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Il Congresso di Bari ed il Governo di Salerno 4i I ELENCO DEI PARTECIPANTI AL CONGRESSO DEI COMITATI DI LIBERAZIONE NAZIONALE BARI - 28 GENNAIO 1944 Presidenti : Alberto Cianca (P. d’A) - Tito Zaniboni (P. S. 1). Segretario : Michele Cifarelli. Segreteria : G. Generali, G. Bartolo, G. Lopriore, De Bernardis. Benedetto Croce, Giulio Di Rodino, Carlo Sforza, Paolo Tedeschi. PARTITO LIBERALE Arangio Ruiz Vittorio Napoli Laterza Giuseppe Bari Belli Gino La Spezia La Volpe Raffaele Bari Carancini Antonio Roma Morelli Renato Napoli Cassandro Giovanni Napoli Nunziante Ernesto Salerno Cocco-Ortu Francesco Della Valle Eugenio De Pietro Michele Cagliari Caserta Lecce Rauty Raffaele Recapito Pasquale Catanzaro Milano Fighera Alfredo Taranto Rocco Alessandro Foggia Fiorio Mario Napoli Sanfelice Angelo Venezia Gabriele Cesare Cosenza Viglia Luigi Foggia DEMOCRAZIA CRISTIANA Agnello Giuseppe Catania Lepore Antonio Benevento Bellomo Vito Treviso Lojacono Natale Bari Bottiglieri Girolamo Salerno Matrella Antonio Foggia Cassiani Gennaro Cosenza Milazzo Vincenzo R. Calabria Duca di Carcaci Catania Piscitelli Clemente Caserta Gaetani Oreste Milano Sansonetti Giulio Taranto Gava Silvio Napoli Segni Antonio Sassari Intontì Raffaele Avellino Taormina Vincenzo Brindisi Iodice Generoso Caserta Turco Vincenzo Catanzaro Leccisi Pietro Lecce Venuti Angelico Napoli DEMOCRAZIA DEL LAVORO Cerabona Francesco Napoli Massari Pietro Lecce Cilento Adolfo Salerno Montessori Mano Lecce Danza Silvio Foggia Patruno Giuseppe Napoli Galdo Andrea Salerno Rinaldi Vincenzo Catania Lombardi Nicola Catanzaro Tripepi Domenico R. Calabria

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Il Congresso di Bari ed il Governo di Salerno 4i

I

ELENCO DEI PARTECIPAN TIA L CONGRESSO DEI COM ITATI DI LIBERAZIONE NA ZIO NALE

BARI - 28 GENNAIO 1944

Presidenti : Alberto Cianca (P. d’A) - Tito Zaniboni (P. S. 1).

Segretario : Michele Cifarelli.

Segreteria : G. Generali, G. Bartolo, G. Lopriore, De Bernardis.

Benedetto Croce, Giulio Di Rodino, Carlo Sforza, Paolo Tedeschi.

PARTITO LIBERALE

Arangio Ruiz Vittorio Napoli Laterza Giuseppe BariBelli Gino La Spezia La Volpe Raffaele BariCarancini Antonio Roma Morelli Renato NapoliCassandro Giovanni Napoli Nunziante Ernesto SalernoCocco-Ortu Francesco Della Valle Eugenio De Pietro Michele

CagliariCaserta

Lecce

Rauty Raffaele Recapito Pasquale

CatanzaroMilano

Fighera Alfredo Taranto Rocco Alessandro FoggiaFiorio Mario Napoli Sanfelice Angelo VeneziaGabriele Cesare Cosenza Viglia Luigi Foggia

DEMOCRAZIA CRISTIAN A

Agnello Giuseppe Catania Lepore Antonio BeneventoBellomo Vito Treviso Lojacono Natale BariBottiglieri Girolamo Salerno Matrella Antonio FoggiaCassiani Gennaro Cosenza Milazzo Vincenzo R. CalabriaDuca di Carcaci Catania Piscitelli Clemente CasertaGaetani Oreste Milano Sansonetti Giulio TarantoGava Silvio Napoli Segni Antonio SassariIntontì Raffaele Avellino Taormina Vincenzo BrindisiIodice Generoso Caserta Turco Vincenzo CatanzaroLeccisi Pietro Lecce Venuti Angelico Napoli

DEMOCRAZIA D EL LAVORO

Cerabona Francesco Napoli Massari Pietro LecceCilento Adolfo Salerno Montessori Mano LecceDanza Silvio Foggia Patruno Giuseppe NapoliGaldo Andrea Salerno Rinaldi Vincenzo CataniaLombardi Nicola Catanzaro Tripepi Domenico R. Calabria

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4 1 Il Congresso di Bau ed il Governo di Salerno

PARTITO D ’AZIONE

Accarino Alberto SalernoBerlinguer Mario SassariBernardini Alfredo LecceCalace Vincenzo BariCaracciolo Filippo RomaCraveri Raimondo (Lullo) TorinoDe Philippis Giuseppe BariDe Ritiis Ruggero NapoliFiore Tommaso BariGentili DinoGiuliano Libero UdineLanzetta Michele FoggiaLeone Leo Teramo

Morandi Italo BolognaMerola Saverio CasertaOmodeo Adolfo NapoliPalmisciano Attilio CataniaPane Antonino NapoliPinna Gonario NuoroPurpura Vincenzo PalermoPutorti Enrico R. CalabriaRomualdi Ciro (Baiamonti) PescaraSale Salvatore CagliariTurri Eugenio MateraWoditzka Giovanni Cosenza

PARTITO SO CIALISTA

Albergo Domenico Catania Gaeta Nino NapoliAntiloro Diego Siracusa Gennati FrancescoAssennato Felice Brindisi Laricchiuta Eugenio BariCacciatore Luigi Salerno Lizzadri Oreste (Longobardi) RomaCalarco Guglielmo R. Calabria Lojonne Leonardo BeneventoCerutti Francesco Matteucci Lionello Macerata

(Ardengo Paolo) Venezia Milillo Vincenzo MateraCorsi Angelo Cagliari Roia Remo AnconaDi Mizio Vincenzo Rossi Scipione NapoliDi Napoli Attilio Potenza Sansone Luigi NapoliFioritto Domenico Foggia Stampacchia Vito Mario Lecce

PARTITO COM UNISTA

Bonito Antonio Foggia Molinelli Guido AnconaDe Vita Giuseppe Benevento Musolino Eugenio R. CalabriaDi Donato Antonio Bari Palermo Vittorio BrindisiFiore Umberto Messina Pesenti Antonio VeronaGrasso Franco Palermo Picardi Ciro NapoliGraziadei Corrado Caserta Pierangeli Volfrano PesaroGullo Fausto Cosenza Povero Armando LecceLeone Donato Potenza Rega Guglielmo RagusaMaestro Mario (Mare) Venezia Renzulli Amedeo TarantoMaruca Francesco Catanzaro Tamponi Giuseppe Sassari

Saremo grati a quei lettori che ci segnaleranno eventuali lacune o inesattezzeda essi riscontrate in questo elenco.

