Il dizionario della Mafia [ArchivioAntimafia] · S ipotrebbedirechesicono-scevanodasempre.Duran-te...

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Amici d’infanzia, coetanei e colleghi Foto Ansa CORAGGIO /1 LE DUE STRAGI Entrambi palermitani del quartire della Kalsa e quasi coetanei, Giovanni Falcone (18 maggio 1939-23 maggio 1992) e Paolo Borsellino (19 gennaio 1940-19 luglio 1992), furono uccisi da due attentati dinamitardi a 56 giorni l’uno dall’altro. Con Falcone morirono la moglie Francesca Morvil- lo e gli uomini della scorta Vito Schifani, Antonio Montinaro Rocco Di Cillo. Con Borsellino, gli agenti Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina ed Emanuela Loi. C oraggio è una parola che non è faci- le usare quando si scrive di mafia. Il mondo mafioso, infatti, per rag- giungere i suoi obiettivi, piuttosto che il coraggio utilizza l’astuzia e, contro chi non si adegua, la violenza. Una violenza im- provvisa e oscura. Ma di coraggio bisogna parlare quando raccontiamo la storia di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che hanno perduto la vita perché hanno combattuto fino all’ultimo la mafia siciliana. Erano coscienti di quello che li aspettava. Sapevano per l’esperienza accumulata nella loro breve vita che non c’era da farsi illusio- ni. Cosa Nostra, questo è il nome che in Sici- lia è stato assunto dalla mafia, aveva identifi- cato in quei due giudici i nemici principali dell’organizzazione. Questo perché negli an- ni Ottanta il cosiddetto «maxi-processo» - che da Falcone e Borsellino era stato istruito - aveva sferrato a Cosa Nostra un colpo deci- sivo: decine di capi e sottocapi erano stati condannati come agenti di un potere che comminava pene anche mortali, senza ap- pello, a chi provava a opporsi. Anche a don- ne e bambini se si ribellavano o, semplice- mente, avevano avuto la sfortuna di vedere qualcosa che non avrebbero dovuto vedere. Falcone e Borsellino lottarono fino all’ulti- mo, in un certo senso attesero la morte, con- tro un’organizzazione che ormai era diventa- ta parte dello Stato e delle istituzioni pubbli- che. E proprio questa fu la loro angoscia: era- no perfettamente consapevoli che l’Italia sa- rebbe precipitata nel baratro se non fosse riu- scita a interrompere per sempre quella coa- bitazione nata in circostanze drammatiche negli anni tra il 1943 e il 1947 e andata avan- ti per l’intero periodo repubblicano. IL DIZIONARIO DELLA MAFIA Da Capaci a via D’Amelio IL COLPO PIÙ DURO A COSA NOSTRA A MANI NUDE CONTRO LA VIOLENZA STORICO Nicola Tranfaglia Falcone e Borsellino Due giudici contro 27 MARTEDÌ 1 DICEMBRE 2009

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Amici d’infanzia, coetanei e colleghiFoto Ansa

CORAGGIO/1

LE DUE STRAGI EntrambipalermitanidelquartiredellaKalsaequasicoetanei,GiovanniFalcone(18maggio1939-23maggio1992)ePaoloBorsellino (19gennaio1940-19 luglio 1992), furonouccisidadueattentatidinamitardia56giorni l’unodall’altro.ConFalconemorironolamoglieFrancescaMorvil-lo e gli uomini della scorta Vito Schifani, AntonioMontinaro RoccoDi Cillo. Con Borsellino, gli agentiAgostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina ed Emanuela Loi.

Coraggio è una parola che non è faci-le usare quando si scrive di mafia. Ilmondo mafioso, infatti, per rag-giungere i suoi obiettivi, piuttosto

che il coraggio utilizza l’astuzia e, contro chinon si adegua, la violenza. Una violenza im-provvisa e oscura.

Ma di coraggio bisogna parlare quandoraccontiamo la storia di Giovanni Falcone ePaolo Borsellino che hanno perduto la vitaperché hanno combattuto fino all’ultimo lamafia siciliana.

Erano coscienti di quello che li aspettava.Sapevano per l’esperienza accumulata nellaloro breve vita che non c’era da farsi illusio-ni. Cosa Nostra, questo è il nome che in Sici-lia è stato assunto dalla mafia, aveva identifi-cato in quei due giudici i nemici principalidell’organizzazione. Questo perché negli an-ni Ottanta il cosiddetto «maxi-processo» -che da Falcone e Borsellino era stato istruito- aveva sferrato a Cosa Nostra un colpo deci-sivo: decine di capi e sottocapi erano staticondannati come agenti di un potere checomminava pene anche mortali, senza ap-pello, a chi provava a opporsi. Anche a don-ne e bambini se si ribellavano o, semplice-mente, avevano avuto la sfortuna di vederequalcosa che non avrebbero dovuto vedere.

Falcone e Borsellino lottarono fino all’ulti-mo, in un certo senso attesero la morte, con-tro un’organizzazione che ormai era diventa-ta parte dello Stato e delle istituzioni pubbli-che.

E proprio questa fu la loro angoscia: era-no perfettamente consapevoli che l’Italia sa-rebbe precipitata nel baratro se non fosse riu-scita a interrompere per sempre quella coa-bitazione nata in circostanze drammatichenegli anni tra il 1943 e il 1947 e andata avan-ti per l’intero periodo repubblicano. ❖

IL DIZIONARIODELLAMAFIA

DaCapaci a via D’Amelio

IL COLPO PIÙDUROACOSANOSTRA

AMANINUDECONTRO

LAVIOLENZA

STORICONicola Tranfaglia

Falcone e Borsellino Due giudici contro

27MARTEDÌ

1 DICEMBRE2009

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Si potrebbe dire che si cono-scevano da sempre. Duran-te l’infanzia avevano divi-so lo stesso quartiere, es-

sendo entrambi nati a Piazza Ma-gione, in una Kalsa brulicanted’umanità e presto segnata irrime-diabilmente, lo é ancora oggi, daibombardamenti americani; l’azio-ne cattolica, nella chiesa di SanFrancesco d’Assisi, le prime amici-zie, le prime letture, i primi germidi una coscienza civile. Venivanoentrambi da famiglie di borghesiaoperosa, ma, in strada, avevanoistintivamente imparato a ricono-scere, oltre al proprio, un altromondo, diverso, più duro, con al-tri codici, altri linguaggi, altri mo-di di concepire la vita e le relazionicon gli altri. Sapevano, uno dell’ al-tro, tutto quello che c’era da sape-re. Si fidavano ciecamente, senzariserve mentali, senza tornaconti.Si capivano con un’occhiata, un ge-sto della mano, il ricorso a un ricor-do di quell’infanzia comune. Eranaturale che fosse così, essendocresciuti insieme. Poi, con gli anni,avevano imparato a stimarsi daprofessionisti, ma questo era venu-to dopo; quando sarebbero diven-tati «i colleghi della porta accan-to», nel bunker dell’ ufficio istruzio-ne di Palermo. E va da sé che furo-no sempre – rimanendolo sino alla

fine - veri amici. Il che, in una terradove il sospetto è un tarlo che primao poi corrode tutto, era un fatto che,da solo, aveva quasi dello straordi-nario.

Che due vite parallele comequelle di Giovanni Falcone e PaoloBorsellino, si siano concluse cometutti sappiamo, non fa parte, comecomunemente si crede, della storiadella mafia; fa parte, semmai, diquel loro modo intransigente, e sin-tonico, di volere fare le cose per be-ne, con molto scrupolo, senza mez-ze misure e sino in fondo. Poiché tut-to questo lo facevano dichiarata-mente contro la mafia, la mafia, conpiglio gelidamente notarile, non fe-ce altro che tirare la riga del dare e

dell’avere.Ecco allora che, più passano gli

anni e più, nell’immaginario colletti-vo, Capaci e via D’Amelio, i luoghiin cui persero la vita, sono destinatiquasi a identificarsi in uno solo, co-me sono destinate a identificarsi,nel ricordo, e a dispetto di ogni anni-versario, persino le date. Come seun’unica gigantesca vampata di fer-ro e di fuoco si fosse portata via duevite troppo parallele per essere sepa-rate, proprio in quella tragica dirit-tura d’arrivo, da quei 56 giorni deiquali, invece, danno pedantemente

conto le cronache.Giovanni Falcone, Paolo Borselli-

no. Ci si lasci dire: furono coerente-mente, e sino alla fine, «magistratid’onore». Un «onore» che, a chiac-chiere, era stato sempre appannag-gio esclusivo di quell’ altro mondo,duro e con altri codici, che loro, sida piccoli avevano imparato a cono-scere e detestare. E questo capovol-gimento di ruoli, che poi, grazie aloro, avrebbe fatto scuola e proseli-ti, fu vissuto dai criminali come unaffronto inaccettabile. Entrambi pa-garono con la vita, in moneta assaisonante, per le stesse cose. Entram-bi commisero lo stesso errore imper-donabile: l’essersi messi in testa checon la mafia non doveva essere cer-cata alcuna forma di convivenza. En-trambi non resistettero alla tentazio-ne di smuovere le acque in Sicilia,regione dove, quasi per definizione,persino un intero armamentario diproverbi aveva sempre sconsigliatoqualsiasi forma di larvato cambia-mento. Altro che il tutto cambi per-ché nulla cambi. La mafia, dal puntodi vista dei suoi biechi interessi, nonvoleva che cambiasse proprio nulla,ma davvero nulla. E che dire, ora?

Che Falcone e Borsellino per quin-dici anni costrinsero la mafia a balla-re la samba a suon di arresti, inchie-ste, perquisizioni? Che misero allecorde le «famiglie» americane degliSpatola, dei Gambino e degli Inzeril-lo? Che istruirono una sfilza di maxiprocessi? Che spaccarono una magi-stratura che, sino ad allora, avevasempre girato la testa dall’ altra par-te, forte con i deboli e debolissimacon i forti, come si diceva un tem-

po? Che scoperchiarono un santua-rio dietro l’altro? Che non rimaserospettatori passivi della guerra di ma-fia anni ‘80, mentre in passato gli in-vestigatori tiravano un sospiro disollievo perché «i mafiosi si ammaz-zavano fra loro»?

Che dire, ancora? Che andaronoalla ricerca delle ricchezze accumu-late illecitamente nelle banche diMilano come in quelle svizzere?Che scardinarono, dando ascolto aipentiti, un mondo segreto e sotterra-neo che, grazie al «valore» del-l’omertà, era rimasto da sempre im-penetrabile e sconosciuto alla gentecivile? O va ricordato che, per rende-re ancora più incisivo il loro lavoro,inventarono, sotto la guida di Anto-nino Caponnetto, il «pool» dell’uffi-cio istruzione? Che cascarono sem-pre in piedi, anche quando sembra-va che la manina di un certo Statoriuscisse, da sola, a fare quel lavorosporco che tutti i mafiosi agognava-no ma che non era facilissimo porta-re a termine? O va evidenziato chesapevano anche rivolgersi all’opinio-ne pubblica per lanciare un messag-gio che la sensibilizzasse finalmentecontro la mafia? Vogliamo dirlo che

I libri per capire lamafia«COSE DI COSA NOSTRA» Il testoscritto da Giovanni Falcone eMarcelle Padovani, edito dallaRizzoli.

SAVERIO LODATO

CORAGGIO/1

La storia

Si eranomessi in testa che conCosa nostra non doveva essere cercataalcuna forma di convivenza. Così scardinarono il mondo segreto dei boss

Si fidavano ciecamentel’uno dell’altro. La maniadi fare le cose per bene

[email protected]

Nientemezzemisure

Il gioco delle partidi duemagistrati d’onorein lotta contro lamafia

Vite parallele

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furono accusati di protagonismo?Di essere star dell’antimafia? Di con-cepire il lavoro del giudice comequello dello sceriffo? O dovremmodimenticare che entrambi furonomessi sotto accusa dal Csm, cucinatia fuoco lento da certi media dell’epo-ca, visti dai Palazzi romani, nellapiù benevola delle ipotesi, come fa-stidiosi guastatori che agivano allaprovincia dell’ impero? O, per fini-re, che il club degli «amici di Giovan-ni e Paolo» registrò un boom di iscri-zioni - oggi si direbbe di «contatti» - ,ma purtroppo solo dopo il loro estre-mo sacrificio?

Ci accorgiamo che sin qui, ma ètroppo tardi per rimediare, non ab-biamo fatto altro che scrivere: ma-fia e mafiosi; pur sapendo benissi-mo che quelle definizioni, se ai tem-pi di Falcone e Borsellino in qualchemodo delimitavano il problema, og-gi è diverso. Già a quei tempi, la ma-fia era una mafia politica. Falcone eBorsellino lo intuirono, ma non po-terono andare oltre. Ci sarebbero vo-luti anni e anni per svelare l’esisten-za di altre facce nascoste, la facciaistituzionale, la faccia politica quel-la economica. E ancora non ci sia-mo. Avendoli conosciuti entrambi,

ci preme dare una testimonianza so-lo di dettaglio di quanto siano stateparallele le loro vite. Noi cronisti, èproverbiale, andiamo sempre in gi-ro a far domande per poi scriverequello che si trova (più o meno). Co-minciamo col dire che, se per caso,andavi nel loro ufficio un’ora primache fossero sul punto di scatenareuna micidiale offensiva giudiziaria,di questo clima di vigilia non trape-lava assolutamente nulla. Nel loroaccampamento non percepivi alcunsegnale di mobilitazione, di fibrilla-zione. Il che, come si può ben capi-re, mandava in bestia gli avvocati pe-nalisti che speravano, annusandol’aria, di captare invece segnali chepotessero tornare utili ai loro clientimafiosi. Se il cronista si faceva piùaudace, Falcone, che magari nonaveva intenzione di rispondere, elar-giva un bel sorriso e un invito laconi-co: «chiedilo a Paolo». Se il cronistaaccettava il suggerimento, altro sor-riso, ma in questo caso sotto i baffi,e altro consiglio laconico: «lo chiedaa Giovanni». Uno dava del tu, l’altrodava del lei. Magistrale gioco delleparti, magistrale interpretazione,fin nei minimi dettagli, di due viteparallele. ❖

Il libro

I processi

Perché Falcone? Sintesiragionata del processo

Strage di via D’AmelioIl 18 dicembre del 2000 si concludeil primo dei tre tronconi nei quali èsuddiviso il processo. La Cassazio-ne rende definitive alcune condan-ne,tracuiquellaa18anniperilpenti-to Vincenzo Scarantino.

Il cosiddetto Borsellino bis termi-na invece, in via definitiva, il 3 lugliodel 2003 con 13 ergastoli nei con-fronti di mandanti ed esecutori, tracui Riina, Biondino, Graviano ed al-tri.Mentre il Borsellino ter, giunto inCassazionenelgennaiodellostessoanno, subisce un parziale annulla-mentoconrinvioallaCorted’Appel-lodiCatania.Doveverràunificatoalprocesso per la strage di Capaci il 9luglio del 2003.

Strage di CapaciIl processo, dopovarie vicissitudini,giunge in Cassazione il 19 aprile2003, dove viene parzialmente rin-viatoeappuntounificatoalBorselli-noter. 13bossaccusatidiesseretra imandanti della stragedovrannoes-sere nuovamente giudicati.

Processo unificatoInizia il 15maggio del 2003 e termi-na in Cassazione il 19 settembre del2008 con 13 condanne all'ergasto-lo.

La novità SpatuzzaNegliultimimesi ledichiarazionidelpentito Spatuzza hanno rimesso indiscussione la versione di Scaranti-no facendo riaprire le indagini sullastrage di via d’Amelio. Hanno forni-toinoltrenuovielementichepotreb-bero portare all'identificazione deimandanti esterni.

Agenda RossaSièchiusaconunasentenzadefiniti-va di non luogo a procedere,moltocontestata, la vicenda della agendarossa di Paolo Borsellino, in cui an-notava lesueconsiderazionipiùde-licate, scomparsa negli attimi suc-cessivi allo scoppio della bomba

Sito di informazionesu Cosa Nostra

Il tradimento e la tragedia«FALCONE E BORSELLINO» di GiommariaMonti,Editori Riuniti. La calunnia, il tradimento, la tragedia.La Corte di Cassazione nel novembre del 2004si pronuncia sul fallito attentato all’Addaura.

Il sito del Ministerodell’Interno

Sono ancora senza nomeimandanti delle due stragi

Lungo e travagliato l'iter deiprocessi per le stragi di Capa-

cieViaD'Ameliochehannodefinitole responsabilità di molti esecutorimateriali, ma non dei cosiddettimandanti esterni.

PERCHÈFUUCCISOGIOVANNI FALCONE

www.antimafiaduemila.com

Gli inediti«GIUSTIZIA E VERITÀ» Sono gli scrittiinediti del giudice Paolo Borsellino a curadi Giorgio Bongiovanni(ACFBAssociazione culturale Falcone e Borsellino)

www.interno.it

EDIZIONI RUBETTINO

Approfondimenti

«Perché fu ucciso Giovanni Fal-cone?» di Luca Tescaroli, Ed. Rubetti-no. È la sintesi ragionatadel percorsodi indagine intrapresodal giudice Lu-caTescaroli,chesioccupòdelproces-soper lastragidiCapacineiprimiduegradidigiudizio,allaricercadellaveri-tà. Fondamentale anche per com-prendereil contestostorico incuima-turò il delitto.

Per saperne di più

DI LUCA TESCAROLI

Da sinistra in senso orario. Unmomento dellamanifestazioneper non dimenticare la strage divia D'Amelio. La «nave dellalegalità» 2007. Un gruppo dibambini in via D' Amelio, inmemoria di Paolo Borsellino. Lafoto della strage. Al centroFalcone e Borsellino.

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Assassino e «pentito»

ORRORE/2

IL KILLER DI UN BAMBINO È stato il killer più feroce di Cosa Nostra. Ha confessato più di 150omicidi.Haanche ilprimatodell’orrore.PerchéGiovanniBrusca (SanGiuseppeJato, 1957)nonsoloful’uomocheazionò labombadella stragedi Capaci,maordinò il sequestroe l’omicidio diGiuseppeDiMatteo, 13 anni, la cui unica colpa era quella d’essere il figlio di un pentito. Ruolo che nel 1996, dopol’arresto, è stato assunto dallo stesso Brusca cheoggi è unodei principali «collaboratori di giustizia».

Nella storia della mafia siciliana(ma in questo non ci sono grandidifferenze con le altre mafie, italia-ne e straniere) la ferocia sembra

crescere in modo proporzionale all’esten-dersi dei traffici e alla sete di guadagno.Questo è quanto ci suggerisce la conoscen-za sempre più precisa di alcune delle azionirecenti di Cosa Nostra. Vicende efferate co-me l’uccisione del piccolo Giuseppe Di Mat-teo, il cui cadavere fu sciolto nell’acido, ocome le stragi compiute con l’uso di esplosi-vi.

Ma va detto che non possiamo essere cer-ti che, in passato, non si praticasse, con stru-menti magari diversi, la stessa sanguinariaferocia. Questo, d’altra parte, è un genere didubbio che condiziona sempre il lavoro del-lo storico quando le fonti di cui dispone nonsono sufficienti.

Ma forse la differenza tra il passato e ilpresente, la più profonda, sta proprio neltempo. Perché è quando alla disponibilitàdi strumenti per uccidere più facilmente siaggiunge la fretta, l’urgenza di agire (maga-ri per arrestare l’effetto valanga di certi pen-timenti) che la ferocia, e l’orrore, non han-no più argine. E tra le vittime della mafiacominciano a esserci le donne e i bambini.

Anche se, alla fine, non tutti sono in gra-do di compiere certe azioni. Non è un casoche a mettere in atto i crimini più feroci traquelle compiuti da Cosa Nostra siano statiuomini come Salvatore Riina e GiovanniBrusca, cioè uomini di campagna, abituati aun certo rapporto con gli animali. Non han-no fatto altro che trattare alla stregua di ani-mali gli uomini (le donne, i bambini) cheavevano individuato come nemici o anchesolo come ostacoli al loro potere.❖

IL DIZIONARIODELLAMAFIA

L’omicidio di GiuseppeDiMatteo

LAFEROCIAECOSANOSTRA

I MODERNISTRUMENTIDIMORTE

STORICONicola Tranfaglia

Giovanni Brusca Più di centocinquanta omicidi

35MERCOLEDÌ2DICEMBRE

2009

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Parliamo di macelleria ma-fiosa, con una premessa.Uno degli stereotipi piùdiffusi e difficili da sradi-

care, consiste nella convinzioneche i mafiosi siano naturalmenteviolenti, predisposti cioè, per unadiversità innata, alle efferatezzenei confronti dei loro nemici, sia-no essi rappresentanti dello Stato,siano mafiosi come loro i quali,per una qualche ragione, si trova-no, in un momento della vita, dal-la parte sbagliata. Le cose stannodiversamente. I mafiosi, come os-servò Falcone, praticano la violen-za solo quando la vedono comel'unico strumento per perseguire iloro interessi affaristici e di pote-re. Ricorrono all'omicidio quandotutte le altre strade - discorsi, con-sigli, avvertimenti, minacce, attiintimidatori, tentativi di corruzio-ne se si tratta di un funzionario, ealtro ancora - non hanno ottenutol'esito sperato, o perché l'interessa-to non capisce, o fa finta di noncapire o, peggio ancora, crede dipotercela fare da solo.

Nella sua storia secolare, Co-sa Nostra, a quel che se ne sa, nonha mai agito d'impeto. Prova nesia che, per decenni, la monetacorrente del senso comune risiede-va in favole ben congegnate: la

mafia riparava i torti, addrizzava lestorture provocate dall' assentei-smo statale, non toccava le donne ei bambini, meno che mai torturavagli adulti, non indulgeva allo stragi-smo. Che l'esaltazione di questanon violenza servisse a coprire l'al-tra violenza, quella che si manife-stava, ad esempio, a colpi di luparanelle campagne, prima che venisse-ro alla ribalta le calibro 38, spiegasolo che la mafia non è un'istituzio-ne con finalità benefiche e che, ordi-nariamente, mette in conto di ricor-rere al delitto. Se gli «atti parlamen-tari» della mafia - è un'iperbole- fos-sero noti, si scoprirebbe quanti pro-cessi a porte chiuse si susseguirononegli anni '60 nel tentativo di scopri-re chi c'era dietro le Giuliette Alfa

Romeo imbottite di tritolo; primaforma di gangsterismo di derivazio-ne americana che la mafia più anti-ca e tradizionale non gradiva perniente.

