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IL CORSO DI ISTITUZIONI DI DIRITTO PRIVATO L’idea di dar vita ad un insieme di monografie volte a svolgere un «cor- so di Istituzioni di diritto privato» nasce dal convincimento che lo studio delle Istituzioni, come si è consolidato nella nostra tradizione, costituisca per gli studenti un’esperienza estremamente utile che non va perduta. Ciò non vuol dire che ci si debba sottrarre al necessario adeguamento ai nuovi modelli di didattica basata sugli schemi della laurea triennale e di quella magistrale fissati nelle dichiarazioni di Lisbona, della Sorbona e di Bologna, ma impone di scegliere, nell’attuazione di questi, strumenti capa- ci di combinare, pur nel mutato contesto, la solidità dell’impianto sistema- tico che ha caratterizzato i nostri migliori manuali con contenuti capaci di adattarsi alle diverse esigenze formative presenti nell’esperienza attuale. In questa prospettiva ho ritenuto che la risposta più efficace potesse individuarsi in un «corso di istituzioni» organizzato in più volumi, alcuni corrispondenti alle tradizionali partizioni del diritto privato: fonti del diritto, soggetti, situazioni soggettive, attività giuridica, beni e situazioni di appartenenza, obbligazioni e contratti, famiglia e successioni, pubbli- cità e circolazione dei diritti. Altri dedicati invece a temi più specialisti- ci, quali: i contratti dell’impresa, la responsabilità di imprese, i contratti dei consumatori, la tutela dei diritti; a questi potranno aggiungersene man mano altri, in relazione all’emergere di nuove esigenze. In tal modo ciascuno potrà costruire il proprio corso, componendo i vari volumi in modo corrispondente alle proprie esigenze didattiche e a quelle delle figure professionali cui il corso è orientato, oppure utilizzan- doli separatamente. I volumi specialistici potranno essere utilizzati anche nei corsi di laurea magistrale o in quelli post laurea, con il vantaggio di co- stituire parte di un disegno organico unitariamente concepito, che garanti- sce continuità agli svolgimenti specialistici o più avanzati, armonicamente collegati per il metodo, il linguaggio e l’impostazione, con i volumi di base. Ciascun volume è di dimensioni contenute ma, avvalendosi del col- legamento con gli altri, compone un sistema che consente di combinare

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IL CORSO DI ISTITUZIONI DI DIRITTO PRIVATO VII

IL CORSO DI ISTITUZIONI DI DIRITTO PRIVATO

L’idea di dar vita ad un insieme di monografie volte a svolgere un «cor-so di Istituzioni di diritto privato» nasce dal convincimento che lo studio delle Istituzioni, come si è consolidato nella nostra tradizione, costituisca per gli studenti un’esperienza estremamente utile che non va perduta.

Ciò non vuol dire che ci si debba sottrarre al necessario adeguamento ai nuovi modelli di didattica basata sugli schemi della laurea triennale e di quella magistrale fissati nelle dichiarazioni di Lisbona, della Sorbona e di Bologna, ma impone di scegliere, nell’attuazione di questi, strumenti capa-ci di combinare, pur nel mutato contesto, la solidità dell’impianto sistema-tico che ha caratterizzato i nostri migliori manuali con contenuti capaci di adattarsi alle diverse esigenze formative presenti nell’esperienza attuale.

In questa prospettiva ho ritenuto che la risposta più efficace potesse individuarsi in un «corso di istituzioni» organizzato in più volumi, alcuni corrispondenti alle tradizionali partizioni del diritto privato: fonti del diritto, soggetti, situazioni soggettive, attività giuridica, beni e situazioni di appartenenza, obbligazioni e contratti, famiglia e successioni, pubbli-cità e circolazione dei diritti. Altri dedicati invece a temi più specialisti-ci, quali: i contratti dell’impresa, la responsabilità di imprese, i contratti dei consumatori, la tutela dei diritti; a questi potranno aggiungersene man mano altri, in relazione all’emergere di nuove esigenze.

In tal modo ciascuno potrà costruire il proprio corso, componendo i vari volumi in modo corrispondente alle proprie esigenze didattiche e a quelle delle figure professionali cui il corso è orientato, oppure utilizzan-doli separatamente. I volumi specialistici potranno essere utilizzati anche nei corsi di laurea magistrale o in quelli post laurea, con il vantaggio di co-stituire parte di un disegno organico unitariamente concepito, che garanti-sce continuità agli svolgimenti specialistici o più avanzati, armonicamente collegati per il metodo, il linguaggio e l’impostazione, con i volumi di base.

Ciascun volume è di dimensioni contenute ma, avvalendosi del col-legamento con gli altri, compone un sistema che consente di combinare

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VIII IL CORSO DI ISTITUZIONI DI DIRITTO PRIVATO

la specifica informazione con l’impianto complessivo e le scelte di me-todo che attraversano l’insieme del «corso».

La realizzazione di questo disegno è stata resa possibile dalla parte-cipazione all’opera complessiva di un ristretto numero di colleghi con i quali da molti anni ho la fortuna di condividere percorsi di studio e at-tività didattiche che trovano naturale convergenza, in alcuni casi per af-finità di scuola e di formazione, in altri per vicinanza di metodo e co-munanza di interessi ravvivata da continuo ed intenso dialogo.

Ciascuno di loro ha assunto la responsabilità di uno dei volumi che compongono il «corso» in modo da garantire la compattezza e coerenza espositiva nell’ambito di ciascun tema.

Questi fattori, cui si unisce l’unità della concezione e un costante controllo nella coerenza dell’impostazione complessiva e dei risultati esposti nei singoli volumi, consentono di considerare l’opera come uni-taria pur nell’individualità dei singoli contributi.

Essa riflette la scelta di fornire una esposizione del diritto privato or-dinata intorno a principi chiari e visibili, che facilitino la comprensione del sistema e delle sue parti, e la loro organizzazione in un insieme ordi-nato, com’è necessario a chi si avvia agli studi; ciò faciliterà anche l’analisi critica che potrà essere pienamente e rigorosamente esercitata più rispet-to a principi e schemi logici dichiarati che a esposizioni problematiche e sfuggenti quanto ai loro fondamenti e alle implicazioni operative.

Un insegnamento assai autorevole, e a me particolarmente caro,

ammonisce che un’opera sistematica, quale vuol essere quella che qui si presenta, sia nei singoli contributi che nel suo insieme, «può considerarsi riuscita se perviene a cogliere attraverso un’attenta cernita, e ad esprimere in una sintesi felice le linee essenziali della dottrina del proprio tempo».

Questo modello ideale è stato costantemente presente agli autori dei volumi in cui si svolge il nostro «corso», e si è tradotto nella costante at-tenzione alle profonde trasformazioni conseguenti a fenomeni caratteri-stici del nostro tempo, capaci di influenzare significativamente la com-plessiva ricostruzione del sistema e l’interpretazione e applicazione delle norme che lo compongono quali, in particolare:

a) i nuovi assetti istituzionali conseguenti da un lato all’evolversi e all’espandersi del diritto di derivazione europea; dall’altro da modifica-zioni della nostra Carta Costituzionale incidenti sulla ripartizione di competenze tra privato e pubblico e, in quest’ultimo ambito tra compe-tenze normative statali e regionali;

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IL CORSO DI ISTITUZIONI DI DIRITTO PRIVATO IX

b) le profonde trasformazioni del tessuto socio-economico che il no-stro ordinamento è chiamato a regolare;

c) il contatto sempre più intenso e la competizione con altri ordinamen-ti, che postula di per sé una uniformazione delle regole, attraverso innova-zioni legislative o un’interpretazione adeguatrice della disciplina esistente.

Da ciò una costante attenzione non solo al momento prescrittivo ma anche a quello della concreta applicazione della norma e dei meccani-smi attraverso i quali la regola astratta si collega al caso concreto.

In questo senso lo sforzo comune degli autori è stato quello di dare conto dello scopo delle norme indagate e delle conseguenze pratiche dell’interpretazione prescelta per fornire da un lato una sorta di guida per la soluzione di casi analoghi, dall’altro gli strumenti per la valuta-zione critica delle scelte suggerite.

L’esposizione è stata perciò attenta al diritto positivo ma anche alla realtà economica che il diritto privato contribuisce a governare: in questa prospettiva il diritto della famiglia e delle successioni viene studiato dal punto di vista della circolazione della ricchezza familiare; la disciplina delle forme di appartenenza è indagata coniugando l’analisi della proprie-tà e dei diritti reali con quella del diritto d’autore, delle privative indu-striali; la responsabilità civile è colta nelle sue connessioni con la tutela del mercato, costituendo, assieme ai contratti dell’impresa, il laboratorio nel quale si cercano i nuovi equilibri tra disciplina codicistica e legislazio-ne speciale volta a graduare la protezione accordata alle parti, alle catego-rie degli imprenditori o dei consumatori.

L’opera complessiva e i singoli volumi che la compongono sono stati pensati prevalentemente per la didattica e, in tal senso, essi costituisco-no uno strumento per la comprensione del testo normativo che regola le materia esposte e per la ricostruzione complessiva del sistema.

Questa è però una conquista individuale cui il lettore può giungere solo attraverso il suo personale impegno di apprendimento, seguendo un per-corso che si svolge attraverso un continuo controllo delle basi normative e del fondamento logico delle soluzioni che gli vengono proposte.

Rispetto a questo risultato il testo va inteso come il manuale d’uso che fornisce gli strumenti per una partecipazione attiva al processo di conoscenza e comprensione di cui è protagonista chi si accinge allo stu-dio di un sistema complesso e in continuo cambiamento qual è quello in cui siamo chiamati ad operare.

Mario Nuzzo

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X IL CORSO DI ISTITUZIONI DI DIRITTO PRIVATO

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PRESENTAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE XI

PRESENTAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE

Nella presentazione alla prima edizione di questo “manuale in più volumi” indicavo come tratti caratterizzanti dell’opera una esposizione del diritto privato ordinata intorno a principi chiari e visibili, che faciliti la comprensione del sistema e delle sue parti, e la organizzazione di queste in un insieme ordinato, necessario a chi si avvia agli studi.

