Il diritto di conoscere le proprie origini

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Di Emilia Rosati Adozione e dintorni - GSD Informa ottobre 2012

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Come socio fondatore del Comitato nazionale per il diritto alle origini biologi-che e come figlia adottiva non riconosciuta alla na-scita desidero aprire qui un dialogo con le famiglie adottive, le prime ad avere a cuore la sanità e il benes-sere dei loro figli, i cosid-detti “figli del cuore”.Vorrei brevemente accen-nare alla particolare situa-zione nella quale si trovano numerose persone adulte che vivono un profondo di-sagio esistenziale, diverso per ciascuno in intensità, tonalità e sfumature, ma con la stessa matrice: es-sere un figlio adottato che, non essendo stato ricono-sciuto alla nascita, non po-trà mai, e sottolineo quel mai per tutta la categorici-tà e il senso di disperazione che lo connotano, conoscere il nome della propria ma-dre naturale. Non a caso ho parlato di adulti, in quanto

per un bambino o un ado-lescente tale informazione sarebbe difficile da elabo-rare e gestire, mentre di-venta assolutamente pro-ponibile a un’età in cui l’e-voluzione del ciclo di figlio abbia contribuito a struttu-rare strumenti emozionali e critici per affrontare una realtà che, per quanto diffi-cile, resta la propria unica e irripetibile realtà, non da evadere, ma da incontrare.

La legge

L’antica questione del “di-ritto” a conoscere la pro-pria identità biologica da parte di tutti, anche prima dei previsti quanto impro-babili cento anni, ritorna di attualità con la recen-te sentenza della Corte di Strasburgo, che condanna l’Italia per non aver ricer-cato un giusto equilibrio tra gli interessi in gioco. L’attuale ordinamento ita-

liano non consente al figlio adottato e non riconosciu-to alla nascita di accedere all’identità dei propri geni-tori biologici, consideran-do prevalente l’interesse del genitore di conservare l’anonimato rispetto all’in-teresse del figlio di cono-scerne l’identità. Tale di-vieto non opera per i figli adottivi riconosciuti alla nascita, per i quali la leg-ge 149/2001 prevede un accesso raggiunto il venti-cinquesimo anno di età (e anche prima in taluni casi e con differenti modalità). Questo crea evidentemen-te un’ulteriore discrimina-zione tra gli adottati, oltre a quella già operante tra i figli adottivi e i figli tout court.Crediamo che uno stato ci-vile e democratico non pos-sa non allinearsi al resto dell’Europa, riconoscendo a tutti i cittadini pari dignità, ed è di questa dignità che

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stiamo parlando, quando chiediamo di riappropriarci dei nostri dati vitali. Le nostre istanze, conside-rato il carattere etico che le contraddistingue, sono sta-te recepite trasversalmente dai rappresentanti politici e costituiscono oggetto di quattro proposte di legge attualmente in discussione in Parlamento.In particolare, nella II Commissione giustizia del-la Camera dei deputati è in esame, dal gennaio 2010, il progetto di legge 2919 (PDL), unificato ai PdL 3030 (PD) e 1899 (UDC), che reca “Modifiche all’arti-colo 28 della legge 4 maggio 1983 n. 184”, in materia di accesso dell’adottato alle informazioni sulla propria origine e sull’identità dei genitori biologici, da realiz-zarsi attraverso una proce-dura di mediazione, in par-te simile a quella seguita in Francia con la legge 22 gennaio 2002 n. 93 che ha istituito il “Consiglio nazio-nale per l’accesso alle origi-ni personali”, con il compito di agevolare l’accesso alle origini degli adottati. Tale procedura sarebbe attua-bile a partire dai 25 anni, mediante una richiesta da parte dell’interessato e pre-vio il consenso della madre biologica che, a distanza di anni e in mutate condi-zioni esistenziali (nonché storico-culturali) potrebbe

non avere più alcun vincolo rispetto alla possibilità di palesarsi, restituendo a un figlio la completezza della propria storia personale e dei parametri genetici, in-dispensabili anche nel caso di malattie ereditarie, e per rendere praticabile, nel campo della salute, quella stessa prevenzione di cui possono godere gli altri cit-tadini.È poi presente in Senato il progetto di legge 1898 (PDL) nel quale si prospet-ta di attendere fino a 40 anni per far valere, senza autorizzazione del giudice, né del genitore naturale, un pieno diritto a ricevere ogni informazione in ordine alla propria origine e all’i-dentità dei propri genitori biologici.