Altra cosa era l'accanimento sulcadavere: il sasso in bocca - il cuisignificato diventò di dominio pub-blico nel 1970 grazie al film di Giu-seppe Ferrara con consulenza delloscrittore Michele Pantaleone - a si-gnificare la causale del delitto: lavittima aveva svelato a estranei i se-greti dell' organizzazione; i genitaliin bocca, a significare una diversa

causale del delitto: la vittima avevaavuto una storia amorosa con unadonna «impegnata», peggio ancorase «impegnata» con un mafioso; ma-no o dita tagliate, a significare chel'ucciso si era appropriato di ricchez-ze non sue; eccetera. La mafia face-va corrispondere ad ogni omicidioun «segno» che serviva da monitoper l'intera comunità di un paese odi un quartiere, e che, in ultimaistanza, mandava persino a dire al-la locale caserma dei carabinieriche quello tutto era tranne che undelitto «gratuito». Nel 1948 fu enor-me lo sdegno per l'uccisione del pa-storello Giuseppe Letizia, che a 13anni assistette, fra i dirupi di Corleo-ne, all'esecuzione del sindacalistaPlacido Rizzotto. Letizia fu uccisoin quanto «testimone» che potevamettere a repentaglio gli interessidi Luciano Liggio e Michele Navar-ra, allora astri nascenti della mafiacorleonese.

È con l'avvento dell' eroina, econ la centralità che la mafia sicilia-na acquista nel traffico mondiale -grazie alla sua capacità di raffinazio-ne - che la violenza, sotto ogni for-ma, si incrementa in maniera espo-nenziale: dalla guerra degli an-ni'80, in cui i clan furono decimatidai corleonesi, alla sfida ai rappre-sentanti dello Stato che si stavanoopponendo a quel gigantesco affa-re e a quella mattanza. Da allora,non ci sarà più posto per le favolet-te: saranno uccise le donne (pensia-mo a madri, mogli, sorelle, cognatedei «pentiti»); saranno uccisi i bam-bini (pensiamo a Claudio Domino o

Giuseppe Di Matteo); sarà introdot-to l'uso dell'interrogatorio sotto tor-tura (pensiamo alle camere dellamorte, valga per tutte il sinistro ca-solare di San'Erasmo lungo la stata-le Palermo - Messina) fatte trovaredai collaboratori di giustizia; l'usodei cimiteri di mafia; dell'incapret-tamento, con la morte che soprag-giunge dopo lenta agonia; o, varian-te meno macchinosa, l' impiccagio-ne utile a simulare un suicidio. E an-cora: l'acido, in quantitativi quasi in-dustriali, per sciogliere i cadaveri eimpedire che singole tracce potesse-ro favorire una pista investigativa; irituali macabri, che sfociavano inautentico sadismo, di «ultime cene»dove tutti i commensali, tranneuno, sapevano in che cosa si sareb-be risolto il «dopo cena». La violen-za era diventata una catena di mon-taggio nel cui ingranaggio si finivaper un nonnulla.

E se Totò Riina, proverbiale perla sua ferocia, fu il primo capo dellacupola che liberalizzò in forme tan-to aberranti il ricorso alla violenza,e dandone lui stesso prova in più diun'occasione, sarà Giovanni Bru-sca, molto più giovane di Riina, l'au-tentica espressione della saga nera

Unmagistrato d’onore«STORIA DI GIOVANNI FALCONE»

di Francesco La Licata, Ed. Feltrinelli.La vita di Falcone,magistrato chevoleva sconfiggere lamafia.

SAVERIO LODATO

ORRORE/2

La storia

Il codice della tortura. Con eroina e pentiti lamafia cambiò le regole. Centinaiadi delitti: «Bisognava colpire tutti quelli che volevano spartire la torta»

[email protected]

Una catena dimontaggio nella quale sifiniva per un nonnulla

PALERMO

La violenza

Adestra la foto del piccoloGiuseppeDiMatteo, ucciso e scioltonell’acido. Aveva appena tredicianni e l’unica colpa di essere figliodi un pentito. Sopra una sua fotoinedita scattata durante ilsequestro. In basso la fotosegnaletica del capomafiaMimmoRaccuglia, arrestato il 15 novembre.

QuandoBruscami disse«Ho strangolato e scioltocadaveri nell’acido»

Assassinare un bambino

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dell' orrore criminale. Di «segni» e«segnali» da inviare all'opinionepubblica non c'era più alcun biso-gno. Perché questo cambio di regi-stro? Perché Cosa Nostra, con que-sta impennata sanguinaria, non fe-ce altro che - la similitudine va dasé- stringersi da sola la corda al col-lo?

Giovanni Brusca, quando ci in-contrammo nel carcere di Rebib-bia, estate 2009 - per il libro intervi-sta «Ho ucciso Giovanni Falcone»(Oscar Mondadori)- , mi offrì, a taleproposito, dal suo punto di vista, ri-sposte logiche. La prima: l'immen-so fiume di danaro del traffico dell'eroina fece impallidire in un attimoi proventi tradizionali della mafiain decenni di vita relativamente«tranquilla»: se pascoli abusivi, ma-cellazione clandestina del bestia-me, traffico di sigarette di contrab-bando, speculazione edilizia, ta-glieggiamento, producevano un fat-turato pari a 10, con l'eroina quel10 era diventato 1000. Va da sé chenon era più sufficiente la media diun delitto al mese per tenere le cosein ordine: di delitti ce ne volevano abizzeffe, tanti quanti erano quelliche pretendevano di suddividere la

torta.Brusca si presentò così: «Ho com-

messo e ordinato più di cento delit-ti... meno di duecento. Ho strango-lato... Ho sciolto i cadaveri nell' aci-do muriatico... E molti li ho carbo-nizzati su graticole costruite appo-sta». Rendeva l'idea.

La seconda: l'effetto devastantedelle collaborazioni di ex boss e pic-ciotti che provocavano piccole slavi-ne, quando non autentiche valan-ghe repressive. In entrambi i casi, ilproblema era la lotta contro il tem-po. Per questo morirono migliaia dipersone, mafiosi, parenti, amici, co-noscenti o gente che passava per ca-so; per questa stessa causale moriro-no magistrati, poliziotti, carabinie-ri, funzionari, imprenditori, giorna-listi e uomini politici. Sempre per lalotta contro il tempo, Brusca diedeordine a una ventina di mafiosi ditre province siciliane di sequestrareprima, e uccidere poi, il figlio di San-tino Di Matteo; con l'obbiettivo di-sperato che il padre ritrattasse lasua confessione. Infine, c'è lo stragi-smo, ma richiederebbe un altro arti-colo a parte (non in contrasto, però,con quanto abbiamo scritto sino adora). Ché sempre di orrori si tratta,e su scala più vasta. ❖

Il libro

Giovanni Brusca

I libri per capire lamafia«CACCIATORE DI MAFIOSI» diAlfonsoSabella,Monda-dori. Sabella, magistrato, ha catturato Bagarella e Brusca,ha visitato le camere della morte dove avvenivano letorture e le uccisioni più cruente e raccolto i racconti.

Storia di un boss: gli studiinterrotti, il primo omicidio

Il bossFiglio d'arte, nato nel 1957, viene«combinato» tra il '75 e il '76 da Sal-vatoreRiinaedentraaparpartedelmandamentodi SanGiuseppeJato,capeggiato da suopadre, BernardoBruscaalquale succederànellagui-da delmandamento.

Il soldatoPercontodiCosaNostra,durante lasua carriera criminale commette eordina personalmente oltre cento-cinquanta omicidi. Ai magistrati di-rà: «Ancora oggi non riesco a ricor-dare tutti, uno per uno, i nomi diquelli che ucciso.Molti più di cento,di sicuromeno di duecento».

Il mostroNell'immaginariocollettivoèperòri-cordato,soprattutto,comel'assassi-nodiGiovanni Falconee ilmandan-te dell'omicidio del piccolo Giusep-pe Di Matteo, figlio del collaborato-redigiustizia SantinoDiMatteo, uc-ciso all'età di 13 anni.

La collaborazioneViene arrestato il 20 maggio del1996 e quasi subito si pente. All'ini-zio la sua collaborazione con la giu-stizia non è parziale, ma una voltaoperata la scelta definitiva diventatotale. Solo grazie a lui si scopronomandanti ed esecutori della strageincuimorìGiovanniFalcone,vengo-nocomminati decineedecinedi er-gastoli e per la prima volta vienesvelata l'esistenzadel"papello": la li-sta di richieste rivolte da Riina alloStato.

I processiImputato inparticolarenei processiper lestragidiCapaci,viad'Amelioeperlebombedel '93subiscerispetti-vamente condanne definitive a 19anni e 11mesi di carcere, a 13 anni e10mesiea20anni.Condannatoan-che per gli omicidi di Ignazio Salvo(22 anni), Rocco Chinnici (16) e perquello del piccolo Di Matteo (30).

Tutta l’informazionesu Cosa Nostra

La trasmissione hamostratola foto inedita di Di Matteo

Il torturatore che divenneil primo tra i pentiti

Il primo condividere il voltopiù violentodellamafia, il pri-

motraipentiti.Bruscavieneidentifi-catosoprattuttocomel’assassinodiFalcone. Ma fu anche il mandantedel delitto del piccolo DiMatteo.

HOUCCISOGIOVANNI FALCONE

www.antimafiaduemila.com

Primi passi di un boss«ERA IL FIGLIO DI UN PENTITO» di Giuseppe Montic-ciolo e Vincenzo Vasile, edizioni Bompiani. Monticciolo, ilbraccio destro di Brusca, si racconta. I primi passi nelpaese per diventare qualcuno, lui piccolomuratore.

www.chilhavisto.rai.it

MONDADORI

Approfondimenti

Con la sua collaborazione con lagiustiziaGiovanni Bruscaè il primodeigrandipentiti dimafiaa raccontareco-me e perché si arrivò all'eliminazionediFalcone.SaverioLodatohaincontra-to in una cella blindata del carcere diRebibbia Giovanni Brusca e ne ha rac-colto la testimonianza. Il boss raccontalastoriadella suavita, senzacensurarealcun particolare: il padre mafioso, glistudi interrotti, il primo omicidio.

Per saperbe di più

SAVERIOLODATO

37MERCOLEDÌ2DICEMBRE

2009

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Dalla Sicilia all’America

PENTITI/3

IL RITORNO IN ITALIA È il 15 luglio del 1984. Tommaso Buscetta (Palermo, 13 luglio 1928 - NewYork, 2 aprile 2000) torna in Italia. Era stato arrestato a San Paolo del Brasile il 24 ottobre del 1983 eaveva resistito in tutti i modi all’estradizione. Fino al punto di avvelenarsi con la stricnina dopo aversaputocheera stataconcessa. Il pentimentogli valseunaltroviaggio transoceanico. In cambiodellesue rivelazioni suCosanostraamericanaottennedagliUsaunanuova identitàe si stabilì aNewYork.

Con il termine «pentiti» furono desi-gnati, a partire dagli anni Ottantadel XX secolo, coloro che, fuoriusci-ti dalle organizzazioni mafiose, de-

cidevano di collaborare con l’autorità giudi-ziaria. (legge 30 dicembre 1980 per il seque-stro di persona a scopo di estorsione e dpr 9ottobre 1990 n.309 per il traffico di stupefa-centi o associazione a ciò finalizzata). Ma,già alla fine degli anni Settanta, LeonardoVitale si era «pentito», pagando con la vita ilsuo gesto.

Nel 1991, con la legge del 15 marzo, ven-ne riconosciuto un regime di favore di cuipotevano beneficiare i collaboratori di giusti-zia per protezione e assistenza ma anche dalpunto di vista penale e penitenziario, conl’introduzione di una notevole attenuante.Con quella legge, all’indomani delle grandistragi di mafia del 1992 nelle quali moriro-no i giudici di Palermo Giovanni Falcone(con la moglie Francesca Morvillo), PaoloBorsellino e gli agenti delle loro scorte, ven-nero introdotte modifiche premiali che con-sentivano ai collaboratori di scontare la pe-na al di fuori degli istituti carcerari. Questodeterminò una forte crescita del numero dei«pentiti».

Il fenomeno si è ridimensionato alla finedel primo decennio del nuovo secolo: oggi ipentiti sono 785, nel 1996 erano 1214.

Tommaso Buscetta, che cominciò a colla-borare nel 1984 con il giudice Falcone, è con-siderato il pentito più importante. «Prima dilui - ha detto Falcone a Marcelle Padovani -non avevo, non avevamo, che un’idea super-ficiale del fenomeno mafioso. Con lui abbia-mo incominciato a guardarvi dentro. Ma so-prattutto ci ha dato una visione globale, am-pia a largo raggio». ❖

IL DIZIONARIODELLAMAFIA

Un tentato suicidio, poi la decisione di parlare

IL RUOLODECISIVODEI COLLABORATORI

DENTRO IL CUOREDELLE LOGICHEDI COSANOSTRA

STORICONicola Tranfaglia

Tommaso Buscetta Il boss dei duemondi

25GIOVEDÌ

3DICEMBRE2009

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Cosa Nostra ha perdutomalamente la sua sfi-da finale con Tomma-so Buscetta. E questa,ormai, è una banalità

storica. Ha perduto per sempre lafaccia agli occhi di boss, picciotti efamiglie, eternamente convinti, in-vece, della sua invincibilità. Una fe-rita, sarebbe meglio dire un trau-ma, che peserà sin quando esisteràla mafia. È una sconfitta, sia dettoper inciso, che le ha fatto perderequasi tutto il suo prestigio crimina-le agli occhi di altre mafie che dadecenni, nel resto del mondo, nesubivano autorità, potenza e insin-dacabilità. Il clan dei siciliani, chenel traffico mondiale della drogaaveva soppiantato, sul finire deglianni '60, il clan dei marsigliesi, ri-ducendolo a prestatore d’operanelle raffinerie dell’eroina, da tem-po è entrato nei musei, negli archi-vi, nelle cineteche di film noir. Og-gi è tempo delle triadi di HongKong, yakuza giapponese, mafiarussa, narcos colombiani o monte-negrini serbi, non più dei nonnettidi una Little Italy che, anche archi-tettonicamente, non esiste quasipiù. Persino in tutto questo, c’è lozampino di Buscetta. Vediamo.

Cosa Nostra non fu capace di far-lo tornare in Sicilia, mentre infuria-va la guerra di mafia - e lui se ne

stava in Brasile sebbene i corleonesigli stessero sterminando l’intera fa-miglia - per chiuderlo in una trappo-la mortale. Cosa Nostra non riuscì atogliergli la parola quando iniziò aparlare con Giovanni Falcone, raromagistrato, all’epoca, che aveva car-ta, penna e senso dello Stato; quan-do continuò a parlare con la com-missione parlamentare antimafia,rispondendo acutamente a doman-de molto intelligenti o molto scioc-che; quando si presentò nell’aulabunker di Palermo - correva l'anno1986 - per il primo grande processodove espose puntigliosamente, du-rante il violentissimo faccia a facciacon Pippo Calò, la sua verità. Un po-deroso elettroshock per la corte, gliimputati, gli avvocati, la stessa opi-

nione pubblica. Buscetta squader-nò la mafia in diretta, irruppe nellecase degli italiani, raccontò un mon-do sino a quel giorno solo sussurra-to. Segnò per sempre un prima e unpoi.

Oggi i mafiosi sanno benissimo,ma ormai non possono fare altroche mordersi le mani, e comunquenon se ne sono fatti una ragione,che se Buscetta non fosse mai nato,loro sarebbero tranquillamente ailoro posti; i posti che avevano occu-pato per oltre un secolo di storia ita-liana. Va anche detto che, contro la

mafia, non aveva mai vinto nessu-no. Contro la mafia erano andate ainfrangersi una mezza dozzina dicommissioni d’inchiesta; si eranoschiantati governi e parlamenti diogni colore; quei giudici, poliziotti,carabinieri, funzionari solitari, aiquali lo Stato scopriva le spalle, favo-rendo, molto spesso, un ignobile«fuoco amico». Ma in cosa consiste-va l'arma letale, se ci è concessa lasemplificazione, di “don” MasinoBuscetta, il boss dalle tre vite, il bossdai tre matrimoni, il boss dei duemondi, come, a ondate ricorrenti, sisbizzarrivano giornali e tv del piane-ta nel tentativo disperato, accen-tuando le tinte, di tratteggiarne unritratto sfuggente per definizione?Certo. Si potrebbe dire che tutto di-pese dal caso. E che il caso, se nonavesse preso le fattezze di Buscetta,sarebbe comunque riuscito a farsistrada con risultati se non identici,almeno altrettanto apprezzabili.Possibile. Ma Tommaso Buscetta èesistito, eccome se è esistito. E la suavita ha avuto effetti devastanti perl’organizzazione criminale denomi-nata Cosa Nostra. Ed è di questo chedobbiamo parlare. Sono cose che,per fortuna, ormai si sanno (anchese spesso si dimenticano).

Che fu il primo a svelare il nomevero di quella feroce Mafia spa; isuoi rituali più nascosti, a partiredall’iniziazione; i suoi codici nonscritti; il suo rozzo decalogo compor-tamentale; il suo radicamento terri-toriale; l'eccezione e la regola; maanche la sua struttura militare; lamappa geografica alla quale faceva-

riferimento; la pianta organica; lasua araldica - si fa per dire - nobilia-re, rappresentata da boss, capi man-damento, capi decine; le sue relazio-ni con altri Stati, primi fra tutti gliStati Uniti d’America; il nome di Giu-lio Andreotti. Tutto oro colato? Tut-to inedito? Buscetta bocca della veri-tà? Figurarsi.

Certe cose, prima di lui, le avevadette un altro mafioso Nick Gentile,nella sua autobiografia, intitolata«Vita di capomafia», per gli EditoriRiuniti, di fine anni ‘60. Di mappatu-ra delle «famiglie», si era occupatoun carabiniere che aveva lavoratosul campo, Renato Candia, che nel1960 diede alle stampe, con Scia-scia editore, l’affascinante inchiestaintitolata «Questa mafia». Solo perfar qualche esempio. Ma Buscetta fuil primo che, al colore e alla sociolo-gia, aggiunse il poderoso carico del«chi è» della mafia anni ‘80. Questofece la differenza. Come quasi tuttisanno, Buscetta non entrò mai a farparte della «commissione», o «cupo-la», che dir si voglia.

A sentir lui, perché le riunionitroppo lunghe non gli piacevano,

Il maxiprocessoMAFIA, L’ATTO D’ACCUSA DEI GIUDICI

DI PALERMO a cura di CorradoStajano, Editori Riuniti. Una summaimportante per conoscere le carte.

SAVERIO LODATO

PENTITI/3

La storia

I mafiosi sanno benissimo e comunque non se ne sono fatti una ragione che sedonMasino non fossemai nato, loro sarebbero tranquillamente ai loro posti

[email protected]

Lo conobbi qualchemese prima di morireGirava armato

Estate ’99

Le rivelazioni decisivedelGrande padrinoche sfidò laMafia

Quando il boss scosse la «cupola»

26GIOVEDÌ3DICEMBRE2009

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Foto Ansa

non amava i bizantinismi, che esisto-no anche nel mondo criminale, per-ché teneva soprattutto alla sua indi-pendenza. Sarà vero? E chi può dir-lo? Certo è che tutti i capi o vice capidella commissione, si chiamasseroLiggio o Badalamenti, Bontate oGreco o Riina o Provenzano, ebberotutti, con «don Masino» un rapportoparitario, quasi reverenziale. “Don”Masino era “don” Masino. E questoè emerso in migliaia di pagine pro-cessuali d’ogni natura. Si sposò trevolte, amava le donne in manieraun po’ esuberante, secondo il puntodi vista degli altri «uomini d'onore».Ma questa «dissolutezza», cheavrebbe finito con l’alimentare unestremo gossip di sopravvivenzaper gli imputati colpiti dalle sua col-laborazione con la giustizia, non gliostacolò la carriera criminale. Inten-diamoci: ne fece di tutti i colori.

Trafficò con le sigarette di contrab-bando, forse anche in droga (ma lonegava categoricamente), ammaz-zò, e servì quel mondo sin dall'età disedici anni. Ma fu sempre «uno di lo-ro». Poi, qualcosa si ruppe. E su que-

sto, fiumi di letteratura giornalistica:si vendicò, avendo capito che militar-mente non aveva più scampo; raccon-tò a Falcone tutto quello che avevanocombinato gli altri, nascondendoquello che aveva combinato lui; fu lostrumento consapevole dell’intelli-gence americana che di una certa ma-fia, ora che lo sbarco in Sicilia appar-teneva al passato, si era stancata; mil-lantò credito, tanto è vero che dellacommissione, o cupola che dir si vo-glia, non fece mai parte. Chissà. Chipuò dirlo? Fatto sta che la Storia gliha dato ragione. Che è morto nel suoletto. E il dettaglio, per una vita comela sua, non è insignificante.

Lo conobbi in America nell’estate1999, qualche mese prima della suamorte per tumore. Si nascondeva an-cora. Girava armato. Scrivemmo unlibro intitolato «La mafia ha vinto»: iltestamento del Padrino. Ricordo lasua voce. Quella che in tante aule digiustizia, italiane e statunitensi, ave-va spedito in galera, spesso all’erga-stolo, un esercito di criminali. Parla-va, parlava, parlava, Buscetta. Manessuno riuscì mai a coglierlo in fal-lo.

Il libro

La vita

I libri per capire lamafiaIL BOSS È SOLO diEnzoBiagi,Rizzoli. Ilgrandegiornali-sta parlò per ore con Tommaso Buscetta. Che disse: «Nonavevo altra scelta: o continuavo a tacere come avevofatto oppure andavo fino in fondo. E così è stato».

Il j’accusedel principe dei pentiti

La carriera criminaleNasceaPalermo il 13 luglio del 1928e soli vent’anni viene «combinato»nella famiglia di Porta Nuova all’in-ternodella quale sale in fretta i gra-dini dell'organizzazione. Nel 1961,durante la prima guerra di mafia,sceglie la latitanza e nel novembredel 1972vienearrestato aRiode Ja-neiro con l’accusa di traffico di dro-gaerispeditoinItalia.Nel1980ottie-ne la semilibertà e scappa in Brasileper poi essere riarrestato ed estra-dato per la seconda volta nel 1983.