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IL CONGRESSO DI BARIE IL DOVERE D ELLA CONCORDIA PER LA SA LV EZZA D ELLA PATRIA

(Discorso pronunciato in Taranto il 9 febbraio 1944 dall’avv. Giulio Sansonetti, delegato al Congresso).

Nel ringraziare le eminenti persone e gli amici che sono venuti ad ascoltarmi, debbo fare una doverosa premessa.

Il tema che mi sono proposto : Il congresso di Bari e il dovere dellaconcordia per la salvezza della patria, è così serio che ho ritenuto neces­sario scrivere il mio pensiero; perchè anche la scelta delle parole può avere notevoli conseguenze.

Non avrò dunque nè il calore nè la brevità di un discorso orale. In compenso spero di aver raggiunto una maggiore precisione e soprattutto una maggiore obbiettività e sincerità.

Poi, forse per lo sforzo di essere sincero ed obbiettivo — forse perchè non sarò riuscito ad esserlo abbastanza — il mio discorso conterrà molte idee della Democrazia Cristiana, molte degli amici del Fronte di Libera- zione, ma anche molti punti di vista dei miei personali. E ' dunque doveroso che io ne assuma la personale responsabilità. Ma debbo, con uguale lealtà, dichiarare che io non pretendo di essere infallibile. Desidero anzi di cono­scere il pensiero degli altri per formare il mio. Troppo abbiamo sofferto dalla confusione fra due concetti : quello della illuminata tenacia, che è sempre forte e spesso sapiente, e quello della caparbietà ignorante, che è sempre stolta e qualche volta violenta.

Siate dunque pazienti neU’ascoltarmi.

Il Congresso di Bari. — E ’ necessario che io vi parli del Congresso di Bari.

E ’ necessario per due fondamentali ragioni.In primo luogo perchè ho la sensazione — ed anche la prova — che

molti di coloro che vi hanno partecipato non ne hanno compreso il signifi­cato, il contenuto e la portata.

In secondo luogo perchè, proprio in base al nostro concetto della de­mocrazia, io che, in nome della Democrazia Cristiana della terra Jonica e anche in nome di tutta la Democrazia Cristiana, vi ho preso una parte non secondaria, ho il dovere e il diritto di rendervi conto della condotta del nostro partito e di quella mia personale; perchè sia ben compresa e giustamente giudicata da voi, dal nostro partito e da tutti.

Non per difendere il partito e la mia modesta persona.La nostra condotta, se, come io ritengo, ha corrisposto al supremo e

decisivo dovere dell’ora, dovrà essere apprezzata ed imitata da quanti vo­gliono sinceramente il bene della patria, al disopra di ogni egoismo utilitario e di ogni suscettibilità personale.

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Se invece risulterà che non abbiamo saputo apprezzare la situazione e la via da seguire, per debolezza, per incapacità, per fiacchezza nell’assu- mere le responsabilità che avevamo il dovere di assumere, voi, l’opinione pubblica, la storia, per il bene dell’Italia e per la serietà stessa del nostro partito, non dovrete concederci nessuna attenuante; che io, che noi non vi domandiamo.

I momenti gravi, i momenti diffìcili, come quello che attraversiamo, sono anche terribilmente confusi. E ’ diffìcilissimo orientarsi, è diffìcilissimo apprezzare la situazione e la via da seguire.

Questa però, se può essere una spiegazione degli eventuali errori, non è una attenuante per coloro che si sono assunti il compito di esprimere e di condurre la volontà degli altri. Se hanno saputo elevarsi al di sopra della nebbia che offusca la vista di tutti, hanno dimostrato di meritare la fiducia che hanno chiesta. Se non hanno saputo farlo, o non hanno saputo farlo abbastanza, hanno deluso quella fiducia e hanno dimostrato di non meritarla.

Procediamo per ordine.Che cosa era, che cosa voleva essere, che cosa doveva essere, che cosa

è stato il Congresso di Bari?II Congresso esteriormente dichiarava di voler essere una prima assem-

blea che assumeva la rappresentanza del popolo. Del popolo italiano, o almeno del popolo deH’Italia già liberata, con la partecipazione di alcuni profughi, che portavano la voce della parte d’Italia ancora soffocata dal gioco teutonico e dal nuovo fascismo anche più che teutonico.

Assemblea necessariamente improvvisata nella sua composizione; per­chè le condizioni attuali e la mancanza di abitudine del popolo non avreb­bero consentito di formarla con il sistema democratico delle elezioni.

Essa è stata formata dai delegati di sei partiti non fascisti, anzi anti­fascisti, rappresentati nei comitati di liberazione delle provincie liberate dalla occupazione degli eserciti tedeschi.

E ’ certo che questa composizione si prestava alla critica, sia perchè in realtà i sei partiti rappresentati nei comitati e quindi nel Congresso non sono tutti i partiti esistenti di fatto nelle provincie liberate, sia perchè la presenza paritetica di quei sei partiti non corrisponde alla reale consistenza numerica attuale di ciascuno di essi, nè a quella che essi avranno quando la grande massa del popolo avrà maturamente scelta la propria via.

Ma è anche certo che nel momento attuale non era possibile seguire altro metodo.

1 comitati di liberazione avevano prima anche il nome, e conservano il contenuto di comitati di azione. Se costoro, se noi non siamo ancora tutto il popolo italiano, siamo però coloro che hanno riconosciuto la necessità e assunto* la responsabilità di agire; cioè non rimanere inerti dinanzi alle necessità della Patria e dell’ora. In momenti difficili, in momenti di sconvol­gimento è sempre accaduto e accadrà sempre così.

Quello che abbiamo fatto, quello che facciamo, quello che faremo in­tendiamo però sottoporlo al controllo, alla approvazione di tutto il popolo italiano. Se quello che abbiamo fatto, facciamo e faremo, sarà stato fatto

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bene, il popolo italiano ci conforterà del suo consenso. Se avremo sbagliato, il popolo italiano sceglierà liberamente la sua via.