L’utilizzazione del manuale da parte di molti colleghi, in diverse uni-versità e in corsi alcuni istituzionali altri specialistici ha, nel suo com-plesso, confermato l’utilità di un modello volto a combinare l’unità del-la concezione con l’individualità dei singoli contributi: ciò ha consentito di contenere le dimensioni dei singoli volumi, ciascuno dei quali si avva-le del collegamento con gli altri, riuscendo così ad evitare inutili ripeti-zioni e perciò a fornire, pur in un contenuto numero di pagine, una vi-sione sufficientemente completa del sistema.

L’esperienza didattica e i suggerimenti dei colleghi che hanno speri-mentato i volumi che compongono il manuale hanno fornito preziose indicazioni per una ulteriore integrazione dell’insieme e per il chiari-mento o l’approfondimento di singoli punti.

Proprio da questa esperienza nasce la seconda edizione che contiene, accanto agli aggiornamenti resi necessari dall’evoluzione della legisla-zione o dal mutamento di orientamenti dottrinali e giurisprudenziali, aggiunte di parti importanti e adattamenti volti a favorire il lavoro degli studenti facilitando i collegamenti tra i diversi volumi e l’individuazione dei percorsi logici su cui si basa l’esposizione.

Mario Nuzzo

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XII PRESENTAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE

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PREFAZIONE ALLA QUARTA EDIZIONE XIII

PREFAZIONE ALLA QUARTA EDIZIONE

Insegnamento ed apprendimento del diritto si vanno progressiva-mente complicando in un contesto che appare sempre più affascinato dai meccanismi di common law.

Dinnanzi al rischio della frammentazione e della visione soggettiva delle regole, la quarta edizione de “La tutela dei diritti” intende riaf-fermare la rilevanza centrale del dato positivo quale presupposto non solo necessario ma, ben più, indispensabile anche per una prospettiva di rielaborazione della tradizione giuridica.

Il confronto con l’applicazione giurisprudenziale, dunque, non è man-cato, ma è rimasto un substrato della trattazione, destinato a riemergere solo in alcune più significative occasioni, quando fosse chiave essenziale per la comprensione di determinate regole.

La struttura del libro, tuttavia, è stata in parte, e per la prima volta, modificata.

Infatti, l’accentuazione della tendenza ad una progressiva revisione del principio di illimitatezza della responsabilità, ha suggerito di svolge-re separatamente questo argomento, rispetto a quello delle garanzie rea-li e personali.

In generale, poi, l’intera trattazione è stata sottoposta ad una revisio-ne oltre che in chiave di ampliamento, anche di approfondimento e com-pletamento, come nel caso della trascrizione e della prescrizione.

Nicola Corbo

Roma, 22 febbraio 2018

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XIV PREFAZIONE ALLA QUARTA EDIZIONE

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PREFAZIONE ALLA TERZA EDIZIONE XV

PREFAZIONE ALLA TERZA EDIZIONE

Ecco, dunque, la terza edizione di questo libro dedicato alla tutela dei diritti!

Rispetto a quelle precedenti, la struttura è rimasta inalterata: immutate le denominazioni dei capitoli ed immutato anche l’ordine di presentazio-ne degli argomenti, coincidente di fatto con la sequenza dei titoli del libro sesto del codice civile, rimasta a sua volta quella che era nel 1942 (fanno eccezione alla regola della sovrapposizione solo il primo ed il quinto capi-tolo, per le ragioni che vengono dette nella introduzione).

I contenuti, in compenso, sono stati profondamente innovati per ri-spondere non solo ad esigenze di affinamento (che scaturiscono sempre dall’uso di un manuale), ma anche, anzi specialmente, alle necessità di ag-giornamento, dipendenti dalla evoluzione normativa e giurisprudenziale.

Nel far ciò, poi, è parso opportuno introdurre anche qualche nota critica e degli spunti problematici per sollecitare il lettore ad interrogar-si sul ruolo che regole ed istituti consegnatici da una tradizione (a volte persino millenaria) assolvono nel contesto di una temperie socio eco-nomica certamente peculiare.

Basti pensare, a proposito della evoluzione normativa, al tema della responsabilità patrimoniale dove il principio della illimitatezza (art. 2740 c.c.) è sempre più condizionato dalle necessità del mercato e da quelle della libertà dispositiva: dalle prime, interessate a “riconquistare” ogni individuo alla produzione e specialmente al consumo, sottraendolo al giogo di una “debitoria perenne”, traggono origine sostanziale le regole in tema di esdebitazione e crisi da sovraindebitamento; dalle altre, desi-derose di soddisfare esigenze di migliore allocazione della ricchezza, anche in chiave successoria e protettiva, scaturisce la novella in materia di patrimoni destinati ed ancor più la elaborazione giurisprudenziale sul trust, con quel che ne segue circa la selezione delle responsabilità indi-viduali e dei beni aggredibili.

Quanto poi all’apporto della giurisprudenza, non meno significativa appare l’elaborazione in tema di onere della prova, ed in specie l’affer-

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XVI PREFAZIONE ALLA TERZA EDIZIONE

mazione del principio di così detta “prossimità”: questo non solo ha in-ciso sulla dinamica processuale ed in specie sul criterio generale stabili-to dall’art. 2697 c.c. determinandone a volte una vera e propria inver-sione, quando poi si è riflesso sulla quasi centenaria distinzione fra ob-bligazioni di mezzo ed obbligazioni di risultato quasi annullandola e co-munque imponendo un ripensamento approfondito della sua funzione, tutt’ora in corso, ma già fonte di importanti conseguenze.

Basti pensare, infatti, al modo in cui la nuova distribuzione degli oneri di prova ha inciso sul tema della responsabilità medica conducendo poi, quale ulteriore effetto pratico, ad importanti modificazioni circa le moda-lità di erogazione dei servizi sanitari, con implicazioni ben distanti dall’esi-genza di immediata tutela del creditore/paziente che si intendevano sod-disfare (si pensi alle difficoltà di assicurazione medica per l’incremento del rischio di soccombenza ed alle conseguenti prassi di “medicina difensiva”).

Purtroppo (o per fortuna) in un testo istituzionale non è possibile af-frontare e sviluppare simili argomenti con lo spazio che meriterebbero, e neppure coglierne tutte le complesse ed articolate implicazioni rispet-to alla sensibilità sociale, alle esigenze economiche, alle attese di giusti-zia individuali e collettive: però è possibile allenarsi ed allenare ad un senso della molteplicità e dunque della complessità, non solo statici, ma anche dinamici.

Da questo desiderio di sottolineare l’articolazione del sistema ed il delicato equilibrio fra dettato normativo e strumenti di risoluzione delle controversie scaturiscono ad esempio, i riferimenti (molto più ampi ri-spetto alle precedenti edizioni) al tema della giurisdizione ed al ruolo della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Al contempo, dall’intenzione di richiamare l’attenzione sulla struttu-ra dei singoli istituti e sul modo in cui l’autonomia negoziale può utiliz-zare la sua libertà per violare i divieti normativi, restandone caducata, o per limitarsi a sfiorarli, senza incorrere in conseguenze di sorta, traggo-no origine i cenni al complesso rapporto fra patto commissorio, aliena-zioni a scopo di garanzia e lease back.

Se poi lo scopo di sensibilizzare (il lettore) e di rappresentare (la com-plessità) sia stato raggiunto, e se ciò sia stato fatto rispettando quell’auto-revole e validissimo insegnamento non solo di letteratura, ma di comuni-cazione del pensiero, trascritto in apertura, ai lettori spetterà dirlo!

Nicola Corbo

Roma, 10 dicembre 2013

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PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE XVII

PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE

In questa seconda edizione oltre a rendere conto della sopravvenien-za di alcune regole (ad esempio, l’art. 2645 ter sui negozi di destinazio-ne), si è cercato di dare spazio a quelle sollecitazioni della giurispruden-za (si pensi al tema delle prove atipiche) e della dottrina (si veda il para-grafo dedicato alle misure coercitive) che sono apparse più significative rispetto allo scopo di ricostruzione sistematica perseguito.

In generale, poi, tutto il volume è stato sottoposto ad un’opera di re-visione ed integrazione che, però, ne ha lasciato inalterata l’impostazio-ne di fondo e cioè di trattazione agile (non per questo facile) delle linee di fondo del sistema di tutela dei diritti offerta dal libro sesto del codice civile.

Nicola Corbo

Roma, 13 settembre 2008

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XVIII PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE

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LA TUTELA GIURISDIZIONALE DEI DIRITTI 1

Capitolo Primo

LA TUTELA GIURISDIZIONALE DEI DIRITTI

1. Nozione di tutela giurisdizionale dei diritti 2. Ordinamento giurisdizionale 3. Giudice ordinario e Giudice amministrativo 4. Giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo 5. Giurisdizione esclusiva del Giudice ordinario 6. Gradi di giurisdizione 7. Fasi del processo civile 8. Dispositività del processo civile 9. Sentenze di accertamento e condanna 10. Sentenze costitutive 11. Compromesso e clausola compromissoria 12. Arbitrato rituale ed irrituale 13. Arbitraggio e perizia contrattuale 14. Azioni inibitorie, cautelari ed esecutive 15. Cosa giudicata 16. Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

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2 LA TUTELA DEI DIRITTI

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LA TUTELA GIURISDIZIONALE DEI DIRITTI 3

1. Nozione di tutela giurisdizionale dei diritti

L’espressione tutela giurisdizionale dei diritti, o meglio ancora, tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive, indica l’insieme di strumenti che consentono al titolare di un diritto o di un interesse legit-timo, di rivolgersi ad un giudice per essere protetto nella situazione di cui deduce la titolarità e di cui assume la lesione (art. 24 Cost.).

Per funzione giurisdizionale si intende l’applicazione del diritto alle singole fattispecie concrete da parte dell’autorità giudiziaria, al fine di ripristinare la legalità.

La locuzione garanzia giurisdizionale, pertanto, indica il diritto dei consociati di attivare la funzione giurisdizionale per tutelare la propria situazione giuridica soggettiva.

Essa è prevista dall’art. 24 della Costituzione il quale stabilisce che «tutti possono agire per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi», che «la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento» e che per rendere effettivo tale principio, «vengono assicurati strumenti che consentono a chi è privo di mezzi di accedere alla difesa» 1: dalla nor-ma costituzionale si ricava che ogni qual volta vi è attribuzione di una situazione giuridica soggettiva, vi è anche attribuzione di un diritto di agire in giudizio per farla valere (diritto di azione) e che ciò deve avve-nire nell’ambito di un processo e cioè di un procedimento caratterizza-to da una serie di regole preordinate alla formazione del corretto con-vincimento da parte del giudice (diritto di difesa).