Il pentimentoDurante il viaggio per l’Italia tenta ilsuicidio,masi salvaenel 1984 iniziala collaborazione con Giovanni Fal-cone. Consegnando alla giustizia,per la prima volta nella storia, lechiavi di interpretazionedi un feno-meno fino ad allora impenetrabile.Al Giudice, prima di parlare, lanciaun avvertimento: «Dopo questo in-terrogatorio lei diventerà una cele-brità.Macercherannodidistrugger-la fisicamenteeprofessionalmente.E conme faranno lo stesso».

Il maxiprocessoGrazie alle sue rivelazioni vieneistruito il primomaxiprocesso aCo-saNostrafondatosulcosiddetto«te-orema Buscetta». Finiscono allasbarra quasi 500mafiosi, tra cui gliesattori Nino e Ignazio Salvo e VitoCiancimino.NeiconfrontidiBuscet-ta si abbatte presto la scure dellavendettamafiosachesterminabuo-na parte della sua famiglia, ma chenon riesce a fermarlo.

LamorteIl 2 apriledel 2000, all'età di 71 anni,muore negli Stati Uniti. Negli ultimigiornidellasuavitaalgiornalistaSa-verioLodatoconsegnaun’amara ri-flessione: «La mafia ha assunto unruolo molto più grande di quellocheavevainpassato.Èdiventataunfatto politico. È riuscita a diventareinvisibile senza scomparire».

Quello che succede oggi,Politica e Cosa nostra

È il sito della Fondazionein nome delmagistrato

Unpercorso uniconella storia del crimine

Lescarnenotediunacronolo-gia non possono restituire la

vita, anzi lemolte vite, di TommasoBuscetta. Danno però l’idea dellacomplessità di un percorso uniconella storia criminale italiana.

LAMAFIA HAVINTO

www.antimafiaduemila.com

La storia più completaTRENT’ANNI DI MAFIA Saverio Lodato, Bur. Il sottoti-tolo dice tutto: Storia di una guerra infinita. Un’operamonumentale del giornalista che più di altri in questianni si è occupato a fondo di Cosa nostra.

www.antoninocaponnetto.it

MONDADORI

Per saperne di più

A quindici anni dall'inizio dellasua collaborazione con la giustizia, ilprimograndepentitodimafiaparlaetracciaunbilanciodesolantedella lot-ta alla criminalità organizzata, dopola stagione delle bombe e gli assassi-nii di Falcone e Borsellino. Un duroj'accuse nei confronti della politica.

Approfondimenti

SAVERIOLODATO

A sinistra TommasoBuscetta incompagnia di suamoglie. In altoa sinistra e a seguire in sensoorario: Giulio Andreotti al suoarrivo al Carcere di Capanne perl'udienza del processo Pecorelli;Buscetta in crocera; il bossBadalamenti. In basso a sinistraBuscetta che depone

27GIOVEDÌ

3DICEMBRE2009

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La guerra allo Stato

COSANOSTRA/4

DA 17 ANNI IN CELLA TotòRiina (Corleone, 16novembre 1930), il capodei corleonesi, fuarresta-to il 15gennaiodel 1993dalla squadradei Rosguidata dal capitanoUltimo. Si avvia adiventare, dopolamorte di Gaetano Badalamenti e Michele Greco, il capo della cupola che ha scontato la più lungacarcerazione. Soprannominato «u curtu» per la sua bassa statura (1,58 centimetri) è stato l’ideatoredella strategia delle stragi. Ed è stata proprio questa la ragione della sua fine.

Èstato Tommaso Buscetta il primopentito a rivelare a Giovanni Fal-cone che in Sicilia l’associazionecriminale da tutti conosciuta co-

me «mafia» corrispondeva a un’organiz-zazione ben individuata e strutturatache gli affiliati chiamavano «Cosa No-stra». Ma già in precedenza erano statiacquisiti elementi che individuavano deitratti distintivi propri della mafia sicilia-na (ed era stata proprio questa consape-volezza il presupposto, nel 1982, dell’ap-provazione della legge Rognoni-La Tor-re).

Cosa Nostra ha i suoi elementi costitu-tivi nel «popolo» degli affiliati, nel territo-rio in cui opera e, soprattutto, nella «si-gnoria» che, contendendo allo Stato ilmonopolio dell’uso della forza, su quelterritorio esercita. Non a caso le «fami-glie» prendono il nome dei paesi e dellecittà che sono sotto il loro controllo.

Altra caratteristica di Cosa Nostra èuna struttura gerarchica di tipo «vertica-le-piramidale», diversa da quella «oriz-zontale-federativa» di altre organizzazio-ni mafiose come la camorra o la‘ndrangheta.

Un rito formale presiede alla «combi-nazione», cioè all’affiliazione, del mafio-so e si conclude con un giuramento per lavita che viene solennizzato attraverso la«punciuta», cioè la puntura della spina diun’arancia amara, e la bruciatura di una«santina» (un’immagine sacra) che ha loscopo di sottolineare l’irrevocabilità delvincolo contratto con il patto di sangue.

Il concetto di «onore» proprio dei ma-fiosi si lega alla violenza esercitata: sonoi delitti a segnare il cammino e l’ascesadegli affiliati nella struttura gerarchica.❖

IL DIZIONARIODELLAMAFIA

Ucurtu, l’ideatore della strategia delle stragi

QUEL CHEDISTINGUELAMAFIA SICILIANA

LA PIRAMIDEDELCRIMINEORGANIZZATO

STORICONicola Tranfaglia

Totò Riina Il generale sconfitto

31MARTEDÌ

8DICEMBRE2009

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Totò Riina, ha compiutoda poco 79 anni. Ne hagià trascorsi diciassette incarcere, in massimo isola-

mento, avviandosi a diventare,una volta che se ne sono andati daquesto mondo Gaetano Badala-menti e Michele Greco, il capo del-la cupola di Cosa Nostra che hascontato il periodo più lungo di de-tenzione. Non si è mai pentito.Non si è mai dissociato. Non hamai rivolto una parola ai parentidelle vittime. Non ha mai parlatoper più di una decina di minuticon un magistrato; appena il tem-po per ribadire la decisione di con-tinuare a starsene rintanato nelsuo mutismo. E’ vero. Qualche vol-ta ha parlato, ma solo nelle auledelle corti d’assise, chiedendo ri-spettosamente al presidente di tur-no di poter accendere il microfo-no della sua gabbia. E per dire co-sa? Pochissimo, quasi niente. Ma,dal suo punto di vista, dovevanoessere puntualizzazioni alle qualinon poteva rinunciare: che la rovi-na dell’ umanità sono i pentiti, per-ché non fanno altro che dire «bu-giarderie», e i comunisti, che liprendono sul serio. Scuola di pen-siero, sia detto per inciso, che oggitrova parecchi proseliti all’interodei vertici del Pdl; ma così va ilmondo. Tornando a Riina.

Totò Riina é stato un generaleche ha mandato il suo esercito in-contro a sicura disfatta. Che ha sca-tenato, per sua insindacabile deci-sione, una guerra di mafia con mi-gliaia di vittime. Che ha ingaggiatouna sfida contro lo Stato che si è ri-solta in decine di esecuzioni di ma-gistrati, poliziotti, carabinieri, uo-mini politici, imprenditori. E chepoi, non contento di questa ininter-rotta mattanza, ha ordinato ai suoifedelissimi di andare in giro perl’Italia per seminare altre bombe, al-tre stragi, altre distruzioni. Solo nelsilenzio, e nello scontare la penasenza ricorrere a scorciatoie, sta lasinistra grandezza di questo genera-le sanguinario ormai sconfitto, se-gretamente disprezzato da quel po-

co che resta del suo popolo e delsuo esercito, archiviato dalla storia.

Chipiù,chimeno, tutti i suoi gre-gari, fatta l’eccezione del cognato ecompagno d’armi Leoluca Bagarel-la, si sono pentiti, dissociati, hannoincontrato Dio, o sono convinti diaverlo incontrato. Lui, no. Quandofu arrestato, il 15 gennaio del 1993,aveva alle spalle una latitanza che siprotraeva da due decenni. Se si trat-tò di una latitanza dorata, di tuttacomodità, o con parentesi di difficol-tà, non lo sapremo mai. Sappiamo

che ancora oggi resta un misterol’antefatto della sua cattura, la cattu-ra stessa, l’intero capitolo che riguar-da il residence di Via Bernini, in cuisi nascondeva con la famiglia, per-quisito dai carabinieri con una venti-na di giorni di ritardo. In altre paro-le, è tutto assai nebuloso: il prima, ildurante, il dopo. Tutte le ricostruzio-ni ufficiali di allora, hanno perdutodi credibilità, man mano che passa-va il tempo. Prende quota l’ipotesiche, a tradirlo, fu l’altro corleonesedoc, Bernardo Provenzano, con ilquale aveva dato vita alla cosiddet-ta «diarchia» che guidò per oltre untrentennio la «famiglia corleonese».

Tommaso Buscetta mi raccontòche Riina e Provenzano partecipava-no insieme alle riunioni di cupola,mentre a tutte le altre «famiglie»,del palermitano e dell’intera Sicilia,era riconosciuto il diritto di presen-ziare con un unico rappresentante.Da cosa dipendesse quest’eccezio-ne, Buscetta non riuscì mai a spie-garselo, come non se lo spiegaronomai gli altri componenti della cupo-la, sebbene il fatto li irritasse parec-chio. Se il «tradimento» ci fu, va dasé che la messinscena della cattura,rifilata quel giorno al mondo dei me-dia, non sarà di molto aiuto agli sto-rici quando cercheranno di capire.

Chi è stato, davvero, Totò Riina?È stato quello che ha inoculato neltessuto di Cosa Nostra il micidialevirus corleonese. Un virus rispettoal quale il tessuto della mafia tradi-zionale, quella dei palermitani, sa-rebbe presto risultata priva di validedifese. Quella dei corleonesi è statauna lunga marcia di avvicinamento

al potere mafioso, iniziata sin dal-l’immediato dopoguerra. Sin daitempi di Luciano Liggio, del medicocondotto Michele Navarra, dell’ uc-cisione di Placido Rizzotto, capo le-ga dei braccianti; sin dai tempi,cioè, dell’eliminazione sistematicadi capi lega e sindacalisti che aveva-no guidato – a cavallo fra il dopo-guerra e i primi anni ’50- il movi-mento per l’occupazione delle terrein Sicilia. Connotati dei corleonesi:la determinazione e la rapidità mili-tare; la scarsa propensione alla me-diazione con gli altri boss; un odioatavico nei confronti di chiunque in-dossasse una divisa; il gusto innatoper le «tragedie», il seminare zizza-nia fra gli affiliati, diffondendo unclima generalizzato di sospetto che,alla fine, avrebbe provocato una sor-ta di impazzimento generale. Infi-ne, un culto maniacale per la segre-tezza, che non consentiva alle altre«famiglie» di decifrare quali fosserodavvero i loro reconditi disegni affa-ristici e militari. Quella lunga mar-cia di avvicinamento al potere ma-fioso trovò, nella strage di Via Laziodel 10 dicembre 1969, il suo primovero snodo.

Per eliminare un mafioso anarcoi-de che non rispettava le regole, talMichele Cavataio, entrarono in azio-ne, fra gli altri, Totò Riina, Bernardo

I libri per capire le cosche«RIINA, LA CADUTA DEI CORLEONESI»

L’autore è Angelo Vecchio, perAntares Editrice. La vita e la latitanzadel boss dei boss.

SAVERIO LODATO

COSA NOSTRA/4

La storia

Adecine i palermitani caddero perché traditi da un fratello, da un cognato.La tattica dei boss: dieci anni in silenzio, fingendosi gregari. Poi la guerra

[email protected]

Resta ancora un misterol’antefatto della suacattura, la cattura stessa

PALERMO

Il giallo dell’arresto

Il velenodei corleonesi:infiltrati, spie, esecuzioniCosì riuscì il golpe di Riina

Il boss che ha cambiato lamafia

32MARTEDÌ8DICEMBRE2009

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Provenzano, Calogero Bagarella(quest’ultimo fu ucciso, e gli altridel commando seppellirono segreta-mente il suo cadavere, affinché i «ne-mici» non traessero soddisfazionedalla sua morte). I corleonesi eranoentrati a Palermo. E ci erano entratia modo loro, con tutte e due le scar-pe. A quel punto, si eclissarono. Perun’altra decina d’anni infatti covaro-no segretamente il loro progetto gol-pista in attesa che si presentasse l’oc-casione propizia. Apparentemente,si presentavano agli altri boss con«spirito di servizio». Mettevano a di-sposizione un’ indiscussa potenzamilitare e propri uomini per i «lavo-ri» più «difficili» e più «delicati». In-tanto, tessevano una trama di alle-anze nei salotti della Palermo-benedai quali erano stati sempre esclusi.

Fu solo alla fine degli anni ’70,quando la città fu invasa da un fiu-me di danaro frutto del trafficomondiale dell’eroina, che Riina eProvenzano intravidero l’occasioneche tanto pazientemente avevanoaspettato. Quella per porre la lorocandidatura alla leadership di CosaNostra. Ebbero l’intelligenza crimi-nale, giocando sull’ effetto sorpre-sa, di fare immediatamente fuocosul quartier generale della mafia pa-lermitana. E una raffica di esecuzio-

ni assai ravvicinata - da Pino Panno,boss di Casteldaccia a Stefano Bon-tate, capo cupola in quegli anni, aTotuccio Inzerillo, suo fedelissimoluogotenente-aprì le danze dellaguerra di mafia. Ma la definizione èinesatta: ché non si fronteggiaronomai, nonostante centinaia e centi-naia di omicidi, due eserciti con-trapposti. I corleonesi infatti, ado-perando le armi del ricatto e del ter-rore, riuscirono a infiltrare uominidi fiducia all’interno di ciascuna fa-miglia rivale.

A decine e decine i «palermitani»caddero falciati da kalashnikov o ca-libro 38, perché traditi da un fratel-lo, da un cugino, da un cognato.Spesso si svolgevano funerali in cuii parenti stretti della vittima non sa-pevano chi aveva armato la manoomicida. Furono anni di orrori, aiquali è già stata dedicata una appo-sita puntata di quest’inchiesta. Diquell’orrore, Totò Riina fu il domi-nus spietato. Sino al giorno dellastrage di Capaci. Quanto alla stragedi via D’Amelio – ed è cronaca diqueste settimane - lui se ne chiamafuori, alludendo, con i pochi mono-sillabi di cui è linguisticamente ca-pace, ad altre entità, altre presenzeche, oltre Cosa Nostra, avrebberoavuto un loro inconfessabile torna-conto.❖

Il libro

Cronologia

La storia«STORIA DELLA MAFIA» dalle origini ai nostri giorni.Autore; Salvatore Lupo, per Donzelli editore. Lamafia faaffari, traffica, tratta con i politici. È un'organizzazionecriminalema non è solo «criminalità organizzata».

Vita e carriera criminaledel capo dei capi

Gli esordiNato a Corleone nel 1930 viene ini-ziato alla carriera criminale dal po-tente boss Luciano Liggio, che di-venta capo dei corleonesi dopoaverassassinato,nel '58,MicheleNa-varra.Echericonosceinlui,enelge-mello diverso Bernardo Provenza-no, due promettenti picciotti.

La scalata al potereNeglianni60, insiemeaLiggioePro-venzano, inizia la scalata al poteredi Palermo. E quando Liggio vienearrestato,nel '74, losostituiscedive-nendo il boss dei boss corleonesi,alias i viddani.

LamattanzaNel1981fauccidere i capiBontadeeInzerillo scatenando la secondaguerra di mafia. La più sanguinosanellastoriadiCosaNostradallaqua-le esce vincitore assumendo, insie-me a Provenzano, il comando dellacriminalità organizzata siciliana.

I contatti politiciNel 1987, quando si accorge che laDc lo vuole «scaricare» si rivolge alPsi,dalqualerimarràdeluso.E inse-guito alla sentenza delmaxiproces-so che il 30 gennaio del '92 confer-ma diverse condanne all'ergastoloin Cassazione, scatena una guerracontro lo Stato facendo uccidereFalcone e Borsellino e pianificandogli attentati del '93.

La catturaIl 15 gennaio del '93 viene catturatoaPalermo.Ilsuocovononverràper-quisito per 18 giorni, durante i qualisarà «ripulito» dagli uomini di CosaNostra. Unmistero ancora irrisolto.

I processiDetenutoal41bis è stato condanna-to in via definitiva in innumerevoliprocessi. Per la strage di Capaci, diviad'Amelio, per gli attentati del '93eper l'assassinio del generale CarloAlberto Dalla Chiesa.

Informazione su Cosa Nostrae organizzazioni criminali

Il video del processoal boss

L’uomo che ha volutola guerra contro lo Stato

Èstato l’uomochehacambia-to il voltodellamafiaeaperto

una guerra che ha portato migliaiadimorti.Havoluto l’attaccoalloSta-to finoalla stragediCapaci.Non si èmai pentito.

IL CAPODEI CAPI

www.antimafiaduemila.com

Le interviste«RIINA MI FECE I NOMI DI...» Intervista a SalvatoreCancemi di Giorgio Bongiovanni. Massari Editore. Leprefazioni sono a cura di Luca Tescaroli e Antonino DiMatteo.

www.youtube.com

EDIZIONIMONDADORI

Approfondimenti

Nel libro di Bolzoni e D'Avanzola storia dell'uomo più potente e piùconosciutodiCosaNostra.Lasuacar-riera criminale, sanguinaria e spieta-ta,chehaportatoicontadinidiCorleo-ne ai vertici del governo mafioso eche ha cambiato le regole del gioco.Nonsolo tra«famigliae famiglia»,matramafiaeStato.Unastoriachegliau-tori hanno ripercorso parlando conchi lo ha conosciuto, combattuto, tra-ditoegiudicato. Il libroèeditodaMon-dadori.

Per saperne di più

ATTILIOBOLZONI E GIUSEPPED'AVANZO

Da sinistra in senso orario il bossBernardo Provenzano. Corleonee la strage di Capaci nella quale,il 23maggio del 1992, venneucciso il giudice GiovanniFalcone e gli uomini della scorta.Sopra la fotocopia del «papello»consegnata da Ciancimino Jr aipm.

Totò Riina dietro le sbarredella gabbia numero 5 dell'aulabunker di Firenze al processoper gli attentati mafiosi del 1993.A sinistra: gli avvocati GiovanniGualberto Pepi e Luca Cianferonidiscutono con un altro difensore.

33MARTEDÌ

8DICEMBRE2009

Page 13: Il dizionario della Mafia [ArchivioAntimafia] · S ipotrebbedirechesicono-scevanodasempre.Duran-te l’infanzia avevano divi-so lo stesso quartiere, es-sendo entrambi nati a Piazza

Il segreto di una strage

SICILIA/5

STORIA E MISTERO SalvatoreGiuliano (Montelepre, 16 novembre 1922 –Castelvetrano, 5 luglio1950) bandito e indipendentista siciliano, fu a capo di un gruppo di separatisti le cui gesta ebberoluogoapartire dalla fine della Seconda guerramondiale. La sua leggenda hapercorso la storia dellaSicilia negli ultimi50anni. Fuaccusatodella stragediPortella diGinestra, in seguito si è scoperto chenon agì da solo. Èmorto in unamisteriosa sparatoria con i carabinieri nel 1950.

C’è una poesia nel terzo volumedelle Opere di Leonardo Scia-scia pubblicate nel 1991 daBompiani che lo scrittore di Ra-

calmuto dedica alla sua terra e di cui va-le la pena riprodurre qualche brano perun discorso sull’isola.

«Come Shagall - scrive Sciascia - vor-rei cogliere questa terra dentro l’immobi-le occhio del bue. Non un lento carosellodi immagini, una raggiera di nostalgie:soltanto queste nuvole accagliate, i corviche discendono lenti; e le stoppie brucia-te, i radi alberi che si incidono come fili-grane».

E ancora. «Il silenzio è vorace sulle co-se. S’incrina se il flauto di canna tentavena di suono:e una fonda paura di ra-ma». Vita e morte, insomma, legate traloro nelle sensazioni di chi vive in Sicilia.Potrei continuare la citazione ma credoche il lettore possa coglierne il sapore.La terra siciliana comunica a chi c’è nato,o a chi c’è stato tante volte amandola einsieme avendone emozione, il senso diun mistero e di un’attrazione sottile.

La sua lunga storia, i popoli che ci so-no arrivati e poi rimasti per tanto tempocome gli arabi, lasciandovi tracce impor-tanti, i contrasti della sua natura solare, imisteri che la circondano, sono tutti ele-menti che ne aumentano il fascino e laseduzione.

Chi può dire perché, proprio in quel-l’isola, la mafia sembra esser nata e cre-sciuta non si sa ancora quando e perchétutti quelli che l’hanno combattuta finoalla morte (o che l’hanno studiata pertanti anni o magari per tutta la vita) han-no contratto un così forte rapporto conlei?

IL DIZIONARIODELLAMAFIA

Unamortemisteriosa ancora oggi

ILMISTEROE L’ATTRAZIONE

TERRADI VITAEMORTE

STORICONicola Tranfaglia

Salvatore Giuliano Storia di un bandito

33MERCOLEDÌ9DICEMBRE

2009

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La leggenda popolare delbandito Salvatore Giulia-no ha percorso la storiadella Sicilia quasi per un

cinquantennio.Per dissolversi almeno in par-

te, sono state necessarie le apertu-re di alcuni archivi americani eitaliani e la desecretazione - daparte del Parlamento - delle carteche riguardavano la strage di Por-tella della Ginestra del primomaggio 1947, in cui vennero ucci-si undici siciliani, tra braccianti ebambini, che festeggiavano il la-voro e la vittoria della sinistra nel-le elezioni regionali del 15 aprileappena trascorso.

Cosìoggisipuòfinalmentedi-re che il bandito Giuliano, primadel 2 settembre 1943, data in cuiuccise durante un controllo di leg-ge il carabiniere Antonio Manci-no, era stato soltanto uno dei pic-coli contrabbandieri dell’isolanon in regola con la legge che, ne-gli anni di guerra, si arrangiavacon piccoli traffici per sopravvive-re.

