto diun potente arsenale e animato da obiettivipolitici antidemocratici, ha potuto parteci-pare alle elezioni e ora possiede la forza el’autorità per determinare quale sarà laprossima leadership libanese. Ebbene,questo è assolutamente inaccettabile”.

“Nella maggior parte del mondo libero,in Israele, in Europa, negli Stati Uniti e indiversi altri paesi – continua Livni – chivuole partecipare alle elezioni deve adat-tarsi a certi precisi parametri di compor-tamento e accettare alcuni specifici valori.Per esempio, in Israele un partito non puòpartecipare alle elezioni se il suo program-ma politico contiene dottrine razziste o an-tidemocratiche. E’ stato questo il caso delmovimento Kach nel 1988. In altre parole,il punto è, a mio giudizio, che il mondo li-bero ha già da molto tempo riconosciutoche la democrazia non si riduce soltanto al-le elezioni, ma si fonda anche sui valori.L’Europa lo ha tragicamente imparato sul-la propria pelle negli anni Trenta. Per que-sto motivo, un codice democratico univer-sale può contribuire a fornire alcuni pre-cisi parametri comportamentali agli statiche stanno iniziando a percorrere un pro-cesso democratico. Si tratta in sostanza diesigere che ogni partito che si presenta al-le elezioni accolga, nelle parole e nei fatti,una serie di principi democratici fonda-mentali: rinuncia alla violenza e accetta-zione del monopolio di stato sull’uso dellaforza; perseguimento dei propri obiettiviattraverso mezzi pacifici; rispetto dello sta-to di diritto, uguaglianza di tutti di frontealla legge e rispetto degli accordi interna-zionali cui il proprio paese è vincolato.Inoltre, tale codice potrebbe servire comeguida agli osservatori elettorali e alle sin-gole nazioni per decidere se riconoscere aun determinato partito la legittimazione

di Amy Rosenthal

democratica. E farebbe in modo che tuttele società siano consapevoli del fatto chel’elezione di un partito non democraticoavrebbe ripercussioni internazionali estre-mamente negative”.

Quali misure, in concreto, dovrebbeprendere il mondo per far sì che un codi-ce universale sulle elezioni democratiche

in Egitto e altri paesi non rimanga letteramorta? “Facile. Una risoluzione per un co-dice universale sulla partecipazione a ele-zioni democratiche potrebbe essere adotta-ta in qualsiasi forum internazionale, alleNazioni Unite o al G8. Un forum di questotipo dovrebbe definire i parametri essen-ziali. L’obiettivo è promuovere un proces-

so democratico capace di accogliere tutti eche non possa essere dirottato per fini nondemocratici. In sostanza, non vedo nessu-no che sia contrario a questa idea”.

Secondo Livni, un’iniziativa della comu-nità internazionale potrebbe imprimereuna svolta positiva alla situazione. “Se nonsi agisce tempestivamente, questo concet-to rischia di essere scavalcato dagli even-ti. Un standard universale, applicato a tut-ti gli stati, capace di dare autorità a tutti co-loro che sono sinceramente impegnati a fa-vore della democrazia e di toglierla inveceagli estremisti che cercano di abusarne aproprio vantaggio offre un’ottima opportu-nità per promuovere le speranze del mon-do libero, placare le nostre paure e acco-gliere le richieste di migliaia di giovani intutto il medio oriente”.

La paura: in un’intervista rilasciata allaCnn poche settimane fa, il primo ministroisraeliano Benjamin Netanyahu sembravaquasi lamentarsi dei cambiamenti chestanno rivoluzionando il vecchio statusquo. “La mia risposta è che con la paura e

la preoccupazione non si costruisce una po-litica efficace. Oggi ci troviamo di fronte aun bivio e soltanto il futuro ci potrà dire sequesti cambiamenti sono positivi o negati-vi. Detto questo, ritengo che dobbiamo met-tere sul tavolo qualcosa di costruttivo. Edè proprio quel che ho cercato di fare. Co-me israeliana, so perfettamente che ciò checi unisce è la natura delle minacce cui ilnostro paese è esposto, ma credo che il ruo-lo dei governanti sia proprio quello di cam-biare la realtà, plasmare il futuro e propor-re soluzioni alternative. Per me è ormaichiarissimo che stiamo per affrontare lo‘scontro di civiltà’, e non soltanto tra diver-si stati e organizzazioni, ma anche all’inter-no di un medesimo stato, specialmente incaso di elezioni”. Secondo Livni, piangeresulla fine del vecchio status quo senza fa-re nulla non è un’opzione percorribile perIsraele. “I valori e le esperienze storichedel popolo ebraico ci impongono di acco-gliere la promessa di un reale cambiamen-to democratico”.