Il processo pertanto, è il procedimento giurisdizionale che si svolge dinanzi ad un giudice ed è volto a dirimere una controversia inerente ad una situazione giuridica soggettiva.

A questo proposito, l’art. 111 Cost., modificato con legge cost. 23 novembre 1999, n. 2, enuncia i principi del così detto «giusto processo»

1 Infatti, a causa della sua struttura e dei suoi contenuti tecnici, lo svolgimento del processo (salve alcune eccezioni, correlate in genere alla scarsa rilevanza della contro-versia), richiede che le parti siano assistite da avvocati e cioè liberi professionisti in pos-sesso delle capacità tecniche di conduzione della lite: da ciò la previsione del «gratuito patrocinio» e cioè di meccanismi che consentono a chi sia documentatamente privo di mezzi finanziari di poter proporre o resistere ad una lite.

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4 LA TUTELA DEI DIRITTI

ed in particolare afferma al primo comma che esso «si svolge nel con-traddittorio delle parti, davanti ad un giudice terzo e imparziale» e che la legge «ne assicura la ragionevole durata».

Di tale disposizione che interessa, prevalentemente, il giudizio pena-le, rileva ai fini civilistici non solo la enunciazione costituzionale del principio del contraddittorio, ma anche la previsione della «ragionevole durata» del processo che pertanto consente all’interessato, nel caso in cui il giudizio si protragga eccessivamente, di agire per ottenere il risar-cimento del danno subito a causa del ritardo con cui la sua situazione è stata protetta (cfr. legge n. 89/2001, così detta «Legge Pinto»).

2. Ordinamento giurisdizionale

La struttura dell’ordinamento giudiziario (cioè del complesso degli uffici cui spetta l’esercizio della funzione giurisdizionale) è disegnata, nelle sue linee essenziali, dagli artt. 101-110 della Costituzione da cui si ricava la sua tripartizione in Giudice ordinario (civile e penale), Giudice amministrativo (TAR e Consiglio di Stato) e Giudice contabile (Corte dei Conti a sezioni periferiche e centrali). Tali giudici si differenziano fra loro per struttura e, soprattutto, per competenze: per indicare i di-versi ambiti spettanti ai vari giudici, si utilizza anche l’espressione «ri-parto di giurisdizione».

In particolare:

1) al Giudice ordinario è riservata la cognizione delle controversie che riguardano i rapporti fra privati (giudice civile) ed i reati (giudice penale): nell’ambito della giurisdizione ordinaria trovano spazio anche alcuni giudici specializzati (non speciali, che invece vuol dire costituiti ad hoc e che per questa ragione sono vietati: cfr. art. 102 Cost.), previsti per risolvere categorie di controversie che richiedono particolari cono-scenze (ad esempio Tribunale dei minori, Sezioni agrarie, Sezioni usi ci-vici, ecc.);

2) al TAR ed al Consiglio di Stato è riservata la cognizione delle controversie che insorgono tra privati e P.A. nelle quali sono coinvolte, in genere, situazioni di interesse legittimo e, in particolari ipotesi stabili-te dalla legge, anche di diritto soggettivo (in quest’ultimo caso si utilizza anche la locuzione giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo: cfr. art. 103, primo comma, Cost.);

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LA TUTELA GIURISDIZIONALE DEI DIRITTI 5

3) alla Corte dei Conti è riservata la cognizione delle controversie che involgono ragioni di contabilità pubblica (ad esempio, i giudizi di responsabilità nei confronti dei pubblici amministratori o le cause in materia di pensioni dei dipendenti pubblici: cfr. art. 103, secondo com-ma, Cost.).

Nel caso di lesione di diritti soggettivi nell’ambito di rapporti fra privati, dunque, il titolare ha la possibilità di ottenere una protezione piena, cioè di rivolgersi al giudice per ottenere una pronunzia che attui in via diretta ed immediata lo specifico interesse di cui egli è portatore e gli riconosca anche il risarcimento del danno conseguente alla lesione subita. Così, ad esempio, il proprietario che abbia subito lo spossessa-mento del bene, può agire (se non è più in grado di avvalersi della tutela possessoria) in sede petitoria con l’azione di rivendicazione e, dimostra-ta la proprietà del bene, può ottenere una pronunzia che oltre ad accer-tare la titolarità del suo diritto nei confronti del convenuto, condanni quest’ultimo alla restituzione del bene ed al risarcimento dei danni subi-ti da esso attore per non aver potuto godere il bene (e dunque per non aver potuto esercitare, per il tempo dello spossessamento, le sue prero-gative di proprietario).

3. Giudice ordinario e Giudice amministrativo

La distribuzione del sindacato giurisdizionale fra Giudice civile (od ordinario) e Giudice amministrativo è tema costantemente dibattuto per-ché si connette alla ricerca di un equilibrio fra le esigenze di protezione del singolo e quelle di efficacia dell’azione amministrativa.

Il punto di partenza della riflessione moderna su questo argomento può essere individuato nella legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E con la quale venne introdotto nell’ordinamento italiano il principio della giuri-sdizione unica e cioè della attribuzione della tutela di tutti i diritti sog-gettivi al giudice ordinario, anche per le controversie che avessero coin-volto una pubblica amministrazione.

Lo scopo della disposizione era di por fine ad una lamentata situa-zione di privilegio della pubblica amministrazione, stabilendo che essa si ponesse dinanzi alla legge nella stessa condizione di qualunque altro soggetto dell’ordinamento.

Fino a quel momento, infatti, gli eventuali contenziosi fra privati e

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6 LA TUTELA DEI DIRITTI

pubbliche amministrazioni erano affidati ai “giudici del contenzioso am-ministrativo” i quali, però, erano organi interni alle stesse amministra-zioni e pertanto privi, si affermava, di quei requisiti di terzietà ed im-parzialità propri della giurisdizione.

La soppressione dei giudici del contenzioso e la devoluzione al giu-dice civile delle controversie relative a diritti che coinvolgevano l’Am-ministrazione, non apportò i risultati che ci attendeva, e ciò per due or-dini principali di ragioni.

Innanzi tutto, detta cognizione aveva carattere sostanzialmente limita-to. Infatti il Giudice ordinario poteva bensì statuire la illegittimità del comportamento dell’Amministrazione, ma solo in relazione al caso con-creto: per questa ragione gli era stato attribuito dalla legge solo il potere di “disapplicare” l’atto amministrativo e non quello di rimuoverlo dal-l’ordinamento attraverso l’annullamento: si riteneva, infatti, che siffatta estensione entrasse in conflitto sia con la natura discrezionale dell’azione amministrativa sia con il carattere individuale della tutela civile dei diritti.

In secondo luogo, poiché, come si è detto, la tutela affidata al Giudi-ce ordinario riguardava la lesione dei soli “diritti soggettivi”, si sviluppò un ampio dibattito volto ad accertare in quali casi l’azione amministra-tiva si confrontasse con tale situazione. Si venne così delineando, con sempre maggiore nettezza, la distinzione fra atti amministrativi che ri-guardavano interessi solo pubblici (attività d’imperio) ed atti che ri-guardavano interessi privati (attività di gestione) e l’idea che solo nel secondo caso potessero configurarsi diritti soggettivi dei privati merite-voli di tutela dinanzi al Giudice ordinario.

Si osservava, infatti, che nel caso di esercizio di attività di imperio vi era assoluta prevalenza dell’interesse pubblico sicché la posizione indi-viduale non poteva essere mai qualificata di diritto, ma al più di mero “interesse” al corretto esercizio del potere, con la conseguente impossi-bilità di far valere eventuali violazioni dinanzi al Giudice (mancando la lesione di un diritto soggettivo).

Inoltre, anche quando la tutela era ammessa, si escludeva che fosse possibile condannare l’Amministrazione al risarcimento del danno sca-turente dall’atto illegittimo, giacché una pronunzia di questo genere avrebbe nuovamente interferito con il potere discrezionale della pub-blica amministrazione (principio, questo che ha concorso ad ostacolare, per molto tempo, la configurabilità di una tutela aquiliana dell’interesse legittimo).

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LA TUTELA GIURISDIZIONALE DEI DIRITTI 7

Nel corso di questo dibattito, peraltro, affiorò anche l’idea che quel-l’interesse del privato rispetto all’azione jure imperii dell’amministrazio-ne non fosse generico ed indeterminato, ma consistesse nel fatto che l’a-zione amministrativa fosse conforme alla legge.

Da questa elaborazione scaturiva così la nozione di interesse legittimo con la quale venivano e vengono tutt’ora descritte le situazioni giuridiche riferibili ad un privato, caratterizzate dal fatto di essere correlate ad un interesse pubblico o, meglio ancora, all’esercizio di una potestà ammini-strativa diretta a perseguire un interesse pubblico.

La peculiarità della situazione sta appunto nella disparità di posizio-ni fra le parti: il privato è in una condizione di soggezione rispetto alla P.A. la quale esercita un potere discrezionale dal quale dipende costitu-zione, modificazione od estinzione della situazione giuridica che gli ap-partiene.

Il privato, dunque, a differenza di quanto accade nel diritto soggetti-vo (dove è titolare di un vero e proprio “potere” di conformazione della realtà alla situazione giuridica di cui è titolare) è portatore di un sempli-ce “interesse” a che la P.A. eserciti correttamente il suo potere discre-zionale e cioè emetta atti “legittimi”, conformi alla legge: qualità dalla quale deriva l’attributo che caratterizza la situazione, e cioè interesse le-gittimo.

Orbene, tornando ora alla questione della tutela, è evidente che avendo la legge n. 2248/1865, all. E, abolito i giudici amministrativi e limitato la cognizione del Giudice ordinario alla sola lesione di diritti soggettivi, il privato si trovava ad essere privo di protezione giurisdi-zionale rispetto ad azioni della P.A. che avessero inciso su interessi le-gittimi.

In questo caso l’unica possibilità di tutela consisteva nella proposi-zione di ricorsi “amministrativi” (ricorso gerarchico ecc.): rimedi interni alla stessa P.A. e non processuali, dunque incapaci di assicurare un ade-guato grado di protezione del cittadino.