Ma la composizione paritetica dei comitati e del Congresso ha come suo primo presupposto e come suo imperativo categorico il dovere della concordia per la salvezza della Patria. Concordia che richiede necessaria- mente il sacrificio temporaneo, o in qualche caso irrevocabile di posizioni e di idee dei singoli partiti per il bene comune. Presupposto ed imperativo al quale noi sentiamo di dovere obbedire e al quale abbiamo dimostrato di sapere obbedire, con un esempio cosciente che, se sarà seguito anche da tutti gli altri, consentirà al nostro Paese di raggiungere le doverose e indero­gabili finalità che ci siamo proposti nel farlo.

Durante venti anni di regime fascista — quasi una intera generazione — il popolo italiano ha perduto l’abitudine alla libertà e alla vita pubblica; abitudine, cioè attitudine, già tanto profondamente turbata da quattro anni di guerra e da quattro anni di caotico dopo guerra che sembrò ad alcuni, diciamo pure a molti, che unico rimedio fosse la abolizione della libertà.

Sta di fatto che gli uomini chiamati a formare il Congresso, giovani o vecchi, l’abitudine alla vita pubblica non la avevano mai avuta, o non la avevano più, e non avevano avuto la possibilità di formarsela o di conser­varsela. Persino le eminenti personalità dell’antifascismo, inviate al Con­gresso, per venti anni, se avevano sofferto, se avevano affermato parlando, scrivendo o cospirando, in Italia o fuori d’Italia, la necessità della libertà e l’errore della dittatura, alla vita pubblica del loro paese e alla sua responsa­bilità positiva ed attiva per venti anni non avevano più partecipato e si poteva dubitare e temere che portassero nel Congresso non solamente il loro indiscutibile entusiasmo per la salvezza del Paese, ma anche la forma mentale della cospirazione e della ribellione. I soli che durante venti anni avevano direttamente o indirettamente partecipato alla vita pubblica erano necessariamente fuori del Congresso; perchè la loro attività aveva dato cattiva prova.

Era questa la più grave ragione di diffidenza verso il Congresso, aggra­vata dalle non sempre composte manifestazioni della stampa, anche essa nuova alla sua riacquistata libertà.

C’era una sola speranza, ma c’era. I componenti del Congresso, maturi o immaturi, esperti o inesperti, erano tutti sinceramente italiani. Si sperava quindi — e fondatamente — che avessero quel fine, profondo senso di re­sponsabilità, di equilibrio e di civiltà, che è al fondo dell’anima italiana. Si poteva, si doveva sperare che affiorasse e si manifestasse ancora una volta quella maturità, quella vera capacità politica, che erano esplose, pur nella fiamma della rivoluzione, quando or sono ottant’anni l’Italia aveva una prima volta conquistata — per il pensiero e l’azione di pochi, generosi ma anche impulsivi, nel contrasto di molti e nell’incerta attesa di moltissimi — la sua unità e la sua libertà.

Era un esperimento pericoloso; perchè il Congresso, per la sua forma­zione, per il momento in cui veniva convocato, per il più o meno aperto contrasto fra il Governo in carica e gli uomini che promuovevano l’adunata, per le manifestazioni di stampa che lo avevano preceduto, avrebbe potuto

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degenerare, o diventare un qualche cosa di molto diverso di quello che doveva essere.

Poteva infatti diventare una manifestazione rivoluzionaria; di quella rivoluzione antifascista che non era stata fatta prima che il fascismo crollasse e dichiarasse il proprio fallimento. E questo sarebbe stato inopportuno ed inefficace ed avrebbe, non risoluta, ma inasprita la crisi attuale.

Poteva assumere l'aspetto e il contenuto di un tribunale rivoluzionario, che, senza serenità e senza ascoltare precise accuse e precise difese, avesse pronunziata una specie di condanna sommaria di uomini e di capi. Giudizio evidentemente prematuro e di scarso e certamente discutibile valore.

Poteva assumere anche una specie di potere costituente. Anche esso evidentemente prematuro, quando due terzi d ’Italia sono ancora staccati da noi e quando mancano anche nella nostra terra combattenti e prigionieri, che hanno più degli altri diritto di dire in questa materia la loro parola, dopo riacquistata la necessaria serenità.

Era opportuno che fosse tenuto il Congresso?Questo dubbio era così forte che una prima volta il Congresso fu impe-

dito, a Napoli, ancora troppo vicina alla zona delle operazioni in corso e ancora troppo sconvolta dalle sventure della guerra. E una seconda volta è stato poi consentito in questa nostra Puglia, che per disposizione della Provvidenza è rimasta più serena e meno martoriata dal turbine delle bat- taglie.

Il dubbio si presentava anche e sopratutto a noi democratici e cristiani; che dobbiamo essere e siamo il nucleo, la zona centrale ed equilibratrice dell’Italia rinnovata, e ce lo siamo proposto e lo abbiamo ampiamente va' gliato e discusso.

La necessità di una manifestazione del pensiero del popolo italiano era indiscutibilmente non solo opportuna, ma necessaria. Per governare, cioè amministrare nel miglior modo possibile il Paese, nelle attuali veramente enormi difficoltà interne ed esterne, fra le attuali sofferenze e fra quelle ancora maggiori che di giorno in giorno andranno vertiginosamente ere- scendo, con i soli residui di una amministrazione periferica, orientata dal crollato regime e dalla bardatura economica fascista, in crescente logora­mento e collasso, senza comunicazioni, senza organi idonei, non può bastare la buona volontà; non potrebbe bastare nemmeno la migliore capacità. Occorre che gli uomini di governo trovino la loro forza e la loro autorità nel consenso e nella responsabilità del popolo. Non debbono essere costretti a fare e disfare sotto l’assillo di masse spettatrici sofferenti e quindi neces­sariamente critiche.

Valeva dunque la pena di tentare l’esperimento, che poteva fallire, ma poteva produrre anche gli elementi necessari per raggiungere la indispen­sabile concordia e la concorde responsabilità di tutti.

L ’ordine del giorno fissato per il Congresso lasciava aperte tutte queste possibilità, buone e cattive.

Il primo argomento — cioè la situazione politica interna — coinvolgeva necessariamente la questione monarchica e quella della collaborazione e

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della partecipazione al Governo. Gli altri due argomenti, in apparenza mo­desti, comportavano invece argomenti e posizioni dichiarate, di importanza capitale, sulle quali era evidente che vi sarebbe stato dissenso, non solo fra il Congresso e coloro che non vi partecipavano, ma anche fra gli stessi partiti rappresentati nel Congresso; e che avrebbero potuto avere ripercus- sioni gravissime. Ma era altrettanto evidente che, se si fosse raggiunto un risultato positivo e concreto sul primo punto, anche gli altri due sarebbero stati assorbiti e rimandati ad un più sereno e più concorde esame.