Quale paese della regione mediorienta-

le suscita in questo momento maggiore at-tenzione? “Abbiamo stabilito accordi dipace con l’Egitto e la Giordania. Perciò,mantenere questi accordi è per noi unobiettivo di grande rilevanza strategica. In-somma, sto concentrando la mia attenzio-ne su tutti i paesi che già hanno un accor-do di pace con noi, ma anche su tutti quel-

li che possono influenzare la possibilità diun futuro accordo di pace con i palestine-si”. L’ex presidente egiziano Hosni Muba-rak “ha sostenuto l’accordo di pace traEgitto e Israele e ha anche promosso unacompleta riconciliazione tra Israele e Pale-stina, qualsiasi cambiamento a opera diforze radicali e antidemocratiche solleve-

rebbe grandi preoccupazioni da noi. Per-ciò, osserviamo con attenzione quale potràessere l’esito finale di questi sviluppi”.

I palestinesi intendono sottoporre laquestione della fondazione di un propriostato a un voto delle Nazioni Unite entro ilprossimo settembre. Chiediamo pertanto aLivni se ritiene essenziale che Israele riav-vii il più presto possibile negoziati di pacecon i palestinesi. “Per come la vedo io – ri-sponde Livni – dobbiamo rispettare e con-servare i valori di Israele inteso come sta-to ebraico e democratico, e il solo modo perfarlo è quello di accettare e promuovere l’i-dea di due popoli per due stati. Ciascunostato deve saper trovare una soluzione perle aspirazioni nazionali del proprio popolo.Israele è la patria del popolo ebraico. Que-sto è un fatto essenziale e deve essere pre-servato. E il futuro stato palestinese dovràtrovare una risposta adeguata per le aspi-razioni nazionali dei palestinesi”.

Per Livni la fondazione di uno stato pa-lestinese “risponde non soltanto agli inte-ressi dei palestinesi ma anche a quelli diIsraele. Penso che Israele debba collabora-re con i palestinesi e con tutta la comunitàinternazionale per arrivare a un accordo,perché credo profondamente nei negoziatie in un’intesa che sia il frutto di negoziatidiretta tra israeliani e palestinesi. E il ri-sultato finale di questi negoziati dovrà es-sere un nuovo stato capace di soddisfare ipalestinesi ma anche di garantire a Israe-le la propria sicurezza: nessuno vuole unaltro stato terroristico nella regione. E pen-

so che questo risultato si possa realizzare.Ho già partecipato in passato a negoziaticon i palestinesi. E sebbene io sappia chela situazione nella regione sia ora estrema-mente incerta e nessuno sappia che cosaaccadrà in futuro, mi sembra che l’idea didue stati per due popoli sia la soluzione mi-gliore”.

I palestinesi vogliono sottoporre la que-stione al voto delle Nazioni Unite il pros-simo settembre. Crede davvero che al mo-mento sia possibile instaurare un autenti-co rapporto di fiducia tra i palestinesi el’attuale governo israeliano? Ecco la sua ri-sposta: “Sono il capo dell’opposizione e hodeciso di stare all’opposizione proprio acausa delle divergenze che ho con Ne-tanyahu su tale questione. E’ appunto que-sto il punto fondamentale sui cui mi trovoin disaccordo con l’attuale governo, ma misembra assolutamente chiaro che la stra-grande maggioranza degli israeliani la pen-sa come me: sono a favore dell’idea di unostato palestinese. Comprendono perfetta-mente quali concessioni bisogna fare perrealizzare questo obiettivo, e ci dobbiamoaugurare che anche i palestinesi la pensi-no allo stesso modo. Ma per esserne sicuric’è un solo mezzo: firmare un accordo. Iosono convinta che ci sia una concreta spe-ranza di pace, ma non posso far altro chebiasimare l’attuale governo israeliano peril fatto che non prende i giusti provvedi-menti per farla diventare realtà”.