Una insopprimibile esigenza

L’attuale normativa ci im-pedisce di far luce su una zona senza ricordi e senza storia che sta all’origine della nostra vita e del no-stro sviluppo, rendendoci eternamente incompleti e destinati a morire senza aver avuto piena cognizio-ne di noi stessi. Partendo dalla domanda fondamentale “chi sono?” l’uomo si aspetta una rispo-sta non solo relativa al pre-sente, ma che si riferisca anche a ciò che è stato nel

passato, perché il passato non viene inghiottito nel nulla, ma resta come ele-mento che struttura la sua vita nell’oggi, e ne condizio-na il futuro.In tal senso, la conoscenza delle origini contribuisce a formare l’identità entran-do nell’insieme di realtà che rappresentano il punto di partenza dello sviluppo umano. Per identità s’in-tende la rappresentazione totale di un individuo, che la filosofia esistenziale defi-nisce “unico e irripetibile”, rappresentazione che è fon-damento stesso della con-sapevolezza di ciascuno di essere un uomo e di essere “quell’uomo” in particolare.Noi non desideriamo per questo che venga messa in discussione la possibilità per la donna di partorire in anonimato, riconoscen-do le valenze racchiuse in tale istituto legislativo. Chiediamo, però, che ven-ga realizzato un effettivo bilanciamento dei diritti in causa consentendo, final-mente, ai figli adottivi non riconosciuti alla nascita, di uscire da una condizione nella quale si sentono om-bre, senza alcuna possibili-tà di replica né decisionale sulle scelte di cui sono stati fatti oggetto. Un figlio senza passato av-verte l’inesistenza di una immagine interna dei geni-tori naturali.

© maddalena di sopra

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Non c’è ricordo personale, ma neppure un’immagine che possa essere trasmessa dai ricordi di chi gli sta in-torno. Non c’è una storia di famiglia, né possibilità di rappresentazione degli an-tenati come normalmente e naturalmente avviene at-traverso le relazioni con chi circonda coloro che nascono e rimangono nell’ambiente che gli appartiene. È que-sto il contatto che manca, che è molto di più di una mera conoscenza storica.Si tratta, come ritiene Sil-vana Lucariello, del contat-to con il mondo emozionale delle proprie origini e della possibilità di una “ripara-zione”, come direbbe Me-lanie Klein. È possibile se-pararsi da qualcuno o qual-cosa che si sa chi sia, che si è riconosciuto nelle sue qualità distinte e differenti e solo se lo si può collocare in un luogo della mente. E per questo risulta in-dispensabile la presenza amorevole del genitore adottivo, per permettere di operare le distinzioni e fare ordine nella confusione che c’è nella mente di chi è sta-to adottato. È dunque necessario tener conto di un bisogno di sa-

pere che non è necessaria-mente, anzi possibilmente non è mai, indice di una volontà di rottura con la famiglia di adozione o di ricostruzione, spesso im-possibile, di legami con la famiglia di origine, ma ri-sponde semplicemente a una esigenza dello sviluppo umano, di completezza del-la personalità. Eppure alcune associazio-ni di famiglie adottive (si veda per tutte l’ANFAA, Associazione nazionale fa-miglie adottive e affidata-rie) non hanno accolto con entusiasmo tali proposte di legge, anzi l’hanno aspra-mente criticata, vedendovi una forma di svilimento del tentativo di ogni fami-glia adottiva di dare vita, attraverso l’adozione, a “una genitorialità e una filiazione vere”. Le associa-zioni avvertono come una minaccia il riconoscimento del diritto di accesso rico-nosciuto all’adottato, rite-nendo che “riconoscere un ruolo ai procreatori che hanno abbandonato la loro prole, significa, soprattut-to, disconoscere per tutte le famiglie, in primo luogo quelle biologiche, l’impor-tanza dei rapporti affettivi

ed educativi sullo sviluppo della personalità dei figli”.La maggior parte del-le obiezioni scaturiscono da una scarsa conoscen-za dell’argomento e per la maggior parte di esse le risposte ci sono già, baste-rebbe leggere i documenti e prestare ascolto e interesse alle esperienze. Ecco di se-guito le più frequenti:

Verrebbero favoriti gli aborti e gli abbandoni nei cassonettiA tale proposito, bisogna ribadire che non si vuole escludere la possibilità di partorire in anonimato e, inoltre, che nessuna ricer-ca è stata fatta in tal senso. Non esiste alcuna statisti-ca, e comunque un’adegua-ta riflessione farebbe rite-nere che oggi non sia certa-mente l’anonimato a porsi in alternativa a un’inter-ruzione di gravidanza, ma altre e diverse considera-zioni, e che un abbandono per strada sia collegabile a una mente dolorosamen-te stravolta piuttosto che al timore di dover fornire le proprie generalità (vedi studio svolto dalla Confe-derazione Elvetica).

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Mancanza di legame pro-fondo con la famiglia adot-tiva Mi sento di sostenere con forza e con sentimento per-sonale che l’affetto per la famiglia adottiva non ha nulla in comune con il desi-derio di una conoscenza che non potrà mai sostituire emotivamente legami con-solidati. Anzi, direi che più è stata soddisfacente l’ado-zione, più la personalità del figlio è equilibrata e pronta a sostenere il cammino ver-so l’approfondimento della propria identità.È vero che molte persone adottate si fanno scrupolo e iniziano le ricerche senza dirlo o dopo la morte dei ge-nitori adottivi, ma questo solo per evitare loro timori del tutto ingiustificati, con ciò penalizzando ancora una volta se stessi.

A differenza dei bambini riconosciuti alla nascita, e in seguito dati in adozio-ne, per i quali comunque l’abbandono rappresenta l’interrompersi di una con-tinuità di vita e di identi-tà, ai figli non riconosciuti viene a mancare all’origine il principio materno che conferisce loro lo status di

figlio e purtroppo le espe-rienze personali ci insegna-no che questa mancanza originaria ci accompagnerà lungo l’intero percorso del-la nostra vita. Essa, inoltre, talvolta può essere legata a sentimenti di colpevolezza: è noto, infatti, come, nella cultura popolare, alcune volte i figli nati da relazioni illecite fossero anche noti come “i figli della colpa”. Tale dinamica può avere una notevole influenza sui nostri vissuti personali, quando (soprattutto nel passato), la nascita veniva accompagnata da senti-menti di clandestinità. Riconoscere un figlio non ha solo una valenza giuri-dica, ma anche psicologica: attraverso il riconoscimen-to il genitore attesta che dentro di sé ha creato quel-lo spazio mentale che acco-glie le primissime rappre-sentazioni del figlio, spazio in cui il figlio stesso è iden-tificato, contenuto, e in cui la sua esistenza acquista un senso. È questo l’aspet-to di cui viene depauperato il bambino prima, adulto poi, se non riconosciuto alla nascita, contribuendo al “lutto originario”, che non potrà non avere un peso

nella costruzione dell’iden-tità personale e nella strut-turazione della personali-tà, anche nel contesto delle più adeguate e amorevoli condizioni famigliari.Quello che a volte la teo-ria ci aiuta a chiarire cor-risponde a una sensazione di disagio profondo nella maggior parte di noi. Le differenze individuali fan-no sì che ci sia chi ci convi-ve, chi si ribella, chi cerca ossessivamente, chi a in-termittenza, chi manifesta la sofferenza, chi la cela, chi la condivide, chi non la manifesta. E, ancora, chi idealizza e chi non perdo-na, chi anela e chi rifiuta, chi pretende di sapere e chi afferma di non averne la necessità.Per tutti è giusto che venga riconosciuto il diritto alla conoscenza delle proprie origini, onde ciascuno pos-sa avvalersene nei tempi in cui lo ritenga opportuno, o anche mai. Ciò che non può essere elu-so ulteriormente è sancire il principio e, con esso, dare l’opportunità della scelta.

Emilia Rosati