Il dovere della concordia. — Il primo problema che si presentava era dunque questo: partecipare o non partecipare al Congresso? E partecipan­dovi, parteciparvi con spirito di concordia o con spirito di battaglia?

Lo abbiamo ampiamente discusso ed è prevalsa unanimamente la tesi di partecipare al Congresso e di parteciparvi portandovi da parte nostra, e procurando da parte degli altri, lo spirito della concordia. Tutti abbiamo riconosciuto che gli aventinismi sono sterili e generano risentimenti e peg­giori urti. Anche i nostri amici più anziani hanno riconosciuto che l’aventino parlamentare -— al quale parteciparono con nobilissimi intenti e con grandi speranze — fu però in pratica causa non ultima di molte successive aberra­zioni fasciste.

Se noi non avessimo partecipato al Congresso o ad esso avessimo parte­cipato con spirito di battaglia, il Congresso si sarebbe ugualmente tenuto; ma avrebbe preso inevitabilmente l’indirizzo e il contenuto che non doveva avere. Quali sarebbero state le conseguenze? Non era possibile prevederle; ma una era certa e sicura. Quella che sarebbe certamente mancata la con­cordia e la base di concordia necessaria oggi al Governo del Paese. E allora necessità, per ottenere la concordia, di sacrificare nella forma e anche, in certi limiti, nella sostanza, alcune posizioni; purché non essenziali per la salvezza del Paese.

Sulla nostra decisione e su quella del Congresso, come già dissi a quella assemblea, hanno avuto influenza decisiva gli appelli unanimi giuntici da Roma, dal Comitato Centrale di Liberazione e da quello centrale della Democrazia Cristiana, che sono in continuo contatto con i patrioti e con i comitati locali dell’Italia ancora sotto il giogo teutonico, i quali tutti fanno per la liberazione e per l’avvenire della Patria molto più di quanto facciamo e possiamo fare noi e vanno incontro ogni giorno di più alle sofferenze ed alla morte.

La questione monarchica. — Il primo argomento, l’argomento centrale, era, come ho detto, la questione monarchica e quella, conseguente, della partecipazione alla responsabilità del Governo.

Come partito noi non abbiamo nessuna pregiudiziale nè antimonarchica nè antirepubblicana. Molti fra noi sono repubblicani, molti monarchici, e fra questi sono e rimango io, non solo per ragioni tradizionali e storiche, ma anche perchè sono sinceramente convinto che, ancora oggi, come al tempo del Risorgimento, la Monarchia, intorno alla quale l’Italia fu fatta una, può unirci e rappresentare la unità di indirizzo nell’alternarsi dei vari partiti e

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consentire alle minoranze di diventare maggioranze: mentre la repubblica ci dividerebbe e renderebbe più aspre le divisioni.

Non sappiamo ancora se nel nostro partito, quando l’Italia sarà tutta riunita, saranno più i monarchici o più i repubblicani. Ma penso che tutti dovranno essere lasciati liberi, come italiani, di esprimere e sostenere il loro pensiero; perchè il contenuto veramente sostanziale del nostro movimento è tale che trova e deve trovare il suo sviluppo e la sua attuazione, qualunque sia la forma istituzionale dello Stato.

Di questo contenuto sostanziale fa parte, tuttavia, la concezione demo- cratica; la quale non consente che la forma istituzionale ora in atto sia mutata senza la volontà di tutta la nazione, geograficamente e demografi­camente completa.

Primo punto fondamentale era dunque quello che la questione istitu­zionale non dovesse essere oggi nemmeno posta. L ’Italia, fino a quando non sarà possibile interrogare tutto il popolo, è e deve rimanere monarchica, e la forma monarchica deve rimanere, come contenuto e come ordine di successione, quella stabilita dallo Statuto fondamentale. Sulla prima parte di questa nostra affermazione è stato facile il consenso di tutti i partiti, anche di quelli a tendenza organicamente repubblicana. Sulla seconda parte il consenso era più difficile, perchè ostacolato da posizioni più o meno decise ed aspre assunte in discorsi e nella stampa. Ma ciò nonostante, per la evi­dente verità del principio, il consenso fu raggiunto; ed era stato raggiunto, come era necessario, alquanto prima che il Congresso fosse inaugurato dal discorso di Benedetto Croce.

L ’aspetto personale della questione rimaneva e rimase così limitato a quello della abdicazione dell’attuale Re.

Il nostro partito, anche prima di riunirsi a Bari, era ed è rimasto concorde nel ritenere che l’abdicazione è un atto spontaneo, unilaterale del Sovrano, il quale, quindi, secondo il nostro Statuto fondamentale non può essere nè deposto, nè coattivamente invitato ad abdicare. Anche questo concetto, pur con notevoli difficoltà di forma e di sostanza, ha finito col raggiungere, proprio per la nostra insistenza, la concordia direttiva del Congresso.

Chi, non presente al Congresso e non presente al lungo dibattito fra i rappresentanti dei partiti, potesse dubitarne, si procuri e legga attenta­mente il testo degli ordini del giorno presentati la sera del 28, dai liberali, dal gruppo formato dai comunisti, socialisti e partito d’azione e di quello presentato da noi e li confronti col testo dell’ordine del giorno unico con­cordato e ne avrà la sicura conferma.

Ma, pur non imponendola, dell’abdicazione si poteva in qualche modo parlare?

Prima della riunione del partito a Bari, nella riunione dei Comitati provinciali salentini della Democrazia Cristiana, tenutasi a Lecce, io dissi che pensavo che la decisione e la responsabilità di tale gesto, già ufficialmente annunciato, e anche la scelta del momento opportuno per compierlo, doves­sero essere lasciate al Sovrano; che forse solo possedeva gli elementi ne­

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Il Congresso di Bari ed il Governo di Salerno 49cessari alla decisione; e dissi perchè dovevamo avere fiducia che il Re Vitto­rio Emanuele, se fosse stato lasciato libero della sua decisione, l’avrebbe presa nell’esclusivo interesse del Paese. Ma successive dichiarazioni pubbliche e sopratutto private mi hanno fatto poi fortemente dubitare che il Re sia lasciato veramente libero di decidere e di scegliere il momento nel vero e supremo interesse della Patria.