Ma da quel giorno incominciòad uccidere (il 24 dicembre 1943avrebbe fatto fuoco con il mitraun altro carabiniere che voleva ar-restarlo) e poi a formare una ban-da che da Montelepre si muovevaper razziare e devastare in giro

per tutta la Sicilia occidentale.Tra il 1945 e il 1947 si svolse in

Sicilia uno scontro accanito traun’anima democratica che era riu-scita persino a instaurare alcune re-pubbliche popolari e un’anima ar-caica e reazionaria che era ostile aogni riforma agraria e si alleavacon la mafia per difendere lo statuquo.

Giuliano si rese conto del gran-de gioco politico che si svolgevanell’isola e, venendo da una forma-zione maturata nel regime fasci-sta, si legò ai separatisti di Finoc-chiaro Aprile e al sogno di unire laSicilia agli Stati Uniti come 49mostato di quella grande democra-zia.

Venne accolto con tutti gli onoriin quella effimera forza politicache aveva legami forti con l’asso-ciazione mafiosa siciliana.

E basta leggere le lettere cheGiuliano scriveva al presidenteTruman e al giornalista MikeStern che era venuto nell’isola perintervistarlo per rendersi contodelle sue ambizioni politiche.

Al comando militare americanoil bandito scriveva una lettera si-gnificativa sulle sue intenzioni esulla lotta che intendeva condur-re. «Giorni or sono ho mandato un

giovane per informarvi della miaeffettiva posizione, la quale al ritor-no mi ha informato di qualche co-sa ma nulla di concreto: non crede-te che io sia quel tale bandito che ilgoverno italiano naturalmente do-vrà chiamarmi e mi credetti tali dipoter lottare anch’io quei vili rossi,vi prego di venire qualcuno a pren-dere qualche appunto in Siciliache io stesso le illustrerò».

E, in un’altra lettera di quel peri-odo, parla del ministro dell’Inter-no Mario Scelba: «Scelba vuol far-mi uccidere perché io lo tengo nel-l’incubo di fargli gravare grande re-sponsabilità che gli possono di-struggere tutta la sua carriera poli-tica e financo la vita. Ho aiutato lademocrazia perché la riconoscevocome la democrazia delle altre na-zioni. I monarchici li ho aiutati perobblighi personali e non per ideapolitica».

Nei sette anni in cui scorazza intutta l’isola con la sua banda, Giu-liano ha rapporti amichevoli con icapi del corpo speciale inviato dalgoverno in Sicilia per debellare ilbanditismo: dal colonnello Luca al-l’ispettore di PS Verdiani e al capi-tano Perenze.

E dal processo di Viterbo emer-gerà con chiarezza che la banda,legata strettamente alla mafia, di-sponeva di permessi e di altri docu-menti di libero passaggio che era-no stati dati a Giuliano e ai suoi luo-gotenenti Pisciotta e Ferreri pro-prio da quei militari e poliziotti in-caricati di catturarli e assicurarli al-la giustizia.

Passeranno ancora molti anni

prima che la commissione antima-fia presieduta dall’on. Carrarostendesse, ma questo avviene sol-tanto nel 1976, una relazione pre-cisa e circostanziata che denuncia-va la collusione che si era verifica-ta in quegli anni tra i banditi e gliorgani repressivi dello Stato.

Alla base di quella collusionec’era, per la prima volta, la guerrafredda e il reclutamento dei bandi-ti di Giuliano dalla parte del bloc-co occidentale in funzione antico-munista.

Diquellapartita faceva parte an-che la mafia, prima di Calogero Viz-zini e poi di Genco Russo, che ave-va favorito lo sbarco angloamerica-no aveva messo i suoi picciotti alservizio della battaglia contro leforze di sinistra che stavano vincen-do a livello elettorale in Sicilia e mi-nacciavano i latifondi dei grandiproprietari terrieri tradizionalmen-te vicini all’associazione criminale.

I separatisti, a loro volta, costitui-rono, durante gli ultimi anni dellaguerra e nell’immediato dopoguer-ra la forza politica legata alla mafiache accreditò Giuliano e la sua ban-da in funzione anticomunista.

I libri per capire lamafia«SALVATORE GULIANO» Unabiografia storica. Il libro è scritto daFrancesco Renda, per SellerioEditore Palermo

NICOLA TRANFAGLIA

SICILIA/5

La storia

Da semplice contrabbandiere a capobanda dellamafia. La paraboladell’uomoche custodì i segreti dei potenti nell’immediato dopoguerra

Ucciso dal suoluogotenente PisciottaAmmazzato a sua volta

L’omicidio

La leggenda del banditoche trucidò i bracciantia Portella dellaGinestra

Salvatore Giuliano

34MERCOLEDÌ9DICEMBRE2009

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Il partito cattolico, che sarebbedivenuto in seguito il partito di go-verno, era ancora agli inizi maavrebbe sostituito i separatisti do-po l’approvazione della repubblicanel referendum istituzionale del 2giugno 1946.

La parabola di Giuliano e dellasua banda si sarebbe conclusa alcu-ni anni dopo il 5 luglio 1950 quan-do il bandito, ormai abbandonatodai suoi seguaci, sarebbe stato ucci-so di notte in circostanze assai oscu-re nel paese di Castelvetrano men-tre era in corso il suo ultimo tentati-vo di raggiungere la salvezza e lalibertà espatriando negli Stati Uni-ti.

La relazione di maggioranzadella commissione parlamentaredell’on. Luigi Carraro esaminò nel1976 le tre diverse versioni che era-no state avanzate per spiegarequella morte e concluse con alcu-ne frasi problematiche che vale lapena riprodurre: «La Commissio-ne non ha potuto reperire sul pun-to nuovi elementi di prova che ser-vissero a chiarire, in tutti i suoi par-ticolari, le vicende che portaronoall’eliminazione di Giuliano. Gli

ostacoli maggiori su questa via so-no venuti dal ritardo e dall’incom-pletezza che hanno caratterizzatola pubblicazione dei documenti re-lativi alle vicende di quegli anni.Come si è accennato, la stessaCommissione non ha trovato inquesto settore la necessaria colla-borazione delle autorità governati-ve e non è stata messa in grado diapprofondire fino in fondo il rap-porto tra mafia e banditismo».

Sul piano del giudizio storico,pur nella impossibilità di ricostrui-re tutti i particolari, è evidente chealla uccisione notturna del bandi-to collaborarono la mafia e le forzedell’ordine.

Gaspare Pisciotta, il luogotenen-te di Giuliano, ebbe sicuramenteparte nella vicenda finale, anchese non si può sostenere che la suaconfessione, cioè di aver ucciso dasolo Giuliano rispecchiasse effetti-vamente la realtà.

Ma Pisciotta conosceva il segre-to di quella morte e non a caso ven-ne ucciso in carcere qualche annodopo perché non potesse cambia-re la versione data all’inizio che co-priva con ogni probabilità la re-sponsabilità di altri. ❖

Il libro

Cronologia

La strage annunciata«PORTELLA DELLA GINESTRA» Microstoria di una stra-ge annunciata. Autore: Giuseppe Casarrubea, edizioniFranco Angeli. Era il primomaggio 1947, nell'immediatodopoguerra, si tornava a festeggiare la festa dei lavoratori.

Morte di un capobandae dei suoi luogotenenti

Tra storia e leggendaLa storia del bandito Giuliano inizianel settembre del 1943 quando, do-poaveruccisouncarabiniere,sirifu-gia tra le montagne che incornicia-no il suo paese d’origine: Montele-pre.

Il separatismoSottostrettocontrollodellamafialo-cale Giuliano e i suoi si schierano afavoredelmovimentoindipendenti-sta siciliano (Mis) che si va forman-do immediatamente dopo lo sbar-codeglialleati con l’obiettivodi faredella Sicilia il 49˚ stato americano.

La canea rossaQuando Cosa Nostra siciliana deci-de di abbandonare l’idea indipen-dentista e si schiera con le forze av-verse al crescente partito comuni-staancheGiulianosimetteadisposi-zionedella causa. In una lettera chespedisce all’allora presidente UsaHarryTruman scrive di voler dare ilsuo contributo per sconfiggere lacanea rossa.

Portella della GinestraIl 1˚maggio 1947 a Portella della Gi-nestra vengono assassinate 11 per-sone e ferite 27. Dell’eccidio vieneimmediatamente accusato Giulia-no ma anni di studio di documentistoriciresiaccessibili solodirecentehanno dimostrato che il banditononagìdasolo.Altrigruppidi fuococomposti anchedauomini ricondu-cibili alla Decima mas avrebberosparato sulla folla inerme.

Tragico epilogoIl mito reso celebre da un articolopubblicatosullarivista“Life”afirmadel giornalista Mike Stern dal titolo“il rediMontelepre” finirà inunami-steriosa sparatoria con i carabinierinel 1950. A tradirlo il cuginoPisciot-ta che non appena fu sul punto diparlareconilprocuratoreScaglionevenne avvelenato con un caffè allastricnina.

Il sito dedicatoal bandito Giuliano

Informazione su Cosa Nostrae organizzazioni criminali

La storia oscuradel re di Montelepre

Salvatore Giuliano (Montele-pre, 16 novembre 1922 – Ca-

stelvetrano,5 luglio1950)èstatounbandito e indipendentista siciliano,Venne accusato della strage di Por-tella della Ginestra.

SALVATOREGIULIANO

www.salvatoregiuliano.org

La biografia«STORIA DI SALVARORE GIULIANO» Autore:LucioGal-luzzo, per Flaccovio editore. La storia di SalvatoreGiuliano il bandito è un classico insuperato dell’intrigoall’italiana. È il primo «affaire della Repubblica».

www.antimafiaduemila.com

GIUSEPPECASARRUBEA, Ed. FRANCOANGELI

Per saperne di più

Questo libro racconta la tragicafine di Salvatore Giuliano, Gaspare Pi-sciotta e Salvatore Ferreri, personag-gi che erano stati in rapporti con altiesponentidelmondopoliticocheave-vanopartecipatoalle attivitàeversive(1947). Emergono responsabilità maiprima accertate. Giuliano, aderente alFronteantibolscevico,finanziatodiret-tamente dagli Americani e dalla Cia.

Approfondimenti

MORTEDI UNCAPOBANDA

Foto d’archivio del banditosalvatore Giuliano. Da sinistra insenso orario un suo storicoritratto, ancora SalvatoreGiuliano insieme aGasparePisciotta. La strage di Portelladella Ginestra avvenuta il primomaggio del 1947.

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2009

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I boss e lemani sul potere economico

AFFARI/6

UN UOMO SCOMODO «I mafiosi stanno in Parlamento, sono a volte ministri, sono banchieri...».CosìdicevaGiuseppeFava,scrittore,giornalista,fondatorede«ISiciliani»,primoverogiornaleantima-fia inSicilia.Ungiornalistadi razza,diquelli di cuioggi si sente semprepiù lamancanza.Venneuccisonel 1984dalclancatanesedeiSantapaola,dopolapubblicazionediun’inchiestasuiCavalieridell’apo-calissemafiosa, coraggioso atto d’accusa contro imaggiori imprenditori del Sud.

Soltanto negli anni Ottanta delNovecento gli studi storici, eco-nomici e antropologici hanno co-minciato a parlare della mafia co-

me impresa.Certo, già nel 1876 Leopoldo Fran-

chetti nella sua celebre «Inchiesta in Si-cilia» usò l’espressione significativa dimafia come «industria del delitto», masi trattò di uno spunto non seguito dauna vera e propria teorizzazione.

Dovette passare più di un secolo pri-ma che Alan Block, in un libro famososul crimine organizzato a New York nelventennio 1930-1950, citasse nel 1983la distinzione tra enterprise syndicateche opera nel campo dei traffici illecitie power syndicate che esercita le estor-sioni.

E lo stesso anno in Italia Pino Arlac-chi pubblicava il suo libro su «La mafiainprenditrice», che parla dei mafiosi co-me imprenditori economici di succes-so, secondo la definizione di J.Schum-peter.

Ma quali sono gli affari di cui si occu-pa l’impresa mafiosa?

Il catalogo è ormai assai ampio: si vadagli appalti pubblici che vedono impe-gnati mafiosi che hanno forti legamicon la classe politica, al traffico deglistupefacenti, al commercio degli esseriumani, che è diventato negli ultimi an-ni un affare di particolare importanza.

Nello stesso tempo è necessario ricor-dare che negli affari i mafiosi usano l’in-timidazione e le minacce, la manipola-zione e l’inganno per ottenere insiemeil potere e il denaro di cui hanno biso-gno. ❖

IL DIZIONARIODELLAMAFIA

La lezione di un intellettuale ucciso dalle cosche

RAMIFICAZIONIDEL POTERE

GLI APPALTIE IMAFIOSI

IMPRENDITORI

STORICONicola Tranfaglia

Giuseppe Fava Un uomo scomodo

35GIOVEDÌ

10DICEMBRE2009

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Potremmo metterla così,per semplificarci la vita:«Non è che possiamo farel’analisi del sangue a tut-

te le imprese siciliane!». Parole, ef-ficacissime, della buon’anima diMichelangelo Russo, uomo fortedei miglioristi siciliani attornoagli anni Ottanta. Oppure possia-mo dirla con Carlo Alberto DallaChiesa, agosto 1982: «Senza unanuova mappa del potere mafioso,i cavalieri di Catania non sarebbe-ro mai andati all’assalto degli ap-palti di Palermo». Parliamo dellestesse imprese, e dello stesso conod’ombra che da trent’anni a que-sta parte inghiotte, mescola e con-fonde mafiosi e finanzieri, appaltie ammazzatine, affari leciti e affa-ri illeciti.

GiuseppeFavaebbe il merito difarsela, qualche domanda. Corre-va l’anno 1982, il mese era dicem-bre e in edicola era arrivato il pri-mo numero del nostro giornale, ISiciliani, un mensile bello da ve-dersi e difficile da leggersi. Diffici-le per certi palati fini che preferiva-no non sentir nominare mai inva-no i nomi di certi galantuomini.Quei nomi, fin dal primo numero,c’erano tutti. Non agitando manet-te ma producendo ragionamenti,riacciuffando il filo che il prefettoDalla Chiesa aveva tenuto in ma-

no fino alla sua morte: chi eranodavvero quei quattro imprenditoricatanesi, così gagliardi e impunitida poter confessare di essersi divisia tavolino tutti gli appalti dell’iso-la? Cos’era che li legava alle coschedi Cosa Nostra, un semplice pattodi sopravvivenza o un reciproco in-teresse? E quanta parte dell’econo-mia siciliana, quanti pubblici appal-ti, quanti rivoli di pubblico denaroerano serviti a consolidare le ric-chezze e l’impunità dei mafiosi sici-

liani?Bastò farsi queste domande. Ba-

stò farsele ad alta voce, scegliendocon misura e perizia le parole, deci-dendo di calar giù quei nomi irriferi-bili, bastò questo per segnare la sor-te di Giuseppe Fava, ammazzatodai sicari di Santapaola esattamen-te un anno dopo, anche per rendereun buon servizio agli amici cavalie-ri.

Mafia e affari sono parole sdruc-ciolevoli, infide, taglienti. Vanno ac-costate e poi spiegate. Senza la ma-fia, parecchi affari non si sarebberomai fatti, taluni grandi appalti sa-rebbero andati in altre mani, taluniimperi finanziari sarebbero crollatial primo stormir di fronde come gi-ganti dai piedi d’argilla. E moltirampanti imprenditori sarebbero ri-masti capimastri, geometri, palazzi-

nari di provincia. Viceversa, senzala compiacenza di certi uomini d’af-fari, i mafiosi sarebbero rimasti «pe-ri incritati», scarpe sporche di fan-go, come diceva di sé e dei suoi TotòRiina. Senza porte spalancate perfar fruttare nelle banche e nei can-tieri i loro bottini di guerra. Decifra-re il geroglifico di quell’alleanza, ne-gli anni Ottanta voleva dire dare unnome, un volto e una consistenzadefinitiva a Cosa Nostra. Pochi vol-lero farlo. Pochi ne sono sopravvis-suti.

Colpa di quelli come Santapao-la? Della bassa macelleria mafiosa?Troppo comodo. In quegli anni ma-fia e affari non erano un incesto maun titolo di merito in società. Al ma-trimonio di un suo nipote, il cavalie-re Carmelo Costanzo esibiva tra ipropri invitati – politici, finanzieri,amministratori – il boss Nitto Santa-paola. Non era una forzatura: eraun fatto. Quell’amicizia era il segnodi una forza che non temeva giudi-zi. Era l’impunità. Per tutti: per il po-litico, per il cavaliere, per il capoma-fia. Facevano a pugni per farsi ritrar-

re, nelle foto del matrimonio, accan-to al capomafia della città. Crimina-le, certo, e assassino, corruttore,trafficante: ma non è anche questauna declinazione della parola «pote-re»?

Quandoesce il primo numero deI Siciliani con quel lungo articolo diGiuseppe Fava in apertura, «I cava-lieri dell’apocalisse mafiosa», acca-dono due cose: quell’espressioneentra di diritto nel gergo delle cosedi mafia, un’ingiuria che s’incolleràsul destino di quei quattro impren-ditori per tutta la loro vita. La secon-da cosa è che Giuseppe Fava comin-cia a morire. Per quel titolo, perquello che ci sta sotto, per l’ostina-zione di un giornalismo che non vo-leva più limitarsi a censire i cadave-ri e a raccontare le macerie. Scrive-va Fava: «A questo punto della sto-ria avanzano sul palcoscenico iquattro cavalieri di Catania: loroavanti di un passo e dietro una pic-cola folla di aspiranti cavalieri diogni provincia del Sud, affabulato-ri, consiglieri, soci in affari, subap-paltatori… Chi sono dunque i quat-tro cavalieri? Qual è il loro ruolo inquesto tempo di autentica apocalis-

L’allarme«PRIMA CHE VI UCCIDANO» DiGiuseppe Fava con prefazione diRoberto Saviano. È la denunciadella presenzamafiosa in Sicilia.

CLAUDIO FAVA

AFFARI/6

Il ricordo

Il rapporto tra boss e affari è un lungo censimento di opportunismi, silenzie sottovalutazioni. Giuseppe Fava pagò con la vita il coraggio di non tacere

Quanto pubblico denaroera servito a consolidarele ricchezze dei mafiosi?

La denuncia nel primonumero del giornale dalui fondato I Siciliani

La domanda

L’atto d’accusa

Miopadre ammazzatoper aver denunciatoi cavalieri dellamafia

L’assalto agli appalti siciliani

36GIOVEDÌ10DICEMBRE2009

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se?».La risposta la forniranno, negli

anni a venire, mezza dozzina di in-chieste giudiziarie. Carmelo Co-stanzo, ottava impresa italiana nelsettore delle costruzioni, quello delbanchetto di matrimonio con NittoSantapaola ospite d’onore, era or-ganicamente affiliato a Cosa No-stra. Gaetano Graci, il più risoluto,potente e rispettato banchiere delsud, ospitava i summit delle coschecatanesi nei suoi uffici di Catania.Mario Rendo appuntava sulla suaagenda il nuovo organigramma del-la Repubblica: questore: spostare!Prefetto: trasferire! Procuratore:promuovere!

Ecco: la storia del rapporto tramafia e affari è un lungo censimen-to di sottovalutazioni, ritardi, op-portunismi, silenzi. Anche da sini-stra. Mentre qualcuno provava acomprendere e a spiegare cosa stes-

se accadendo nelle vene aperte del-la società siciliana, c’era il raffinatopragmatismo di quelli come Miche-langelo Russo, profeta con vent’an-ni d’anticipo dell’infelice battutadel ministro Lunardi (“I Siciliani

con la mafia debbono imparare aconviverci…”). Oggi a capo dellaconfindustria siciliana c’è un signo-re, Ivan Lo Bello, che ha deciso dibuttar fuori dall’associazione gli im-prenditori che non denunziano gliestorsori. Un altro mondo, un altrotempo: eppure è la stessa terra.Che ogni tanto, bontà nostra, ritro-va la forza per raddrizzare la schie-na.❖

Il libro

Storia di una vita

Le parole di un figlio«NEL NOME DEL PADRE» Di Claudio Fava. Il libro, editoda Baldini e Castoldi, è la storia della rabbia, dellasolitudine e del tentativo di recuperare i fili di un dialogospezzato da cinque pallottole, una sera di pioggia del 1984.

La criminalità organizzatanei circuiti dell’economia

Gli esordiNasce a Palazzolo Acreide (Sr) nel1925 e nel ’43 si trasferisce a Cataniadovesi laureaingiurisprudenzaeside-dica al giornalismo. Scrive su diversetestate localienazionalie lasuaperso-nalitàecletticaglipermettedioccupar-si di cinema, sport, teatro e mafia. So-nosue le leggendarie intervisteai capistoriciCalogeroVizzinieGencoRusso.

La carriera artisticaCollaboracon laDomenicadelCorrie-re e il Tempo illustrato, per anni è ca-pocronista del quotidiano cataneseEspresso Sera. Nel ’70, è candidato al-ladirezionedelgiornale,ma il suoedi-tore Mario Ciancio non lo nomina. SitrasferiscecosìaRomadoveconduceaRadioRai, Voi e io. Scriveper il Tem-po e il Corriere della Sera, mentre se-gue la sceneggiatura di alcune sueopere teatrali.

L’impegno civileNell’‘80 rientra a Catania a dirigere ilGiornale del Sud, scritto da giovanigiornalisticomesuofiglioClaudio,Ric-cardoOrioles e altri. Descrive la guer-radimafia, la lottaintestinatraiSanta-paola e i Ferlito. Denuncia il traffico didroga e i rapporti tramafia e politica.Si schiera anche contro l’installazionedeimissili CruiseaComiso. Il suogior-nalismo fatto di verità, eticadellapro-fessione, senso di giustizia si scontre-rà con il “potere” e per questo verràlicenziato.

L’omicidioNell’82 fonda I Siciliani. L’inchiestaprincipaledelgiornale èquella sui Ca-valieridelLavorodiCatania,uncorag-gioso atto d’accusa contro imaggioriimprenditoridelSud,cheaccendel’at-tenzionesullacittà. Il5gennaio‘84vie-neuccisoaCatania.Nel2003laCassa-zione conferma la condanna all’erga-stoloperNittoSantapaolaeAldoErco-lano, come mandante ed esecutoredeldelitto. AMaurizioAvolavengonoinflitti 7 anni con lo scontodipenaperla sua collaborazione.

Il sito ufficialedi Claudio Fava

Portale dedicatoa Giuseppe Fava

Una voce solitariacontro il poteremafioso

GiuseppeFava, detto Pippo, èstato scrittore, giornalista e

drammaturgoitaliano,oltrechesag-gista e sceneggiatore. Nell’84 fu uc-cisodallamafiadopoaverdenuncia-to i legami tra boss e imprenditori.