In un certo senso, dunque, la legge sull’abolizione del contenzioso amministrativo, pur diretta a ridimensionare la posizione dell’Ammini-strazione ed a sancirne la soggezione alla sola legge, al pari di qualun-que altro soggetto dell’ordinamento, aveva finito col comprimere la possibilità di tutela del singolo.

La questione venne allora risolta istituendo presso il Consiglio di Stato (sino allora organizzato in tre Sezioni che svolgevano solo funzio-

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ni consultive), di una Sezione Quarta cui fu attribuita la competenza generale a conoscere delle controversie tra privati e Autorità che ri-guardassero la lesione di interessi legittimi (legge n. 5992/1889).

In tal modo venne definitivamente superato il principio della “giuri-sdizione unica” a favore di un sistema di tutela del cittadino nei con-fronti della pubblica amministrazione, articolato sulla distinzione fra Giudice ordinario ed amministrativo a sua volta imperniata, almeno in origine, sulla diversità della situazione giuridica coinvolta e, cioè diritto soggettivo od interesse legittimo.

Questa impostazione è stata recepita attraverso la Costituzione che ha assegnato al Consiglio di Stato ed agli altri organi di giustizia ammi-nistrativa (cioè i TAR), «la tutela nei confronti della pubblica ammini-strazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi» (cfr. art. 102 Cost.). In tal modo, non solo ha ricevuto definitivo riconoscimento la situazione di “interesse le-gittimo”, ma è stato superato il principio della Giurisdizione unica.

Il Giudice amministrativo, dunque, ha cognizione generale sugli atti della Pubblica amministrazione che ledono interessi legittimi del priva-to cittadino, mentre il Giudice ordinario ha cognizione generale su tutte le controversie che riguardano un diritto soggettivo.

Qualora, poi, vi sia incertezza sull’organo giurisdizionale a cui spetti risolvere una controversia (c.d. conflitto di giurisdizione), spetta alla Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, dirimere il dubbio.

Quanto, invece, al meccanismo con il quale opera il sindacato del Giudice amministrativo per lesione di interessi legittimi esso è fondato innanzi tutto sulla rimozione dell’atto illegittimo (tutela di annullamen-to: cfr. art. 29, d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, c.d. “codice del processo am-ministrativo”). Così, ad esempio, approvato un Piano regolatore, colui che ne affermi la illegittimità potrà rivolgersi al TAR per ottenerne l’an-nullamento e la pronuncia di accoglimento del ricorso, ripristinando la legalità, recherà soddisfazione anche al privato.

La questione, poi, del risarcimento del danno è ora risolta dall’art. 30 del già citato d.lgs. n. 104/2010, il quale stabilisce che il Giudice amministrativo, ove ne sia stata richiesta, può emettere anche sentenza che condanna la pubblica amministrazione a risarcire il danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria nonché il risarcimento del danno da lesione di diritti soggettivi nei casi in cui esso Giudice am-

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LA TUTELA GIURISDIZIONALE DEI DIRITTI 9

ministrativo ne debba conoscere (su questo punto si veda il paragrafo successivo).

Inoltre, in entrambi i casi (lesione di interesse legittimo o di diritto soggettivo sottoposto a giurisdizione esclusiva), sussistendo i presuppo-sti previsti dall’art. 2058, può essere chiesto anche il risarcimento del danno in forma specifica.

4. Giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo

Lo schema generale testé delineato, peraltro, prevede una eccezione, che trova la sua radice nell’art. 102 Cost.: infatti norme speciali possono attribuire al Giudice amministrativo anche la cognizione di controversie fra privati e pubblica amministrazione che riguardino diritti soggettivi (giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo).

La radice originaria di questa eccezione sta nell’idea che in alcune materie la distinzione fra diritti soggettivi ed interessi legittimi non sia agevole rendendo così più difficile la tutela dell’interessato, esposto al rischio di un errore nella individuazione del giudice competente a deci-dere della controversia.

Nel corso del tempo, tuttavia, si è tentato di sostituire a questa impo-stazione iniziale un’altra, incentrata piuttosto che sulla difficoltà di qua-lificare la situazione lesa, sulla natura latamente pubblica della materia cui la lite inerisce e ciò negli ultimi anni ha condotto il tema della “giu-risdizione esclusiva” al centro di un ampio dibattito. Infatti il legislatore ed il giudice amministrativo hanno cercato di ampliarne gli ambiti, ma la Corte costituzionale ha ritenuto che alcune norme volte a questo ef-fetto fossero in contrasto con il principio di “specialità” della tutela esclusiva e la Corte di Cassazione, cui spetta definire le liti sul conflitto di Giurisdizione, è spesso intervenuta a favore del Giudice ordinario.

Infine la Corte costituzionale, con sentenza n. 204/2004 ha riaffer-mato il principio secondo cui il criterio di riparto non può essere fonda-to su materie ma solo su situazioni soggettive e che sono “particolari” ai sensi dell’art. 103 Cost., e dunque possono essere affidate al Giudice amministrativo anche se coinvolgono diritti soggettivi, solo quelle mate-rie contrassegnate dal fatto che la pubblica amministrazione agisce co-me autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino.

In tale contesto si colloca anche il ripensamento da parte della giuri-

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sprudenza civile ed amministrativa, della posizione tradizionale incline ad escludere, sulla base di una interpretazione restrittiva dell’art. 2043 il diritto del privato al risarcimento della lesione dell’interesse legittimo compiendo un passo importante verso la piena protezione dell’interes-sato nel caso di comportamenti illegittimi della P.A.

Attualmente, le principali ipotesi di giurisdizione esclusiva sono elen-cate nell’art. 113 del già citato codice del processo amministrativo (d.lgs. n. 104/2010) 2.

2 Art. 133, d.lgs n. 104/2010: Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo, salvo ulterio-

ri previsioni di legge: a) le controversie in materia di: 1) risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza do-

losa o colposa del termine di conclusione del procedimento amministrativo; 2) formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di

provvedimento amministrativo e degli accordi fra pubbliche amministrazioni; 3) silenzio di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3, e provvedimenti espressi adottati in sede

di verifica di segnalazione certificata, denuncia e dichiarazione di inizio attività, di cui all’art. 19, comma sesto ter, della legge 7 agosto 1990, n. 241;

4) determinazione e corresponsione dell’indennizzo dovuto in caso di revoca del prov-vedimento amministrativo;

5) nullità del provvedimento amministrativo adottato in violazione o elusione del giudicato;

6) diritto di accesso ai documenti amministrativi e violazione degli obblighi di tra-sparenza amministrativa;

a-bis) le controversie relative all’applicazione dell’art. 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241;

b) le controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di con-cessione di beni pubblici, ad eccezione delle controversie concernenti indennità, cano-ni ed altri corrispettivi e quelle attribuite ai tribunali delle acque pubbliche e al Tribu-nale superiore delle acque pubbliche;

c) le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relati-ve a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubbli-co servizio in un procedimento amministrativo, ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonché afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di pubblica utilità;

d) le controversie concernenti l’esercizio del diritto a chiedere e ottenere l’uso delle tecnologie telematiche nelle comunicazioni con le pubbliche amministrazioni e con i gestori di pubblici servizi statali;

e) le controversie: 1) relative a procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture, svolte da

soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della

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LA TUTELA GIURISDIZIONALE DEI DIRITTI 11

In conclusione, anche per effetto di quanto esposto in tema di ripar-to di giurisdizione, può accadere che regole privatistiche siano applicate

normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previ-sti dalla normativa statale o regionale, ivi incluse quelle risarcitorie e con estensione della giurisdizione esclusiva alla dichiarazione di inefficacia del contratto a seguito di annullamento dell’aggiudicazione ed alle sanzioni alternative;

2) relative al divieto di rinnovo tacito dei contratti pubblici di lavori, servizi, for-niture, relative alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento ap-plicativo nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, nell’ipotesi di cui all’art. 115 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, nonché quelle relative ai provvedimenti applica-tivi dell’adeguamento dei prezzi ai sensi dell’art. 133, commi 3 e 4, dello stesso de-creto;

f) le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche ammi-nistrazioni in materia urbanistica e edilizia, concernente tutti gli aspetti dell’uso del ter-ritorio, e ferme restando le giurisdizioni del Tribunale superiore delle acque pubbliche e del Commissario liquidatore per gli usi civici, nonché del Giudice ordinario per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in con-seguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa;

g) le controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti, gli accordi e i comporta-menti, riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere, delle pubbli-che amministrazioni in materia di espropriazione per pubblica utilità, ferma restando la giu-risdizione del Giudice ordinario per quelle riguardanti la determinazione e la corresponsio-ne delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa;

h) le controversie aventi ad oggetto i decreti di espropriazione per causa di pubbli-ca utilità delle invenzioni industriali;

i) le controversie relative ai rapporti di lavoro del personale in regime di diritto pubblico;

l) le controversie aventi ad oggetto tutti i provvedimenti, compresi quelli sanziona-tori ed esclusi quelli inerenti ai rapporti di impiego privatizzati, adottati dalla Banca d’Italia, dagli Organismi di cui agli artt. 112 bis, 113 e 128 duodecies del d.lgs. 1° set-tembre 1993, n. 385, dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, dall’Auto-rità per le garanzie nelle comunicazioni, dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas, e dalle altre Autorità istituite ai sensi della legge 14 novembre 1995, n. 481, dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, dalla Commissione vigilanza fondi pensione, dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’in-tegrità della pubblica amministrazione, dall’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni pri-vate, comprese le controversie relative ai ricorsi avverso gli atti che applicano le sanzioni ai sensi dell’art. 326, d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209;

m) le controversie aventi ad oggetto i provvedimenti in materia di comunicazioni elet-troniche, compresi quelli relativi all’imposizione di servitù, nonché i giudizi riguardanti l’assegnazione di diritti d’uso delle frequenze, la gara e le altre procedure di cui ai commi 8-13 dell’art. 1 della legge 13 dicembre 2010, n. 220, incluse le procedure di cui all’art. 4 del d.l. 31 marzo 2011, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 maggio 2011, n. 75;

n) le controversie relative alle sanzioni amministrative ed ai provvedimenti adottati