Come che sia, sta di fatto che della abdicazione del Re si era già molto parlato. Se ne era parlato molto, anche troppo, nella stampa; se ne era parlato, fatto ancora più importante, in una intervista di un membro del Governo, il quale aveva lasciato pubblicare che il Re aveva deciso e che attendeva di essere tornato a Roma per poter, da Roma, compiere quel grande gesto che, secondo quell’intervista, l’Italia attenderebbe. Quell’an­nuncio non è stato apertamente smentito; quel membro del Governo è ri­masto al suo posto. Successivamente autorevolissime dichiarazioni non hanno smentito quella prima; hanno lasciato solamente dubitare che la data indi­cata, ma non ancora certa, quella della liberazione di Roma, possa essere procrastinata.

Io comprendo, tutti comprendiamo il significato del pensiero della deci­sione del Re, o almeno il pensiero di chi affermò di esprimere il pensiero del Re.

Se si può ritenere, come io personalmente continuo a ritenere e a cre­dere, che il Re abbia sopportato per venti anni la progressiva compressione dei suoi poteri sovrani e della libertà del popolo solo per evitare danni maggiori, certi o quasi certi, e per conservare alla Nazione la valvola di salvezza che ha funzionato provvidenzialmente il 25 luglio 1943, rimane e non può essere distrutto il fatto che egli ha firmato — perchè prerogativa della Corona — quella alleanza con la Germania nazionalsocialista e la di­chiarazione di quella guerra; della quale, pur non avendola voluta e pur avendo ora dichiarato poi la guerra alla Germania, sarà, per averla perduta, dichiarata colpevole e condannata a subire in gran parte le conseguenze tutta l’Italia.

A questo punto debbo fare, e con molto rincrescimento, una mia perso­nale osservazione. Debbo farla per dovere di coerenza e sopratutto per sin­cerità.

In un discorso che fu letto — e che quindi era stato evidentemente scritto — prima di avere sentita e compresa la vera, profonda e forse inattesa serietà e concorde maturità del Congresso, e quando perciò alcuni, anzi molti, credevano e forse speravano, come singoli, che esso avrebbe preso un indirizzo che non doveva avere e che non ebbe; discorso nel quale, accanto ad alcune considerazioni che non potevano incontrare il comune, o almeno il nostro consenso, vi erano però molte idee e molte cose profondamente vere e giuste; è stato asserito, con scarsa considerazione, che il Re e la sua Famiglia non hanno amato e non amano l’Italia; come è stato, con ancora minore considerazione ed opportunità, affermato che nessuna dinastia ama la propria Patria.

Credo che nessun cittadino britannico vorrebbe affermare, e ancora meno tollerare che sia affermato da un cittadino straniero responsabile che

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la dinastia dei Brunswick-Hannover non abbia amato e non ami l’Inghilterra e il suo Impero! Nessuno al mondo oserebbe anche soltanto insinuare che Alberto, che Leopoldo di Brabante non abbiano amato, fino al sacrificio, il martoriato ed operoso Belgio. Nessuno, senza falsare la storia, come i libri di testo fascisti, potrebbe dire che Carlo Alberto, che Vittorio Emanuele II, che Vittorio Emanuele III — del quale non si potranno mai dimenticare i primi 22 anni di regno, e sopratutto Peschiera — non abbiano dato, con i fatti, la prova di amare l’Italia. Proprio perchè ama la sua Patria, la nostra Patria, il Re, con il gesto che ha lasciato annunciare, vuole assumere ed assu- merà su di se tutta la responsabilità del passato, ed alleggerirà così, per quanto possibile e finche è ancora possibile, quella del suo Paese.

Era dunque un dato di fatto indiscutibile e non ignorabile l’annuncio, non smentito, del proposito dell’abdicazione, per gli altissimi fini che ho ricordato e per un tempo in certo modo determinato —- la liberazione di Roma — che tutti sentiamo sicura, che tutti speriamo ardentemente non lontana; ma che potrebbe anche non essere immediatamente prossima.

Era dunque certo che il Congresso, ormai, non poteva più e non doveva, anche per la dignità nazionale di fronte agli stranieri, che ad esso guarda- vano, assumere la veste ed il contenuto di un giudizio, oramai inutile ed inopportuno, sulla persona del Re; giudizio per il quale sarebbero certa­mente mancate la competenza formale e sostanziale, la indispensabile sere­nità e le necessarie forme e garanzie costituzionali e legittime.

Questo hanno coscientemente e concordamente compreso i rappresen­tanti dei partiti di massa, che vivono in mezzo al popolo, sofferente ma serio ed operoso, e, pur conservando ciascuno le proprie idee, lo hanno espresso nelle serene e composte dichiarazioni di voto dei loro esponenti. Serenità e compostezza che sono indice di forza e di coscienza e dimostrazione sicura di sensibilità e di maturità squisitamente politica ed operante.

A questo proposito io debbo dire a coloro che al Congresso non hanno assistito, e che lo hanno conosciuto solo attraverso gli affrettati e non inte­ramente esatti resoconti della stampa, una profonda sensazione mia e di quasi tutti coloro che vi parteciparono, avendone e sentendone le responsa­bilità.

Noi delegati, appartenevamo a partiti, a tendenze diverse, le quali, naturalmente, nel paese, sostengono con tenacia, e talvolta anche con asprezza, la diversità dei pochi o dei molti ideali e propositi diversi ed oppo­sti e si contendono vivacemente il consenso del pubblico.

Ma, riunitici a contatto diretto nel Congresso, guardatici negli occhi, lettici nel profondo dei cuori, fi accorgemmo e sentimmo subito che, al di sopra dei dissensi, eravamo tutti sinceramente italiani. Eravamo tutti fra­telli di una grande famiglia, di una grande Patria comune, che è nella sofferenza e nel pericolo imminente; dal quale tutti vogliamo sinceramente salvarla e che deve avere, per il bene nostro e per quello del mondo intero, una vita rigogliosa, nella libertà, che tutti concordemente e sinceramente vogliamo che le sia restituita.

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Il Congresso di Bari ed il Governo di Salerno 51I compiti del nuovo Governo. — Ma con questo il Congresso non era

certamente esaurito!Sentimmo tutti, e subito, che aveva acquistato un contenuto e un fine

più responsabile, più alto e più concreto. I sei partiti antifascisti, di libera- zione e di azione, dovevano passare dalla critica, che può anche essere o rimanere sterile, alla costruzione che deve essere feconda.

Su di un primo punto ci sentimmo ed eravamo già tutti d’accordo : perchè l’Italia possa ottenere la sua unità e la sua libertà all’interno della oppressione, che il nuovo fascismo dell’Italia occupata dai tedeschi si è incaricato di dimostrare non italiana; per riacquistare così la propria dignità umana di fronte al mondo, ed avere e dimostrare al mondo la capacità di affrontare le immense difficoltà e gli immensi compiti ai quali dovrà andare incontro, è indispensabile che tutti i partiti, che tutti gli italiani, ne assu­mano insieme e concordemente tutta la responsabilità!