MAFIAPULITA

http://www.claudiofava.it/

La «presa» di Catania«LA MAFIA COMANDA A CATANIA» Di Claudio Fava,prefazione di Nando dalla Chiesa ed. Laterza. Unracconto teso e appassionante, che ricostruisce la «presadel potere» da parte dellamafia a Catania.

www.fondazionefava.it

EDIZIONELONGANESI

Per saperne di più

Nel libro di Elio Veltri e AntonioLaudati i meccanismi di infiltrazionedelle mafie nel tessuto economico esociale del villaggio globale. Raccon-tatiattraversocinquestorieavvincen-ti come le sceneggiature di un film.

Farsi ritrarre accanto aun capomafia era unsimbolo di potere

Approfondimenti

Foto simboliche

ELIOVELTRI EANTONIO LAUDATI

Da sinistra in senso orario: laprima pagina de I Siciliani; unafoto d’archivio del boss NittoSantapaola; l’agguato aGiuseppe Fava la sera del 5gennaio 1984; l’imprenditoresiciliano Carmelo Costanzo: almatrimonio di un suo nipoteesibiva tra i propri invitati ilcapomafia Nitto Santapaola;giovani con il pugno chiuso aifunerali di Giuseppe Fava

37GIOVEDÌ

10DICEMBRE2009

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Contro le ricchezze dei boss

POLITICA/7

NEL 1981 decise di tornare in Sicilia per assumere la carica di segretario regionale del partito.Svolse la sua maggiore battaglia contro la costruzione della base missilistica NATO a Comiso che,secondoLaTorre, rappresentavaunaminacciaperlapacenelMarMediterraneoeperlastessaSicilia;perquestoraccolseunmilionedi firmeincalceadunapetizionealGoverno.Malesueiniziativeeranorivolte anche alla lotta contro la speculazione edilizia. Venne ucciso il 30 aprile 1982.

Politica non è una parola, quando si par-la di mafia. Politica è la parola, che se-gna ogni stagione di vita e di morte del-la criminalità organizzata. Un potere

che si esercita su un territorio, nell’ambizione(e nella realtà) demoniaca di Cosa Nostra: am-bizione politica, che la portò a farsi «partito»,appunto. Perciò la politica ha sempre fatto iconti con la mafia. E Cosa Nostra è legata allapolitica, come può esserlo alla terra, o all’aria:per sopravvivere e riprodursi, dettandone mu-tamenti, deturpazioni, inquinamento.

Nel rapporto con la politica la mafia ha con-sumato tutte le sue fasi: polvere e altare, emer-sione e inabissamento. Seguendo l'inclinazio-ne al profitto e/o al potere, estremi di una scalaentro cui ha modulato - soprattutto nella va-riante del grigio - tutte le sue azioni “politiche”:dalla mediazione e alla formazione diretta del-la rappresentanza, dall’influenza al controllosull’attività amministrativa, dall’alleanza alloscontro, fino all'assassinio e alla strage politi-co-mafiosa. Politico-mafioso è aggettivo rivela-tore, e fin dalle origini si accompagna - in Sici-lia e spesso anche altrove - al delitto.

Ma di mafia-politica si muore in tanti modi.Per tradimento di patti e cointeressenze - ancor-ché impliciti. O per un’antimafia che colpiscenel segno. La buona politica vive e muore così:quando si fa azione che precede di molto la re-pressione giudiziaria, e agisce sugli interessidella mafia - la roba e il consenso - indebolendola forza del ricatto mafioso, spezzando il lega-me coi cittadini. E la buona politica non dovreb-be mai ridursi a un solo uomo, un nome cam-biato in simbolo. Ma coi simboli si può fare poli-tica, e mafia. Lo sa, quel sindaco scellerato chevolle rimuovere l'intitolazione dell'aeroportodi Comiso a Pio La Torre? Perché Pio La Torrenon è solo un nome, e la Politica non è solo unaparola. ❖

IL DIZIONARIODELLAMAFIA

Da Cosa Nostra alla battaglia sui missili Nato a Comiso

L’ UOMOIL SIMBOLO

NONERASOLO

UNNOME

Giuseppe Provenzano

Pio La Torre, un eroe contadino

31MARTEDÌ

15DICEMBRE2009

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Filippo ha solo 12 anni. Èfelice perché tra pocogiocherà la sua primapartita di calcio ed è riu-scito a strappare al suo

papà, sempre tanto impegnato, lapromessa di essere presente.

Pio La Torre, dirigente del PCI,è in ritardo. Entro meno di mezz'ora verrà fischiato l'inizio e devearrivare prima. Corre, attraversail quartiere e una volta raggiuntoil campo vi entra e, senza curarsiné delle squadre già allineate nédei genitori assiepati lungo la re-cinzione, prende per mano suo fi-glio e gli dice che non può parteci-pare a quella partita perché il cam-po appartiene ad un mafioso.

Filippo lo segue obbediente machiede spiegazioni. E il padre nonlo delude: «(…) La mafia va com-battuta. Lottare contro la mafia èanche non giocare in un campoche appartiene a un mafioso. Quel-lo che conta è il segnale che si dà.E oggi noi siamo riusciti a dare unsegnale forte in un quartiere dovela mafia comanda. Se tutti si com-portassero come noi ci siamo com-portati oggi, la mafia non avrebbeil potere che esercita. La mafia sinutre della paura della gente. At-tecchisce là dove c'è omertà, silen-zio, complicità. (…) È un cancro ebisogna estirparlo».

Non è fatta di chiacchiere e reto-

rica la politica di Pio La Torre, èespressione diretta della sua espe-rienza di vita. Originario di una fa-miglia di poverissimi contadini, mo-stra fin da piccolo di essere fuoridal comune. È la mamma Angelaad accorgersi della sua diversità eper questo rompe la tradizionalesottomissione e, opponendosi almarito, sostiene il grande desideriodi Pio: studiare. La vita di Pio è du-rissima. Si alza all'alba per compie-re le mansioni che il padre gli affi-da, poi va a scuola, un pasto frugaleal ritorno e poi di nuovo nei campi.La sera dopo cena, al lume di cande-la, perché non c'è luce elettrica, stu-dia.

Gli anni trascorrono velocemen-te, i suoi risultati sono eccellenti, è

il migliore e riesce a conseguire duediplomi e ad iscriversi all'universi-tà. Non ha nemmeno diciotto anniquando entra nella sezione del Par-tito Comunista «Francesco Lo Sar-do», ma ha già le idee chiare: perriscattare la Sicilia bisogna combat-tere la mafia.

Una mattina si reca nei quartieria più alta densità mafiosa e distribu-isce volantini ciclostilati con suscritto: «No alla mafia, al pizzo e al-la violenza», e va a parlare con icommercianti che della parola ma-fia non vogliono nemmeno sentir

parlare e negano con forza di paga-re il pizzo. L'azione politica di Pionon conosce ipocrisia. «Vivete nellapaura che se non pagate, qualcunopossa bruciarvi il negozio o ammaz-zarvi. Dobbiamo ribellarci. (…) Tut-ti sappiamo chi comanda al Capo,all'Acquasanta, all'Albergheria.Queste persone ci stanno rovinan-do. Non lo dobbiamo permettere!».

Nonostante la sua giovanissimaetà La Torre sa già dove deve agire ecome. Non ha dimenticato le sue ori-gini e nel suo preciso progettol'emancipazione dell'isola passa an-che attraverso la lotta per i diritti, acominciare dalla terra. Con lo slo-gan «la terra a chi la lavora» organiz-za il movimento contadino e con lesue doti di schiettezza e praticità su-scita una mobilitazione tale da irri-tare gli sgherri mafiosi che incendia-no la casa di suo padre. Pio non si faintimidire, lascia la casa paterna econcentra la sua opera nel cuoreemergente di Cosa Nostra, a Corleo-ne, dove stanno accrescendo il loropotere Luciano Liggio e i suoi fede-lissimi Totò Riina e Bernardo Pro-venzano. Pio li ha già individuati eloro hanno già individuato lui quan-do alla fine di un comizio è andato astringere la mano al giovane capita-no dei carabinieri che stava inda-gando sulla morte di Placido Rizzot-to: Carlo Alberto dalla Chiesa.

Ma non sono solo i mafiosi ad es-sere infastiditi dalla sua intrapren-denza. Mentre si trova a Bisaquinodove i contadini stanno rivendican-do le terre incolte nascono tafferu-gli e lui, sebbene abbia cercato di

calmare gli animi, viene arrestato.Le prove false e l'inerzia del partitoche non lo difende gli costeranno17 mesi di reclusione ingiusta.

L'esperienza carceraria però nonfa che accrescere la tempra del suospirito. Quando esce Pio La Torre èancora più determinato. Paolo Bufa-lini, il nuovo dirigente locale che siè adoperato per la sua scarcerazio-ne, lo candida al consiglio comuna-le di Palermo. Inizia la vera guerra.Pio ha già capito che gli interessi deimafiosi si sono spostati dalla campa-gna alla città. Da dentro le istituzio-ni si documenta sul piano regolato-re, sul settore dell'edilizia, sulla ge-stione dell'acqua e della nettezza ur-bana. Intuisce il piano di saccheg-gio di Palermo e per primo accusaSalvo Lima e Vito Ciancimino di es-sere collusi con la mafia. Pio non ri-corre a giri di parole e dimostra atutti come si possono risolvere le an-nose questioni siciliane: andando acolpirne le cause.

Tuttavia, come sempre accade aiprecursori, la lotta di Pio La Torrenon viene capita appieno all'inter-no del partito. La perdita dei voti de-gli edili che spaventati dai dibattitisulla speculazione e sulla corruzio-

La storia«COMUNISTI E MOVIMENTO CONTADI-

NO IN SICILIA» Lastoriadelmo-vimento contadino scritta da Pio LaTorre, Editori Riuniti

GIORGIO BONGIOVANNI

ANNA PETROZZI

POLITICA/7

La storia

L’infanzia poverissima, gli studi quasi di nascosto, il rapporto difficile con il PciÈ grazie a lui se giudici comeFalcone hanno avuto strumenti per combattere

Vittime della stessamano. Lui il generaleuccisi dai corleonesi

Amico di Dalla Chiesa

Il reato di esseremafiosoCosì la legge La Torreha cambiato le regole

Un eroe contadino

32MARTEDÌ15DICEMBRE2009

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ne avevano scelto la Dc è motivo suf-ficiente per sostituirlo.

Non è però la fine del giovane di-rigente che anzi, trasferito a Roma,dove diventa deputato nazionale emembro della commissione antima-fia, escogita il piano e gli strumentiper assestare un colpo micidiale alpotere politico, mafioso e imprendi-toriale che si sta ramificando nelnord d'Italia e all'estero. Le mano-vre di Sindona e le sue collusioni po-litiche non sono sfuggite all'occhioattento di La Torre. All'inizio non èche un'idea di cui mette a conoscen-za solo il giornalista Alfonso Ma-deo, uno dei suoi amici più fidati,poi comincia a svilupparla. «Ai ma-fiosi bisogna togliergli i "piccioli". Bi-sogna permettere le indagini banca-rie... ma manca ancora qualcosa.Oggi il mafioso viene perseguito so-lo se si accerta un reato… capovol-giamo il fronte. Perché non provarea considerare reato l'essere mafio-so?». È una rivoluzione. Così si puòcolpire anche chi la mafia la proteg-ge e la fiancheggia.

Pio comincia a lavorare sulla leg-ge che porterà il suo nome e per ladefinizione tecnica si affida alla col-laborazione di due giovani magi-

strati di Palermo: Giovanni Falconee Paolo Borsellino. Il 31 marzo1980 deposita alla Camera dei de-putati la proposta di legge 1581 checontiene l'articolo 416 bis. Associa-zione mafiosa. Intatto Palermo è ter-rorizzata da continui omicidi so-prattutto di uomini delle istituzio-ni.

Pio sente il richiamo della suaterra. Sa anche che se non sarà lui atenere alta l'attenzione la sua leggeresterà chiusa in un cassetto. Tornaa Palermo dopo aver incassato l'assi-curazione del prossimo trasferimen-to del generale dalla Chiesa. Insie-me, aveva detto il generale, nel girodi due anni, avrebbero fatto le cosepiù importanti. La Cupola mafiosae la cupola politico-imprenditorialenon intendono correre questo ri-schio. E uno dopo l'altro Pio La Tor-re e il generale Carlo Alberto dallaChiesa vengono uccisi dal gruppodi fuoco dei corleonesi.

La legge Rognoni-La Torre verràapprovata dopo la morte di entram-bi, mentre per ottenere la confisca ele destinazione sociale dei beni ma-fiosi si dovrà attendere la raccoltadi firme di Libera nel 1996. ❖

Il libro

Cronologia

La vita«PIO LA TORRE, UNA VITA PER LA POLITICA ATTRAVERSO I DO-

CUMENTI» Il libroèdiDomenicoRizzo,editoreRubet-tino. Rizzo - che di La Torre fu amico personale - metteinsiemeun ritratto finalmente completo della vita

Le sfide al poterenella terra dei boss

Le lotte contadineNel 1945 si iscrive al Pci e partecipaallelottecontadine.Dueannipiùtar-di ènel Consiglio federale che inizial’occupazione delle terre e nel ’50guidauncorteodibracciantiaBisac-quino. Quando vengono circondatidallapoliziatenta inutilmentedi fre-narelarepressioneevieneingiusta-mente arrestato.

Il carcereIn carcere rimane fino al 23 agostodel ’51 edescedopodopo17mesi didetenzione.Unperiododuroduran-te il quale lamoglie partorisce il pri-mo dei due figli, Filippo.

Il ParlamentoLa carriera politica prosegue: nel’62 è segretario regionale del Pci enel ’72 è eletto al Parlamento, doveresteràper tre legislature. Tragli in-carichi più importanti quello dimembro della Commissione Anti-mafia.

La sfida allamafiaNel ’76, insieme al giudice Terrano-va, scrive la relazione di minoranzachemettein luce irapporti tramafiaepolitica,contantodinomiecogno-mi. Al documento aggiunge unapropostadi leggeper introdurrenelcodice penale il 416bis. Un affrontoche lamafia non gli perdonerà.

LamorteNel 1981 torna in Sicilia come segre-tario regionale del Pci. Si batte con-tro l’installazione deimissili a Comi-so. Il30apriledel1982vieneassassi-natodaCosaNostraassiemeaRosa-rio Di Salvo. Dopo la suamorte vie-ne approvata la legge Rognoni-LaTorre, che introduce nel codice pe-nale il reatodiassociazionemafiosae la confisca dei beni. Solo nel 2007la Corte d’Assise di Palermoemettel’ultimadiunaseriedisentenzecon-tro gli esecutori. È rimasta irrisoltala ricercadimandanti esterni dima-trice diversa da quellamafiosa.

Informazioni su Cosa Nostrae organizzazioni criminali

Centro di studied iniziative culturali

Tutta una vitadedicata ai più deboli

Unavitadedicataaipiùdebo-li quella di Pio La Torre. Nato

nel 1927 ad Altorello di Baida, unaborgatadiPalermo,daunafamigliadicontadinipoveri,nell’autunnodel1945si iscrissealPartito comunista.

PIO LATORRE, UNA STORIA ITALIANA

www.antimafiaduemila.com

Le origini«UN COMUNISTA ROMANTICO» CesareSimoneperEdi-tori Riuniti. Pio La Torre nasce il 24 dicembre 1927 da unafamiglia contadina di Altarello di Baida, una borgata diPalermo. Organizzando l’occupazione delle terre nel 1950

www.piolatorre.it

ALIBERTI EDITORE

Approfondimenti

Pio La Torre, una storia italiana,Aliberti Editore. Il racconto appassio-nato della straordinaria vita di Pio LaTorre.Unpoliticotrasparenteeunuo-mo coraggioso che non ebbe pauradi sfidare lamafia nelle sue collusionicon il potere politico ed economicopromuovendo la legge che colpiscel'associazionemafiosaeisuoibeni ille-citi.

Per saperne di più

GIUSEPPEBASCIETTOCLAUDIO CAMARCA

Da sinistra in senso orario: Pio LaTorre a unamanifestazione delPci. Tra gli occupanti di terreincolte a Palermo. Quattro aprile1982,manifestazione per la pacecontro installazionemissiliCruise. Secondo secondo LaTorre rappresentavano unaminaccia per la pace

33MARTEDÌ

15DICEMBRE2009

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Quando la Sicilia iniziò a cambiare

SOLITUDINE/8

TESTIMONE DI GIUSTIZIA Non era una pentita dimafia, non aveva infatti mai commesso alcunreato di cui pentirsi, Rita Atria. Per questo la sua collaborazione assume un valore ancora più alto ecorrettamente ci si riferisce a lei come "testimone di giustizia", figura questa che è stata legislativa-mente riconosciuta con la legge 13/2/2001 n. 45. Nel 2007Veronica D'Agostino ha impersonatoRitanel film «La siciliana ribelle» del registaMarco Amenta.

Nascere diversi, crescere contro,sentirsi per istinto alieni in casapropria. Non capire la logica dituo padre, la scelta di un fratello,

il silenzio di tua madre. Chiudersi quindi,dare forse un segno di insofferenza conqualche intemperanza adolescenziale, manulla più. E se sei donna in terra di mafia, divoler essere diversa non lo puoi nemmenopensare. Non una parola di troppo, neppu-re uno sguardo sollevato accidentalmente,nessuno con cui confidarti. Perché anchese ci fosse quel qualcuno, e non sempre c’è,sarebbe un rischio. Alla fine ti trovi conun’unica compagna: la tua solitudine.

Esiste però nel profondo dell’anima unsenso del limite alla sopportazione. Nessu-na cultura lo può davvero reprimere e, disolito, è il dolore a marcarlo. Rifiuto del ma-le, ribellione alla morte danno il coraggiodi rompere con il passato, con il proprio am-biente e persino con la propria famiglia.Ma non si può rompere con la solitudine.Anzi, queste scelte l’accentuano.

Poi succede di trovare gli occhi giusti. Ac-cade quando gli occhi che hanno visto lapaura incontrano quelli che hanno saputovincerla. E la mano tremante incontra lamano ferma. È quanto è successo a RitaAtria con Paolo Borsellino. È allora che siavverte come possibile la vittoria sulla soli-tudine.

La possiamo avvertire in tanti questa pos-sibilità leggendo la storia di quella ragazzae di quel giudice. Una storia da raccontarenelle scuole, da diffondere con i libri, i gior-nali, le tv. Perché sconfiggere la solitudinesignifica anche sconfiggere la sete di ven-detta.❖

IL DIZIONARIODELLAMAFIA

Tra le prime testimoni di giustizia

VINCERE LA PAURACONUN INCONTRO

L’ESTREMOLIMITEDELLA

SOPPORTAZIONE

CAPO RED. ANTIMAFIADUEMILAAnna Petrozzi

Rita Atria Anni 90: un’adolescente contro lamafia

25MERCOLEDÌ16DICEMBRE

2009

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C’è un cimitero, in Italia,che ospita una tomba an-cora senza nome. Non per-ché non si sappia chi è se-

polto, ma perché non si vuole cheun nome, quello di Rita Atria, abbiala dignità della memoria, del lega-

Rita se n'è andata via unadomenica pomeriggio,volando giù dalla finestraincontro alla sua morte.

Che l' abbia scelto non toglie nullaal fatto che il suo nome vada scrittonella stessa lista delle vittime di viaD'Amelio. Rita Atria è morta infattilì, su quel tritolo, insieme a Paolo eagli altri. Perché lì finiva la sua spe-ranza. Che abbia ancora respirato,pianto, mangiato, bevuto, parlatoper la settimana successiva all'at-tentato non significa e non aggiun-ge nulla.

Viveva nascosta per sfuggire al-la morte, e ci vuole un gran fegato,e una gran voglia di vivere, percampare così. Ma non la voglia diuna vita qualunque.

Amava la sua, fatta di coraggio,di ribellione, di onestà. Diciassetteanni e la forza di una montagna.Contro tutti. Contro sua madre,contro sua sorella. Cioè anche con-tro se stessa, figlia di quella madre,e di quel padre mafioso ucciso dal-la mafia, sorella di Nicola, mafiosopure lui, e pure lui ucciso. Perché,come diceva, «prima di combatte-re la mafia devi farti un auto-esa-me di coscienza e poi, dopo averesconfitto la mafia dentro di te, puoicombattere la mafia che c'è nel gi-ro dei tuoi amici...».

Non le tremava né il cuore, né lavoce quando raccontava ai magi-

strati quello che sapeva della mafiadi Partanna.

Chi c'era mi ha detto che a mano amano che andava avanti, ricordan-do e rispondendo alle domande, lesi apriva lo sguardo, e una serenitàpiana dilagava a distendere i trattidel volto, che erano quelli di una ra-gazzina, ma induriti, e stanchi. Mihanno detto - e ancora si stupivanoa ricordarlo - che sembrava diventa-re a mano a mano felice. Eppure, ine-vitabilmente, si consegnava ad un'esistenza segnata dalla necessità dinascondersi.

Chi vive così deve scolorire se stes-so. Nessuno deve ricordare di avertiincontrato, né riconoscerti, né averela curiosità di sapere di te. Devi esse-re insignificante, e anonimo, mesco-

lato a mille altri, da mille altri indi-stinguibile. Ma Rita entrava nella li-bertà, perché era la libertà di dentroa comandare, per lei.

S'andava liberando l'anima,s'apriva - nuova - una vita. Che ave-va una sola condizione, e cioè la spe-ranza. Che non fosse tutto inutile.Che ci fosse un senso. Per questo èmorta in via D'Amelio insieme a Pao-lo Borsellino. Perché lì è morta lasperanza di Rita, lì ha smarrito il sen-so. Era troppo grande l'anima suaper una vita piccola. Per questo sen'è volata via.

Il libro più belloUNA RAGAZZA CONTRO LA MAFIA. RITA

ATRIA, MORTE PER SOLITUDINE

Il bellissimo libro di Sandra Rizza del1993, edizioni «La Luna».

ANNA FINOCCHIARO

LUIGI CIOTTI

SOLITUDINE/8

Il ricordo

Aveva raccontato lamafia della sua famigliaNon aveva paura, sembrava felice. Poi il vuoto

La storia

La sua tomba è rimasta senza nome, lo sfregiodelle cosche. Il suicidio 7 giorni dopo via D’Amelio

«Dopo avere sconfitto lamafia dentro di te, puoicombattere la mafia...»