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12 LA TUTELA DEI DIRITTI

da un magistrato ordinario diverso da quello civile: ad esempio, il giu-dice penale chiamato a giudicare di un reato, può pronunziarsi, se ri-

dall’organismo di regolazione competente in materia di infrastrutture ferroviarie ai sen-si dell’art. 37, d.lgs. 8 luglio 2003, n. 188;

o) le controversie, incluse quelle risarcitorie, attinenti alle procedure e ai provvedi-menti della pubblica amministrazione concernenti la produzione di energia, i rigassifi-catori, i gasdotti di importazione, le centrali termoelettriche e quelle relative ad infra-strutture di trasporto ricomprese o da ricomprendere nella rete di trasmissione nazio-nale o rete nazionale di gasdotti;

p) le controversie aventi ad oggetto le ordinanze e i provvedimenti commissariali adotta-ti in tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell’art. 5, comma primo, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, nonché gli atti, i provvedimenti e le ordinanze emanati ai sensi dell’art. 5, commi 2 e 4 della medesima legge n. 225/1992 e le controversie comunque atti-nenti alla complessiva azione di gestione del ciclo dei rifiuti, seppure posta in essere con comportamenti della pubblica amministrazione riconducibili, anche mediatamente, all’eser-cizio di un pubblico potere, quand’anche relative a diritti costituzionalmente tutelati;

q) le controversie aventi ad oggetto i provvedimenti anche contingibili ed urgenti, emanati dal Sindaco in materia di ordine e sicurezza pubblica, di incolumità pubblica e di sicurezza urbana, di edilità e di polizia locale, d’igiene pubblica e dell’abitato;

r) le controversie aventi ad oggetto i provvedimenti relativi alla disciplina o al divie-to dell’esercizio d’industrie insalubri o pericolose;

s) le controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti adottati in violazione delle disposizioni in materia di danno all’ambiente, nonché avverso il silenzio inadempimen-to del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e per il risarcimen-to del danno subito a causa del ritardo nell’attivazione, da parte del medesimo Mini-stro, delle misure di precauzione, di prevenzione o di contenimento del danno ambien-tale, nonché quelle inerenti le ordinanze ministeriali di ripristino ambientale e di risar-cimento del danno ambientale;

t) le controversie relative all’applicazione del prelievo supplementare nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari;

u) le controversie aventi ad oggetto i provvedimenti in materia di passaporti; v) le controversie tra lo Stato e i suoi creditori riguardanti l’interpretazione dei con-

tratti aventi per oggetto i titoli di Stato o le leggi relative ad essi o comunque sul debito pubblico;

z) le controversie aventi ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservate agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ed escluse quelle inerenti i rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti;

z-bis) le controversie aventi ad oggetto tutti i provvedimenti, compresi quelli san-zionatori ed esclusi quelli inerenti i rapporti di impiego, adottati dall’Agenzia nazionale di regolamentazione del settore postale di cui alla lettera h) del comma secondo dell’art. 37 della legge 4 giugno 2010, n. 96;

z-ter) le controversie aventi ad oggetto i provvedimenti dell’Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua istituita dall’art. 10, comma 11,

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LA TUTELA GIURISDIZIONALE DEI DIRITTI 13

chiesto dall’interessato, anche in merito alle conseguenze risarcitorie che ne sono scaturite, applicando, in tal caso le regole sull’atto illecito (art. 2043 ss.).

In altri casi, invece, regole privatistiche potranno essere applicate da un magistrato diverso da quello ordinario: così, ad esempio, quando il TAR o il Consiglio di Stato siano chiamati a dirimere una controversia riguardante la formazione o l’esecuzione di un contratto intervenuto tra un privato ed una P.A.

5. Giurisdizione esclusiva del Giudice ordinario

L’evoluzione normativa più recente ha assistito anche alla creazione di una “giurisdizione esclusiva del giudice ordinario” e cioè casi in cui al Giudice civile è stata attribuita la competenza a conoscere di interi ambiti di rapporti fra cittadino e Pubblica Amministrazione.

Così, ad esempio, in materia di impiego pubblico, il d.lgs. n. 80/1998 ha attribuito al giudice ordinario la giurisdizione sul rapporto di impie-go dello Stato e degli altri Enti pubblici, ad eccezione delle procedure concorsuali e di alcune categorie di rapporti di lavoro, rimasti invece attratti alla giurisdizione amministrativa (militari, forze dell’ordine, pro-fessori universitari).

Altra ipotesi di giurisdizione esclusiva del Giudice ordinario, può es-sere individuata nelle controversie che riguardano i provvedimenti del garante in materia di protezione dei dati personali.

d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106;

z-quater) le controversie aventi ad oggetto i provvedimenti adottati ai sensi dell’art. 3, comma secondo, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 149;

z-quinquies) le controversie relative all’esercizio dei poteri speciali inerenti alle atti-vità di rilevanza strategica nei settori della difesa e della sicurezza nazionale e nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni;

z-sexies) le controversie relative agli atti ed ai provvedimenti che concedono aiuti di Stato in violazione dell’art. 108, par. 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione eu-ropea e le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti adottati in esecuzio-ne di una decisione di recupero di cui all’art. 14 del regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio del 22 marzo 1999, a prescindere dalla forma dell’aiuto e dal soggetto che l’ha concesso.

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14 LA TUTELA DEI DIRITTI

6. Gradi di giurisdizione

Tutte le giurisdizioni sono ordinate in «gradi». Questa espressione indica il diverso livello cui una controversia può

essere conosciuta da un giudice e si pone in relazione alla garanzia, ri-conosciuta implicitamente dall’art. 111 Cost., che ogni affare sia giudi-cato almeno due volte e dunque che dopo una prima sentenza, possa in-tervenire una seconda decisione.

Per quanto riguarda il giudice civile, a seconda del valore e talvolta della materia, le controversie sono esaminate in primo grado dal Giudi-ce di pace o dal Tribunale e in appello dal Tribunale (per quelle cono-sciute dal Giudice di pace in primo grado) o dalla Corte d’Appello.

L’ultimo grado è riservato alla Corte di Cassazione cui spetta, però, una funzione particolare (detta anche di nomofilachia) consistente nella verifica della corretta applicazione delle norme di diritto.

Per questa ragione, le sentenze pronunziate in materia civile in se-condo grado oppure (nei rari casi in cui ciò sia previsto) in unico grado, possono essere impugnate dinanzi alla Corte di Cassazione solo se si deduca la errata od inesatta applicazione di una norma di diritto (art. 360 c.p.c.), escludendo che possa essere riesaminato il fatto come accer-tato nelle fasi precedenti (per questa ragione si afferma che la Corte di Cassazione è giudice solo «di legittimità», mentre i gradi precedenti so-no detti «di merito» 3.

Alla Corte di Cassazione, inoltre, spetta anche (come detto in prece-denza) il compito di dirimere i contrasti di giurisdizione e cioè di di-chiarare, quando vi sia incertezza, se una certa controversia debba esse-re giudicata dal Giudice ordinario o da quello amministrativo o da quel-lo contabile.

3 Così, ipotizzando che sia stata proposta una azione di risoluzione di un contratto per inadempimento e che il Giudice «di merito» l’abbia respinta, la parte soccombente potrà rivolgersi alla Corte di Cassazione se deduca l’errata applicazione di una norma di diritto (ad. es., non sia stata applicato correttamente l’art. 1455), ma non se voglia criticare la decisone per avere male interpretato le deposizioni dei testi, perché ciò ri-guarderebbe una questione di fatto, non sindacabile in sede «di legittimità» e cioè di-nanzi alla Corte di Cassazione.

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LA TUTELA GIURISDIZIONALE DEI DIRITTI 15

7. Fasi del processo civile

L’attività ed i poteri del Giudice e delle parti nel processo civile sono disciplinate dal codice di procedura civile e l’espressione diritto proces-suale indica l’insieme di queste regole.

Di norma, nella struttura del processo civile si possono individua-re tre fasi e cioè quella introduttiva, quella istruttoria e quella deciso-ria.

La fase introduttiva consiste nel «radicamento della lite»: come si vedrà fra breve, ciò avviene mediante la proposizione al giudice di una domanda da parte del soggetto legittimato a farlo (che nel corso del processo prende anche il nome di attore), nei confronti del destinata-rio di essa, e cioè del legittimato passivo (che prende anche il nome di convenuto) a sua volta, ha l’onere di costituirsi in giudizio, se intende resistere alla domanda proposta contro di lui. Dunque nella fase in-troduttiva (a maggior ragione dopo la riforma attuata con legge n. 353/1990) si procede alla esatta definizione dell’oggetto della contro-versia.

Nel corso della fase istruttoria, invece, le parti che partecipano al giudizio depositano i documenti che ritengono rilevanti e formulano al giudice le altre richieste istruttorie (ad esempio, di escutere testi, di pro-cedere all’interrogatorio formale della controparte, di ordinare la esibi-zione di documenti rilevanti ai fini del decidere che non sono in posses-so di chi li chiede) ecc. Il giudice accoglie le istanze che reputa rilevanti rispetto alla controversia e dispone il modo in cui le prove debbono es-sere acquisite al giudizio.

Nel corso della terza ed ultima fase, detta decisoria, le parti espon-gono nuovamente al Giudice (mediante scritti difensivi) le proprie do-mande, anche alla luce delle prove acquisite, ed il Giudice decide la controversia emettendo una sentenza.

La disciplina dello svolgimento del processo, è contenuta nel codice processuale, ma nel codice civile si trovano regole e principi, relativi a ciascuna delle tre fasi indicate, che hanno portata generale (prova, giu-dicato ecc.).

Infatti, benché esse spieghino i loro effetti anche nel processo, non sono legate alla sua articolazione giacché descrivono posizioni «sostan-ziali» dei soggetti, rilevanti anche all’esterno del processo.

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16 LA TUTELA DEI DIRITTI

8. Dispositività del processo civile

Secondo l’art. 2907, l’autorità giudiziaria si pronunzia solo a seguito di una espressa richiesta dell’interessato, e cioè, «su domanda di parte» (art. 2907): colui cui spetta il potere di agire è definito «legittimato atti-vo» (e poi attore, una volta che abbia materialmente agito), mentre «le-gittimato passivo» (e poi, nel processo, convenuto) è colui contro il qua-le la domanda deve essere proposta (principio del contraddittorio, in forza del quale il Giudice non può decidere su alcuna domanda se il convenuto non è stato regolarmente chiamato nel giudizio).