Ma questo primo punto ne determinava necessariamente un secondo: era utile, era opportuno, era possibile, che il nuovo governo della concordia di tutto il popolo, di tutti i partiti, assumesse quella immensa e stabile responsabilità, che richiede verso l’interno e verso l’estero, non solo il contenuto, ma anche la veste di un totale rinnovamento dello spirito e della volontà nazionale, la assumesse dico, prima che la persona del Re, che ha regnato nel precedente periodo, avesse compiuto il gesto che liberamente aveva già fatto, o almeno lasciato, annunciare?

Risoluzione gravissima e di decisiva e forse irreparabile portata; che doveva indiscutibilmente essere presa da coloro che ne dovevano assumere la responsabilità e che dovevano apprezzare e dichiarare se, assuntala, sa­rebbero stati in grado anche di attuarla.

E un altro punto doveva necessariamente essere esaminato. Quando tutti i partiti rappresentati al Congresso, o anche soltanto qualcuno di essi — che era poi lo stesso — non avesse creduto di poter assumere ed attuare quelle responsabilità nelle presenti condizioni di fatto, era possibile, nell'in­teresse della Patria, attendere che le condizioni, per farlo utilmente, si fossero verificate, con la già annunciata abdicazione?

Per rispondere con matura coscienza a tutti e due questi gravissimi interrogativi, era necessario, era decisivo aver presenti i compiti che il nuovo Governo, che l’Italia deve e non può non assumere. Era necessario affrontare la durissima realtà, anche più dura di quello che molti possono pensare.

Sarebbe stato e sarebbe inutile illudersi! Sarebbe stato e sarebbe peri­coloso — e suicida — lasciarsi illudere dal presente stato delle cose nelle nostre Provincie, che, più o meno, sono state solo in piccola parte toccate dalla guerra e dalla sconfitta.

Le difficoltà, le sofferenze del nostro Paese, saranno enormi, saranno progressivamente crescenti.

Le nostre ferrovie, le nostre comunicazioni, le stesse fonti naturali di energia, sono state e vengono progressivamente, metodicamente e scienti­ficamente distrutte; e messe in condizioni di non poter essere, nemmeno alla peggio, riattate se non con ingentissima spesa, superiore alle nostre forze,

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col lavoro di decine di anni e con materiali e macchinari che noi non posse­diamo e che non siamo e saremo ancora meno in grado di produrre da noi. Molte nostre città e, in qualche modo, molte nostre campagne sono state anche esse devastate e distrutte. Siamo, è vero, un paese prevalente­mente agricolo; ma senza comunicazioni, senza industrie, nessun paese può vivere. Anche dell’agricoltura nostra, orientata per decine di anni verso la autarchia, non sappiamo ancora quale potrà essere la sorte! Non abbiamo e per lungo tempo non avremo i mezzi per comprare altrove quello che necessariamente ci occorre. Ci rimarranno soltanto il nostro tenace e paziente lavoro e la nostra inesauribile parsimonia.

Ma per lavorare bisogna pur vivere; e il nostro lavoro che cosa potrà produrre?

Il nostro paziente risparmio passato e in gran parte quello futuro, frutto sudato della nostra parsimonia, è stato quasi totalmente distrutto o assor­bito dal malgoverno e dalla guerra e sarà per lungo tempo ancora assorbito per riparare le distruzioni e i danni della guerra, che non sarebbe possibile, che non sarebbe giusto pretendere vengano sopportati solamente da alcuni.

E ’ certo che quei danni non potranno esserci indennizzati dai vincitori; anche essi, sebbene ricchi, duramente provati dall’enorme sforzo e dalle stesse distruzioni della guerra. E ’ ancora più certo che non potranno esserci indennizzati nemmeno dai vinti. Sia perchè in realtà non saranno stati vinti da noi, se non in piccolissima parte, sia perchè le loro possibilità sa­ranno minime e saranno tutte assorbite dai maggiori vincitori!

Avremo dunque assoluto ed inderogabile bisogno di strettissima parsi­monia e di larghissimo credito. Ma strettissima parsimonia vuol dire sacri­fici crescenti e indicibili sofferenze, i quali non possono essere domandati e ottenuti senza la concordia, cioè senza l’assoluta e sicura fiducia di tutto il popolo; il quale deve sapere il perchè dei sacrifici e delle sofferenze che gli sono richiesti, e deve essere convinto che quei sacrifici sono veramente indi­spensabili e che sono e saranno utilizzati per il loro massimo rendimento. 11 credito lo si ottiene anch’esso ispirando fiducia : chi lo accorda deve essere sicuro che la fiducia è ben riposta, che chi lo domanda ha una vera serietà e stabilità.

Per accordarlo, con la indispensabile grandissima larghezza, deve sapere, deve essere certo, che le controbbligazioni assunte non saranno oggi pro­messe da uno e domani non mantenute da un altro. Perchè nessuno può ottenere, o sperare di ottenere, dei diritti, se non è e non si dimostra veramente capace di assumere delle obbligazioni stabili e durature.

Solo un Governo che esprima la volontà e impegni la responsabilità di tutto il Paese, può dare la fiducia che le obbligazioni che esso assume saranno veramente mantenute da tutto il Paese.

Il nuovo Governo della concordia nazionale, se non nei singoli uomini — che non sono eterni e potranno essere anche sostituiti da più capaci e da più rappresentativi, a mano a mano che il resto dell’Italia sarà liberato — dovrà, almeno nei partiti, in tutti i partiti che accettano la responsabilità di parteciparvi, nell’interesse ed in nome di tutto il popolo,

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essere, non un governo provvisorio e transitorio di un momento eccezio- naie, ma un governo stabile; almeno per il non breve periodo necessario ad assolvere oggi i compiti essenziali della guerra, alla quale partecipiamo ed abbiamo il dovere ed il diritto di partecipare ancora molto di più, con i patrioti e con le forze di terra, del mare e dell’aria; domani i compiti gra- vissimi e difficilissimi del trattato di pace, e poi quelli della pace, della vera pace mondiale, che è necessario esca da quel trattato.

Per essere in grado di far questo; e per farlo ispirando la necessaria fiducia, occorre, è indispensabile, che il Governo abbia un contenuto e un fondamento interamente nuovo ed interamente diverso da quello del crollato e screditato governo fascista.