Le sue parole

Quel voloSenza Borsellinosenza speranza

Rita AtriaChe a 17 annisfidò lamafia

La nostramemoria

La ragazza che volle parlare

26MERCOLEDÌ16DICEMBRE2009

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me che unisce i morti ai vivi.Rita nasce a Partanna, in provin-

cia di Trapani, il 4 settembre 1974.La sua è una famiglia di mafia. Co-me in tante altre vicende, la violen-za inferta si trasforma in ritorsione.Il padre Vito, piccolo boss locale, vie-ne ucciso nel 1985. Rita, una bambi-na terrorizzata, riversa il suo affettosu Nicola, il fratello maggiore, cercain lui il riferimento, la protezione dicui la morte del padre l’ha privata.Ma Nicola ricalca la strada paterna,nonostante la moglie Piera – estra-nea a quei mondi, a quella mentali-tà – cerchi di dissuaderlo. Si mettenel traffico di droga, comincia a fa-re soldi, diventa una figura emer-gente della mafia locale. E comespesso accade, pesta i piedi ad altripiù potenti di lui. Viene ucciso il 24giugno 1991, sotto gli occhi dellamoglie.

Piera decide di diventare testimo-ne di giustizia, viene trasferita altro-ve sotto protezione. E Rita? Rita èuna ragazza di diciassette anni, in-telligente, profonda. Due grandi oc-chi che rivelano una sensibilità acu-ta, un bisogno sempre più forte dicapire, dare un senso a quel caos in-teriore, a quei sentimenti contra-

stanti: da un lato la famiglia, i vinco-li affettivi, il mondo nel quale è natae cresciuta, dall’altro quel sentirsisoffocata, estranea, quella diversitàche spinge per emergere e che chie-de parole e gesti di riconoscimento.

Anovembredecidedi seguirelastradadiPiera, la cognata. Sul-la scelta incide anche un incontro,quello con Paolo Borsellino. Traquesto magistrato schivo, profonda-mente umano, e quell’adolescenteinquieta scatta subito una forte sin-tonia. Rita si affida a Borsellino co-me al padre che le è mancato. Lui larassicura, le sta vicino, non le fa maimancare il suo affetto paterno nem-meno quando Rita viene trasferita aRoma, dove raggiunge Piera ed en-tra nel programma di protezione.

Per Rita sono mesi difficili ma an-che belli: vive la vita non vissuta, as-sapora il gusto della crescita, dell’in-terrogarsi senza paura, del guardar-si attorno con occhi finalmente libe-ri dai condizionamenti di chi vorreb-be farti vedere solo la sua realtà.Certo non mancano i momenti diffi-cili, ma a sostenerla c’è la vicinanzadella cognata, e poi quella personastraordinaria, Paolo Borsellino, che

interviene sempre quando c’è dasbrogliare qualche problema buro-cratico o quando riemerge la pauradi avere fatto un passo troppo gran-de.

Nel giugno del 1992 Rita, che hacontinuato a studiare, prende la ma-turità. Le viene assegnato proprioun tema sulla mafia: a Capaci è ap-pena avvenuta una strage. «L’unicosistema per eliminare la mafia – scri-ve Rita – è rendere coscienti i ragaz-zi che ci vivono dentro che al di fuo-ri c’è un altro mondo fatto di cosesemplici, ma belle, un mondo dovesei trattato per ciò che sei, non per-ché sei figlio di questa o di quellapersona».

Un destino crudele l’aspetta alvarco. Il 19 luglio esplode un’autoin via d’Amelio. Insieme a Paolo Bor-sellino e ai ragazzi della scorta, Co-sa Nostra uccide anche le speranzedi una ragazza che altrove sta cer-cando di costruirsi una vita. Comeuna farfalla appena uscita dal bozzo-lo, ancora troppo fragile per volare,Rita si affaccia al balcone e si abban-dona al vuoto in cui l’ha lasciata lamorte del magistrato. Muore il 26luglio 1992. La sua tomba, a Partan-

na, verrà distrutta: per il codice spie-tato della mafia chi diventa testimo-ne di giustizia non deve esisterenemmeno da morto.

È quella tomba senza nome a ren-dere necessaria la memoria di Rita;ancora più importante, però, è chequella memoria diventi impegno.Come tutte le vittime di mafia, Ritaè morta anche di solitudine, la soli-tudine della società dell’io: societàdell’indifferenza, dell’ingiustizia,dell’illegalità, della corruzione, deidiritti solo affermati, delle leggi aprotezioni dei potenti. Una societàche spetta dunque al “noi”, a ciascu-no di noi, cambiare, partendo dallepiccole cose, dalle singole compe-tenze, dalla nostra condotta quoti-diana.

«Prima di combattere la mafia –scriverà Rita prima di morire – devifarti un esame di coscienza e poi, do-po aver sconfitto la mafia dentro dite, puoi combattere la mafia che c’ènel giro dei tuoi amici. La mafia sia-mo noi ed il nostro modo sbagliatodi comportarci».❖

Il libro

Cronologia

Associazione antimafiaWWW.RITAATRIA.IT L’Associazione Rita Atria na-sce aMilazzo –Messina - nell’inverno del 1994dall’iniziativa di due studentesse Nadia Furnari eSantina Latella.

Quel particolaremododi essere dell’«onore»

Rita Atria, a soli 17 anni, nel no-vembre1991,decidedi seguire leor-me della cognata, cercando, nellamagistratura, giustizia per quegliomicidi. Il primo a raccogliere le suerivelazionifuPaoloBorsellinoalqua-le ella si legò come ad un padre. Ledeposizioni di Rita e di Piera, unita-mente ad altre deposizioni hannopermessodiarrestarediversimafio-si e di avviare un'indagine sul politi-coVincenzinoCulicchiapertrent'an-nisindacodiPartanna.Dopounaset-timana dalla bombadi via d'Amelio,si uccise a Roma dove viveva in se-gretezza.RitaAtriapermolti rappre-sentaun'eroina.Rinunciòatutto,an-cheagli affetti dellamadre (che la ri-pudiòechedistrusselalapideamar-tellate).

Un sito ricco di notizie e dipartecipazione democratica

Il sito dedicato alla ragazzawww.ritaatria.it

Il coraggio spezzatodi una giovane siciliana

Rita Atria nasce in una fami-glia mafiosa ed a undici anni

perde,uccisodallamafia, ilpadreVi-to,mafiosodella famiglia di Partan-na. Sonogli annidell'ascesadei cor-leonesi e della guerra dimafia.

LEVESTALI DEL SACRO EDELL’ONORE

www.antimafiaduemila.com

Le ultime paroleCOSA HA DETTO «Hopaura che vincerà lo Statoma-fioso. Lamafia siamo noi e il nostromodo sbagliato dicomportarci. Borsellino, seimorto per ciò in cui credevi,ma io senza di te sonomorta».

www.unita.it

FLACCOVIOEDITORE

Per saperne di più

TeresaPrincipato inquesto li-bro ha messo la sua esperienza dimagistrato: ha studiato le donnediCosanostra in tutti i loro risvolti so-cialieaffettivi.Nellasuacarrierahamesso a fuoco i comportamentidellemadri "dimafia": esempidi fe-deltà assoluta attraverso le qualiCosa nostra si autoriproduce edu-candoifiglialperversomodellopa-terno.

Per non dimenticare

L’ha percepita pertroppo poco tempoIl nulla in un attimo

TERESAPRINCIPATOALESSANDRADINO

La vita

Da sinistra verso destra: il giornodei funerali di Rita Atria. La fotodella ragazza accanto a quelladel padre ucciso dallamafia. Lavilla comunale di Partanna,intitolata a Rita Atria.

27MERCOLEDÌ16DICEMBRE

2009

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Una vita di battaglie contro Cosa Nostra

RIBELLIONE/9

LA LUNGA ATTESA Sono occorsi anni prima che emergesse la verità sull’omicidio di PeppinoImpastato(Cinisi5gennaio1948-9maggio1978).Fuassassinato ilgiorno incui l’Italia inorridivaper ilritrovamentodelcadaverediAldoMoro.Ikillertentaronodifarloapparirecomel’autorediunattenta-to: il corpo dilaniato da una carica di tritolo fu gettato sui binari della ferrovia. Solo nel 1984, grazie auna indagine avviata dal giudice Rocco Chinnici, si capì che si era trattato di un delitto dimafia.

La ribellione è la «reazione a uno stato diesasperata soggezione o costrizione,capace di tradursi in aperta rivolta ar-mata (la ribellione di un popolo; con-

tro le forze dell'ordine), in un deciso rifiuto all'obbedienza ( ai genitori, alla disciplina)» - Voca-bolario Devoto- Oli .

In Sicilia, una ribellione sociale, di massa,persino di popolo, pur se non sfociata in rivoltaarmata, c’era già stata: l’occupazione delle ter-re nell’immediato dopoguerra. Ribellione paci-fica, quanto alle intenzioni dei partecipanti; sof-focata nel sangue, quanto al volere dei mafiosie degli agrari. Ma ribellione. La posta, per mi-gliaia di braccianti, fu rappresentata dalla possi-bilità di lavorare nonostante i latifondisti assen-teisti. E tenere accesa questa speranza, di persè, determinava quel rifiuto di una “esasperatasoggezione”, anch’esso contemplato dai dizio-nari. Esasperata soggezione e, si potrebbe ag-giungere nel caso Sicilia, anche atavica, quasiancestrale.

Quanto al rifiuto all’obbedienza di genitorimafiosi, prima che muovesse la tragica epopeadi Peppino Impastato, le cronache non ne parla-no. E non ne parlano perché non avrebbero nul-la da dire. Magari ci saranno stati episodi passa-ti sotto silenzio, rari gesti di insubordinazione,“sciarre” (liti) familiari, ma della durata di unmattino; niente a che vedere con quella costan-te ribellione individuale di Peppino Impastatoche si tradusse presto in qualcosa di assai piùalto. Se il padre era mafioso, alla madre, Feli-cia, quel mondo faceva schifo; e si leggano lepagine di Dacia Maraini (Sulla Mafia, GiulioPerrone editore), per capire quanto sia centralela figura femminile nel contesto mafioso. Il ‘68,l’adesione a gruppi di estrema sinistra, la lettu-ra spasmodica di testi che a Cinisi non leggevanessuno, il sentirsi parte di un’altra storia fece-ro il resto. ❖

IL DIZIONARIODELLAMAFIA

La simulazione di un attentato terroristico

SENTIRSI PARTEDI UN’ALTRA STORIA

LA SPERANZACHE SCONFIGGELA SOGGEZIONE

GIORNALISTA E SCRITTORESaverio Lodato

Peppino Impastato L’eroe dei «cento passi»

31GIOVEDÌ

17DICEMBRE2009

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Ribelli si nasce o si diven-ta? La rivoluzione saltain aria con cinque chili ditritolo, in una tiepida not-

te di primavera, lasciando in girominutissimi frammenti, oppure èqualcosa che ti accompagna doveci sono ingiustizie da sanare, vio-lenze, tirannie, miseria? E Peppi-no Impastato è nato “diverso” inun paese mafioso come Cinisi o loè diventato a causa di cattive amici-zie, di cattivi maestri, di letturesbagliate? È diventato così perchéaveva una madre come Felicia, ri-belle, o perché era costretto a subi-re le violenze del padre Luigi che,come scrive lui stesso, «voleva im-porgli il suo codice comportamen-tale».

Luigi apparteneva a una fami-glia storicamente mafiosa, era sta-to al confino, aveva rafforzato ilsuo prestigio quando il capomafiaCesare Manzella, che passava perun benefattore, aveva sposato suasorella: non esercitava un ruolo diprimo piano, ma era “ntisu”, ascol-tato. Portava per mano il piccoloPeppino a tutte le manifestazioniin cui erano presenti i mafiosi econtava di farne il suo erede in tut-ti i sensi.

Felicia apparteneva a una fami-glia benestante: aveva fatto parla-re di sé quando, una settimana pri-

ma delle nozze, con il corredo espo-sto, aveva rotto il matrimonio, di-cendo di non amare la facoltosa per-sona sceltagli dal padre e intiman-dogli di non ricorrere a gesti comela “fuitina”, altrimenti li avrebbe de-nunciati. Un altro esempio dellasua fermezza lo aveva dato quandoLuigi era stato sorpreso da un mari-to geloso e costretto a scappare inmutande: Felicia lo aveva lasciato,aveva portato con sé i bambini edera andata ad abitare a casa di suofratello: solo due mesi dopo, graziealla mediazione di Cesare Manzel-la, si era decisa a tornare. Qualcheanno prima aveva perso un figlioper una sospetta meningite e, te-mendo che Peppino potesse esserecontagiato, lo aveva affidato a sua

sorella Fara e a suo fratello Matteo,un socialista che lasciò una forte im-pronta nell’educazione di Peppino.

Gli anni ‘60 furono brutti: nel1963 Cesare Manzella, in combuttacon il clan dei corleonesi di LucianoLiggio, diverse volte ospite a casasua, e con la cosca dei Greco di Cia-culli, era saltato in aria con la sua“Giulietta” e Luigi, per precauzionesi era “cantiatu”, nascosto e avevaaccompagnato la famiglia a Contes-sa Entellina, dove viveva un fratel-lo, soprannominato “Sputafuoco”,gabellotto dell’onorevole Pecoraro.

Peppino frequentò il liceo classi-co di Partinico, assieme a un grup-petto di compagni, tra i quali i duefigli del segretario della sezione delPsiup, nato in quegli anni dai ribellidel Psi, che non avevano condivisol’adesione al centrosinistra. I ragaz-zi cominciarono ad organizzarsicon un giornale, L'Idea socialista,una novità per un paese cultural-mente stagnante: ciclostile, matri-ce, inchiostro, carta, spillatrice e di-stribuzione gratuita: inchieste sulladifficoltà dei rapporti interpersona-li, un dirompente servizio di Peppi-no: «La mafia è una montagna dimerda», denunce sull’assenza distrutture sportive, vignette, poesieed altro, fino a quando il sindaconon denunciò la redazione priva diun direttore responsabile. Il proces-so si concluse con una multa e fu ilprimo contatto di Peppino con un tri-bunale. Se il Pci aveva come puntodi riferimento Mosca, il Psiup guar-dava con più attenzione a Pechino eall’esperienza della rivoluzione cul-turale. A Cinisi circolava molto ma-teriale filocinese, soprattutto gliscritti di Mao.

Intantosi consumava una dramma-tica lacerazione tra Peppino e suopadre: non era questo il figlio cheLuigi voleva, meno che mai un co-munista. Si arrivò alla rottura e Lui-gi buttò fuori di casa il figlio ribelle,per dare una dimostrazione al pae-se e ai suoi amici. Peppino trovò ungarage in affitto che divenne sededel «Circolo Che Guevara»: vi cam-peggiavano quattro grandi manife-sti di Marx, Engels, Mao e Stalin. So-

pravviveva con quel po’, abiti, libri,vestiti, che sua madre gli portava dinascosto. Maturavano altre cose: lascellerata scelta di costruire un aero-porto civile per Palermo su una stri-scia di terra tra le montagne e il ma-re aveva reso necessaria la costruzio-ne di una terza pista trasversale, perevitare pericolosi vuoti d’aria nellegiornate di scirocco. A Cinisi si eracostituito un consorzio di espro-priandi che chiedevano il pagamen-to anticipato delle terre, per compra-re qualche altro luogo dove conti-nuare a lavorare. Fu quello il battesi-mo di fuoco nell’attività sociale diPeppino. Assemblee con i contadi-ni, cortei, comizi, manifestazioni inpiazza o per strada lo portarono alcontatto con le mitiche “masse” e ascontrarsi con la violenza del pote-re. Furono calpestate tutte le normepreviste per gli espropri e si verificòuna vera e propria occupazione mili-tare con cariche di polizia, arresti,sventramento delle case dove abita-vano i contadini, processi , condan-ne, valutazione irrisoria dei terrenie pagamento dopo quattro o cinqueanni, in pratica la distruzione del-l’economia agricola di Cinisi.

Dopo questi fatti maturò la defini-

Il rock per PeppinoVENTISEI CANZONI Edito da «Ilmanifesto» nel 2008 è uscito undoppio albumper Peppino con lemigliori band del rock italiano.

SALVO VITALE

RIBELLIONE/9

La storia

Il distacco dal padre che voleva imporgli, come lui stesso scrisse, il “codicecomportamentale”mafioso, le battaglie politiche, la radio comeun’arma

Felicia lasciò la casaassieme ai figli dopo untradimento del marito

Scrittore e giornalista

Lamadre ribelle

Il ragazzo di Cinisiche rideva in facciaalla violenza dei boss

Peppino Impastato, una vita contro

32GIOVEDÌ17DICEMBRE2009

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tiva rottura col Pci, che aveva abban-donato la lotta già da tempo, perchél'aeroporto si “doveva” fare. Le scel-te di Peppino si orientarono primaverso la Lega dei Comunisti e poiverso il Pcdi ml, uno strano partitofilocinese che chiamava quelli delPci “revisionisti” e professava unaconvinta ortodossia marxista legataal principio della rivoluzione comemomento indispensabile per costru-ire una società comunista. In quelpartito rimase poco meno di un an-no e poi fu espulso per indisciplina.Scoppiava il ‘68 e fu un’ubriacaturadi idee, novità, letture, proposte,scelte, azioni. “L'uomo a una dimen-sione” di Marcuse o “Ribellarsi è giu-sto”, di Sartre e Gavi erano letturepressoché obbligatorie, ma Peppinocomprava altri libri pagandoli a ra-te.

Nel 1972La candidatura di Valpre-da nelle liste del “Manifesto” rappre-sentò un forte momento d’impegnoe, ancor più, qualche anno dopo, lacreazione del circolo “Musica e cul-tura”, che fu un esaltante momentolegato, da una parte, alle idee delmovimento del ‘77, dall’altra anco-rata a Lotta Continua. I duecento

giovani che ne facevano parte si de-dicavano a tutto, dai cineforum aidibattiti sulla repressione sessuale,sull’uso delle droghe, sul nucleare,alla ridicolizzazione degli atteggia-menti e delle usanze della borghe-sia. L’ultimo passaggio della sua vi-ta fu Radio Aut, costruita con poverimezzi, ma efficace nel denunciaregli intrecci tra mafiosi e politici e leloro speculazioni. Peppino era tor-nato alla ribellione iniziale, quella

contro suo padre, mafioso, che ades-so era sostituito da Tano Badala-menti, boss assoluto del territorio enon solo. Fu questo che non gli ven-ne perdonato, di avere rotto un codi-ce, di non essere organico al sistemadominante, di non avere avuto ri-spetto per i potenti e di averli ridico-lizzati pubblicamente. E la strategiadel suo delitto fu quella di farlo pas-sare per un terrorista, per un suici-da, comunque per un folle.❖

Il libro

Cronologia

Un’ampia bibliografiaLA VITA E I PROCESSI S. Vitale: «Nel cuore dei coralli»(Rubbettino, 1995, 2002) e «Peppino Impastato, Una vitacontro lamafia» (DoveriaMannelli, 2008); U. Santino: «Chiha ucciso Peppino Impastato» (Palermo 2008).

La battaglia di unamadree la «mafia domestica»

Le denuncePeppino Impastato nasce in una fa-miglia dimafia. Il padre, Luigi Impa-stato, era strettamente legato a Co-sa Nostra attraverso suo cognato,Cesare Manzella, un boss di prima-riagrandezzache,neglianniSessan-ta, aveva giocato un ruolo chiavenell’avvio del traffico di droga congli Stati Uniti. Peppino rifiutò fin daragazzo quelmondo.

Radio AutLarotturadei rapporticolpadreè laconseguenzaquasinecessariadellasua diversa concezione delmondo.Viene cacciato di casa e, nel 1977,fonda Radio Aut, un’emittente libe-ra autofinanziata. Nella trasmissio-ne«OndaPazza»denuncia leconni-venzeegliaffarideimafiosidiCinisie Terrasini. Il bersaglio preferito èdon Tano Badalamenti, sopranno-minatoTanoseduto, l’eredediCesa-reManzellanonchéamicodisuopa-dre Luigi.

L’omicidioÈ un destino segnato quello di Pep-pino Impastato. Il 9 maggio 1978mentre l'Italia è sotto choc per il ri-trovamento del corpo senza vitadel presidente della Dc Aldo Moro,Peppino viene ucciso, dilaniato dauna bomba piazzata sulla ferroviaPalermo-Trapani cinque giorni pri-ma della sua elezione a consiglierecomunale.

La vicenda giudiziariaInizialmente le indagini parlano diattentato terroristico e in seguito disuicidio. Dopo due archiviazioni(1984e1992),avent’annidall'omici-dio, il 15dicembre1998sitienelapri-ma udienza del processo.

Il 5marzo 2001 la Corte di Assisecondanna Vito Palazzolo a 30 annidireclusioneel’11aprile2002laCor-tediAssisediPalermoinfliggeaGa-etanoBadalamenti lapenadell'erga-stolo come mandante dell’assassi-nio di Peppino Impastato.

Un sito ricco di notizie e didocumenti su Cosa Nostra

Gli articoli, le poesie e anchela voce di Peppino Impastato

Ucciso lo stesso giornodell’assassinio di Moro

Giuseppe Impastato (Cinisi, 5gennaio 1948 - 9 maggio

1978) è stato un giornalista, politicoe artista. Venne ammazzato dallamafia perché faceva nomi e cogno-mi inunaCinisi sorda, ciecaemuta.

LAMAFIA IN CASAMIA

www.antimafiaduemila.com

Il film sulla sua vitaI CENTO PASSI È il titolodel filmdiMarcoTullioGior-dana sulla vita di Peppino. I «cento passi» sono quelli cheoccorre fare, nel paese di Cinisi, per colmare la distanzatra la casa degli Impastato e quella del boss Badalamenti.

www.peppinoimpastato.com

LALUNA

Per saperne di più

Intervistata da Anna Puglisi eUmberto Sannino, Felicia BartolottaImpastato racconta di sé, dei figli, delmarito,dell’ambiente familiareepae-sanodi diffusa e solidamafiosità, del-l’attivitàpoliticadiGiuseppe.Ne risul-taunafiguradidonnadiversadaogniarchetipo di madre mediterranea inlutto,dimadreeroica.Undocumentonon comune.