L’art. 2907 enuncia così il principio dispositivo giusta il quale, nel-l’ambito del diritto privato e del relativo processo, compete alla libertà di ciascun soggetto decidere se esercitare i propri diritti e dunque anche se azionarli o meno in via giudiziale (il creditore può agire in giudizio contro il debitore inadempiente, ma può anche restare inerte).

Il principio dispositivo emerge oltre che nel così detto onere della domanda (in forza del quale spetta al legittimato attivo dare impulso del processo), anche nell’onere della prova enunciato dall’art. 2697, in for-za del quale spetta alle parti del processo (attore e convenuto) fornire al Giudice i mezzi di prova, e cioè dimostrare i fatti costitutivi del proprio diritto (per chi agisce) oppure la inefficacia dei fatti costitutivi dell’al-trui diritto od i fatti che possano aver modificato od estinto l’altrui dirit-to (per chi resiste).

Dunque il giudice può pronunziarsi solo a seguito di una domanda, ed è vincolato a decidere in base agli elementi di prova che le parti sot-topongono alla sua considerazione, non potendo ricercarne altri da sé (art. 115 c.p.c.), eccetto nei casi espressamente previsti.

Ad esempio, chi intende vedersi riconoscere la proprietà di un bene immobile ha l’onere di proporre la domanda di rivendicazione (art. 948) contro il proprietario apparente od il possessore del ben, è poi onere del convenuto costituirsi in giudizio ed eccepire a proprio favore, ove ne ricorrano i presupposti, l’intervenuta usucapione del bene. Inol-tre, ciascuno dei due deve fornire la prova di quanto asserisce (l’attore di essere proprietario, il convenuto di aver posseduto il bene per il tem-po necessario all’usucapione).

Il principio dispositivo è legato a quello di libertà e di autonomia del privato e può cedere sia in presenza di esigenze di interesse pubbli-co che sopravanzino e superino quelle del singolo, sia dinanzi a circo-stanze che impediscono al soggetto, per specifiche ragioni ed in relazio-

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LA TUTELA GIURISDIZIONALE DEI DIRITTI 17

ne a particolari esigenze, di esercitare la libertà riservatagli dall’ordina-mento.

Per questo motivo l’art. 2907 stabilisce che l’autorità giudiziaria provvede alla tutela dei diritti «anche su istanza del pubblico ministero o di ufficio», quando ciò sia espressamente previsto.

Ad esempio, la legge riconosce al Pubblico Ministero (che è un or-gano della magistratura, ma non esercita funzioni giudicanti) il potere di agire nelle così dette azioni di stato (cioè quelle che riguardano la nulli-tà del matrimonio, l’interdizione o l’inabilitazione, e quindi lo «status» dei soggetti): anche in questi casi, dunque, vi è una domanda, ma legit-timato a proporla è un soggetto diverso dalle parti interessate al rappor-to od alla situazioni giuridica azionata.

Più ristretto ancora è il novero dei casi in cui la tutela giurisdiziona-le prescinde del tutto da una domanda: è questa l’ipotesi della nullità che, ai sensi dell’art. 1421 può essere rilevata anche «d’ufficio». Tuttavia deve essere precisato che ciò si risolve solo nel potere del giudice, già investito di una controversia, di rilevare anche in assenza di domanda di parte una causa di nullità e non già nel potere di dichiarare la nullità del contratto ex se: così, ove una parte abbia agito contro un’altra con una azione di adempimento del contratto, il giudice potrebbe rilevare e di-chiarare autonomamente che il negozio è nullo per violazione dei prin-cipi in materia di ordine pubblico o buoncostume, benché tale questio-ne non fosse stata sollevata né dall’una, né dall’altra parte.

9. Sentenze di accertamento e condanna

Mediante il suo intervento il Giudice elimina la situazione di incer-tezza esistente e dunque accerta la titolarità di diritti o l’esistenza di rapporti (sentenza di accertamento), o produce titoli che possono esse-re utilizzati per l’esecuzione forzata (sentenza di condanna), o ancora, in alcuni costituisce nuovi rapporti giuridici (sentenze costitutive): que-sti vari tipi di decisione poi, nel loro insieme confluiscono nel più am-pio genere delle sentenze di cognizione, cioè che dirimono una contro-versia applicando una norma di diritto sostanziale.

Il fatto che si possa procedere ad una distinzione delle sentenze in relazione ad alcuni effetti tipici che esse perseguono, non comporta tut-tavia anche una classificazione delle “azioni” (cioè degli strumenti attra-

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verso i quali si chiede l’esercizio del potere giurisdizionale): piuttosto, è da dire che le domande possono avere contenuti differenti perché, di-verse essendo le situazioni giuridiche delle quali si chiede la protezione, differenti possono essere le esigenze di tutela. In sostanza, la classifica-zione delle decisioni risente della natura della situazione lesa.

Per questa ragione, in omaggio ad una tradizione che poneva al cen-tro del sistema il diritto reale, ed in generale quello assoluto, il primo è più tipico contenuto del comando giudiziale è quello di accertamento (art. 2909).

Si pensi, a tale proposito, all’azione di rivendicazione (948), con la qua-le il titolare del diritto di proprietà mira ad ottenere il riconoscimento del-la esistenza del suo diritto e della cui opponibilità erga omnes costituisce logico corollario la pretesa di ottenere la consegna del bene sul quale esso è vantato; oppure l’azione confessoria in materia di servitù (art. 1079); si consideri ancora, ma questa volta allo scopo opposto, di sentir accertare la inesistenza di limiti al diritto reale, l’azione negatoria (art. 950).

Ovviamente, poiché la tutela di accertamento si connette alla natura reale della situazione giuridica, e poiché (come si è detto) il sistema non è caratterizzato dalla “tipicità” delle azioni, ma solo è possibile una clas-sificazione delle domande in relazione alla natura della protezione ri-chiesta, la tutela di accertamento (positivo o negativo), riguarda qua-lunque diritto reale e, dunque, le relative domande potranno essere pro-poste anche in relazione ad altri diritti assoluti, sebbene non vi siano previsioni espresse in tal senso.

Situazione non dissimile si propone rispetto ai diritti della personali-tà. Anche in questo caso la violazione della situazione soggettiva con-sente la reazione del titolare e non è difficile comprendere come la do-manda, sia pure volta ad ottenere l’accertamento della violazione del dovere di astensione, contiene prima di tutto, sotto il profilo logico, una richiesta di accertamento della esistenza e della latitudine della situazio-ne giuridica soggettiva.

Alla medesima funzione, ancora, risponde l’azione diretta ad ottene-re la dichiarazione della nullità di un contratto, giacché intesa a rimuo-vere una apparenza non conforme alla realtà.

Ben si comprende, a questo punto, come in relazione a diritti relativi, sia difficile configurare la emissione di sentenze di mero accertamento: infatti poiché la domanda si volge sempre ad una protezione rispetto ad un interesse specifico ed attuale (cfr. art. 100 c.p.c. in tema di interesse ad agire), la tutela sarà quasi necessariamente di condanna (all’adempi-

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mento della prestazione dovuta oppure al risarcimento del danno quale conseguenza dell’inadempimento).

Argomento connesso al contenuto della sentenza di accertamento (espressamente menzionata, si ricorda, dall’art. 2909), è quello relativo alla possibilità che analoga funzione sia svolta dall’autonomia privata: la questione è ampiamente controversa e ciò non tanto perché dall’art. 2909 si possa trarre una riserva della funzione accertativa all’ambito del-la giurisdizione, ma perché si contesta da alcuni che il negozio, tipica espressione di libertà, possa essere lo strumento per il compimento di un accertamento che invece si esaurisce nella verifica e dichiarazione di ciò che esiste. Dalla funzione che si ritenga possa essere assegnata alla autonomia negoziale, dunque, discende la configurabilità o meno di un potere di accertamento privato: potere al cui riconoscimento, sia pure con alcune limitazioni, appare tuttavia incline la giurisprudenza.

Se nei diritti assoluti la principale esigenza di riparazione può essere individuata nella riaffermazione della pienezza della situazione lesa, e dunque nell’accertamento, ciò non vuol dire che in tal modo venga soddisfatta l’esigenza di protezione.

Infatti la concreta attuazione dell’interesse potrà richiedere anche la emissione, da parte del giudice, di un vero e proprio “comando” e cioè un ordine rivolto ad una parte, di tenere un certo comportamento: in sostanza, l’accertamento è spesso funzionale ad ottenere altri mezzi di protezione (restitutori, ripristinatori, risarcitori).

Viceversa, è evidente che il mero accertamento non può dirsi suffi-ciente alla protezione dell’interesse creditorio per la soddisfazione del quale è necessaria la cooperazione, cioè l’adempimento, da parte del debitore: in questi casi, dunque, la forma di protezione “elettiva” divie-ne l’emissione da parte del giudice di un comando rivolto alla parte che risulterà soccombente nel giudizio, e cioè una sentenza di condanna.

Ovviamente, il comando non sarà necessariamente di pagamento di somme, ma potrà consistere anche in un ordine di rilascio o di conse-gna. Tuttavia, se la tutela restitutoria e ripristinatoria, fosse insufficiente o inadeguata per la protezione dell’interesse azionato [come nel caso in cui il bene od il diritto non possano essere restituiti perché irrimedia-bilmente perduti o danneggiati, o quando si sia determinato un pregiu-dizio che non può essere sanato mediante restituzione: si pensi al caso della mancata consegna dell’abito da sposa nel termine previsto], l’esito sarà necessariamente risarcitorio.

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Proprio muovendo da questa constatazione, e cioè dal fatto che al termine sia della vicenda lesiva del credito, sia della ingiuria arrecata al diritto assoluto, si pone sempre una obbligazione pecuniaria, si osserva che la condanna si risolve sempre nel comando ad un pagamento (cfr. in tal senso art. 2818).

Non deve tuttavia confondersi con la tutela risarcitoria, la protezione in forma specifica che tende ad assicurare all’interessato il pieno soddi-sfacimento del diritto mediante la realizzazione di una situazione finale eguale o corrispondente a quella che si sarebbe avuta se il rapporto fos-se stato adempiuto (cfr. art. 2930 ss., su cui amplius nel cap. VII).