Prima di accomiatarci, domandiamo an-cora a Livni quale sia la sua principalepaura e la sua più grande speranza per lostato israeliano. “Per noi la principale mi-naccia è quella rappresentata dalla Repub-blica islamica d’Iran, che incarna e pro-muove un’ideologia religiosa estremista,estranea al conflitto israelo-palestinese. Ilnostro conflitto non ha nulla a che fare conquesto estremismo di radice religiosa. Ep-pure, la questione israelo-palestinese vie-ne sfruttata da Teheran per ottenere il so-stegno degli elementi più radicali. Perciòquesta è ovviamente una minaccia non sol-tanto per Israele, bensì per il mondo inte-ro. E mi auguro che la comunità internazio-nale prenderà le misure necessarie per im-pedire all’Iran di dotarsi della bomba ato-mica. Quanto alla mia speranza per il futu-ro, è naturalmente quella di risolvere ilconflitto israelo-palestinese, nonché di ve-dere i paesi del medio oriente trasformar-si in autentiche democrazie, con le qualipotremo condividere non soltanto i confinima anche lo stesso sistema di valori”.

(traduzione di Aldo Piccato)

“Altrimenti finisce come inLibano, dove un movimentoarmato e antidemocratico sfruttail voto per conquistare il potere”

“Democrazia non vuol diresoltanto elezioni, che possonoessere dirottate, ma anche avereun sistema di valori condivisi”

Andare a elezioni senza un sistema condiviso di valori e di regole ha portato al potere Hamas nella Striscia di Gaza e Hezbollah in Libano

Roma. In Egitto circola un video, attri-buito ai Fratelli musulmani, in cui si diceche la laicità porterà minigonne, alcolici,droga, omosessualità. Le voci che si rincor-rono su questo video sono emblematichedel timore pressante che la confraternitaislamica, una volta al potere, possa rove-sciare lo stato civile al Cairo. Oggi ai Fra-telli musulmani si attribuisce fra il ventie il trenta per cento dei consensi (sarebbe-ro la forza egemone in Parlamento). InEgitto gli unici partiti organizzati sonoquello dell’ex regime di Mubarak e i Fra-telli musulmani. Loro hanno fatto votare idieci punti del referendum, hanno fattovarare la nuova Costituzione e hanno pro-grammato le elezioni legislative per il me-se di settembre.

Due giorni fa Mahmoud Ezzat, il segre-tario e vice Guida suprema dei Fratellimusulmani, ha annunciato: “Imporremo lasharia”. Ezzat, che avrebbe un’influenzamaggiore persino del leader MohammedBadie tanto da essere chiamato “l’uomo diferro” del gruppo, si trovava al Cairo perun forum nel distretto di Imbaba. C’era an-

che Saad al Husseiny, uno dei capi dellaconfraternita, che ha aggiunto: “Vogliamoimporre la legge islamica”. Ezzat ha dettoche “le punizioni della sharia impieghe-ranno del tempo”. Il suo discorso ha sca-tenato il panico fra i laici e le donne, inquanto queste punizioni prevedono il ta-glio della mano per i ladri e la lapidazio-ne per le adultere. “Nessuno può negareche le punizioni islamiche siano parte del-la religione”, ha detto Ezzat. La chiesacopta ha sospeso ogni dialogo con il grup-po islamico, perché sarebbero a rischio “iprincipi di uguaglianza e cittadinanza”.

La settimana scorsa Sobhi Saleh, leaderpolitico di “Giustizia e libertà”, il nomecon cui i Fratelli musulmani si presente-ranno alle elezioni, ha annunciato i pianiper “purificare le leggi”. L’alcol sarà proi-bito “in ogni luogo pubblico” e le donneavranno l’obbligo di indossare l’hijab.“Non mi importa nulla dell’opinione deilaicisti che sono contro la propria religio-ne”, ha detto Saleh. “L’islam è contro ladiffusione di un comportamento non etico,ed è proprio questa la differenza tra la de-

mocrazia islamica e la democrazia occi-dentale. Nell’islam tutto ciò che è controla religione va proibito in pubblico”. Die-ci giorni fa Issam Durbala, membro delConsiglio della Shura dei Fratelli musul-mani, ha detto che allo studio c’è anche lacreazione di una polizia della “modestia”,sullo stile di quella che opera in ArabiaSaudita per combattere i comportamenti“immorali” nelle aree pubbliche. “La nuo-va polizia deve avere un dipartimento conl’autorità di poter arrestare chi commetteatti immorali”, ha dichiarato Durbala.

Il maggiore giornale arabo in lingua in-glese, al Asharq alAwsat, ha scritto che “laluna di miele è finita”: i Fratelli musulma-ni hanno gettato la maschera. “Il movi-mento sta reclamando in maniera arrogan-te il 75 per cento dei seggi in Parlamento,ma la Fratellanza non punterà a più di unterzo dei seggi, sullo stile di Hezbollah inLibano”. E’ notizia di ieri che per la pri-ma volta dal 1979, l’anno della Rivoluzionekhomeinista, l’Iran ha nominato un suoambasciatore al Cairo.