Lo uccisero e tentaronodi farlo passare per unterrorista o un folle

Approfondimenti

Omicidio e depistaggio

FELICIABARTOLOTTA IMPASTATO

Da sinistra, in alto, in sensoorario: lamadre di PeppinoImpastato con un ritratto delfiglio; il giorno dei funerali diPeppino; l’ex sede di RadioOutdurante unamanifestazione perricordarlo; una foto d’archivo diPeppino

33GIOVEDÌ

17DICEMBRE2009

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Rapporti coi politici e traffici di droga

PADRINO/10

GLI INCONTRI CON ANDREOTTI StefanoBontate (Palermo, 23 aprile 1939, 23aprile 1981) è stato ilbossdei rapporti con lapolitica.L’uomocheprotesseMicheleSindonadurante la fuga inSiciliaeche -secondo i pentiti FrancescoMarino Mannoia e Angelo Siino - incontrò Giulio Andreotti. È stato, tra ibossmafiosi, quello chepiùdi tutti ha incarnato la figura letteraria del «Padrino». Si facevachiamare«Principe di Villagrazia». I killer inviati da Totò Riina lo assassinarono il giorno del suo compleanno.

Per almeno un secolo, la mafia ha fattoa meno del "Padrino". Se le parole tro-vano la loro dimora ideale nei diziona-ri, è lecito dire che la parola

“padrino”, meglio se con la “P” maiuscola, asignificare capo dei capi, boss dei boss, rappre-sentante della cupola, o mammasantissimache sia, è parola senza fissa dimora. Non figuranel vocabolario italiano del Tommaseo, né inquelli siciliani del Mortillaro e del Traina. Intempi moderni, nei “Gerghi della malavita dal‘500 ad oggi”, curati da Ernesto Ferrero perMondadori (1972), si registra analoga assen-za. D’altra parte, la stessa mafia non ha maiavuto bisogno del termine padrino: i mafiosinon si sono mai rivolti al loro capo con que-st’appellativo onorifico. Tutti sanno che esistela saga del “Padrino”, The Godfather, trilogiacinematografica di Francis Coppola (dal1972), che liberamente s’ispirava al romanzodi Mario Puzo (1969). Fu quando il film irrup-pe nell’attualità che il termine si impose: manon fra mafiosi, semmai fra siciliani che discu-tevano di mafia. E deve essere stata la podero-sa accoppiata Puzo-Coppola ad avere spinto icuratori del Vocabolario Treccani, ad annota-re, fra altre spiegazioni: “Il capo di un’organiz-zazione di tipo mafioso”; “personaggio autore-vole e insospettabile che, specialmente in cam-po politico, si serve del proprio potere per co-prire azioni illecite e favorire i suoi protetti”. Ecol Treccani, il Devoto-Oli, il D'Anna, lo Zinga-relli - a citarne alcuni - registrano la parola afar data dalle edizioni di fine anni ‘70.

Finalmente: il “Padrino” come capo crimina-le; il “Padrino” come politico colluso. Tempe-stivo correre ai ripari, almeno linguisticamen-te, visto che la mafia aveva avuto tutto il tem-po di farsi i suoi “Padrini”, mentre lo Stato nonaveva avuto tempo e voglia per sbarazzarsi del-la mafia.❖

IL DIZIONARIODELLAMAFIA

Ucciso dai killer di Riina il giorno del compleanno

DAI LIBRI DI PUZOAI VOCABOLARI

UNAPAROLASENZA

FISSADIMORA

GIORNALISTA E SCRITTORESaverio Lodato

Stefano Bontate Il principe di Villagrazia

29MARTEDÌ

22DICEMBRE2009

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Quello che poi sarà notonon soltanto negli am-bienti mafiosi come «Ilprincipe di Villagrazia»

è il figlio maggiore di un capoma-fia, Francesco Paolo Bontate, det-to “don Paolino Bontà”, che si af-ferma nell’immediato dopoguerrae accumula ricchezze e reputazio-ne negli ambienti del partito catto-lico siciliano.

Stefano Bontate (noto anche, inalcuni documenti, come Bontade)eredita i beni del padre e quelli e inpiù quelli dello zio Mommino che,morendo diabetico, grato delle cu-re che gli ha prestato, lascia al nipo-te tutto il suo patrimonio.

Rampollo d’oro, sposa una don-na dell’alta borghesia siciliana,Margherita Teres, e si dedica aglisport di moda, come il tennis e l'al-levamento di cani e di cavalli, fre-quenta gli ambienti sociali altolo-cati e personaggi quali il conte Cas-sina, il principe Vanni Calvello diSan Vincenzo e Marianello Gutier-rez Spatafora. Parla francese e in-glese e a Palermo frequenta con lamoglie i salotti borghesi più ambi-ti, accolto dovunque come un uo-mo ricco e di piacevole conversa-zione. Contemporaneamente Con-duce una vita intensa di affari ille-citi come il contrabbando di siga-rette e di armi a cui accompagnerà

in seguito quello di droga. Alternaal lavoro viaggi di piacere in Svizze-ra, in Francia, ma anche a Roma e aMilano e in Toscana, oltre che a Na-poli dove intesse alleanze con la ca-morra per il contrabbando e altreimprese più o meno losche.

Alla sua qualifica di capomanda-mento e componente del vertice diCosa Nostra aggiunge a un certopunto l’iniziazione massonica inuna loggia segreta detta “Loggia dei300” che aveva al suo interno perso-naggi di rilievo nella Palermo deglianni Sessanta e Settanta.

Grazie alla presenza nella masso-neria siciliana, Bontate avvicinacon ancor maggior facilità perso-naggi politici di grande rilievo loca-le ma anche nazionale come Salvo

Lima e l'assessore, poi sindaco di Pa-lermo, Vito Ciancimino. Crea, a po-co a poco, un articolato sistema dipotere che si avvale di un grande unnumero di prestanome e di societàdi comodo che vincono con facilitàtutti gli appalti pubblici nel campodell’edilizia, e della relativa specula-zione, e delle attività commerciali,col conseguente riciclaggio del de-naro sporco. Denaro incassato daimafiosi e successivamente “lavato”per tornare, ripulito, almeno in par-te nelle tasche degli stessi mafiosi.

Ma Stefano Bontate non si ferma

agli affari locali e svolge attività digrossista anche nel traffico di stupe-facenti dalla Francia e dagli statiUniti. Non scende al commercio aldettaglio in cui sembrano eccellere iGreco e i corleonesi, ma è saldamen-te legato alle raffinerie di morfina edi eroina che, negli anni Settanta,fioriscono in Sicilia dopo che i mafio-si isolani hanno sostituito i marsi-gliesi nelle grandi correnti del traffi-co intercontinentale di stupefacen-ti.

Isuoirapporticon il mondo finan-ziario non solo siciliano, ma nazio-nale e, soprattutto milanese con lapresenza di Sindona e dei suoi amici(tra cui figura a un certo punto Sil-vio Berlusconi con le sue impreseedili), crescono notevolmente neglianni Settanta. Nello stesso tempo,Bontate consolida i suoi rapporticon la corrente andreottiana dellaDemocrazia cristiana siciliana e coni suoi referenti americani.

Sicchè, a un certo punto, si trovaindiziato per la tragica fine del presi-dente dell’Eni Enrico Mattei (risa-lenti all’ottobre del 1962). Un so-spetto che non avrà seguito. e che fuoriginato dall’importante ruolo rive-stito nella vicenda dal capomafiaGiuseppe Di Cristina, suo amico fra-terno e seguace, e anche dai suoirapporti stretti con i servizi segretidegli Usa, legati a loro volta allegrandi compagnie petrolifere ameri-cane che consideravano Mattei unnemico assai pericoloso. Così comeun ruolo significativo «il principe diVillagrazia» avrebbe probabilmenterivestito nel rapimento e nell’assassi-

nio del giornalista Mauro de Mauroche, otto anni dopo l’attentato, ave-va incominciato a indagare propriosull'attentato Mattei.

In un contesto di crescente in-fluenza politica e mafiosa, Bontateriesce a ricostituire nel 1975 un go-verno unitario di Cosa Nostra che lovede alleato con con Riina, leadermilitare dei corleonesi, e con TanoBadalamenti prima che si scateni laseconda guerra di mafia. Alla «Com-missione» sarebbe spettato il coman-do dell’intera costellazione mafio-sa, comando da esercitare attraver-so riunioni periodiche e una sparti-zione ragionevole dei profitti legatialla droga, alle armi e agli appalti.

Ma la tregua durò poco. Sia a cau-sa delle crescenti richieste dei corle-onesi (che pretendevano un dirittodi esclusiva sui grandi affari legatiall’eroina), sia per la tendenza dellostesso Bontate a non rispettare finoin fondo i patti che riguardavano le

TRENT’ANNI DI MAFIA La storiadi Cosa Nostra raccontata per Rizzolida Saverio Lodato, un giornalistache ha conosciuto i protagonisti: daFalcone, a Dalla Chiesa a Buscetta.

NICOLA TRANFAGLIA

PADRINO/10

Il racconto

Alternava la frequentazione dei salotti della borghesia palermitana con itraffici internazionali di droga. La sconfitta permanodel capo dei capi

Parlava inglesee francese. Allevavacavalli. Girava il mondo

STORICO

Poliglotta e viaggiatore

Il boss aristocraticoche cadde sotto il fuocodei “viddani” di Riina

Stefano Bontate, tra massoneria e mafia

30MARTEDÌ22DICEMBRE2009

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Foto Ansa

tangenti sugli appalti pubblici e sualtri affari con i soci politici.

Esisteva peraltro una indubbiadifferenza di indirizzo da parte diBontate che voleva assumere un ruo-lo di mediatore e di padre nobile ri-spetto alla strategia sempre più chia-ramente stragista dei corleonesi. Efu questo contrasto di fondo, oltreche la diffidenza che aveva percorsodall’inizio la gestione della «Com-missione», a determinare la tragicafine di Stefano Bontate: Riina e isuoi decisero di eliminarlo. Non av-vertì per tempo il pericolo: era con-vinto di essere ancora il più forte gra-zie ai legami massonici e politici dicui poteva disporre, all’alleanza conle famiglie americane, al livello mili-tare dei gruppi Badalamenti e Inze-rillo. Insomma, era convinto di po-ter respingere gli attacchi dei“viddani” di Corleone.

Ma, tra la fine degli anni Settantae l’inizio degli Ottanta le cose erano

cambiate. Molti che avevano osser-vato una certa neutralità o non sierano ancora pronunciati, come iGreco di Ciaculli, erano passati dal-la parte dei corleonesi. E alcuni suoifedelissimi, come Saro Riccobonoed Emanuele D’Agostino, avevanodeciso di allontarsi da lui per salva-re la pelle.

Così Bontate, che aveva perdutopersino l'appoggio del fratello Gio-vanni, si trovò sempre più isolato e,al termine di una festa di famigliaper il suo compleanno, il 23 aprile1981, volle recarsi da solo con lasua auto nella casa di campagna. Ikiller inviati da Riina lo attendeva-no là. Si accanirono sul suo cadave-re sfiguarondolo a colpi di P38 edando inizio a una carneficina che,in qualche mese, fece salire a quasimille morti il bilancio della nuovaguerra di mafia che consolidà il do-minio di Riina, nuovo «capo dei ca-pi» di Cosa Nostra. ❖

Il libro

Cronologia

«I padrini» di Giuseppe Carlo MarinoLE ORIGINI Uno studio storico (edito da Newton &Compton) dove si incontrano tra le altre le figure diCalogero Vizzini, Vito Cascio Ferro, Michele Navarra,Lucky Luciano, Tommaso Buscetta e Stefano Bontate.

L’assoluzione di Andreottie il contesto storico

La scalataÈ amico dei Lima e dei Salvo, fre-quentai salottibuonidiPalermoesisposa con Margherita Teresi. Il suocarismae il fiutopergliaffarigli fan-no conquistare il titolo di “Falco” e“PrincipediVillagrazia”, virtù che loportano negli anni '70 a reggere lefiladiuna“mafiabuona”,strategica-mente “moderata”, insieme al suogruppo di fedelissimi: Badalamenti,Buscetta, Teresi e Inzerillo.

I trafficiSidedicaaimaggioribusinesscrimi-nali del tempo: traffico di droga edisigarette; si impadronisce del siste-madi raffinazionedellamorfinaba-see investeglienormiproventipro-venti accumulati nell’edilizia.

LamassoneriaL’ulteriore salto di qualità arrivacon l’ingresso in massoneria cherinsalda il suo legame con la bor-ghesiamafiosa, non solo siciliana.Gli amici potentiAll’apice del potere, si incontreràcon Andreotti e proteggerà nel ‘79Sindona durante la sua fuga in Sici-lia. Ricostruzioni processuali dimo-strano le sue relazioni con perso-naggi dell’establishment economi-co finanziario nazionale. Nella sen-tenza del processo di primo gradocontro il senatore del Pdl MarcelloDell’Utrisiaffermacheeraincontat-to, oltre che con lo stesso Dell’Utri,anche con Silvio Berlusconi.

LamorteDagli anni ‘60 regge il triumviratoconBadalamentieLiggio finoal ‘74,anno in cui nasce la “Commissione”di Cosa Nostra della quale entra afarparte. La sua “saggezza” si scon-tra con la ferocia dei corleonesi diTotòRiinache,conunaguerraspie-tata, conquistano la leadership. Vie-neammazzato il 23aprile 1981,gior-no del suo quarantaduesimo com-pleanno.

Tutta l’informazione utile perconoscere Cosa Nostra

Archivio storico-giornalisticosuimisteri italiani

Reggente a soli 25 annipoi sconfitto dai corleonesi

Nato a Palermo nel '38, a soli25 anni ereditò la reggenza

della«famiglia»diSantaMariadiGe-sù. Suopadre, donPaolino, tra ima-fiosi più potenti dell'isola, gli affidòda subito i rapporti con la politica.

LA SENTENZAANDREOTTI

www.antimafiaduemila.com

«Nella terra degli infedeli» di A. StilleMAFIA E POLITICA Partendo dalle stragi che hannoucciso nel 1992 Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e leloro scorte, Alexander Stille ricostruisce per l’editoreGarzanti più di trent'anni della storia di Cosa Nostra.

www.misteriditalia.it

GARZANTI

Approfondimenti

Le conclusioni della sentenzacon la qualeGiulioAndreotti fu assol-to dalle accuse di complicità con lamafia. Il contesto storico e le radici diun problema nato nel dopoguerra.

Per saperne di più

NICOLATRANFAGLIA

Un’immagine d'archivio delcadavere del boss StefanoBontade. Fu ucciso il 23 aprile del1981, giorno del suo 42˚compleanno, nella guerrascatenata dai corleonesi di TotòRiina per la presa del potereall'interno di CosaNostra

31MARTEDÌ

22DICEMBRE2009

Page 31: Il dizionario della Mafia [ArchivioAntimafia] · S ipotrebbedirechesicono-scevanodasempre.Duran-te l’infanzia avevano divi-so lo stesso quartiere, es-sendo entrambi nati a Piazza

Ruppe la legge del silenzio

OMERTÀ/11

LA FRASE «Sonostatopreso ingiro -così LeonardoVitaleduranteun interrogatorio–dallavitasindabambino.Poièvenuta lamafia, con lesuefalse leggi, con i suoi falsi ideali: combattere i ladri, aiutare ideboli e, però, uccidere; pazzi!». Vitale fu il primo che, per motivi di coscienza, rivelò l’organizzazionemafiosa in Sicilia e i suoi legami con lapolitica. Pagò le rivelazioni con il carcere e 10annidimanicomio,dove fu sottoposto a numerosi elettroshock. Fu ucciso dalla mafia 5mesi dopo la sua scarcerazione.

Per le fonti più antiche, la pa-rola omertà deriva da un vo-cabolo napoletano (dal lati-no humilitas=umiltà) usato

per indicare l’adesione alle regoledella camorra indicata in tempi an-tichi come «Società dell’umiltà»(Dizionario etimologico Cortellaz-zo- Zolli).

Il concetto è entrato nella termi-nologia giuridica. La legge Rogno-ni-La Torre del 1982 ha introdottol’articolo 416 bis che fissa il delittodi associazione mafiosa, per la cuisussistenza è richiesto che «coloroche ne fanno parte si avvalganodella forza di intimidazione delvincolo associativo e della condi-zione di assoggettamento e omer-tà che ne deriva per commetteredelitti per acquisire in modo diret-to o indiretto la gestione o comun-que il controllo di attività economi-che, di concessioni e autorizzazio-ni, appalti e servizi pubblici o perrealizzare profitti o vantaggi ingiu-sti per sé o per altri ovvero al finedi impedire o ostacolare il liberoesercizio del voto o di procurarevoti a sé o ad altri in occasione diconsultazioni elettorali». Un mec-canismo fondamentale nell’opera-zione egemonica della mafia cheha bisogno di silenzio e di reticen-za di fronte alle indagini giudizia-rie.❖

IL DIZIONARIODELLAMAFIA

L’uomod’onore che finì inmanicomio

UN’ORIGINEANTICA

L’EGEMONIAE LA SOCIETÀDELL’UMILTÀ

STORICONicola Tranfaglia

LeonardoVitale Il «padre» dei pentiti di Cosa Nostra

35MERCOLEDÌ

23DICEMBRE2009

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Le rivelazioni di LeonardoVitale sono state in buo-na parte sottovalutate epassate nel dimentica-

toio, benché sorrette da numero-si riscontri, e lo stesso Vitale è sta-to etichettato come «pazzo» danon prendere troppo sul serio. Adifferenza della giustizia statua-le, la mafia ha percepito l’impor-tanza delle propalazioni di Leo-nardo Vitale e, nel momento rite-nuto più opportuno, lo ha inesora-bilmente punito per aver violatola legge dell’omertà. È augurabileche, almeno dopo morto, Vitaletrovi il credito che meritava e me-rita».

Un breve passaggio delle ventipagine che la sentenza di rinvio agiudizio del maxi processo di Paler-mo del 1988 dedica a Leonardo Vi-tale oggi considerato il primo deicollaboratori di giustizia. In realtàgià nel 1937 un medico trapanese,Melchiorre Allegra, affiliato alla fa-miglia mafiosa palermitana di Pa-gliarelli, aveva raccontato, agli uf-ficiali di polizia che lo avevano ar-restato, la struttura di Cosa No-stra, il rito della «punciuta», i nomidelle famiglie più importanti e i le-gami con la politica, la sanità e gliaffari.

Erano gli anni Trenta ed era im-

pensabile anche solo il concepireuna qualche azione repressiva con-tro un sistema che agli occhi dei piùnemmeno esisteva. Nel 1972 peròforse le cose sarebbero potute anda-re diversamente. C’era già stata laprima guerra di mafia degli anniSessanta, qualche omicidio eccel-lente ed era stata perfino istituita laCommissione parlamentare antima-fia, eppure delle autentiche rivela-zioni di Vitale «il pazzo» se ne fecepoco o nulla.

Leonardo era schizofrenico nelsenso che si sentiva realmente divi-so a metà, «indeciso tra il bene e ilmale», come lui stesso cercò dispiegare. Rimasto orfano di padrea soli 12 anni, la sua educazione èaffidata allo zio Giovanbattista, Tit-

ta Vitale, capo della famiglia di Al-tarello di Baida, mafioso spregiudi-cato e astuto, capace di uccidere efar uccidere ma anche di intratte-nere delicati rapporti di mediazio-ne.

Leonardo è un ragazzino pensie-roso e dall’animo sensibile mapronto a fare qualsiasi cosa per lozio Titta. Il boss ha in mente per ilnipote una carriera criminale ditutto rispetto e lo inizia un passoalla volta. Per spingere la sua co-scienza al di là del limite tracciatotra la vita e la morte gli mette in

mano una pistola e gli ordina disparare ad un cavallo, l’animaleche tanto gli piaceva e lo affascina-va. Leonardo non vuole uccidere,ma più di tutto non vuole deluderelo zio. Spara e compie la prima scel-ta contro se stesso cui ne seguiran-no molte altre. Quando lo traggo-no in arresto, nell’agosto nel 1972,per il sequestro dell’imprenditoreCassina lui spiega con tranquillitàdi essere innocente; ha solo scam-biato la sua macchina, quella usataper il crimine, con quella di un ami-co e la sua fidanzata di allora, Pina,conferma la versione.

Pochi giorni dopo vengono arre-stati Pippo Calò e Franco Scrima,due mafiosi destinati a far parlaremolto di sé, e per Leonardo comin-cia il calvario. A fine settembreesce dal carcere ma è molto prova-to, viene preso subito sotto l’alaprotettrice dello zio Titta e vienefatto visitare da uno psichiatra chegli diagnostica uno stato di gravedepressione. Gli prescrive per que-sto motivo otto giorni di sismotera-pia: elettroshock. Ai quali segue iltrasferimento dapprima nel carce-re dell’Asinara e poi in una clinicapsichiatrica di Sassari dove comin-cia a manifestare apertamente i se-gni del suo dolore: grida, protesta,si rifiuta di mangiare e come nell’at-to finale di una tragedia si cospar-ge il corpo di feci. Nessuno ha piùdubbi: Leonardo è pazzo.

Quindi quando il 29 marzo del1973 corre in Questura, chiede diBruno Contrada e riempie 50 pagi-ne di verbale è già un testimone de-

bole e screditato. Non basteranno ipuntuali riscontri alle sue dichiara-zioni, nemmeno la fotografia di uncadavere con una sigaretta in boc-ca così come lo aveva descritto Vita-le, reo confesso di quel delitto e diquella messa in scena.

Nemmeno le perizie degli psi-chiatri che sosterranno che la schi-zofrenia non inficia la validità del-la sua testimonianza. Niente da fa-re. Complici e mandanti sarannotutti assolti, l’unico a pagare saràlui: condannato a 14 anni di reclu-sione. Ma la sua vera sentenza allaprigionia non è la galera, quanto lafollia.

La pazzia diventa per tutti la giu-sta soluzione per le pericolose con-fessioni di Leonardo e soprattutto lamigliore garanzia a protezione delsacro valore dell’omertà.

Meglio per i mafiosi farlo interna-re piuttosto che ucciderlo e rischia-re di dare valore alle sue parole e me-glio perfino per chi lo ama. La pove-ra mamma, muta e pia donna di ma-fia e chiesa, conosce le regole e do-po la misteriosa sparizione dello zioTitta per lupara bianca, capisce chel’unica via per avere salva la vita disuo figlio è proprio la pazzia. Assie-me alla figlia, altra figura silente maattenta, assiste il figlio nelle sue ne-

«L’uomodi vetro»/1IL LIBRO Di Salvatore Parlagre-co. Racconta la storia di LeonardoVitale, lo strano ragazzo che ebbe laforza di svelare i segreti della mafia.