10. Sentenze costitutive

L’art. 2908 quale stabilisce che l’autorità giudiziaria «può costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici con effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa».

La possibilità di ottenere una sentenza costitutiva, e cioè che modi-fica l’esistente, deriva, ancora una volta, dalla natura delle situazioni giu-ridiche sottese, rispetto alle quali si pone la richiesta di tutela.

In alcuni casi, infatti, il singolo è titolare del diritto ad ottenere la modificazione della situazione giuridica esistente, sicché la protezione di tale suo interesse richiede necessariamente la realizzazione di tale modificazione.

Si consideri, ad esempio, la posizione del contraente il cui consenso fu viziato, rispetto alla rimozione del negozio invalido, mediante il suo annullamento; oppure del contraente non inadempiente, rispetto alla ri-soluzione giudiziale del negozio.

Vi sono dunque dei casi in cui il giudice non si limita ad accertare una situazione preesistente od a dichiarare un obbligo in funzione strumentale rispetto ad una condanna (di dare, fare o non fare) ma crea una situazione giuridica in precedenza non esistente.

In relazione a tale capacità modificativa, le sentenze costitutive (o con efficacia costitutiva) vengono distinte a seconda che diano vita a nuovi rapporti sostanziali oppure incidano su situazioni già esistenti, modificandole.

Al primo ambito, ad esempio, si deve ricondurre la sentenza di acco-glimento dell’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere il

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contratto (art. 2932: ove un contratto preliminare non sia stato adem-piuto da una delle parti che ha omesso o rifiutato di stipulare il contrat-to definitivo, la parte interessata può rivolgersi al giudice per ottenere una sentenza che «tenga luogo del contratto non concluso») oppure la sentenza che costituisce la servitù coattiva (art. 1032).

Al secondo ambito, invece, sono riconducibili le decisioni che pro-nunciano la separazione legale dei coniugi, la inabilitazione e la interdi-zione del soggetto, l’annullamento, la rescissione e la risoluzione dei contratti, ecc.

Lo stesso art. 2908 afferma però che il potere costitutivo può essere esercitato solo nei casi «previsti dalla legge». Questo inciso, secondo una opinione prevalente, dimostrerebbe il carattere tassativo e dunque ecce-zionale della tutela costitutiva che pertanto si contrapporrebbe alla tute-la restitutoria e risarcitoria, meramente attuativa di situazioni giuridiche preesistenti, e pertanto ottenibile senza limitazione alcuna. La natura eccezionale, invece, è negata da chi rileva che alla base di essa si pone sempre un atto di autonomia (il contratto da annullare, rescindere o ri-solvere), oppure una previsione di legge (l’interclusione del fondo o la situazione di confine), nonché la necessità che la parte interessata abbia proposto una domanda volta ad azionare il diritto, sicché la modifica-zione giuridica, pur realizzata dalla sentenza, si riconduce sempre alla volontà del titolare del diritto.

Giova infine ricordare che i vari tipi di azioni sin qui descritti posso-no anche cumularsi all’interno del medesimo processo. Così se venga proposta una azione di risoluzione del contratto di compravendita con richiesta di restituzione del bene venduto e di risarcimento dei danni conseguiti medio tempore alla sua indisponibilità (art. 1453), si somme-ranno una domanda di accertamento (inadempimento), una di restitu-zione (del bene) ed una di condanna (danni); ancora, ove sia proposta dall’alienante azione di nullità del contratto, e l’acquirente eccepisca di aver usucapito il bene (art. 1422), si cumuleranno per iniziativa delle parti contrapposte, due azioni di accertamento, la seconda delle quali diretta a neutralizzare gli effetti della prima.

11. Compromesso e clausola compromissoria

L’ordinamento attribuisce alle parti anche il potere di compromette-re le proprie liti in arbitri e, cioè, di deferire la soluzione della contro-

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versia anziché alla autorità giudiziaria ordinaria, a “giudici” scelti dalle parti (cfr. art. 806 e ss. c.p.c. applicabili, nella forma novellata, dal 2 marzo 2006).

La devoluzione di una controversia alla competenza arbitrale viene ottenuta, nella maggior parte dei casi, mediante l’inserimento, all’inter-no di un contratto, di una clausola, detta «compromissoria», con la qua-le le parti dichiarano che, qualora insorgesse una controversia inerente alla validità, esecuzione ed efficacia di quel negozio, la sua soluzione sa-rà affidata ad arbitri. Secondo la prassi, è raro che si tratti di un arbitro unico: è frequente, invece, che sia prevista la costituzione di un collegio arbitrale composto da tre membri dei quali uno nominato da ciascuna parte ed il terzo da queste d’accordo, od affidato alla designazione di un soggetto esterno (un ordine professionale, il Presidente del tribunale, ecc.).

Se il contratto non conteneva ab origine una clausola compromisso-ria, le parti possono comunque ricorrere al giudizio arbitrale mediante la stipula, successiva, di un compromesso arbitrale.

La forma del compromesso e della clausola compromissoria non è li-bera. Gli artt. 807 ed 807 bis c.p.c., infatti, prevedono l’obbligo della forma scritta, parificando a quest’ultima la manifestazione di volontà e-spressa «per telegrafo, telescrivente, telefacsimile o messaggio telematico» purché ciò sia avvenuto nel rispetto della disciplina, anche regolamenta-re, in tema di teletrasmissione. Inoltre, l’art. 34, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 (sul procedimento civile in materia di società) stabilisce quale deb-ba essere il contenuto della clausola compromissoria statutaria, cioè contenuta nello statuto della società e relativa alle controversie fra i soci.

Non tutte le controversie, inoltre, sono «compromettibili», cioè so-no deferibili alla cognizione di arbitri. In particolare l’art. 806 c.p.c. esclude questa possibilità per i diritti «indisponibili» categoria cui deb-bono essere ascritti gli status personali ed i diritti della personalità e per la cui «riconoscibilità» si fa riferimento, in generale, alla previsione di intervento del Pubblico Ministero nelle relative azioni (si vedano le norme già citate ad altri fini in tema di interdizione e di inabilitazione, di impugnazione del matrimonio per nullità od invalidità, di separazio-ne personale, di verifica della società ecc.).

In alcuni casi, la possibilità di ricorrere al giudizio arbitrale è previ-sta direttamente dalla legge (ad esempio, in materia di lavoro e di bre-vetti).

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Alla base del procedimento arbitrale deve esservi sempre una scelta libera delle parti interessate e, pertanto, è escluso che la legge (od an-che una fonte contrattuale sovraordinata, come ad esempio un contrat-to collettivo), possano stabilire arbitrati obbligatori: è invece consentito prevedere la possibilità di ricorrere ad arbitri e predeterminare la com-posizione dell’organo giudicante, fermo restando che le parti (od anche una sola di esse), potrà preferire la tutela giurisdizionale ordinaria.

12. Arbitrato rituale ed irrituale

L’arbitrato non costituisce figura univoca giacché al suo interno si distingue fra rituale ed irrituale (o libero).

La differenziazione, sviluppatasi ai primi del ’900 come una reazione alla disciplina dell’arbitrato contenuta nel codice di rito allora vigente, considerata troppo vincolante e simile quella del processo ordinario, ha dato vita ad un ampio dibattito concernente sia il procedimento che i poteri degli arbitri e la qualificazione della loro decisione.

Secondo l’impostazione tradizionale, infatti, mentre nell’arbitrato rituale gli arbitri svolgono una funzione giurisdizionale, sicché la de-cisione (detta anche lodo) ha valore di sentenza, nell’arbitrato irritua-le essi operano come semplici compositori e, dunque, la loro determi-nazione è vincolante fra le parti in forza di un meccanismo rappresen-tativo negoziale (essi, dunque, concludono la loro attività emettendo una regolazione del rapporto che ha natura contrattuale e produce tra le parti gli effetti tipici di un negozio sostitutivo di quello oggetto di lite).

La diversa qualificazione del lodo libero o irrituale comporta anche una sua diversa efficacia: trattandosi di un atto negoziale, non è possi-bile dichiararne l’exequatur (vedi oltre) sicché l’ottemperanza della decisione rinvia ai problemi generali in tema di adempimento del con-tratto.

Inoltre non trattandosi di atto a contenuto decisorio ma solo nego-ziale, la impugnazione del lodo irrituale o libero può essere proposta solo dinanzi al giudice ordinario di primo grado (Tribunale) facendo valere i vizi tipici del contratto (in particolare errore, violenza e dolo).

Questa impostazione, ampiamente criticata dalla dottrina (buona parte della quale affermava l’unità dell’arbitrato e respingeva la distin-

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zione fra “lodo contratto” e “lodo sentenza”) e messa in dubbio dalla giurisprudenza specie sotto il profilo del procedimento (ritenendo ap-plicabile anche a quello irrituale alcuni principi fondamentali della giu-risdizione come l’onere della contestazione, i modi di assunzione delle prove, il rispetto delle regole sul contraddittorio), è stata parzialmente superata con la novella degli artt. 806 e ss. c.p.c.

Infatti l’art. 808 ter c.p.c. ha finalmente formalizzato l’arbitrato irri-tuale stabilendo che le parti possono stabilire, «in deroga a quanto di-sposto dall’art. 824 bis c.p.c.» che la controversia sia definita dagli arbitri mediante determinazione contrattuale.

Affermata testualmente la natura negoziale del lodo irrituale o libe-ro, ulteriormente confermata dalla impossibilità di ottenerne la esecuti-vità (cfr. art. 808 ter, secondo comma, n. 4), sono stati definiti anche i motivi di impugnazione 4. Questi non coincidono con quelli individuati in precedenza dalla prassi, ma contemplano una serie di ipotesi che fini-scono con l’avvicinare l’arbitrato libero a quello rituale sotto il profilo del trattamento.

Ben più analitica e formale si presenta, invece, la disciplina dell’arbi-trato rituale.

Il codice di procedura civile, infatti, definisce le regole del procedi-mento (cfr. art. 809 e ss. c.p.c. circa gli arbitri, il rito, la decisione, la sua impugnazione, ecc.) e dichiara espressamente che, una volta sottoscrit-to, il lodo produce gli stessi effetti «della sentenza pronunciata dalla au-torità giudiziaria» (cfr. art. 824 bis c.p.c.).