Non possiamo, non dobbiamo dimenticare, che i vincitori hanno aper­tamente dichiarato di aver combattuto solamente il fascismo, cioè il regime fascista e lo spirito fascista, non l’Italia vera e il suo vero popolo; e che, ancora molto prima dell’armistizio, hanno solennemente assunto, in cospetto del mondo, l’obbligazione di collaborare alla liberazione e alla vita del popolo italiano, se e quando esso avesse riacquistato la propria libertà. Libertà che vuol dire ordine cosciente e cosciente limite, nella concordia; e non disordine, contrasto o anche soltanto dissenso.

La validità di quella obbligazione, così solenne e quindi irrevocabile, è però sospesa da una condizione e da un termine.

La condizione e il termine sono potestativi, ma solamente per noi; perchè dipendono dalla volontà e dal fatto del popolo italiano, il quale, per chiederne la esecuzione, non può avere od ottenere nessuna forza materiale, ma può e deve avere — e dimostrare — una capacità, una forza morale, che deve essere fondata e stabile.

E ’ necessario che il nuovo Governo — non più fascista — abbia questa forza morale e che questa forza morale sia indiscutibile, cioè concorde e stabile.

E ’ necessario perchè possa chiedere fin da oggi agli Alleati non solo quegli aiuti per la vita materiale del popolo, che essi, con i fatti, hanno già cominciato a dimostrare di volerci dare, nell’ interesse dell’igiene fisica e morale delle nostre terre, nelle quali debbono necessariamente vivere, muo­versi e combattere le loro ingenti forze marittime, terrestri ed aeree; ma anche soprattutto quegli altri — e sono moltissimi — che ci pongano in condizione di adempiere il dovere e il diritto di contribuire alla cacciata dell’invasore, con tutto il nostro lavoro, con tutto il nostro sangue.

Per raggiungere questo non dilazionabile fine il nuovo Governo deve essere in grado di assicurare e di dare la sicura fiducia che noi vogliamo, sappiamo e possiamo contribuire efficacemente al comune sforzo e all’altis­simo scopo comune.

Abbiamo già dato e diamo il silenzioso ma innegabilmente proficuo contributo degli scarsi residui delle nostre sconfitte forze terrestri ed aeree, della notevolissima parte della nostra non sconfitta Marina e dei suoi im­pianti, salvata a grande stento dalla inutile distruzione che ne avrebbero voluta i tedeschi.

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54 ■ II Congresso di Bari ed il Governo di Salerno

Ma vogliamo e dobbiamo dare ancora di più!Alla ricostruzione delle nostre forze, specialmente terrestri ed aeree,

noi possiamo, vogliamo ed abbiamo il diritto di dare i nostri uomini, pa­zienti e valorosi; ma non gli abbondanti mezzi nuovi della guerra moderna che non abbiamo veramente mai posseduto e che certamente non abbiamo più.

Per chiederli, per ottenerli, dobbiamo dare la fiducia, la sicura fiducia, che la concessione di essi è veramente utile per affrettare il raggiungimento dello scopo comune. Che cioè i soldati e i volontari che saranno forniti da noi, avranno dietro di loro l’intero paese libero e cosciente; e saranno ani­mati da vero e ardente entusiasmo. E che uomini e mezzi saranno impiegati, condotti e guidati per le finalità comuni da uomini che abbiano la capacità tecnica necessaria, formata dalla indispensabile, sicura esperienza e dall’ancor più indispensabile studio e allenamento, lungo e paziente, ma abbiano anche dato e diano la prova di possedere le qualità morali di volontà e di carattere che ì capi debbono possedere.

Poiché le nostre forze non potranno essere ingenti, questi uomini non c’è bisogno che siano moltissimi, è necessario invece che siano veramente idonei e che trovino nel Governo e nell’indirizzo della concordia, la forza che loro occorre.

Sentiamo e sappiamo che questi uomini ci sono!

Alle assise della pace. —- Il nuovo Governo dovrà presentarsi alle assise della pace, la cui udienza non è lontana — e nella quale i vincitori interver­ranno non come contraenti, ma come giudici — non solo affermando di essere l’Italia nuova e vera, diversa e distinta da quella che volle, dichiarò e perse contro di loro la guerra; ma avendo dato, prima di quel giudizio, la prova pratica e indiscutibile di questa sua affermazione; e che ci si pre­senti con la conoscenza e la esperienza dei veri bisogni, delle vere sostanziali necessità della nostra vita; che dovrà esporre e far valere.

Davanti a quel tribunale non possiamo sperare di non avere, almeno un poco, la veste di ex-imputati o di ex-complici. Sarebbe pericolosissimo illudersi.

E allora è ancora più necessario che ad esso noi ci presentiamo con una grandissima forza morale. Deve risultare evidente l’utilità che noi viviamo, come depositari vivi e non inerti, della nostra millenaria civiltà!

Una voce altissima, la più alta, la più serena, la più fecondamente im­parziale, ha ammonito ed ha ripetuto che la pace, la vera pace, per essere, come deve, veramente stabile e duratura, non può essere una pace di ven­detta, o anche soltanto di dura difesa; ma deve essere una pace di concordia e di libertà, ottenute, con il cosciente sacrificio di tutti, per il bene comune.

Quale immensa forza morale avremo noi, se ci presenteremo, non solo con l’invito, ma con l’esempio, di una concordia già da qualche tempo otte­nuta, per questa difficile e durissima via! Se potremo dimostrare che quella civiltà, della quale siamo storicamente e geograficamente depositari, è ancora in noi vivente ed operante!

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Non dimentichiamo che quel tribunale — dietro ed oltre il quale sarà immancabilmente la storia — ha più volte solennemente annunciato che dispositivo della sua sentenza sarà, e dovrà essere, la vera libertà!

Vera libertà, che non vuol dire solamente libertà dagli altri, ma vuol dire anche libertà ed equilibrio in noi stessi.

Libertà dalle nostre suscettibilità personali, dai nostri personali astii, più o meno giustificati, dalle nostre concezioni precostituite e adattamento e comprensione alle idee e alle necessità degli altri, per il bene comune!

Ecco perchè il Congresso ha sentito, ritenuto e dichiarato la necessità assoluta, imprescindibile e non dilazionabile, della formazione di un governo che, nella totale concordia, trovi la forza di assolvere i compiti che vi ho ricordati; e la necessità che siano al più presto attuate le condizioni per questa totale concordia.

Il Congresso ha dimostrato di aver compreso che la soluzione di proble- mi così gravi deve essere ricercata dopo aver sentita la voce di molti, possi­bilmente di tutti, ma non può essere raggiunta se non da un piccolo numero di persone, munite di poteri, accordati dalla fiducia comune. Perciò ha co­stituito la sua Giunta permanente, ristretta al numero più piccolo possibile di persone; e a questa ha affidato poteri sufficientemente elastici, ma precisi, per raggiungere il fine comune, che deve essere assolutamente raggiunto.