GIORGIO BONGIOVANNI*

ANNA PETROZZI*

OMERTÀ/11

Il racconto

Violò la legge del silenzio facendo i nomi di Riina e Calò. Venne creduto folleInternato e sottoposto all'elettroshock, fu riabilitato solo con il maxiprocesso

Per «iniziarlo» lo zio gliconsegnò un fucile e glifece uccidere un cavallo

L’«addestramento»

Il «pazzo» che per primoebbe il coraggio di svelarei segreti di CosaNostra

LeonardoVitale la prigione della follia

36MERCOLEDÌ23DICEMBRE2009

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cessità, ma soprattutto nella conver-sione religiosa. Entrambe le donnediranno solo in seguito di non avermai creduto alla malattia mentale,ma solo alla disperazione dell’ani-mo di quel ragazzo buono costrettoa fare ciò che non avrebbe mai volu-to. Nel pentimento, nella preghiera,nella consolazione della Croce il gio-vane comincia a riprendere padro-nanza di se. Nel carcere psichiatricodi Reggio Emilia, dove ha una fittacorrispondenza con una suora, rie-sce e ritrovare equilibrio e luciditàsufficienti per ribadire le sue accusee per rendersi conto di essere statoindotto alla follia «d’autorità».

Leonardo Vitale avrà come unicorisarcimento la drammatica confer-ma delle sue dolenti profezie. Avevaannunciato il piano per uccidere ilcolonnello Russo, assassinato infat-ti nel 1977, e del giudice Terranova,crivellato dalla furia dei corleonesiemergenti nel 1979, per il quale ave-va indicato persino il movente politi-co. Dovrà aspettare il 1983 per spe-rare di essere creduto davvero.

Alla fine di quell’anno Palermo in-fatti sta per essere scossa da un even-to senza precedenti. Parla un altropentito, Tommaso Buscetta che sa-rebbe potuto finire pazzo pure lui sead ascoltarlo non ci fosse stato Gio-vanni Falcone. Le storie del boss dei

due mondi suonano nell’orecchiodel giudice cui non sfuggiva nientecome qualcosa di già sentito altro-ve. Soprattutto quelle su Pippo Calòdiventato ormai il capo del manda-mento di Porta Nuova.

Falcone si è ricordato di quel po-vero pazzo. Leonardo rientra daReggio Emilia in anticipo rispetto al-la scadenza della pena, si stabiliscea casa della madre, prega, cura lepiante e non ha più paura. Sa cheverrà ucciso ma non gliene importapiù nulla. Non è più un uomo divisoa metà, ha scelto da che parte staree ha deciso di espiare così la propriacolpa di aver ucciso. Offrendo la vi-ta ai suoi assassini vigliacchi checon 5 colpi di pistola lo freddanomentre è ancora seduto in macchi-na con la mamma e la sorella di ritor-no dalla messa di domenica 2 dicem-bre 1984.

Rileggendoquei paragrafi dedica-ti a Vitale nella sentenza del maxiprocesso Falcone sottolinea alcuneparti con un pennarello e fissa nellamente le regole feroci della guerraalla mafia e il loro prezzo: omertà,indolenza, tradimento, inefficien-za, gioco sporco e sacrificio estremoper la verità.

*Di Antimafia Duemila

Il libro

Cronologia

«L’uomodi vetro»/2IL FILM La versione cinematografica dell’omonimo li-bro di Parlagreco. Uscito nel 2007, il regista è StefanoIncerti, con protagonista Tony Sperandeo e David Coco. Ilfilm narra la storia di Vitale, il primo pentito di Cosa Nostra.

Venti intervisteper capire lamafia

L’iniziazioneÈ considerato il primo vero pentitodi Cosa Nostra. Nato a Palermo il 27giugno 1941 viene “iniziato” all'età di17annidasuozioTittaVitaleediven-ta uomo d'onore nel '60 nella fami-glia di Altarello di Baida.

La crisimisticaSoldato al servizio dei capi, rimarrànei ranghi più bassi fino a che il 30marzo ‘73, spinto da una profondacrisidicoscienza,sipresentasponta-neamente alla SquadraMobile e ini-zia a collaborare.

Il pentimento«Lamiacolpaèdiesserenato,diesse-revissutoinunafamigliadi tradizionimafiose». Iniziacosì il suoraccontoaipoliziotti, ai quali parlerà di un mon-do fatto di ritualità, violenza e conni-venze a tutti i livelli. Sin da subito fa inomidiRiina,Provenzano,Calòedell'ex sindaco Ciancimino. Si autoaccu-sa poi di numerosi delitti, ma discuti-bili certificati medici lo definisconopazzo e lo costringono a passare daunmanicomio criminale all’altro do-ve verrà sottoposto a terapie invasi-ve come l’elettroshock. Privato dellacapacità di intendere e di volere nonverràcredutoesarà l’unicoadesserecondannato per le colpe ammesse.Rinchiuso nel carcere di Reggio Emi-liaVitaleapprofondisce laconversio-ne spirituale. Nella prima sentenzadelmaxiprocessosiparleràdiun«esi-to scontato», soprattutto «per il cli-ma culturale dell'epoca, secondo cuisoltanto un pazzo avrebbe potutoviolare la ferrea legge dell'omertà».

Il sacrificioIl 2 dicembre 1984, 5mesi dopo la li-berazione, viene ucciso davanti allamadre e alla sorella dopo la messadomenicale. Poco tempo prima aigiornali aveva dichiarato: «Ora miammazzeranno»,manonavevaten-tato di nascondersi. La validità dellasuacollaborazionevienericonosciu-ta nella sentenza delmaxi processo.

Tutta l’informazione utileper conoscere Cosa Nostra

Un portale sulla vitadi Leonardo Vitale

«Arruolato» a soli 17 annipoi arriva il pentimento

Leonardo Vitale (Palermo, 27giugno 1941 – 2 dicembre

1984)è considerato il primopentitodi Cosa Nostra. Nel ‘73 fu dichiaratopazzo e internato in manicomio.Quandoneuscì, venneassassinato.

COSEDI COSA NOSTRA

www.antimafiaduemila.com

«Storia di Giovanni Falcone»LA VITA Francesco La Licata ricostruisce le vicendesalienti della vita di Giovanni Falcone, il magistratoprotagonista del pool antimafia e delmaxiprocesso diPalermo, fino alla strage di Capaci, il 23maggio 1992.

www.leonardovitale.itApprofondimenti

Lapennaèquelladellagiorna-lista francese Marcelle Padovani,ma lavocenarranteèquelladiGio-vanniFalcone.Leventi intervistedi-ventano materiale per dettagliatenarrazioni in prima persona che siarticolanoinseicapitoli,dispostico-mealtrettanti cerchi concentrici at-tornoal cuoredel problema-mafia:loStato.Una testimonianza resadaFalcone dopo aver lasciato Paler-mo nel 1991. Il libro è edito dellaBur.

Per saperne di più

Giovanni Falcone in collaborazione con

Marcelle Padovani

Dopo le rivelazioni sulla mafia e ilegami con la politica, Vitalepassò da un manicomio criminaleall’altro, dove venne sottoposto anumerosi elettroshock

37MERCOLEDÌ

23DICEMBRE2009

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Una vita in trincea

STATO/12

LA FRASE «Lamafiaè cauta, lenta, timisura, ti ascolta, ti verificaalla lontana.Unaltrononseneaccorgerebbe,ma ioquestomondo loconosco».Così raccontavaCarloAlbertodallaChiesaaGiorgioBoccanell’agosto 1982.Quell’intervistadovevaservireadare la svegliaalloStatoper le troppeconni-venze e complicità. Accelerò, invece, il processo d’isolamento del generale. Fu massacrato con lagiovanemoglie, Emanuela Setti Carraro in via Carini, a Palermo. Era il 3 settembre del 1982.

La definizione è chiara fin dal Me-dioevo: «persona giuridica territo-riale sovrana costituita dall’orga-nizzazione politica di un gruppo

sociale stanziato stabilmente su un territo-rio».

Ed emerge già da quel che scrivono inItalia Dante Alighieri e più tardi Machia-velli ma la storia italiana ci mette molti se-coli per dare alla lingua e alla nazione laconsistenza che occorre a uno Stato. Anziè proprio il segretario fiorentino (lo stessoMachiavelli) alla fine del Quattrocento aprecisare il significato del vocabolo che di-venta popolare nel Cinquecento. La discus-sione cresce nei secoli successivi e l’aggetti-vazione è quella che chiarisce i problemilegati alla nascita come alle trasformazio-ni dello Stato.

La storia italiana è contrassegnata dallalentezza nella nascita di quello che è consi-derato lo Stato moderno inteso comeespressione di un progresso che allontanadal dominio di un uomo o di una famigliasola. E spesso gli storici mettono in connes-sione le difficoltà di nascita dello stato mo-derno nel Mezzogiorno e nelle isole con losviluppo dei fenomeni mafiosi, che mo-strano peraltro grande capacità di adatta-mento all’evoluzione dello Stato e al suomodo di funzionare.

Alcuni studiosi hanno parlato a lungo,proprio in relazione a nascita e sviluppo diassociazioni mafiose, di “assenza” o“lontananza dello Stato” come ragioni dicrescita da parte di queste associazioni. Sitratta in realtà di pessime modalità di fun-zionamento da parte di uno Stato che èancora lontano dal realizzare una demo-crazia moderna piuttosto che dall’assenzadi Stato.❖

IL DIZIONARIODELLAMAFIA

Uno «strenuo combattente»

IL SENSOPROFONDODI UNAPAROLA

UN SISTEMACOSÌ LONTANO

DAL SUD

STORICONicola Tranfaglia

Carlo Alberto dalla Chiesa L’esempio di un uomo

35GIOVEDÌ

24DICEMBRE2009

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Lo Stato sopra di noi. Co-me il cielo. Allo Stato ap-pena diventato repub-blicano Carlo Albertodalla Chiesa rispose sì

alla fine degli anni ‘40, quandonon si trovavano ufficiali dei cara-binieri disposti ad andare in Sici-lia, nell’isola impazzita: banditi-smo, separatismo e la mafia che ab-batteva i sindacalisti come una fu-ria impunita. Il capitano che avevafatto la Resistenza rispose all’ap-pello del governo. E andò volonta-rio a Corleone benché avesse fami-glia a Firenze: una moglie incintae una bambina. Giunse nell’isoladove il governo trescava con la ma-fia e con il banditismo. E con i suoicarabinieri volle rappresentare loStato come se lo immaginava lui.Perciò, anche se gli omicidi dei diri-genti contadini restavano impuni-ti quasi d’ufficio, indagò caparbia-mente sull’assassinio di PlacidoRizzotto, sindacalista socialista.Mandò davanti ai giudici LucianoLiggio, il futuro capo dei corleone-si. Che venne assolto per insuffi-cienza di prove mentre lui, trenten-ne, venne rispedito a Firenze.

Lo Stato come orizzonte di vita.Il capitano ormai diventato ufficia-le superiore, e passato per tutte lesoddisfazioni e umiliazioni di chiserve le istituzioni credendoci, fu

promosso colonnello. Gli vennechiesto, mentre terminava il suo in-carico di comandante di Milano eprovincia, dove volesse andare. Ri-spose o Bolzano o Palermo. Comun-que in trincea: a Bolzano c’era il ter-rorismo altoatesino, a Palermo lamafia. Alla fine scelse Palermo, do-ve aveva un’esperienza importanteda offrire e dove aveva i suoceri; unmodo (forse l’unica volta in cui potéfarlo) per conciliare lo Stato e la fa-miglia, il dovere e gli affetti. Di nuo-vo servì le istituzioni come se le im-maginava lui. Lavorò alle planime-trie e alle genealogie delle famigliemafiose, sostenne indagini difficiliin anni in cui i clan avevano una di-mestichezza sfrontata con lo Stato.Mandò a processo centinaia di boss

per vederseli quasi tutti assolti perinsufficienza di prove. Il reato di as-sociazione mafiosa non esisteva eanche quello di associazione a delin-quere non se la passava bene con gliamanti del diritto. A Catanzaro, aBari, a Lecce, giudici senza culturae senza coraggio diedero via liberaa una storia feroce e sanguinaria. Al-la notizia della prima assoluzionedi massa lui batté in silenzio un pu-gno contro il bracciolo della poltro-na. Nulla di più. Non si perse d’ani-mo. L’anno dopo si presentò davan-ti alla Commissione parlamentare

antimafia e per la prima volta, dipropria iniziativa, fece i nomi deiprincipali politici collusi, a partireda quello di Vito Ciancimino. Poi in-viò al parlamento un rapporto uffi-ciale a sua firma, “Il comandantedella Legione Carabinieri di Paler-mo”, con fatti e nomi (Salvo Lima eGiovanni Gioia) destinati ad andareal governo di lì a poco. La Commis-sione antimafia acquisì quel rappor-to e lo depurò a futura memoria deinomi più scomodi.

Lo Stato come valore più alto. Do-po sette anni trascorsi in Sicilia il co-lonnello venne promosso generale.Era il ’73. Nel paese incubava il terro-rismo delle Brigate Rosse. Lo affron-tò in modo non convenzionale, conastuzia, studi certosini e forza milita-re. Ottenne rilevantissimi successi.Ma il suo nucleo speciale venne in-spiegabilmente sciolto. Di nuovo, co-me già in Sicilia, fece i conti con l’in-capacità della politica e della societàdi capire i pericoli che minacciano leistituzioni. Per troppi -così imparò-Stato e democrazia non coincideva-no. C’era chi amava lo Stato senzademocrazia, chi la democrazia sen-za Stato. Messo ancora da parte, ven-ne richiamato a garantire la sicurez-za esterna della carceri contro gli as-salti o i tentativi di evasione dei ter-roristi. Si adoperò con entusiasmorinnovato ottenendo risultati indi-scussi. Dovette però iniziare a viverecome un latitante. Stato e famiglia,a quel punto, non si conciliaronopiù. La moglie morì di cuore dopol’assassinio del giudice Palma, suostretto collaboratore. Così si dedicò

tutto allo Stato. Dopo il delitto Morogli venne data la guida della lotta aun terrorismo ritenuto imbattibile eonnipotente. Continuò a vivere allamacchia, senza orari e dormendonelle foresterie delle caserme di tut-ta Italia. Puntò sulla natura politicadel terrorismo (che non consideròmai “criminalità comune” come sivoleva allora) per ottenere i primipentimenti e le prime confessioni. Ilterrorismo fu sgominato in pochi an-ni. Completò la missione da coman-dante della Divisione Pastrengo diMilano. Poi, nell’82, andò come vice-comandante dell’Arma a Roma. Feli-ce di toccare il più alto grado alloraraggiungibile per chi veniva dalle fi-le dell’Arma; e soprattutto orgoglio-so di eguagliare suo padre, viceco-mandante trent’anni prima.

A Roma capì perché non avevamai amato la capitale. Pagò l’invidiaper la popolarità raggiunta. Di nuo-vo emarginato, chiese al governo diridargli un incarico operativo, di far-lo sentire “utile allo Stato”. Accettòl’incarico di prefetto di Palermo concompiti di coordinamento della lot-ta alla mafia. Sorsero questioni di

MafiaIL LIBRO DiGiuseppeFava. Il te-sto pubblicato da Editori Riunitinell’84 racconta Cosa Nostra daGiuliano a Dalla Chiesa.

NANDO DALLA CHIESA

STATO/12

La storia

Un’esistenza in trincea. Mandò a processo centinaia di boss per poi vederlitutti assolti. Isolato e ucciso. I suoi funerali furono i più veloci della storia

Affrontò anche il cancrodelle Brigate rosse conarguzia e impegno

Il terrorismo

L’uomo che offrì la vitaalle istituzionilasciato solo dal Palazzo

Palermo, 3 settembre 1982

Carlo Alberto dalla Chiesa

36GIOVEDÌ24DICEMBRE2009

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poteri e competenze. Lui spiegò conchiarezza che cosa intendesse fare.Fece anche capire all’onorevole An-dreotti, suo diretto superiore nellalotta al terrorismo, che non avrebbeavuto riguardo “per i suoi grandielettori siciliani”. Ricevette segnali

ostili dalla politica locale, e lo scris-se al capo del governo di allora, Gio-vanni Spadolini, attribuendoli alla“famiglia politica più inquinata delluogo”, appunto quella andreottia-na. Quando il 30 aprile dell’82 i clanuccisero il segretario del Pci sicilia-no Pio La Torre, venne catapultatoin Sicilia in giornata. Quanto ai pote-ri e alla natura del mandato, ancoratutti da definire, si fidò delle pro-

messe e del senso dello Stato dei go-vernanti. Che non ci fu. O non ci fuabbastanza. Si trovò solo, privo de-gli uomini fidati che chiedeva. Nonsi perse d’animo. Andò a parlareagli studenti,e fu il primo prefetto afarlo. Andò dalle famiglie dei tossi-codipendenti e chiese loro di esserele sue “forze dell’ordine”, e fu il pri-mo prefetto a farlo. Mobilitò i sinda-ci, strinse una solida alleanza con laChiesa del cardinale Pappalardo edei preti di strada. In luglio si sposòin seconde nozze con una giovanecrocerossina. E intanto cercò unavolta in più di essere lo Stato comelui si immaginava. Indagini fiscali,fascicoli sulle collusioni politiche eil verbo della democrazia da diffon-dere. Sostenne che il primo modoper sconfiggere la mafia era quellodi assicurare ai cittadini i loro ele-mentari diritti. Per questo si scontròcon il sindaco di Palermo, secondo ilquale a Palermo c’era delinquenzacome dappertutto. Tra i due, il go-verno scelse il sindaco. Telefoni chenon rispondevano, politici che si ne-gavano. Lui commentò: finché unatessera di partito conta più dello Sta-to, non riusciremo mai a sconfigge-

re la mafia.

Isolato, restò lo stesso. Perchélo Stato non poteva gettare la spu-gna davanti ai cittadini onesti. Rima-se anche dopo che Cosa Nostra fecetrovare due cadaveri nel bagagliaiodi un’auto davanti alla caserma deicarabinieri di Casteldaccia e annun-ciò ai giornali che “l’operazione Car-lo Alberto è quasi conclusa, ripetia-mo: quasi conclusa”. Dopo quattromesi di dibattito pubblico, l’opera-zione fu conclusa davvero. Il prefet-to generale venne ucciso con la suagiovane moglie. La notte la sua casafu perquisita; la cassaforte svuota-ta. Non dalla mafia.

I suoi funerali furono i più velocidella storia. Il cardinale Pappalardodenunciò la Palermo-Sagunto espu-gnata “mentre a Roma si discute sulda farsi”. Ma dopo neanche venti-quattro ore dal delitto il prefetto-ge-nerale era già a Milano; rispeditolontano dalla Sicilia, dove aveva osa-to tornare per rappresentare lo Sta-to (il “suo” Stato) per la terza volta.Gli diedero una medaglia d’oro al va-lor civile. E a Roma continuarono adiscutere.❖

Cronologia

Cento giorni a PalermoIL FILM è un film del 1984 di Giuseppe Ferrara, inter-pretato da Lino Ventura e Giuliana De Sio. La pellicolanarra le vicende accadute nei 126 giorni passati nelcapoluogo siciliano dal Generale Carlo Alberto dallaChiesa.

La carte diMoroDopo la tragica fine di Aldo Moro,nell’agosto del 1978 ottiene l’incari-co di coordinare la lotta al terrori-smo.Risaleaqueglianni lascopertadel covo brigatista di viaMonteNe-voso,aMilano,dovevengonotrova-ti diversi documenti tra i quali ilme-moriale dello statista democristia-no.

100 giorni a PalermoPoche ore dopo l'uccisione del se-gretariosicilianodelPci,PioLaTor-re, Dalla Chiesa viene inviato a Pa-lermo con una procedura d'urgen-za per sconfiggere la nuova emer-genza del paese: lamafia.

Dopo soli cento giorni, il 3 set-tembre 1982 un commando di Co-saNostrauccide in via Carini il pre-fetto, lamoglieEmanuelaSettiCar-raro e l’agente di scorta DomenicoRusso.

Il processoPer il delitto sono stati condannatiinviadefinitivacomemandanti ica-pi di Cosa Nostra fra cui Totò Riina,BernardoProvenzanoePippoCalò.Ergastolo anche per i killer Antoni-noMadonia,VincenzoGalatolo,Giu-seppe Lucchese e Raffaele GancimentreaFrancescoPaoloAnzelmoeCalogeroGanci sonostati inflitti 14anni con lo sconto di pena perchécollaboratori di giustizia.

ProtagonistaIl generale Carlo Alberto dalla Chie-saèstatoprotagonistaeroicoetesti-moned’eccellenzadi eventi terribilidella storiad’Italia e perquestononsoloCosaNostra potevaavere inte-resseallasuaeliminazione.Direcen-te una intercettazione ambientaleha registrato il boss di BrancaccioGiuseppe Guttadauro confessaread un altro mafioso che l’uccisionedelgeneraledallaChiesafuunfavo-rechiestoaCosaNostra. A tutt’oggiicosiddettimandantiesterninonso-nomai stati individuati.

Tutta l’informazione utileper conoscere Cosa Nostra

Il diario on linedel sociologo dell’economia

Combattente natocontro boss e terroristi

Figlio di un generale dei Cara-binieri, nasce a Saluzzo nel

1920. Arriva in Sicilia come capita-no nel 1949 e si trova ad indagare sudiversi omicidi tra i quali quello delsindacalista Placido Rizzotto.

In nome del popolo italianoIL LIBRO La ricostruzionedellavitaedella figuradelgenerale operata dal figlio Nando (Rizzoli, 1997). Undoloroso senso di perditamai colmato nel raccontare lavicenda umana e professionale di un padre speciale.

www.antimafiaduemila.com

L’ULTIMAPUNTATA

www.nandodallachiesa.itApprofondimenti Il blog

Con la vicenda di Carlo AlbertoDalla Chiesa si conclude questaserie dedicata alla mafia. Un’in-chiesta lunga dodici puntateper ricordare, fare luce, non ab-bassare la guardia.

37GIOVEDÌ

24DICEMBRE2009