Tuttavia la decisione emessa, pur avendo natura di sentenza e pur essendo vincolante fra le parti, non costituisce ancora titolo esecutivo: a

4 Il lodo contrattuale è annullabile dal giudice competente secondo le disposizioni del Libro I:

1) se la convenzione dell’arbitrato è invalida, o gli arbitri hanno pronunciato su conclusioni che esorbitano dai suoi limiti e la relativa eccezione è stata sollevata nel procedimento arbitrale;

2) se gli arbitri non sono stati nominati con le forme e nei modi stabiliti dalla con-venzione arbitrale;

3) se il lodo è stato pronunciato da chi non poteva essere nominato arbitro a norma dell’articolo 812;

4) se gli arbitri non si sono attenuti alle regole imposte dalle parti come condizione di validità del lodo;

5) se non è stato osservato nel procedimento arbitrale il principio del contraddittorio. Al lodo contrattuale non si applica l’articolo 825.

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tal fine è necessario avvalersi del procedimento previsto dall’art. 825 c.p.c. che consiste in una verifica di regolarità formale riservata al Tri-bunale, azionabile dalla parte interessata, che si conclude con il c.d. de-creto di exequatur.

In tal modo viene recuperato il profilo di «statualità» della funzione giurisdizionale che rappresenta garanzia di unità del sistema.

Il lodo dichiarato esecutivo equivale ad una sentenza del giudice or-dinario. Anzi giova sottolineare che rispetto ad una sentenza di primo grado emessa da un Tribunale ordinario, il lodo arbitrale rituale è im-pugnabile in modo più limitato (la così detta querela nullitatis, propo-nibile dinanzi alla Corte d’Appello, è più simile al giudizio di cassazione che non ad un ordinario riesame).

Se la Corte d’Appello riconosce la fondatezza della impugnazione proposta, dichiara la nullità del lodo (giudizio rescindente) e giudica del merito della controversia (giudizio rescissorio).

È necessario sottolineare che costituendo l’arbitrato rituale una de-roga rispetto al principio di statualità della giurisdizione esso può ope-rare solo nei limiti previsti dalla legge.

Così, ad esempio, eventuali esigenze di protezione immediata po-tranno essere soddisfatte solo rivolgendosi al giudice ordinario che ne conoscerà a tali limitati fini, ferma restando la cognizione degli arbitri per il merito della controversia (cfr. art. 818 c.p.c. «gli arbitri non pos-sono concedere sequestri né altri provvedimenti cautelari»). Per la stessa ragione la fase esecutiva del comando giudiziale (anche quando si tratti di lodo divenuto esecutivo), è riservata alla funzione giurisdizionale che la attua mediante il processo esecutivo.

13. Arbitraggio e perizia contrattuale

L’ordinamento consente alle parti, che abbiano già stipulato un con-tratto incompleto, di affidare ad un terzo, detto arbitratore, la determi-nazione, in loro vece, degli elementi mancanti (cfr. art. 1349 come rego-la generale e l’art. 1473 per quanto riguarda il prezzo nella compraven-dita): in questo caso l’attività svolta viene definita arbitraggio.

È evidente la differenza dell’arbitraggio rispetto all’arbitrato sia li-bero che rituale: in questi ultimi (come si è visto) le parti deferiscono ad altri la decisione di una controversia, viceversa nell’arbitraggio il terzo è

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incaricato di completare un negozio. Per questa ragione, in assenza di determinazione del terzo, non colmata dall’iniziativa delle parti (anche mediante ricorso al giudice), il negozio è nullo.

L’attività di determinazione deve essere svolta dall’incaricato secon-do l’arbitrium boni viri, ma è facoltà delle parti rimettersi al suo arbi-trium merum. La differenza fra le due ipotesi sta in ciò: nel primo caso la determinazione deve essere svolta secondo ragionevolezza oggettiva; nel secondo caso, invece, il terzo è completamente libero e per questa ragione l’impugnazione della sua attività è consentita non per l’ipotesi di irrazionalità, ma solo provando la sua mala fede (cfr. art. 1349, se-condo comma).

Talvolta può accadere che le parti di un contratto si rivolgano o pre-vedano di doversi rivolgere, ove si verifichino i presupposti da loro se-gnati, a terzi in possesso di particolari capacità tecniche, per l’espleta-mento di attività di accertamento (si pensi, ad esempio alla polizza di assicurazione contro i danni che preveda la devoluzione a terzi, con ef-fetti vincolanti tra le parti, del compito di accertare il danno astratta-mente risarcibile e le circostanze inerenti alla gravità del rischio assicu-rato, ai fini della determinazione del premio e non definisca contesta-zioni tra le parti circa il diritto all’indennizzo).

Poiché in questa ipotesi il terzo non svolge attività di arbitro (non es-sendovi una controversia da risolvere) e neppure di arbitratore (non es-sendovi contratto da integrare), si ritiene che essa costituisca una fatti-specie autonoma, cui viene assegnato il nome di perizia contrattuale.

14. Azioni inibitorie, cautelari ed esecutive

Alle azioni di cognizione si aggiungono le azioni inibitorie, cautelari ed esecutive.

Le domande inibitorie tendono ad evitare che un certo comporta-mento illecito venga attivato oppure proseguito in modo tale da impedi-re (nel primo caso) o limitare (nel secondo caso) la produzione del dan-no: l’interessato, pertanto, si rivolge al giudice chiedendo che, accertato il suo diritto nonché la violazione (od il pericolo di violazione), sia emesso un ordine che vieti, per il futuro, il comportamento dannoso.

La tutela inibitoria trova ampio spazio nei diritti della persona (cfr. artt. 7 e 10 c.c. nonché, le disposizioni in materia di trattamento dei dati

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personali: legge n. 675/1996). Essa peraltro, è utilizzata anche nell’ambito della tutela del consumatore (cfr. art. 33 e ss. d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (codice dei consumatori) che consente alle associazioni rappresen-tative di consumatori e professionisti di agire per inibire, cioè impedire, l’utilizzo di condizioni generali di contratto contenenti clausole abusive).

Alla struttura sostanziale della tutela inibitoria, si riportano anche numerose azioni in tema di proprietà e possesso come nell’ipotesi del-l’art. 844 (immissioni moleste), dell’art. 1079 (azione di manutenzione), nonché in tema di protezione del diritto di autore, di atti di concorren-za sleale (art. 2599), di pubblicità ingannevole (d.lgs. n. 74/1992) di abuso della posizione dominante, di violazione dei diritti sindacali (art. 28, legge n. 300/1970).

Come si è detto, la funzione della tutela inibitoria è di soddisfare l’in-teresse a che non siano posti in essere in futuro comportamenti lesivi, compiuti i quali, l’unico strumento di protezione potrebbe essere quello risarcitorio: il modello di protezione inibitoria, comunque, presuppone sempre l’emissione di sentenze di contenuto cognitivo, dichiarativo e di condanna.

Diversa rispetto a quella inibitoria è la funzione della tutela cautela-re. Questa è diretta ad evitare che nel tempo necessario alla decisione della causa si determini un pregiudizio imminente e irreparabile della situazione di cui si chiede protezione. Questa protezione è realizzata mediante provvedimenti che producono effetti provvisori e pertanto ri-chiedono la successiva emissione di una sentenza che accerti la situazio-ne in via definitiva (ad esempio, il lavoratore dipendente che agisce per ottenere l’accertamento della illegittimità del licenziamento, può chie-dere l’emissione di un provvedimento urgente che, nel tempo necessa-rio della causa, gli consenta di proseguire l’attività lavorativa).

Le azioni esecutive, invece, sono azioni di secondo grado in quanto richiedono l’esistenza di un titolo esecutivo e cioè di un ordine, forma-to in genere dall’autorità giudiziaria, di tenere un certo comportamento. Così, ad esempio, in presenza di una servitù di non sopraelevare, la vio-lazione del divieto consentirà al proprietario del fondo dominante di a-gire per ottenere l’accertamento della violazione e la emissione di una condanna alla rimozione dell’opera illegittima: emessa sentenza favore-vole, il protratto inadempimento del soccombente consentirà all’attore di rivolgersi nuovamente al giudice per ottenere l’esecuzione coattiva dell’ordine di demolizione (sul punto cfr. però il cap. VII).

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15. Cosa giudicata

L’art. 2909 stabilisce, infine, che l’accertamento contenuto nella sen-tenza «passata in giudicato» fa stato, ad ogni effetto, tra le parti, i loro e-redi ed aventi causa.

La nozione di cosa giudicata equivale, in sostanza, a quella di sen-tenza definitiva e cioè di decisione non ulteriormente impugnabile per decorso dei relativi termini oppure per esaurimento dei vari gradi di giudizio (le due ipotesi non differiscono nel risultato, ma nel modo in cui quest’ultimo è ottenuto).

L’effetto processuale della cosa giudicata consiste nella non ulterio-re impugnabilità della sentenza (salvi i casi eccezionali di revocazione: cfr. art. 395 c.p.c.); l’effetto sostanziale, consiste nella produzione di un vincolo tra le parti in forza del quale quanto statuito nella sentenza che le riguarda, costituisce verità legale e, dunque non è più discutibile fra di loro.

La rilevanza di questo principio non si coglie solo nella protrazione nel tempo degli effetti dell’accertamento, ma anche nella funzione solleci-tatoria che esso svolge rispetto alle parti nel corso del processo che si e-sprime nel principio per cui il giudicato copre «il dedotto e il deducibile».

La definitività della sentenza, infatti, impedisce di riesaminare il fatto controverso rispetto ad ogni altra domanda ed eccezione relativa alla situazione dedotta che poteva trovare spazio nel processo, quand’anche non sia stata tempestivamente sollevata. Così, proposta azione di riven-dicazione nei confronti del possessore e formatasi cosa giudicata sulla attuale esistenza del suo diritto di proprietà, il possessore soccombente, che non abbia dedotto a suo favore l’usucapione, non potrà promuove-re un nuovo giudizio per accertarla.

16. Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

Nel corso degli ultimi anni l’attività della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha avuto influenza sempre maggiore nell’ambito dei singoli Ordinamenti, ed in specie quello italiano, sicché appare indi-spensabili farvi cenno.

Essa è stata costituita come organo giurisdizionale di tutela rispetto a violazioni dei principi incorporati nella Carta Europea dei Diritti del-