Ed ora?Ecco la domanda che voi, che noi tutti ci facciamo e che ci fanno

anche tutta l’Italia, tutto il mondo.11 Congresso, anche per la matura serenità che nel suo complesso e nel

suo vero contenuto sostanziale ha dimostrato, è diventato indiscutibilmente un fatto ed un fatto importantissimo. E ’ un fatto che ha ancora la possibilità di diventare veramente storico.

Avremmo assunta una gravissima responsabilità, se avessimo fatto, o non avessimo evitato, qualche cosa che avesse potuto impedirgli di diven­tarlo. Questa gravissima responsabilità, siamo stati capaci di non assumerla.

Nell’ultimo progetto di ordine del giorno concordato, che era quasi quello che poi fu ivotato, era contenuto un periodo nel quale si esprimeva la certezza che, nonostante ogni buon volere, non sarebbe stato possibile il raggiungimento di un risultato positivo. Noi chiedemmo e ottenemmo che quella affermazione fosse tolta.

Lo chiedemmo e lo ottenemmo, perchè credevamo crediamo e sappia­mo che la sensibilità e la visione delle necessità della Patria e il conseguente spirito di sacrifìcio non sono un nostro monopolio.

Credevamo crediamo e sappiamo che noi non soltanto siamo capaci di vedere il contenuto sostanziale delle cose e di prescindere da qualche singola escandescenza verbale o mentale, che non fu, che non è la precisa volontà, il preciso dovere di concordia, sentito dal Congresso.

Siamo perciò sicuri che la crisi attuale — veramente gravissima — sarà risoluta, perchè l’Italia è viva, e deve vivere, sofferente, ma fiera e onorata!

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56 Il Congresso di Bari ed il Governo di Salerno

III

LA PRIMA SED U TA DEL GOVERNO DI SALERNO

(24 aprile 1944)

24 aprile — Mi reco, con una certa anticipazione, in vettura automo- bile, al palazzo di città, dove trovo ministri e sottosegretari i quali mi hanno preceduto.

Rivedo Attilio di Napoli, amico di antica data, che non rivedevo da un ventennio. Egli, per il primo, mi ha riconosciuto. Faccio la conoscenza di tutti i presenti. Mi intrattengo, più a lungo che cogli altri, con Sansonetti e con Di Raimondo, e, in ispecie con quest’ultimo, con viva cordialità. Entra il Maresciallo Badoglio. Mi presento a lui, lo trovo molto cortese. Si intrattiene a parlare con noi che formiamo tanti gruppetti, ed aspetto che arrivino Sforza, Di Rodino, Togliatti e Tarchiani, il Ministro dei Lavori pubblici, che desidero vivamente conoscere. Il venerando Benedetto Croce è già arrivato, ed è stato, da tutti i presenti, ossequiato con reverenza. Arriva Di Rodino, affabile con tutti. Arrivano gli altri tre. Mi avvicino a Tarchiani, il quale mi accoglie gentilmente. Ricevo l’impressione che egli sia un uomo di ingegno e signorile nei modi. Prendiamo posto, tutti intorno ad un tavolo. Io seggo tra l’avvocato Jenvolino, mio amico, persona di inge- gno e garbatissima, ed un simpatico ufficiale dell’aeronautica, il quale, con grande gentilezza, mi stringe la mano. E ’ il sottosegretario di quel Ministro. Badoglio siede, avendo, a destra, Sforza, ed a sinistra, l’uno dopo l’altro, Croce, Di Rodino, Togliatti. A destra di Sforza, siede Mancini, una delle vere vittime del Fascismo. Io seggo di fronte a Sforza. Questi, signore nei modi e nella parola, della quale sa servirsi con abilità, ha nel volto un’e- spressione di dominio e di tristezza insieme. Qualche volta pare che si astragga da ciò che lo circonda, ma non è così, perchè nulla gli sfugge. Non escludo che i venti anni di esilio abbiano velato di tristezza il suo volto. Di Rodino ha profilo aquilino, però, nella discussione non si altera, parla, ed efficacemente, da uomo di buon senso e conciliativo. Badoglio parla con semplicità, non polemizza, ma persuade chi gli affaccia qualche osserva­zione. Dopo brevi dichiarazioni, egli invita i ministri a giurare, oggi, alle due e mezza, nelle mani del re. Si impegna su questo argomento una di­scussione, alla quale partecipano Omodei, Mancini, Tarchiani, Togliatti, Sforza e qualche altro. In sostanza, nessuno di essi intende rinunciare alle proprie idee politiche, e nessuno vuole che dal giuramento si argomenti questa rinuncia. Ognuno mantiene le dichiarazioni antimonarchiche che ha già fatte. La discussione è calma ed elevata. Si arriva alla conclusione che Badoglio, il quale dice che farà una dichiarazione al re nel presentare i ministri, dirà nella dichiarazione, della quale si forma, con la collaborazione di parecchi, il testo, che i ministri (si escludono i tecnici, cioè Guerra, Ma­rina ed Aeronautica) hanno opinioni politiche personali, alle quali nessuno rinuncia, ma che ognuno « fa prevalere » — il fa prevalere l’ho sugge­rito io — sulle stesse il dovere di collaborare per l’interesse supremo della Patria.

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Si è stabilito pure che la nuova assemblea, la quale si formerà dopo che la Patria sarà stata liberata, sarà Assemblea Costituente.

Noi sottosegretari presteremo giuramento domani nelle mani di Ba­doglio.

Rivedo il mio ministro Tarchiani, scambio con lui qualche tratto di spirito, ed a rivederci domani.

La riunione mi ha commosso, perchè, dopo venti anni, l’ Italia ha avuto finalmente un governo libero, fotmato di vittime del fascismo, vendicate dalla libertà.

25 aprile. — Ho prestato giuramento nelle mani del Maresciallo Ba­doglio. La cerimonia è stata semplice e breve. Abbiamo, noi, sottosegretari, giurato separatamente l’uno dall’altro, uno per volta. Io ed altri, prima di firmare, abbiamo discusso, fra noi, se dovessimo far precedere il giuramento dalla dichiarazione che nessuno di noi intende rinunciare alla sua fede poli­tica, ma, anche per parere manifestato da S. E. Mancini, l’abbiamo rite­nuto superfluo, perchè, ieri, come ha pubblicato la stampa, anche noi ab­biamo preso parte alla riunione ed alla discussione circa il giuramento.

Badoglio è stato, come al solito, cortesissimo. La sua dolcezza di parlare sorprende.