Il Corvo

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Il Corvo di Edgar Allan Poe

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Italian translation of The Raven

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Il Corvo di Edgar Allan Poe

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«Il Corvo» di Edgar Allan Poe esce nel 1845. È un poemetto costruito con rigorosa geometria, una «casa delle streghe» per spaventare bambini e anime semplici. Questa ballata popolare ha avuto traduttori d’eccezione, fra gli altri, il poeta Ernesto Ragazzoni, un mago del nonsense che la tradusse nel 1927, e Mario Praz, il più eclettico dei nostri saggisti che la riscrisse, nell’83.

Oggi è la volta di un pittore e poeta: Toti Scialoja, che ci offre, una sua versione dopo averla letta al VI° Festival Internazionale dei poeti a Roma. Fra le tante sorprese che Scialoja, giocoliere in rime e assonarne, ci riserva c’è quella del ritornello. Il famoso: «Never more», sempre tradotto «Mai più, o «Mai più, ora», pronunciato dal corvo, qui cambia ogni volta tenendo la stessa musicalità.

Gianpaolo Dossena

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Nella cupa mezzanotte, curvo, immerso nel mio lutto, decifravo polverosi libri di sapienza oscura, ero in piena sonnolenza quando intesi un colpo lieve, forse il picchio di una nocca alla porta, ma insicura. Mormorai: «Qualcuno bussa alla porta, anche se breve. Questo è il senso del rumore». Mi ricordo era dicembre, si agitavano le ombre della fiamma al parafuoco, ma per poco, un guizzo ancora. Io sognavo un nuovo giorno e frugavo dentro e intorno ai volumi un qualche oblio al mio strazio per Leonora, l’adorata mia, che gli angeli ora chiamano Leonora, Non ha nome qui; più,ora. Muove lenti veli viola la mia tenda, mi circonda di un fruscio che apre mille usci a fantastiche paure. Per dissolvere il tumulto che nel cuor faceva ressa mi dicevo: «C’è qualcuno che ora bussa a queste mura, c’è qualcuno, per errore, che ora bussa a queste mura, c’è qualcuno che mi implora!» Poi via via riprendo fiato, finalmente vinco il groppo. «Chi ha bussato» esclamo «troppo, troppo piano? Una Signora o un Signore? Chiedo venia, ero preso da sopore, ma picchiaste tanto piano, tanto lieve fu la mano, troppo lieve per un sordo». Vado all’uscio e l’apro. Invano il mio sguardo il buio esplora.

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Aguzzai gli occhi in quel buio e li spinsi in ogni dove, fin nell’ombra di ogni sogno mai sognato fino allora. Non apparve anima viva, il silenzio era sovrano, salvo un minimo sussurro, salvo un murmure: «Leonora!» che le labbra immemoriali mormorarono: «Leonora!» Solo questo era il rumore. Ritornai dentro la stanza vacillando, in preda all’ansia, ma di nuovo quel bussare ricomincia, assai più forte. «Questa volta» dissi «certo, c’è qualcuno alla finestra. Stiamo calmi» dissi «calmi: se l’ignoto ti spaura cuore mio fermati in tempo, va a scoprire chi c’è fuori. Forse un vento si dispera». Spalancai le imposte e subito, con frusciare di ali nere, entrò a volo un corvo, greve, emigrato ora dall’Arca. Filò dritto ed arrogante, si posò senza ricerca ma solenne, ben a piombo, sopra il busto di Minerva, nel riquadro della porta Restò immobile, protervo, ombra stramba sul mio cuore. Cosi assiso l’uccellaccio mi costrinse ad un sorriso, così gonfio di se stesso, presidente di un congresso. «Raso hai il capo» dissi «e nero, qual si addice a un messaggero degli abissi, delle grotte, dei reami della notte. Di qual nome ti si onora dove Pluto ha sua dimora?» Disse il corvo: «Nera bara!»

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Vi dirò: restai di sale percependo le parole mal distinte in tono sordo gorgogliate da quel corvo. Cosa rara è che un umano porga orecchio a un tale arcano compitare, da un volatile farfugliato in modo futile sopra un marmo di Minerva. Va a sapere che c’è un corvo con tal nome: «Verbo amaro!» In effetti quel funesto uccellacelo sopra il busto masticava rotte sillabe da percuotermi nell’anima. Si zitti, serrò il suo becco, sopra il busto restò a picco. Io, parlai, poche parole: «Fui lasciato solo, sempre. Anche Lui, con le speranze, volerà via dalla stanza!». Disse il corvo: «Niente amore!» Stupefatto per la pronta sua risposta al mio commento tra me dissi: Ora m’è chiaro! Solo tanto Lui sa dire. Per maestro ebbe un depresso, squilibrato da un disastro, che due sole a Lui dettava deplorevoli parole, per cantare un suo demente canto di speranze spente. Gli inculcò quel: «Marmo greve!» Pur quel corvo là sospeso non smorzava il mio sorriso benché triste; in fretta spinsi la poltrona sotto il busto con un gusto di rovina; e affondavo nelle trine del cuscino, per sognare sogni intorno al corvo di ogni malefizio iniziatore, torvo, sordido, sinistro, col suo grido: «Verme raro!»

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Sprofondato in tal disegno non avevo più bisogno di parlargli: gli occhi a spillo perforavano il mio cuore col brillio, ma avevo il capo sul cuscino abbandonato, sul velluto abbandonato, sopra il viola del velluto, dove Lei poggiava il capo, quel velluto illuminato, or per sempre: «Neve e aurora!» L’aere parve farsi denso, una nuvola d’incenso vorticò, quasi un turibolo fosse scosso da qualche angelo, tintinnando. «Iddio discende!» grido «e gli angeli e il nepente, perché infine si dissolva la memoria di Leonora! Voglio bere! E sia nepente che scolori la Leonora!» Disse il corvo: «Sempre sera!» «O profeta!». grido «e scherno! Fosche penne, dell’inferno! Certo Satana ti manda o una notte di tregenda! Miserando sei ma indomito nella casa dove è il gemito, nella casa dell’orrore! Puoi rispondere a chi implora? In Giudea c’è un filtro ancora che risani chi ti implora?» Disse il corvo: «Breve bora!» «O profeta!» grido «e scherno! Fosche penne dell’inferno! Per il cielo su noi aperto, per il Dio che abbiamo in sorte, dì a quest’anima sconvolta se tra i fiori di un remoto paradiso l’adorata che per gli angeli è Leonora io potrò stringere ancora, richiamarla anch’io Leonora?» Disse il corvo: «Eppur si muore!»

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«Basta, becco di sciagura!» grido «questa è la rottura! Torna giù, nel regno muto, nelle tenebre di Pluto! Non rimanga nera piuma di te più che il cor mi prema! Abbandona il mio abbandono, sgombra il marmo sulla porta, strappa il becco dal mio petto, lascia me con la mia morta!» Disse il corvo: «Nero umore!» Ora il corvo non si muove, resta là dove governa, sopra il busto di Minerva, ferma greve forma eterna. I suoi occhietti hanno il brillio di un demonio che mi spii e la lampada, che piove su Lui luce, manda un’ombra di ali al suolo, è l’ombra è tomba mia per sempre, che per sempre reca iscritto: «Mero orrore!»

Libera traduzione di Toti Scialoja

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