Giulio Meotti

“Imporremo la sharia”. Annuncio choc in EgittoRoma. Nella notte tra lunedì e martedì

a Homs, la terza città più grande della Si-ria, il governo ha deciso di spazzare via iltentativo dell’opposizione di far nascereuna zona di libertà come è stata piazzaTahrir al Cairo o come è ancora la piazzadel Cambiamento davanti all’Università diSana’a, in Yemen. Le forze di sicurezza e letemutissime squadre di shabbiha – gli ir-regolari senza divisa ma armati che si oc-cupano della repressione più sporca –hanno svuotato la piazza della Nuova tor-re dell’orologio, prima sparando sui mani-festanti e poi inseguendo chi fuggiva per lestrade fino all’alba. Un corrispondentedella Bbc collegato via telefono con la pro-testa dice che il fuoco sulla folla – cheriempiva la piazza e si era organizzata inturni di guardia presentendo l’attacco not-turno – ha provocato almeno otto morti. Al-le prime luci di ieri Homs era una cittàfantasma: vie deserte, negozi e scuolechiuse, nessun movimento.

La gente aveva dimostrato coraggio conla sua presenza in piazza, perché domeni-ca con un’operazione molto simile le for-

ze di sicurezza siriane avevano già ucciso25 loro concittadini. Il totale dei morti daquando la repressione è cominciata hatoccato i 200, ma è come se il regime si pre-parasse ad azioni più pesanti, perché ieriil ministero dell’Interno ha avvertito i cit-tadini di “non partecipare ad alcuna ma-nifestazione sotto qualsiasi bandiera” –pure se sotto la vigente legge emergenzia-le sono già proibiti gli assembramenti dipiù di cinque persone. Come spesso capi-ta sotto il bastone dei regimi mediorienta-li, però, la legge è modulata secondo l’u-more quotidiano del governo – come sefosse un rubinetto da aprire o chiudere apiacere. Nei giorni scorsi il regime non hainvocato la legge, pure di fronte a protestedi massa, perché voleva mostrarsi illumi-nato. Ma, sicuramente, la legge non confe-risce il potere di sparare sulla folla. Il go-verno di Damasco ieri ha promesso di abo-lirla – era una delle richieste delle primemanifestazioni – ma è come se ormai que-sto annuncio fosse svuotato di senso e la si-tuazione troppo violenta per rassicurarein qualche modo i siriani.

Ieri il ministero dell’Interno ha anchedenunciato l’azione di bande di terroristisalafiti – ha cominciato a insistere su que-sto concetto dei “salafiti”, per dare unaconnotazione paurosa e ostile ai nemicidel regime – e a parlare di carichi di fuci-li intercettati mentre arrivavano dall’Iraqe destinati agli oppositori. Se fosse vero,si sarebbe invertita la circolazione di armie terroristi – che fino a oggi dalla Siria par-tivano per andare a combattere il governoin Iraq e adesso invece farebbero il per-corso contrario. Tre giorni fa l’uccisione ela mutilazione dei corpi di tre alti ufficia-li dell’esercito e dei tre bambini assieme aloro ha dato l’opportunità al regime di gri-dare “al terrorista”: può essere che qual-che elemento armato si sia unito alle pro-teste, ma c’è da ricordare che un documen-to segreto dell’intelligence siriana trapela-to pochi giorni fa raccomandava l’uccisio-ne di qualche membro del regime per at-tribuirne la responsabilità a bande di “de-stabilizzatori”. Tutto converge verso lospettro di Hama, la città rasa al suolo nel1982 per punirne gli abitanti ribelli.

La Siria prepara la repressione definitiva

Tzipi Livni ci spiega perché ai paesi del medio oriente serve un codice universale sulle elezioni prima di andare alle urne

VOTARE NON BASTA

“Due popoli per due stati. E’questa l’unica via per risolvere laquestione palestinese. Gli israelianine sono sempre più convinti”

“Con la paura e lapreoccupazione non si costruisceuna politica efficace. Israele nondeve farsi sopraffare dall’ansia”

Page 8: IL FOGLIO - GariwoIl film tratto dal megaromanzo di Ayn Rand, “La rivolta di Atlante”, è un disastro, dicono impietosi i recensori. Le aspettative erano alte: l’opera, uscita

ANNO XVI NUMERO 93 - PAG IV IL FOGLIO QUOTIDIANO MERCOLEDÌ 20 APRILE 2011